C. CITTER, L. PAROLI, C. PELLECUER, J.M. PÉNE
Transcription
C. CITTER, L. PAROLI, C. PELLECUER, J.M. PÉNE
Carlo Citter, Lidia Paroli, Christophe Pellecuer, Jean-Michel Péne 121 COMMERCI NEL MEDITERRANEO OCCIDENTALE NELL’ALTO MEDIOEVO Carlo Citter Lidia Paroli Christophe Pellecuer Jean-Michel Péne Università di Siena Museo dell’Altomedioevo Roma Service régional de l’Archéologie Languedoc-Roussillon Montpellier Service régional de l’Archéologie Languedoc-Roussillon Montpellier Un tema così vasto e complesso come quello degli scambi “commerciali” 1 nel Mediterraneo altomedievale è stato affrontato in questa sede attraverso tre distinti contributi che, muovendo da punti di osservazione diversificati sotto il profilo geografico e tematico, offrono una esemplificazione delle problematiche e degli sviluppi di questo settore della ricerca archeologica. Il primo contributo analizza la circolazione delle anfore globulari da trasporto e della ceramica invetriata nel Mar Tirreno tra l’VIII e il X secolo (PAROLI, infra). Nel secondo viene presentato un complesso di materiali di importazione di fine VII-prima metà VIII secolo rinvenuti a San Peyre, un sito rurale francese nell’entroterra della Linguadoca, che apre nuove prospettive sulle relazioni mediterranee della Francia altomedievale (PELLECUER, PÉNE, infra). Il terzo contributo è dedicato infine all’analisi delle principali trasformazioni della rete portuale e del regime degli scambi lungo la costa della Toscana nel periodo compreso tra il V e il X secolo (CITTER, infra). 1. ASPETTI ARCHEOLOGICI DEGLI SCAMBI COMMERCIALI NEL MAR TIRRENO TRA VIII E IX SECOLO Le regioni rivierasche del Mar Tirreno, ma anche quelle della Francia meridionale, pur essendo state oggetto negli ultimi anni di intense e sistematiche ricerche archeologiche2, rappresentano ancor oggi uno dei settori del Mediterraneo altomedievale con minore attrattiva dal punto di vista del tema da trattare, stante la magrezza dei 1 Per una discussione del significato del termine in rapporto all’economia e alla società altomedievale cfr. Grierson 1979; Modzelewsky 1978, p. 97 ss., per una rassegna storiografica aggiornata cfr. Verhulst 1993. 2 Ci limitiamo a ricordare solo alcune opere d’insieme che offrono un panorama dello stato della ricerca e la bibliografia aggiornata: Archeologia in Liguria; Christie 1989; Gardini, Murialdo 1994; Lusuardi Siena, Murialdo 1991; Mannoni 1994-1995; Murialdo c.s.; per la Francia mediterranea cfr. bibliografia in Pellecuer, Péne, infra; per la Toscana cfr. Citter, dati finora emersi sui traffici marittimi. D’altro canto gli studi storici più recenti non hanno dedicato particolare attenzione al commercio lungo le coste occidentali del Regno longobardo3, cosicché è sembrato opportuno farne l’oggetto di un contributo specifico nell’ambito di questa relazione (CITTER, infra). Oltre a ciò vanno considerati i limiti intrinseci alle fonti archeologiche per la ricostruzione del commercio, che rendono tale compito quanto mai delicato, come è stato chiaramente puntualizzato da T. Mannoni in un lavoro dedicato al caso ligure (MANNONI 1981). In pratica la possibilità di ricostruire una storia quantitativa o semiquantitava del commercio è offerta esclusivamente dalla ceramica, che non costituisce comunque un parametro di valutazione assoluto; infatti l’assenza di evidenza ceramica non esclude il commercio di altri beni così come non esclude legami commerciali, anche molto consistenti, con talune aree geografiche, legami che possono non lasciare traccia nella documentazione archeologica. Per il periodo altomedievale un notevole contributo alla conoscenza dell’economia regionale può venire in particolare dallo studio della ceramica comune; tuttavia le sintesi sistematiche relative a queste produzioni sono ancore poche: ricordiamo quelle messe a punto in momenti diversi per la Liguria (MANNONI 1975), per Ventimiglia (OLCESE 1993), per la Francia meridionale (CATHMA 1991; 1993), per l’Italia centro meridonale (ARTHUR-PATTERSON 1994); d’altro canto la presenza di ceramica che documenti scambi interregionali o internazionali è, come vedremo poi più in particolare, piuttosto rara nei contesti archeologici del periodo in esame. Ciò premesso e considerato che i dati archeoloinfra; per l’area romana cfr. La storia economica; per il Tirreno meridonale cfr. Arthur-Patterson 1994. Si segnalano infine importanti contributi, di cui non si è potuto tenere conto nella stesura del testo perché apparsi quando il volume era già in stampa: Murialdo 1995; Saguì c.s. 3 Si veda ad esempio la recente pubblicazione della XL Settimana di Studi del Centro Italiano di Studi sull’Altomedievo di Spoleto dedicata al commercio altomedievale, in cui manca un contributo regionale specifico: cfr. Mercati. 122 EARLY MEDIEVAL TOWN IN WEST MEDITERRANEAN gici per l’età altomedievale sono i più scarsi in assoluto rispetto a tutti i periodi storici, il quadro che si andrà a delineare risulterà inevitabilmente fortemente congetturale. Considereremo in primo luogo una fonte archeologica, quella dei relitti navali, che ha il pregio di essere la fonte più diretta per quanto concerne gli scambi marittimi. Dai dati pubblicati di recente in forma sistematica da A. PARKER (1992), il V secolo appare come il momento che segna l’inizio di una fase di depressione acuta nel Tirreno centrosettentrionale, mentre la Provenza, che pure mostra una cesura nello stesso periodo, recupera tra il VI e il VII secolo. Nessun relitto di VIIIIX secolo è registrato nella nostra zona. Debitamente valutati (PARKER 1992, 8), questi dati sembrano indicare nel loro complesso effettive linee di tendenza dell’evoluzione dei traffici marittimi nel Mediterraneo; l’analisi a scala regionale permette di arricchire di sfumature il dato generale e di precisare meglio l’andamento nelle singole aree, in relazione alle vicende storiche locali (cfr. infra). Per quanto riguarda la Liguria ci limitiamo a sottolineare, a proposito delle ceramiche importate di età tardo-antica, la distribuzione “strategica” delle anfore globulari, affini al tipo 2 di Yassi Ada, che ricorrono in contesti della prima metà del VII secolo (A RTHUR et al. 1992; P AROLI 1993, 235); il termine “strategico” è suggerito dal fatto che la migliore documentazione nella regione per questo tipo di anfora appare collegata ai rifornimenti militari bizantini, realizzati esclusivamente per via marittima, come è risultato dallo scavo della roccaforte bizantina di Castrum Perti nel Finale (BONORA et al. 1988; C ASTIGLIONI et al. 1992); lo stesso tipo di anfora è presente anche in altre località del Finale (Arene Candide) e a Luni (LUSUARDI SIENA, MURIALDO 1991; MURIALDO c.s.). Le stratigrafie messe in luce negli ultimi tempi a Genova documentano l’arrivo anche in questo centro della provincia bizantina, apparentemente molto marginale, di materiale anforico di importazione fino ad epoca molto tarda (metà VII secolo) (GARDINI, MURIALDO 1994, 162 ss.). Non sono ancora segnalate, né a Genova né nel resto della regione, le anfore del tipo Cisterna di Samo che sono invece ben documentate in contesti di VI-VII della costa tirrenica (Roma, Porto, Napoli) e adriatica (ARTHUR 1990; PAROLI c.s. a). Il grande commercio interregionale delle derrate alimentari di età tardo antica tracolla intorno alla metà del VII secolo (PANELLA 1993), lasciando emergere, o meglio sopravvivere, in alcune zone circuiti di scambio più circoscritti, ma ancora a scala sovrarregionale. Tracce di questo commercio sono rappresentate dalle anfore globulari o subcilindriche altomedievali, che caratterizzano i contesti archeologici del tardo VII e dell’VIII secolo (ARTHUR 1993; ARTHUR, PATTERSON 1994, 420; PAROLI 1993). L’esame della carta di distribuzione delle anfo- re globulari altomedievali mette in evidenza alcuni dati di grande interesse (fig. 1). Lungo le coste tirreniche le anfore globulari sono presenti dalla Sicilia fino a Roma, mentre sono del tutto assenti in Toscana e in Liguria. In Francia sono tornate alla luce in Linguadoca (PELLECUER, PÉNE, infra). Per ora le serie più numerose sono quelle di Roma e Porto da una parte (PAROLI 1993), di Napoli e dintorni dall’altra (ARTHUR 1993). La discussione su queste anfore è appena agli inizi. Recentemente P. Arthur (1993) ha messo in relazione il ricco materiale napoletano, che era prodotto nella regione (fornaci sono state individuate a Miseno e ad Ischia), con il commercio del vino che sarebbe stato diretto soprattutto verso Roma. Questa ipotesi appare del tutto verosimile considerate le similitudini che si riscontrano tra le anfore delle due regioni, e le notizie delle fonti. Tuttavia il materiale romano e portuense si presenta abbastanza variato e sembra indicare un’area di rifornimento più ampia della sola zona di Napoli. Scambi con la Calabria e la Sicilia sono altrettanto plausibili, considerati anche i rilevanti interessi della chiesa romana in quelle regioni dove le anfore globulari di fine VII-VIII secolo sono parimenti diffuse (PAROLI 1993). Allo stato attuale, è molto difficile valutare l’entità e la natura di questi commerci. Il problema è stato affrontato recentemente da P. DELOGU (1993, pp. 17 ss.), secondo il quale, nel quadro dell’economia romana del VII e dell’VIII secolo, l’approvvigionamento alimentare in ambito regionale assume un’importanza via via crescente rispetto al commercio interregionale, che avrebbe svolto un ruolo piuttosto marginale: l’importazione di vino campano o calabrese dovrebbe rientrare, secondo questo punto di vista, nel commercio dei generi di lusso, destinati ad un gruppo abbastanza ristretto di fruitori, in primo luogo la mensa papale. Certamente sarebbe sbagliato enfatizzare troppo questo tipo di scambi nel basso Tirreno altomedievale: tuttavia, l’evidenza archeologica non sembra così frammentaria da far escludere un flusso relativamente costante di prodotti agricoli verso la capitale, flusso che non sembra interrompersi neanche dopo il ben noto esproprio dei patrimoni meridionali della chiesa romana ad opera dell’imperatore Leone III Isaurico. A Roma le anfore sono ancora documentate negli strati di pieno VIII secolo e solo nella prima metà del IX si registra la loro scomparsa (PAROLI 1993). Più che la fine del commercio di derrate alimentari la scomparsa delle anfore potrebbe indicare un mutamento profondo delle direttrici dei traffici ed il distacco da una tradizione tecnologica bizantina (anfore da trasporto sostituite verosimilmente da barili di legno) (ARTHUR 1993), fatti questi che non sono tanto imputabili alle scorribande saracene, che hanno solo complicato, ma mai impedito lo svolgimento del fragile commercio Carlo Citter, Lidia Paroli, Christophe Pellecuer, Jean-Michel Péne 123 altomedievale, quanto alla perdita della Sicilia da parte dell’Impero. La fine dell’egemonia marittima bizantina nel basso Tirreno portò ad un rivolgimento radicale degli equilibri precostituiti, favorendo l’affermazione definitiva di Amalfi e la fine di quel “filo diretto” che persisteva, ben percepibile a livello archeologico, tra VII e VIII nei rapporti tra Roma e l’Italia meridionale (CITARELLA 1993, pp. 254 ss.; PAROLI 1993; DELOGU c.s.). Tornando alla carte di distribuzione delle anfore globulari (fig. 1), si è già sottolineata la loro assenza dalle coste occidentali longobarde dopo la prima metà del VII secolo. Lo stesso modello di diffusione si osserva per le lucerne a ciabatta che costituiscono, con le anfore globulari, uno dei fossili guida dei contesti di VII-VIII secolo di area bizantina (P AROLI 1993; A RTHUR -PATTERSON 1994, pp. 418-9). Il dato può essere interpretato in questo caso come una interruzione completa del commercio di derrate alimentari tra basso e alto Tirreno, da mettere in relazione, senza dubbio, con la conquista longobarda. In Toscana il circuito di scambi, almeno per quanto riguarda il commercio delle derrate agricole e dei minerali, appare circoscritto in età longobarda all’ambito regionale (CITTER, infra). Proseguendo il giro verso occidente troviamo ancora un’attestazione di anfore globulari nella Francia meridionale, a San Peyre, un sito rurale a 40 km a nord di Nimes, nell’entroterra della Linguadoca. Questo recentissimo ritrovamento, che i colleghi francesi datano tra il tardo VII e la prima metà VIII secolo, si colloca su una linea di continuità con il relitto di Grazel B (presso Narbona) che documentava la prosecuzione di rapporti commerciali diretti tra l’area costantinopolitana e la Provenza fino alla metà del VII secolo. Con esso si aprono nuove prospettive sull’attività dei centri portuali della Francia meridionale che all’alba dell’VIII secolo rientrano ancora in un circuito di scambi a scala interregionale in cui il mondo arabo si affaccia fin dai suoi esordi (PELLECUER, P ÉNE, infra; LOPEZ 1965, pp. 439 ss.). Alla luce delle ultime scoperte sembra così attenuarsi quell’immagine di accentuato isolamento che si suole attribuire alla Francia meridionale del primo medioevo, immagine vivacemente contrastata da R.S. Lopez il quale richiamava, a riprova del suo assunto, una fonte del 798 relativa alla città di Arles, il versus Theodulfi episcopi con tra iudices , che contiene un elenco dei regali con cui i giudici della città venivano corrotti. Molti degli oggetti elencati nel poema rappresentano articoli tipici del commercio transmarino di età altomedievale: cristallo e pietre orientali, monete d’oro mussulmane, monete d’argento latine, drappi di vario colore trasportati - come specifica il testo - dagli arabi dalla faccia scura, coppe meravigliose, armi, pelli di Cordova bianche e rosse, stoffe di lino e di lana, cosmetici, cofanetti, rotoli di cera, etc. (LOPEZ, RAYMOND 1955, pp. 35 ss.). Nella stessa Arles sono tornati alla luce nel corso di recenti scavi frammenti di ceramica invetriata altomedievale, in contesti del IX secolo. Un esemplare di Arles ha una decorazione a petali applicati, simile al Forum Ware di Roma; l’analisi degli impasti ha dimostrato che non si tratta di ceramica locale, bensì di ceramica importata, proveniente da un centro di produzione non ancora identificato, esterno alla regione (CATHMA 1992, pp. 68-9, fig. 2,4). È importante sottolineare che quello di Arles non costituisce un caso isolato, in quanto è ben nota la presenza, lungo la fascia costiera della Francia meridionale, della Liguria, della Toscana, della Corsica e della Sardegna, e più ad occidente a Maiorca, di numerosi frammenti di ceramica invetriata altomedievale (fig. 2), la cui diffusione è documentata fin dalla seconda metà dell’VIII secolo in Liguria, a San Paragorio di Noli, per divenire Fig. 1) Carta di distribuzione delle anfore globulari del tardo VII-VIII secolo. Fig. 2) Carta dei siti costieri (parte occidentale) che hanno restituito ceramica invetriata altomedievale. 124 EARLY MEDIEVAL TOWN IN WEST MEDITERRANEAN più frequente nei due secoli successivi (CATHMA 1992; PAROLI 1992, 49 ss.) Considereremo in un primo momento i ritrovamenti di invetriata altomedievale segnalati lungo le coste del Tirreno centro-settentrionale, tralasciando quelli a sud di Roma. Dalle ricerche più recenti è risultato che gran parte di questi materiali è di origine esterna ai siti di rinvenimento. In diversi casi le analisi mineralogiche ne hanno consentito l’attribuzione a centri produttivi dell’area romano-laziale (PAROLI 1992, 44 ss.) (fig. 2: siti collegati a Roma con la linea tratteggiata). I recenti ritrovamenti di PisaPiazza Dante sono stati attribuiti anch’essi ad area campano-laziale (ABELA 1993). A quanto pare Roma ha svolto una funzione importante nella diffusione di questo tipo di ceramica nel Tirreno centro-settentrionale e nella Francia meridionale e probabilmente, proprio a seguito di questo influsso, si sono attivate in alcune regioni delle manifatture locali di ceramica invetriata4. Tutto questo, unitamente ad altre osservazioni che faremo tra breve, porta a riconsiderare il ruolo di Roma nel grande commercio marittimo. È molto probabile infatti, come già intuito da Guillou (GUILLOU 1979) e riaffermato più recentemente da DELOGU (1988a; 1988b; c.s.) e da C ITARELLA (1993, 264 ss.), che Roma fosse una delle maggiori piazze del commercio internazionale altomedievale nel Mediterraneo occidentale. Non solo il Liber Pontificalis è pieno di riferimenti a vesti e stoffe di seta e ad altri oggetti di lusso di origine orientale, di cui si intravvede il regolare fluire in città attraverso i canali del commercio marittimo di lunga distanza, ma si ha notizia fin dall’VIII secolo della presenza di mercanti veneziani e amalfintani sul mercato romano, i quali svolgono, come è noto, un ruolo di primo piano nel commercio altomedievale. Fin da quest’epoca si tratta sulla piazza di Roma uno degli articoli più ricercati delle transazioni internazionali: gli schiavi (DELOGU 1988b, 37; c.s.). La città, oltre ad essere un grande centro di consumo, deve aver svolto anche funzione di centro di ridistribuzione delle mercanzie pregiate, di origine trasmarina, a cui si potevano unire ovviamente prodotti del fiorente artigianato locale, ben rappresentato dai recenti ritrovamenti archeologici (per una sintesi cfr. PAROLI c.s.b; RICCI c.s.), e la più preziosa delle risorse naturali, il sale, estratto dalle lagune costiere alla foce del Tevere (TOUBERT 1973, 641-651; 681-3; MAGGI BEI 1978). Questa funzione di crocevia del commercio di lunga distanza traspare anche dal celebre episodio della vita di Geraldo d’Aurillac, composta tra il 938 e il 942 da Oddone di Cluny. Il racconto è ambientato a Pavia dove Geraldo era giunto dopo essere passato per Roma dove aveva comprato “tutto quello che voleva”, compresa una preziosissima stoffa costantinopolitana che un mercante veneziano valuta ad un prezzo molto superiore di quello pagato da Geraldo a Roma. Geraldo, ritenendo di aver frodato il mercante romano, gli invia la differenza del prezzo tramite dei pellegrini (Od. Clun., Vita Geraldi, 1, 27; da ultimo GIARDINA, GUREVIC 1994, VII ss.). Da questo episodio appare chiaramente che a Roma vi erano mercanti residenti che avevano a disposizione tutte le mercanzie, anche di origine esotica, che un aristocratico poteva desiderare di acquistare e che il commercio di questi beni preziosi veniva effettuato, come documentano anche le altre fonti, da mercanti di professione altamente specializzati, ebrei, veneziani, amalfitani, arabi che operavano soprattutto per mare o lungo le vie d’acqua. È altresì noto, e merita forse di essere sottolineato, che il commercio internazionale non era limitato alle merci di lusso, spezie, etc., ma comprendeva anche materie prime, armi, e talvolta anche articoli apparentemente più modesti, come quel carico di scodelle e altre minutaglie sequestato a Venezia inseme al legname per la costruzione delle navi, diretto ai paesi arabi5. Nessuna meraviglia quindi che questi carichi abbiano potuto comprendere anche vasi di ceramica invetriata, che vediamo distribuiti con una certa regolarità nel quadrante di nordovest del Mediterraneo, secondo le stesse direttrici seguite dalle rotte marittime descritte nelle fonti altomedievali (LEWICKI 1978; LEWIS 1978). La notevole capillarità di questa distribuzione costituisce un ulteriore argomento a favore dell’ipotesi di una circolazione della ceramica a vetrina pesante romana, ma anche di altra provenienza6, lungo gli stessi canali attraverso i quali si effettuava nel Mediterraneo nordoccidentale il commercio delle merci di lusso, delle materie prime, del materiale strategico, etc. La scarsezza quantitativa dei reperti nei diversi siti costieri non deve essere considerata una difficoltà perché è proporzionata sia alla quantità prodotta a Roma e nel resto della penisola, sia al volume degli scambi ipotizzabile per l’altomedioevo7. Un altro fattore che va tenuto presente per la 4 Si veda ad esempio il caso della Toscana: per la situazione della produzione invetriata altomedievale nelle zone costiere di questa regione cfr. i contributi di E. Bernardi, G. Berti, L. Cappelli, G. Ciampoltrini. F. Cuteri e M. Hobarth nel capitolo dedicato alla Toscana in: La ceramica invetriata, pp. 279-309. 5 La bibliografia sull’argomento è sterminata; per un quadro d’insieme si rimanda ai classici lavori di R.S. Lopez (1952; 1955; etc.) ed alla recente pubblicazione del centro di Studi di Spoleto: Mercati, con apparati bibliografici aggiornati; per i carichi poveri cfr. in particolare Zug Tucci 1993, p. 65 e nota 47. 6 Come è noto, i centri di produzione della ceramica invetriata altomedievale erano molto numerosi in Italia: un panorama in Paroli 1992, con riferimenti ai contributi specifici. 7 Anche se molto diffusa, la produzione di ceramica invetriata altomedievale è rappresentata nelle aree di produzione da una quantità irrisoria di frammenti (poche unità o poche decine) con la sola eccezione di Roma e dell’area laziale dove i frammenti rinvenuti sono molto più numerosi: cfr. Paroli 1992, con riferimenti ai diversi contributi. Per i problemi posti dalla valutazione quantitativa del commercio altomedievale cfr. ad esempio Lopez 1955, p. 115 ss. Carlo Citter, Lidia Paroli, Christophe Pellecuer, Jean-Michel Péne diffusione capillare lungo gli itinerari marittimi della ceramica invetriata, anche se ebbe molto probabilmente un ruolo secondario, è il flusso dei pellegrini, che segue peraltro le stesse vie battute dal commercio interregionale altomedievale. Nell’Europa cristiana sappiamo che era vietato ai pellegrini esercitare la mercatura, anche se molti non erano alieni dal contrabbando; la maggior parte di loro sarà stata comunque più interessata agli oggetti di devozione che di consumo (da ultimo LAMBERT , P EDEMONTE DEMEGLIO 1994), eccezion fatta probabilmente per le aristocriazie di origine nordica che frequentavano assiduamente Roma tra il VII ed il IX secolo. Tra i loro acquisti non figurano solo gli oggetti liturgici, i reliquiari, le icone, i codici miniati rilegati in metallo prezioso e gemme, etc., ma anche i tessuti pregiati e tutti gli altri generi di lusso di diversa origine disponibili sul mercato romano (GUILLOU 1979; DELOGU 1988a; 1988b; c.s.). Una spia del rapporto organico che intercorre tra grande commercio e distribuzione dell’invetriata altomedievale è offerto altresì dalla ceramica a vetrina pesante salernitana, il cui floruit è sfalsato rispetto al Forum Ware di Roma, collocandosi tra il tardo IX, il X fino ai primi dell’XI secolo (ALFANO, PEDUTO 1992). Questa ceramica non solo è molto ben documetata localmente (MAETZKE 1992; A LFANO , P EDUTO 1992), ma mostra un’area di diffusione molto ampia. Esemplari attribuibili alla produzione salernitana sono stati individuati in Sicilia (Palermo e Siracusa) e nella Maremma toscana, a Scarlino (PAROLI 1992, p; 32, nota 38; 46; SFRECOLA 1992, p. 589, gruppi 2 e 3). Nella carta questi siti sono collegati a Salerno dalla linea continua (fig. 2). Non c’è dubbio che la fortuna della ceramica invetriata altomedievale di Salerno e la sua ampia diffusione non solo nel Tirreno meridionale ma anche in quello centrale sia da ricollegare con l’attività marittima della contigua Amalfi, che pro- 125 prio nel periodo indicato tocca l’apice della sua potenza marinara. È altrettanto interessante rilevare il ruolo molto più secondario svolto invece dalla ceramica invetriata a Napoli. In questa città l’apparizione della vetrina pesante, che le analisi degli impasti inducono ad attribuire ad un centro di fabbricazione locale, sembra più precoce che a Salerno (ARTHUR, CAPECE 1992). È probabile che a Napoli, come a Roma, a Reggio Calabria e forse anche a Siracusa, la produzione dell’invetriata altomedievale si sia affermata già nel corso dell’VIII secolo; per contro sorprende il suo scarso sviluppo nel periodo successivo (PAROLI 1992, 46-47). C’è da chiedersi se questo fatto possa essere messo in relazione con il relativo declino che contraddistingue la storia di Napoli nel IX e nel X secolo, allorché la città è messa in ombra dall’egemonia amalfitana (ARTHUR 1991, 779). In conclusione dunque, la ceramica invetriata in quanto produzione pregiata, ha costituito con tutta probabilità una voce relativamente costante del commercio interregionale altomedievale. L’analisi della sua diffusione ci permette altresì di mettere in luce il ruolo di primo piano svolto da Roma nel grande commercio internazionale. Il suo porto, che le ricerche archeologiche più recente mostrano ancora in funzione, almeno in alcuni settori, fino a tutto il IX secolo (COCCIA, PAROLI 1993; COCCIA 1993), rimane nell’altomedioevo punto di arrivo e di partenza dei convogli mercantili che dai lontani porti orientali, bizantini e mussulmani recano mercanzie destinate per lo più al rifornimento delle aristocrazie non solo di Roma stessa, ma anche di altre città italiane ed europee. D’altro canto vediamo puntualmente confermata dalla carta di distribuzione dell’invetriata salernitana l’ascesa ed il ruolo egemone esercitato da Amalfi tra il IX e l’XI secolo nelle attività mercantili per cui la città campana è rimasta famosa nei secoli. (Lidia Paroli) 126 EARLY MEDIEVAL TOWN IN WEST MEDITERRANEAN 2. LES IMPORTATIONS D’ORIGINE MÉDITERRANÉENNE EN LANGUEDOC AUX VIIE ET VIIIE SIÈCLES: L’EXEMPLE DE SAN PEYRE (LE BOUQUET-GARD/FRANCE) L’archéologie languedocienne, malgré le développement sans précédent des fouilles urbaines, n’apporte encore que peu de choses à l’histoire des cités régionales au cours du haut Moyen Âge (fig. 3). Pour des villes comme Nimes, Béziers ou Narb o n n e 8 - les colonies du Haut-Empire - comme pour les agglomérations secondaires devenues sièges épiscopaux - Agde, Maguelonne ou Uzès l’essentiel de nos connaissainces se résume à quelques grands traits de la trame urbain, une topographie religieuse principalement9. Fig. 3) Carte de localisation des sites languedociens ayant livré des importations méditerranéennes VIIe-VIIIe s.: 1, Le Bouquet/San Peyre (Gard); 2, Lunel/Dassargues (Hérault); 3, Epave de Gruissan/Grazel B (Aude). Dans ce contexte, il est évidemment impossible de redonner à la ville sa place dans le réseau commercial de ce premier Moyen Âge. A quelques rares exceptions, les seules données aujourd’hui disponibles nous sont fournies par la fouille ou la prospection des habitats ruraux disperses dans le territoire des cités. L’étude des céramiques de la période concernée bénéficie de façon opportune des acquis d’une récente enquête collective à l’échelle de la région (CATHMA 1993). Cette synthè- 8 La documentation propre à cette période est inexistante à Nimes malgré des opérations de grande ampleur dont une des plus rècentes est localisée dans l’écusson médiéval (MONTEIL 1993). On ne sait encore trancher pour expliquer ces lacunes entre un problème de conservation des horizons du premier Moyen Âge et l’hypothèse d’un tissu urbain lâche et discontinu où l’habitat se polarise autour de points majeurs, monuments antiques et édifices religieux. Les hasards de la fouille n’auraient pas permis, dans ce dernier cas, d’approcher ces zones habitées. Des cabanes excavées autour de l’église Saint- se permet une première approche des grandes catégories de productions languedociennes et dessine les contours des aires de diffusion. Il est manifeste que le vaisselier du quotidien est alors fourni exclusivement par le marché régional. Les importations dont on aurait pu attendre beaucoup pour dater avec plus de précision les contextes étudiés sont généralement absentes à partir du VIIe s. Cependant, quelques sites empêchent d’accepter sans retenu l’image d’une région étrangère aux échanges méditerranéens. A l’entrée du port antique de Narbonne (Aude), dans le grau de Gruissan, l’épave de Grazel B a livré depuis le début du siècle diverses pièces métalliques dont un important lot monétaire appartenant à la cargaison d’un navire byzantin (SOLIER 1981, pp. 26-52). L’étude de ce pécule (C. MORRISON in SOLIER 1981) indique d’un part que le navire était en provenance de Constantinople ou des ses environs immédiats et d’autre part qu’il faut fixer le naufrage vers le milieu du VIIe s. Cette découverte doit être mis en relation avec les colonies “syriennes” que révélent les sources du VIe s. pour le port de Narbonne10. Entre Nimes et Maguelonne, le secteur du Lunellois, intensément étudié, apporte un autre témoignage de cette ouverture. L’habitat de Dassargues (Lunel, Hérault), villa en 788, livre encore entre le milieu du VIIe et la fin du VIIIe s. plus de 15 % de céramique importée, principalement des amphores (moins de 8 % d’amphores africaines et 5 % autres - orientales ?). Les éléments les plus anciens sont des fragments de formes Hayes 91 et 99 en claire D. Deux cols de jarre, probablement d’importation africaine, sont à rapprocher d’exemplaires trouvés à Carthage dans des contextes du VIe et VIIe s. (FULFORD 1984, fig. 82, n. 39). Enfin, une plaque lyriforme de type byzantin et deux verres à pied torsadé sont les objets les plus récents reconnus ici (CATHMA 1992, pp. 174-177). Le dernier site qui apporte un éclairage à la question des importations méditerranéennes posterieures au VIe siècle est celui de San Peyre, localisé à environ 40 km au nord de Nimes et à 20 km au sud-ouest d’Uzés. Les conditions de découverte11, le faible nombre d’objets recuillis ne permettent pas de comparaisons immédiates avec celui de Dassargues. Une présentation détaillée des céramiques importées rassemblées dans la Paul-Serge, découvertes il y a peu de temps à Narbonne (GINOUVEZ 1993) donnent une image inédite de ce type de groupement à une époque plus tardive, vers l’an mil. 9 Cfr. les contributions de Paul-Albert Février in Barral y Altet 1989. 10 Pour Narbonne, canons IV et XIV du concile de Narbonne (589) cités à ce propos par C. Morrison in Solier 1981, p. 37, note 48. 11 Nous tenons à remercier Monsieur H. Leibbrand, inventeur et propriétaire du site, pour son accueil, son intéret pour nos travaux et sa cordiale collaboration. Carlo Citter, Lidia Paroli, Christophe Pellecuer, Jean-Michel Péne maison de San Peyre nous a semblé indispensable pour mieux apprécier la place du commerce méditerranéen dans le Languedoc des VIIe et VIIIe s. Un site de l’arrière-pays languedocien Ce secteur de l’arrière-pays languedocien est marqué par une zone de fort relief, isolé entre les vallées de deux affluents du Rhône qu’ils rejoignent environ trente kilomètres en aval. Des gorges ou défilés tendent à segmenter le paysage créant des voies de passage obligées. L’habitat étudié est installé sur le flanc occidental, en pente douce, du relief de San Peyre. Ce site de hauteur est occupé depuis la préhistoire récente et pourrait être le siège d’une agglomération secondaire galloromaine. Une étude toponymique ainsi que la découverte de céramiques antiques sur l’oppidum le confirmeraient une telle hypothèse. L’unité d’habitation du haut Moyen Âge a été découverte fortuitement en 1990 et n’a fait l’objet à ce jour que d’un sondage et d’un dégagement de surface. La maison installée sur une pente relativement abrupte s’adapte à la déclivité. Les fondations des murs maçonnées suivent le profil de la roche à peine régularisée. Les parties retrouvées correspondent à trois espaces de service en soussol (env. 120 m2) alors que l’étage plus vaste - au minimum quatre pièces pour env. 450 m2 - devait accueillir les pièces de vie. Une toiture de tegulae et le recours au béton de tuileau (opus signinum) indiquent une continuité des techniques de construction de l’Antiquité. L’occupation de la maison est interrompue par un incendie qui a entraîné l’enfouissement au rez de chaussée de l’équipement intérieur et du mobilier sous les décombres de l’étage. Ces conditions ont amené la conservation de multiples matériaux et objets qui constituent un remarquable ensemble clos. Notre connaissance incomplète de la maison mais aussi de son environnement ne permettent pas encore d’attribuer un fonction au bâtiment. Pour le Ve et VIe s., le Gard rhodanien a fourni de nombreux exemples d’habitats de hauteur, créés ou réoccupés durant l’Antiquité tardive. Les découvertes qui ont pu y être faites ne sont en rien comparables tant dans le domaine de l’architecture, généralement modeste, que dans celui de la céramique. La qualité du mobilier découvert dans la maison de San Peyre, l’ampleur certaine de la construction amènent à poser l’hypothèse d’un établissement aristocratique. Pour la même période, le site du Camp de Larina (Hieres sur Amby, Isère), occupée du Ve au VIIIe s., a livré un ensem- 12 (FÉVRIER 1986, pp. 158-159). Outre une fonction domaniale que révéle clairement le site de Larina (pressoir, pièces utilitaires...), un rôle défensif ne doit pas être dénié à ces hatitats de hauteur. Ils peuvent participer au système défensif avancé de centres urbains importants comme cela a été proposé pour le 127 ble de 1500 m2 qui se prête à une même interprétation. Il a été identifié comme une villa et ses dépendances installé au sein d’un vaste habitat fortifié de hauteur12. Les importations céramiques Lampe africaine Une lampe de type Atlante X a pu être partiellement reconstituée. Le disque porte en périphérie des motifs répétés des rosettes quadrilobées à double ligne de contour. A l’extrémité du registre, un motif, probablement de remplissage, ne peut être identifié (feuille, oiseau ?). Au centre du disque, se distingue la partie supérieure d’une grande croix gemmée. Sous le pied de la lampe est discernable une autre rosette, à huit lobes ?, empâtée (fig. 4). Pâte brun rouge, feuilletée, sans dégraissant apparent. Ce type individualisé par le motif de la rosette quadrifoliée, fréquemment associé à la croix gemmée, correspond à une production clairement identifiée sur le site de Carthage (FULFORD 1984, 237, pl. 3). La forme 1M “quatrefoil-without-centre” n’est pas attestée dans les niveaux antérieurs à 575-600 alors qu’elle est bien représentée dans les horizons datables des années 600 et plus. Fig. 4) Lampe africaine Atlante X (1:2). castrum de Monte Barro au nord de Milan (BROGIOLO 1991, pp. 55-57). Voir aussi la prépondérance du rôle défensif dans le cas du “castrum” de S. Antonino di Perti (Finale Ligure/Savone) (BONORA et al. 1988). 128 EARLY MEDIEVAL TOWN IN WEST MEDITERRANEAN Les amphores africaines Malgré la caractère clos de l’ensemble, de nombreuses difficultés de remontage ne permettent pas d’estimer le nombre total des exemplaires que renfermait la maison fouillée. Le décompte proposé tiendra compte des éléments morphologiques reconnus (lèvres, anses et fond) ainsi que des caractéristiques de pâte qui permettent des appariements. Deux types d’amphore ont été isolés. Le premier, plus particulièrement favorisé par les tra- vaux de remontage, regroupe des récipients à pâte rouge, riche en inclusions grossières, dont l’épiderme est généralement clair. Typologiquement, il s’agit d’amphores cylindriques de grande dimension que nous attribuons au type Keay LXII (KEAY 1984, pp. 309-350). S’il est difficile de les classer dans l’une des nombreuses variantes proposées (Keay LXII E, G ou H ?), leur morphologie évoque sans ambiguïté la forme générale de cette amphore. Le col est massif, large à la base, s’étrangle au rac- Fig. 5) 1-4, Amphores Keay LXII; 5-6, Amphores Keay LXI (1:6). Carlo Citter, Lidia Paroli, Christophe Pellecuer, Jean-Michel Péne cord avec la lèvre. Un gradin vertical, atrophié mais bien présent sur les amphores de San Peyre, sert de transition avec le repli quadrangulaire du rebord, évasé. La panse est cylindrique et dotée d’un fond à renflement annulaire. Le second type est malheureusement moins bien perçu malgré un grand nombre de fragments. La pâte est jaune-orange, fine, plus jaune en surface. Nous ne pouvons en donner que deux profils de lèvre. Dans les deux cas, elle se présente sous la forme d’un bandeau haut, vertical pour l’un, évasé pour l’autre. L’amorce du col est conservé et permet de restituer un col cylindrique. Ces différents critères permettent de reconnaître des amphores de type Keay LXI. - amphore de type Keay LXII, conservée depuis l’épaulement jusqu’à l’ouverture (fig. 5, n.1). Diam. à l’ouverture: 13,8 cm. Un groupe de fragments de panse, jusqu’au raccord avec le fond, provient peut-être du même exemplaire (non figuré). Fond à renflement ou ressaut annulaire ? (fig. 5, n.4). Pâte rouge brique à inclusions (petits et gros nodules blanc-jaune). L’épiderme est gris-noir (surcuisson accidentelle lors de l’abandon de la maison). - amphore de type Keay LXII. Panse, épaulement et amorce du col (non figuré); panse et fond à renflement annulaire (fig. 5, n.3). Malgré l’absence de collage, la lèvre n.2 de la figure 5 pourrait être attribué à cet exemplaire. Pâte rouge, feuilletée, à rares inclusions (nodules clairs). Epiderme jaune verdâtre. - amphore cylindrique, type Keay LXII?. Epaulement et éléments de panse (non figuré). Pâte rouge-orange, tendre, à fines inclusions blanches. - amphores de type Keay LXI, deux fragments de lèvre en bandeau de types différentes (fig. 5,56). Fragments de col, d’anses (deux départ d’anse), d’épaulement et de panse. Pâte bicolore, jaune-orange à rouge-orange dans l’épaisseur, jaune-vert en surface. Bien cuite, non feuilletée, légèrement vacuolée et sans grosse inclusion. Les fouilles de la Bourse à Marseille (BONIFAY 1986, pp. 293-294) ont permis de montrer qu’il ne fallait pas arrêter la diffusion des amphores cylindrique “de grande dimension” au milieu du VIe siècle comme le suggérait S.J. Keay mais que l’arrivée de ces produits africains a du se prolonger au-delà. L’ensemble de San Peyre apporte une confirmation quant à la place de ces amphores dans le commerce du VIIe s. Les types Keay LXI et LXII, variante à lèvre quadrangulaire, que livre le site gardois, se retrouve aussi dans les horizons du 13 M. Bonifay donne aux amphores cylindriques de grande dimension de type Keay XXXV une contenance de 70 litres (BONIFAY 1986, p. 300). Nous attribuons une valeur proche aux amphores de type Keay LXI et LXII. Les amphores globulaires 129 VIIe s. du site ligure de San Antonino di Perti (BONORA et al. 1988, pp. 353-357), confirmant la pertinence de cette association pour définir un tel faciès chronologique. Des amphores byzantines ? Ces amphores encore difficiles à caractériser quant à leur origine sont toutes à panse globulaire et de contenance inférieure à celle des exemplaires africains13. L’état de conservation de cette série est très inégal puisque des exemplaires sont complets ou reconstitués par le dessin. D’autres ne sont connus que par quelques fragments. - amphore à panse globulaire, complète et reconstituée intégralement. Diam. à l’ouverture: 7,2 cm. La panse est surmontée par un col cylindrique, légèrement resserré vers la lèvre. Le rebord arrondi est rendu plus aigu par quelques ressauts. Les anses amples, de la base de la lèvre à l’épaulement, sont de section ovale. Un décor peigné sur l’épaulement se compose de deux registres horizontaux surchargés par une ondulation continue, faite avec le même peigne. Le fond convexe est délimité par une cannelure (fig. 6,1). Pâte fine, très cuite, de teinte brun à brun rouge, contenant de très rares inclusions: sable noir, très fin mica. Présence de vacuoles en surface, sous l’épiderme. Ce dernier est jaune vert, écaillé en de nombreuses parties du récipient (surcuisson, acidité du sol?). - amphore à panse globulaire, complète à l’exception de la lèvre, reconstituée. Le col est tronconique, ses parois particulièrement fine. Les anses de section ovale s’attachent sous la lèvre jusqu’à l’épaulement. Le montage extérieur de la panse est irrégulier. Le fond convexe s’individualise par une nette inflexion (fig. 6,2). Pâte bicolore, de teinte vert-jaune en surface, rose-orange au coeur. Elle est bien cuite, légèrement feuilletée. Un dégraissant sableux est abondant, de teinte sombre. - amphore de panse globulaire, complète à 2/3, reconstitué partiellement. Diam. à l’ouverture 7,2 cm. Le col cylindrique se termine goulot, avec un net étranglement au passage avec la lèvre. Cette dernière est étirée, arrondie, légèrement évasée. L’anse de section ovale prend appui sur le haut du col et sur la base de l’épaulement. La panse est cannelée sur l’essentiel de son développement. Le fond est convexe, sans transition avec la panse (fig. 6,3). Pâte bien cuite, bicolore: brun-rouge et grisbrun au coeur. Le dégraissant est abondant caractérisé surtout par de fines inclusions blanches. Un engobe (?) jaunâtre couvre la surface du de San Peyre ont une contenance inférieure à 50 litres. Un rapport de 1/2 fournit une bonne base pour apprécier la différence de contenance entre les deux types. 130 EARLY MEDIEVAL TOWN IN WEST MEDITERRANEAN Fig. 6) 1, Amphore globulaire à décor peigné; – 2, Amphore globulaire (col non conservé); – 3, Amphore globulaire à panse cannelée; – 4, Amphore globulaire à lèvre évasée (reconstitution provisoire); – 5-6, Amphores globulaires ? (1:6). Carlo Citter, Lidia Paroli, Christophe Pellecuer, Jean-Michel Péne récipient quand il n’est pas écaillé. - amphore à panse globulaire, très incomplète. Reconstitution graphique provisoire. Le col tronconique est marqué par deux étranglement à la base et au raccord avec la lèvre. Le rebord est arrondi. L’évasement donne un méplat oblique interne à la lèvre. Les anses sont de section ovale, se développant de la base de la lèvre à l’épaulement. La panse est marquée de profondes stries de tournage. L’épaisseur de la panse est importante vers la jonction avec le fond (fig. 6,4). Pâte bien cuite brun-orange à brun-rouge. Les seules inclusions sont de très fines particules sableuses, sombres. L’épiderme est de teinte brunorange à jaune, écaillé au niveau du col. - amphore à panse globulaire ? Seuls des fragments de lèvre, de col et d’anse sont conservés. Le col est probablement tronconique. La lèvre est de section triangulaire, marquée par un méplat supérieur. Les anses prennent attache immédiatement sous la lèvre. Elles sont de section ovale, presque circulaire (fig. 6,5). Pâte brun-orange à fin dégraissant, pas d’épiderme conservé. - amphore, un ou deux exemplaires seulement attestées par des fragments de bords, de profil proche. Sur une section de col vertical, la lèvre est arrondie, étirée vers l’extérieur (fig. 6,6). Pâte brun à brun rouge, feuilletée. En ce qui concerne les productions reconnues, se distinguent, majoritaires, les amphores à pâte de teinte brune, bien cuite, sans inclusion ou à fin dégraissant (4 ex). Les deux amphores restantes ne présentent que peu de caractéritiques communes à l’exception d’un dégraissant sableux14. Plus frappante est la grande ressemblance de forme qui se dégage des exemplaires les plus complets. Elle souligne au-delà des variantes de détail, comme dans le dessin des lèvres, l’existence d’un modele commun. Un tel échantillonnage malgré ses limites laisse entrevoir une réelle volonté de standardisation, avec la recherche d’une contenance uniforme, révélatrice d’une même aire d’influence économique. Les exemplaires de San Peyre se rapprochent par toutes leurs caractéristiques morphologiques de ces amphores qui proviennent de l’aire byzantine, tant occidentale qu’orientale, entre la fin du 14 Une origine italienne a été proposée à titre d’hypothèse de travail et en attentre d’une analyse de pate pour l’amphore n. 6 de la fig. 6 (M. BONIFAY, D. PIÉRi 1995). 15 “...anfore di altezza inferiore a 50 cm, corpo globulare o subcilindrico, più o meno allungato, fondo ombelicato o arrotondato, collo troncoconico, anse ampie impostate sotto l’orlo e sulla spalla, a sezione tendenzialmente ovale, con una o più nervature, poco accentuate.” (PAROLI 1993, p. 235). 16 Etude Michel Feugère (CNRS-UPR 290, Lattes) et Sophie Makariou (Musée du Louvre, Antiquités Orientales, section Islam). Le texte est dû à Michel Feugère que nous remercions ici vivement pour sa collaboration. 131 VIIe s. et les premières décennies du IXe s. 15 . L’amphore de la fig. 6,1 trouve des parallèles avec les productions à décor peigné sur l’épaulement, reconnues à Constantinople (Saraçhane, Istanbul) attestées dans des contextes du VIIe s. (type 29) et prédominantes dans de nombreux dépots du VIIIe s. (types 36 et 37) ( H A Y E S 1992, pp. 68-73). De même, l’amphore de la fig. 6,4, avec sa lèvre déversée, est à rapprocher d’un type connu sur le même site, signalé dans un contexte fin VIIe/VIIIe s. à Porto (Italie) (PAROLI 1993, pp. 239-240). Les importations non céramiques Le coffret16 La présence d’un coffret est attestée par de nombreux éléments de placage en os, pour la plupart décorés, ansi que par une penture à charnière en bronze, dont le fermoir représente un lion couché, et par un fragment d’un autre fermoir similaire. Ces trouvailles permettent de reconstituer un contenant quadrangulaire dont le couvercle, peutêtre à deux rampants et articulé par une charnière (non retrouvée), pouvait être verrouillé sur l’un des longs côtés par deux serrures identiques, à fermoir zoomorphe. Il est possible que la courbure de la plaque de fixation du fermoir nous permette de restituer l’angle obtus formé par le couvercle avec la caisse du coffret, mais cet objet semble néanmoins déformé. La forme serait celle de nombreux reliquaires du haut Moyen Âge, objets souvent précieux et décorés d’ivoire17. Le décor des éléments en os fait fréquemment appel à des cercles oculés, gravés, parfois reliés ensemble pour former des sortes de tresses; on rencontre également sur quelques baguettes des hachures parallèles et des bandes hachurées, motifs fréquemment utilisés au premier millénaire, de l’Antiquité tardive au plein Moyen Âge. En ce qui concerne la chronologie, l’emploi de motifs isolés semble peu caractéristiques mais leur association en tresses est postérieure à l’Antiquité tardive18. Le fermoir, également décoré de cercles concentriques et de guillochis, présente peu de caractéristiques; on notera cependant avec intérêt qu’un objet presque identique (applique à charnière décorée de cercles, terminée par un disque également décoré) a été recueilli à Gruissan (Aude) dans l’épave byzantine de Grazel B (SOLIER 1981, 17 Une châsse entièrement construite en ivoire, dans une sépulture malhereusement indatable (F RANZ 1929); reliquaire du Trésor de Tournai, objet “probablement mérovingien” découvert en 1888 dans la châsse de Notre-Dame, oeuvre exécutée en 1205 (cat. expo. Childéric-Clovis. 1500e anniversaire, 482-1982, Tournai 1982, p. 168, n. E.30). 18 Des tresses constituées comme à San Peyre de cercles juxtaposés, alternativement reliés par leurs couronnes, se trouvent par exemple sur les placages en ivoire d’un coffret du VIIe s. de Werden (RFA) (BÖHNER 1970, pp. 98-101). 132 EARLY MEDIEVAL TOWN IN WEST MEDITERRANEAN p. 31, fig. 12). L’élément le plus typique est le fermoir massif qui prend la forme d’un lion couché tourné à droite. Le tenon placé sous les pattes antérieures est percé d’un orifice circulaire correspondant à l’emplacement du pêne. En dehors de Gruissan, il semble pour le moment difficile de trouver des parallèles à cet objet, et notamment pour le fermoir zoomorphe: sous doute conviendra-t-il d’orienter les recherches vers la Méditerranée orientale, Byzance ou le monde copte. Le sceau Une découverte exceptionnelle pour le Midi de la Gaule est celle d’un sceau. Il a conservé l’empreinte d’un chaton dans une matière carbonisée dont la nature reste à déterminer. Trois courtes lignes ont été providentiellement conservées à l’exception de quelques caractères abîmés qui n’obère que très partiellement la lecture du texte. Une traduction et une première étude paléographique ont été réalisée par F. Imbert (I.R.E.M.A.M. Aix-en-Provence,France). Il s’agit d’un formulaire à caractère religieux musulman d’inspiration coranique. La graphie et ses caractères particuliers suggèrent d’y voir un texte appartenant au style coufique d’époque umayyade (661-750). L’incendie du bâtiment de San Peyre a pu intervenir au plus tôt dans le dernier quart du VIIe s. Ce terminus est étroitement dépendant de la chronologie proposée pour l’un des éléments les plus récents de ce contexte, le sceau musulman. Situer la période d’enfouissement de ce contexte plus en avant, soit dans la première moité du VIIIe s. s’accorderait mieux peut-être avec les événements qui sont liés à la présence arabe dans la région languedocienne. La validité de cette datation est étroitement dépendante de la chronologie des dernières productions d’amphores Keay LXI et LXII, maintenant bien attestées jusque dans le courant du VIIe s. L’analyse détaillée de cet ensemble apporte son lot d’informations au dossier, à peine entrouvert, des importations du premier Moyen Âge, dans le sud de la Gaule. Il reste évidemment beaucoup à faire pour tenter d’évaluer la place du commerce méditerranéen dans l’économie régionale. L’habitat de San Peyre est un site rural, confiné dans l’arrière pays languedocien, probablement dans le ressort de l’évêché d’Uzès, sous contrôle des souverains mérovingiens depuis le début du VIe s. Comme aux siècles précédents, les importations découvertes se partagent entre des produits d’origine africaine et probablement orientale, issus de la seule zone d’influence byzantine ? - quel sens donner alors à la présence du sceau musulman ?. Elles sont ainsi comme l’écho assourdi d’une réalité économique de plus grande ampleur: un certain dynamisme des échanges et des activités portuaires de la Provence franque à l’aube de VIIIe s.19 (Christophe Pellecuer, Jean-Michel Péne) 19 Un article récent de M. Bonifay et D. Pieri – Amphores du Ve au VIIe s. à Marseille: nouvelles données sur la typologie et le contenu, Journal of roman Archaeology, 8, 1995, pp. 94-117 – apporte d’utiles éclaircissements à la classification des amphores africaines les plus tardives. Nous nous rallions sans réticences aux propositions de ces deux chercheurs, qui vont dans le sens d’une nette amélioration des outils typologiques. Ainsi, les exemplaires de San Peyre que nous attribuons à la forme Keay LXII (variante E, G ou H) correspondraient au type Keay LXIA. De même, les amphore n° 5 et 6 de la figure 5 doivent être regroupées sous la forme Keay VIIIA plutôt que sous le type proposé dans notre étude. Carlo Citter, Lidia Paroli, Christophe Pellecuer, Jean-Michel Péne 3. RETE PORTUALE E COMMERCI NELLA TOSCANA COSTIERA TARDOANTICA E ALTOMEDIEVALE * La costa toscana si presenta per lo più costituita da dune sabbiose, poco adatte alla realizzazione di grossi impianti portuali. I pochi tratti veramente utili sono infatti frequentati pressoché in ogni epoca con poche differenze. Pertanto è possibile un confronto fra la carta pisana della fine del XIII secolo (MOTZO 1947) e l’Itinerario Marittimo del II secolo (CUNTZ 1929) senza per forza supporre una continuità d’uso degli impianti e delle strutture portuali. L’apporto solido di tre fiumi, il Magra, l’Arno e l’Ombrone, ha fatto avanzare la linea di costa di molti chilometri dal I sec. a.C. ad oggi, modificando sensibilmente sia l’aspetto della stessa, sia le possibilità di approdo (FANCELLI 1987; PASQUINUCCI, MAZZANTI 1987). Le ricerche archeologiche degli ultimi venti anni 133 hanno permesso di risolvere tutti i punti che le fonti documentarie avevano lasciato ancora in sospeso, almeno per i porti maggiori. Più delicato è il problema degli approdi minori o secondari, complicato, per il periodo in esame, dal particolare tipo di imbarcazioni che, come già attesta Rutilio Namaziano, potevano all’occorrenza approdare anche sulla spiaggia. Il commercio interno o interregionale realizzato con il piccolo cabotaggio sotto costa non necessita infatti delle infrastrutture indispensabili per le grandi navi onerarie tardo-repubblicane. La figura 7a illustra la situazione di età imperiale romana con l’indicazione degli scali minori e di quelli di cui è pssibile accertare con sicurezza un uso prolungato fino al V, e in alcuni casi fino al VI secolo. È evidente la capillarità della rete che consentiva, tra l’altro, di approdare in una stessa zona con gli opposti venti, grazie alla presenza di due impianti disposti a nord e a sud oppure ad est e ad ovest. Alcuni di questi scali servivano una città direttamente, Fig. 7) La rete degli approdi lungo la costa Toscana in età romana (a) e altomedievale (b). a: Gli approdi di età romana (II a.C. - V d.C.). 1, Luni; 2, Isola di Migliarino; 3, San Piero a Grado; 4, Portus Pisanus (S. Stefano ai Lupi Livorno); 5, Rosignano; 6, Vada; 7, Baratti; 8, Portovecchio di Piombino; 9, Portoferraio; 10, Marina di Campo; 11, Portiglione; 12, Torre Civette; 13, Castiglione della Pescaia; 14, Lo Spolverino; 15, S. Francesca; 16, Bengodi; 17, Torre Saline; 18, La Tagliata; 19, Port’Ercole; 20, Giglio Porto; 21, S. Liberata; 22, Porto S. Stefano; 23, Feniglia. b: Gli approdi di età bizantina e altomedievale. 1, Luni; 2, Portus Pisanus (S. Stefano ai Lupi Livorno); 3, Vada; 4, Baratti; 5, Portovecchio di Piombino; 6, Portoferraio; 7, Castiglione della Pescaia; 8, Bengodi; 9, Torre Saline; 10, Feniglia; 11, Port’Ercole; 12, Giglio Porto. * Questo testo costituisce la sintesi di due capitoli della tesi di dottorato in archeologia, di prossima pubblicazione, che l’autore ha svolto presso l’università Pisa, e alla quale si rimanda per una più organica trattazione del tema e per la bibliografia (CITTER 1995). 134 EARLY MEDIEVAL TOWN IN WEST MEDITERRANEAN Fig. 8) Carta di diffusione lungo la costa toscana di ceramiche africane tardo-antiche. a: terra sigillata; b: anfore. come Portus Pisanus e Luni, mentre altri erano più orientati verso il territorio, come i porti di Talamone e del rossellano. La figura successiva (fig. 7b) illustra gli scali sicuramente in funzione nell’altomedioevo20. La selezione degli impianti è evidente, ma essa era cominciata già dal periodo bizantino in relazione con le esigenze difensive, prima fra tutte mantenere il contatto fra Roma e la Liguria costiera (fig. 7b, punti contrassegnati con la lettera b). Emerge chiaramente il ruolo di Pisa, unico grande scalo della costa Toscana, associato anche a scali minori, attraverso cui avvenivano gli scambi tra il mare e l’entroterra valdarnese e lucchese. Anche Luni ebbe un uso prolungato in quanto base militare bizantina, ma non sembra aver avuto un rapporto con il territorio circostante, poiché le merci non escono dalla città. Un ruolo secondario rispetto a Pisa, ma ugualmente di un certo rilievo, ebbe il porto di Vada. La parte meridionale della costa risulta invece priva di grandi impianti nel tardo impero e vi prevalgono i piccoli e medi approdi. Pur con i limiti della ricerca attuale in Toscana 21, disponiamo di alcuni utili elementi di giudizio per capire i traffici che interessarono le aree costiere durante l’altomedioevo. Punto di partenza è certamente il quadro degli ultimi secoli dell’antichità allorquando il dominio bizantino favorì l’afflusso di merci mediterranee in alcuni dei presidi, mentre altri castra hanno una cultura materiale decisamente orientata all’ambito regionale (si veda l’esempio di Filattiera in Lunigiana: CABONA et al. 1984). Per il vasellame da mensa la produzione più rappresentata è certamente quella africana (fig. 8a) attestata un po’ ovunque lungo la costa nel V secolo, mentre nel VI e agli inizi del VII si concentra sul tratto da Vada a Cosa. Nella parte settentrionale è limitata, come di consueto, a Luni. Nella zona sud è presente non solo nei siti maggiori come le città o i castra, bensì anche nei siti rurali22. 20 Rimane il problema degli approdi sulla spiaggia, senza bisogno di strutture. Ho affrontato per esteso questo problema nel capitolo 3.4 della mia tesi di dottorato (Citter 1995). Ricordo qui alcuni contributi di particolare rilievo: Lugand 1926; Motzo 1947; Rougé 1978; Schmiedt 1978; de La Roncière, Mollat du Jourdin 1984; Paoletti 1984; Shepherd 1985; Mc Cann et al. 1987; Pasquinucci, Mazzanti 1987; Pasquinucci, Rossetti 1988; Celuzza, Rendini 1991; alcune informazioni anche in Torelli 1992. 21 La mole del materiale inedito è purtroppo enorme. Riporto di seguito i contributi più significativi. Per il lunense: Frova 1973; 1977; 1985; Delano Smith et al. 1986; Gandolfi 1985-87; Pesavento Mattioli 1987; Ratti Squellati 1987; Lusuardi Siena, Murialdo 1991. Per la lucchesia: Ciampoltrini, Notini 1990; 1991; Ciampoltrini et al. 1994. Per il pisano: Ciampoltrini et al. 1982-3; Massa 1980; Menchelli 1984; 1990; Pasquinucci et al. 1986; Del Rio 1987; Mazzanti et al. 1986; Menchelli, Vaggioli 1987; Pasquinucci 1988; Pasquinucci, Storti 1989; Berti, Menchelli 1993. Per la parte meridionale della costa: Paoletti 1984; Cucini 1985; Shepherd 1985; 1986; Ciampoltrini, Rendini 1988; 1989; 1990; Cambi, Fentress 1989; Citter 1989; Celuzza 1991; Fentress et al. 1991; Cambi et al. 1994; per i rinvenimenti subacquei: Gianfrotta 1982; Martelli 1982; Massa 1985; Incitti 1986. 22 Sono attestati tutti i tipi più diffusi della tipologia Hayes 1972 fino alle ultime produzioni (forme 91, 99 e 104). Carlo Citter, Lidia Paroli, Christophe Pellecuer, Jean-Michel Péne La fig. 8b illustra la diffusione delle anfore africane23. È interessante notare l’assenza dei prodotti mediterranei nella zona pisana per il VI e VII secolo24. Modesto e concentrato solo in alcuni punti sembra per ora l’apporto dei contenitori e delle sigillate orientali. La presenza di alcuni contenitori tipo Keay LII di produzione calabrese nelle zone di Cosa e Vada pone il problema di un approvvigionamento dalle regioni meridionali per compensare la riduzione di afflusso dall’Africa25. A cavallo tra età antica e altomedioevo registriamo l’importazione di vasi in pietra ollare dall’area alpina. A quanto risulta dal materiale edito, la diffusione della pietra ollare sembra limitata all’area lunense, lucchese e pisana a nord e al territorio di Rosselle e Cosa a sud. È probabile che la prosecuzione delle ricerche potrà colmare la lacuna nei territori volterrano e populoniese. Nel grafico della figura 9 sono riassunti i dati relativi ai relitti e ai contesti omogenei riferibili comunque ad imbarcazioni presenti nei fondali della costa toscana. Con la fine dei traffici mediterranei nel VII secolo vengono meno, come è noto, gran parte degli indicatori cronologici che offrono un punto d’appoggio essenziale per la storia dei siti antichi. Una totale cesura dei traffici, nel senso di chiusura di ogni rapporto, è improbabile: per la Toscana, in assenza di materiali di sicura cronologia tra VII e VIII secolo, i dati attualmente disponibili orientano verso l’esistenza di scambi Fig. 9) Grafico dei relitti di età romana (IV a.C. - VI d.C.) lungo le costa toscana. 23 Sono presenti tipi riconducibili ai contenitori cilindrici della tarda età imperiale e ai grandi contenitori cilindrici, mentre più modeste sembrano al momento le restituzioni di spathia. 24 Il vuoto non è imputabile a carenze di ricerche e potrebbe avere motivazioni più profonde nella situazione in cui venne a trovarsi la città fra la guerra gotica e quella bizantino-longo- 135 commerciali a scala sub-regionale di prodotti agricoli e sale, per i quali abbiamo abbondante documentazione scritta. In particolare la produzione del sale coinvolse ampie fasce costiere e fu sempre controllata o quantomeno ambìta dalle aristocrazie lucchesi e pisane. È all’aristocrazia lucchese che dobbiamo infatti un primo passo nella riorganizzazione dei traffici, almeno a livello regionale (fig. 10a). Nell’VIII secolo dai centri produttori di proprietà lucchese sparsi ovunque nella Maremma grossetana, grano, pesce e sale dovevano arrivare agli approdi costieri e da lì, con il metodo della navigazione sottocosta di piccolo cabotaggio, forse al porto di Pisa che poi provvedeva ad inoltrarli a Lucca (C.D.L., II, 223, a.a. 768). È con la piena età carolingia che gli effetti della fine della frontiera fra Tuscia e zone bizantine laziali cominciano a farsi sentire. È il caso di alcuni pezzi di ceramica dipinta in rosso o bande del tipo campano-laziale che, seppure in modeste quantità, arriva a Pisa sicuramente tra la fine del X e gli inizi dell’XI, forse anche prima (ABELA 1993). Tuttavia ciò che maggiormente conferma il cambiamento è la ceramica invetriata altomedievale nei tipi a vetrina spessa, uniforme e a vetrina sparsa. Come è noto, la fase più antica della produzione, quella di VIII-IX secolo, è attestata in Toscana solo in misura ridottissima, mentre per il X e l’XI secolo abbiamo un discreto numero di centri di produzione a carattere locale (cfr. supra). Tuttavia è innegabile che, non essendo mutate di molto le condizioni della navigazione, le rotte tirreniche dovevano essere le stesse dell’età romana. Pertanto se, come è noto, la prima fase di produzione arriva in Provenza, in Liguria e in Corsica, essa deve aver transitato prima per la Toscana ( PA R O L I 1992). La recente individuazione a Pisa di pezzi il cui impasto si avvicina molto a quelli romani, si aggiunge ai dati già noti per Lucca e mi sembra la conferma di un rapporto più diretto tra il porto toscano e i centri produttori laziali (BERTI, MENCHELLI 1993). Solo in un secondo momento si sviluppa una produzione locale in tutti i maggiori centri regionali, ma probabilmente anche in abitati minori. Prima della fine del X secolo tuttavia la costa toscana non sembra interessata ad una nuova ondata di traffici su vasta scala e ad ampio raggio. Pisa rimane ancora il centro leader e promotore, e da Pisa i prodotti ripartono per i centri minori prima, e dell’interno poi. Un aspetto particolare del commercio tardoantico e altomedievale riguarda i metalli. Le recenti ricerche archeologiche ed un’attenta riconsiderazione barda. Sono presenti a Pisa alcuni frammenti di anfore africane della tarda età imperiale. 25 Per un riesame del tipo cfr. Gasparetti, Di Giovanni 1991. La mole del materiale inedito suggerisce di evitare ogni tipo di conclusione: la diffusione potrebbe essere più capillare di quanto appaia ora. 136 EARLY MEDIEVAL TOWN IN WEST MEDITERRANEAN Fig. 10) Scambi sub-regionali in Toscana nel tardo antico e nell’altomedioevo. a: Sistema di approvvigionamento lucchese del sale e del grano dalla Maremma. b: Il ciclo del ferro e dell’allume per le fabricae imperiali tardoantiche. delle fonti consentono di superare il vecchio preconcetto che con l’età augustea cessino le attività estrattive e metallurghiche su vasta scala in Toscana. Nel capitolo relativo agli uffici di pertinenza del Magister Officiorum la Notitia Dignitatum cita le fabricae, cioè le officine per la produzione delle armi e del vestiario per l’esercito. Fra queste in particolare una di spade a Lucca26. In effetti non sappiamo se si trattasse di una, o più verosimilmente, di più officine, né se fossero ubicate in città o piuttosto nel territorio. L’impostazione che ha presieduto alla creazione di queste officine è evidentemente funzionale all’ approvvigionamento dell’esercito, soprattutto in un periodo di guerra continua. Ma accanto ad una pianificazione con una visione ancora globale del problema, si affianca, mi sembra, una considerazione di ordine pratico. La disposizione delle varie fabricae tende infatti a rendere autosufficienti i vari tratti limitanei, senza bisogno di costosi, lunghi e spesso rischiosi trasporti. Notiamo che Lucca è l’unico centro produttore di spade per la diocesi italiciana; quindi, tale attività non deve essere stata episodica o di poco conto e non è pensabile che Lucca potesse farvi fronte attingendo ai soli giacimenti prossimi al suo territorio. La natura stessa dell’amministrazione tardo imperiale impone che vi sia stata una struttura ben congegnata per garantire una fornitura costante. A ben vedere Lucca deve essere stata scelta per tre motivi: perché al centro di una viabilità importante che attraverso l’Appennino giunge nel cuore della Padania; perché vicina al porto di Pisa che, come abbiamo visto, è il più importante della costa tirrenica tra Civitavecchia e Genova. Infine perché a Lucca si poteva facilmente lavorare il ferro estratto dalle miniere toscane, in particolar modo da quelle elbane e apuane. L’unione dei due tipi di minerale consentiva inoltre la realizzazione di una lama migliore27. Possiamo ipotizzare un circuito che prevedeva: estrazione del minerale dall’Elba e dalle Apuane; trasporto via nave nel campigliese e forse anche nel follonichese; fornitura di legname per le attività siderurgiche da parte del territorio circostante; prima lavorazione del ferro in barre; trasporto via mare al Portus Pisanus; trasporto via terra a Lucca; lavorazione finale e invio alle truppe sia a nord che a sud della penisola (fig. 10b)28. Un secondo elemento che poteva inserirsi nel circuito tardo imperiale, pur non essendo un metallo, è l’allume (fig. 10b). La Toscana è una regione ricca di giacimenti di questa sostanza, 26 Lucensis Spatharia, N.D., p. occ., IX, 29. Per una più ampia 28 Per un esame delle fonti archeologiche e documentarie sul problema dell’attività estrattiva e metallurgica si veda da ultimo per la Toscana Francovich, Farinelli 1994. trattazione cfr. Citter 1995, cap. 4.1.3. 27 Devo questa informazione a R. Farinelli che ringrazio. Carlo Citter, Lidia Paroli, Christophe Pellecuer, Jean-Michel Péne indispensabile per la tintura dei panni e per la concia delle pelli. Poiché sono attestate, sempre dalla Notitia Dignitatum, numerose officine per la produzione degli indumenti destinati all’esercito e all’apparato burocratico, e precisamente tessitorie e tintorie (N.D., p. occ., IX, 61-68), possiamo ipotizzare che almeno una parte dell’allume necessario provenisse dai giacimenti toscani (cfr. Inventario, f. 119, nn. 48, 50, 52-69). Se, come sembra assodato, le fabricae imperiali erano attive a partire dal III secolo, anche Lucca deve aver cominciato a produrre in quel periodo. Più incerta è la data di fine, se mai c’è stata. Forse già in età gota le difficoltà di rifornimento via nave possono aver costituito un problema (CLAUDE 1985; DE SALVO 1986). È certo che la conquista longobarda di Lucca e Populonia e la ritirata bizantina all’Elba determinarono la fine di tutti i presupposti su cui si basava l’intero ciclo produttivo. Questo non siginfica interruzione dello sfruttamento su base locale. È ovvio che questo non può essere paragonato con i circuiti produttivi imperiali, ma credo che sia opportuno porre comunque un problema di una continuità in età longobarda e soprattutto nel IX e nel X secolo quando prima Lucca e poi Pisa erano centri europei di primo piano: la loro ricchezza 137 potrebbe derivare in parte anche dallo sfruttamento dei giacimenti minerari e dell’allume per l’industria tessile (cfr. FRANCOVICH, FARINELLI 1994). Il distretto minerario populoniese circonda il territorio che i Longobardi lucchesi inclusero nella iudiciaria lucense, e dubbia è la contiguità territoriale con i territori pisano e volterrano. Questo fatto, davvero singolare, non ha trovato fino ad ora spiegazioni plausibili. Nei duemila documenti lucchesi databili fra VIII e X secolo non vi è alcuna menzione diretta di attività estrattiva e metallurgica nella zona populoniese; rimane quindi aperto il ruolo che le aristocrazie della tarda età longobarda e soprattutto dell’età carolingia potrebbero aver giocato nel rivitalizzare questi circuiti produttivi. Una conferma indiretta della continuità della pratica estrattiva in Toscana almeno per il IX e X secolo viene dall’attestazione dei censi pagati in oggetti in ferro da parte di alcune curtes situate proprio nelle aree minerarie (FRANCOVICH, F ARINELLI 1994, con ampie citazioni). La ricerca dovrà fornire elementi di giudizio più consistenti su quest’ultimo aspetto. In questo senso, tuttavia, mi sembra vadano già le scorie ferrose rinvenute sul sito altomedievale del podere Aione presso Follonica in provincia di Grosseto (CUCINI 1989). (Carlo Citter) Carlo Citter, Lidia Paroli, Christophe Pellecuer, Jean-Michel Péne 139 BIBLIOGRAFIA E. ABELA 1993, Ceramica a vetrina pesante (Forum Ware) (VP). Ceramica a vetrina pesante a macchia (Sparse Glazed) (VPS), in S. BRUNI (a cura di), Pisa. Piazza Dante: uno spaccato della storia pisana. La campa gna di scavo 1991, Pontedera, pp. 419-424. L. ALFANO, P. PEDUTO 1992, Ceramiche a vetrina pesante di Salerno e provincia, in LA CERAMICA INVETRIATA, pp. 504-510. ARCHEOLOGIA IN LIGURIA = Archeologia in Liguria. Scavi e scoperte. I, 1967-1975, Genova 1976; II, 1976-1981, Genova 1984; III, 1982-1986, Genova 1990. P. ARTHUR 1990, Anfore dell’alto Adriatico e il problema del Samos Cistern Type, “Aquileia Nostra”, LXI, pp. 281-295. P. ARTHUR 1991, Naples: a case of urban survival in the early middle ages?, “Mélanges de l’Ecole Française de Rome, Moyen Age”, 103, 2, pp. 759-784. K. BOEHNER, D. ELLMERS, K. WEIDEMAN 1970, D a s fruehe Mittelalter, (Fuehrer durch das RoemischGermanische Zentralmuseum, 1), Mainz. G.P. BROGIOLO, A. CASTELLETTI 1991, Archeologia a Monte Barro. I - Il grande edificio e le torri, Lecco. D. CABONA et alii 1984, Gli scavi nel complesso medievale di Filattiera in Lunigiana. 2. La collina di Castelvec chio, “Archeologia Medievale”, XI, pp. 243-248. F. CAMBI, E. FENTRESS 1989, Villas to Castles: First Millen nium AD. Demography in the Albegna Valley, in K. RANDSBORG (a cura di), The Birth of Europe. Archaeology and Social Development in the First Millennium A.D., “Analecta Romana Instituti Danici”, Suppl. XVI, pp. 74-86. F. CAMBI et alii 1994, Etruria, Tuscia, Toscana: la trasforma zione dei paesaggi altomedievali, in LA STORIA DELL’ALTOMEDIOEVO, pp. 183-215. P. ARTHUR 1993, Early medieval amphorae, the duchy of Naples and the food supply of Rome, “Papers of the British School at Rome”, LXI, pp. 231-244. A.M. McCANN et alii 1987, The Roman Port and Fishery of Cosa, Princeton. P. ARTHUR, B. CAPECE 1992, Ceramica a vetrina pesante e “Forum Ware” a Napoli, in LA CERAMICA INVETRIATA, pp. 497-503. A. CASINI 1992, Ricerche di archeologia mineraria e archeome tallurgia nel territorio populoniese: i monti del Cam pigliese, (Tesi di laurea in Lettere, Siena, 1991/92). P. ARTHUR, H. PATTERSON 1994, Ceramics and early Medie val central and Southern Italy: a “potted History”, in La storia dell’altomedioevo, pp. 409-441. E. CASTIGLIONI et alii 1992, Il “castrum” tardo-antico di S. Antonino di Perti, Finale Ligure (Savona): terze notizie preliminari sulle campagne di scavo 19821991, “Archeologia Medievale”, XIX, pp. 279-368. P. ARTHUR et alii 1992, Fornaci altomedievali ad Otranto. Nota preliminare, “Archeologia Medievale”, XIX, pp. 91-122. X. BARRAL I ALTET, P.-A. FEVRIER 1989, Topographie chré tienne des cités de la Gaule, des origines au milieu du VIIIe siècle, VII - Province ecclésiatique de Nar bonne (Narbonensis Prima), Paris. G. BERTI, S. MENCHELLI 1993, Considerazioni di sintesi, in S. BRUNI (a cura di), Pisa. Piazza Dante: uno spac cato della storia pisana. La campagna 1991, Pontedera, pp. 771-785. M. BONIFAY 1986, Observations sur les amphores tardives à Mar seille d’après le fouilles de la Bourse (1980-1984), “Revue Archéologique de Narbonnaise”, 19, pp. 269-305. M. BONIFAY ET D. PIERI 1995, Amphores du Ve au VIIe s. à Marseille: nouvelles données sur la typologie et le contenu , “Journal of roman Archaeology”, 8, pp. 94-117. E. BONORA et alii 1988, Il “castrum” tardoantico di S. Anto nino di Perti, Finale Ligure (Savona): Fasi strati grafiche e reperti dell’area D. Seconde notizie preli minari sulle campagne di scavo 1982-1987, “Archeologia Medievale”, XV, pp. 335-396. CATHMA 1991 = Association C.A.T.H.M.A. - Importations de céra miques commune méditerranéenne dans le Midi de la Gaule (Ve-VIIe s.), in A ceramica medieval no Mediter raneo ocidental, Lisboa 1987, Mertola, pp. 27-47. CATHMA 1992 = Association C.A.T.H.M.A - Céramiques glaçurées de l’Antiquité tardive et du haut Moyen Age en France méridionale , in LA CERAMICA INVETRIATA, pp. 65-74. CATHMA 1993 = Association C.A.T.H.M.A. - Céramiques langue dociennes du haut Moyen Age (VIIe-XIe s.): études micro-régionales et essai de synthése, “Archéologie du Midi médiéval”, XI, pp. 111-228. C.D.L. 1929 = Codice Diplomatico Longobardo, ed. L. Schiaparelli, Fonti per la Storia d’Italia, 62, Roma. M.G. CELUZZA 1991, Porti e approdi: dal Fiora al Bruna, in M.G. CELUZZA E P. RENDINI (a cura di), Relitti di storia: archeologia subacquea in Maremma, (catalo go della mostra), Grosseto, Firenze, Rosignano Marittimo 1991-1992, Siena, pp. 60-69. N. CHRISTIE 1989,The limes bizantino reviewed: the defence of Ligu ria, AD 568-643, “Rivista di Studi Liguri”, LV, pp. 5-38. 140 EARLY MEDIEVAL TOWN IN WEST MEDITERRANEAN G. CIAMPOLTRINI et alii 1982-1983,La raccolta archeologica e numismatica Enrico Chiellini. Il Museo civico archeologico di Livorno ed i materiali del Portus Pisa nus, “Rassegna di Archeologia”, 2/3, pp. 183-241. G. CIAMPOLTRINI, P. NOTINI 1990, Lucca tardoantica e altomedievale: nuovi contributi archeologici, “Archeologia Medievale”, XVII, pp. 561-592. G. CIAMPOLTRINI, P. NOTINI 1991, Materiali tardoantichi e altomedievali dalla valle del Serchio, “Archeologia Medievale”, XVIII, pp. 699-716. G. CIAMPOLTRINI, P. RENDINI 1988, L’agro cosano tra tarda antichità e alto medioevo: segnalazioni e con tributi, “Archeologia Medievale”, XV, pp. 519-534. G. CIAMPOLTRINI, P. RENDINI 1989, Un insediamento tar doantico nella valle dell’Osa (Orbetello, GR). Inda gini di superficie, “Archeologia Medievale”, XVI, pp. 513-522. G. CIAMPOLTRINI, P. RENDINI 1990, Un insediamento tar doantico nella villa marittima di Torre Tagliata (Orbetello, GR). Scavi 1988-89, “Archeologia Medievale”, XVII, pp. 625-632. A. DEL RIO 1987, Vada e il territorio limitrofo in età romana (I secolo a.C.-VI d.C.), in M. PASQUINUCCI (a cura di), Terme romane e vita quotidiana, (catalogo della mostra), Rosignano Marittimo, 1987, Modena, pp. 118-120. C. DELANO SMITH et alii 1986, Luni and the Ager Lunensis. The Rise and Fall of a Roman Town and its Terri tory, “Papers of the British School at Rome”, LIV, pp. 81-146. P. DELOGU 1988, Oro e argento a Roma tra il VII e il IX seco lo, in Cultura e società nell’Italia medievale, “Studi per Paolo Brezzi”, I, Roma, pp. 273-293. P. DELOGU 1988, The rebirth of Rome in the 8th and 9th cen turies, in R. HODGES E B. HOBLEY (a cura di), The rebirth of the towns in the West, AD 700-1050, London, pp. 32-42. P. DELOGU 1993, La storia economica di Roma nell’alto medioevo. Introduzione al seminario, in LA STORIA ECONOMICA, pp. 11-29. R. FANCELLI et alii 1986, Il contesto geomorfologico, in MAZZANTI et al., pp. 25-39. A.O. CITARELLA 1993, Merchants, markets and merchandise in southern Italy in high middle ages, inMERCATI, pp. 239-282. F. FARINELLI, R. FRANCOVICH 1994, Potere e attività mine rarie nella Toscana altomedievale, in LA STORIA DELL’ALTOMEDIOEVO, pp. 443-465. C. CITTER 1989, La topografia archeologica del territorio di Roselle-Grosseto, (Tesi di laurea in Lettere, Siena, 1988/89). E. FENTRESS et alii 1992, Late Roman and Medieval Cosa: the Arx and the Structure near the Eastern Height, “Papers of the British School at Rome”, LVIII, pp. 197-230. C. CITTER 1995, Bizantini, Germani e popolazione autoctona nel quadro dell’Etruria marittima fra tardoantico e altomedioevo, (Tesi di dottorato in archeologia, Pisa, VI ciclo, 1995). D. CLAUDE 1985, Handel in westlichen Mittelmeer waehrend des Fruehmittelalters. Untersuchungen zu Handel und Verkehr der vor- und fruehgeschichtlichen Zeit in Mittel- und Nordeuropa, Teil II, Abhandlungen der Akademie der Wissenschaften in Goettingen, Phil.-Hist. Klasse, dritte Folge, 144, Goettingen. P.-A. FEVRIER, F. LEYGE (a cura di) 1986, Premiers temps chrétiens en Gaule Méridionale. Antiquité tardive et haut Moyen Age (IIIe-VIIIe siècles), (catalogue), Lyon, (Archéologie médiévale en Rhone-Alpes, n. spécial). L. FRANZ, W. GOERLICH 1929, Ein antikes Elfenbeinkaest chen aus Kaernten, Germania, XIII. A. FROVA (a cura di) 1973, Scavi di Luni, I, Roma. S. COCCIA 1993, Il “Portus Romae” fra tarda antichità ed alto medievo, in LA STORIA ECONOMICA, pp. 177-198. A. FROVA (a cura di) 1977, Scavi di Luni, II, Roma. S. COCCIA, L. PAROLI, Indagini preliminari sui depositi archeologici della città di Porto, “Archeologia Laziale”, XI, 1993, pp. 175-180. M.G. FULFORD, D.P.S. PEACOCK 1984, Excavations at Carthage: The British Mission, Sheffield, voll. 1-2. C. CUCINI 1985, Topografia del territorio delle valli del Pecora e dell’Alma, in R. FRANCOVICH (a cura di), Scarlino I. Storia e territorio, Firenze, pp. 147-335. C. CUCINI 1989, L’insediamento altomedievale del podere Aione (Follonica - GR), “Archeologia Medievale”, XVI, pp. 499-512. C. CUCINI, M. TIZZONI 1992, Le antiche scorie del golfo di Follonica (Toscana). Una proposta di tipologia. “Notizie dal chiostro del Monastero Maggiore”, Milano. O. CUNTZ 1929, Itineraria romana, Lipsiae. L. DALLAI 1993, Popolamento e risorse nel territorio di Massa Marittima, tecnologie estrattive e metallurgiche, (Tesi di laurea in Lettere, Siena, 1992/93). L. DE SALVO 1986, Rifornimenti alimentari e trasporti marit timi nelle Variae di Cassiodoro, in S. LEANZA (a cura di), Flavio Magno Aurelio Cassiodoro, (Atti della settimana di studi), Cosenza-Squillace, 1983, Soveria Mannelli - CZ, pp. 409-420. A. FROVA (a cura di) 1985, Luni. Guida archeologica, Sarzana. D. GANDOLFI 1985-1987, Ceramica e scambi commerciali a Luni: materiali della media e tarda età imperiale, in Studi lunensi e prospettive dell’occidente romano, Lerici 1985, “ Quaderni del Centro di Studi Lunensi”, 10/12, II, pp. 261-288. A. GARDINI, G. MURIALDO 1994, La Liguria, inLA STORIA DELL’ALTOMEDIOEVO, pp. 159-182. G. GASPERETTI, V. DI GIOVANNI 1991, Precisazioni sui con tenitori calabresi della tarda antichità (le anfore tipo Keay LII), in La Calabre de la fin del l’Antiquité au Moyen Age, “Melanges de l’Ecole Française de Rome. Moyen Age”, 103, 2, pp. 875-885. P.A. GIANFROTTA 1982, Archeologia sott’acqua. Rinvenimen ti sottomarini in Etruria meridionale, in “Archeologia Subacquea”, Suppl. n.4 del Bollettino d’Arte, pp. 13-36. A. GIARDINA, A. GUREVIC 1994, Il mercante dall’antichità al medioevo, Roma-Bari. O. GINOUVEZ, C. LABARUSSIAT (collab.) 1993, Des Maisons excavées à Narbonne autour de l’an mil, “Archéologie du Midi médiéval”, XI, pp. 53-68. Carlo Citter, Lidia Paroli, Christophe Pellecuer, Jean-Michel Péne 141 PH. GRIERSON 1979, Commerce in the Dark Ages: a critique of the evidence, “Dark Ages Numismatics“, London, pp. 83-140. G. MAETZKE 1992, Capaccio Vecchia (SA): vetrina pesante dalla prima fase dell’abitato medievale , in L A CERAMICA INVETRIATA, pp. 511-516. A. GUILLOU, Rome centre de transit des produits de luxe d’Orient au Moyen Age, “Zograph”, pp. 17-21. M.T. MAGGI BEI 1978, Sulla produzione del sale nell’alto medioevo in zona romana, “Archivio della Società Romana di Storia Patria”, 101, pp. 354-366. J.W. HAYES 1992, Excavations at Saraçhane in Istanbul (Turkey), II, Princeton. M. INCITTI 1986, Recenti scoperte lungo la costa dell’alto Lazio, “Archeologia Subacquea”, 3, Suppl. n. 3738 del Bollettino d’Arte, pp. 195-202. INVENTARIO 1991 = I. MASCARO, S. GUIDERI, M. BENVENUTI (a cura di), Inventario del patrimonio minera rio e mineralogico in Toscana. Aspetti naturalistici e storico archeologici, Firenze. S.J. KEAY 1984, Late roman amphorae in the western Mediter ranean. A typology and economic study: the catalan evidence, “BAR Int. Series” 196, I-II, Oxford. LA CERAMICA INVETRIATA 1992 = L. PAROLI (a cura di), La ceramica invetriata tardoantica e altomedievale in Italia, SienaPontignano 1990, Firenze. M.de LaRONCIERE, M. MOLLAT DU JOURDIN 1984, I porto lani. Carte nautiche dal XIII al XVII secolo, Fribourg. LA STORIA DELL’ALTOMEDIOEVO 1994 = R. FRANCOVICH E G. NOYÉ (a cura di), La storia dell’altome dioevo italiano (VI-X secolo) alla luce dell’archeolo gia, Siena 1992, Firenze. LA STORIA ECONOMICA 1993= L. PAROLI E P. DELOGU (a cura di), La Storia economica di Roma nell’alto medioevo alla luce dei recenti scavi archeologici , Roma 1992, Firenze. C. LAMBERT, P. PEDEMONTE DEMEGLIO 1994, Ampolle devozionali ed itinerari di pellegrinaggio tra IV e VII secolo, “Antiquité Tardive”, 2, pp. 205-231. T. LEWICKI 1978, Les voies maritimes de la Méditerranée dans le haut Moyen Age d’après les sources arabes, in La navigazione mediterranea nell’Alto Medioevo, (Settimane di studio del Centro Italiano di studi sull’Alto Medioevo), XXV, Spoleto, pp. 439-469. A. LEWIS 1978, Mediterranean maritime commerce: A.D. 3001100 shipping and trade, in La navigazione medi terranea nell’Alto Medioevo, (Settimane di studio del Centro Italiano di studi sull’Alto Medioevo), XXV, Spoleto, pp. 481-501. R.S. LOPEZ 1952, The Trade of Medieval Europe. The South, in Cambridge Economic History, II, pp. 257-354. R.S. LOPEZ 1955, East and West in early Middle Ages: econo mic relations, in STORIA DEL MEDIOEVO, III, (Relazioni del X congresso internazionale di scienze storiche), Firenze, pp. 113-163. R.S. LOPEZ 1965, L’importanza del mondo islamico nella vita economica europea, in L’Occidente e l’Islam nell’alto medioevo, (Settimane di studio del Centro Italiano di studi sull’Altomedioevo), XII, Spoleto, pp. 433-460. R.S. LOPEZ, J.W. RAYMOND 1955, Medieval Trade in the Mediterranean World, London. R. LUGAND 1926, Note sur l’itinéraire maritime de Rome à Arles, “Melanges de l’Ecole Française de Rome”, XLIII, pp. 124-139. S. LUSUARDI SIENA, G. MURIALDO 1991, Le ceramiche mediterranee in Liguria durante il periodo bizantino (VI-VII secolo), in A ceramica medieval no Mediter raneo ocidental, Lisboa 1987, Mertola, pp. 123-146. T. MANNONI 1975, La ceramica medievale a Genova e nella Liguria, “Studi Genuensi”, VII, Genova-Bordighera. T. MANNONI 1981, The archaeological evidence for commerce: a Ligurian case study, in G. BARKER E R. HODGES (a cura di), Archaeology and Italian society, “Papers in Italian Archaeology, II, BAR Intern. Series”, 102, Oxford, pp. 125-130. T. MANNONI 1994-1995, Venticinque anni di archeologia glo bale, 1-5, Genova. M. MARTELLI 1982, Archeologia subacquea in Toscana, in “Archeologia Subacquea”, Suppl. n. 4 del Bollettino d’Arte, pp. 37-86. M. MASSA 1981, Le anfore del Museo civico di Rosignano Marittimo, “Rassegna di Archeologia”, 2, pp. 223263. M. MASSA 1985, Ritrovamenti subacquei lungo le coste dei comuni di Piombino e San Vincenzo (Livorno), “Rassegna di Archeologia”, 5, pp. 191-234. R. MAZZANTI et alii (a cura di) 1986, Terre e paduli. Reperti documenti e immagini per la storia di Coltano, Pontedera. S. MENCHELLI 1984, Contributo allo studio del territorio pisano: Coltano e l’area dell’ex palude di Stagno, “Studi Classici e Orientali”, XXXIV, pp. 254-270. S. MENCHELLI 1990, Materiali per la storia della Versilia in età romana. “Studi Classici e Orientali”, XL, pp. 386-429. S. MENCHELLI, M.A. VAGGIOLI 1987, Ricerche archeologi che nell’ ager pisanus settentrionale: il sito costiero di Isola di Migliarino, “Studi Classici e Orientali”, XXXVII, pp. 495-520. F. MENICONI 1993, Popolamento e risorse nel territorio di Massa Marittima. La dinamica insediativa, (Tesi di laurea in Lettere, Siena, 1992/93). MERCATI 1993 = Mercati e mercanti nell’alto medioevo: l’area euroasiatica e l’area mediterranea, (Settimane di studio del Centro Italiano di studi sull’Altomedioe vo), XL, Spoleto. M. MONTEIL (a cura di) 1993, Les fouilles de la Z.A.C. des Hal les à Nimes (Gard), Nimes, (Musée archéologiques, Suppl. au Bulletin de l’Ecole Antique de Nimes, 1). B.R. MOTZO 1947, Il Compasso da Navigare, opera italiana della metà del XIII secolo, “Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari”, VIII, Cagliari. G.MURIALDO in c.s., Anfore del periodo bizantino nel Finale, “Rivista di Studi Liguri”. N. D. 1876 = Notitia Dignitatum, ed. O. Seek, Berolini. G. OLCESE 1993, Le ceramiche comuni di Albintimilium, Firenze. C. PANELLA 1993, Merci e scambi nel Mediterraneo tardoantico, in Storia di Roma, 3.II, Torino, pp. 613-697. M. PAOLETTI 1984, Isola di Capraia (Livorno): materiali romani e medioevali da recuperi subacque, “Rassegna di Archeologia”, 4, pp. 181-208. 142 EARLY MEDIEVAL TOWN IN WEST MEDITERRANEAN A.J. PARKER 1992, Ancient shipwrecks of the Mediterranean and Roman provinces, “BAR Intern. Series”, 580, Oxford. G. RATTI SQUELLATI 1985-1987, Produzioni locali e mate riali d’importazione nella ceramica d’uso comune a Luni, “Quaderni del Centro di Studi Lunensi”, 1012, III, pp. 465-495. L. PAROLI 1992, La ceramica invetriata tardoantica e medie vale nell’Italia centro-meridionale, in LA CERAMICA INVETRIATA, pp. 33-61. RUTILII NAMATIANI 1933, De Reditu suo, J. VESSARAU, F. PRECHAC (edd.), Paris. L. PAROLI 1993, Porto (Fiumicino). Area II.2000, in B. CIARROCCHI et al., Produzione e circolazione di cerami che tardoantiche e altomedievali ad Ostia e Porto, in LA STORIA ECONOMICA, pp. 231-243. J. ROUGÈ 1978, Ports et escales dans l’empire tardif, in La navigazione mediterranea nell’alto medioevo, (Setti mane di studio del Centro Italiano di studi sull’Alto medieovo), XXV, Spoleto, pp. 67-124. L. PAROLI c.s. (a), Attività 61, in D. MANACORDA, E. ZANINI (a cura di), Archeologia urbana a Roma: il pro getto della Crypta Balbi. 6. Dalla Porticus Minucia alla Via delle Botteghe Oscure. G. SCHMIEDT 1978, I porti italiani nell’alto medioevo, in La navigazione mediterranea nell’alto medioevo, (Setti mane di studio del Centro Italiano di studi sull’Alto Medioevo), XXV, Spoleto, pp. 129-234. L. PAROLI c.s. (b), L’artigianto a Roma nell’altomedioevo: il contributo dell’archeologia, in La popolazione di Roma dal medioevo all’età contemporanea: fonti, problemi di ricerca, risultati, (Atti delle sessioni di studio), Roma, marzo-giugno 1993. S. SFRECOLA 1992, Studio mineralogico sulle ceramiche a vetrina pesante, in LA CERAMICA INVETRIATA, pp. 579-601. M. PASQUINUCCI 1982, Contributo allo studio dell’ager cosa nus: la villa dei Muracci (Porto S. Stefano), “Studi Classici e Orientali”, XXXII, pp. 141-155. M. PASQUINUCCI 1988, Il fiume, la campagna, il mare. Reperti, documenti, immagini per la storia di Vec chiano, Pontedera. M. PASQUINUCCI et alii 1986, Cecina II. Dall’antichità al medioevo, Pisa. M. PASQUINUCCI, R. MAZZANTI 1987, La costa tirrenica da Luni a Portus Cosanus, in Déplacement des lignes de rivage en Méditerranée d’après l’archéologie, Aixen-Provence 1985, Paris, pp. 95-106. M. PASQUINUCCI, G. ROSSETTI 1988, The Harbour Infra structure at Pisa and Porto Pisano from Ancient Times until the Middle Ages. In: Cities on the Sea, Haifa 1986, “BAR Int. Series”, 404, Oxford, pp. 137-155. M. PASQUINUCCI, S. STORTI 1989, Pisa antica, Pontedera. S. PESAVENTO MATTIOLI 1987, Gli scali portuali di Luni nel contesto della rotta da Roma ad Arles, in Studi lunensi e prospettive sull’occidente romano, Lerici 1 9 8 5, “Quaderni del Centro di Studi Lunensi”, 10/12, III, pp. 617-641. E.J. SHEPHERD 1985, Testimonianze di commercio marittimo a Populonia in età romana, “ Rassegna di Archeologia”, 5, pp. 173-189. E.J. SHEPHERD 1986, La villa romana di Poggio del Molino (Populonia, Livorno), “Rassegna di Archeologia”, 6, pp. 273-375. Y. SOLIER (a cura di) 1981, Les épaves de Gruissan (Aude), “Archeonautica”, 3, pp. 8-264. M. TORELLI (a cura di) 1992, Atlante dei siti archeologici della Toscana, Roma. P. TOUBERT 1973, Les structures du Latium médiéval. Le Latium médiéval et la Sabine du IXe siècle à la fin du XIIe siècle, Rome. A. VERHULST 1993, Marchés, marchands et commerce au haut moyen age dans l’historiographie récente, in MERCATI, pp. 23-43. H. ZUG TUCCI 1993, Negociare in omnibus partibus per ter ram et aquam: il mercante veneziano, in MERCATI, pp. 51-79.