Augusta2014 - Associazione Augusta
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Augusta Sommario 2014 COMITATO DI REDAZIONE Presidente Ugo Busso Direttore responsabile Domenico Albiero Coordinatore di redazione Michele Musso Membri Michele Musso Luigi Busso Barbara Ronco Sara Ronco SANDRA BARBERI I feudi Vallaise negli affreschi seicenteschi del castello di Arnad 2 ROBERTO BERTOLIN Aspetti della dominazione dei Vallaise nel Trecento, a Issime 9 BATTISTA BECCARIA Chiesa e Comunità di Issime Saint-Jacques nella seconda metà del Settecento. Saint-Michel di Gaby si rende autonoma (1786) 12 DONATELLA MARTINET Percorsi nella storia del Vallon de Saint-Grat 25 JOLANDA STÉVENIN, GUIDO CAVALLI Da un campanile all’altro: San Giacomo, San Michele, Santa Barbara 41 FRANCESCO PRINETTI Il Vallone di San Grato (Issime): un territorio svelato 45 ELISABETTA BRUGIAPAGLIA (Università del Molise Campobasso) La torbiera di Mongiovetta (Vallone di San Grato): un archivio per ricostruire la storia del territorio degli ultimi millenni 51 Foto di copertina Gressoney-Saint-Jean, alpeggio di Tschalvrinò, sullo sfondo il Monte Rosa. Foto di Lino Guindani FRANCESCO SPINELLO Il contatto oceano-continente sul Colle Salza (Soalzecoll)56 Foto della quarta di copertina Gaby, il villaggio di Pont Trenta a fine ‘800 (vedi commento alla foto a pag. 69) La foto appartiene alla collezione di Floriana Linty MICHELE MUSSO Territorio, professione e nuclei famigliari: il caso dei Consol Stoffultsch e Stoffeltisch59 Altre foto: Sandra Barberi, Michele Musso, Francesco Spinello, Francesco Prinetti, Claudine Remacle, Sara Ronco, Elisabetta Brugiapaglia, Guido Cavalli, Luigi Busso, Ugo Busso. Tutti i diritti sono riservati per ciò che concerne gli articoli e le foto. Autorizzazione Tribunale di Aosta n° 18 del 22-05-2007 AUGUSTA: Rivista annuale di storia, lingua e cultura alpina Proprietario ed editore: Associazione Augusta Amministrazione e Redazione: loc. Capoluogo, 2 - 11020 - Issime (Ao) Stampa: Tipografia Valdostana, C.so P. Lorenzo, 5 - 11100 Aosta — 1 — UGO BUSSO Schützersch-Dschoansch Guti chüjini ouf tur d’Wasser Buone frittelle su per i Wasser 66 FRANÇOIS STÉVENIN Les mayens entre Issime e Gaby 68 VITTORIA BUSSO Lixandrisch Victoirisch buhu - Il faggio di Vittoria 69 MICHELE MUSSO Gaby, il villaggio di Pont Trenta: commento ad un’immagine di fine ‘800 del medico Jean Goyet 69 IMELDA RONCO Hantsch D’seisunhi – Le stagioni 70 IN MEMORIAM 72 A U G U S T A I feudi Vallaise negli affreschi seicenteschi del castello di Arnad* Sandra Barberi Q uando si parla di arte in Valle d’Aosta, il pensiero corre immediatamente alla splendida fioritura romanica, gotica e tardogotica che ha lasciato innumerevoli testimonianze nelle chiese e nei castelli fino alle soglie del XVI secolo. Di fronte a un’abbondanza così generosa di architetture, pitture, sculture, oreficerie e tessuti di altissima qualità, prodotti nei secoli durante i quali la Valle d’Aosta era veramente il fulcro, geografico e strategico, degli stati sabaudi, tutto ciò che è venuto dopo l’âge d’or del Quattrocento non ha mai goduto di grande fortuna critica. È stata quindi una sorpresa scoprire all’interno del Castello Vallaise di Arnad, acquistato dall’Amministrazione regionale nel 2009, un ampio ciclo di affreschi che si affaccia sugli orizzonti inesplorati della pittura monumentale barocca in Valle. Inesplorati anche perché assai scarsamente rappresentati. Se escludiamo le pitture sulle facciate di chiese e cappelle, in genere molto ridipinte e di gusto più popolare, in ambito sacro si conserva soltanto la decorazione a stucco e affresco della cappella del Carmine nella chiesa di Sant’Orso ad Aosta, databile intorno al 16701, a cui si può ancora aggregare quella della cappella di Palazzo Nicole a Bard, eseguita dal pittore biellese Giovanni Antonio Centa nel 1758 in un ritardatario gusto barocchetto2. Nell’ambito profano il catalogo annovera come unici esempi notevoli finora noti gli affreschi del castello Vallaise e quelli del castello di Nus, databili verso il 16803. Delle prestigiose committenze assegnabili a Pierre-Philibert Roncas, marchese di Caselle, sopravvive unicamente la decorazione dello scalone d’onore del palazzo aostano, mentre sono andate perdute le pitture che ornavano il salone principale del palazzo Roncas a Chambave e quelle che, assieme agli arredi, a detta del De Tillier facevano del castello di SaintPierre una «maison de delices»4. Non è questa la sede per dilungarsi sulla storia del castello Vallaise, eccellentemente tracciata da Roberto Bertolin nelle pagine di “Archivum Augustanum”5, né sull’analisi storico-critica degli affreschi, oggetto di una specifica ricerca in corso da parte di chi scrive per conto della Soprintendenza regionale per i beni Un cordiale ringraziamento a Alexis Bétemps, Alessandro Celi, Cristina De La Pierre, Chiara Devoti, Laura Guindani, Michele Musso e Claudine Remacle per i suggerimenti che mi hanno amichevolmente fornito. Le immagini utilizzate per l’articolo sono dell’autrice. 1 B. Orlandoni, Il complesso di Sant’Orso dopo Giorgio di Challant dal Cinquecento all’Ottocento, in B. Orlandoni, E. Rossetti Brezzi (a cura di), Sant’Orso di Aosta. Il complesso monumentale, I: Saggi, Aosta 2001, p. 290. 2 E. Brunod, L. Garino, Bassa Valle e valli laterali I, Aosta 1995 (Arte Sacra in Valle d’Aosta, VIII), p. 280. La data e il nome di Giovanni Antonio da Biella comparirebbero in un’iscrizione ricordata dal Brunod, ma che personalmente non ho trovato quando visitai la cappella nel 2007. L’identificazione con Centa mi pare indubbia, considerate le strette analogie iconografiche e stilistiche con le opere note di tale pittore: il santuario (1740) e la chiesa di Santa Croce a Graglia (1761); gli oratori di Sant’Anna (1744) e del Santo Sudario (1763-65) a Biella; la chiesa parrocchiale (1751), la chiesa di San Sebastiano (1756) e l’oratorio di San Defendente della Burcina (1758) a Pollone. A Bard la decorazione combina membrature architettoniche a finto stucco di gusto rocaille e motivi ispirati al repertorio degli ornemantistes francesi, cornici a treillages e ornati alla Bérain che rinnovano la tradizione della grottesca rinascimentale, secondo il gusto in voga alla corte sabauda negli anni centrali della prima metà del secolo. Per la descrizione della cappella cfr. G. Zidda, Una dimora nobiliare del borgo di Bard: il Palazzo Nicole, in Bard. Lo spirito del luogo tra storia e attualità, a cura di M. Barsimi, Aosta 2006, pp. 50-55. Un ciclo di un certo rilievo doveva anche decorare la chiesa di Saint-Bénin ad Aosta. Secondo le fonti sarebbe stato eseguito nel 1666 dal valsesiano Antonio Giacobini, ma dovette andare distrutto nel corso della ricostruzione dell’edificio nel 1680. Cfr. C. Debiaggi, Dizionario degli artisti valsesiani dal secolo XIV al XX, Varallo 1968, p. 75; R. Bordon, La chiesa di Saint-Bénin ad Aosta, in “Bollettino della Soprintendenza per i beni e le attività culturali della Regione autonoma Valle d’Aosta”, n. 9/2012, 2013, p. 146. 3 Sul castello di Nus, attualmente di proprietà privata, si possono consultare: E. E. Gerbore, Nus Tessere di storia, Quart 1998, pp. 29-37 (per un inquadramento storico generale e alcune riproduzioni a colori degli affreschi); F. Dodero, A. Liviero, Les fresques de la salle baronniale du château de Nus, in “Le Flambeau”, 196, 4/2005, pp. 71-101 (per l’identificazione delle scene narrative). 4 Gli affreschi dello scalone del palazzo Roncas ad Aosta appaiono visibilmente posteriori alla decorazione tardomanieristica del palazzo, fatto costruire da Pierre-Léonard Roncas, padre di Pierre-Philibert, ai primi del XVII secolo e terminato entro il 1607. Cfr. B. Orlandoni, Architettura in Valle d’Aosta, III, Dalla Riforma al XX secolo, Ivrea 1996, p. 63 e fig. 234 p. 160. R. Dal Tio, Soli fide Dio. L’epitaffio di Claude Guischard al Palazzo Roncas e nella Casa La Crête-Pallavicini di Aosta, in “Bollettino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti”, n. s., LXIII-LXIV, 2013-2014, p. 114. Il palazzo di Chambave fu fatto costruire come sede della giurisdizione di Cly dopo che Pierre-Philibert l’ebbe acquisita nel 1638. Secondo la testimonianza di Lino Colliard, la sala al piano terreno era «fino a poco tempo fa decorata da pitture» (L. Colliard, Fasti e decadenza di antiche dimore signorili nella Bassa Valle d’Aosta, Aosta 1970, p. 98). La citazione di De Tillier per il castello di Saint-Pierre è tratta dall’Historique de la Vallée d’Aoste, [1737], ed. a cura di A. Zanotto, Aoste 1966, p. 251. Del magnifico assetto seicentesco conferito al castello ai tempi di Pierre-Philibert – di cui il lungo periodo di abbandono seguito alla morte del marchese (1683), le progressive distruzioni e infine i lavori di recupero del tardo Ottocento hanno fatto sì che si perdesse ogni traccia – si ha testimonianza soltanto nei documenti. Il materiale è stato raccolto e trascritto per una pubblicazione in corso di preparazione per la Soprintendenza regionale, a cura della scrivente. 5 R. Bertolin, Arnad: dalla casa forte della Costa al castello Vallaise. L’evoluzione della dimora e gli inventari del suo mobilio, in “Archivum Augustanum”, Nouvelle Série, V, Saint-Christophe 2004, pp. 7-128. * — 2 — A U G U S T A e le attività culturali; basterà ricordare che la decorazione pittorica dei locali situati al piano nobile fu fatta realizzare dal barone Félix-Charles-François de Vallaise negli anni Settanta del XVII secolo, al termine di un’ampia campagna di lavori per il rinnovamento della dimora. Le pagine che seguono sono dedicate al fregio che conclude in alto le pareti della sala anticamente adibita ad anticamera dell’appartamento del barone, destinato a celebrare le fortune famigliari attraverso la raffigurazione dei territori infeudati ai Vallaise entro cartelle a finto stucco. Deliziose cartoline ante litteram, le vedute dei medaglioni restituiscono un’immagine del territorio fedele al vero, malgrado qualche incertezza prospettica, e ricca di particolari in alcuni casi ancora oggi riscontrabili, alla quale non è fuori luogo attribuire un vero e proprio valore documentario6. La giurisdizione dei Vallaise comprendeva tutta la valle del Lys e terre nel Canavese; il 29 dicembre del 1662 Félix-Charles-François Vallaise aveva acquisito anche la signoria del Borgo di Montjovet, di Saint-Eusèbe e di Saint-Germain, ottenendo così l’ambito titolo comitale7. La descrizione che segue parte dalla parete nord e procede in senso orario; per ciascun feudo si riporta il toponimo indicato su un sottile cartiglio bianco fluttuante nel cielo. Elementi fondamentali per la rappresentazione sono le chiese parrocchiali, dalle quali possiamo desumere importanti indicazioni cronologiche. Parete nord • ISSYME L’affresco è l’unica testimonianza iconografica della chiesa di San Giacomo prima della ricostruzione avvenuta tra 1683 e 1686 ad opera dei maîtres Jean Cristille di Issime e Giovanni ed Enrico Ferro di Alagna, in Valsesia8. L‘edificio tardo-medievale era di dimensioni inferiori rispetto a quello seicentesco e dotato di un’abside semicircolare, in seguito sostituita da un coro a pianta quadrata. Purtroppo il punto di vista laterale non consente di vedere la facciata, che doveva essere a capanna e interamente dipinta con il Giudizio Universale, il Paradiso, il Purgatorio e l’Inferno, iconografia ripresa nel 1698 dal pittore ginevrino PaulFrançois Biondi per la decorazione del nuovo edificio. Dal contratto stipulato con i capomastri, che prescrive nel dettaglio tutti i lavori da eseguire, parrebbe che il campanile fosse in origine inglobato – almeno parzialmente – nella fabbrica, poi spostata verso sud in modo che ne risultasse staccato. L’aspetto della torre campanaria nel dipinto è quello assunto dopo la sopraelevazione ordinata nel 1568 al maître Pierre Goyet, con l’aggiunta di quattro nuove finestre e dell’alta cuspide piramidale in pietra accantonata da quattro pinnacoli angolari, «della stessa altezza di quella di Fontainemore» precisa l’incarico, rivelando uno spirito di competizione tra le due comunità che nel 1683 avrebbe prescritto per la nuova chiesa un portale « à la forme de celuy de Fontanemore », realizzato pochi anni prima9. La copertura di tipologia tardogotica fu sostituita nel 1764 da un’ulteriore sopraelevazione coronata dalla cupola in rame, visibile nell’ex-voto offerto alla Madonna di Oropa dagli abitanti di Issime, scampati miracolosamente nel 1755 all’inondazione del Lys10. Lo spazio di fronte alla chiesa era occupato dal cimitero, delimitato da un muretto sul quale si ergeva una croce di legno; l’area delle sepolture venne estesa nel XVIII secolo anche verso sud, mentre davanti alla parrocchiale nel 1755 il pittore Antonio Facio da Valprato, in Val Soana, avrebbe realizzato le quindici nicchie con i Misteri del Rosario, come documentato anche dal già citato ex-voto11. Sullo sfondo è riconoscibile la cascata di Stolunbach che scende dal vallone di Bourines e confluisce nel Lys. • FONTAINEMORE La parrocchia di Sant’Antonio Abate fu eretta nel 1483 su richiesta dei fedeli, che fino ad allora per recarsi in chiesa e partecipare alla vita religiosa della comunità dovevano raggiungere, con gravi disagi, Perloz. Come si legge in un’epigrafe murata all’esterno della parete absidale, la costruzione della chiesa in luogo della cappella preesistente risale al 1498 (o 1494, come al- Le vedute sono state interamente pubblicate da A. Peyrot, La Valle d’Aosta nei secoli. Vedute e piante dal IV al XIX secolo, Torino 1972, n. 26, pp. 35-41. 7 Sull’acquisizione del feudo si rimanda a Bertolin 2004, pp. 24-25. 8 Sulle vicende della chiesa in generale cfr. Brunod, Garino 1995, pp. 141-145. Per la ricostruzione seicentesca si vedano O. Zanolli, Le troisième centenaire de la reconstruction de l’église d’Issime, in Eischeme - Issime. La sua chiesa la sua gente, Aosta 1992, pp. 7-19; Orlandoni 1996, pp. 102-105. 9 M. Bodo, C. Montini, Il campanile, in Eischeme, 1992, pp. 22-25. Dall’affresco non è possibile appurare se la torre del Goyet ricalcasse fedelmente il modello più diffuso in Valle con quattro bifore sott’arco e la guglia a piramide ottagonale, derivato dal prototipo del campanile della chiesa di San Francesco ad Aosta. 10 L’ex-voto è riprodotto, tra l’altro, in copertina e alla p. 123 di Eischeme. Si è sempre pensato che il dipinto fosse stato realizzato subito dopo l’evento calamitoso del 1755, tanto più che secondo Jean-Jacques Christillin sarebbe stato portato con una solenne processione al santuario di Oropa l’anno successivo all’inondazione (Légendes et récits recueillis sur les bords du Lys, Aoste 1901, p. 250). Tuttavia proprio l’aspetto del campanile ne posticipa la data di esecuzione di almeno un decennio. 11 M. Bodo, Il cimitero, in Eischeme, 1992, pp. 26-28. 6 — 3 — A U G U S T A Di grande interesse è la raffigurazione del ponte a schiena d’asino, tra i primi costruiti in pietra in Bassa Valle dopo il XVI secolo14. Degno di attenzione è pure lo scorcio sulla sponda opposta del fiume: si direbbe, come suggerisce Claudine Remacle, che l’ultimo tratto della strada prima del ponte passasse sotto edifici sostenuti da alte colonne di pietra. • LILIANES La parrocchia sotto il titolo di San Rocco fu eretta nel 1614. Edificata all’inizio del XVII secolo (sull’architrave della porta si legge la data 1605), la chiesa fu ricostruita ex novo a partire dal 1723 da Pietro Ferro, figlio di quel Giovanni che col fratello Enrico aveva lavorato al rifacimento della parrocchiale di Issime15. Anche qui il campanile figura ancora nella sua forma originaria, prima della sopraelevazione settecentesca. Il ponte di legno, poggiante su pilastri in muratura, era frequentemente danneggiato dalle piene turbinose del Lys e quindi di continuo soggetto a riparazioni e rifacimenti. Quello riprodotto nell’affresco risale alla ricostruzione del 1642, dopo che l’alluvione di due anni prima l’aveva distrutto. Il figlio di Pietro Ferro, chiamato Giovanni come il nonno, avrebbe realizzato nel 1733 il ponte di pietra a schiena d’asino, considerato da Bruno Orlandoni, assieme a quello di Moretta a Perloz, uno «tra i più bei monumenti dell’ingegneria barocca in Valle»16. cuni leggono), ad opera del magister Antonio Goyet di Issime12. Nel dipinto è visibile l’abside semicircolare dell’edificio tardogotico, rimasta intatta fino ai nostri giorni anche dopo l’ampliamento nel 1679 attestato dall’iscrizione sopra il portale; non si distingue bene il corpo della fabbrica, ma quel che è certo è che differisce dall’iconografia posteriore all’intervento seicentesco13. Anche la snella torre campanaria tardoquattrocentesca sembra non essere stata ancora sopraelevata, mentre la grande casa che le sta accanto è tuttora esistente. Parete est • PERLOZ La parrocchia del SS. Salvatore, di antichissima memoria, ha dato origine a tutte le altre parrocchie della Vallesa. La chiesa fu riedificata dal 1616 al 1622 da un capomastro locale, Arduçon Vignal di Marine; sulle chiavi di volta compare la data 1617 in associazione agli stemmi Savoia e Vallaise17 La cappella esterna visibile alla base del campanile è quella che per secoli ospitò le sepolture dei Vallaise del ramo dell’Hôtel18. Contrariamente alla precisione descrittiva che connota i paesaggi della sala, la rappresentazione della chiesa non è fedele alla realtà: sulla facciata figura correttamente l’apertura a oculo, tuttavia mancano i due portali laterali in pietra che affiancano quello centrale. Viene da pensare che per qualche motivo la facciata non fosse pienamente visibile, ad esempio avrebbe potuto essere ingombra dai ponteggi per realizzare lo sporto del tetto in vista della decorazione pittorica, affidata nel 1676 O. Zanolli, Le cinquième centenaire de la fondation de la paroisse de Fontainemore (1483-1983), in “Le Flambeau”, 106, 2/1983, pp. 15-21; Brunod, Garino 1995, pp. 102-106; B. Orlandoni, Architettura in Valle d’Aosta, II, Il Quattrocento, Ivrea 1996, pp. 149-154; Orlandoni 1996, III, pp. 105-107. 13 Si vedano l’acquerello pubblicato in Zanolli 1983, p. 19, e l’incisione di E. Aubert, La Vallée d’Aoste, Paris 1860, p. 139, entrambi di metà Ottocento. 14 O Zanolli, Le pont d’Echallod. Les ponts sur le territoire de la jurisdiction des seigneurs de Vallaise, des anciens mandements de Vallaise et d’Arnad, in “Le Flambeau”, 160, 4/1993, p. 41. 15 O. Zanolli, La communauté de Perloz et Lillianes. Un siècle de vie administrative (1614-1713), in “Archivum Augustanum”, VI, (1973), pp. 77-199; Brunod, Garino 1995, pp. 81-84; Orlandoni 1996, III, pp. 114-116. 16 Orlandoni 1996, III, pp. 119-122. Sul precedente ponte di legno si veda O. Zanolli, Lillianes. Histoire d’une communauté de montagne de la Basse Vallée d’Aoste, II, Aoste 1986, pp. 163-163. 17 Zanolli 1973; Brunod, Garino 1995, pp. 35-40. 18 R. Bertolin, Altari e tombe dei signori di Vallaise a Perloz e Arnad, in B. Orlandoni (a cura di), Costruttori di castelli. Cantieri tardomedievali in Valle d’Aosta, III, Addenda e Apparati, Aosta 2010 (Bibliothèque de l’Archivum Augustanum, XXXV), p. 109. 12 — 4 — A U G U S T A al pittore ossolano Bernardino Fererio, su modello di quella cinquecentesca della chiesa parrocchiale di Issime. Al centro del borgo si distingue il castello Vallaise, massiccia costruzione tardogotica che si sviluppa su quattro piani fuori terra, con una serie di finestre in pietra lavorata sulla facciata verso valle19. Nella parte alta del villaggio si erge il complesso di tre fabbricati che costituisce il castello già di proprietà dei Vallaise e passato nel 1695 al notaio Jean Charles, giudice del mandamento della Vallesa, famoso per aver liberato il castello di Bard dall’assedio francese al tempo della guerra di successione spagnola20. All’estrema sinistra, riconoscibile per l’abside circolare decorata da lesene, è raffigurata la cappella di San Rocco, fondata nel 1630 in occasione della famosa pestilenza e anch’essa affrescata da Bernardino Fererio contemporaneamente alla facciata della chiesa parrocchiale21. Sul versante opposto della valle si scorgono le case della frazione Rechantez; il ripido declivio, oggi invaso dal bosco, era all’epoca sfruttato per la coltivazione viticola. • ARNA La chiesa parrocchiale di San Martino è raffigurata sullo sfondo, decisamente in secondo piano rispetto alla rappresentazione dettagliata dei castelli Vallaise, vero soggetto del dipinto22 Si può notare, nondimeno, che il coro della chiesa è ancora privo del tiburio e della cupola barocca, realizzati a partire dal 1692 ed eliminati nel corso dei restauri che alla metà del secolo scorso hanno voluto – con un’operazione che oggi appare assai discutibile – “liberare” l’edificio dalle aggiunte e dalle trasformazioni seicentesche23. Intorno alla chiesa, delimitato da un muro ricostruito alla fine del Cinquecento, si estende il cimitero, all’estremità del quale si erge la croce di pietra che porta la data 1629. Si riconoscono inoltre la massiccia torre quadrata altomedievale di Ville, la casa forte dell’Hôtel24, con la facciata dal profilo a capanna che in seguito sarebbe stato alterato dall’inserimento della torre, e, più in primo piano, la casa sulla attuale piazza Pied de Ville, con la torre che contiene la scala a chiocciola sulla sinistra25. Sullo sfondo si erge la mole solitaria del castello di Issogne, di straordinario spicco nel paesaggio grazie alla tinteggiatura bianca delle pareti esterne. L’affresco offre una descrizione precisa del complesso del castello inferiore dopo l’intervento promosso da Félix-CharlesFrançois e dal cugino Louis-Joconde Vallaise, che a partire dagli A. Zanotto, Castelli valdostani, Aosta 1980, p. 126; F. Baudin, Castelli e Signori, in Settima Comunità Montana, La porta della Valle d’Aosta, Quart 2001, p. 135. 20 Baudin 2001, pp. 135-137. 21 Brunod, Garino 1995, p. 63. 22 P.-E. Duc, Histoire de l’église parroissiale d’Arnad sous le vocable de S. Martin évêque de Tours, Aoste 1865; D. Nouchy, L’église d’Arnad, Novara 1959; Brunod, Garino 1995, pp. 285-287. 23 L’aspetto dell’edificio con le modifiche di fine Seicento è documentato in un disegno della viaggiatrice inglese Henrietta Anne Fortescue datato 18 novembre 1817 (A. Peyrot, con la collaborazione di P. Malvezzi e E. Noussan, Immagini della Valle d’Aosta nei secoli. Vedute e piante dal XVI al XIX secolo, Torino 1983, p. 259). La Fortescue, impegnata nel Grand Tour in compagnia del marito, attraversò la Valle d’Aosta tra il 28 settembre e il 5 dicembre 1817, percorrendo un itinerario oggi ricostruibile in base agli innumerevoli disegni da lei realizzati in ogni luogo visitato. Un’ottantina di fogli appartiene oggi alle collezioni regionali. Cfr. A. Peyrot, Viaggio pittorico in Valle d’Aosta (2 8settembre-5 dicembre 1817) di H. A. Fortescue, in A. Peyrot 1983, pp. 201-273; Henrietta Anne Fortescue. Viaggio in Valle d’Aosta, settembre-dicembre 1817, catalogo della mostra di Bard, a cura di G. Gariboldi e D. Jalla, Quart 2006. 24 Zanotto 1980, p. 58. 25 L. De Matteis, Case contadine in Valle d’Aosta, Ivrea 1984 (Quaderni di cultura alpina, 5), p. 57, figg. 83-84. 19 — 5 — A U G U S T A in un secondo tempo rispetto all’epoca dell’affresco e ancora in buone condizioni all’inizio del ‘900. Di altrettanto grande interesse è la raffigurazione del castello superiore, del quale risulta ancora in piedi il blocco orientale, oggi crollato26. Parete sud • ST. GERMAIN Il territorio di Montjovet comprendeva anticamente due parrocchie: quella al Borgo e quella di SaintGermain, che fino al 1689 incluse anche Emarèse e Champdepraz. Poco tempo dopo l’esecuzione dell’affresco la chiesa di Saint-Germain sarebbe stata sopraelevata, con la conseguente modifica della facciata e l’aggiunta del protiro di ingresso (il nuovo edificio fu consacrato nel 1704)27. La ristrutturazione risparmiò il campanile, che mantenne la consueta tipologia tardogotica qui documentata. La parte superiore del dipinto è occupata dalla rappresentazione del castello che corona il promontorio roccioso, infeudato alla fine del Duecento a Ebalo di Challant in cambio della rinuncia alla carica ereditaria di visconte di Aosta28. Nel 1438 ne tornarono in possesso i Savoia, che fecero dell’imprendibile rocca uno dei capisaldi della difesa del Ducato sabaudo assieme a Bard e a Verrès. Pochi anni prima della cessione del feudo ai Vallaise – dalla quale peraltro il castello fu escluso – la piazzaforte fu smantellata e abbandonata. Quello che oggi è un impressionante complesso di ruderi, la cui altissima torre quadrata controlla tuttora la strada maestra che si snoda ai suoi piedi, è raffigurato nell’affresco in tutta la complessa articolazione degli elementi difensivi. anni Sessanta avevano trasformato la maison forte in un vero e proprio château. Sul lato meridionale l’edificio si presenta come un blocco compatto chiuso dalle torri angolari, di cui quella a sud-ovest di recente realizzazione, e ritmato da due ordini di aperture divisi da una cornice marcapiano. La rappresentazione documenta anche la sistemazione dell’ambiente esterno, con il giardino articolato in quattro parterres a ricamo (le aiuole decorate secondo il gusto francese) attorno alla fontana centrale, oggi non più esistente. Sulla sinistra la fabbrica del castello si prolunga nella galleria coperta che conduce alla casa forte della Costetta, allora di proprietà del nipote di Félix-CharlesFrançois, Jean-Louis. Manca ancora il corpo longitudinale che si appoggia verso ovest alla casa forte, probabilmente realizzato • MONTIOVET La chiesa di Santa Maria al Borgo, situata all’estremità settentrionale del borgo, fu sede della parrocchia di Montjovet dal XIII secolo al 1837, quando le funzioni parrocchiali furono trasferite nella nuova chiesa da erigersi a monte, al di là della strada29. La chiesa al Borgo era stata forse costruita a seguito del cataclisma che, secondo la tradizione, nel XIII secolo aveva distrutto la primitiva parrocchia di S. Eusebio al Publey, citata nelle fonti più antiche. Nulla si sa dell’edificio gotico, ricostruito nel tardo Seicento e consacrato nel 1700. La chiesa a strapiombo sulla Dora raffigurata entro la cartella, a navata unica, con l’occhio in facciata e le due finestre sul lato sud, pare coincidere in larga parte con quella attuale, compresa la mole sporgente della sacrestia affiancata all’abside. È possibile dunque che fosse appena stata riedificata, benché la consacrazione ufficiale sia più tarda. La veduta documenta l’assetto dell’antico borgo, progressivamente marginalizzato a partire dalla fine del XVIII secolo, in R. Bertolin, Il castello superiore di Arnad. Note storiche, in “Archivum Augustanum”, Nouvelle Série, VII, Aoste 2007, pp. 141-185. E. Brunod, L. Garino, Bassa Valle e valli laterali II, Aosta 1995 (Arte Sacra in Valle d’Aosta, IX), pp. 292-294. Il dipinto si può utilmente confrontare con il disegno eseguito da Henrietta Ann Fortescue il 17 novembre 1817, che mostra il lato absidale della chiesa (A. Peyrot 1983, p. 257). 28 Zanotto 1980, p. 116. 29 Brunod, Garino 1995, Bassa Valle II, pp. 261-263 (sulle tribolate vicende della parrocchia), 268 (sulla chiesa di Santa Maria al Borgo). Più ampie notizie si trovano in C. Devoti (a cura di), Chiesa di Santa Maria al Borgo - Montjovet, Aosta 1999. La nuova parrocchiale, dedicata alla Natività di S. Maria, fu consacrata nel 1837. 26 27 — 6 — A U G U S T A seguito alla costruzione del nuovo Chemin Royal voluto da Carlo Emanuele III in sostituzione della strada medievale che transitava all’interno dell’abitato, e scempiato dalle infrastrutture moderne, dal ponte ferroviario a ridosso del campanile alle incombenti costruzioni dell’autostrada e della strada statale. Tra XVI e XVII secolo il borgo aveva raggiunto il suo massimo sviluppo, arricchendosi di edifici di pregio che ancora oggi conservano portali e finestre con cornici ad arco carenato e stipiti in pietra lavorata, incisioni con date e frammenti di decorazione pittorica. Spicca sulla destra un edificio presumibilmente appartenente a una famiglia notabile, una casa affiancata da una vistosa torre bianca, sul cui portale si legge ancora oggi la data 164330. Sempre dalla stessa parte, ai margini dell’abitato svetta un palo decorato alla sommità con fronde e un lungo nastro bianco, che lo fa assomigliare a un “maggio”. L’antichissima tradizione propiziatoria di piantare un albero senza radici, liberato dalle foglie e dai rami ad eccezione di un ciuffo in cima, diffusa con vari significati propiziatori in molti paesi d’Europa, era presente in Valle d’Aosta anche nel XVII secolo31. Se invece fosse lecito leggere nell’elemento apicale, non bene identificabile nell’affresco, la sagoma di un uccello con le ali spiegate, potrebbe trattarsi allora del Papegay, il bersaglio delle gare di tiro a segno, istituite in Valle d’Aosta dai Savoia fin dal 1206, che si svolgevano regolarmente per l’addestramento delle milizie32: allusione, discreta ma fiera, a una secolare tradizione militare di autodifesa incentivata dai sovrani, particolarmente significativa nel paesaggio dominato dal castello di Saint-Germain. Il ponte di legno sulla Dora, raffigurato in forme molto simili nel disegno di Henrietta Ann Fortescue datato 20 novembre 1817, ha costituito fino al 2001, quando è stato distrutto dall’alluvione, il collegamento tra il borgo e i terrazzamenti dei vigneti situati sulla sponda opposta del fiume33. Domina il borgo il castello di Saint-Germain, visto dal lato meridionale. • CAREME La parrocchia di Carema si estendeva in origine fino alla riva sinistra del Lys, comprendendo cappelle e territori oggi inclusi nel comune di Pont-Saint-Martin. Di origine medievale, la chiesa di San Martino fu ricostruita una prima volta nel 1749 e poi nel 1888-’90 su progetto dell’ingegnere canavesano Camillo Boggio, al quale si deve, tra l’altro, anche il restauro del castel- Zanotto 1980, pp. 114-115; C. Devoti (a cura di), Montjovet. Caso-studio per un modello di schedatura dei borghi alpini, Beinasco (Torino) 2005 pp. 79, 83. 31 M. Ansaldo (Storie dimenticate: testimonianze di vita sociale nell’antica Valle d’Aosta, Aosta 2002, p. 109) ricorda un documento del 24 maggio 1675 relativo all’erezione del May in via Croix-de-Ville ad Aosta; sul “maggio” e le tradizioni ad esso legate si veda anche A. Bétemps, Erbario: erbe misteriose e flora generosa nello spazio selvatico o antropizzato della montagna valdostana e dintorni, Scarmagno 2012, pp. 137-138. 32 Sulla diffusione del tiro a segno negli Stati sabaudi e nelle aree transalpine di influenza francese cfr. A. Celi, Tra due frontiere. Soldati, armi e identità locale nelle Alpi dell’Ottocento, Soveria Mannelli (CZ) 2013 (Fondation Emile Chanoux. Quaderni di storia, politica, economia, V), pp. 229-249. Pratica di origini antichissime, il Jeu du Papegay «consisteva in una gara di tiro a segno, che aveva come bersaglio un uccello posto in cima ad una pertica. L’uccello fu poi sostituito da un simulacro in cartone, legno, terracotta o altro materiale, che manteneva, però, le sembianze di un volatile, che dava così il nome alla gara.» Un documento del Recueil du Conseil des Commis citato da M. Ansaldo (Aosta antica racconta. Antologia di vita valdostana, Aosta 1990, p. 139) attesta che nel XVI secolo ad Aosta il jeu de l’oiseau si svolgeva lungo la Rive occidentale, vicino al ponte Saint-Genis, là dove sarebbe poi sorto il Jeu de l’Arquebuse. Per testimonianze iconografiche del Jeu du Papegay nel XVII secolo si veda il sito internet http://fr.wikipedia.org/wiki/Papegai. 33 Devoti (a cura di) 2005, pp. 35, 83. Per il disegno della Fortescue, ripreso da un punto di vista simile a quello dell’affresco, ma più lontano, si veda Peyrot 1983, p. 260. 30 — 7 — A U G U S T A lo di Saint-Pierre e l’ampliamento della parrocchiale di SaintVincent34. Anche in questo caso, dunque, l’affresco riproduce l’edificio più antico, dotato di un campanile coperto da una bassa cuspide a piramide sostituito verso il 1760 dalla torre attuale, alta ben 60 metri. Allora come oggi, il paesaggio è caratterizzato dal reticolo geometrico dei pergolati a sostegno delle viti, poggianti su robusti pilastri tronco-conici di pietra. Parete ovest • ST. LEGER Lo spazio ridotto per la presenza della finestra è sfruttato per la raffigurazione della chiesa dei Santi Eusebio e Leodegario (Léger), succursale della parrocchiale al Borgo di Montjovet35. Essa fu costruita in località Plan Gerle, a nord dell’attuale parrocchiale, in sostituzione della chiesa situata lungo la Dora in località Savi, distrutta da un’inondazione nel 1586. L’edificio non presenta ancora le forme attuali, assunte dopo i lavori affidati nel 1674 ai fratelli Jean-Pierre e Jean Jacquet, incaricati di ingrandire l’edificio, di costruire il portico che precede l’ingresso e di sopraelevare il campanile36. • GRESSONEI Aggregato in origine alla parrocchia di Issime, il territorio di Gressoney ottenne con un decreto di mons. Bailly del 1660 le funzioni parrocchiali autonome. La chiesa di San Giovanni Battista fu ricostruita nel 1515 dall’architetto Antonio Goyet di Issime37. Nel dipinto si vede la sommità della facciata a capan 36 37 34 35 38 39 40 41 na, che sarà rifatta nel 1733 in occasione dell’ampliamento dell’edificio con l’aggiunta delle due navate laterali; il campanile presenta le forme tardogotiche mantenute fino alla sopraelevazione del 1771. Al centro della composizione, dietro le case, si innalza la grande croce di legno del cimitero, forse la stessa che nella visita pastorale del 1596 mons. Bartolomeo Ferreri aveva ordinato di piazzare al centro dell’area sepolcrale. La fedeltà al vero emerge anche nella descrizione dell’architettura locale: mentre negli altri luoghi gli edifici sono interamente in muratura, qui quasi tutti hanno la parte inferiore in muratura e il livello superiore in legno. Si tratta delle “case a funzioni concentrate”, che riunivano sotto lo stesso tetto i locali abitativi e quelli destinati all’attività rurale, costruite in gran numero nell’alta valle del Lys dalla metà del Seicento fino all’inizio dell’Ottocento38. Il pennello indugia sui particolari dei grigliati di legno per l’essiccazione del fieno e dei cereali che circondavano i ballatoi, caratteristici di questo tipo di costruzioni. Sulla destra, a una quota più elevata e circondata dai boschi, è rappresentata la cappella di Wald Dessous, costruita nel 1663 a spese del parroco Sebastiano Menabreaz e intitolata oggi a San Giuseppe39. Secondo le note storiche raccolte da Valentin Curta, il bel ponte di pietra a due arcate all’ingresso del capoluogo sarebbe stato costruito intorno al 151040. Esso compare immutato ancora alla metà del XIX secolo in una stampa di Édouard Aubert41. Vale la pena riportare il racconto di Curta della sua fine, tristemente simile a tanti esempi di incapacità amministrativa che così di frequente si leggono sui giornali: «Era necessario pulire il letto del Lys affinché le sue acque non straripassero più [siamo probabilmente a ridosso della disastrosa inondazione del Lys del 1868]. Invece di utilizzare il denaro per pulire l’alveo sotto il ponte, gli ottusi consiglieri comunali ordinarono ad Aymard Giacomo e a suo figlio Edoardo di far saltare la struttura e di asportarne il materiale. Essi fissarono al ponte dei mortaretti e li accesero. Il robusto ponte rimase però quasi intero e dovette essere demolito a mano, pietra per pietra, e trasportato via. In seguito venne costruito un leggero ponte in legno.» Il complesso di indizi ricavabili da queste straordinarie immagini consente di circoscrivere con precisione l’epoca di realizzazione dei medaglioni tra il 1662, data dell’acquisizione del feudo di Montjovet, e 1674, data dei lavori di trasformazione della chiesa di Saint-Léger, confermando la cronologia che sta emergendo dai documenti e dall’analisi stilistica per l’intera decorazione pittorica del castello. M. Barsimi (a cura di), Carema terra di vino e di emozioni, Ivrea 2013, p. 25. Brunod, Garino 1995, Bassa Valle II, p. 281. Orlandoni 1996, III, pp. 136-139. P.-E. Duc, Histoire des églises parroissiales de Gressoney-S. Jean Baptiste et Gressoney T. Ste-Trinité, Aoste 1866; Brunod, Garino 1995, Bassa Valle I, pp. 192-195. D. Marco, L’architettura di Gressoney, in C. Remacle, D. Marco, M. Zucca Paul, Walserhous. L’architettura storica nell’alta valle del Lys, Progetto Interreg IIIB, Spazio Alpino “Walser Alps”, Quart 2006, pp. 63-67. In una fotografia d’epoca (Curta-Guindani, Gressoney. Un secolo di fotografie, Aosta 1978, fig. 52 p. 45) la cappella è ripresa dal medesimo punto di vista del dipinto. La cappella oggi è affidata in custodia agli Alpini. V. Curta, Gressoney einst und jetzt aus alten Chroniken und Überlieferungen, Walserkulturzentrum, 1994, ppp. 84-85. Aubert 1860, tav. f. t. p. 128. — 8 — A U G U S T A Aspetti della dominazione dei Vallaise nel Trecento, a Issime I Roberto Bertolin* signori di Vallaise, assolutamente assenti nel XII secolo, fecero la loro comparsa nella documentazione valdostana ed eporediese nei primi decenni del Duecento: nel 1208 furono citati come proprietari a Baio Dora nel consegnamento di beni di un aristocratico eporediese1 e nel 1216 stipularono un trattato di pace con il vescovo di Vercelli per risolvere l’annoso conflitto per l’utilizzo dei pascoli posti sul crinale orientale della valle del Lys.2 Diversi indizi documentali fanno supporre che la loro comparsa piuttosto improvvisa sia da ricollegare a una ramificazione di lignaggio avvenuta in seno al più antico gruppo parentale dei signori di Arnad: da questo, sul finire del XII secolo, si sarebbero generati sia il ramo che continuò a chiamarsi “di Arnad” sia quelli definiti inizialmente “di Vallaise”, senza ulteriori specificazioni. Nel corso del Duecento la situazione da un lato si semplificò, con l’estinzione dei signori di Arnad, dall’altro si complicò ulteriormente poiché i Vallaise, almeno dalla seconda metà del secolo, iniziarono a individuare e a dividersi singole quote di beni e uomini, rimarcando, con la separazione patrimoniale, la divisione dei lignaggi, tant’è che dalla fine del Duecento la loro genealogia si presenta definitivamente divisa nei tre rami di Hérères, Côte e Hôtel. Una divisione del 1264, ad esempio, attribuì ai signori di Hérères un terzo dell’alpe di Lo, metà di quella di Niel e 40 soldi su quella di Tourison, mentre le parti restanti furono assegnate agli altri Vallaise. È quindi certo che almeno dal primo decennio del Trecento terre, uomini e diritti erano spartiti con precisione tra i Vallaise, tanto che i diversi rami presero a comportarsi come famiglie distinte, sebbene all’esterno, nei rapporti istituzionali, essi si presentassero come un unico gruppo parentale. Ma non era tutto poiché, all’interno dei singoli rami, si verificarono ulteriori divisioni. Per quanto riguarda il ramo della Côte, già nel 1300 vi furono intese tra Arduçon di Jacques e suo nipote Godefroy circa le case di Perloz mentre l’anno successivo furono i sudditi e i feudi di Issime, Gressoney e Carema a essere ripartiti.3 Negli anni seguenti François di Florimond, figlio di Arduçon, e il vecchio cugino Godefroy proseguirono, a più riprese, la divisione della quota della Côte e poiché, nel 1328, vennero ridistribuiti i beni di Ruffin di Hérères, da quell’anno sino al 1340 circa le ragioni dei Vallaise risultano divise in 4 porzioni: quella degli Hôtel, quella della Côte-linea Florimond, quella della Côte-linea Godefroy e quella degli Hérères-linea Assodin, che divennero 5 dopo che, nel 1347, i fratelli Jean e Amédée dell’Hôtel divisero l’eredità avita.4 Ogni comunità soggetta ai Vallaise era dunque composta di nuclei di uomini sottoposti alla giurisdizione di un particolare ramo signorile, di questo o quel “dominus”, e per questo motivo il processo di affrancamento procedette a singhiozzo e si protrasse per oltre un secolo: per i sudditi stanziati nel territorio al di sopra di Guillemore, quindi per Issime e Gressoney, Godefroy di Vallaise/Côte concesse le franchigie nel 1320; Bonifacio di Hérères lo fece nel 1322; Jean e Bertholin della Côte nel 1334; Arduçon della Côte, Jean e Amédée dell’Hôtel nel 1347, mentre la quota di sudditi di Dominique di Hérères, riacquisita nel 1408, venne probabilmente affrancata soltanto nel 1444.5 Ogni signore affrancò dunque, in tempi diversi, i propri sudditi, con la conseguenza che tra il 1320 e il 1444 convissero sullo stesso territorio uomini aventi libertà differenti, gruppi di condizione servile a fianco di nuclei di soggetti affrancati dal rispettivo signore vent’anni prima, e non dovettero mancare tentativi di passare da un signore all’altro se, nel 1346, i Vallaise giurarono di non sottrarsi vicendevolmente uomini.6 Naturalmente la contemporanea presenza di giurisdizioni differenti complicava l’amministrazione della giustizia e i signori si accordarono presto per esercitare a turno la carica di podestà, figura incaricata di giudicare tutti gli abitanti della signoria e non solo i propri uomini; per Issime e Gressoney questa pratica ebbe inizio dal 1382.7 Si unificò così la funzione giudicante ma non la giurisdizione, per cui nei reati gravi che prevedevano la confisca, la condanna era sì promulgata dal podestà ma i beni del reo finivano al suo signore naturale. Il fatto che gli abitanti appartenessero a giurisdizioni differenti atteneva al rapporto con i signori e riguardava, ad esempio, l’entità e la qualità dei tributi, ma non influenzava la vita comunita- Funzionario dell’Archivio Storico regionale di Aosta, è studioso di storia medievale locale, in particolare delle famiglie aristocratiche della bassa Valle d’Aosta e delle comunità a loro assoggettate. 1 F. Gabotto, Le carte dell’archivio vescovile di Ivrea, Pinerolo 1911, p. 70. 2 AHR, Fonds Vallaise, 5/I/1. 3 AHR, Fonds Vallaise, 5/I/31-32 e 30/I/3. 4 La porzione di Godefroy, per i crimini del figlio Dominique, venne poi incamerata dal conte nel 1351 e i rispettivi sudditi, passati per nove anni sotto il dominio diretto comitale, vennero riassegnati ai rami Côte e Hôtel nel 1360, mentre la quota di sudditi degli Hérères che per vicende dinastiche era finita prima a Dominique di Hérères, poi, nel 1390, al conte di Savoia e da questo a Ibleto di Challant, venne riacquisita dai Vallaise nel 1408. 5 J.-C. Perrin, Franchises, statuts et ordonnances des seigneuries de Vallaise et d’Arnad, Aoste 1968 e O. Zanolli, Franchises de Vallaise et Arnad, in BAA XIV, Aoste 1989, p. 209 sgg. 6 AHR, Fonds Vallaise, 5/II/51. 7 O. Zanolli, Lillianes. Histoire d’une communauté de montagne de la Basse Vallée d’Aoste, I, Aoste 1986, p. 84 * — 9 — A U G U S T A Il Tribunale dei Vallaise sec. XVIII, un tempo sulla piazza comunale, ora conservato all’interno della chiesa parrocchiale di Issime . (foto Sara Ronco) ria. Infatti quando, nel 1339, la comunità di Issime Soveror stabilì un regolamento per la conservazione di un bosco comune situato nel vallone di San Grato, tra gli altri attori furono presenti Wuillelmus de Goeto, che apparteneva ad Arduçon/Côte, Iohannes Petrellini Beatricis, suddito di Jean/Côte, Petrus de Sallar, uomo di Jean/Hôtel, e Iohannes de Quere, uomo di Bertolin/ Côte.8 L’appartenenza a un signore di una famiglia o dei singoli individui, poi, non era immutabile; talvolta erano i signori stessi a scambiarsi i sudditi, per riequilibrare il valore delle proprie quote, mentre altre volte il cambio di casacca seguì precise strategie degli interessati. Prendiamo il caso di Petrellinus Beatricys, di Issime: egli era un personaggio influente nella valle del Lys del primo Trecento e spesso assistette come testimone a negozi giuridici altrui, il che depone a favore di una posizione sociale di tutto rispetto; era chiamato mugnaio, non perché si occupasse personalmente della molitura delle granaglie, ma in quanto faceva abilmente fruttare un certo numero di mulini signorili. Nel 1301, in una delle tante spartizioni di uomini tra i Vallaise, era stato assegnato ad Arduçon/Côte9 e ancora nel 1334 apparteneva, insieme al proprio figlio Jean, al nipote di Arduçon, il signore Jean/Côte. Nel frattempo però, attorno agli anni Venti, ad Arnad erano stati costruiti dei nuovi mulini e lì si trasferirono altri due figli di Petrellinus, Jacques e Pierre, che, divenuti uomini ligi del proprietario dei nuovi impianti, Jean dell’Hôtel, presero ad arricchirsi come fabbri e mugnai, fecero diventare notaio il figlio di Pierre (conosciuto come Hugonetus Molendini), e dettero origine alla famiglia dei Favre d’Arnad, tuttora esistente. Se la giurisdizione sugli uomini era esattamente ripartita tra i diversi signori lo stesso non si poteva dire del territorio. Non esistevano, infatti, porzioni omogenee di signoria attribuite ai differenti signori ma soltanto i confini delle terre dei Vallaise, intesi in senso lato, all’interno dei quali le proprietà dei diversi rami erano assolutamente confuse, pur con concentrazioni diverse; il tutto era ulteriormente complicato dal fatto che i contadini coltivavano diversi appezzamenti: alcuni di questi erano stati loro infeudati dal proprio signore mentre altri provenivano da soggetti ai quali essi non dovevano fedeltà e di cui erano semplici “feudatari”; ogni contadino poteva quindi essere “uomo” di un solo signore, il suo, ma “feudatario” anche di più signori, o di altri contadini. Dall’esame degli elenchi dei capifamiglia contenuti nelle franchigie trecentesche si deduce comunque per Issime una presenza più massiccia degli uomini della Côte sulla Ripa e nel vallone di Issime Soverol, attuale San Grato, mentre in quello di Tourison erano più numerosi i soggetti dell’Hôtel, senza però determinare esclusioni assolute. Rischiosa è invece ogni analisi sull’appartenenza dei contadini ai diversi gruppi linguistici, o sulla distribuzione di questi ultimi sul territorio o tra i diversi signori, poiché se è agevole constatare una presenza germanofona quando il nome di persona non era altrimenti traducibile (i vari Ancho, Vancho, Yollin, ecc.) nulla si può dire per i soggetti il cui nome, tradotto in latino dal notaio, presentava nel volgare sia la forma tedesca che quella francoprovenzale. Anche sulla consistenza numerica degli abitanti non si possono fare stime attendibili poiché il numero dei capifamiglia elencati nelle diverse franchigie, redatte a grande distanza di tempo le une dalle altre, è falsato dai travasi di uomini da signore a signore, sopravvenuti nel frattempo, e non tiene conto dell’incremento naturale, senza contare che per Gressoney occorrerebbe calcolare a parte il numero dei sudditi degli Challant.10 Per contro è certo che nei primi decenni del Trecento la popolazione dell’alta valle del Lys fosse in aumento, come del resto stava avvenendo in tutta Europa: ad esempio i sudditi di Godefroy/Côte salirono da 13 a 24 tra il 1301 e il 1320; un incremento notevole, in parte forse determinato da nuove immigrazioni da aree tedesche, come quella di Antonius Iacobi de Labunda de Pratoborno (Zermatt), di poco posteriore all’esempio citato, che nel 1328 si mise sotto la protezione di François di Vallaise/Côte11. Nemmeno la peste del 1348 deve aver inciso più di tanto sulla demografia delle valli laterali, a differenza di quanto accadde ad esempio ad Arnad. Qui il morbo determinò la scomparsa di diverse famiglie in precedenza ben radicate cui fece seguito l’arrivo di nuovi gruppi, per i quali gli spazi appena liberati dovettero J.-C. Perrin, Franchises cit., p. 63. AHR, Fonds Vallaise, 30/I/3. 10 A titolo di mero esercizio si può considerare che nel 1334 ai Vallaise/Côte appartenevano 35 capifamiglia, che nel 1347 agli Hôtel ne spettavano 31 e che la quota di Domenique di Hérères, nel 1408, era composta da 25 uomini, per un totale di 91 famiglie. Il classico coefficiente di 5 individui a fuoco determinerebbe un totale di 450 individui appartenenti ai Vallaise tra Issime e Gressoney; si sottolinea ancora l’inattendibilità del dato. 11 ANA, protocollo di Vercellinus de Vallexia, 1° maggio 1328. 8 9 — 10 — A U G U S T A Issime, Duarf (capoluogo), antica dimora dei nobili Biolley (oggi Bastrenta) acquistata il 27 novembre 1618 da Jacques Biolley dalla nobile “Dame Octavie de Saint-Martin veuve de Signeur Jean-Phedric de Vallaise” (1566-1618), la porzione di sinistra è la più antica. (foto Musso) rappresentare un’opportunità. Alcuni di questi nuovi arrivati provenivano proprio dall’alta valle del Lys, dove evidentemente permaneva la pressione demografica precedente. Troviamo così gli Allamant, un certo Yans de Preit,12 che dette origine ai Depré, e i Joly, discendenti da un certo Yollin. È interessante notare che circa un secolo dopo, nei villaggi montani nei quali si erano installate queste famiglie, fecero la loro comparsa i rascards, una tipologia costruttiva assolutamente estranea alla cultura materiale della valle centrale.13 Nel territorio di Issime non esistevano edifici particolari che fossero espressione del potere signorile, come avveniva altrove con torri o caseforti.14 Vi erano, per contro, diversi “luoghi pubblici” ove si era soliti celebrare liturgie laiche. Uno di questi era rappresentato dalla chiesa, dove vennero ad esempio concesse alcune delle carte di franchigia già citate. Vi era poi la piazza della chiesa, nella quale si distingueva lo spazio “ante portam ecclesie” da quello posto dinanzi al cancello del cimitero, dove il mestral pubblicava le grida dei signori temporali.15 Molto utilizzati erano poi il “prato della chiesa”16 e il “rascard della casa parrocchiale”.17 Anche la giustizia era amministrata nei pressi della chiesa, in un luogo non identificabile con precisione; nel XVI secolo il tribunale risulterà collocato in uno spiazzo nei pressi della casa degli eredi di Ludovico de Closo,18 e si riunirà talvolta all’interno della casa stessa in caso di maltempo.19 Se i Vallaise non avevano a Issime torri o castelli non per questo erano privi di case e anche in questo campo vale la regola già illustrata: non poteva esserci confusione di beni, pertanto gli edifici della Côte erano sicuramente altri rispetto a quelli dell’Hôtel. La localizzazione di queste dimore è difficile poiché esse compaiono di rado nei documenti, a testimonianza della loro funzione essenzialmente privata. La casa della Côte non è stata al momento nemmeno localizzata; se ne conosce l’esistenza soltanto perché essa è citata come località di redazione di alcuni documenti del XV secolo. Qualcosa di più si può dire su quelle dell’Hôtel: una potrebbe essere stata quella situata nei pressi della chiesa, ceduta nel 1618 dalla vedova di Jean-Frédéric di Vallaise/Hôtel a Jacques Biolley, di cui si è già scritto.20 Un’altra era sicuramente situata sulla Riva, e in essa furono ricevuti diversi consegnamenti di beni effettuati dai contadini dell’Hôtel attorno al 1477.21 Potrebbe essere la stessa, ormai in rovina, ceduta nel 1691 dai baroni Charles-François e PhilibertAntoine a Bernard di Jean Cervier, di Issime, consistente in un tenement de maison degarnie et en maigre estat, place autour, chesal en un coin de dicte place vers Recours. La casa era situata sur le limon du Grand Champ, visante à la vénérable église dudict lieu e confinava con Jacques di Pierre Chistillin verso Gressoney e Issime Soveror, con Pierre di Mathieu Christillin verso Ricourt e con gli eredi di Gabriel Stevenin al di sotto, verso la piazza. L’edificio dovrebbe essere lo stesso che nel catasto Sardo del 1772, censito al n. 472, risulta situato in località Maison du Seigneur, è intestato a Troc Jeanne Cervier e confina a levante e nord con Mathieu Christillin e a sud con Jacques Christillin. Talvolta è chiamato Iohannes de Prel, come in un atto redatto a Issime nel 1354 ove è definito commorante Arnadi. AHR, Fonds Vallaise, 30/I/14. I rascards compaiono in diversi consegnamenti del XV sec., per tutti valga AHR, Fonds Vallaise, 302/I/1. Un’analoga immigrazione dall’alta valle del Lys si ebbe dopo la peste del 1630, con l’arrivo dei Laurent e dei Lateltin. 14 Si segnala a tal proposito la presenza del toponimo Château nel Catasto Sardo di Issime e Chastellard in un documento del 1453, che qualche interrogativo lo pongono. AHR, Fonds Villes, Cadastre, Issime, e Fonds Vallaise, 30/I/42. 15 AHR, Fonds Vallaise, 30/III/10: Actum ante portale cimiterii venerabilis ecclesie Sancti iacobi Yssime, loco publico ubi cride generales dominorum temporalium dicti loci. 16 AHR, Fonds Callaise, 30/I/14: in prato ecclesie Sancti Iacobi. 17 La comunità si riunì il 25 marzo 1473 ante rascardum curie dicti loci Yssime per nominare i propri procuratori. ANA, protocollo di Jacobus Hugonini. 18 AHR, Fonds Vallaise, 30/III/18: In villa Yssime, videlicet in curte prope edifficia heredum Ludovici de Closo. 19 AHR, Fonds Vallaise, 30/III/8: In loco Ysime et in stupha heredum Ludovici de Closo. 20 G. Pession, Una nobile famiglia di Issime: i Biolley, in “Augusta”, Issime 2008, p. 31. Si evidenzia che per un mero refuso è stata indicata, nell’articolo di Pession, la data 1616 in realtà è 1618. 21 AHR, Fonds Vallaise, 30/II/4, 1477, Actum Yssime, supra Ripam, in stupha dominorum infrascriptorum. 12 13 — 11 — A U G U S T A Chiesa e Comunità di Issime Saint-Jacques nella seconda metà del Settecento. Saint-Michel di Gaby si rende autonoma (1786) Battista Beccaria INTRODUZIONE I l Settecento è un periodo storico che - nonostante sia stato definito il secolo dei lumi, un secolo di stampo vagamente anticlericale e laicistico - è ricchissimo di clero e vede moltiplicarsi, come in poche altre temperie per la Chiesa cattolica, parrocchie nuove e nuove istituzioni ecclesiastiche di varia natura. Questa crescita esponenziale del personale ecclesiastico è in parte dovuta al fiorire di sempre nuovi Seminari, già peraltro in fase di fondazione fra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento su spinta dei decreti tridentini, ma in parte è pure dovuta alla ricerca di una promozione culturale, e quindi conseguentemente sociale, da parte dei figli cadetti della piccola nobiltà di campagna ma, non infrequentemente, di membri provenienti anche dalle classi più umili. Molti di questi aspiranti chierici entrano in Seminario e intraprendono la carriera ecclesiastica per poter ricevere una soda e completa formazione umanistica, filosofica e teologica, che non sempre sfocerà necessariamente nella cura d’anime, ma potrà tradursi in mestieri redditizi e ambiti quali quello del maestro di scuola o quello del precettore al servizio di facoltose famiglie della nobiltà o della ricca borghesia. Giuseppe Parini ne è un preclaro esempio. La sovrabbondanza di clero istruito, inoltre, immette sul mercato delle prebende ecclesiastiche un ridondante personale, atto non solamente a ricoprire le più normali e collaudate mansioni di parroco o curato, ma anche a foraggiare tutto un sottobosco di funzioni minori come l’assunzione di incarichi di vicecurato, rettore e cappellano a vario titolo; insomma un clero soprannumerario disponibile altresì per quelle Comunità minori che volessero emanciparsi e rendersi autonome da più antiche parrocchie e quindi trasformarsi, a loro volta, in nuovi centri parrocchiali! Mentre, però, i parroci di grasse cure d’anime solitamente erano contrari a tali scorpori, vicari, rettori, vicecurati, cappellani istigavano invece i loro fedeli alla richiesta di autonomia, il che poteva significare, per loro, un avanzamento di carriera. Le rivalità fra paese e paese o fra le stesse frazioni di uno stesso paese erano talvolta, per non dire molto spesso, determinanti nella spinta verso la separazione di una chiesa dalla sua chiesa matrice. Un esempio in tal senso, dentro un contesto walser, fu dapprima la separazione della cappellania di Campello Monti da Rimella Valsesia, chiesa matrice germanofona, e la sua forzosa unione con quella italofona di Forno Valstrona1. Per più di centocinquant’anni i campellesi vissero con disagio psicologico e rancore accanto ai fornaroli, dovendosi recare alla vicina parrocchia per le funzioni festive, i matrimoni e i battesimi. Finché, nel corso del XVIII secolo, chiesero con più decisione la separazione totale di Campello da Forno e l’erezione di una nuova parrocchia a sé stante, intitolata a San Giovanni Battista, avendo reclamato con costanza e testardaggine per anni - ma invano - alla Curia di Novara, lo scorporo dalla chiesa di San Pietro e Paolo2. Una parrocchia non ne figliava un’altra se non con estenuanti e certosine trattative che, nel più benevolo dei casi, duravano una decina d’anni almeno. Il tempo medio necessario alle pratiche burocratiche era però, più normalmente, di una trentina d’anni. Campello Monti aveva iniziato fin dal 1686, dunque 54 anni prima. Le manovre di Issime-Saint-Michel – ovvero la futura Gaby – per staccarsi da Issime-Saint-Jacques, chiesa matrice di tutta quanta la valle superiore del Lys, iniziarono ben ottant’anni prima – dunque agli inizi del Settecento – sia pure con lunghe interruzioni e ripre- Il vescovo Carlo Bascapè (1593-1615), nonostante le proteste e le suppliche in contrario della popolazione, staccò Campello Monti dalla Chiesa madre di Rimella Valsesia, dedicata a San Michele Arcangelo, e la pose sotto la parrocchia di Forno in Valle Strona, dedicata a San Pietro Apostolo, nell’anno 1597. Già nel 1601, soltanto due anni dopo, i campellesi cominciarono ad organizzare una fronda per staccarsi dalla nuova Chiesa matrice ed erigersi in parrocchia autonoma. I campellesi ragionavano in termini di maggiori affinità culturali e linguistiche verso Rimella, il vescovo – già razionalista e pre-cartesiano – ragionava in termini di maggiore o minore distanza fra le Comunità. Da Campello a Rimella c’erano cinque ore di sentieri impervi. Da Campello a Forno c’era meno di un’ora di mulattiera. Stando sotto Forno, erano più “controllabili”, anche in relazione al pericolo di eresia, per i frequenti contatti che costoro avevano coi protestanti d’Oltralpe, durante le emigrazioni annuali da settembre a giugno. 2 I campellesi, benché già gravati di ¼ del totale delle spese per la congrua della parrocchia di Forno, di loro tasca istituirono nel 1686 la dote per un cappellano residente a Campello – una casa d’abitazione e 50 scudi di rendita annua – cappellano che li potesse assistere continuativamente, anche d’inverno, nella cura d’anime. Due anni dopo, sempre a loro spese, costruirono una nuova chiesa ma non ottennero subito dalla Curia l’autonomia da Forno, la quale arrivò solo 54 anni dopo, nel 1749! Dunque per 152 anni soffrirono e sopportarono i parroci fornaroli, che li salassavano di spese senza fornir loro una conveniente assistenza spirituale. Cfr. Battista Beccaria (s.v. Giovan Battista), Le origini della Comunità ecclesiale di Campello Monti e della sua chiesa (secoli XV-XVIII), in “Campello e i Walser”. Atti del Settimo Convegno di Studi (7 agosto 1999), Walsergemeinschaft Kampel, Campello Monti 2000, pp. 31-64. 1 — 12 — A U G U S T A se discontinue3. Le motivazioni della consensuale separazione delle due comunità nello spirituale fu determinata da molteplici cause, che citeremo più innanzi, ma non certamente da una rivalità rancorosa come quella che animava i campellesi nei confronti degli odiati fornaroli! Qualche ruggine, però, ci doveva pur essere stata, come sembrerebbe lasciar intuire in modo velato il vescovo e storico aostano J. A. Duc in uno dei 12 volumi della sua monumentale Storia della Chiesa di Aosta4. UNA LUNGA TRAFILA BUROCRATICA Per poter rendersi autonomi, gli uomini di un villaggio o di una frazione di paese dovevano ottenere anzitutto il benestare di tutta quanta la Comunità indivisa della vecchia parrocchia di appartenenza e, in speciale maniera, del vecchio curato. Il quale era quasi sempre contrario perché, in tal modo, veniva a perdere con una porzione di fedeli anche una porzione di Congrua, cioè di stipendio contrattato e stipulato precedentemente con tutta la Comunità. Un altro ostacolo poteva essere la Curia episcopale, che non riteneva sufficiente o soddisfacente la nuova Congrua, messa sul tavolo per avere un nuovo parroco proprio dai parrocchiani aspiranti autonomisti. Il più delle volte, il vecchio curato pretendeva di mantenere intatta la sua Congrua, sia pure avendo meno pecorelle da badare, mentre la Comunità che si voleva staccare dalla chiesa matrice finiva per dover pagare due volte. Una volta per la porzione di Congrua al suo vecchio parroco, e un’altra volta per istituire un’ulteriore Congrua per il suo nuovo pastore d’anime. Era naturale che nascessero diatribe su diatribe fra le due nuove Comunità, fra la Comunità scissionista e il vecchio curato, fra la Curia e tutti quanti gli attori del litigio. Pecunia non olet, e soprattutto gli ecclesiastici, oltre che le Comunità interessate, erano molto attenti in primis proprio al vil denaro. C’era però una scappatoia – che fu quella poi usata anche dal parroco di Issime-Saint-Jacques per l’occasione – e cioè chiedere alla Comunità dei parrocchiani rimastigli e alla Curia vescovile una revisione della Congrua, con un opportuno supplemento o integrazione, per non vedersi diminuito lo stipendio. Certo la cosa seccava alla Comunità interessata, che si trovava smagrita di parecchi fuochi e di parecchie teste, grazie alla separazione chiesta e ottenuta dai nuovi autonomisti, e quindi conseguentemente aggravata di più pesanti spese e carichi. Oltre che la Curia, interferiva poi la Regia Camera, la quale doveva dare il suo assenso alla modifica della precedente distrettuazione ecclesiastica. Siamo in anni in cui i monarchi, re o semplici duchi, hanno le casse che piangono e anche i beni ecclesiastici fanno gola o comunque anche da quelli si può mungere qualcosa. Le formalità burocratiche per un “atto di separazione” di una chiesa dalla sua matrice sono già di stampo borbonico, anche se ci troviamo nella nordica Valle d’Aosta. Allora vediamo di delineare, se non proprio tutti i passaggi formali, almeno gli step principali che venivano richiesti in tali operazioni di scorporo. Prima c’erano le estenuanti trattative fra le varie parti interessate, poi, trovata la quadra, si formalizzavano gli atti in modo ufficiale davanti a un notaio e, se richiesto, davanti all’Ufficiale di Curia delegato e all’Intendente regio. La cosa richiedeva anni, a volte anche un secolo o poco meno, per essere condotta in porto. Noi tralasceremo i primissimi timidi tentativi a inizio secolo XVIII-fine Seicento, per portarci almeno ai primi trent’anni del Settecento e poi per seguire più da vicino e capillarmente gli ultimi due decenni decisivi. Sono centinaia di fittissime pagine di documenti che si intersecano fra loro, non procedendo ordinatamente e secondo un rigido ordine cronologico. Neanche noi seguiremo un rigido schema, inseguendo, ad ogni costo, il trascorrere degli anni in successione, ma procederemo per argomenti distinti. Ci sono i protagonisti, i capi e i consiglieri delle Comunità, i capifamiglia che si riuniscono in assemblea sulla pubblica piazza al suono del campanone maggiore, i vari curati che si succedono a Issime, i loro Vicecurati, l’uno dei quali che risiederà col parroco presso la Cura di San Giacomo, l’altro che verrà invece distaccato presso la cappella di San Michele, quale Rettore, e che dovrà servire tutto il Terzo di Sopra con i singoli villaggi e le case sparse, facenti però capo al Centro maggiore di Issime-Saint-Michel, ovvero Gaby. I CONFINI DELLA PARROCCHIA DI ISSIME Tra Alto e Basso Medievo quasi tutta la Valle del Lys è oramai popolata. Ecclesiasticamente parlando, forma un’unica “pieve di valle”, con Chiesa Madre a Perloz, dove tutta quanta la popolazione – da qui plebs – deve recarsi per ricevere il battesimo, seppellire i propri morti e assistere alle liturgie festive5. Le sedi di pieve nelle zone montane, per tutto l’XI e XII secolo, sono poste a pie’ di valle. Coll’aumento demografico, seguito dopo l’Anno Mille, da questa pieve unitaria di Perloz cominciano a staccarsi delle proto-parrocchie di valle. Così succede anche per la Valle Anzasca e per le valli Ossolane, in diocesi di Novara, nel corso di quegli stessi anni. Issime rappresenta la prima di tali protoparrocchie, la quale si prende in carico di cura d’anime tutta la parte superiore della Valle del Lys. Quando questo stacco dalla pieve primigenia sia avvenuto non lo sappiamo con esattezza, ma certamente l’autonomia da Perloz deve risalire già agli inizi del XII secolo6. A questo punto è Issime che diventa la nuova Chiesa Matrice procedendo verso il massiccio del Rosa. Da essa si staccheranno, dopo cinque secoli e mezzo, altre chiese Louis Christillin, La Vallée du Lys. Études historiques, J.-B. Stevenin éditeur, Aoste 1897, pp. 322-338. Mgr. J.-A. Duc, Histoire de l’Église d’Aoste, XII tomes, tome neuvième, Éditeur “La librairie valdotâine”, Aoste (nouvelle édition) 1997, pp. 20-26. Scrive il vescovo Duc a proposito di questa separazione fra Issime e Gaby: “Tout conseillait la création de cette nouvelle paroisse, et la distance des lieux, et les difficultés des routes, et l’incompatibilité de caractère des habitants”. 5 Fino al 1184 la chiesa di S. Salvatore di Perloz era l’unica chiesa esistente in tutta la valle del Lys. Probabilmente era sorta intorno all’Anno Mille. Proprio da quell’anno 1184 veniamo a sapere, da un documento pergamenaceo, che esiste già anche una seconda chiesa più interna alla valle, quella appunto di Issime. 6 La Chiesa Matrice di Yssima bascula continuamente tra la dipendenza da un ente religioso regolare (o monastico) e la dipendenza dalla Curia del vescovo di Aosta. Gli esordi e i primi quattro secoli e mezzo di vita sono contrassegnati dalla longa manus o tutela di Collegiate di canonici regolari agostiniani, le quali vi inviano qualcuno dei loro membri in cura d’anime o comunque reggono e governano, dall’esterno della valle, il clero che officia la parrocchiale di Saint-Jacques. Nel 1184 papa Lucio III (1181-1185) incorpora Issime alla Collegiata di Sant’Orso di Aosta. Ai canonici di questa papa Innocenzo II (1130-1143) aveva imposto di vivere in comunità secondo la regola di sant’Agostino. Per almeno 44 anni, dal 1184 al 1228, la chiesa di Issime resta così sottoposta ai canonici di Sant’Orso. A partire dal 1228 viene scorporata da Sant’Orso e incorporata al convento di Saint-Gilles di Verrès, dove, anche qui, dalla metà dell’XI secolo, i suoi canonici seguivano ormai la regola di Sant’Agostino sotto la guida di 3 4 — 13 — A U G U S T A suffraganee o figlie. Il suo territorio fino al 1660 comprendeva quindi anche i territori di Gressoney-La-Trinité e di GressoneySaint-Jean. Proprio nel 1660 si staccò per prima la parrocchia suffraganea di Saint-Jean-Baptiste di Gressoney. Ventisei anni dopo, nel 1686, anche l’altra parrocchia suffraganea della Santissima Trinità di Gressoney si rese indipendente dalla Chiesa Madre di Saint-Jacques. Dentro l’antica grande proto-parrocchia di Ussima o Yssima, rimaneva invece ancora il grosso villaggio di Issime Saint-Michel, ovvero il Terzo superiore ‘Tiers dessus’ o Uberlann in töitschu. Il quale Terzo superiore comprendeva altri numerosi villaggi minori posti verso Gressoney. L’amministrazione ecclesiastica, sempre precisa e certosina nel registrare ogni minima mutazione nel numero di anime e di rendite, ad ogni richiesta di autonomia e di separazione di una Comunità dalla sua Chiesa Matrice, faceva capillarmente censire i confini della parrocchia vecchia e stabiliva poi quelli spettanti alla parrocchia nuova. Si doveva sapere a chi pagare – dapprima le decime e, in seguito, le Congrue –, chi dovesse pagarle, dentro quali confini precisi e in quale proporzione. Già Carlomagno (secolo IX) aveva capito che, per una sana amministrazione dei territori del suo vasto impero romano-cristiano, doveva rivolgersi all’esperienza e all’aiuto del clero istruito della Chiesa. Perciò i vescovi, che lui stesso sceglieva oculatamente tra i funzionari della propria Corte imperiale di Aquisgrana, dovevano stabilire e tracciare, d’ora in avanti, i confini precisi delle loro rispettive diocesi, le quali poi avrebbero dovuto essere divise, a loro volta, in distretti minori o pievi, comprendenti parecchi villaggi o intere vallate. Era necessario che ogni fedele battezzato7 - che per lui coincideva con ogni singolo suddito sapesse con precisione a quale chiesa pievana e a quale vescovo dovesse versare la decima dei raccolti dei campi e dei prodotti del bestiame. Dunque, anche in previsione dello stacco di San Michele di Gaby da San Giacomo di Issime, bisognava di nuovo delimitare tutti i confini. A tal fine la Comunità dei capifamiglia al completo si trovò sulla piazza antistante la chiesa di San Giacomo e davanti allo scranno del Luogotenente della Vallaise per designare i mensuratores! Furono investiti della responsabilità del censimento Jean Consol e Jean-Jacques, figlio maggiorenne o émancipé di Jean-Jacques Christillin8. L’assemblea si tenne il 6 settembre 1767 e, in questa, furono designati alcuni uomini che, camminando lungo i confini estremi del territorio parrocchiale, ponessero delle croci di legno come segnacoli di confine verso le parrocchie contermini. Le croci di confine dovevano misurare più o meno quattro once d’altezza, due di larghezza e dovevano avere uno spessore di un quarto d’oncia. Inoltre dalla parte verso Issime dovevano portare incisa la lettera “I”, dalla parte opposta rispettivamente la lettera “F” verso Fontainemore, “G” verso Gressoney, “S” verso Sillian (in valle e marchesato d’Andorno), “C” verso Challant-Saint-Anselme, “B” verso Brusson, ecc. Furono incaricati di ciò alcuni fra gli abitanti della parrocchia meglio informati che, nel giro di alcuni giorni di cammino, si impegnassero a porre tali croci confinarie. Ronc e Christille impiegarono in totale i giorni 23-29 settembre e 9, 15, 21 e 22 ottobre 1767; Freppa e Albert impiegarono il 12, 14, 16, 17 e 27 ottobre e il 4 novembre; Consol e Christillin iniziarono il 13, 14 e 24 ottobre e finirono di segnare alcuni punti lasciati scoperti il 10 marzo dell’anno seguente 1768. Albert nei giorni dell’11, 12, 13 e 15 settembre 1767 dovette recarsi a piedi a Rassa e Campertogno in Vallesesia e a Piancavallo e altre località della Valle d’Andorno per mobilitare gli eponimi misuratori dell’altro versante piemontese. La misurazione, ovviamente, doveva essere fatta con la partecipazione degli uomini del versante opposto confinante con Issime. Dunque tra l’11 settembre 1767 e il 10 marzo 1768 l’operazione di confinamento poteva dirsi compiuta. Il 22 giugno 1768 Jean Consol e Jean-Jacques Chistillin presentavano rapporto ufficiale, verbalizzato davanti al notaio e segretario Mathieu Chistillin (1712-1772) Loeisch Mattisch, circa i confini della parrocchia di San Giacomo9. un prevosto. Già nel 1182 l’abbazia benedettina di Fruttuaria aveva ceduto alla Collegiata di Saint-Gilles tutti i suoi beni posti in Valle d’Aosta da Bard in su. Tra chiese, cappelle e ospizi, il convento di Saint-Gilles arrivò ad avere 60 dipendenze ecclesiastiche nella sola diocesi di Aosta, 12 in quella di Ivrea, 7 in quella di Moûtier nella Savoia e una in diocesi di Vercelli! Nella seconda metà del Trecento la Collegiata e il convento di Verrès cominciarono ad entrare nella sfera d’influenza di Casa Challant. Tra il 1228 e il 1647, formalmente, la cura d’anime di Issime restò perciò ancora sotto la tutela dei canonici regolari del convento di Verrès. Tra 1647 e 1741 la parrocchia di Issime viene alternativamente rivendicata sia dal convento di Verrès sia dai vescovi di Aosta. In pratica quando la Collegiata e il convento di Saint-Gilles passano dagli Challant ai Madruzzo di Trento nel 1565, comincia, con i prevosti-commendatari, una decadenza inarrestabile dell’istituzione. Subentrano liti per l’eredità tra vari rami collaterali degli Challant. Alla fine, il prevosto-commendatario Carlo Emanuele Madruzzo, vescovo principe di Trento e ottavo conte di Challant, unisce nel 1648 i canonici regolari di Saint-Gilles con i canonici lorenesi del Santissimo Salvatore, che dal 1644 reggevano ad Aosta il Collège Saint-Bénin. Da quel momento Issime passa praticamente nelle mani dell’Ordinario diocesano, cioè del vescovo di Aosta. Ma la cosa non viene ufficializzata subito. Bisognerà aspettare paradossalmente la seconda metà del Settecento perché, con Atto del 12 aprile 1782 e poi ancora del 25 novembre 1791, la Cura di Issime passi anche formalmente sotto la diocesi di San Grato e i suoi legittimi vescovi. Ufficialmente, a rigore, Saint Jacques di Issime apparterrebbe alla piena giurisdizione dei vescovi di Aosta solo da poco più di duecento anni, per l’esattezza da 223! In pratica, però, a metà Seicento era già in piena disponibilità del vescovo, che vi inviava parroci appartenenti al clero secolare della diocesi. 7 Inizialmente la Chiesa battezzava solo fedeli adulti e consenzienti, dopo un opportuno periodo di catecumenato. Carlomagno, fondando il suo Sacro Romano Impero, fa coincidere tout-court il fedele cristiano col suddito, per cui non puoi essere un suddito dell’imperatore senza essere anche insieme un cristiano. A questo punto, appena nati, per essere iscritti all’anagrafe dei sudditi dell’imperatore, si deve ricevere il battesimo. Nasce il battesimo dei bambini, obbligatorio per tutti i sudditi del Sacro Romano Impero. Oggi bisognerebbe riconsiderare completamente la cosa. Intanto non c’è più il Sacro Romano Impero di re Carlo, poi il bambino, non potendo scegliere, potrebbe, in età adulta, non confermare la sua adesione alla fede e alla morale cristiana, diventando così, a rigore, un apostata. Se non vogliamo creare apostati, oggi bisogna tornare al battesimo delle origini, battesimo di adulti consenzienti e non di infanti inconsapevoli! Prima di Carlomagno vi erano le Chiese episcopali, non le diocesi. Il fedele battezzato non era legato a un dato territorio ma al vescovo che l’aveva battezzato. Pertanto uno di Aosta che si faceva battezzare dal vescovo di Ivrea era un fedele della Chiesa episcopale di Ivrea e, viceversa, uno di Ivrea che riceveva il battesimo dal vescovo di Aosta apparteneva alla Chiesa episcopale di Aosta. Carlomagno crea invece, per primo, le diocesi territoriali. Tu devi pagare le decime alla tua pieve che sta dentro una diocesi. Dunque bisogna che paghi dove risiedi, nella pieve dove ricevi i sacramenti e dentro la diocesi cui il distretto della tua pieve appartiene! 8 È interessante qui notare come in ogni famiglia, soprattutto se numerosa, uno dei figli erediti il nome del padre. Solitamente, sembrerebbe, il figlio primogenito. 9 API [Archivio parrocchiale di Issime] – XII. 1. A. a. – Natura dei beni appartenenti alla Cura di Issime. Congrue dei parroci e “Stato delle entrate” — 14 — A U G U S T A LO “STATO DELLE ENTRATE” DELLA PARROCCHIA DI ISSIME E LA CONGRUA DEI SUOI CURATI La procedura di indipendenza fra le due parrocchie procede con una lettera del vescovo di Aosta, Pierre François de Sales10 del 1 luglio 1776, inviata al curato di Issime Jean-Joseph Curtaz11 per vedersi informato del patrimonio parrocchiale e della Congrua del parroco, che serve anche per mantenere un vicario stabile presso la chiesa di Saint-Jacques. Il curato finge laboriose ricerche, in realtà nicchia, perché deve trovare mille scuse per dire al vescovo che la Congrua avrebbe bisogno di essere integrata con un supplemento ulteriore. Il 5 novembre 1776, però, l’“Etat des revenues” della parrocchia è sul tavolo del vescovo de Sales. Vediamolo in estrema sintesi. Le entrate non sono tutte in denaro liquido ma, per la maggior parte, in rendite fondiarie, in enfiteusi, in lasciti testamentari o legati, in offerte periodiche fatte dal popolo anche in natura, ecc. Anzitutto una casa di abitazione, poi un giardino, un prato dietro la chiesa, un pascolo, inoltre il cosiddetto “prato della chiesa” (Cadastre, al numero 270), Schaffu Mattu in töitschu, in alcuni documenti anche chiamato ‘Le pré du curé’, a proposito del quale nascerà una lunga querelle con la Comunità. Tale prato parrocchiale ha indissolubilmente unita a sé l’enfiteusi di un mulino situato in fondo ad esso12, ma, si lamenta Curtaz, il fittavolo non paga e questo mulino sarebbe meglio ridarlo indietro alla Comunità. La rendita di tale enfiteusi sarebbe di sole 10,00 lire annue. Circa il prato nel quale è situato il mulino, il parroco fa subito notare che la piena del Lys, del 26 settembre passato, ha letteralmente trascinato via ed eroso 1/3 del terreno. Inoltre un’altra inondazione, questa del 1772, ha fatto crollare molta parte della muraglia che lo circondava tutt’attorno. Il prato rende – dedotte le spese di diritto colonico per farlo lavorare da un conduttore – 17,00 lire annue, che fanno parte della Congrua, ma tutto ciò, insiste il curato, solo in teoria, a causa dello stato di rovina in cui si trova. Si potrebbero ben aggiungere altre 13,00 lire, portandone il reddito a 30,00 lire annue, ma solo qualora la Comunità lo faccia tornare com’era prima dell’alluvione e ripristini anche la muraglia per intero. Inoltre la Congrua parrocchiale possiede fondi, parte in prati, parte in pascoli, parte in ghiaie sotto i numeri catastali 1766, 1771, 1818, 1819, 1954, 2027, 2059, 3652, 3684. Risulta intanto che tal Gabriele Jaccone, con legato testamentario del 9 settembre 1730, rogato notaio Sezian, ha lasciato ai parroci pro tempore di Issime una ricca enfiteusi in Carema. Si tratta di ben due carichi di vino rosso all’anno e, inoltre, di una piccola montagna da affittare come pascolo. Però, aggiunge subito Curtaz, questo lascito non sarebbe da ritenersi propriamente e giuridicamente parte della sua Congrua, perché la Congrua – per definizione – è esente da carichi qualsivogliano. Al contrario, lo Jaccone, nel suo testamento del 1730, pone per i parroci di Issime, la condizione di celebrare un certo numero di messe annue, parte nella chiesa parrocchiale di San Giacomo e parte in tre altre cappelle distanti dal centro. Inoltre il parroco, sempre per questo legato, deve fornire di tasca sua almeno un rubbo d’olio per la lampada del Santissimo Sacramento. Tale lascito testamentario potrebbe rendere – sempre e solo in teoria secondo il Curtaz – 217,00 lire annue ma, come precisato sopra, non entrerebbe di diritto nel calcolo complessivo della Congrua del parroco, bensì andrebbe considerato un legato pio a sé, cum onere celebrandi. Inoltre non sarebbe valido neppure un preteso regolamento, fatto il 30 aprile del 1736 dal prevosto Raymond, per disciplinare il godimento di tale lascito, in quanto, a quella data, la sede vescovile era vacante e retta solamente dal Capitolo della Cattedrale, tramite un Vicario capitolare e, quindi, quel regolamento scadeva ipso facto con lo scadere del mandato di quel Vicario, una volta terminata la sede vacante. Certamente Jean-Joseph Curtaz doveva essere un bravo leguleio se, per molte delle sue entrate, riusciva comunque ad aggiungere cavilli giuridici per escluderle dal calcolo della Congrua. Infatti, anche circa gli emolumenti che gli venivano dagli “incerti” (tariffe introitate in occasione di battesimi, matrimoni, funerali, ecc.), il Curtaz respingeva il regolamento stilato dal suo predecessore, il prevosto Raymond, in quanto valido solo per il periodo di sede episcopale vacante in diocesi, ma da ritenersi scaduto ipso facto con la nomina e l’arrivo di un nuovo vescovo. Si appellava, tanto per tirare per le lunghe la faccenda, al vescovo de Sales, perché tale regolamento fosse cassato e ridiscusso completamente. E, se per le entrate da calcolarsi come Congrua c’erano tanti se e tanti ma, per i carichi che tale Congrua imponeva al parroco, al contrario, il Nostro snocciolava tutta una litania di carichi e di doveri che lui era costretto ad assolvere. In primis 1. – Il curato deve provvedere al mantenimento di un vicario a sue spese; 2. – provvedere a far aprire e chiudere le porte della chiesa, mantenere accesa la lampada del SS. Sacramento e dare il pane benedetto; 3. – pagare per il suono delle campane tre volte al dì, cioè per l’Angelus al mattino, mezzogiorno e sera, mediante della Cura (1777-1786) – “Copia del Consiglio della Comunità di Issime per essere trasmesso all’Ufficio dell’Ill.mo Sig. Intendente del Ducato”, autenticata conforme dal notaio Louis Christillin su copia originale del notaio e segretario Matthieu Chistillin. [D’ora in avanti semplicemente API]. Questo lungo e dettagliato documento, ricco di toponimi e di idronimi della zona, è interessantissimo e meriterebbe uno studio a se stante da parte del linguista e toponomasta, perché ritroviamo insieme toponimi in töitschu, in franco provenzale, in francese, in piemontese e in italiano. Interessanti, poi, i doppi toponimi, cioè in töitschu sul versante di Issime e in diverso patois sul versante opposto. 10 Appartenente all’illustre e nobile famiglia savoiarda “de Sales”. Figlio di Andrea, Signore di Brens e di Vuaz, e di Maria Domenica di Sougey d’Arbusigny, discendente in linea diretta da Luigi, zio del santo vescovo di Ginevra. Nasce il 9 aprile 1704 nel castello di Thorens, nella diocesi di Annecy. Lavora, come prete in cura d’anime, anche presso la chiesa di Saint Sulpice a Parigi. Torna poi a fare il parroco a Chilly, dove il re Carlo Emanuele di Savoia lo propone alla Santa Sede come vescovo di Aosta. Viene consacrato vescovo dallo stesso papa Benedetto XIV, a soli 37 anni di età. È quindi già vescovo di Aosta nel 1741 e lo rimarrà fino al 1780, quando, malmesso in salute, decide di ritirarsi presso il Seminario diocesano. Cfr. Mgr. J.-A. Duc, Histoire de l’Église d’Aoste, XII tomes, tome huitième, Éditeur “La librairie valdotâine”, Aoste (nouvelle édition) 1997, pp. 323 e segg. Sotto il suo episcopato si compiono numerosi passi burocratici per l’erezione in parrocchia di Gaby, come la già ricordata revisione dei confini della parrocchia di Saint Jacques di Issime e questa inchiesta sullo stato delle rendite parrocchiali del parroco Iean-Joseph Curtaz e del suo vicario. 11 Jean-Joseph Curtaz nasce a Gressoney-Saint-Jean nel 1725. Diventa parroco di Issime dal 1771 fino alla fine del 1784, anno della sua morte. Gli succederà Jean-Ange Roncoz, sotto la cui cura avverrà lo stacco della parrocchia di Gaby da quella di Issime. 12 Il Mulino è indicato, ed evidenziato con cerchietto rosso, nella Carta topografica della seconda metà del XVIII secolo, carta a firma di ‘Avico, Durieu, Carelli, Denis e Sottis’ conservata presso l’Archivio di Stato di Torino, il cui stralcio è pubblicato a pag. 27 di questa pubblicazione. — 15 — A U G U S T A il suono della prima e terza campana; far suonare prima della messa quotidiana con due richiami di campane; far concerto di campane tutti i giorni di festa; suonare una certa campana per scongiurare il pericolo di tempesta in occasione di violenti temporali; 4. – comprare a sue spese, tutti gli anni, il cero pasquale; 5. – provvedere l’incenso necessario ogni l’anno per tutte le benedizioni e altre cerimonie dove occorresse usarlo; 6. – fare le luminarie in chiesa e recitare la Passione, nei tempi prescritti, al suono delle campane; 7. – fornire pale e zappe per scavare le fosse di sepoltura nel cimitero; 8. – offrire un pasto a proprie spese al sindaco e ai procuratori della chiesa (la fabbriceria) – e anche ai cantori – per la festa di santo Stefano e per la festa di san Giacomo apostolo; 9. – fornire l’illuminazione nella parrocchia durante l’intera notte a quelli che suonano le campane il giorno “della veglia delle anime” e delle “denrées”, cioè delle offerte di cibo, e integrare le vivande se la questua da loro fatta non sia stata sufficiente; 10. – andare a benedire gli alpeggi durante l’estate, ma senza chiedere alcun compenso. Per tutti questi servizi pattuiti e prestati sono dovuti a lui e al suo vicario in solido L. 600,00 annue. Non ritenendo la cifra totale della Congrua sin qui pagata sufficiente alle sue esigenze e a quelle del suo vicario, chiede un supplemento di ulteriori 383,00 lire. Non contiamo ora i redditi da beni fondiari di cui al Cadastre descritto qui sopra, non consideriamo per nulla i redditi del ricco legato Jaccone da esigersi in Carema, escludiamo persino gli “incerti” (casuels). A questo punto possiamo fare due conti in tasca al buon curato Curtaz. Costui doveva ricevere, solo in denaro liquido, tra le 840,00 e le 860,00 lire annue. Reclamandone altre 383,00 di supplemento, costui voleva portare il suo stipendio o Congrua almeno a 1.250,00 lire annue. Ma, come avremo modo di vedere poco più in là, il parroco issimese, oriundo di Gressoney, giocava al ribasso nello stimare i cespiti derivanti dai beni immobili. La sua “denuncia dei redditi”, fatta al vescovo de Sales, fu protocollata a firma di Vignet des Étoles, economo e revisore dei conti di Curia, alla stessa data del 5 novembre 177613. OSSERVAZIONI E OBIEZIONI DEL CONSIGLIO DELLA COMUNITÀ DI ISSIME CIRCA LA RELAZIONE SULL’“ÉTAT DES REVENUES”, PRESENTATA DAL CURATO DELLA PARROCCHIA JEAN-JOSEPH CURTAZ Il curato Curtaz era un esoso furbacchione – oltre che un esperto azzeccagarbugli – nello scorporare redditi reali da lui goduti, togliendoli dal conto generale della Congrua parrocchiale. Ma gli issimesi non erano certo degli ingenui e cominciarono subito a fargli le pulci sul resoconto da lui inviato al vescovo. Il giorno 29 marzo 1777, di pomeriggio, nelle doumielles del segretario, luogo dove si sogliono tenere le assemblee previo il suono del campanone, si radunano i capifamiglia della parrocchia. Presiede Jean-Baptiste Albert, notaio e Regio Luogotenente – Giudice di Vallaise e d’Issime. Sono presenti il sindaco della Comunità Louis del fu Jean Ronco ed i suoi consiglieri: Jean-Antoine del fu Jean-Baptiste Stevenin, Jean-Jacques del fu Jean-Jacques Chistillin, Pierre del fu Jean Consol, Mathieu del fu Mathieu Roux e Jean Panthaléon del fu Jean-Baptiste Tren13 Altare maggiore della primitiva cappella di San Michele del villaggio di Quiamourséira ad Issime-Saint-Michel (attuale Gaby). Nel 1824 in occasione della ricostruzione della chiesa parrocchiale si realizzò un nuovo altare, l’antico fu collocato nel terzo fornice sul lato destro. Quest’ultimo era stato realizzato nel 1748, in occasione dell’ingrandimento del coro della vecchia cappella, da Giovanni Gilardi che apparteneva a quella famiglia di artisti valsesiani che operò per oltre tre secoli in Piemonte, Valle d’Aosta e Savoia, e che realizzarono fra gli altri l’altare maggiore della parrocchia di Issime-Saint-Jacques. Al centro nella parte bassa si trova la statua di Sant’Antonio, che fu collocata al posto di quella di San Michele nel 1824, ai lati San Grato e San Giocondo, mentre in alto al centro San Rocco e ai lati San Pietro e San Paolo. (foto Musso) ta, tutti nativi e abitanti del luogo, assente giustificato il solo consigliere Jean-Jacques del fu Jean-Jacques Labaz. Approfittando del fatto che è presente il Regio Luogotenente, facente anche funzione di Giudice di Vallaise – e cioè il notaio Albert – si comincia con l’avanzare una richiesta de non petendo verso il Sovrano. I re sabaudi, pur di raschiare e incamerare soldi, cercavano piuttosto di riunire insieme fra di loro più parrocchie, anziché scorporarle l’una dall’altra, in tal modo moltiplicandole API – XII. 1. A. a. – Natura dei beni appartenenti alla Cura di Issime. Congrue dei parroci e “Stato delle entrate” della Cura (1777-1786) – “État des revenues de la Cure d’Issime que donne au Conseil de la Communauté d’Issime le curé soussigné tant pour luy que pour son vicaire en exécution des ordres de Monseigneur (l’évêque d’Aoste), etc.”. — 16 — A U G U S T A di numero. Con questo escamotage contabile le Congrue che risultavano in eccesso venivano incamerate. Nihil sub sole novi! Oggi si vogliono, oltre che abolire le provincie, accorpare fra loro i comuni più piccoli, per risparmiare sui costi della burocrazia. Gli issimesi incaricano il Regio Luogotenente di supplicare il re perché non riunisca e non annetta la loro Cura ad alcun’altra, adducendo l’enorme estensione territoriale della parrocchia e la grande distanza che la separa dalle parrocchie circonvicine. In secondo luogo, di non abolire il Vicariato, cioè la possibilità di avere anche un vicario in aiuto al curato. Quindi mettono le mani avanti anche per altri rischi di confische, che già paventano e intravvedono. Il re non pensi di fare unioni e riunioni di rendite private, o di juspatronato, perché il Consiglio dei capifamiglia non possiede, dentro i confini della Comunità, né cappelle private, né cappelle confraternali, né confraternite, né qualsivoglia altra fondazione con redditi propri! Fatte queste richieste e precisazioni preliminari, si comincia ad entrare nel merito delle questioni della Congrua del curato e dell’“État des révenues” della parrocchia. Il titolare Jean-Joseph Curtaz ed il suo vicario presentano un “État des révenues” dell’anno prima, stilato l’8 ottobre 1786. Probabilmente una copia di quello già inviato in Curia al vescovo e protocollato il 5 novembre del medesimo anno. Oltre a questo, presentano un elenco dettagliato dei beni fondiari donati e dei legati alla parrocchia, che però sono gravati da carichi vari (cum onere). Intanto, di fronte agli impegni assunti dai due ecclesiastici verso la Comunità e facenti parte della contropartita in cambio della Congrua, i capifamiglia muovono alcune lagnanze. Dal 4 maggio fino alla prima domenica dopo il 14 settembre di ogni anno, il curato dovrebbe indossare la veste apposita per la recita della Passione, con il relativo suono delle campane. Cosa che non sempre fa con la dovuta costanza. Deve provvedere a tutto quanto previsto (illuminazione notturna e cibo) per il giorno della ”veglia delle anime”, cosa che non fa. Deve andare a benedire gli alpeggi di montagna in estate, senza più chiedere offerte e soldi. Ma lui cerca sempre in qualche modo l’offerta. Deve fornire un certo numero di volte all’anno il pane benedetto a tutti i fedeli, secondo il legato di Gabriel Jaccon, invece questa distribuzione di pane avviene una sola volta all’anno. Deve provvedere lui stesso all’incenso per le benedizioni di tutto l’anno, invece, ad ogni benedizione che gli viene richiesta, lui scuce ai fedeli 5 soldi per il consumo dell’incenso. E così di seguito. IL PRATO DELLA PARROCCHIA C’è poi la vexata questio del prato lungo il Lys sotto il cimitero e la chiesa parrocchiale, Schaffu Mattu in töitschu, che il curato Curtaz sostiene dia un reddito di sole 17,00 o al massimo 20,00 lire annue, e la cui manutenzione, continua e costosa, lui vorrebbe accollare a tutta la Comunità. Ci sarebbe da aprire un intero capitolo su questo prato, che entra a far parte della Congrua, e sulle liti che provoca, per anni, tra curato e Comunità dei capifamiglia. Si tratta sempre del famoso prato di cui al 14 numero 270 del Catasto. Intanto il parroco cerca di muovere a compassione gli issimesi verso il suo povero prato malridotto, e di convincerli a prestargli la – secondo lui – “dovuta” manutenzione e riparazione, cosa che la Comunità, ben consapevole e informata della consuetudine e di un regolamento esistente circa la Congrua, si rifiuta di prendersi in carico. L’estesa piana della parrocchia è tutta disastrata dalle continue alluvioni. E qui il curato fa l’historia calamitatum degli ultimi vent’anni di sciagure. L’inondazione del 14 ottobre 1755, quella del martedì di Pentecoste dell’anno seguente, 1756. Poi le più recenti del 22-23 settembre 1772 e del 26-27 settembre 1776 appena trascorso. Verso nord, i due torrenti di Stollen e d’Ayleix hanno causato danni per un valore di 750 lire. Verso est, sempre il torrente Ayleix ha rotto gran parte dell’argine protettivo, causando danni valutabili in 1.350 lire. Gli issimesi prendono atto che ci sono stati danni enormi, ma non spetta a loro porvi rimedio, e questo per contratto. Il prato è tutto e solo del curato, da quello lui cava delle rendite, ci pensi dunque lui alla manutenzione necessaria. D’altronde lo può sempre, a rigore, vendere…! Intanto i partecipanti all’assemblea sbattono in faccia al Curtaz che sta raccontando una grossa balla col sostenere che quel prato gli rende solo 17,00 lire annue. Il reddito è senz’altro ben più cospicuo, perché ognuno sa bene che prati di quel tipo si affittano a Issime per almeno 4,00 lire a quartannée14, non faccia l’ingenuo o il disinformato! Dato che quel prato è di 13 quartannées di superficie, il conto è subito fatto. Rende almeno 50,00 lire annue! Le 17,00 o 20,00 lire che lui ha dichiarato nell’“État des révenues” non basterebbero neppure per tenere in ordine le muraglie che lo circondano d’attorno e le dighe di protezione che le frequenti inondazioni richiedono. Riparazioni e manutenzioni da cui vorrebbe, oltretutto, esentarsi, rifilandole alla Comunità. E poi quel prato vale tanto, una bella cifra. Ci sono privati acquirenti, interessati all’affare, che hanno dichiarato di mettere sul piatto della bilancia 1.200 lire, escluso il mulino e i connessi diritti d’acqua. Anzi alcuni particolari, interessati a comprarlo, se lo sono fatto stimare dal signor notaio Christillin e, sentito il suo reale valore, gli hanno fatto un’offerta di ben 2.500 lire, accollandosi per di più il carico delle taglie e di tutte le spese di manutenzione, di recinzione e di messa in sicurezza mediante dighe verso il fiume. Anzi terrebbero in funzione anche la strada poderale. Il tutto senza pretendere un soldo o porre alcun gravame o servitù alla Comunità. Visto, poi, che quest’ultima ha intenzione di edificare una nuova Casa parrocchiale o canonica con tutti i suoi annessi e connessi, e per fare ciò avrebbe bisogno della porzione settentrionale di tale prato, il parroco farebbe bene a mettere all’incanto tutto quanto il fondo in questione. Gli converrebbe in ogni caso, sia per l’alto valore del terreno, sia perché – senza la necessaria e costosa manutenzione per ripristinare la diga – rischia solo di vederselo portar via dal fiume in piena alla prossima inondazione, perdendo così non solo la rendita di 4,00 lire per ogni quartannée, ma anche lo stesso capitale. Poiché troveremo, nel corso dello spoglio di questi documenti ecclesiastico-amministrativi, delle misure agrarie lineari e di superficie non più in uso da qualche secolo, ne diamo qui l’equivalente in corrispettivi metrico decimali odierni. Il “Cadastre” del Regno Sardo fu compilato nella seconda metà del Settecento. Il Catasto di Issime, in particolare, fu ultimato nel 1772. Ed ecco le corrispondenze che si possono istituire fra misure antiche e misure oggi in vigore: 1 toise = è una misura di lunghezza corrispondente a 1,872 metri lineari. Sei piedi formano una toise o tesa; 1 toise carré = è una misura di superficie corrispondente a 3,5 mq. all’incirca; 1 quartannée corrisponde a 136 toises carrées e, cioè, all’incirca a 476 mq.; Sei quartannées formano 1 secteur, pari a circa 2.856 mq.; Cfr. Zanolli-Lillianes, Histoire d’une communauté de montagne de la basse Vallée d’Aoste, Tome Ier, Quart 1985; L. Colliard, La Vieille Aoste, Tome second, Musumeci, Aoste 1979. — 17 — A U G U S T A La targa sopra il portale di ingresso alla chiesa parrocchiale di San Michele ricorda le tre tappe della sua storia: l’erezione in parrocchia, la ricostruzione e la consacrazione. (foto Musso) STANARE GLI ABUSIVI DEL NUOVO TERRITORIO PARROCCHIALE Fatte, dunque, le pulci in tasca all’avido ed astuto curato Curtaz, e parlando a suocera perché nuora intenda circa la bontà e necessità di una vantaggiosa vendita del prato – anche in previsione dei lavori di costruzione da farsi su parte del settore settentrionale – i capifamiglia vogliono ancora mettere bene in chiaro che, secondo il nuovo Catasto appena entrato in vigore, ci sono troppe persone foreste che non sono più da ritenersi tali e che, quindi, sfuggono subdolamente ai carichi della Comunità. Sia verso Gressoney, che ancora verso Fontainemore, con il nuovo Cadastre si sono create delle discrasie tra appartenenza a un territorio comunale e appartenenza a un territorio parrocchiale. Bisogna assolutamente che le due cose siano fatte coincidere, sennò qualcuno potrebbe portar acqua alle parrocchie confinanti ed esentarsi dal contribuire alla propria nuova parrocchia di appartenenza. Recando, in tal modo e indirettamente, pesi ulteriori alla Comunità degli issimesi. Viene subito fatto notare come al Cantone di Zapille (che comprendeva anche Pont Trenta), sul territorio della parrocchia di San Giovanni Battista di Gressoney, vi abitino certi particolari, alcuni tutto l’anno, altri per gran parte di esso. Ma ora Zapille, secondo il nuovo Catasto, è inserito civilmente – e quindi anche per ciò che riguarda i beni temporali – nel nuovo distretto comunale di Issime. Nella località Grand Praz, verso Fontainemore, succede l’identico disguido a causa del nuovo Cadastre. In quel cantone abitano tutto l’anno Antoine d’Antoine, Rolland Jacques, figlio di JeanBaptiste Rolland, e ancora Antoine, figlio di Jacques Rolland. Nel Cantone della Piana, che ora è territorio civile di Issime, vive tutto l’anno un certo Jean Barthélémy, pastore di pecore e armenti. Anche ai Cantoni di Ramposin, Ronco, Vuillermet e Chanton vivono numerosi particolari per gran parte dell’anno. La Comunità richiede formalmente che tutti costoro, che vivono tutto o gran parte dell’anno nei Cantoni di Zapille, Grand Praz, Ronc, Vuillermet, Rumposin, Chanton e parte della Piana – e che quindi si trovano inseriti nel nuovo Catasto di Issime – siano d’ora innanzi dichiarati e computati quali nuovi parrocchiani di Issime, tanto nello spirituale quanto nel temporale, e quindi siano tenuti a partecipare in solido con gli altri abitanti ai carichi della Comunità parrocchiale issimese. GLI INTROITI DELLA CONGRUA DEL CURATO La Comunità parrocchiale di Issime è tenuta a pagare al curato e ai suoi successori, in forma di supplemento di Congrua, 860 lire, 13 soldi e 4 denari ad ogni semestre. Il parroco, a sua volta, dovrà pagare ai suoi due vicari 266 lire, 13 soldi e 4 denari. Ci sono poi i cosiddetti “diritti di sepoltura”, con tariffe previamente stabilite dal vescovo: per gli adulti sopra i 12 anni (gros corps) il funerale costerà 4,00 lire, per i bambini sotto i dodici anni, 2,00 lire, cioè la metà. Ma, data l’alta mortalità infantile del tempo, le tariffe ridotte rendono comunque un cospicuo montante annuo. Vengono enumerate poi le rendite fondiarie che vanno a formare parte della Congrua. Si stabilisce che vadano calcolate lire 5,00 di rendita ogni 192 tese di terreni affittati. Il curato, il 26 di dicembre di ogni anno, cioè per santo Stefano, incassa inoltre un donativo da 270 famiglie o fuochi alla somma di 5,00 soldi per famiglia, per un totale di circa 30 lire, più un pane di segale per ogni fuoco, pane che verrà poi rivenduto all’incanto. Quattro volte all’anno, in occasione delle Quattro Tempora, ciascuna famiglia porterà al parroco un pane bianco e una parpagliola in cera o in candele. Stessa cosa si dovrà fare, tutti gli anni, il giorno 2 novembre, festa dei Morti. In più il parroco incasserà 200,00 lire annue come compenso per la sua diuturna presenza e residenza e/o quella del suo vicario. È questo un vero e proprio gettone di presenza ante litteram. I parrocchiani pagavano questi “premi di presenza” per assicurarsi e garantirsi la confessione finale e il Viatico dell’Olio Santo in punto di morte. Il terrore di morire inconfessi o di morte improvvisa era una costante dei secoli passati! C’era poi il legato Gabriel Jaccon, che rendeva due carichi di buon vino rosso di Carema all’anno, — 18 — A U G U S T A alcune altre rendite, ma soprattutto i fitti del pascolo di una piccola montagna sopra il paese piemontese. Il parroco, sempre per lo stesso legato, doveva dire una messa di suffragio nella chiesa di Saint-Jacques, un’altra nell’oratorio di Saint-Michel e una terza in quello di Lilla, a un’ora di cammino dal capoluogo. Per ogni messa percepiva 20 soldi di onorario. Inoltre la Comunità, attraverso il sindaco e i procuratori della chiesa, doveva pagare al curato gli “Chantal” o uffici funebri da celebrarsi il primo lunedì di ogni mese! Il parroco e i suoi vicari dovranno, invece, accollarsi le spese di manutenzione e restauro dei beni in loro godimento come porzioni di Congrua. Su altri pochi balzelli di poco conto soprassediamo15. IL “DÉCRET” DEL 22 APRILE 1777 Le parti in contesa, a questo punto, devono comparire ad Aosta davanti al Signor Assessore e Vice Intendente Linty, delegato e relatore della querelle. Il curato Curta avanza subito la sua solita richiesta di ottenere un supplemento di porzione Congrua a favore del parroco e del suo vicario. Chiede che la Comunità sia inoltre condannata a tale pagamento semestrale. Il Vice Intendente faccia arbitrato e stabilisca quanto dovuto a lui e al suo vicario. Oltre a Jean-Joseph Curta sono presenti il notaio e segretario Louis Christillin (1745-1778) figlio di Mathieu (Loeisch Mattisch) e Jean-Jacques Christillin, in veste di rappresentante e deputato della Comunità di Issime. Viene, anzitutto, data lettura dello “Stato delle entrate” della parrocchia, stilato dal curato in data 5 novembre 1776, e delle deliberazioni dell’Assemblea verbalizzate in data 29 marzo precedente. Il documento è lunghissimo ed è un vero e proprio dibattimento processuale con un continuo e alternato contraddittorio fra le parti in causa. Il curato, testardo, persiste in tutte le sue richieste. Ma, non pago delle rivendicazioni già fatte, esige una somma conveniente anche per le spese di ostie e vino per la messa! Non sa più dove attaccarsi per mungere soldi dalla Comunità. Afferma che non rinuncerà al possesso del prato (Cadastre al numero 270), non rinuncerà alla porzione di giardino che la Comunità gli ha richiesto, in aggiunta alla porzione di prato a settentrione, in previsione della costruzione della nuova canonica. Adduce che la porzione di prato e il pezzo di giardino recintati gli servono per pascolo delle sue bestie e per tenere occupato il suo domestico in lavori di campagna. Vuole avere un luogo chiuso dove far passare l’inverno alle bestie (una stalla?) e poter dar rifugio ai poveri! Questi terreni, che la Comunità vorrebbe per sé, sono antichissimi beni della chiesa i quali entrano nel calcolo della Congrua dei curati issimesi. Certo la canonica attuale è malsana, perché è posta verso nord e la chiesa di San Giacomo, posta a sud, la lascia in ombra, soprattutto d’inverno. Per farla ricostruire in luogo più salubre, obietta il deputato della Comunità Jean-Jacques Christillin, non c’è luogo più adatto che il prato in questione nella porzione che si trova tra la canonica attuale, il giardino del nobile Bioley e la piazza pubblica. La Comunità, per bocca del suo rappresentante, ritorna nuovamente sul “prato della chiesa”. Intanto, ribadisce, quel terreno rende ben più delle misere 17,00 lire dichiarate dal curato. In paese si affittano prati identici al prezzo di 4,00 lire a quartannée. Poi, un eventuale acquirente si impegnerebbe a rivendere a prezzo invariato la parte settentrionale di questo prato per ricostruirci sopra la canonica con tutti i suoi annessi. Inoltre, diventando in parte area fabbricabile, farebbe lievitare il prezzo anche del rimanente terreno al numero 270 del Catasto. In alternativa, visto che il curato asserisce essergli necessario un prato, la Comunità è disposta a permutarlo con altro prato di ugual valore e rendita. Questo potrebbe essere il prato al Crest, che non è neanche troppo distante dalla Cura. In più è completamente fuori dal pericolo, sempre incombente a Issime, di inondazioni. In terzo luogo la sua manutenzione costerebbe infinitamente meno che non quella del “prato della chiesa”. Anzi gli issimesi faranno petizione in tal senso a “sa grandeur l’illustrissime évêque” di Aosta. Nonostante le offerte, anche vantaggiose, che gli sono state fatte, il curato Curtaz rifiuta ancora una volta di venire incontro alla Comunità. Tiene duro nel sostenere la tesi della rendita delle 17,00 lire, perché, secondo lui, quattro lire a quartannée le potrebbe ricavare il contadino che conduce in proprio un fondo, ma lui deve farlo condurre da terzi. Casomai vorrebbe un giurì esterno che valutasse il valore dei raccolti del prato e quindi calcolasse una rendita reale e non solo presunta. La Comunità ribadisce ancora che, stando all’articolo sesto che regola – per ordine del reverendo Vicario capitolare del 30 aprile 1736 – l’“État des revénues”, la manutenzione del prato è a carico dell’usufruttuario o proprietario, cioè del curato, che invece ne vorrebbe essere esentato. La Comunità non vuole ulteriori aggravii, è già oberata dal raddoppio annuale della taglia generale e non può permettersi di accollarsi anche un supplemento di Congrua per il curato. D’altronde ha già istituito un fondo, negli anni scorsi, per pagare una scuola parrocchiale che possa durare alcune settimane in periodo estivo, quando purtroppo però i figli sono occupati anch’essi nei lavori sugli alpeggi. E pure un altro fondo per la missione fra il popolo e per la processione delle Rogazioni. Per questi motivi la Comunità farà ricorso a monsignor vescovo, alla sua bontà e al suo senso della giustizia, perché favorisca la permuta dei due terreni in favore della pensione Congrua del curato e del vicario. La Reale Delegazione ingiunge al curato di presentare, entro 10 giorni, il testo del legato testamentario di Gabriel Jaccon, rogato il 9 novembre 1730, di cui all’articolo 4 del sopraccitato regolamento. Il curato, a sua volta, promette di aumentare il valore stimato dei prodotti del prato, portandone la rendita a 32,00 lire annue, da computare come parte della Congrua parrocchiale. Questo “décret” è sottoscritto da JeanJoseph Curtaz, curato; Louis Chistillin, notaio deputato con atto del 27 aprile corrente; Jean-Jacques Christillin deputato con atto consolare del 20 marzo scorso16. IL COMPROMESSO DEL 16 NOVEMBRE 1779 SUL “PRATO DELLA CHIESA” Il giorno lunedì 16 novembre 1779, nel capoluogo e nella casa di Jean-Jacques Christillin, alla presenza di Jean Christillin (1738- API – XII. 1. A. a. – Natura dei beni appartenenti alla Cura di Issime. Congrue dei parroci e “Stato delle entrate” della Cura (1777-1786) – Verbale di delibera del Consiglio dei capifamiglia di Issime in data 29 marzo 1777, firmato Jean-Baptist Albert, Luogotenente e Giudice; contro-firmato Louis Christillin Notaio e Segretario. Per essere poi trasmesso in copia all’Ufficio della Delegazione e Collazione. 16 API – XII. 1. A. a. – Natura dei beni appartenenti alla Cura di Issime. Congrue dei parroci e “Stato delle entrate” della Cura (1777-1786) – Decreto del 1777, che convoca le parti in riunione davanti alla Reale Delegazione, il 22 aprile 1777, firmato Vignet des Etoles, Réau Linty. 15 — 19 — A U G U S T A 1808) figlio di Mathieu (Loeisch Mattisch), membro della Reale delegazione, deputato del Signor Intendente Generale della provincia e capo delegazione. Tra – da una parte – il reverendo curato Jean-Joseph Curta – dall’altra parte – Jean-Jacques Christillin, deputato con atto consolare del 29 marzo 1777, rogato e firmato Louis Chistillin notaio e segretario. Assistito costui da Pierre Consol, consigliere più anziano, Pierre Busso, Jean-Christophle Christille, Pierre Christillin e Jean Antoine Panthaléon Trenta. In attesa di altre proposte amichevoli relative al reddito annuo del “prato della chiesa”, esistente al numero 270 del Catasto, posto a sud del giardino, chiesa e piazza pubblica d’Issime, prato minacciato dalla corrosione del torrente Ayleix, si è convenuto quanto segue: 1. – il curato deve portare la rendita del prato da 17,00 lire a 50,00 lire annue; 2. – il prato è da affittare o godere a 4,00 lire per quartannée; lo stesso è di 64 trabucchi, cioè di 171 tese e 2/3; il fondo è da proteggersi dalle esondazioni del fiume e da riparare con manutenzioni sia ordinarie che straordinarie; 3. – la Comunità si fa carico di rimettere in buon stato e buon prato tutta la zona del fondo diventata ghiaiosa e distrutta dalle esondazioni; 4. – la stessa si fa carico altresì di riattare le muraglie di protezione del medesimo prato, per tutta la superficie di 70 trabucchi. Inoltre riparerà dighe, ponti pubblici, strade; 5. – la Comunità si impegnerà a ricostruire le dighe di protezione distrutte o danneggiate; 6. – la eventuale vendita del detto prato è indisgiungibile dall’enfiteusi del mulino che vi sta dentro; 7. – la Comunità si offre di commutare tali opere di riattamento, pagando il corrispettivo di Congrua in denaro contante; 8. – il curato conserva il suo giardino di 300 tese; 9. – il regolamento del 1736 resta valido, finché monsignor vescovo non ne approvi un altro17. Fino a questo punto il parroco JeanJoseph Curtaz, più che remare per rendere indipendenti nello spirituale gli abitanti di Gaby, rema per rimpinguare più che può la Congrua parrocchiale, la quale interessa quasi esclusivamente a lui e al suo vicario che lo coadiuva nel capoluogo. Ma se già, di tutte queste continue ed esose richieste del loro curato per avere supplementi di Congrua, non ne possono più gli abitanti di Issime, figuriamoci quelli del Terzo di Sopra e i residenti disagiati di tutti quei numerosi villaggi, distanti da una fino a due ore e mezzo di cammino dalla parrocchiale di San Giacomo! GLI ABITANTI DI ISSIME-SAINT-MICHEL VOGLIONO STACCARSI DALLA CURA DI SAINT-JACQUES I documenti della seconda metà del Settecento circa i curati, i vicari, la Comunità degli abitanti non finiscono certamente qui, ma non possiamo inseguire tutti gli avvenimenti civili, e soprattutto quelli ecclesiastici, di quell’intricato periodo di avvenimenti locali, oramai sul finire dell’Ancien Régime. Ancora il 17 aprile del 1780 la Comunità dei capifamiglia di Issime deliberava e insieme discuteva con curato e vicario di soldi da sborsare. Il parroco Jean-Joseph Curtaz era uomo, oltre che esoso e spilorcio, anche testardo e per niente malleabile e diplomatico con le sue pecorelle! La gente era sempre più seccata per le sue continue richieste di sempre nuovi contributi a vantaggio della sua già grassa prebenda. La storia dei 17 supplementi di porzioni di Congrua del gressonaro Curtaz potrebbe essere materia di studio per un saggio dal titolo “Il prete arpagone”. Ma nel clero di allora (e non solo di allora) parroci come Curtaz non erano certo un’eccezione e neanche una rarità. Se già gli issimesi si sentivano angariati da questo prete e dalla sua vorace brama di denaro, gli abitanti di Gaby e quelli degli altri villaggi ancor più lontani dal capoluogo, come Zapille, Pont Trentaz e Niel non vedevano l’ora di andarsene per conto loro e di emanciparsi dalla dipendenza della parrocchia di Saint-Jacques. Cosa ne fosse venuto in tasca a loro dall’essere ecclesiasticamente sotto la giurisdizione del curato di Issime è facilmente immaginabile! Avevano sempre avuto solo rogne e nessun beneficio. Dovevano pagare in solido, con tutto il resto della vasta e sparpagliatissima Comunità, un terzo delle spese parrocchiali, pagare un terzo della Congrua del Curtaz e del suo vicario, senza averne in cambio nessun servizio liturgico o sacramentale che non fosse la fugace apparizione dei due in occasione della celebrazione della Messa solenne cantata per San Michele Arcangelo, o la loro interessata presenza in occasione di battesimi, matrimoni e funerali, dove c’era da mungere soldi, e tanti, per farsi pagare hors sac, i “casuels”, o “incerti” che dir si voglia. Incerti perché non sai quante pecore potrai tosare in un anno, oltre al godimento del tuo stipendio fisso. Dipende da quanti nasceranno vivi, da quanti vorranno convolare a nozze, da quanti passeranno a miglior vita. Il curato di Issime, poi, aveva un incaricato speciale sul posto, cioè a Gaby, che si doveva premurare di riscuotere anche alcune “decime”, ultimo retaggio di un Medievo che le aveva istituite come “tassa sacramentale” ai tempi di Carlomagno. Se ti nascevano dieci vitelli nella stalla uno andava alla chiesa, se ti nascevano dieci agnelli nell’ovile uno lo dovevi al pievano, se raccoglievi venti covoni di segale nel campo, due andavano consegnati agli incaricati alla riscossione (decimatores), inviati direttamente sul tuo campo durante la mietitura. E non parliamo dei bottali di vino, delle primizie dell’orto, del latte della stalla o dei formaggi dell’alpe! Nel Medioevo tutto quel bendidio finiva per i tre quarti nelle mani del vescovo, eletto dal monarca di turno, il qual vescovo le infeudava poi ai suoi vassalli, masnade armate al suo seguito, che andavano in guerra nella bella stagione al servizio del signor imperatore, vicarius Dei qui in terra, mentre il papa, solitamente suo nemico, era solo vicarius Christi. Il rimanente quarto doveva bastare per mantenere il clero della pieve, tenere in ordine gli edifici sacri e – se avanzava qualche spicciolo – fare l’elemosina e sfamare i più poveri. Ora, non era più così. Il poco o nulla di decime, che non erano divenute patrimonio oramai ereditario delle famiglie nobili e blasonate, le quali avevano seguito un tempo il vescovo in armi, rimanevano appannaggio della Cura. La lunga lotta per le “investiture” tra papa e imperatore – contrariamente a tanta storiografia di parte – era sorta non tanto per avere potere sul pastorale dei vescovi, ma per aver potere sulla spada dei vescovi. Spada che fruttava un patrimonio enorme in decime. I buoni abitanti di Issime-Saint-Michel, come si chiamava ancora Gaby, non potevano certo ricordarsi il motivo e l’origine remota di quelle decime (dîmes). Per loro API – XII. 1. A. a. – Natura dei beni appartenenti alla Cura di Issime. Congrue dei parroci e “Stato delle entrate” della Cura (1777-1786) – Risultanze delle varie assemblee, in merito alle questioni dibattute più sopra, sullo “Stato delle entrate” della Cura e problemi connessi. Compromesso provvisorio fra le parti. — 20 — A U G U S T A era una delle tante, troppe taglie, in mano, in modo capillare, tutta che si vedevano recapitare ogni la farraginosa documentazione anno e che era giocoforza, per d’archivio. Nel frattempo, però, diritto consuetudinario, pagare abbiamo trascritto integralmente molti documenti, sia in lingua tacendo. Ma di più, non solo pagavano la parrocchia e il curato latina che in lingua francese locale. Questi documenti non li di Saint-Jacques per non ricevere servizi corrispettivi, ma erapubblicheremo, ovviamente, in no costretti – per avere la messa calce a questo lavoro – con la tutte le mattine e per avere un sola esclusione di uno, che riteniamo fondamentale – ma li terprete accanto in caso di malattia remo via a parte per una evene di agonia – a stipendiare un tuale appendice documentaria prete mercenario o a contratto da farsi qualora si voglia allestiatipico, onde avere uno straccio re, in un domani, un intero voludi assistenza spirituale. E quindi a pagare due volte! Il mondo me sulla storia della parrocchia di allora aveva già qualcosa del di Issime dal XII al XXI secolo! nostro di oggi, fatte le debite UN ESCAMOTAGE proporzioni, ovviamente. La burocrazia (ecclesiastica, nel caso) PER SBLOCCARE non erogava servizi sufficienti, LA SITUAZIONE ma le tasse aumentavano lo stesI tentativi di separarsi da Issiso; la prebenda o Congrua era me erano cominciati di buonora, ma non erano mai approdati una voragine di balzelli e taglie, a buon fine. A un certo punto ma tu eri costretto a rivolgerti ci dev’essere stato lo zampino al privato – a pagamento – per di influenti personaggi oriundi avere quei servizi che la parrocchia ufficiale non ti assicurava. della Comunità issimese e della Nihil sub sole novi! Nello Stato di Valle del Lys, che hanno saputo oggi, come nella Chiesa di ieri! I dare le giuste dritte al Consiglio documenti, che accompagnano degli abitanti di Gaby e al loro lo scorporo di Gaby da Issime Rettore, il vicario corrispettivo nello spirituale, sono tantissimi “precario” del vicario “garantito” e in massima parte concentrati di Saint-Jacques. Ad Aosta, vi era Litografia della chiesa parrocchiale di San Michele nell’ultimo quinquennio prima il giudice Jean Christillin (1738contenuta nel libro “A Gressoney per val d’Andorno” pubblicato da Domenico Vallino a Biella nel 1877 dell’ottenuta autonomia. Fin 1808), che fungeva spesso anche dalla tipografia Amosso. (collezione Cavalli) che c’è in campo il curato Jeanda Vice Intendente della provincia; vi era il priore di Sant’Orso, Joseph Curtaz, le procedure Jean-Adam Linty, che era anche Vicario generale del vescovo vanno al rallentatore, quando, alla morte di questi18, arriverà un nuovo parroco, oriundo del luogo, Jean-Ange Ronco19, le Paul-Joseph Solar20. Il Vicario generale, a quest’epoca, rappresenta la seconda autorità ecclesiastica, per grado e importanza, cose procederanno più spedite. Non possiamo, ovviamente, subito dopo il Vescovo. Vi era il reverendo Jean-Baptiste Albert, seguire tutti i numerosi step burocratici partendo dal 1780 per cancelliere della Curia episcopale di Aosta. Tutte persone che arrivare al 1786, anno della festa della liberazione dalle catene contavano moltissimo, anche perché erano funzionari di Curia a di Saint-Jacques di Issime, anche se di vera liberazione trattavasi al tempo del Curtaz, molto meno o per nulla al tempo del stretto contatto col vescovo Solar, il presule che concederà l’indipendenza ai fedeli di Gaby. Insomma avere buone conoscenze Roncoz. Ma la macchina ecclesiastica si era oramai messa in in alto poteva essere utile, soprattutto se si era anche un po’ moto e nessuno più l’avrebbe potuta fermare. Esamineremo imparentati, sia pure alla lunga, con questi potenti personaggi. in breve solo tre documenti chiave che portano alla separazione, limitandoci a citare in nota i documenti intermedi meno Dal 1784 era curato di Issime, come già accennato, Jean-Ange importanti. Solo quando decideremo ex professo di fare una Ronco, che era in ottimi rapporti sia col Vicario generale della storia della parrocchia di Saint-Michel di Gaby riprenderemo diocesi che con il cancelliere di Curia. Grazie ai buoni uffici di API – XII. 1. A. a. – Natura dei beni appartenenti alla Cura di Issime. Congrue dei parroci e “Stato delle entrate” della Cura (1777-1786) – Risultanze delle varie assemblee, in merito alle questioni dibattute più sopra, sullo “Stato delle entrate” della Cura e problemi connessi. Compromesso provvisorio fra le parti. 19 Il curato Jean-Ange Roncoz è nativo del piccolo villaggio di Rollie di Issime. Probabilmente appartenente alla famiglia Tönzisch. Resterà parroco di Issime dal 1785 fino al 1815, per ben trent’anni, benvoluto dai suoi fedeli e compatrioti. 20 Paul-Joseph Solar de Villeneuve era nato a Polten in Transilvania il 24 gennaio 1743. Suo padre era il conte Jean-Baptiste Solar, di una nobile famiglia di Asti, che seguiva le armate austriache come colonnello. Lui, Paul-Joseph, era nato proprio quando il padre era in Transilvania per operazioni militari. Era diventato vescovo di Aosta nel 1784. 18 — 21 — A U G U S T A questi suoi influenti conoscenti, e forse pure amici, aveva già avuto l’onore di accogliere a Issime il vescovo aostano, accompagnato da entrambi questi suoi funzionari. Probabilmente aveva avuto modo di spiegare al vescovo, al suo Vicario e al suo cancelliere i problemi che assillavano il Terzo di Sopra di Issime. Ma la burocrazia non poteva essere scavalcata in nessuna maniera. Bisognava attenersi rigidamente al diritto canonico, pertanto non si potevano prendere scorciatoie. Il primo consiglio che fu dato agli aspiranti nuovi parrocchiani di San Michele fu di parificare giuridicamente il loro Rettore che, per il diritto canonico era un avventizio a pagamento al soldo di privati, al vicario del curato. La parrocchia di Saint-Jacques d’Issime doveva chiedere non uno, ma due vicari, per un servizio più completo ed efficace a vantaggio delle anime di tutto il territorio della Cura, anche le più disperse e lontane, le quali, per non sciropparsi i due chilometri e oltre che le separavano dalla chiesa di Issime-Saint-Jacques, preferivano ascoltare la messa del rettore di Gaby, a solo un’ora, o poco più, da casa loro21. Infatti, già dal tempo del curato Curtaz, gli abitanti di Gaby avevano inviato una petizione in Curia per dire che la distanza della parrocchia di Issime da Gaby, e ancor più da Zapille, Pont Trentaz, Niel e altri dieci tra villaggi e semplici cascinali sparsi, era esagerata, soprattutto d’inverno con il pericolo delle valanghe e nelle stagioni piovose con l’esondazione di fiumi, torrenti e riali. La Curia aveva preso atto del disagio esistente e aveva incaricato il prevosto della Cattedrale di Aosta Jean-Pierre Dondeynaz22 di prendere le opportune informazioni e poi di provvedere alla bisogna23. Il vescovo di allora, Pierre-François de Sales, anzi, l’aveva nominato “Ufficiale specialmente deputato” per questo problema sorto nella Valle del Lys. GLI ULTIMI ANNI PRIMA DELLO STACCO DEFINITIVO Il 17 giugno 1781, al solito suono del campanone, si raduna, per l’ennesima volta il Consiglio di tutta la Comunità di Issime, presieduto da Joseph Alby Notaio e Giudice. È presente in primis il Consiglio della parrocchia formato dal sindaco JeanJacques Labaz e dai suoi consiglieri: Jean Panthaléon Trenta, Pierre Bussoz, Jean Christophle Christille, Pierre Christillin e Jacques Lazier. Segretario Jean-Baptiste Albert. Si chiede conto al sindaco e ai consiglieri di una certa lettera mai stata aperta, e ribadita, nel suo contenuto, in data 14 corrente giugno, dall’Intendente Generale del Ducato, Vignet des Etoles, il quale dà ordine alla Comunità di deliberare sulla richiesta presentata dai particolari di Gaby e dal loro Rettore. La lettera giaceva inevasa fin dal 13 aprile dell’anno precedente. Il sindaco e due consiglieri si giustificano dicendo che loro sono analfabeti (illettrés) e pertanto il notaio non gliel’ha forse letta quando avrebbe dovuto farlo (ma gli altri non illettrés?). Forse il malefico curato Curtaz aveva subdolamente interferito nella faccenda, dando interessati consigli a sindaco e consiglieri? Sta di fatto che salta fuori una petizione con la richiesta di avere un curato per conto proprio. La lettera è lunga e complessa. Gli abitanti del Terzo di Sopra formano 1/3 dell’intera parrocchia e contribuiscono in solido alle spese generali annuali. Inoltre versano agli esattori del reverendo curato 200,00 lire annue per scontro di “decime”, e non già come contributo pro rata di 1/3, alla Congrua parrocchiale a favore del curato e del suo vicario. Questa è ulteriore e in più, rispetto alle 200,00 lire di decime pagate. La giustizia distributiva vorrebbe che, a un terzo dei contributi di Congrua, corrispondesse almeno un terzo dei servizi religiosi erogati. Invece, se vogliono continuare ad avere una messa comoda tutte le mattine, devono pagarsi a parte un Rettore, che, oltre alla messa quotidiana, si limita solamente a confessare qualche malato. Lui non può, infatti, amministrare alcun altro sacramento che preveda il pagamento di una tariffa (“incerti”). Praticamente, osservano quelli di Gaby, noi abbiamo una sorta di sub-vicario della parrocchia, che ci costa complessivamente due volte tanto con in più gli interessi. La pensione per il Rettore di Gaby, che celebra la messa quotidianamente, sia fatta gravare almeno sulla rendita generale della parrocchia24. Il Dondeynaz, nel suo rapporto al vescovo, fa notare cinque incongruenze e ingiustizie nel modo di distribuire le rendite della parrocchia, sia da parte del Consiglio della Comunità che, soprattutto da parte del curato Curtaz. Non li stiamo a esaminare tutti. Diciamo solo che anche il Dondeynaz fa notare che gli abitanti di Gaby e uniti pagano ingiustamente due volte. Pagano il loro terzo, in solido con gli API – XII. 1. A. a. – Natura dei beni appartenenti alla Cura di Issime. Congrue dei parroci e “Stato delle entrate” della Cura (1777-1786) – Obligation pour la Commune d’Issime de maintenir un Vicaire en Rev.d curé local (1781); Questo documento sarà seguito da uno analogo stilato da Jean-Pierre Dondeynaz solo cinque mesi prima dell’Atto di separazione ufficiale. Cfr. A.V.A. (Archivio Vescovile di Aosta). Atti di Curia – Déclaratoire sur la necessité de deux Vicaires dans la paroisse d’Issime (18 juin 1786); Nel documento del 1781 era detto testualmente: “la Communauté d’Issime (est) tenüe de payer au Revérend curé et a ses successeur en dette cure, pour supplement de Congrüe, la somme de huit cent soixante une livres, treize sols, quatre denier pour semestre, anticipé à charge d’entretenir deux Vicaires, l’un demeurant au Gaby et l’autre demeurant avec lui, auxquels il devra paijer de la même manière deux cent soixant six livres, treize sol set quatre denier; moyennant la quelle somme, les Revérends curés pro tempore ne pourront plus pretendre aucune dîmes ni offrandes…”! E dato che le decime erano reclamate anche dal curato di San Giovanni Battista di Gressoney il documento prosegue: “…les prestations personnelles (corvées) seront éteintes; elle a en outre reservée le recours a dette Communauté tel que droit contre tous ceux qui pourraient pretendre les dîmes sur son territoire qu’elle declara devoir être limité, comme il est, contre Saint- Jean Baptiste de Gressoney a forme du vestaz (?) du 22juin 1768…”. 22 Jean-Pierre Dondeynaz, dottore in teologia all’Università di Torino, fu nominato canonico-teologo del Capitolo dei canonici della Cattedrale, il 22 marzo 1749, succedendo nella carica al canonico-teologo Joseph Duc (nato a Saint-Jean de Maurienne) che si era suicidato, gettandosi nel pozzo della sua casa canonicale, in preda a feroci mal di testa. I due teologi-canonici erano anche cugini. 23 Così si esprime il Dondeynaz per dare fiato alle richieste del Terzo di Sopra di Issime: “Les hameaux de Zapigli et de Trenta, du côté de Gressoney, sont distants du Gaby d’une petite heure et de l’église paroissial d’environ deux heures. Le village de Niel, du côté d’Andours, est éloigné du Gaby d’un heure et demi et de l’église paroissiale de deux heures et demi, lorsque cette route se fait dans la bonne saison par des personnes robustes. Le village de Niel est fort peuplé, et si l’on ij joint les autres villages du réssort dessu d’Issime qui ont besoin, en profitent du service spirituel du Vicaire, soit Recteur, résidant au Gaby, ou ij trouve au moins quatre cent habitants… En outre il y a une mauvaise qualité des chemins qui conduisent à la paroisse”. Cfr. Déclaratoire sur la necessité, etc. 24 API – XII. 1. A. a. – Natura dei beni appartenenti alla Cura di Issime. Congrue dei parroci e “Stato delle entrate” della Cura (1777-1786) – Recours de Gaby pour le soutien de leur prêtre (17 giugno 1781, che ribadisce altro ricorso precedente, del 13 aprile 1780). 21 — 22 — A U G U S T A Il villaggio di Quiamourséira all’inizio del ‘900, al centro del villaggio la chiesa di San Michele. (collezione Cavalli) altri uomini della Comunità, senza averne beneficio alcuno, pagano poi il Rettore residente, senza che il resto della Comunità dia loro un ugual contributo in proporzione. LO STACCO E L’INDIPENDENZA DA ISSIME-SAINT-JACQUES Il vescovo Pierre François de Sales il 24 marzo 1783 emana un decreto per raccogliere informazioni sullo stato della parrocchia di Issime e sulle condizioni della rettorìa di Gaby-Saint Michel, per poi metterle a verbale. Con altro decreto del 31 maggio seguente e successiva notifica del 4 giugno, in base alle ricerche fatte dal prevosto della Cattedrale Dondeynaz, verbalizza tutto quanto è stato raccolto e appurato dal prevosto ispettore. Il 29 luglio seguente viene redatto il verbale definitivo e il Sommarione. Un rapporto ulteriore viene stilato, sempre dallo stesso prevosto Dondeynaz, il 10 gennaio 1784. Fino a questo momento sono ancora vivi, ma per poco ancora, sia il vescovo de Sales sia il curato Curtaz. Nel 1785 vescovo de Sales e vecchio curato gressonaro sono oramai passati a miglior vita! Il 14 aprile 1785 il nuovo curato Roncoz di Issime dà parere favorevole alla richiesta che anche il Terzo di Sopra di Issime abbia un proprio curato e invia al nuovo vescovo Solar il suo “nulla osta”. 25 26 Il 7 luglio 1786 Paul-Joseph Solar è a Issime nuovamente, per la visita Pastorale, accompagnato dal priore di Sant’Orso di Aosta e suo Vicario generale, Jean-Adam Linty, insieme con altri tre dignitari di Curia. Il parroco Jean-Ange Roncoz gli si fa incontro col suo vicario Sulpice Piavet, presenti il sindaco Jacques Lazier e i procuratori della chiesa25 Jean-Jacques Tempesta e Jean-Jacques Linty26. I giochi sono oramai fatti. Manca solo l’ultima firma per il benestare definitivo, quella dell’autorità civile o statale. Il 18 ottobre 1786 arriva la lettera ufficiale del re, che autorizza l’erezione della nuova parrocchia di Saint-Michel di Gaby. Avevano dato il loro contributo in denaro, per formare la Congrua del nuovo parroco di Saint-Michel, ben 67 capifamiglia di Gaby e villaggi aggregati. Ecco i cognomi più diffusi con a fianco il numero di capifamiglia portanti quel dato cognome: Albert (11), Stevenin (11), Tousco (10), Bastrenta (6), Trenta (4), Lazier (4), Glavina (4), Jaccon (3), Nicodottin (3), Laba (2) e poi ancora Chamonal, Fresc, Pra, Verra, Jon, Freppa, Vualcho, Stevenin, Favre, ecc. L’atto formale costitutivo è pubblicato qui in calce a questo saggio. Quel che è bene, finisce bene. Ma, non paghi della separazione nello spirituale, gli abitanti di Gaby si diedero subito da fare per ottenere una separazione anche nel temporale e, cioè, organizzarsi in comune autonomo. Ci prova- API – Liber Confirmatorum: Acte de Visite de l’église paroissial d’Issime par l’évêque Paul-Joseph Solar de Villeneuve (7 luglio 1786). Egregius Jean-Jacques Linty z’Avukatsch notaio, nacque ad Issime e fu battezzato il 3 dicembre 1743, era figlio dell’ultimo giudice della Valle del Lys Dominus Jean-Pantaleon Linty avvocato (1708-1771) e di Anna Maria Squinobal di Jean-Jacques e Christine Biolley fu Mathieu. Jean-Jacques sposò il 7 aprile 1761 Marie Pantaleona Christillin Loeisch Mattisch, figlia del notaio Mathieu Christillin (1712-1772) e di Marie Consol, morì ad Issime il 25 giugno 1791, viveva nella casa paterna sulla piazza del paese, oggi casa Pession. — 23 — A U G U S T A La piazzetta al centro del villaggio di Quiamourséira di fronte alla chiesa parrocchiale di San Michele all’inizio degli anni ’50 del ‘900. (collazione Cavalli) rono a varie riprese: nel 1791, 1793, 1799 e 1806. Già con atto consolare del 5 febbraio e del 2 maggio 1791 avevano diviso non solamente i fondi appartenenti alle due parrocchie o chiese, ma anche i fondi e i beni comunali, insieme ai carichi, alle imposizioni e alle corvées comunali! Nel 1824 abbattono l’antica cappella, loro chiesa parrocchiale dal 25 novembre 1786, e ne costruiscono una nuova, che verrà consacrata nel 1829. Il resto è storia ancora tutta da narrare! APPENDICE DOCUMENTALE: L’ATTO UFFICIALE DI SEPARAZIONE DEL 25 NOVEMBRE 1786 Decreto di erezione della parrocchia di Issime San Michele, ovvero Gaby, nel Comune di Issime. Dato dal vescovo di Aosta Paolo Giuseppe Solar de Villeneuve il giorno 24 novembre 1786 [Omissis…] Vû les motifs exposées dans la présente requête, et vû aussi la requête présentée aux mêmes fins par les mêmes habitants du Quartier du Tiers dessus d’Issime, dit Gaby à notre prédecesseur (), suivi de son Décret du 24 mars 1783 pour proceder aux informations requises et en dresser verbal; vû les verbaux auxquels a été procédé par le Très Rev.d Seigneur Dondeynaz, Prévôt de la Cathédrale (), official député et commis, commençant par requête de icelui et Décret du 31 mai et exploit du 4 juin suivant 1783, et finissant par verbal de continuation de Sommaire – apprise de 29 juilliet suivant, aussi bien que le rapport fait par le dit Très Rev.d Seigneur officiel député en date du 10 janvier 1784; vû encore le sentimant du Rev.d Sieur Ronco, curé moderne d’Issime, du 14 avril 1785, sur la necessité d’un curé dans le dit Quartier superieur de la paroisse, et déclarant n’avoir aucune raisons légitimes pour s’opposer à l’érection, soit établissement, d’une cure au dit lieu, le bien spirituel le requérant. Vû finalement leur recours porté aux pieds du Roy et la lettre du 18 octobre 1786 dont S.M. nous a honoré, et n’ayant égard par le présent qu’à la nécessité de pourvoir au bien de leur salut autant qu’il est en Nous, et aussi aux inconvénients graves de leur actuelle situation dont il nous conste, soit par les actes sus-mentionnés, soit par notre propre inspection lors de notre visite pastorale; vû que par l’établissement y subsistant déjà depuis très longues années d’un simple Recteur résidant dans le village de Chamboursière, seulement chargé d’accomplir quelques unes des fonctions du ministère comme il se pratique dans d’autres Rectories du Diocèse, il n’est pas suffisamment pourvu aux besoins spirituels de ce peuple et aux inconvénients sus dits, Nous avons jugé à propos d’établir dans le dit village un Recteur résidant, au moyen de l’entretien et habitation nécessaires qui lui seront fournis, et ce avec pouvoir et obligation de faite toutes les fonctions curiales dans l’Église de Saint Michel et la faculté de percevoir les honoraires, emoluments, offrandes et obventions quelconques et aussi d’acquitter tous les legs, fondations et dévotions dans la dite Église et chapelles rurales incluses dans le territoire ci-dessus assigné, indépendentemment des Révérends Curés de Saint Jacques d’Issime, aux quels nous réservons le droit d’officier le jour de Saint Michel. À ces fins Nous déclarons que le Quartier du Tiers dessus d’Issime, savoir les villages de Saint Michel du Gaby soit Chamboursière, Richermira, Pienas, Maisonnasses, Gaby-dessus et Préde Toucco, Gaby-dessous, Glairas, Glair-dessus et Glair-dessous, Niel, Candelabras [Tsèn dè Labaz], Certaz-dessus et Certaz-dessous, Pont de Trentaz et Zapiller, qui sont composés de cent dixsept familles et d’environs cinqcent quarante deux âmes, feront le territoire spirituel de la Rectorie de Saint Michel d’Issime, assignat aux habitants de ces lieux l’Église située au dit village de Chamboursière sous le vocable de Saint Michel pour y satisfaire à l’obligation d’assister à la Messe paroissiale et à tous les autres devoirs préscrits par Notre Sainte Mère l’Église. Et en conséquence Nous ordonnons aux dits habitants de faire faire un tabernacle et une lampe devant icelui, de faire dresser des fonts baptismaux et de pourvoir la dite Église des vases sacrés et ornements et autres utensiles nécessaires, et de fournir une place convenable et suffissante pour cimetière, et pour procéder à l’entretien et exécution du présent établissement, Nous avons commis et délégué, comme par le present nous commettons et délégons, le Très Rev.d Seigneur Jean Adam Linty, Prieur de l’Insigne Collégiale de Saint Ours d’Aoste, Notre Vicaire général, pour la détermination et fixation du dit territoire spirituel, érriger les fonts batismaux, bénir le cimetière, déterminer les fonctions, fixer les droits funeraires et tous les honoraires pour les fonctions non curiales, qui pourraient être requises soit dans la dite Église soit dans les chapelles qui existent dans le territoire spirituel sus-énoncé, établir dans la dite Église la Confrérie du Très Saint Sacrement et d’ailleur faire tells ordonnances qui pourraient être nécessaires par rapport à la dite Église et Presbitère, permettre l’érection d’un tronc, suivant l’usage du diocèse, et aussi prescrire, à teneur du même usage, la distribution du Pain bénit et l’entretien de l’huile pour la lampe, et généralement faire tous les règlements et ordonnances que pourraient requerir cet établissement, Nous reservant de pourvoir plus amplement en autre temps s’il echoit. À Aoste, ce vingt quatre novembre mille sept cent huitante six. Signé: P.J. (Paul Joseph) Evêque d’Aoste. Contresigné: Jean François Bal, Vice-chancelier. — 24 — A U G U S T A Percorsi nella storia del Vallon de Saint-Grat1 N Donatella Martinet ella nostra regione la viabilità strutturata più antica risale all’epoca romana, ma è probabilmente nel Medio Evo, dall’XI secolo, con l’aumento della popolazione, che inizia la trasformazione del territorio su vasta scala: si scelgono i tracciati meno pericolosi e più agevoli, percorribili dall’uomo e dal bestiame. Qui corre la vita economica della montagna: dai commerci alle transumanze estive e invernali, ma anche pellegrinaggi e processioni religiosi. Tra gli elementi che definiscono un paesaggio e più precisamente un paesaggio rurale, legandolo all’identità di chi lo abita2, vi sono i percorsi storici: vie importanti intervallive (attraverso i colli), percorrenze di transumanza, mulattiere di collegamento tra nuclei abitati, e soprattutto sentieri che permettono a tutte le quote lo sfruttamento del territorio. Gli antichi percorsi montani del vallone di San Grato possono essere in qualche modo ritrovati attraverso i catasti storici: le Livre terrier del 1645, il Cadastre Sarde del 1772, il Catasto di Origine dello Stato di inizio ‘900; nonché tramite una cartografia settecentesca, già in parte pubblicata sulla rivista Augusta del 2012. La testimonianza materiale ci aiuterà, poi, ad analizzare la fitta rete di connessioni giunta sino a noi. Innanzitutto è bene precisare che il catasto è un inventario di beni per scopi fiscali; quindi non è una fotografia dello stato dei luoghi, ma un elenco di elementi utili a determinare le proprietà di ciascuno e, soprattutto, la rendita; inoltre, i registri dei beni immobili del ‘600 e del ‘700 sono solo descrittivi, non sono mappati. I comuni nascono quali organismi consorziali, con raggruppamenti territoriali e di uomini, dalle parrocchie. A partire dal XVI secolo, oltre ad amministrare i beni comuni e a mantenerne in efficienza le opere collettive, ripartono il carico fiscale fra gli abitanti e percepiscono le imposte da versare al governo centrale. Erano amministrati da sindaci o procuratori eletti in seno all’assemblea dei capifamiglia, solitamente due o tre in rappresentanza delle spartizioni del territorio in zone, dette “tiers” o “ressorts”. Ad Issime, il territorio della comunità era stato suddiviso in tre grandi settori: le Tiers dessoubz soit du Plan (comprendente la piana e i valloni in sinistra orografica), le Tiers dessus d’Issime (coincidente con l’attuale territorio di Gaby, allora definito Issime-Saint-Michel) e le Tiers de la Montagnie (il costone della destra orografica del Lys che include il Vallone di San Grato e quello di Burrini3). Il Catasto comunale seicentesco d’Issime è stato probabilmente redatto per mettere ordine ai possedimenti dopo la peste del 1630. Tale documento è solo descrittivo; è organizzato per tenutario (nome, cognome e patronimico; per le vedove il cognome del marito), censisce i terreni, ma non le abitazioni. Stila le qualità dei fondi riferite ai diversi toponimi; ritroviamo i coltivi: campo (champ) e prato irriguo (pré) ed il terreno di raccolta dell’erba tagliata (fénier); i tipi di pascolo: pascolo (pâturage), pascolo fertirrigato (jacz o jetz), pascolo d’alta quota (pasquier), pascolo delle capre, dove si tagliava l’erba con la roncola (feneret(z) – herbage); gli alberi e i boschi: i noceti (nuier), gli ontaneti (verney), i boschi (bois), quelli d’alto fusto (bois noir) e i lariceti (brengues), sino alla boscaglia (boscaiage) e addirittura chi “a indiqué son droit sur des plantes d’arbres” e ancora le terre più ventose, fredde e aride (guerbys), ma soprattutto tanti terreni incolti (vacolles), anche nella versione di terreno erboso poiché incolto (teppes4). Non tutti gli appezzamenti avevano la misura dell’estensione (espressa in séteurs, quartanées, et toises5), ma tutti davano rendita, con conseguente tassazione. Prendiamo, quindi, in considerazione le Tiers de la Montagnie6: in particolare la nomenclatura degli appezzamenti e, nella descrizione dei confinanti, i confini sia geografici sia fisici. Tra i confini geografici troviamo una distinzione dei corsi d’acqua: in valleil (vallecola con acqua), anche nella forma di grand valleil (per i canaloni più importanti) e rial (torrente); delle montagne: “le fort du mont” è il più frequente, ma vi è anche semplicemente “mont”, e “le mont tout autour”; le montagne impervie sono sottolineate dai “fort du mont des pendinnes”, anche “le mont du drieup” (greuppeu?, dirupo) o citate per nome: mont appellé Guelms Vlou, la cime Horen, cime du Volgel, la montagnie de Cimoletta, fort du mont du Gavincien, la cime du Renver de Trente, le Mont des Chamoes; per i comuni confinanti ritroviamo: la cime contre (o de) Challand, o più precisamente la cime de Chasten et de Challand, la cima du lac, e anche la cime contre le lac et Marina (da Marine di Perloz?) les cimes Darvand (di Arnad) la cime de Valleyse, anche in versione prosaica le fort du mont dessus Montroux qu’est sur le feneize de Fontanemore; il colle del Dondeuil è detto, nella miglior tradizione valdostana, Fenestra (finestra). L’Associazione Augusta e l’autrice ringraziano l’arch. Cristina De La Pierre, dirigente regionale della Struttura catalogo e beni storico artistici e architettonici, per aver concesso la pubblicazione dell’articolo 2 R. Gambino, in Il senso del paesaggio a cura di P. Castelnovi, ed. IRES, Torino, 2000 3 Ortografia ripresa dalla CTR regionale; i toponimi con la grafia ufficiale töitschu verranno scritti in corsivo. 4 Termine ritrovato grazie a Giovanni Thumiger 5 In O. Zanolli, Lillianes – Histoire d’une communauté de montagne de la basse Vallée d’Aoste, Tome Ier, Musumeci, Quart 1985, pag. 389 e in L. Colliard, La Vieille Aoste, Tome second, Musumeci, Aoste, 1979, pag. 176: 1 toise quarré = 3,5 m² circa; 1 quartanée = 136 toises = circa 476 m²; 1 séteur = 6 quartanées = circa 2856 m². 6 Ho utilizzato una trascrizione redatta a fine 1991dall’ineguagliabile Michele Musso. 1 — 25 — A U G U S T A Carta Topographica (metà del XVIII sec.) in misura del Ducato di Aosta, divisa in quattro parti, Archivio di Stato di Torino, Corte, Carte Topografiche per A e B, Aosta, n. 4, parte I, stralcio relativo all’abitato di Issime e al Vallone di San Grato. E anche le pietraie, sia semplici clappey che grand clappey e anche gli imponenti paravalanghe del Bühl (d’Barru), realizzati a difesa dei prati e degli antichi campi della piana di San Grato (Hubelmatti) dalla valanga che scende dal Galm, definiti “la murgère contre les domicilles du Bul”. Troviamo anche riferimenti alla cappella di Santa Margherita: “pré et champ soubz la chapelle” e a quella di San Grato (a La Croix “la chapelle et domicilles du dit lieu”) o sotto il toponimo Hürllji “la chapelle de Saint-Grat du dit lieu” a Méttelti: 7 8 “les Moures la fontaine et les domicilles”; a Ronc “le Toict de Chiecvres7; la fontaine du moulin de Jean André Rubola dict Jean Ronc” (per me una vecchia conoscenza); a Ruassi: “le Pré la Fontaine; un petit courtil sous les domicilles du dit lieu”. La nomenclatura delle strade storicamente non è ampia; nel “Coustumes du Duché d’Aoste, avec les uz et stils du Pais8”, emanato per la prima volta dal duca Carlo Emanuele I di Savoia il 12 agosto 1586, Livre III, Tiltre XIII, article XXVIII, si decreta che la “voye publique est celle-là, par laquelle les plus Traduzione in francese del toponimo Geissungoade per indicare la baita ancora oggi esistente. Copia anastatica a cura del Conseil régional de la Vallée d’Aoste, Ve Edition, del testo pubblicato a Chambéry, par Lots Pomat, 1688, ppgg. 399-400. — 26 — A U G U S T A communement se font les processions generales, et les enfants se portent baptiser à l’Eglise parrocchiale, et y sont aussi conduites les epousees, pour y recevoir la solemnelle benediction”; gli altri percorsi sono i chemins e i passages.9 Anche nel catasto per la disamina delle strutture viarie del territorio abbiamo veramente poco le stra public, la charrière, le grand chemin, le chemin de l’alp, le chemin public, le chemin, le chemin damon, le chemin “tendant” o “du” oppure “des”, ma anche il richiamo a più chemins, con chemin - l’autre chemin o les deux chemins o il semplice sentier. Le riassumo nello spec9 chietto sottostante, dove “f.” sta per il foglio di riferimento del proprietario nel libro del catasto. CADASTRE D’ISSIME - TIERS DE LA MONTAGNIE - 1645 f.Toponimi Tipologia 799 Le pré dy Bernicadin dessoubz (Benikoadi) chemin public 803 Le champ et pré dernier la parey de Bernicadin chemin public 803 La Matta (Mattu) la charrière 806 Bord - le champ de la Pissina et des Vourres (Buart)chemin Ibidem, Livre III, Tiltre XIII. — 27 — A U G U S T A 806 Bord - le champ de la Pissina et des Vourres le chemin des Vourres 806 Bord - le pré dernier la chapelle chemin 806 Bord - le Fenier du Cappil (Kappil) chemin du Cappil 811 Bord - le Ronc du Creston chemin 816 Bord - le Champ souz le chemin chemin 816 Bord - le Ronc du Creston chemin damon 819 Pra Sanin dessoubz (Pressevin)chemin 819 Pra Sanin damon - le Champ dil Maccher(s)e chemin public 821 Pra Sanin dessoubz - le Champ d’Enchoz chemin 826 Pra Sanin - le Champ devant le poille chemin 826 Pra Sanin dessoubz - Zoppo(e) chemin 826 Roozes - le Pré la Fontaine (Ruassi) chemin 826 Bech - le Becher (Bech) le chemin 826 La Mettia (Méttju)chemin 826 Valfreda - Arbuncrot (sic) (Valfreidu)chemin 829 Pra Sanin chemin 829 Pra Sanin dessoubz chemin public 829 Pra Sanin dessoubz - l’Hebilly (Eebillji)chemin 829 Pra Sanin damon - le Berio Blanc chemin 829Vualc (Walkhu) chemin tendant au Ronc 832 Pra Sanin dessoubz - Chomina chemin 832 Pra Sanin damon - l’Heritage du Blanc la charrière 832 Langzinneres damon (uabru Lansiniri) chemin public 832 Grer(d)on Herb (Gradunérp)chemin 832 Stoubes - le Bul (Bühl)chemin 830 Langzinneres damon - la Ruttin chemin public 830 Langzinneres - Bul le grand chemin 830 Vleuches - la Leuye (Vlüeckhjini)chemin 830Vleuches (Vlüeckhji)chemin 830 Vleuches – Vourt (Woart)chemin 832 Langzinneres chemin public 832 Langzinneres dessoubz chemin 846 Bord - le Champ de Guerda chemin 846 Bord - le pré et champ soubz la Chapelle le chemin 846 Bord - le pré soubz le chemin 846 Bord - le Ronc soit la Fontaine chemin de valleil 846 Vuechs Cherten le chemin 850 Zuna - le Champ de la Communa (Zöin) chemin - l’autre chemin 850 La Croix - le Champ souz la Croix (Chröiz)chemin 850 Lin(v)fam (sic) (Invanh) le chemin de l’alp - la charrière 850 Rich - le Rich dessoubz (Réich) le chemin 854 Bord - le Champ de Jeanne avec la vacolle annexée chemin - chemin des Voures 854 Bord - le pré dernier la Chapelle chemin 854 Bord - le pré de la Pissine chemin 854 Bord - le pré soubz le chemin chemin - le chemin damon 854 Bord - le Ronc dernier le Pallier chemin 854 Bord - les Fonatines chemin 857 Bord - le Champ de la Rovina chemin 857 Bord - le Champ du Ronc chemin 860 Czuna - Czuna et le Beic (?) chemin 860 La Matta - La Buna chemin 862Czuna chemin 862 La Matta charrière 866Zuna chemin 869 Les Vleuches chemin 869 Les Haltes (Vlüeckhji) chemin de l’alp 871 La Mettia chemin de l’alp - le chemin 874 Meteltin – Richmal (Méttelti) la charrière 879 Vleuches - les Champs de Vleuches chemin 879 Vleuches - les Champs de Vleuches chemin 879 Vleuches - les Haltes (Hoalti) chemin de l’alp 879 Munes - le petit Jacz contre les domicilles (Mühni)chemin 882 Bul - Hobeltin la charrière 886 La Matta - la Buna la charrière 886 La Matta - la Buna chemin 888 La Matta la charrière 888 La Matta - la Buna chemin 888 Rich - Bachtellin chemin 894 Obel – Hobal (Hubal)chemin 896 Roocles - le Pré e la Fontaines (Ronka)chemin 896 Roocles – Teuffin (Toeifi)chemin 896 Jouxte les domicilles du Meitiltin la charrière 896 Le Vualtz (Woart)chemin 899 Roozes - les Roozes (Ruassi)chemin 901 Gredon Herb (Gradunérp)chemin 901 Metiltin - les Moures la charrière 901 Metiltin - le Guerda du Metiltin chemin 901 Metiltin - la Buna chemin 904 Metiltin - la Gavina chemin 906 Les Beches - les Choimnz (Bech)chemin 909 Borines - Ronchien chemin 911 Munes - les Munes dessoubz (undrun Mühni) la charriera tendant en Fenestra 913 Mitiltin - le Champ de la Matta (Méttelti)chemin 913 Mitiltin - Les Moures la charriera 913 Mitiltin - Les Beules damon chemin 915 Mitiltin - Les Moures la charrière 915 Mitiltin - la Buna chemin 917 Mitiltin - la Matta charrière 917 Mitiltin - Les Moures charrière 917 Metiltin - la Buna chemin 920 Metiltin chemin de l’alp 924 Obel - la Croppa chemin 924 Chastellar – Greigueré (Tschachtelljer) chemin tendant a la Vualca 928 Beches - Chomine chemin tendant en Scheitz 936 Beches - Stubes le mur soubz le sentier du dit lieu 938Obel chemin 945 Les Vleuches - le fontaines dernier les domicilles chemin 945 Les Vleuches chemin 945 Vleuches - le Zoppo (sic) chemin 961 Vleuches - la Heuye (Hüejini) chemin public 961 Vleuches - la Heuye chemin 961 Les Vleuches dessoubz chemin - chemin 963 Vleuches - le champ de la Heuye chemin 965 Vleuches chemin de l’alp 970 Scheites - vers le Rascard (Scheiti)chemin 971 Chastellar - Blatmena chemin 973 Hobal - la Croppa (sic) chemin tendant a la Vualcha 975 Gannour - le Moular du Vernicz le stra public 995 Borines - la Fontaine chemin 997 Ly Borines le chemin dy Vutriacz 999 Chastellar - les Champs de Lintin deux chemins 1003 Borines – Halta (Hoalti) chemin - chemin 1013 Borines - le Vualbm chemin 1015 Borines - le champ damon le Four chemin public 1015 Borines - Pailleron chemin 1018 Borines - les Borines damon chemin public 1020 Borines - Lecca chemin public 1020 Borines - les courts des Borines chemin 1020 Borines - Bois de Pra Estevenot (Preschtevenuart)chemin 1022 Borines - les Borines damon chemin public 1024 Borines - Lecca chemin public 1028 Les Borines chemin — 28 — A U G U S T A 1029 Borines - La Guerba 1030 Les Borines 1046Chastelestaing (Tschachtulljustein) chemin public chemin chemin tendant à la Velbi (d’Wélbi) Il XVIII secolo è caratterizzato dall’opera riformatrice di tre sovrani, Vittorio Amedeo II (1685-1730), Carlo Emanuele III (1730-1773) e Vittorio Amedeo III (1773-1796), che conducono il ducato verso uno Stato più “moderno” e centralizzato sopprimendo le vecchie leggi feudali. Nel corso del ’700, l’Amministrazione centrale sabauda promuove anche campagne di rilevamento, organizzate dall’Ufficio cartografico del Regno (istituito nel 1738)10, al fine di individuare su carte tematiche le risorse proto-industriali del territorio (miniere, cave e opifici) e dei percorsi per raggiungerle. Gli estensori sono tutti ingegneri topografi al servizio dell’Amministrazione sabauda tra gli anni centrali del Settecento e la fine del secolo, incaricati delle diverse operazioni di rilevamento del territorio: Giovanni Battista Sottis, in carica dal 21 aprile 1738 e direttore applicato all’Archivio delle carte topografiche del Regno dal 28 aprile 1761, morto a Torino presumibilmente nel 1770; Domenico Carello (o Carelli), nominato ingegnere topografo il 24 aprile 1739; Antonio Durieu, ingegnere effettivo dal 14 gennaio 1744 e pagato nel 1766 per la formazione di una parte della carta topografica dei Regi Stati, edita poi nel 1772 (con incisioni di Giacomo Stagnone su disegni di Vittorio Boasso); Giovanni Giuseppe Avico, in servizio almeno dal 1747 e morto a Torino il 31 agosto 1790; Pietro Vincenzo Denis, la cui attività è documentata soprattutto per gli anni Ottanta del Settecento11. La prima mappa storica dell’intera Regione contenente informazioni particolareggiate del territorio in esame (la valle del Lys è denominata Vallaise – confina con il Biellese, la valle d’Andrate e Sesia, il Vallais e la vallée de Challant), è la Carta Topographica in misura del Ducato di Aosta. Redatta tra il 1755 e il 175712, è divisa in due fogli (a scala lievemente differente) e quattro parti; è a penna, ad inchiostro nero e rosso, e ad acquerello a più colori, la scala grafica adottata è di 1000 trabucchi13; è firmata in basso a destra: “Originale dai sig.ri Avico Durieu, Carelli, Denis e Sottis”, dove poco sopra campeggia la legenda definita “Indice de Segni”. Comprende i percorsi (Strade Carreggiabili, Strade a Cavallo e Strade a Pedoni), arricchiti dalla presenza di Capelle e Pilloni, Croci di legno e Fontane. Ricoprono grande interesse le indi- La mulattiera che conduce al Vallone di San Grato sulla Costa di Issime nei pressi del villaggio di Crose, lungo il prato detto Prumutu mattu. La mulattiera è in trincea, tra due ali di muretti a secco. (foto Musso) M. Carassi, La conoscenza del territorio, in Archivio di Stato di Torino, Il tesoro del principe, Titoli carte memorie per il governo dello Stato, S.E.I., Torino 1989, pp. 124-144. 11 C. Braida, L. Coli, D. Sesia, Catalogo degli Ingegneri ed Architetti operosi in Piemonte nel Sei e Settecento, in Atti e Rassegna tecnica della Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino, n.s., XVII (marzo 1963), n. 3, pp. 82-142. 12 Catalogo della mostra La Vallée d’Aoste sur la scène – Cartografia e arte del Governo 1680-1860, a cura di 24 ORE Cultura, Pero (MI), 2011, ppgg. 80-81. 13 1000 trabucchi = 12,8 cm, in Catalogo…, op. cit. 10 — 29 — A U G U S T A cazioni relative alle miniere (d’oro, d’argento, di rame, di ferro e di carbone), alle cave di calce, a “Molini et Edificij” (i mulini sono indicati con un asterisco), ai boschi, nonché le diverse indicazioni toponomastiche. Lo stralcio relativo al Vallone di San Grato, notevolmente più dettagliato di quello della limitrofa bassa valle d’Ayas, si trova nella parte I14; indica: – i torrenti denominati Vallon de Severeur (Walkhunbach)15 e vallon de St. Gra (Bülhsclhlucht) e gli altri corsi d’acqua senza nome; – il vallone come Vallon de Severeur et Vallon de St. Gra; – la Montagne de Severeur et de St. Grat, distinta in: le Montagne du Galm, de Valfraida, la Vlou, il Bec de Corne, ma anche la Croix du Vogal soit de l’oiseau (dove era posta una croce di legno) ), la Pointe des lacs e la montagne des lacs, e ancora la Pointe des lacs contre Arnaz et Perloz, nonché la Pointe Prial, la Pointe de Renvers (cima a 2352.9 m a est del col Prial) e il Mée mont; – il col de Chalan (ora col Dondeuil, per gli issimesi Mühnu Vurku); – le due aree umide di Mundschuvett e Réich, sulla carta Mungiuvetta e Rones – (Ruani in realtà è il toponimo che ancora oggi indica il bosco, prima e a fianco di Réich) ed il laghetto di Simulettu, un altro tra tra Wingjil e Rollumattu e les lacs (Siawa) sono specchi d’acqua; – sono specchi d’acqua; – i due percorsi di accesso al vallone, con inizio comune a Rollji, per dividersi a Gründji (dove è segnalata un pilone votivo, ora sito dell’Eremo16) e riunirsi alla cappella di San Grato; sono indicati come strade a cavallo (percorribili con bestie da soma); – il percorso destro arrivato a Bord - Ste. Margueritte (Buart) ha una prima diramazione per Pra Savin (Pressevin); una seconda diramazione per Pra Savin è verosimilmente a Ruassi, passando per Bul (Bülh) sempre con strada a cavallo, per terminare con una “Strada a Pedoni”; – l’accesso pedonale alla Montagne du Galm, per raggiungere il colle e scendere nel vallone di Borines passando per Gavenchi, si diparte sempre dalla zona di Ruassi, transitando a monte della zona di Mattu; – il percorso destro prosegue in costa sino a Munes (Mühni) transitando a monte del moulin des Toubes (Stubbi) e a valle di Meliaz (Méttju); – il tracciato principale proprio a Stubbi presenta un altro bivio, per Wegschkiti (il Tannu più in alto sulla carta), Rittmal e Méttelti; – il percorso sinistro da Hantschécku, dove diventa pedonale, passa da Travers de Bech (Bech), Janserb (Jansérp) e Bodma (Buadma) raggiunge il torrente Severeur (Walkhunbach), lo attraversa, e prosegue in destra orografica sino aux Munes (Mühni); dove si raccorda nuovamente con quello principale, da cavallo, che da San Grato sale in sinistra orografica; – la via pedonale per il colle di Prial, su Fontainemore, ma dal quale si raggiunge agevolmente anche la montagna di Lillianes (oltre il colle il tracciato si biforca), che si diparte dal percorso in destra orografica a undrun Buadma; – l’ultimo tratto da Munes (Mühni) al col de Chalan (ora Dondeuil, per gli issimesi Mühnu Vurku) è sempre cammino percorribile con animali trasportanti carichi; – per i boschi sono indicati e disegnati in modo schematico i Bois des Rones (Ruani) et de Bodma, du renvers de la montagne de Severeur e de Valbonà et Carasva (Karrutzu); – le cappelle S.te Margueritte, di San Grato e Munes; il moulin des Toubes (Stubbi), con relativo canalone d’acqua, e quello di Bronchnu Mülli; – gli edifici in rosso; tra questi uno, a valle della mulattiera oltre il corso d’acqua del mulino, è contrassegnato con una “A”; – oltre ai toponimi, con insediamenti, già citati sono indicati: Vleuchies (Vlüeckhji), sul costone esposto a sud; Piones (Pianh), Simoletta (Simulettu), Chaites (Scheiti) e Hobal (Hubal), su quello che guarda a nord. Il 15 dicembre 1762 Carlo Emanuele III di Savoia promulga l’Édit de sa majesté portant le Règlement pour l’administration économique du Duché d’Aoste; in esso viene sancita la nascita dei Comuni nel senso attuale del termine. Sostituisce le assemblee dei capi famiglia con un consiglio comunale composto da un numero fisso di consiglieri (da tre a nove a seconda della grandezza del comune), ridefinendone le modalità di elezione, anche quella dei sindaci; stabilisce le competenze dei diversi organismi e i rapporti con l’autorità centrale; nasce la figura del segretario, solitamente un notaio con buone conoscenze di diritto ed aritmetica, che è il vero responsabile dell’amministrazione comunale. Il comune viene sottratto alla vigilanza e subordinazione dal Conseil des Commis17, iniziata dalla prima metà del ’500. Nel 1770 entrano in vigore anche in Valle d’Aosta le leggi e costituzioni di Sua Maestà, più note nell’uso con il titolo di “Regie Costituzioni”, già promulgate nel 1723 da Vittorio Amedeo II, quali programma di riforma in chiave assolutistica delle istituzioni statali. Sono aboliti la Cour de Connaissance, il Coutumier18 e tutte le franchigie; ridimensionato nei suoi poteri il Conseil des Commis; mentre il balivo, quale referente ducale diretto, viene sostituito dall’Intendente. Tuttavia, Vittorio Amedeo III, il 13 agosto 1773, promulga le “Patentes de sa majesté, portant approbation du Règlement particulier pour le Duché d’Aoste”, per mantenere alcune particolarità della Valle19. Infine, con l’editto del 7 ottobre 1783, di circa 200 articoli, perviene un aggiornamento dei regolamenti delle amministrazioni comunali; entra in funzione anche il Cadastre sarde (quello di Issime era stato redatto nel 1772). Anche tale catasto settecentesco è solo descrittivo; consta di due Archivio di Stato di Torino, Corte, Carte Topografiche per A e B, Aosta, n. 4, foglio 1, parte I. I toponimo presenti sulla carta sono trascritti pedissequamente e sono stati affiancati dalla grafia dialettale odierna (tra parentesi, in corsivo); quelli in töitschu senza parentesi non sono sulla mappa, ma servono alla descrizione. 16 É la Grotta della Santissima Agonia del Divin Salvatore e della trasfigurazione di Cristo: nel 1912 doveva essere costruita quale ex voto per concedere grazie ai numerosi emigranti issimesi che ogni anno lasciavano il paese per lavoro; ma venne eretta tre anni dopo, quando l’Italia entrò in guerra, per invocare la protezione per i soldati al fronte. 17 Istituzione valdostana nata il 7 marzo 1536 per volere dell’Assemblea di fronte all’invasione da parte del re Francesco I di Francia dei territori degli stati di Savoia (esclusa la Valle d’Aosta), una sorta di Giunta di Stato del “parlamento” valdostano (Stati Generali) dotata di ampi poteri. 18 Raccolta delle consuetudini valdostane, comprendenti diritto pubblico e privato. 19 L’ultimo atto ufficiale del Conseil des Commis risale al 12 luglio 1845. 14 15 — 30 — A U G U S T A Vallone di San Grato, la mulattiera bassa dan undre Weg o da Vuss Weg al mayen di Ruassi. (foto Claudine Remacle, agosto 2012) Vallone di San Grato, particolare della pavimentazione della mulattiera bassa nel tratto fra il mayen di Ruassi e Gradunérp. (foto Claudine Remacle, luglio 2010) volumi: uno alfabetico (tabelle alphabéthique des possesseurs), ordinato per cognome dei proprietari, l’altro particellare (régistre des numéro suivis), strutturato per numero progressivo di particelle censite percorrendo il territorio da una località all’altra. Apprendiamo, quindi, i nomi dei proprietari, i toponimi, le qualità dei fondi (jardin, pré, champ, pâturage, brousaille, bois, …), comprensive degli incolti (vacolle, glair, marais) e delle strutture abitative (domicile, raccard, cave, étable, abert, anche chapelle, oratoire, four, moulin, nonché masure e chesal e place). I terreni coltivati sono misurati in tese (circa 3,50 m²) e piedi (sottomultiplo della tesa); le rendite dei coltivi sono valutate con un indice differenziato per colture e terreni (degré); quelle degli incolti sono semplicemente stimate; mentre quelle degli alpeggi sono proporzionali ai capi da latte monticati. Nel registro delle particelle, come per il catasto comunale, ritroviamo la descrizione dei confinanti, e tra questi i percorsi storici. Purtroppo, per l’area del vallone la distinzione è stata effettuata solo tra chemin alpal (percorso che porta agli alpeggi), citato solo due volte, credo per caso, chemin (percorso) e sentier (sentiero); mentre la nomenclatura della Piana è più estesa, con l’aggiunta di le grand chemin, o chemin royal, la charrière e le passage. Risulta, comunque, interessante verificare dove passavano i diversi camminamenti e, soprattutto, ove figurano insieme. Riporto in tabella, quindi, alcuni dati significativi derivanti dal libro dei possessori, con il numero progressivo delle particelle catastali, il toponimo e i confini fisici (in testa, in corsivo, lascio a titolo di esempio alcuni villaggi della Piana20). CADASTRE SARDE - PAROISSE D’ISSIME - 1772 n.Leu-dit 581 Pra dessus 611 Plan dessous 632 Champ Rion 639 Champ Rion 658 Champ Long 683 Foures soit Robin 695 Foures soit Robin 706Benicade (Benikoadi) 707 Benicade 20 Levant la charière le chemin le chemin le ru le grand chemin le chemin Midi Couchant Nord le sentier le passage le sentier le chemin le sentier la muraille l’Eylex le valleil le chemin le chemin le chemin le chemin le sentier La Soprintendenza per i beni culturali e ambientali, grazie al coordinamento dell’arch. Flaminia Montanari, nel 1987 ha iniziato una serie di corsi di formazione per rilevatori del patrimonio architettonico minore. Issime è stato censito nella campagna 1997-2000. Sotto la guida attenta dell’arch. Claudine Remacle, hanno lavorato, a vario titolo, sul territorio: Fabrizio Giatti, Denise Vercellin-Nourrissat, Mauro Paul Zucca. Alcuni dati sono tratti dal loro lavoro. — 31 — A U G U S T A 723 Benicade le clapey 724 Benicade la force du mont 739 Pra Savin (Pressevin) le clapey 742 Pra Savin la force du mont le chemin 759 Pra Savin la force du mont encore les monts 761Bord Buart le chemin 779 Bord le sentier 780 Bord le sentier le chemin 805Lancinere (Lansiniri) le chemin le chemin 809Lancinere le clapey le sentier 837 Ronc Long (Ronka) le valleil le chemin 869 Bordheby le sentier 872 Bordheby la pied du mont le chemin 874 Bordheby le fort du mont le fort du mont 888 Houbal (Hubal) le fort du mont le torrent le chemin 893 Crouppaz le chemin 901Bech Bech le torrent 908 Bech 990 Gredonerp (Grandunérp) le chemin 991 Gredonerp le chemin alpal 993Teusses (Toeifi) 999Rosses (Ruassi) le chemin 1134 La Croix (Chröiz) le chemin le chemin 1143 La Croix la Chapelle 1065Bul (Bühl) le chemin 1075 Scun le chemin le chemin 1092Mattaz (Mattu) 1119Metelté (Méttelti) le chemin 1124Invan (Invanh) le chemin 1135Ritmal (Rittma) le chemin 1139Tanna (Tannu) 1141Wechaite (Wegschkiti) 1143Stoube (Stubbi) le chemin le chemin 1480 Balmaz le chemin le valleil 1553Alpetty le clapey 1573 Fleuques le chemin 1578Metthiaz (Méttju) le torrent 1581 Metthiaz le torrent 1586 Flou dessous (undrun Vlu) Les sommites des monts les confins de Challand 1590Wan (Wanh) les confins de Challand 1595Muny (Mühni) 1614Zevua Siawa les confins de Perloz 1616 Zevua les confins de Perloz les confins de Challand 1622Comolettaz (Simulettu) les confins de Fontainem. les confins de Perloz 1637 Prasivar dessus (Pressiro) le chemin 1660Chaites (Tschucke) le chemin alpal 1675 Chaites le chemin le chemin 1676 Chaites le ruisseau 1979 Chanton le mont les confins de Fontainem. les confins de Fontainem. 1980 Mont Rous le mont les confins de Fontainem. les monts 1985 Mont Rous le chemin Il primo catasto mappato, geometrico e particellare, unico per tutto il territorio nazionale, fu istituito con la legge sulla perequazione fondiaria, nota anche come “Legge Messedaglia” (legge 1° marzo 1886, n. 3682, il cui regolamento compare il 2 agosto 1887, n. 4871). In Italia le operazioni di formazione si svolsero nell’arco di 70 anni, con le interruzioni per le due guerre mondiali e con difficoltà di natura tecnica e burocratica. Le operazioni di rilievo e di 21 le chemin le valleil le valleil le clapey le torrent le chemin le chemin le rocher le chemin le chemin le chemin le chemin le chemin Les sommites du Vogal le chemin les confins de Challand les confins de Challand le chemin le clapey stima si sono così protratte fino al 1956 quando le operazioni di formazione del catasto terreni furono dichiarate chiuse in tutto il territorio nazionale. I fogli di mappa rappresentano il comune amministrativo suddiviso in particelle. Ogni particella è contrassegnata da un numero di mappa. La mappa catastale riporta anche i fabbricati, la rete stradale, quella idrica, i confini amministrativi e le servitù prediali21. È un diritto reale di godimento su fondo appartenente ad un diverso soggetto. — 32 — A U G U S T A Le mappe di Issime del catasto di Origine dello Stato risalgono all’inizio del ’900. Nel settore di territorio in esame le strade sono di tre tipi: vicinale pubblica, sentiero e servitù di passaggio; la prima è individuata con due linee continue, gli altri due con una doppia linea (una continua e una tratteggiata). Le strade comunali, essendo di proprietà pubblica, sono tutte inserite in mappa; viceversa, le strade vicinali no, in quanto sono vie di proprietà privata, anche se soggette a pubblico passaggio. Il sedime, compresi accessori e pertinenze, è privato, di proprietà dei titolari dei terreni latistanti; mentre l’ente pubblico è titolare di un diritto reale di transito. È per questa connotazione di proprietà che la carta catastale non sempre inserisce i percorsi e i diritti di passaggio consuetudinari. Ecco l’elenco dei percorsi mappati: – strada vicinale di San Grato: inizia da Rollji (a circa 1.080 m s.l.m.) e, passando da Benikoadi, Lansiniri, raggiunge Chröiz sotto la Cappella omonima (a circa 1.660 m s.l.m.); il piccolo tratto sottostante, che scende a Bennetsch (a 1.000 m s.l.m.), prende il nome di strada vicinale di Ricourt; sempre a Rollji confluiscono le strade vicinali di Girrus (tsch’Hieruhous) (985 m s.l.m.) e Rollie; – strada vicinale di Chubal: si diparte dalla strada vicinale di San Grato all’altezza dell’Eremo omonimo (a circa 1.120 m s.l.m.) e, passando da Hubal e Écku, raggiunge nuovamente detta strada a Chröiz, sotto la Cappella; – strada vicinale di Hualka: parte dalla strada vicinale di Chubal nel nucleo storico di Hubal (1.345 m s.l.m.) e termina al Walkhunbach (al catasto torrente Valbona) sulla riva opposta di Walkhu (a circa 1.320 m s.l.m.); – strada vicinale di Beich: si diparte sempre dalla strada vicinale di Chubal all’altezza di Hantschécku (a circa 1.470 m s.l.m.) e, passando da Blatti, termina nel sito omonimo (a circa 1.480 m s.l.m.); – in due punti diversi di Benikoadi (a circa 1.440 m s.l.m.) partono due servitù di passaggio: una verso i coltivi (di soli 90 m di lunghezza), l’altra verso undrun Pressevin (1.553 m s.l.m.); – uabru Pressevin (1.600 m s.l.m.) è raggiunto dal sentiero da San Grato a Prassevin che inizia a monte della vicinale di San Grato tra Bülh e Lansiniri (a circa 1.630 m s.l.m.); – strada vicinale di Munes, che è doppia: un ramo è disegnato da prima di Zöin (a circa 1.690 m s.l.m.) e, passando da Mattu e Vlüeckhji, si unisce al secondo ramo tra Kekeretschjatz e Méttju (a circa 1.860 m s.l.m.); tale secondo tratto sale da Ruassi e transita da Toeifi, Gradunérp, Stubbi e, appunto, Kekeretschjatz; il disegno dell’ultimo tratto comune si conclude sopra Réich (a circa 1.920 m s.l.m.); – esterna al vallone, la strada vicinale di Ricourt (997 m s.l.m.) arriva al Rio Ricourt (Walkhu) dove (a circa 1.040 m s.l.m.) si diparte la strada vicinale di Ciachoiller che dopo soli 50 m cambia il nome in strada vicinale di Ciachtiller (Tschachtelljer) (posto a 1.250 m s.l.m.); Interessante risulta la forma delle particelle che indica una suddivisione antica del territorio e la messa a cultura delle aree 22 23 sino alla quota di Méttelti, gli alpeggi più in alto e il bosco sui versanti. In effetti i mappali di prati e campi sono di piccole dimensioni e seguono la morfologia del territorio e il disegno dei terrazzamenti realizzati per diminuirne l’inclinazione; quelli degli alpeggi sono più vasti; mentre quelli dei boschi sono a forma allungata nel senso della pendenza in quanto al momento della successione vengono spartiti in modo che ogni erede abbia un appezzamento simile all’altro.22 Le testimonianze materiali sul terreno ci trasmettono una rete viaria ben più ricca di quella ritrovata nei documenti storici. È stata realizzata una carta dell’areale di San Grato, prendendo come base la Carta Territoriale regionale (Autorizzazione n. 3409/TA del 17.04.2014) con i sentieri rilevati dalla Struttura regionale forestazione e sentieristica23, aggiungendo tutti i percorsi fondamentali, storici e attuali, e dividendoli per colorazioni. Legenda carta percorsi ______ Confini Vallone di San Grato ______ Mulattiera alta dan uabre Weg o per le mucche d’chünu Weg ______ Mulattiera bassa dan undre Weg o pedonale vuss Weg ______ Mulattiera in sinistra orografica ______ Percorsi verso i vicini ______ Collegamenti tra le tre mulattiere ______ Sentieri per mayens o alpeggi ___ ● ● ● Varianti attuali tra i pascoli _______ Sentiero turistico per il colle Dondeuil Il vallone di San Grato, Sen Kroasch Beerg, (contornato in rosso), orientato est-ovest, è delimitato a est da una linea che inizia a monte di Tchantoun, passa a Ronhkji, discende il crinale, lungo la mulattiera sin sotto Hubal, ma sopra Tschachtelljer, arriva al torrente Gründjischbach (sulle carte, ma per gli Issimesi d’Wasser - le acque), sale verso Benikoadi lungo il d’Moarchschlucht (letteralmente canalone di confine), piega sotto Vett e Pressevin. Lo spartiacque con il vallone di Burini di Issime, sino al Mont Voghel Volgelhaure e quello con Challand-Saint-Anselme fino al Bech Torché è il confine nord; quello a ovest è il crinale su Challand-Saint-Victor, fino al Corno del Lago (Siahuare), e Arnad, sino al Crabun; mentre a sud troviamo i comuni di Perloz (fino al Mont de Préal), Lillianes (solo per il piccolo tratto in direzione dell’alpeggio Préal-damon) e Fontainemore. Mostra ancora i segni visibili della sua colonizzazione arcaica, probabilmente prima gli Issimesi, poi, almeno a partire dal XIV secolo, i Walser, tra i quali una fitta rete di percorsi. C. Remacle, Vallée d’Aoste: une vallée, des paysages, Umberto Allemandi, Tourin 2002, ppgg. 38-43. L’autrice ringrazia sentitamente il dirigente dott.ssa Chantal Trèves e il geom. Pierre Vuillermoz della Pianificazione territoriale per la collaborazione. — 33 — A U G U S T A — 34 — A U G U S T A Carta elaborata da Donatella Martinet utilizzando come base la Carta Tecnica Regionale. (aut. n. 3409/TA del 17.04.2014) Lo si raggiunge dal fondovalle partendo da Preit, dal Capoluogo o da Cugna24 (sulla carta in viola), arrivando all’Eremo di SaintGrat, dove la mulattiera si divide in due percorsi strutturali del vallone (uno più basso – in lilla – e uno più alto – in viola); per riunirsi a Mühni, e proseguire verso il colle principale, il Dondeuil, su Challand-Saint-Victor (in lilla). La terza dorsale importante (in blu) è quella in destra orografica del Walkhunbach (Walkhu); sale da Rickurt, entra nel vallone sopra Tschachtelljer, passa per Walkhu e corre sino a Réich, attraversando il torrente, dove si innesta sul percorso più basso. Una complicata rete di mulattiere e sentieri servono (o servivano) l’habitat diffuso interno alle tre direttrici, collegando villaggi, mayens (d’beerga), alpeggi, prati, campi ed evidenziando la complessa strutturazione dell’insieme. Sono indicati solo i principali (in verde). I percorsi esterni alle tre spine dorsali conducono ancora a mayens (d’undrun Beerga quelli più in basso e d’uabrun Beerga quelli superiori), ma soprattutto ad alpeggi e boschi. Sono segnati solo i principali (in arancione). Altri sentieri conducono ai passaggi verso aree confinanti (in marrone): tre per Burinni, dei quali l’unico importante è il Galm, tre anche per Fontainemore, dei quali i più utilizzati sono stati quelli verso Mont Rouss e sopra Simulettu, e uno per Perloz (sotto al Crabun). Infine le nuove deviazioni che transitano nei pascoli a Mattu e tra Mettelti e Tannu sono state indicate a puntini neri su lilla; il sentiero turistico tra Siaua e il Dondeuil a tratteggio marrone e lilla. Dipanata in qualche modo la matassa, giungiamo alla testimonianza materiale e storica dei percorsi; perché il tutto lo si ritrova nei documenti sopra descritti, anche se, è indi24 — 35 — Il percorso, partiva dalla Cugna (Künju), toccava Grand Champ (Gran Tschamp), Herrenhaus (tsch’Hieruhous) e arrivava a Rollie superiore (Rollji). Lo si può ancora vedere sopraelevato, con due alti muri laterali, da tsch’Hieruhous fino all’altezza di Crose (Kruasi). È detto Wertschmouru, quello per il corteo funebre degli abitanti di Rollie superiore. Nella carta del 1755 è indicato quale unico acceso dal Capoluogo. A U G U S T A Particolare di un tratto della mulattiera bassa al mayen di Gradunérp, presenta le caratteristiche pietre posizionate di taglio blatti che impedivano al bestiame di entrare nei prati e nei campi. (foto Musso) un tempo le donne che abitavano nei villaggi del Beerg qui sostavano per cambiarsi d’abito allorquando la domenica si recavano a messa. Oltre il torrente la via è collocata in costa alla soglia delle terre solatie sfruttabili, sino a Mühni; dove la pendenza trasversale del versante si fa impegnativa è sorretta da muretti a secco, di sostegno a valle e di controripa a monte (che costituiscono anche impedimento al divagare del bestiame nei coltivi)31. Nel lungo tratto in salita dal fondovalle a Lansiniri, dove la pendenza lo richiede, il piano di calpestio è in accoltellato per contenere i danni da dilavamento e aumentare la “grippe”; mentre è in terra nel tratto in costa da Lansiniri a Mühni, per limitare lo stress ai tendini delle zampe degli animali e le sobbattiture agli zoccoli, nonché migliorarne l’aderenza. Nel catasto comunale del 1645 tale mulattiera sale da Benikoadi con la denominazione di “chemin public”, e prosegue a Lansiniri (dove, verso Bühl, è anche detta le grand chemin), uabru Lansiniri e arriva sino a Vlüeckhji; prende il nome di charrière a Mattu, Invanh e Méttelti (la charrière Jouxte les domicilles du Meitiltin) e Vlüeckhji; nel contempo a Invanh, Méttju e Méttelti è definita anche le chemin de l’alp; è comunque la via principale, in quanto l’attività pastorizia aveva un ruolo di primo piano nell’economia locale. Un crocevia importante era rivestito da spensabile sottolinearlo, redatti per scopi diversi (i catasti per le rendite, la carta sabauda per lo sfruttamento delle risorse minerarie e proto-industriali dell’intero territorio regionale); inoltre le denominazioni nei catasti del ‘600 e del ‘700 sono tratte dai confini fisici degli appezzamenti, non sono le descrizioni dei percorsi tout-court. La mulattiera alta dan uabre Weg è anche denominata mulattiera per le mucche d’chünu Weg; mentre in Italia la si definirebbe tratturo, il percorso per la transumanza del bestiame25; un tratto di essa, da Gründji a Benikoadi, è detta d’Birriuku (in patois “la Biriaca”). È strutturata in modo impeccabile. Inizia sul conoide di deiezione del fondovalle; da Bennetsch (dove il pilone votivo26 e la Croix des Missions27 testimoniano l’importanza del percorso con la dimostrazione di fede e la richiesta di protezione) a Gründji è un gassu che corre in trincea tra due ali di muretti a secco28, realizzati con le pietre derivanti dalla pulizia di prati e campi; “la Biriaca” e poi nel vallone sin sotto Benikoadi29 si inerpica nel bosco ed è a tratti dotata di muri; tra le case di Benikoadi inferiore è in gradoni di pietra, per proseguire in salita sino a Lansiniri, poco oltre il torrente Margherita. A metà percorso lungo d’Birriuku troviamo un’altra cappellina, quella della peste. Poco prima sussisteva un incavo in una roccia di non grandi dimensioni (non offriva un gran riparo) dan Büiluru Spéier (per qualcuno Spigal 30). La tradizione narra che Vallone di San Grato, la mulattiera bassa nei pressi dell’alpeggio di Tannu. (foto Musso) Nei testi medievali è menzionata anche quale “via teutonicorum”, la strada dei tedeschi. del 1928, su un oratorio del 1724, trasformato in occasione della prima messa di don Daniele Christillin. 27 del 1899. 28 fatta eccezione per il primo tratto, sino al ripetitore, dove sono stati sostituiti da staccionata. 29 Percorrendola oggi è necessario attraversare più volte la strada carrozzabile. 30 Specchio, forse specchio d’acqua: In questo luogo quando pioveva si fermava sempre dell’acqua e si trovavano delle salamandre. 31 A Vlüeckhji i raccards del XV secolo testimoniano le antiche coltivazioni a cereali. 25 26 — 36 — A U G U S T A Buart; in esso si incrociavano semplici chemins, ma anche il chemin des Vourres, du Cappil e quello damon (qui compare anche le pré dernier la chapelle); mentre a Zöin sono indicati due passaggi: chemin e l’autre chemin. Nella mappa ducale del 1755 la mulattiera alta è indicata quale “strada a cavallo”, ma termina a Stubbi, al mulino; certo esisteva, ma in questo frangente interessava l’attività proto-industriale, non quella agro- pastorale. Nel catasto del 1772 non vi è una grande distinzione per le percorrenze, per cui segnaliamo i chemin (a Benikoadi, Lansiniri, Mattu, Invanh, Rittmal, Wegschkiti (il Tannu più in alto sulla carta), Stubbi e Méttelti) e i sentier un po’ ovunque; inoltre, sono indicati clapey a Benikoadi e a Lansiniri. Il catasto di Origine dello Stato definisce la dorsale alta strada vicinale: di San Grato il primo settore da Bennetsch, passando da Benikoadi, a Lansiniri (dove prosegue per raggiungere Chröiz sotto la Cappella omonima) e di Munes, da prima di Zöin a Mühni; permane, quindi, l’importanza del percorso. La mulattiera bassa dan undre Weg prende tale denominazione solo oltre l’abitato di San Grato, dove corre parallelamente a quella alta sul costone che volge a sud sino oltre Méttju, nel luogo in cui attraversa il torrente a Réich; prima di San Grato è detta Hubaleebi (Hubal = cucuzzolo e eebi = versante in ombra): è la via più diretta per raggiungere il vallone. Come già accennato, si diparte nel piano a Gründji, attraversa il Grundjischbach, esce dal bosco al mayen più basso di Écku, e, arrivata a Chröiz32, continua tra i pascoli (e qualche lingua di bosco) per ritrovare la strada alta più in quota a Mühni e proseguire al Mühnu Vurku, il colle Dondeuil. È definita anche vuss Weg (mulattiera pedonale). Sulla carta è stato indicato il tracciato diretto (dal piano al colle), non considerando tutte le sfumature – chiedo scusa ai puristi – non che il bestiame non l’abbia mai calcato, soprattutto quello minuto; ma, in linea generale, si preferiva monticare nel vallone percorrendo la più agevole strada alta per scendere nei tramuti dalle vie di connessione. La differenza, non di poco conto per il bestiame, sta nel fatto che in più tratti dan undre Weg è lastricata e non perché sia particolarmente impervia (non è in accoltellato): è una magnifica mulattiera di pregio. Anche qui non mancano i muretti a secco di sostegno e di controripa; inoltre dove procede a raso tra gli ex coltivi è delimitata da lastre piatte, blatti, dalla forma rettangolare, alte anche sessanta centimetri, affondate allineate nel terreno (nel mio patois semplicemente pére drèite): è il limite invalicabile per il bestiame dei campi e dei prati da preservare; non la separazione tra proprietà. Le troviamo ancora a Toeifi33. Il catasto del 1645 attribuisce al percorso basso una terminologia diversa da quello alto delle mucche: è definito chemin; tranne che per l’ultimo tratto, a undrun Mühni, dove diventa la charriera tendant en Fenestra (la mulattiera verso il colle, definito: la cime de Challand, de Chasten – riferimento errato, Chasten, di Challand-Saint-Anselme, è in testa al vallone di Bourinnes – et de Challand, du o de Valleyse34). Anche qui una serie Vallone di San Grato, la mulattiera bassa nei pressi dei ruderi del mulino di Stubbi. (foto Musso) di denominazioni sono concentrate in un’area, quella di Hubal, dove leggiamo: “le chemin” e “le chemin tendant a la Vualcha”. Nella carta sabauda è individuata quale “strada a cavallo” dal moulin des Toubes (Stubbi) fino al Dondeuil; evidentemente il colle era considerato all’epoca di particolare importanza strategica per le attività economiche. Nel 1772 è descritta come chemin, tranne a Grandunérp, dov’è le chemin alpal (percorso che conduce in alpeggio); elemento che pare fuori contesto, in quanto unico breve tratto della mulattiera a piedi. A Chröiz (detto La Croix) è indicata la Chapelle de Saint-Grat. Nel catasto nazionale di inizio ‘900 il tratto sotto la cappella di San Grato è la strada vicinale di Chubal; oltre è la strada vicinale di Munes, che si conclude sopra Réich. Permane anche qui l’importanza del percorso. La mulattiera in sinistra orografica della Walkha (in blu), utilizzata da chi saliva da Rickurt, parte all’altezza della cappella, sale nei prati terrazzati sino al torrente, per penetrare nel bosco, entrare nel vallone a monte di Tschachtelljer, passare a Walkhu e proseguire in basso nella vallata, tra le radure con mayen e alpeggi, sino a Réich. È un sentiero in terra con alcuni muretti a secco, soprattutto esternamente al vallone; non necessitava di blatti, o altri dissuasori, in quanto transita solo in aree di pascolo, non nei coltivi. Nel 1645 è definito chemin; inoltre troviamo: a Walkhu le che- Oggi, in relazione alla strada veicolare, si parte dal tornante dell’Eremo e la si attraversa tra Hubal e Écku, salendo alla cappella a fianco dei tornanti. 33 Rappresentava sino nei primi anni settanta la linea di passaggio da mayen ad alpeggio, mentre un tempo era villaggio stabile, lo testimonia il forno 34 Mi fa piacere qui ricordare che il Col Fenêtre tra Perloz e Arnad, indicato così sulle carte, a Perloz è noto solo come Va_sima. 32 — 37 — A U G U S T A La mulattiera alta dan uabre Weg, in alto lungo la linea di quota. Sulla linea di costa si intravede uno dei due muretti che delimitano il tratto di mulattiera che scende al villaggio del Méttelti. Questo versante un tempo era interamente coltivato. La mulattiera è strutturata in modo impeccabile: è collocata alla soglia delle terre sfruttabili; il fondo è in terra per limitare lo stress ai tendini delle zampe degli animali e le sobbattiture agli zoccoli, nonché migliorarne l’aderenza. Qualora la pendenza del versante si fa impegnativa la mulattiera è sorretta da muretti a secco, di sostegno a valle e di controripa a monte; in questo modo era anche impedito al bestiame di entrare nei coltivi. Se questi ultimi si trovano in zone pianeggianti allora la mulattiera è delimitata da lastre piatte, blatti, mentre se si trova in tratti in pendenza solitamente è in trincea tra due ali di muretti a secco, gassu, realizzati con le pietre derivanti dalla pulizia di campi e prati. (foto Musso) min tendant au Ronc, ma a Réich le chemin, mentre a Scheites (Scheiti) un “vers le rascard”. Nella carta settecentesca è indicato quale sentiero pedonale a partire da Janserp (collegato alla mulattiera bassa a circa metà del tratto detto Hubaleebi): l’interesse è sul mulino di Bronchnu Mülli, ma anche sui boschi dell’envers. Tuttavia, nel 1772 viene descritto come chemin, tranne a Tschucke, dove è, stranamente come a Grandunérp, le chemin alpal (in questa località spunta anche, un solo ed unico ruisseau). Sul catasto Italiano non è disegnata alcuna strada vicinale o sentiero; evidentemente all’epoca era una servitù di passaggio su proprietà private. I percorsi interconnettivi tra le tre dorsali principali sono stati indicati in verde: diverse mulattiere permettono di raggiungere ex villaggi permanenti, mayens e alpeggi. Tra la mulattiera alta “per le mucche” (in viola) e quella bassa “pedonale” (in lilla) si transitava e si transita con il bestiame; in questi collegamenti ritroviamo il piano di calpestio in terra battuta e le due tipologie principali di delimitazione dei limitrofi coltivi, realizzati a seconda delle condizioni orografiche e funzionali. Muretti a secco posti in opera con perizia con le pietre derivanti dalla pulizia dei fondi (in questo caso la mulattiera è detta gassu) per i tratti in salita; lastre o pietre inserite verticalmente (blatti) per le zone a raso con l’andamento del terreno. Un ulteriore limite invalicabile per gli animali diventa il salto di quota generato dai muri di controripa e di sostegno, costruiti per “tagliare” i tratti più scoscesi dei versanti. Tra i gassu spiccano quelli delle zone sopra e sotto Mettelti; mentre le blatti sono (o meglio erano) da sotto Bühl a Chröiz negli Hubelmatti. Tale percorso, molto importante per storia e strutture, è stato – ma per facilità di comprensione – indicato in verde, come la mulattiera interna a Bühl che si congiunge alla mulattiera alta prima di Zöin. I collegamenti tra la mulattiera di mezzo (in lilla) e quella dell’envers (in blu) si dipartono sia dal tratto prima (dan uabre Weg) sia da quello dopo (Hubaleebi) la cappella di San Grato e sono in terra battuta. La situazione è un po’ più complessa nelle aree di Rhon e Bech35; inoltre, è stato indicato anche il tracciato da Bech a Pettschuckji ora non più esistente. Nel catasto del 1645 il tratto da Lansiniri a Bühl è anche detto le grand chemin; quello del Bühl è la charrière; quello di Ronka le chemin; la connessione è evidente a Bech con “le chemin tendant en Scheitz” (Scheiti); mentre a Joakisch Stubbi (Stubu sulla carta) troviamo semplicemente “le mur soubz le sentier dudit lieu”. Dalla terminologia è immediato capire che l’area del Bühl era importantissima. La carta settecentesca non è molto precisa; resta, tuttavia la differenza di importanza: si arriva alla cappella di San Grato da Buart con una strada da cavallo, così come al Bühl da Lansiniri; mentre il percorso è indicato per pedoni da Hantschécku a Janserb (Jansérp), passando da Travers de Bech (Bech). Nel 1772 tutti i tratti sopra richiamati sono denominati genericamente chemin; in più a Bech hanno segnalato “le rocher”. Nel catasto italiano vediamo l’ultimo tratto della strada vicinale di San Grato da Lansiniri, a Chröiz, fin sotto la Cappella omonima; la strada vicinale di Hualka, da Hubal al Walkhunbach (al catasto torrente Valbona) sulla riva opposta di Walkhu e la strada vicinale di Beich, da Hantschécku a Bech, appunto. Tutti i percorsi che conducono a siti antropizzati esterni alle tre direttici principali sono stati indicati sulla carta in arancione, per facilità di esposizione. Tra questi, l’area maggiormente sfrutturata è quella di Pressevin, un tempo villaggio, poi mayen, a fine ottocento ancora coltivato a prati e campi. Anche qui la strada per le mucche è quella alta (ed è proprio dalla mulattiera alta che si diparte) e quella pedonale quella bassa (inizia sopra Benekoadi); tra Pressevin di sopra e di sotto il collegamento col gassu36, con i suoi bei muretti d’ala37. Tale ricchezza di struttura emerge nel catasto del 1645; a Pressevin la nomenclatura dei camminamenti è molteplice: le chemin public, la charrière, chemin, chemin de valleil. Nel catasto del secolo successivo torniamo al semplice chemin, come per tutti, anche se segnala altri elementi, quali: “le clapey”, “la force du L’accesso all’area di Bech è stato anche modificato dall’alluvione del 1948, oltre che dalla strada carrozzabile. Attualmente le due mulattiere di accesso si inoltrano nella boscaglia sino agli abitati, mentre il gassu è nei pascoli. 37 Ora è invaso dalla vegetazione, ma il suo fascino resta immutato. 35 36 — 38 — A U G U S T A La mulattiera alta nei pressi dell’alpeggio di Wekschkiti, delimitata da resti di un muretto a secco. Fino al XVIII secolo il territorio circostante presentava ancora dei coltivi. (foto Musso) La mulattiera alta nei pressi dell’alpeggio di Invanh. (foto Musso) mont”, e “encore les monts”. Anche la carta del 1755 porta a Pra Savin tramite due percorsi, sia da Bord sia da Bul, ma in questo caso la strada a cavallo è quella bassa e quella “a pedoni” quella alta. Mentre nel catasto di fine ottocento la strada alta è il sentiero da San Grato a Prassevin (parte da sotto Zöin) e quella bassa è tracciata come sentiero (da Benikoadi), ma non è denominata. Tutto ciò indica l’importanza agro-pastorale del sito. Sul versante esposto a sud, si raggiungono gli alpeggi tramite sentieri di montagna, a tratti gradonati, passanti tra pascoli, vegetazione arbustiva, clapey, rocce, o grossi massi, e in parte nel bosco ormai rado. Dalla mulattiera alta (in viola) si sale a Bröi tra Blackgoavunu e Mattu; a Rittmal e Granir nei pressi di Invanh; a Valfreidu da Vlüeckhji con due alternative, legate alle possibilità di pascolo; alla Mundschuvett (sulla carta Mungiuvetta) da prima di Mühni. Nel settore nord della testata di valle il sistema diviene più articolato: dallo stesso punto in cui si parte per Mundschuvett si sale con una via pedonale a Stein, Bétti38 e uabru Vlu; ma a uabru Vlu e, con una diramazione a metà erta, a undru Vlu il bestiame montica da molto prima di tale bivio; mentre si può giungere a Bétti anche dalla mulattiera pedonale principale (in viola), tra Mühni e il col Dondeuil, da dove in costa ci si attesta a Wanh. Infine, storicamente si scende a Kwerratsch (Querratsch sulla carta) arrivando dal vallone di Bourinnes dal colle Galm. Sul versante bacìo, si procede su sentieri montani verso mayen e alpeggi nel bosco fitto, fatta eccezione per le malghe più in quota, comprese quelle della testata della valle, dove non man- cano i massi e la vegetazione arbustiva. Dalla direttrice principale dell’envers (in blu), dove si entra nel vallone tra Tschachtelljer e Whalku, si sale il crinale di confine sino ai mayen Valbounu, Vatt e Ronhkji. Nella zona degli attuali alpeggi, tra Bronchnu Mülli e undrun Buadma si diparte il sentiero per Brechu e Roseritz; proprio a undrun Buadma quello per Simulettu; mentre Siawini (Siaua sulla carta) è raggiungibile sia da Réich sia, tramite la mulattiera di mezzo (in viola), da Mühni; da quest’ultimo, vi è la deviazione per Wingjil. Nel catasto del 1645 a Rittmal è indicata la charrière, a Valfreidu le chemin; in quello del 1772 a Rittmal il solito chemin; ma risultano interessanti i confini con i vicini: “les sommites des monts” e “les confins de Challand“ a undrun Vlu, ancora “les confins de Challand“ a Wanh e Siawini, qui anche “les confins de Perloz“, come a Simulettu, in questo caso con “les confins de Fontainemore“, infine “les sommites du Vogal“ a Bétti (avevano smarrito la bussola o la proprietà era molto vasta). La carta sabauda ci manda a Simoletta da Budma, attraversando il bois des Rones et de Bodma. I sentieri che conducono alle aree esterne del vallone, con l’esclusione di quello principale per il Dondeuil (in lilla), sono indicati in marrone; conducono tutti a colli, salvo quello più basso, passante da Munrus e Tschantun39. Infatti quest’ultimo, provenendo dal costone di Fontainemore, permetteva il passaggio trasversale nel bosco, procedendo in quota intorno ai 1400 m s.l.m., per Valbounu. F. Zappa, a cura di M. Musso, I segni visibili e invisibili del paesaggio rurale – Stein e Bétti due alpi walser, Tipografia valdostana, Aosta 2008, ppgg.198-199. 39 Insistenti sul territorio di Issime, ma esterni al vallone e storicamente di proprietà di gente di Fontainemore. 38 — 39 — A U G U S T A I due differenti percorsi, dan undre Weg e dan uabre Weg, il primo in basso nei pressi di Gradunérp, e il secondo visibile in alto a destra a ridosso del bosco sopra l’abitato di Méttelti. I due percorsi che corrono paralleli e salgono il fianco esposto a sud del Vallone, lungo i quali si distribuiscono le particelle realizzate in maniera diffusa, perché appartenenti a proprietari differenti al momento della colonizzazione del territorio, corrispondono ai camminamenti di penetrazione nel bosco e allo schema direttivo della messa in coltura stessa del Vallone di San Grato. (foto Musso) I colli per Bourinnes sono tre: il Prassevin, il Galm (il più importante, si sale da Mattu) e il Valfreidu; quello per Perloz uno solo, sotto al Crabun (l’ultimo tratto di sentiero corre in cresta); quelli per Fontainemore due: uno sopra Roseritz, l’altro, da Simulettu, il Prial, confinante anche con Lillianes; pare fosse utilizzato dagli abitanti dei due comuni della bassa valle del Lys per recarsi alla messa La mulattiera ‘gassu’ che collega Pressevin di sopra e di sotto. (foto Ugo Busso) della Madonna delle nevi alla cappella di Mühni. Dei confini fisici nei catasti descrittivi abbiamo già riferito in precedenza; sulla carta del 1755 sono indicati i percorsi pedonali per il Galm e il Prial e il nucleo di Monrus (che risulta su Fontainemore); il catasto di Origine dello Stato traccia solo due piccoli tratti di sentiero (ai quali non è stata data denominazione) da Munrus e da Tschantun nella direzione del vallone e un piccolo tratto oltre cascine Prassevin di sopra, ancora chiamato sentiero da San Grato a Prassevin. Infine, sulla carta sono stati segnati anche i tracciati recenti: in puntinato nero su lilla le attuali varianti tra i pascoli a Mattu e tra Méttelti e Invanh; in tratteggio marrone su lilla il sentiero turistico da Siaua al colle Dondeuil. Il vallone è lo scrigno prezioso della stratificazione storico-culturale delle genti che nei secoli l’hanno vissuto (oltre ai percorsi storici e alle loro strutturazioni, i pascoli, i prati, i seminativi, le fontane, le piscine, i muretti di terrazzamento, i recinti per il bestiame, i cumuli di spietramento, i villaggi, gli edifici e le strutture religiose); dove il paesaggio è il magnifico risultato dell’antichissima e felice convivenza tra attività umane e natura; è anche la tradizione antropologica locale con radici profonde, la gradevole commistione di elementi naturali, culturali, religiosi, artistico-espressivi, antropici, etnici e dell’immaginario collettivo (linguaggi, leggende, aneddoti, toponomastica). È per tutelare per i posteri un patrimonio così ingente, unico, esclusivo e irripetibile, che la legge regionale n. 13 del 10 aprile 1998, meglio conosciuta come PTP, prevede quali prescrizioni urbanistiche per il vallone di San Grato (e altri territori di antico insediamento tedesco) “la valorizzazione di un vasto territorio prevalentemente caratterizzato dal patrimonio storico-culturale e paesaggistico prodotto in Valle d’Aosta dalla cultura walser, e in particolare il recupero dei segni e dei manufatti del sistema insediativo in quota, in parziale stato di abbandono.” (…). Inoltre, “per le parti di specifico interesse storico-culturale, il programma rinvia a progetti di rigoroso restauro del territorio”40. 40 — 40 — PMIR 5 Territorio walser, ppgg 54-55. A U G U S T A Da un campanile all’altro: San Giacomo, San Michele, Santa Barbara Jolanda Stévenin e Guido Cavalli Queste brevi note sulla religiosità popolare e l’iconografia dei santi seguono a quelle del 2012 e del 2013 pubblicate sulla stessa rivista. I Santi di cui parliamo in questo numero riguardano i comuni di Issime e Gaby, che fino al 1952 erano denominati Issime-Saint-Jacques e Issime- Saint-Michel, proprio dai nomi dei loro Santi Patroni. SAN GIACOMO San Giacomo è particolarmente venerato a Issime, di cui è il patrono, festeggiato con grande solennità il 25 luglio. Anche ad Ayas, nella valle omonima, si venera San Giacomo da parecchi secoli tant’è che si trova la denominazione SaintJacques-d’Ayas. Ecco quanto riferisce l’Abbé Joseph-Marie Henry nella sua Histoire de la Vallée d’Aoste: “ La paroisse d’Ayas, qui existait déjà vers 600, fut peuplée par des colonies allemandes qui établirent leurs premières maisons au sommet de la Verda et à Nahna. Saint-Jacques.d’Ayas est appelé encore, on la sait, Saint-Jacques-des Allemands”. (Abbé Henry, p. 80 Imprimerie Marguerettaz 1967). Quando parliamo di questo santo intendiamo solitamente San Giacomo il Maggiore, così chiamato per distinguerlo dal suo omonimo, San Giacomo il Minore, parente di Gesù. Giacomo il Maggiore era uno dei discepoli prediletti da Gesù. Era figlio del pescatore Zebedeo e di Salomé e fratello di Giovanni l’Evangelista. I due fratelli erano chiamati da Gesù “figli del tuono”; quando lasciarono le reti da pesca per seguire Gesù, fu loro predetto che sarebbero diventati ”pescatori d’uomini”. Dopo la Pentecoste Giacomo si diede alla predicazione, ma fu perseguitato e fatto decapitare da Erode Agrippa verso il 44 d.c. divenendo così il primo degli apostoli a subire il martirio. Soltanto nove secoli dopo tuttavia, la fama di Giacomo il Maggiore si diffuse in tutta l’Europa cristiana, a causa della veneratissima tomba di Santiago di Compostela, meta di tanti pellegrinaggi medievali. La leggenda narra che una navicella, nella quale i discepoli avevano deposto il corpo decapitato di San Giacomo, sarebbe approdata, sotto la guida degli Angeli, a La Coruña, recandovi le spoglie del martire. Nell’anno 830 fu scoperto in Galizia un sepolcro romano che fu ritenuto, per un complesso di motivi, la sepoltura del primo apostolo martire. San Giacomo, narra la leggenda, fu visto guidare le schiere cristiane nella lotta contro i Mori e per questo fu denominato Matamoros. Fu così, che San Giacomo divenne il patrono della Spagna e il santuario di Compostela fu il luogo di convegno dei pellegrini provenienti da ogni parte d’Europa. In Valle d’Aosta, San Giacomo, non è soltanto venerato a Issime e ad Ayas, ma è contitolare di molte cappelle sparse per tutto il territorio. Nel tesoro della cattedrale d’Aosta si conserva un bel San Gia- San Giacomo Litografia acquerellata della manifattura Verdoni di Torino. Intorno al 1870. como in pietra, proveniente dalla cappella di Runaz, nella parrocchia d’Avise. L’opera, che misura cm 65x23, fu realizzata intorno al 1420-1430 ed è attribuita a Etienne Mossettaz e alla sua bottega, l’unica attiva nella lavorazione della pietra e del marmo in valle d’Aosta in quell’epoca. Anche gli abitanti di Niel (Gaby) solevano venerare San Giacomo. Nella cappella di Niel era presente una bella statua lignea di San Giacomo, attualmente esposta nel museo della cattedrale d’Aosta. La suddetta statua, realizzata nella Germania meridionale all’inizio del secolo XVI, — 41 — A U G U S T A pied du sureau. Trois fois on la porta sur la rive et, trois fois, elle revint d’elle-même dans sa retraite sur le bord du Lys. En présence de ce prodige, les pieux chrétiens comprirent que la volonté du saint apôtre était de demeurer en ce lieu au bord de l’eau et ils s’écrièrent: “Saint Jacques sera notre patron!”. Cette statue se trouve maintenant dans une niche au-dessus de la porte”. (Christillin, pp.76-77 Musumeci 1976). La leggenda di queste statue vaganti, che scelgono esse stesse il luogo dove desiderano essere collocate, è molto popolare in tutto l’arco alpino. La troviamo ad esempio ad Oropa, alla Madonna della Guardia, a san Besso, a san Giovanni d’Andorno. In genere si tratta di antichi luoghi di culto pre-cristiani. Iconografia di San Giacomo Il Santo è più spesso raffigurato come pellegrino con borraccia, bastone e cappello a larghe tese. È sempre presente la conchiglia sul cappello e sul mantello. Sullo sfondo compare spesso il mare con barche di pescatori o viaggiatori. Più raramente viene raffigurato come combattente contro i Mori, dalla leggenda che lo vedeva comparire alla guida delle armate cristiane. Da ciò il nome a lui attribuito di “Matamoros”. San Giacomo, patrono di Spagna. Litografia acquerellata della manifattura Torrione di Torino. Intorno al 1870. misura cm 58x21 e raffigura San Giacomo con il cappello rialzato da pellegrino. Sulla tesa si vede una conchiglia. Il santo è vestito con un mantello dorato, con il bordone nella mano destra e un libro aperto nella sinistra. La tradizione riferisce che il 25 luglio c’era chi lasciava l’alpeggio, per scendere a Issime a celebrare il santo patrono. Anche sull’altare maggiore del santuario di Voury (Gaby) c’era, fino al 1974, una statua raffigurante San Giacomo in veste di pellegrino, realizzata dai maestri Gilardi nel secolo XVIII. L’opera fu trafugata con altre quattro degli stessi autori. L’apostolo Giacomo è sempre raffigurato con il cappello a larghe tese ed è perciò stato eletto patrono dei cappellai. A proposito dell’elezione di san Giacomo il Maggiore a patrono d’Issime, lo scrittore issimese Jean-Jacques Christillin riporta una leggendaria interpretazione, appartenente alla tradizione locale: “A une époque très ancienne, la Vallaise était couverte d’une épaisse forêt. (…) Des charbonniers vinrent abattre les arbres séculaires qui couvraient les rives du Lys. (…). Des familles vinrent s’établir dans cette vallée avec leurs troupeaux. Quand les habitants furent assez nombreux pour former une paroisse, ils voulurent avoir une église. Ils décidèrent de la bâtir sur les rives qui dominent une petite plaine. (…) Des hommes, qui extrayaent du sable au bord du torrent, trouvèrent dans les ruines d’une cabane, bâtie par les charbonniers d’autrefois, une statue de saint Jacques le Majeur, abritée sous un sureau. Ce fut une heureuse nouvelle dans tout le pays, et l’on s’empressa de porter la statue sur la rive où l’église devait s’élever. Un oratoire fut bâti provisoirement pour y placer le saint, en attendant qu’on pût l’installer dignement dans un autel.Mais le lendemain la statue n’était plus là. On la retrouva dans les ruines de la hutte au SAN MICHELE È il patrono di Gaby, anticamente denominato anche IssimeSaint-Michel e di Oyace in Valpelline. Il santo è inoltre titolare di molte cappelle in territorio valdostano, tra queste la chapelle de Notre Dame e Saint Michel ad Arnad (1227) e la cappella di Saint Michel a Villa- Challant (1408). L’abbé Joseph-Marie Henry, nella sua opera storica Histoire de la Vallée d’Aoste, riporta: “ La primitive chapelle d’Oyace en l’honneur de Saint-Michel, perchée sur un roc d’où l’on domine bien la vallée, a été construite vers 1550. Les paroissiens de Valpelline s’y rendaient en foule comme à un sanctuaire, le jour de la fête patronale, 29 septembre.Cette chapelle fut refaite et benité le 10 août 1624. Les habitants d’Oyace, quatre ans après la la peste de 1630 obtinrent un recteur qui commença la célébration des offices en 1634, le 8 mai, jour de l’apparition de Saint Michel». (o.c. pp. 349-350). Per quanto attiene il caso di Gaby, ecco quanto riferisce il succitato Autore : “La suppression des paroisses de Chevrot et de la Madeleine (à Gressan, 1786), fut suivie de l’érection de la paroisse de Saint Michel au Gaby. Tout conseillait l’érection de cette nouvelle paroisse; et la distance des lieux et les difficultés des routes et l’incompatibilité du caractère des habitants. Le quartier ou ressort de Saint Michel faisait, du reste, déjà corps à part, depuis des siècles. La chapelle de Saint-Michel était très ancienne. En 1479, nous y voyons déjà pour recteur un chanoine du Grand- Saint- Bernard. Dans les siècles suivants, quand les recteurs manquent, ce sont les vicaires d’Issime qui vont desservir ce quartier. Mais,depuis environ 1700, les recteurs sont de nouveau stables et s’y succèdent régulièrement. Enfin, ce quartier croissant en importance, jusqu’à devenir bientôt plus grand que le ressort inférieur de Issime, le service de recteur devint insuffisant. Aussi, Mgr. De Solar, par décret épiscopal du 25 novembre 1786, détacha du territoire de Issime le quartier supérieur du Gaby, puis érigea la chapelle rectoriale en église paroissiale”. (o.c. 359). La nota dell’Henry è di grande interesse perchè fa riferimento all’antica cappella di Saint- Michel a Quiamourséyra, già attiva e guidata da un rettore nel lontano 1479. Pertanto il nucleo abita- — 42 — A U G U S T A Sancte Michael Archang. Incisione su rame anonima. Fine del XVIII secolo. S. Michele Arcangelo. Litografia acquerellata della manifattura Verdoni di Torino. Intorno al 1870. to in oggetto è coevo a quello di Lihla e non posteriore alla peste del 1630, come ipotizzato da qualcuno! Volgiamo ora l’attenzione ad un ambiente più vasto per ricordare che la devozione a S. Michele è diffusissima in tutta Europa fin dal medioevo. Basta citare i celebri santuari di S. Michele al Gargano, la Sacra di San Michele in Italia e il Mont- Saint- Michel, in Francia. Chi è dunque questo grande santo la cui festa si celebra il 29 settembre? Michele non è un santo come gli altri, bensì uno spirito celeste, un arcangelo. Il 29 settembre non si celebra la sua morte, come avviene per i santi, bensì la consacrazione della basilica di San Michele in Roma lungo la via Salaria, avvenuta nel V secolo. San Michele Arcangelo è presente fin dalle prime pagine della bibbia, la sua figura appare a guardia del paradiso terrestre e la sua ultima battaglia avverrà contro Satana, il giorno del giudizio, nella visione dell’Apocalisse. Al Gran San Bernardo c’è un edificio, La Morgue, dove un tempo si seppellivano le vittime della montagna che nessuno andava a reclamare. Ogni giorno un canonico dell’Ordine celebrava una messa di suffragio all’altare di San Michele, ottemperando così ad un antico legato disposto dal chierico Vuillerme Nocher di Aosta nel 1274. (Archivi de l’Evêché de l’Eglise d’Aoste, Mgr J:A: Duc, Tome 2, p. 446). Iconografia di San Michele Arcangelo L’Arcangelo Michele è sempre raffigurato mentre abbatte e calpesta un demone dalle varie forme e fattezze, quasi sempre brandisce una spada fiammeggiane con una mano, mentre con l’altra regge una bilancia per pesare, nel giorno del giudizio, il bene e il male di ciascun uomo. — 43 — S. Michael. Litografia acquerellata della manifattura Gustav May di Francoforte. Intorno al 1860. A U G U S T A SANTA BARBARA La sua festa si celebra il 4 dicembre, anche se questa santa martire del III secolo non figura più nel calendario liturgico della chiesa. La leggenda narra che Barbara fu una fanciulla cristiana uccisa di spada dal proprio padre, ostinatamente pagano. Sempre stando alla leggenda, non appena la sua testa cadde per terra, un fulmine scoccò dal cielo e incenerì il padre. Per questo motivo Barbara è invocata a protezione contro il fulmine ed è considerata patrona di quanti armeggiano col fuoco cioè fochisti, artificieri, vigili del fuoco e via discorrendo. In Valle d’Aosta santa Barbara è spesso contitolare di molte cappelle, alcune delle quali si trovano all’interno delle chiese. L’abbé Henry riporta che, nella valle del Gran San Bernardo, in prossimità d’Etroubles, sorgeva l’antico ospizio di La-Clusaz (1140-1791), trasformato ora in un accogliente ristorante. Sulla facciata dell’edificio si vede: «un médaillon, portant l’image de Saint Panthaléon et de Sainte Barbe, avec le millésime 1831, rappelle l’ancienne destination de cet édifice ». (o.c. 115). Nei nostri paesi di montagna, Santa Barbara è spesso invocata contro i disastri naturali e contro gli incendi. Ecco quanto riferisce ancora l’abbé Henry: “1794, (…). “Les français mettent le feu aux villages de La Thuile. Le village d’ Entrèves est sur le point de subir le même sort. Les villageois comprennent que la protection du ciel seule peut les sauver. Ils s’ engagent solennellement par un voeu à élever la chapelle de Sainte Barbe, si celle-ci préserve les habitants et les maisons de la catastrophe. (…) Le village fut sauvé et la chapelle de Sainte Barbe ne tarda pas à être construite “. (o.c. p. 373). Un’altra cappella in onore di Santa Barbara fu eretta a SylveNoire, un ameno villaggio sulla strada di Cogne. Per quanto ci riguarda da vicino, il culto di Santa Barbara è molto sentito sia a Issime che a Niel di Gaby. In origine l’antica cappella di Niel era dedicata a Notre-Dame-aux-Neiges e a Saint-Pierre-aux-Liens, due feste patronali che si celebrano entrambe ai primi di agosto; dall’anno 1718, fu introdotta anche la festa di Santa Barbara che, col tempo, divenne la più sentita perché cadeva il 4 dicembre, quando gli emigranti erano tornati tutti al villaggio d’origine e il nucleo familiare si era ricomposto. Il 1718 è ricordato dai documenti d’archivio come un anno funesto perché il 7 ottobre scoppiò a Niel un devastante incendio, che distrusse buona parte delle case del villaggio, costruite in legno, come tutti gli stadel walser. Leggiamo il paragrafo del documento che introduce questa festa: “L’an mille sept cents trente deux et le jour quatrième du mois de décembre, après midy. Sachent tous qu’à l’occasion de l’incendie arrivé au present village de Niel Saint Michel, le jour septième octobre 1718, honnetes Jean Pierre de feu Jean Baptiste Tousco et discret Jean de feu sire Jean Troc, tant à leur nom que de tous les autres particulliers du dit Niel, ont promis de faire célébrer une messe, annuellement et perpetuellement comme à ce jourd’huy, à l’honneur de Dieu et de Sainte Barbe affin d’être, par son intercession, délivrés de la dite incendie.” (…) Le dit Tousco a consigné e imposé, pour assurance de la celebration perpetuelle de la dite messe et du diner du pretre, sçavoir une pièce de terre, en pré, située au Tiers Dessus d’Issime, aux pertinences de Niel, proche de la fontaine, appelée le Pré du gouil, de mesure d’environ deux tiers d’une quartanée…. (source : A.N.A. fonds Donnas, Volume 1702, Notaire S. Barbara. Litografia acquerellata della manifattura Cordey di Torino. Intorno al 1860. Jean Panthaléon Troc). Dunque fu un pauroso incendio a indurre gli abitanti di Niel a fare un legato in onore di santa Barbara. La festa viene tuttora solennemente celebrata, anche se gli abitanti residenti a Niel sono ormai pochissimi. Ricordiamo ancora che i muratori di Niel che, un tempo, erano usi a emigrare per motivi di lavoro, solevano salutarsi con la seguente formula: “Au revoir a Sènta Bòrbera - Arrivederci a Santa Barbara”. I nostri antenati di Gaby solevano rivolgere al cielo la seguente invocazione: “Senta Bòrbera, Sen Simon, vardi-nous dou feuc, dè l’èva, dè la péira, dou tròn - Santa Barbara, San Simone proteggeteci dal fuoco, dall’acqua, dalla pietra, dal tuono”. Iconografia di Santa Barbara La Santa è raffigurata con la spada, strumento del martirio, sullo sfondo c’è sempre una torre, dove venne rinchiusa dal padre per impedirle di professare la fede. Molto spesso regge un calice con il quale, unica donna, poteva somministrare la comunione ai moribondi nel caso di morte imminente, evento molto temuto poiché l’accesso ai sacramenti era considerato indispensabile per la salvezza dell’anima. Come immagini accessorie ci sono le navi, le artiglierie, le munizioni, che, secondo la tradizione, la Santa impediva esplodessero, proteggendo così tutti coloro che ne venivano a contatto. BIBLIOGRAFIA Piero Bargellini, Mille Santi al giorno. Vallecchi Editore, 2001. Abbé Joseph-Marie Henry, Histoire de la Vallée d’Aoste. Imprimerie Marguerettaz, 1967. J.J.Christillin, Légendes et récits. Musumeci Editore, Aosta, 1976. — 44 — A U G U S T A Il Vallone di San Grato (Issime): un territorio svelato Francesco Prinetti I l vallone, con andamento est-ovest, si apre sulla destra idrografica del torrente Lys all’altezza del capoluogo di Issime (circa 1000 m s.l.m.). Consta di un largo gradino di confluenza con dislivello di circa 700 metri fino alla cappella di San Grato, e di un articolato tronco vallivo retrostante con apice al Col de Dondeuil (2342 m). A sud, la cresta spartiacque verso il Vallon de Nantay (Perloz) ed il vallone di Echallognes-Possine (Arnad) culmina al Mont Crabun 2711 m, mentre ad ovest quella verso il Vallon de Dondeuil (Challand St-Victor) culmina al Corno del Lago 2746 m. A nord, la cresta verso il vallone di Chasten (Challand St-Anselme), detta delle Dame di Challant, si eleva ai 3015 m della Becca Torché ed ai 3032 m della Becca di Vlu, per scendere ai 2925 m del Monte Voghel che si affaccia anche sul vallone di Stolen (Issime). A nord del tronco vallivo superiore, la barriera relativamente compatta delle Dame di Challant produce solo valloncelli trasversali ripidi e ingombri di accumuli detritici. A sud invece, ai piedi di una più modesta barriera rocciosa, il vallone si articola in ripiani e conche con una idrografia in parte autonoma che evolve, secondo la quota decrescente, dai laghi alle torbiere. Il nome della conca superiore, i Piccoli Laghi, curiosamente si riferisce ad una spianata laterale disseminata di innumerevoli minuscoli specchi d’acqua, mentre quella principale è occupata da un lago a due corpi diseguali, complessivamente piuttosto esteso. In effetti poi la rete idrografica del vallone viene per larghi tratti unificata dal torrente Walkhunbach, che alla testata drena i valloncelli a nord, poi riceve le acque dei laghi con una forra impressionante presso Reich. Da qui s’infossa a sud per gran parte del percorso, ma appena prima dello sbocco nel Lys riceve le acque dei restanti valloncelli a nord, drenati a parte dal torrente Gründjischbach (d’Wasser per gli issimesi). Dal punto di vista degli utilizzi antropici tradizionali, il vallone offre, in ordine decrescente di superficie, pascoli, boschi e prati sovente irrigui. Più in dettaglio possiamo suddividere il territorio del vallone in quattro parti. Una parte è costituita dal gradino di confluenza, al di sotto dei 1700 m di quota: un territorio globalmente ripido e roccioso, sconvolto da almeno due vasti episodi franosi antichi, con brevi rotture di pendenza sistematicamente sfruttate da terrazzamenti e villaggi. Una seconda parte si stende, alla testata nella fascia sud, sulla gran conca Modello altimetrico del vallone di San Grato che evidenzia, tra l’altro, i due lineamenti di faglia con andamento ovest-est. Regione Autonoma Valle d’Aosta, Ufficio Cartografico, elaborazione INVA, modificato dall’autore. — 45 — A U G U S T A Santa Margherita, un’oasi prativa sul gradino glaciale di raccordo. (foto Prinetti) dei Laghi con torbiere e alpeggi, per stringersi poi ad est e ridursi a qualche piccola spianata umida lungo la forra del gradino di confluenza. La terza parte è costituita dalle alte pendici sassose della catena a nord, con magri pascoli che si integrano poi ad est con quelli del contiguo vallone di Stolen. La quarta parte comprende la fascia assiale del vallone superiore con le migliori superfici già ai piedi del colle, e poi giù fino al bordo del gradino di confluenza, disseminate di alpeggi complessi dalle raffinate linee architettoniche. L’insieme di questi elementi rilevati nell’osservazione geografica trova riscontro qui di seguito nell’analisi geologica degli agenti erosivi, delle strutture e dei corpi rocciosi. GLACIALISMO Un gradino di confluenza più ripido e meno inciso rispetto ad un tronco vallivo superiore più sviluppato e meno acclive: il vallone di San Grato mostra qui una tipica morfologia glaciale, dovuta al maggiore approfondimento della valle principale ad opera del più possente ghiacciaio del Lys, che diecimila anni fa scendeva fino alla Dora, rispetto alla lingua secondaria del nostro vallone. La soglia glaciale fra gradino (scavato dal ghiacciaio del Lys) e tronco vallivo superiore (modellato dal ghiacciaio locale) è però stata sconvolta e quasi totalmente asportata da almeno due episodi franosi postglaciali di cui si dirà in seguito. L’antica lingua glaciale locale ha comunque impresso molteplici caratteri al paesaggio del vallone, soprattutto alla sua testata con un complesso circo glaciale a due apici, l’una tra il colle e le Dame di Challant, e l’altra nella conca dei Piccoli Laghi. Il versante sinistro, quello dominato dalle Dame di Challant, conserva alcune interessanti forme di deposito glaciale, in particolare Il villaggio di Walkhu incassato sul torrente cui dà il nome. Qui il gradino è deformato da un accumulo di frana tagliato dal torrente. (foto Prinetti) — 46 — A U G U S T A La testata del vallone dal Mont Crabun, con le tre Dame di Challant. In primo piano i Piccoli Laghi. (foto Prinetti) numerosi cordoni morenici laterali e frontali di due antiche lingue che scendevano quasi congiungendosi fino alla quota di 2300 m fra uabru Vlu e undru Vlu. Un ghiacciaio roccioso (rock glacier) è poi impostato nel valloncello di Valfreidu, dove “scorre” appena ad est dei ruderi. Quasi tutti i principali insediamenti del tronco mediano, da Chröiz al Ronh, da Mattu a Keckeretschjatz, insistono su terreni glaciali di fondovalle, mentre sul versante destro resistono terrazze glaciali solo intorno a Buadma. Altrove, come è normale in montagna, i terreni modellati dal ghiacciaio sono stati poi rimossi da frane, da erosione torrentizia e da ruscellamenti vari, oppure sono stati ricoperti da frane, da detrito di versante, da materiale alluvionale oltre che da laghi e torbiere. d La testata del vallone dalla Becca Torché. In fondo la pianura canavesana. (foto Prinetti) Numerosi rilievi rocciosi lungo tutto il vallone recano traccia dell’abrasione glaciale pleistocenica, cioè della levigatura dovuta al passaggio ed al peso del ghiacciaio durante le glaciazioni. In particolare l’erosione glaciale ha operato con successo nel modellare i solchi del settore sud, lasciando costoloni levigati a delimitare l’alveo, sovradimensionato, in cui scorre il torrente nel suo tratto mediano. In effetti più che g Traccia dei due lineamenti di faglia che strutturano il vallone. Al livello inferiore il tracciato principale utilizzato dal torrente, più in alto quello secondario che amplia il fondovalle. (foto Prinetti) — 47 — A U G U S T A Lungo la faglia secondaria si impostano conche in contropendenza, e a volte veri laghetti. (foto Prinetti) di un alveo si tratta di un solco efficacemente e selettivamente approfondito dall’ablazione glaciale, con probabili sovraescavazioni nei tratti di roccia meno coerente, e conseguente formazione di torbiere. NEOTETTONICA E GEOMORFOLOGIA La struttura su cui si imposta l’intero vallone è una antica spaccatura che interessa la montagna tra Lys ed Evançon all’altezza del Col Dondeuil. La frattura vari milioni di anni fa ha spostato e maciullato la roccia lungo una linea orientata est-ovest su cui ha subito iniziato ad agire l’erosione. Questo tipo di accidente, chiamato faglia, accade con frequenza, ancorché con discrezione e lentamente, nelle zone geologicamente attive come le catene di montagne, e vi costituisce il principale artefice del paesaggio fisico. In effetti è l’osservazione del paesaggio (anche tramite satellite e foto aerea) che ci fa postulare una faglia sul fondo del vallone di San Grato, in quanto prove dirette della sua esistenza non sono rilevabili sulle rocce: la faglia presumibilmente non è più attiva da tempo e le sue tracce sulle rocce dei bordi sono state cancellate dalle successive glaciazioni. La nostra faglia scorre in modo rettilineo e senza interruzioni dal vallone del Dondeuil, in territorio di Challand, fin nei pressi di Janserp, dove un vasto crollo dal versante destro la seppellisce, deformando in pari tempo anche questa parte del gradino di confluenza. Il torrente principale del vallone si tiene costantemente all’interno della faglia, e con il contributo L’alpeggio di Muni ai piedi del Col Dondeuil e, in secondo piano, le due faglie. dell’antico ghiacciaio vi ha creato un vero fosso (foto Prinetti) che chiameremo tettonico in quanto principalmente frutto di forze che si esercitano dall’interno della Terra. Il fosso è delimitato a tratti da lunghi costoloni di roccia a frattura verticale verso l’interno, levigati dall’erosione glaciale. La faglia principale sembra duplicata poco a nord da una faglietta secondaria, quasi parallela, la quale scorre dai pressi del colle fino a Chröiz sul bordo del gradino di confluenza, dove anch’essa scompare nel crollo sottostante. Questa faglia secondaria potrebbe però rivelarsi solo una specie di “eco” della faglia principale: una campagna di ricerca a tale proposito porterebbe qualche lume anche ad altri casi di faglie poco studiate. Questo secondo tracciato di faglia è contrassegnato da torbiere, da valletAi piedi del colle, un concentrato di ambienti d’alta quota: pietraie, pascoli, boschi e torbiere. (foto Prinetti) — 48 — A U G U S T A Il più grande dei Piccoli Laghi, inserito nella sua conca ricca in geodiversità. (foto Prinetti) te in contropendenza e da attenuazioni di acclività nel pendio, il quale rimane globalmente esposto a sud. È dunque anche questo un accidente lineare ben distinguibile, ma assai più disturbato da eventi erosivi e, soprattutto, da accumuli gravitativi. Varie frane di crollo sono infatti individuabili sul versante, che in cartografia risulta in dissesto profondo su tutta la fascia alta, tra il valloncello di Valfreidu, la zona del Galm ed il crinale verso Stolen. In effetti la maggior produzione di detrito dalla soprastante cresta nord del vallone ha senz’altro contribuito a limitare il ruolo morfologico di questa seconda faglia, che è priva di reticolo idrografico proprio. Ciò non toglie ch’essa regali comunque al vallone una fascia supplementare di terreno fertile ampliando il fondovalle con superfici pianeggianti, come ben si osserva dalla densità degli insediamenti e dalla viabilità tradizionale. L’azione combinata delle due faglie nel tempo ha consentito altresì ai fattori erosivi di incidere maggiormente il vallone facendone arretrare la testata, a scapito della Val d’Ayas, rispetto al contiguo vallone di Stolen. Un altro importante elemento geomorfologico è dato dalla spianata all’angolo SW del vallone, la già citata conca dei Piccoli Laghi, che costituisce una sua testata secondaria, ai piedi del Mont Crabun e del Corno del Lago. Si tratta in realtà di una successione di terrazze strutturali, cioè riconducibili a superfici di discontinuità o scistosità della roccia. Tali terrazze sono variamente inclinate, scaglionate fra 2400 e 1900 m, e le più vaste ospitano numerosi laghi e laghetti. Tutto il versante a basamento dei laghi nella cartografia geologica regionale è indicato in dissesto, e al suo piede si apre la torbiera di Reich con la forra di confluenza dell’acqua dei Piccoli Laghi. Una spiegazione per l’insieme di tali forme depresse è forse da ricercarsi nella natura di alcune rocce di questo versante destro, calcaree e poco coerenti (“lose bianche”), soggette quindi a dissoluzione anche in profondità, dove possono aver creato progressivamente una serie di vuoti poi colmati con crolli e sprofondamenti. È poi da notare che il dissesto profondo del versante Valfreidu-Galm trae origine da una lunga serie di trincee beanti e sdoppiamenti di cresta che affliggono il crinale tra le quote 2340 e 2500 m, fenomeni poi duplicati a mezza costa a quota 2250 m, dal Galm verso l’interno del vallone (ovest). Questa serie di disturbi sfociano poi nella dislocazione della cresta spartiacque all’apice del valloncello di Valfreidu: la dorsale in questa zona perde continuità tracciando un insellamento di direzione grosso modo NE-SW, direzione frequente nel sistema regionale degli sforzi tettonici. Un blocco di roccia a granato ed anfibolo blu, minerali formatisi a grande profondità nel corso della surrezione della catena alpina. (foto Prinetti) — 49 — A U G U S T A di minerali di grande profondità. Dal gran lago in su troviamo dunque sempre rocce continentali di alta pressione, ma più riequilibrate a minor profondità: micascisti a clorite con patina rugginosa, e gneiss ad albite, quarzo e clorite. Sulla cresta tra il Crabun e la Cima di Prial spunta poi una lente di rocce molto chiare (“lose bianche”), piuttosto spettacolare nel paesaggio. Si potrà notare che i suoi affioramenti sono attorniati da tipica vegetazione basofila, con astri e stelle alpine. Si tratta di marmi e dolomie localmente ricchi di mica ed altri silicati (calcefiri); blocchi di tali rocce si trovano fin giù in riva al lago. Bianchissime rocce calcaree affiorano a lastroni sul crinale verso Perloz, circondate da stelle alpine e astri violetti. (foto Prinetti) NATURA E ASSETTO DELLE ROCCE Il vallone di San Grato si apre ancora nel dominio di quelle rocce ricche in elementi leggeri ed in particolare in silice che troviamo sul bordo interno dell’arco alpino occidentale verso la pianura padana. Le rocce di questo tipo caratterizzano la parte continentale della crosta terrestre, mentre le rocce più dense, ricche in ferro e magnesio, della vicina Val d’Ayas segnano già il passaggio ad un dominio oceanico. Ma le nostre rocce appartengono ad un brandello continentale staccato e riciclato a grande profondità prima di risalire in superficie in questo settore alpino. Caratteristica principale di queste rocce continentali alpine è dunque un insieme di cristalli assolutamente insoliti a livello mondiale, che riflette equilibri acquisiti a grande profondità nella crosta terrestre. Le associazioni minerali di maggiore interesse comprendono il granato, la giadeite, il quarzo, l’anfibolo blu, l’epidoto, il rutilo, il marmo. La roccia che li contiene, a seconda del materiale di partenza, può essere raramente una metabasite (da magmi a composizione basaltica, con molto ferro e magnesio), più sovente un metagranitoide (da originarie rocce magmatiche di tipo granitico), un micascisto eclogitico (da scisti o sedimenti vari), un marmo, un marmo dolomitico o un calcefiro (da sedimenti calcarei). Nelle loro classificazioni, i geologi hanno annoverato questa unità tettonica nel Sistema Austroalpino con il nome di Zona Sesia. In particolare, la conca dei Piccoli Laghi è un luogo privilegiato, oltre che per il panorama, anche per la geodiversità. Sul lato est del lago grande, verso l’emissario, passa il contatto, per la verità piuttosto sfumato ed incerto, fra due unità più o meno ricche CONCLUSIONE Ogni unità territoriale delle Alpi, e in particolare della Valle d’Aosta, per quanto piccola ha sempre una sua personalità geografica, geologica, biologica che la rende unica, preziosa, importante. Gli uomini, le comunità che si sono succedute sul territorio hanno quasi sempre saputo interagire in modo simbiotico con questi dati fisici per produrre civiltà alpina. Nel vallone di San Grato l’ecosistema fondato sul pascolo alpino ha trovato elementi fisici favorevoli nella presenza delle due faglie parallele, che sdoppiano il fondovalle svincolandolo sia dallo schema del solco incassato (es. vallone della Forka) che da quello del versante poco inciso (vallone di Stolen). Tutto il corridoio fra le due faglie è disseminato di capolavori di civiltà: gli edifici innanzitutto, ormai conosciuti ed apprezzati, ma anche il sapiente gioco dei disboscamenti, che selezionano i migliori prati irrigui lasciando torbiere e parziali coperture forestali sugli accumuli di frana. La rete degli insediamenti, ancorché quasi mai sotto forma di villaggio, è straordinariamente densa nella fascia di questo fondovalle allargato, e vi si trovano a volte eleganti testimoni della geologia locale sotto forma di rocce e pietre con bei granati nei basamenti e nei muri. Dunque, osservando il vallone di San Grato con gli strumenti delle Scienze della Terra, una moltitudine di stimoli, di suggestioni, di collegamenti culturali si offre alla nostra mente e ai nostri sensi. Si tratta, è vero, di reazioni umane che possiamo provare sovente al cospetto della natura quand’essa interagisce con la civiltà alpina. Ma la qualità del dialogo fra il buon osservatore ed il territorio dipende strettamente dal tipo di intervento umano che si è sedimentato sul territorio stesso. Se è vero che l’assenza di intervento impoverisce il territorio alpino, è anche vero che l’intervento sbagliato ne distrugge le potenzialità culturali e quindi turistiche. Nel vallone di San Grato le potenzialità sono particolarmente alte, dato l’alto livello di qualità architettonica, la struttura fisica del vallone, la sua geodiversità. Tutto è legato, e nella civiltà tradizionale tutto è stato valorizzato in modo equilibrato. Applicare nuovi criteri di sfruttamento delle risorse territoriali è operazione delicata. Non sempre le iniziative che il mercato globale ci propone si inseriscono in una dinamica positiva di progresso equilibrato. Il concetto stesso di progresso si è perso nelle nuove categorie della globalizzazione: si va alla cieca alla ricerca di sterili efficienze contabili, che si rivelano dolorose per l’economia e l’occupazione. Prima di adottare impulsivamente tali modelli, prima di sbancare, sradicare, sterrare, ci sembra opportuno riflettere alla compatibilità di tali azioni con l’equilibrata saggezza del territorio quale ci è stato lasciato dai nostri padri. Nel territorio valdostano è racchiusa la parte migliore della creatività storica dei suoi abitanti. Anche se ora non sappiamo più incrementarne il valore culturale, facciamolo almeno fruttare nel modo giusto. — 50 — A U G U S T A La torbiera di Mongiovetta (Vallone di San Grato): un archivio per ricostruire la storia del territorio degli ultimi millenni Elisabetta Brugiapaglia1 I Dipartimento di Agricoltura, Ambiente e Alimenti. Università del Molise Campobasso l paesaggio così come viene percepito è il risultato di eventi naturali e antropici che si sono succeduti nel tempo. La ricostruzione di questi eventi può essere affrontata a scala di decenni, millenni o milioni di anni. Per conoscere come era il paesaggio vegetale, come vivevano e di cosa si nutrivano i nostri antenati, si possono utilizzare diverse metodiche, dalla ricostruzione storica attraverso documenti d’archivio, all’archeologia ed alla paleoecologia. In particolare attraverso quest’ultima si può ricostruire il paesaggio e l’ambiente alla scala dei millenni avvalendosi di parti vegetali conservate nei sedimenti quali pollini, semi, frutti e legni (Behre, 1981). L’oggetto dell’indagine alla torbiera di Mongiovetta è il polline, piccolo, invisibile ad occhio nudo, ma che fornirà numerose informazioni. Il polline dal punto di vista botanico rappresenta il gamete maschile che viene prodotto dalle piante superiori Gimnosperme e Angiosperme. È presente ovunque nello spazio e nel tempo e, grazie alla morfologia ed alla resistenza della parete esterna, l’esina, è facilmente riconoscibile ed è quasi eterno (fig. 1) (Brugiapaglia & Mercuri, 2012). La conservazione dei granuli pollinici prodotti dalla vegetazione passata, si realizza in particolari ambienti umidi quali i laghi e le torbiere. In particolare nelle zone d’altitudine, i laghi nella maggior parte dei casi sono di origine glaciale, ossia formatisi in seguito al ritiro dei ghiacciai. La vegetazione che si insedia sulle sponde del lago, fornisce la necromassa necessaria per il riempimento del lago che si trasformerà alla fine della sua evoluzione naturale in torbiera. Le torbiere sono degli ambienti molto rari non solo in pianura per via dello sfruttamento a cui sono state sottoposte nei secoli passati per l’estrazione della torba usata come combustibile, ma anche in altitudine; in Valle d’Aosta benché le torbiere siano abbastanza diffuse in altitudine, nella maggior parte dei casi sono state interessate da fenomeni franosi naturali che hanno ricoperto i sedimenti più antichi oppure sono state drenate e bonificate per la realizzazione di invasi per l’innevamento artificiale. La torbiera è un ambiente conservativo in cui la sostanza organica prodotta dalla vegetazione tende nel tempo ad accumularsi invece di essere degradata come avviene nei normali suoli. I fattori che rallentano la degradazione della materia organica sono essenzialmente due: le condizioni climatiche umide che garantiscono una migliore 1 conservazione della sostanza organica morta rallentando l’azione dei microrganismi decompositori, e l’abbondanza di acqua che impregna il suolo e la materia organica depositata che blocca ulteriormente l’attività aerobica dei decompositori. Quindi grazie a questi fattori, le torbiere sono degli archivi naturali in cui si conservano resti vegetali come pollini, legni, semi ed altri parti vegetali per migliaia di anni in ottimo stato. Prelevando i sedimenti a partire dal fondo fino alla superficie della torbiera si può ricostruire la vegetazione che circondava il sito nei periodi passati. METODOLOGIA Sulla torbiera di Mongiovetta (fig. 2) a 1960 m sldm e di Reich a 1900 m sldm nel luglio 2013 sono stati effettuati numerosi sondaggi secondo un transetto per individuare la parte più profonda della torbiera stessa. I sedimenti sono stati estratti con l’utilizzo della trivella di tipo russo che preleva carote di 60 cm di lunghezza e 6 cm di diametro (fig.. 3). A Mongiovetta sono stati prelevati i sedimenti con un carotaggio continuo fino a 150 cm, mentre a Reich fino a 300 cm di profondità ma le carote sono discontinue. Le carote prelevate sono state riposte in contenitori e guaine di plastica per evitarne la disidratazione; in laboratorio (fig. 4) sono stati prelevati i campioni ogni 2 cm, trattati chimicamente (Erdtman, 1936) per eliminare tutta la materia inorganica e organica ed estrarre solo il polline e le spore. Il residuo ottenuto dai 62 livelli è stato montato sul vetrino e sono stati contati almeno 200 pollini per ogni livello. Il diagramma realizzato con il programma GPalwin è stato suddiviso in zone che presentano composizione pollinica omogenea. Inoltre da 5 livelli sono stati prelevati i macroresti vegetali che sono stati spediti al laboratorio di datazione 14C dell’Università del Salento che procederà alla datazione secondo la metodica dell’AMS (Spettrometria di massa). RISULTATI I risultati ottenuti dallo studio dei pollini contenuti a Mongiovetta, sono rappresentati nel diagramma sintetico di figura 5 in cui sono riportati solo i principali taxa dei 73 individuati. Il diagramma è suddiviso in 7 zone polliniche in cui la composizione pollinica appare abbastanza omogenea. Sul lato sinistro del diagramma è riportata la profondità e la Professore presso il Dipartimento di Agricoltura, Ambiente e Alimenti. Università del Molise. — 51 — A U G U S T A Localizzazione del carotaggio sulla torbiera di Mongiovetta. La vegetazione circostante è dominata da larice (Larix decidua) e da arbusti di rododendro (Rhododendron ferrugineum). È anche presente una stazione di Drosera rotundifolia che rende la torbiera interessante dal punto di vista della conservazione della biodiversità. In basso a destra la torbiera di Réich. (foto Musso) Drosera rotundifolia, pianta carnivora. (foto Brugiapaglia) stratigrafia che è costituita principalmente da torba, tranne che nella parte basale e tra 54 cm e 56 cm in cui prevalgono le sabbie siltose. Numerosi resti vegetali sono presenti lungo tutta la carota, in particolare frammenti di legno sono stati ritrovati a 50-52 cm e 92-94 cm di profondità. La parte più profonda del sedimento estratto, tra 140 e 148 cm (biozona 1) è costituito da sabbia siltosa in cui sono stati estratti alcuni frammenti di legno utilizzati per la datazione del livello. La composizione pollinica della biozona è caratterizzata principalmente da Pinus, Betula, Ostrya, Ericaceae, Poaceae, Trollius e Cyperaceae. Nella biozona 2 (140-122 cm) si osserva la riduzione di Betula, l’aumento di Pinus cembra, Pinus e la temporanea riduzione delle Cyperaceae. Nella biozona 3 (122-108 cm) sembra essere presente una breve fase a larice (Larix) considerando che il larice è una specie che disperde poco il suo polline anche basse percentuali ne indicano la presenza in situ. Alcune scaglie di cono di Abies (abete bianco) sono state trovate nel sedimento ed utilizzate per la datazione 14C AMS. Sono sempre presenti Trollius, Asteraceae e Cannabis (canapa) che veniva coltivata nei pressi del sito così come già messo in evidenza al lago di Lod in Valletournenche (Brugiapaglia, 1996). Nella biozona 4 (108-56 cm) la vegetazione è caratterizzata da Ericaceae e dalla riduzione delle specie legate al pascolo quali — 52 — A U G U S T A Carotaggio (foto L. Busso) Sondaggio del terreno (foto L. Busso) Trollius, Asteroideae e Cichorioideae, Poaceae. La famiglia delle Ericaceae comprende specie che producono poco polline e la cui dispersione è molto limitata, quindi la presenza del polline ne indica la presenza in situ. Nella biozona 5 (56-50 cm) diminuiscono le percentuali del polline arboreo (AP) mentre sembra verificarsi un incremento delle attività umane quali il pascolo (aumento di Cichorioideae e Rumex) e la coltivazione dei cereali. Solo nella biozona successiva (50-38 cm) si osserva un netto aumento del polline dei cereali la cui coltivazione probabilmente aumenta e potrebbero essere state utilizzate anche zone ad elevata altitudine complice Polline triporato di Cannabis sativa a sinistra, polline di Pinus, a destra. (foto Brugiapaglia) un miglioramento delle condizioni climatiche; la registrazione del polline di castagno, utilizzato nelle zone alpine come marcatore del periodo romano, ci induce a credere che la base della biozona 6 sia circa 2000 anni fa in cui si verificò un miglioramento delle condizioni climatiche come è evidente anche dai ritiri dei ghiacciai dell’Europa centro-occidentale (Holzhauser et al., 2005). Nella biozona 7 (38-18 cm) è evidente la dominanza del polline non arboreo (NAP): infatti dominano le Poaceae, Chenopodiaceae, Rumex e cereali. La vegetazione arborea riduce il proprio apporto pollinico probabilmente in relazione alla sua utilizzazione come materiale da costruzione e combustibile. È da rilevare un aumento del polline di Fagus che in Valle d’Aosta è sempre molto raro nei diagrammi pollinici, così come la sua attuale presenza è limitata ad alcune isolate stazioni tra cui anche la bassa valle di Gressoney (Turbiglio et al., 1991). I risultati delle datazioni assolute che permetteranno di correlare e sincronizzare gli eventi naturali ed antropici verificatisi negli ultimi millenni tra diversi siti alpini, sono in corso di realizzazione. La descrizione dei risultati evidenzia che la zona della torbiera di Mongiovetta è stato un buon sito per la registrazione della pioggia pollinica, tuttavia è impossibile discernere tra i pollini di provenienza locale da quelli di origine regionale, anche se le ricerche svolte sulla dispersione attuale del polline (pioggia pollinica attuale) danno un contributo per tentare di valutare le specie che si trovavano nei pressi della torbiera oppure costituivano la vegetazione regionale. Un altro tassello per stabilire la presenza o meno di un taxon sul sito è la presenza di parti — 53 — A U G U S T A Carota prelevata tra 60e 120 cm di profondità. Il sedimento è costituito da torba evoluta. La carota viene posta in una guaina di pvc ed avvolta in una busta di plastica per evitare la disidratazione del sedimento. (foto Brugiapaglia) vegetali (macroresti) quali semi, frutti e legni, alcuni dei quali sono stati rinvenuti nei sedimenti studiati. CONCLUSIONI La parte più antica del diagramma evidenzia che 1) sul sito esisteva un ambiente umido grazie alla presenza di semi di carici contenuti in abbondanza nel sedimento, 2) che era utilizzato come pascolo e 3) era presente una vegetazione arbustiva a Rhododendron. La vegetazione arborea era caratterizzata dalla presenza di larici forse frammisti a pino e pino cembro benché le percentuali di quest’ultimo siano molto basse (< a 5%). Successivamente si verificò un’espansione della pineta e del pino cembro. Il pascolo risulta essere stato l’attività dominante anche se è presente il polline dei cereali che probabilmente erano coltivati nei pianori sottostanti la torbiera. A partire dalla biozona 3 inizia a diventare continua anche la presenza della canapa ed il pascolo è sempre presente. Successivamente la pressione pascoliva sembra diminuire mentre aumentano In laboratorio le carote vengono analizzate per la descrizione della stratigrafia e prelevati i campioni di sedimento che saranno poi sottoposti a trattamenti chimici per l’eliminazione della sostanza organica ed inorganica ed ottenere infine solo polline. (foto Brugiapaglia) — 54 — A U G U S T A Diagramma pollinico semplificato. Le curve polliniche rappresentano le variazioni percentuali dei principali taxa in relazione alla profondità. I risultati delle datazioni assolute effettuate a 34-36 cm, 52-54 cm, 106-110 cm, 130-140 cm, 144-148 cm saranno fondamentali per datare i singoli avvenimenti vegetali di origine antropica quali l’inizio della coltivazione dei cereali, della canapa e la durata dell’attività di pascolo. le Ericaceae che probabilmente colonizzano le aree precedentemente pascolate come avviene anche attualmente nella dinamica vegetale post abbandono. La riduzione della pastorizia potrebbe essere correlata ad un peggioramento delle condizioni climatiche riducendo o impedendo l’accesso ai pascoli di altitudine anche nella stagione favorevole. Queste considerazioni saranno confermate o smentite solo con il contributo delle datazioni che potranno essere correlate con le fluttuazioni dei ghiacciai del settore alpino (Holzhauser et al., 2005). La coltivazione della canapa sembra iniziare precocemente rispetto all’Italia centrale in cui compare durante il periodo romano (Mercuri et al., 2002) ed al lago di Lod durante il Medioevo (Brugiapaglia, 1996). La parte superiore del diagramma registra l’aumento del polline erbaceo testimoniando 1) della ripresa del pascolo come confermato anche dall’aumento di Rumex (3%) (Maude & Moe, 2005) e 2) della coltivazione dei cereali (20%) anche se solo per un breve periodo. La vegetazione forestale naturale si riduce mentre inizia la registrazione del polline del castagno (Castanea) e del noce (Juglans) che sul settore alpino si diffondono con i Romani che iniziarono a coltivarli. Questi primi risultati ottenuti dallo studio della torbiera di Mongiovetta rappresentano un importante tassello per chiarire l’uso dei siti d’altitudine in relazione alle fluttuazioni climatiche che si sono succedute negli ultimi millenni; i risultati delle datazioni assolute 14C AMS apporteranno nuove informazioni per stabilire tali relazioni e correlare questa sequenza con le altre note per il settore alpino. Allo stato attuale non si possono fare tali correlazioni per quel che riguarda le modificazioni climatiche. In conclusione si può affermare che non solo le caratteristiche “visibili” il cosiddetto fenopaesaggio portano informazioni per la conoscenza e la valorizzazione del territorio, ma anche il criptopaesaggio, ossia le sue caratteristiche “invisibili”. Il sedimento formatosi nel corso dei millenni, grazie alle particolari condizioni pedologiche e climatiche, ha permesso la conservazione dei pollini e dei macroresti vegetali nonché animali che se estratti dal sedimento ed interpretati, vanno ad aggiungersi alle conoscenze naturalistiche, culturali ed architettoniche che hanno portato alla valorizzazione del Vallone di San Grato. BIBLIOGRAFIA Behre K.-E., 1981 – The interpretation of anthropogenic indicators in pollen diagrams. Pollen et Spores, 23: 225-245. Brugiapaglia E., Mercuri A.M., 2012 – Raccolte palinologiche. In “ Herbaria. Il grande libro degli erbari italiani”. Nardini editore: 201-207 Brugiapaglia E., 1996 – Dynamique de la végétation tardiglaciaire et holocene dans les Alpes Italiennes nord-occidentales. Tesi, Université d’Aix-Marseille III. Erdtman G., 1936 – New methods in pollenanalysis. Svensk. Bot.Tidskr., 30(2): 154-164. Holzhauser H., Magny M., Zumbühl H.J., 2005 – Glacier and lake-level variations in west-central Europe over the last 3500 years. The Holocene, 15 (6): 789-801. Maude A.E., Moe D., 2005 – A contribution to the history of Rumex alpinus in the Italian central Alps. A palaeobotanical study from Val Febbraro, Valle Spluga. Veget. Hist. Archaeobot., 14: 171-178. Mercuri A.M., Accorsi C.A., Bandini Mazzanti M., 2002 – The long history of Cannabis and its cultivation by the Roman in central Italy, shown by pollen records from Lago Albano and Lago di Nemi. Veget. Hist. Archaeobot.,11: 263-276. Turbiglio L., Siniscalco C., Montacchini F., 1986 – Gli alberi della Valle d’Aosta. Rev. Valdôtaine d’Hist. Naturelle, 40: 43-57. — 55 — A U G U S T A Il contatto oceano-continente sul Colle Salza (Soalzecoll) Francesco Spinello, naturalista RÉSUMÉ Dans cet essais on décrit le contact tectonique entre l’unité ophiolitique de la Zone Piémontaise (Unité de Zermatt-Saas) et le massif du Mont Rose. Dans le premier cas il s’agit de roches formées dans la partie la plus profonde d’un ancien bassin océanique (l’océan liguro-piémontais); au contraire, les roches du Mont Rose sont les restes des plutons qui se sont insérés dans la croute continentale, par remontée de magma, déformés à cause des dynamiques liées à l’orogénèse alpine. IL COLLE SALZA S e ci si porta oltre l’Alpe di Cortlys, lungo il sentiero n.7 che dalla località di Stafal (GressoneyLa-Tinité) conduce alle sorgenti del Lys, si giunge ai piedi della grande morena napoleonica in sinistra orografica, da cui parte il sentiero 7C per il colle di Salza (Salzen o Salze) e la Punta Alta Luce. Giunti all’ingresso del vallone in leggero pendio, non si può fare a meno di notare che le pareti rocciose presentano una colorazione e una forma ben diverse: verde-azzurra e molto frantumata quella di destra (sud), bruno-rossastra e più compatta quella di sinistra (nord). Si tratta del contatto tra le cosiddette pietre verdi dell’Unità Zermatt-Saas del Telcio e la falda Pennidica del Monte Rosa che comincia a comparire sull’Alta Luce. Le pietre verdi vengono definite come ofioliti, un gruppo di rocce che derivano dal materiale che compone la crosta oceanica; la falda del Monte Rosa, invece, deriva da materiale apparte- Alta Valle del Lys, destra orografica. Panorama sulla formazione delle pietre verdi incisa dal debris flow (in centro) e falda del Monte Rosa (a destra). (foto Spinello) — 56 — A U G U S T A Particolare delle pietre verdi del Telcio. (foto Spinello) nente alla crosta continentale, deformato dai processi tettonici di contrazione delle placche, che in questo punto è rappresentato prevalentemente da micascisti granatiferi. Il contrasto cromatico (e geologico) si può apprezzare anche sul versante opposto della Valle del Lys: guardando l’Alpe Bettolina ed il Passo Bettaforca si nota la colorazione verde delle ofioliti (ben evidenziata dal solco più chiaro del debris flow) che sovrasta e si mescola con la fascia bruna del massiccio del Monte Rosa più a nord. Sul fondo della vallata il contatto tra le due formazioni viene nascosto dall’ingente materiale fluvio-glaciale che è coperto, a sua volta, dalla vegetazione. LA FORMAZIONE DELLE ALPI È conoscenza diffusa che le Alpi si siano originate dallo scontro tra la placca africana e quella europea, durante i movimenti tettonici innescati a partire dalla metà del Mesozoico (circa 140 milioni di anni fa). In effetti, con la fratturazione del supercontinente Pangea, a partire dal Triassico, si originò l’oceano della Tetide in conseguenza della separazione dell’Africa dall’Eurasia. In seguito, a partire dal Cretacico, ebbe inizio l’apertura dell’oceano Atlantico, con l’allontanamento vicendevole delle Americhe da Europa e Africa. L’apertura dell’Atlantico esercitò un ruolo importantissimo sulle vicende dell’area mediterranea; infatti tale movimento innescò la chiusura dell’oceano posto tra l’area settentrionale africana (chiamata Adria o Apulia) e l’Europa che entrarono in collisione (Casati, 1996). Le spinte convergenti delle placche africana ed euroasiatica fecero accavallare i terreni e le formazioni rocciose presenti tra le due zolle, con conseguenti sprofondamenti dei blocchi più pesanti, impilamenti e sovrascorrimenti. Grandi masse di ofioliti (derivanti da crosta di origine oceanica) rimasero intrappolate tra i materiali di tipo continentale. “Quando lembi di litosfera oceanica rimangono rinserrati tra due continenti, si formano unità, dette mélanges, costituite da materiali eterogenei fortemente deformati e ridotti in frammenti di ogni dimensione, inclusi in una matrice a sua volta laminata per intense azioni tettoniche. I mélanges ofiolitici presenti nelle aree continentali marcano quindi le zone di sutura, cicatrici che testimoniano la saldatura tra continenti” (Casati, 1996). LE OFIOLITI Le sopradette suture sono quindi formate da rocce chiamate ofioliti, che comprendono generalmente tre tipi di materiali principali, tutti derivanti dal magma del mantello in risalita (rappresentato dalle peridotiti) e costituito da minerali quali olivine e pirosseni, ricchi di metalli pesanti: • i basalti (o diabasi), consolidatisi per effusione del magma direttamente a contatto con l’acqua di mare; • i gabbri, consolidatisi all’interno della crosta oceanica basaltica; • le serpentiniti, frammenti di mantello peridotitico che hanno sùbito un processo di trasformazione (serpentinizzazione) per idratazione, con conseguente modifica di alcuni elementi chimici, durante la risalita verso la crosta. Tali rocce, per il loro alto contenuto di metalli e la colorazione scura facilmente riscaldabile dai raggi solari, ostacolano la crescita delle piante e, di conseguenza, l’agricoltura; per questo motivo venivano chiamate “Pietre del Diavolo” dalle popolazioni che vivevano sull’Appennino emiliano dove le ofioliti sono diffuse (AA.VV., 1993). CARATTERISTICHE GEOLOGICHE DELLA VALLE DEL LYS La Valle del Lys, quindi, nella zona sommitale, presenta il contatto tra antico oceano Tetide e continente euroasiatico. Per dirlo con le parole del Monterin (1922) “la Valle di Gressoney, dalle sue origini al suo confluire con quella d’Aosta a Pont S. martin, è una tipica valle trasversale diretta da nord a sud. Taglia quasi perpendicolarmente la direzione degli strati corrispondendo questi in generale sui due fianchi. Infatti la testata della valle è formata dall’ampio bacino glaciale del Lys aprentesi sul fianco meridionale del grande ellissoide gneissico e di micascisti del Monte Rosa, contro cui si rovescia una zona di pietre verdi ossia calcemicascisti, serpentine, serpentinoscisti, ecc… e tutte quelle altre associazioni e forme litologiche caratteristiche di questa serie. La valle le taglia trasversalmente da Cortlys a Stein-Matto, donde fino al suo sbocco a Pont S. Martin si apre attraverso i gneiss ed i micascisti della serie Sesia-Val di Lanzo, che a loro volta si addossano alle pietre verdi”. IMPORTANZA AMBIENTALE E PAESAGGISTICA Il contatto tra le due strutture rocciose, così ben visibile in questa zona, ci racconta come è stata complessa la formazione delle Alpi e, in generale, del territorio italiano, con un susseguirsi — 57 — A U G U S T A Contatto oceano-continente sul colle Salza. (foto Spinello) di contrazioni tettoniche che hanno provocato sprofondamenti e scorrimenti di crosta oceanica, l’impilamento di masse rocciose e la risalita di magma. Valorizzare questi elementi geologici vuol dire preservare la memoria dell’origine del nostro territorio e incentivare la conoscenza e lo studio del paesaggio, soprattutto da parte delle nuove generazioni, oltreché proteggere uno scenario incantevole. Tutti motivi questi che suggeriscono il riconoscimento del vallone di Salza come geosito all’interno dell’area protetta SIC/ZPS “Ambienti glaciali del gruppo del Monte Rosa” i cui confini sfiorano proprio questo luogo. BIBLIOGRAFIA AA.VV. (1992), Le ofioliti dell’Appennino emiliano, Regione Emilia-Romagna. CASATI P. (1996), Scienze della Terra, Vol.1, Elementi di geologia generale, pp. 393-398, Città Studi Edizioni. MARCHETTI M. (1999), Il censimento dei “beni geologici”. In: Regione Emilia Romagna, Geositi, testimoni del tempo, pp 69-87. MONTERIN U. (1922), Fenomeni carsici nei calcemicascisti della “Zona delle pietre verdi” (Alta valle di Gressoney). Estr. dagli Atti della Reale Accad. Delle Scienze di Torino, vol LVIII, 1923. In: Raccolta di scritti di Umberto Monterin (1986), vol I, Dal Monte Rosa al Tibesti, pp. 31-42. MONTERIN U. (1924), Sulla geomorfologia dell’Alta Valle d’Ayas,. Estr. dal Periodico L’Universo, Anno 5, N.1, 1924. In: Rac- colta di scritti di Umberto Monterin (1986), vol I, Dal Monte Rosa al Tibesti, pp. 61-89. MONTERIN U. (1924), La valle di Gressoney e la sua geomorfologia. Estr. dal Bollettino della Flore Valdotaine, 17, 1924. In: Raccolta di scritti di Umberto Monterin (1986), vol I, Dal Monte Rosa al Tibesti, pp. 91-126. MUSEE REGIONAL DE SCIENCES NATURELLES DE SAINT PIERRE (2008), A la découverte des plus beaux paysages du Pays du Mont Blanc, tome 3 (Vallée d’Aoste), pp. 128-132. PRINETTI F. (2010), Andar per sassi. Le rocce alpine fra natura e cultura, pp. 124-133. SOCIETA’ GEOLOGICA ITALIANA (1992), Le Alpi dal M. Bianco al Lago Maggiore, Guide Geologiche Regionali, 3, volume primo pp. 210221 e volume secondo, pp. 144 -156. SPINELLO F. (2012), L’Alta Valle del Lys: un’area ricca di siti di interesse geomorfologico, Augusta, 2012, pp. 27-30. Panorama sul vallone di Salza. (foto Spinello) — 58 — A U G U S T A Territorio, professione e nuclei familiari: il caso dei Consol Stoffultsch e Stoffeltisch1 Michele Musso N el Vallone di Tourrison nell’alpeggio più basso della località chiamata Tschavanellji (undrun Tschavanellji - in patois Tchavanöi) si trova un piccolo oratorio2, fu voluto da un certo Cristoforo Consol a seguito di un voto fatto per essere scampato a un pericolo, l’incontro con un animale selvatico. Si racconta che ad avvisare Cristoforo del pericolo imminente sia stato il suo piccolo cane che giunto nei pressi dell’abitazione di Tschavanellji3 si arrestò improvvisamente nascondendosi fra le gambe del proprio padrone. Cristoforo allora andò a vedere che cosa vi fosse e notò l’animale, una lince come si racconta, secondo alcuni l’animale era il famoso tiruwolf un animale fantastico mezzo lupo mezzo volpe, che si stava abbeverando nella fonte dietro la baita, fu in quel momento che fece voto di costruire l’oratorio se si fosse salvato4. L’oratorio fu realizzato nel 1837, come da data incisa su una pietra frontale dell’edicola. Questo racconto si tramanda all’interno della famiglia Consol da quasi due secoli, sia dal ramo chiamato Stoffeltisch sia da quello chiamato Stoffultsch. Tutte le persone che hanno raccontato il fatto mi hanno sempre specificato che accadde al capostipite della propria famiglia ‘al vecchio Stofful’. In base ai ricordi familiari che mi sono stati raccontati e alla ricerca d’archivio ho potuto ricostruire l’evoluzione della famiglia nel corso di oltre due secoli e dare conferma della comune origine degli attuali Consol di Issime. Ad Issime, come per molte comunità alpine, l’emigrazione stagionale ha rappresentato per secoli la valvola di sicurezza per la comunità, ma già alla fine del ‘700, vuoi anche per un aumento demografico, ci fu un progressivo slittamento verso un’emigrazione permanente o quasi permanente. L’impennata di emigrazione si ebbe dalla seconda metà dell’800 e ancora nei primi decenni del ‘900 fino al 1936, quando il regime fascista bloccherà definitivamente l’uscita verso l’estero. Chi lasciava definitivamente il paese vendeva abitazione, terra e alpeggio, un’opportunità per chi rimaneva. In questo contesto la famiglia Consol trova vantaggio e nuove possibilità, acquisterà, infatti, case, terre e alpeggi, e non solo nel paese di Issime. Nel seguire il succedersi delle generazioni di Consol è emerso in modo chiaro quali siano state le strategie familiari riguardo alle attività occupazionali che hanno portato all’attuazione di misure efficaci per rimanere sul territorio e non dover essere costretti ad emigrare, per lo meno non in maniera definitiva. Ogni generazione designava chi era destinato a dedicarsi alle attività agro-pastorali e a condurre i beni di famiglia e chi invece doveva avviarsi a un’attività diversa, sempre mantenendo uno stretto legame col territorio soprattutto riguardo alla tutela della proprietà terriera, in modo tale da diversificare le occupazioni ed aumentare le possibilità di successo anche delle generazioni successive. In quest’ottica le dinamiche nella pianificazione dei matrimoni hanno giocato un ruolo fondamentale nella posizione della famiglia all’interno della comunità issimese con un indubbio vantaggio sia sul piano del successo economico sia del prestigio. Gli issimesi lavoravano quasi esclusivamente nel campo dell’edilizia esercitando le professioni di impresario, muratore e tagliapietre. Molti degli alpeggi erano dati in affitto a forestieri, questo ancora nei primi decenni del ‘900. Già sul finire del XIX secolo – probabilmente in concomitanza con la costruzione della strada che percorreva la Valle del Lys in tutta la sua lunghezza – alcune famiglie issimesi avevano incominciato ad assumere un ruolo che può ben dirsi imprenditoriale, acquisendo una posizione di primo piano nella gestione del mercato dei prodotti caseari fino ad allora nelle mani di commercianti biellesi. Uno di questi imprenditori, che operò con maggior evidenza e vigore questo mutamento di rotta e segnò così il destino del suo gruppo familiare, è significativamente l’unico parrocchiano di Issime a essere indicato – in uno Stato delle Anime peraltro Il presente lavoro si è avvalso della testimonianza orale di Felice Consol Stoffeltisch, Silvia Consol Stoffultsch, Marta Consol Stoffeltisch, Lea Consol Stoffultsch, Vilma Consol Stoffultsch, Flavio Consol Stoffultsch, Imelda Ronco Hantsch, Giuseppina Ronco Hantsch, Vittoria Busso Lixandrisch (Imelda, Giuseppina e Vittoria sono discendenti dei Busso Schützersch), Giovanna Nicco che ringrazio, e di chi non è più fra noi: Albertina Fresc ved. Consol Stoffeltisch, Filippo Consol Stoffultsch, Ettore Consol Stoffultsch, Vitale Consol Stoffultsch, Lina Busso Héntsche, Pierina Christillin Pirisch ved. Consol Stoffultsch. Per quanto riguarda la fonte d’archivio è quella della Parrocchia di Issime, registri di nascita, matrimoni, morte, e lo ‘Stato delle Anime’ e per questo ringrazio i parroci di Issime William Gallego Agudelo e il suo predecessore Saverio Vallochera, per avermi dato la possibilità di accedere all’archivio. Inoltre ringrazio sentitamente Claudine Remacle per le preziose informazioni fornitemi. 2 L’oratorio conteneva quattro statue lignee, una Madonna con Bambino (rubata negli anni ’80 del ‘900), un San Cristoforo, una Santa Cristina (Cristina era la moglie di Cristoforo) del XVIII secolo e un piccolo Cristo nel sepolcro, attualmente conservati nel Museo di Arte Sacra della chiesa parrocchiale. 3 La baita fu costruita da Jean-Christophe Consol nel 1828 come indica la data e le iniziali sulla trave maestra, oggi appartiene ai discendenti di Camillo Daniel Consol Stoffultsch (1916-1993) che abitava a Varellji, discendente di Jean-Baptiste Consol Stoffultsch (1821-1902) figlio di JeanChristophe. 4 Questo racconto mi è stato narrato nell’estate del 1989 da Albertina Fresc (1905-1991) ved. di Christophe Consol Stoffeltisch (1906-1972) che viveva a Seingles superiore nella casa del marito. 1 — 59 — A U G U S T A Dopo la seconda guerra mondiale, i suoi discendenti si dedicheranno soprattutto al mercato del bestiame per diventare infine, come ha sottolineato anche la geografa francese Claude Raveau nel suo prezioso studio monografico5 sulla Valle del Lys, fra i più importanti commercianti di bovini di tutta la Val d’Aosta: “C’est à Issime qu’habitent les plus gros marchands de bétail du Val d’Aoste. Ceux-ci possèdent une petite étable dans le village et une grande étable moderne à Pont-St-Martin” h6. Propulsore nella diversificazione delle attività della famiglia è stato sicuramente Jean Baptiste Consol (1821-1902) conosciuto per l’appunto come “Dar Dschan Batistu” ‘IL’ Jean Baptiste, padre di Jacques Consol appena citato. Jean Baptiste intraprese o meglio portò avanti l’attività nel commercio in bestiame della famiglia Gal da cui discende la prima moglie Christine-Hélenè Christillin di Pierre-Christophe e di Marie-Jacobée Gal7. L’oratorio di Cristoforo Consol all’alpeggio di Tschavanellji costruito nel 1837. (foto Musso) molto parco di annotazioni di questo tipo – come “homme important et très consideré, negociant très apprecié”: era Jacques Consol (1858-1922) conosciuto ad Issime come ‘dar Tschoaku’. Torniamo a Cristoforo Consol, Jean-Christophe Consol nei registri parrocchiali, è il capostipite degli attuali Consol Stoffultsch e Stoffeltisch, nacque ad Issime nel villaggio di Seingles inferiore il 25 ottobre del 1781 sesto di sette figli di Jean-Baptiste e Marie-Jeanne Alby (1743-1823) di Jean. Fu l’unico dei fratelli ad avere discendenza, di professione esercitava il mestiere del fabbro e sposò Marie-Christine Consol (1785-1831) di JeanJacques Consol del fu Jean e di Marie-Antoniette Freppa (di Issime-Saint-Michel attuale Gaby) di Mathieu. Ebbero sei figli fra i quali Jean-Baptiste Consol (1806-1809), Jean-Jacques Consol (1810-1876), Marie-Jeanne Consol (1815-1874), Jean-Pantaleon Consol8 (1817-1862), Jean-Baptiste Consol detto dar Dschan Batistu (1821-1902), e infine Anne-Marie Consol (1823-1885). Al momento della nascita di Jean-Christophe le famiglie Consol che avevano prole erano dieci9, e vivevano tutte fra i villaggi di Seingles inferiore e Chincheré10, mentre nel primo quarto del C. Raveau (1968), Essai de monographie. Une vallée du Mont Rose: le Val de Gressoney (Val d’Aoste), Grenoble, Institut de Géographie Alpine, p.78. Cfr. M. Bodo, M. Musso, P. P. Viazzo (2002), Dalla toma alla fontina: trasformazioni della produzione casearia nella Valle del Lys, in: Woolf S. e Viazzo P. P. (a cura di), Formaggi e mercati: economie d’alpeggio in Valle d’Aosta e Haute-Savoie. Aosta, Le Chateau. 7 Quest’informazione è stata raccolta presso Giuseppina Ronco Hantsch (1936). Si racconta, inoltre, che Jean-Baptiste negli ultimi anni di vita perse un po’ la ragione e soleva dire a Luigia Busso, allora bambina, mentre portava le bestie ad abbeverare alla fontana di Fornas: “Au chü, Hantsch-Loeisch chü, un ich goan ellji zeeme in d’held” Le vostre vacche (dei Busso Schützersch), quelle dei Ronco, ed io andremo tutti quanti all’inferno. In quanto commerciante, intendeva dire, non sempre sono stato onesto. Questa informazione l’ho raccolta da Imelda Ronco da un racconto della madre Luigia Busso Schützersch sposata Romano Ronco nata nel 1891. Luigia fin da bambina portava le bestie ad abbeverare alla fonte di Fornaz, come tutte le famiglie di Pioani e Ribulu, e quando passava davanti alle casa dei Consol, Jean Baptiste (1821-1902) gli diceva sempre quella frase. Luigia Busso era figlia di Jean-Pierre-Joseph (1864-1934) figlio di Jean-Pierre (1812-1882) del fu Jean-Jacques originari del villaggio di Rollie, e di Pauline-Anne-Marie Christillin Tunterentsch (1865-1942) la sorella di Jean-Jacques autore del volume delle leggende della Valle del Lys. La famiglia abitava a Pioani nella casa Schützersch, poi Consol Modesta. 8 Celibe, era ‘cloutier’ fabbricante di chiodi come indicato sull’atto di morte. 9 Questi dieci nuclei familiari sono stati ricavati dai registri parrocchiali, atti di matrimonio e di nascita: 1) Jean-Baptiste Consol sposa Marie-Jeanne Alby di Jean > figli : Marie-Jeanne 1765; Jean-Jacques 1767; Jean-Baptiste 1769; Jean-Pantaleon 1771; Jean-Pantaleon 1777; Jean-Christophe 1781-1859; Anne-Marie 1783. 2) Jean-Jacques Consol sposa Maria Magdalena Baratta (di Lemiè nella Valle di Viù in Val di Lanzo prov. TO). 3) Jean Consol (del fu Jean di Jean) sposa Jeanne-Marie Ronco di Joseph. 4) Jean-Baptiste Consol sposa Marie Christine Consol Péjetsch di Pierre. 5) Jean-Jacques Consol di Jean fu Pierre sposa Maria Antonia Freppa di Mathieu > figli: Maria Antonia (1780) sposa Jean-Jacques Busso Schützersch nel 1800 e Maria Cristina (1785-1831) sposa Jean-Christophe Consol (1781-1859). 6) Laurentius Consol sposa Maria Marguarita Christille. 7) Jean-Jacques Consol (1762-1818) Péjetsch di Pierre del fu Pierre sposa Marie-Antonie Troc (1764-1839) di Mathieu e di Marie Christillin > figli: Pierre (Piru) (1782-1858); Jean-Jacques (1786-1858); Jean (1788); Mathieu (1791-1864); Jean-Gabriel (1795); Marie-Jacobée (1796-1872); Jean-Joseph (1801-1866) prete; Marie-Antoinette-Rose (1806-1882). 8) Jean-Pierre Consol sposa Marie-Jeanne Gros di Pierre (di Fontainemore). 9) Jean Consol (1767-1853) sposa Marie-Antoinette Roffin di Jean Baptiste (di Fontainemore). 10) Jean-Jacques Consol sposa Maria Antonia Freppa. 10 Vedasi il registro dei conti dei procuratori della Chiesa di Issime per il regolamento per il pane benedetto in data 6 ottobre 1765 in cui sono elencate le famiglie e la loro dislocazione nei rispettivi villaggi (A.P.I.). 5 6 — 60 — A U G U S T A secolo XIX si ridussero a cinque11 fra le quali quella di JeanChristophe. Molte di queste famiglie probabilmente emigrarono perché oltre all’atto di battesimo non si ritrovano nei registri parrocchiali eventuali matrimoni e decessi, altre ancora non ebbero discendenza12. Le uniche famiglie Consol invece che ritroviamo ad Issime nella seconda metà del XIX secolo, sono i discendenti di Jean-Christophe, come vedremo in seguito, e la famiglia Consol soprannominata Péjetsch che viveva al villaggio di Chincheré superiore (Tschéntschiri). Gli ultimi discendenti del ramo dei Consol chiamato Péjetsch erano otto fratelli figli di Jean-Jacques Consol (1762-1818) di Pierre (morto fra il 1788 e il 1791) e di Marie-Antonie Troc (nata a Issime-Saint-Michel nel 1764, morta ad Issime-Saint-Jacques, villaggio di Chincheré nel 1839) di Mathieu Troc (Issime-SaintMichel) et Marie Christillin (Issime-Saint-Jacques). Gli otto fratelli erano, Pierre Consol ‘Piru’ (1782-1858) laboureur, celibe; Jean-Jacques Consol (1786-1858) laboureur, sposato con MarieCathérine Trenta, non ebbe discendenza; Jean Consol (1788-?); Mathieu Consol ‘Mattia’ (1791-1864) agriculteur, celibe; JeanGabriel Consol (1795-?); Marie-Jacobée Consol (1796-1872) nubile; Jean-Joseph Consol (1801-1866) morto a Pont-Saint-Martin dove era parroco, ordinato sacerdote nel 1831, fece ricostruire la cappella di Chincheré nel 1866; e infine Marie-AntoinetteRose Consol (1806-1882) che sposò Pierre-Amédée Christillin Chrischtentsch e vivevano a Chincheré. Secondo la tradizione orale possedevano una montagna nel Vallone di Tourrison e la loro proprietà si estendeva dal villaggio di Chincheré fino alla cima del Vallone (Col du Lou), senza soluzione di continuo, un’unica striscia di territorio con i diversi tramudi. La montagna dei Péjetsch, come risulta in un verbale contenuto nel ‘Livre d’estimes des montagnes’13 del 1774 sullo stato degli alpeggi, era costituita dagli alpeggi di ‘Torison, Mont roux, Torretta, Planes14, ed apparteneva a Pierre feu Pierre Consol. Questi alpeggi furono acquistati dalla famiglia Ronco-Pétéretsch e in parte dalla famiglia Consol-Stoffultsch. A Chincheré possedevano due case, una fu acquistata dalla famiglia Ronco Pétéretsch da Pierre-Joseph-Daniel Christillin15 detto Péjetsch Daniel16 (1839-1918) figlio di Chrischtentsch Piru (Pierre-Amédée Christillin) e di Marie-Antoinette-Rose Consol Péjetsch (1806-1882), l’altra abitazione passò in eredità a LouisBenoit Christillin Tunterentsch (1875-1918) figlio di MathieuRobert e di Marie-Rose Christillin17 (1837-1906), quest’ultima figlia a sua volta di Pierre-Amédée e di Marie-Antoinette-Rose Consol Péjetsch (1806-1882). Da Louis-Benoit Christillin passò in eredità alla moglie Josephine Consol Stoffultsch (1889-1964). Josephine abitava al villaggio di Checheré, nella casa del marito, che lasciò in eredità, non avendo discendenti diretti, al fratello Joseph Consol ‘Stoffultsch Dschodefji’ (1897-1977), oggi di Maria Consol Stoffultsch (1947) figlia di quest’ultimo. Alla fine del XIX secolo gli unici Consol rimasti ad Issime sono i discendenti di Jean-Christophe Consol che era morto all’età di 77 anni l’8 giugno del 1859 nella sua abitazione di Seingles superiore, casa oggi di Marta Consol Stoffeltisch. Come risulta dal ‘Livre d’estimes des montagnes’ del 1774, sopra citato, nel vallone i proprietari degli alpeggi sono: Jean, feu Jean de Pierre Consol che possedeva: Torison, Lac Clair et Crest; Pierre feu Jean Consol che possedeva: Torison, Lac noir, Mianda e infine Pierre feu Pierre Consol Péjetsch che possedeva: Torison, Mont roux, Torretta, Planes18. I discendenti di Christophe Consol ebbero in eredità gli alpeggi di Tourrison, Lei Kier e Krecht, questi beni li ereditarono dalla madre Marie-Chrsitine Consol (1785-1831) figlia di JeanJacques di Jean fu Jean. L’unico alpeggio che fece costruire Christophe Consol era quello di Tschavanellji, nel 1828 come già riferito, dove nel 1837 fece erigere l’oratorio. Dei sei figli avuti con Marie-Christine Consol, due ebbero discendenza, Jean-Jacques Consol (1810-1876) e Jean-Baptiste Consol chiamato ‘dar Dschan Batistu’ (1821-1902), entrambi soprannominati Stoffultsch (gen.) dal nome proprio del padre chiamato in töitschu Stofful. Jean-Jacques Consol Stoffultsch sposò Marie-Antoinette Christillin (1814-1874) di Jean-Joseph avvocato detto ‘Tontenell’. Il loro primogenito Christophe nato nel 1839, che sposò MarieLouise Storto (1841-1913), diede ai propri discendenti il soprannome di Stoffeltisch (gen.), probabilmente perché portando il nome proprio del nonno ed essendo, allora, l’ultimo nato, fu chiamato Stoffelti (diminutivo, in töitschu, di Cristoforo). Chri- Questi cinque nuclei familiari sono stati ricavati dai registri parrocchiali, atti di matrimonio e di nascita: 1) Jean-Baptiste Consol sposa Maria Jacobea Consol fu Pierre. 2) Jean-Christophe Consol (1781-1859) sposa Maria Christina Consol (1785-1831) di Jean Consol. 3) Jean-Jacques Consol sposa Marie-Christine Ronco di Jean Joseph. 4) Jean-Baptiste Consol (1795-1840) sposa Maria Antonia Freppa (1786-1858) di Jacques Antoine di Jacques (tailleur). 5) Jean-Baptiste Ludovicus Consol (1805) sposa Ludovica Blanchard (proveniente dalla Savoia). 12 Dai registri parrocchiali sappiamo che nel 1899 muore ad Issime in località Fornas, Consol Palmire-Marie-Elisabeth née Ribola, sposata con Consol Jean-Jacques di Fontainemore. Imelda Ronco Hantsch, originaria del villaggio di Fornaz, racconta che nel villaggio si diceva che “Palméini het kielugut dar oalt Cunsul witwu”, e che la madre di questa Palméini diceva sempre di non sposare quei ragazzacci che giravan per lì “liemer laufen dei löibjanha”, e che la figlia non l’ha mai ascoltata e che ha sposato quello di Fontainemore. Questa testimonianza ci conferma che un Consol già vedovo era emigrato a Fontainemore. 13 Estimes et brouillards des montagnes. Archivio Storico di Torino. IIa arch. Capo 4, Ducato di Aosta, Vol. 5. 14 Con Planes si intenda compreso anche l’alpeggio di Kredemì. 15 Notizia raccolta da Filippo Consol (1908). 16 Péjetsch Daniel sposa il 27 gennaio 1876 Marie-Anne Freppa ‘Ritsch Mareji’ (1842-1918) > il loro figlio Ritsch Dschosefji (1876-1951) sposa Justine Storto ‘Keerisch Dschuschteini’ (1876-1959) > il loro figli, Daniel (sacerdote), Luisa, Ines, Maria, Giuseppina, e Valentina Christillin, anche se figli di un Christillin, che in origine era Chrischtentsch, saranno tutti detti Keerisch, ma anche Ritsch (Freppa) e Péjetsch (Consol) ereditando le tre forme soprannominali trasmesse in linea materna. 17 Marie-Rose Christillin (1837-1906) sposa nel 1862 Mathieu-Robert Christillin Tunterentsch (poi chiamati Mattilisch) (1824-1876). 18 Queste dati mi sono stati forniti da Claudine Remacle. 11 — 61 — A U G U S T A Il villaggio di Seingles culla della famiglia Consol. La prima casa oltre la linea degli alberi, lungo il torrente Lys è la casa dei Consol chiamata Amisch, portata via dall’alluvione del 1948. stophe morirà a Chambave intorno al 1870 in un indicente sul cantiere di lavoro, forse mentre costruivano il ponte19. Questo ramo dei Consol ereditò i due mulini di Seingles e la forgia, nonché la professione di fabbro, per la creazione degli strumenti essenziali per le attività agricole ed artigianali e per la realizzazione di parti per le abitazioni (inferiate, maniglie, serrature, cardini etc.). Sei sono state le generazioni che hanno mantenuto questa attività fino a Felice Consol Stoffeltisch figlio di Christophe (1906-1972). Il ramo invece che discende da JeanBaptiste ereditò gli alpeggi e i mayen nel Vallone di Tourrison, i suoi discendenti si dedicarono all’allevamento del bestiame, al commercio di prodotti lattiero-caseari e di carne, come già si è detto. Jean-Baptiste Consol Stoffultsch “dar Dschan Batistu” (18211902 mori nella sua casa a Seingles), fu per molti anni sindaco di Issime e fabricien, viveva a Seingle inferiore nella casa di fronte alla cappella (oggi di proprietà degli eredi di Ernesto Consol) che lui fece costruire, ma possedeva anche la casa di famiglia oggi dei discendenti di Vitale Consol. Sposò nel 1849 in prime nozze Christine-Hèlenè Christillin Goaltsch20 (1825-1854) di Pierre-Christophe e di Marie-Jacobée Gal. In seconde nozze sposò nel 1855 Romanie-Marguerite-Victoire Ronco de Ange Andschaltsch. Unica erede degli Andschaltsch, ereditò l’alpeggio nel Vallone di San Grato detto appunto Andschaltsch Alpu21, oggi della famiglia Consol. Con il matrimonio di Jean-Baptiste con Romaine Ronco questo ramo dei Consol entrò in possesso dei beni degli Andschaltsch fra i quali le case e annessi (mulini e forgia) alla confluenza del Rickurtbach con il Lys nella frazione che porta il nome appunto di Andschaltsch. Tutti i discendenti di Jean-Baptiste sono ancora oggi soprannominati Stoffultsch. Questo ramo della famiglia possedeva le due grandi case a Pioani, una era in origine di un ramo della famiglia Alby, quella che oggi è di Carlo Consol, l’altra fu portata via dall’alluvione del 1948, era chiamata in töitschu z’Amisch22, probabilmente il soprannome della famiglia Pariassa che fu proprietaria della casa fino al 1879, quando morì l’ultimo discendente Jean-Pierre Pariassa23 di 74 anni, figlio di Jean-Pierre maçon de profession, e di Marie-Jacobée Ronco. L’abitazione chiamata Amisch andò in eredità a Jean-Roch Consol (figlio di primo letto di Jean-Baptiste che nacque a Seingles nel 1851e morì nella sua casa a Pioani nel 1902 ed ebbe dodici figli sei femmine e sei maschi), al momento dell’alluvione vi vive- Informazione raccolta da Felice Consol Stoffeltisch. La trasmissione del soprannome di famiglia attraverso la linea materna non è un caso raro nella comunità issimese e nelle comunità rurali in genere, in questo caso è il cognome materno ‘Gal’ che è trasmesso nella forma non ufficiale ‘Goal’. L’informazione è stata raccolta presso Filippo Consol Stoffultsch (1908-1993) nel 1991. 21 Costituito dalle alpi di Ruassi (mayen), Mattu, Kölbrunne e Mundschuvett. 22 Questa notizia l’ho raccolta da Vittoria Busso Lixandrisch. 23 Pariassa è un cognome di Fontainemore ma la famiglia era insediata ad Issime da almeno due secoli. 19 20 — 62 — A U G U S T A va Giuseppe Consol (1897-1977) figlio di Jean-Roch, e la moglie Ines Christillin Keerisch con i figli, che dal Vallone di Tourrison videro portare via la casa dalle acque del Lys. La casa, oggi di Carlo Consol, fu ereditata da Jean-Jacques Consol Stoffultsch ‘dar Tschoaku’ (figlio di secondo letto di JeanBaptiste che nacque a Seingles nel 1858 e morì nella sua casa a Pioani nel 1922, ed ebbe undici figli cinque femmine e sei maschi). Entrambi le abitazioni erano già di Jean-Baptiste Consol Stoffultsch (1821-1902). I discendenti di Jean-Roch (1851-1902) ereditarono i mayen e gli alpeggi del Vallone di Tourrison che appartenevano ai Consol e quegli alpeggi che appartenevano alla famiglia Ronco-Pétéretsch, infatti Marie-Célestine Ronco Pétéretsch (18531919) figlia di Jean-Isidore Ronco Pétéretsch (1825-1909) sposò nel 1873 Jean-Roch Consol Stoffultsch (1851-1902) di JeanBaptiste (1821-1902), i loro figli rimasero gli unici eredi delle proprietà della famiglia di Jean-Isidore Ronco Pétéretsch in quanto il fratello Pétéretsch Jean (1859-1934), e le sorelle Felicitte (1862-1944) e Meji (1873-1953) di Marie-Célestine Ronco Pétéretsch lasciarono ai nipoti e alle nipoti gli alpeggi nel Vallone di Tourrison (Tschavanellji di mezzo e superiore, Kredémì, Nawun Goavunu, oggi rudere, Pétéretsch Brunni, oggi rudere, e Lejet) e la casa del Beverunhsch nel piano di Issime. La casa z’Beverunhsch (a Tontinel) che fece costruire JeanIsidore Ronco Pétéretsch nel 1901 andò prima a Felicitte (18621944) e alla sorella Meji (1873-1953), poi queste ultime lasciarono il secondo piano e fienile a Daniel Consol (1879-1917) o meglio al figlio Frido Consol (1914), mentre il primo piano e il piano terra a Marie-Ursule Consol (1892-1966) nubile, che poi lasciò al fratello Dschodefji (1897-1977), oggi degli eredi di Elena Consol (1933). La casa e i prati di Fontaineclaire andarono a Jean-Baptiste-Fortuné Consol (1875-1953), poi al figlio Filippo (1908-1993). I discendenti di Jean-Jacques (1858-1922) ereditarono gli alpeggi della famiglia Ronco Andschaltsch (madre di Jean-Jacques) nel Vallone di San Grato precisamente quelli di Ruassi (mayen), Mattu, Kölbrunne, e Mundschuvett, e quelli degli Storto Stuarte (moglie di Jean-Jacques) Scheiti (un piccolo alpeggio sopra il villaggio24), Buadma e Windjil, mentre nel Vallone di Tourrison il piccolo mayen di Rundemen e parte di quello del Léjunh (una piccola baita e un rascard). Questo ramo dei Consol entrò in possesso anche di altri alpeggi e mayen nel Vallone di San Grato e precisamente, i mayen di Lansenere e Zöin (metà dell’abitazione divisa con i Ronco-Maju oggi Goyet; e il grande edificio 26 27 24 25 28 29 30 31 32 del Palatz), e gli alpeggi di Blackgoavenu e Bétti che furono acquistati da Jean-Jacques (1858-1922) dall’ingegner Gustavo Christillin Pintsche all’inizio del ‘900, così come furono acquistati gli alpeggi di Höischer inferiore e Vlu dalla famiglia dei Ronco Hantsch-Loeisch. Gli alpeggi del Vallone di Tourrison che sicuramente appartenevano in origine a Jean-Baptiste erano: Krechtaz, Tschavanellji inferiore, Torriti, Mun Rus, Tourrison superiore, Töivi, Lei kier, e Krecht. In realtà questi alpeggi furono divisi fra i diversi figli e figlie di Jean-Roch, mentre chi li condusse furono nel corso del XX secolo i quattro figli maschi: Jean (1875-1953) commerciava anche in bestiame, Daniel (1879-1917), Joseph25 ‘Dschodefji’ (1897-1977), Vital (18941971) celibe, emigrato in Francia e quindi in Svizzera come garzone nelle fattorie, nel 1953 tornò ad Issime e condusse insieme al fratello Joseph l’alpeggio nel vallone di Tourrison, per qualche anno i due fratelli ne gestirono due separati. Jean-Jacques Consol ‘dar Tschoaku’ era commerciante in bestiame, e dei quattro figli maschi, due ereditarono gli alpeggi nel Vallone di San Grato, e due continuarono la professione del padre, il primo Joseph-Jean-Baptiste Consol (1879-1943), negoziante in bestiame, morì a Verres in un incidente d’auto, il secondo Giacomo Consol (1885-1934) ereditò il mayen di Zöin e gli alpeggi di Blackgoavenu, Mattu26 e Bétti, la casa a Rollie inferiore27 nel piano di Issime e la casa degli Andschaltsch a Pioani, il terzo Giovanni Consol (1889-1973) ereditò gli alpeggi di Höischer inferiore, Buadma, Mundschuvett, Windjil e Vlu, la casa di Seingles inferiore di fronte alla cappella (dove morì) e la casa di Rickurt superiore28, e infine il quarto Eugenio Consol (1899-1981) fu negoziante di bestiame e macellaio ed ereditò la casa a Pioani, la casa al Pra inferiore29, i due piccoli mayen di Rundemen30 e del Léjunh (una piccola baita e un rascard) nel Vallone di Tourrison ed un piccolo alpeggio a Valniro. Le due figlie, Romaine Consol (1883) che sposò sposa Fortuné Storto Keerisch, e Modeste Consol (1894) che sposò Vital Busso Schützersch-Dschoantsch, ereditarono rispettivamente, la prima la casa al Letz Duarf di Issime, il piccolo alpeggio di Scheiti, quello di Buadma superiore e il mayen di Mörenzi nel Vallone di San Grato, gli alpeggi La Mattà e Pere-Bianche a Fontainemore mentre, la seconda ereditò la casa a Pioani31, distrutta dall’alluvione del 1948, e la casa al mayen di Ruassi, di Lansiniri superiore32 e l’alpeggio di Kölbrunne nel Vallone di San Grato, e a Fontainemore l’alpeggio detto la Gragliasca e Pere-Bianche, venduti dopo l’alluvione per costruire la nuova abitazione al Sann. Le due abitazioni a Scheiti, oggi di Dario Consol, furono acquistate in seguito da Giovanni Consol (1889-1973) dalla famiglia Geors (Pirisch). Dschodefji (1897-1977) fu soprannominato “dar Früttir” in quanto fece il casaro per la latteria turnaria di Issime. L’alpeggio di Mattu fu venduto nel 1960 da Camillo Consol figlio di Giacomo al cugino Elio figlio di Giovanni Consol. La casa in precedenza apparteneva a Amédée Busso Schützersch (1874) figlio di Jean-Pierre (1812-1882) del fu Jean-Jacques, che sposò nel 1898 Marie-Louise Christillin Tunterentsch (1874-1912). All’epoca del Catasto di Origine dello Stato (1898-1914) apparteneva ancora alla famiglia Busso. La casa in precedenza apparteneva a Jean-Jacques Busso Schützersch (1860-1932) figlio di Jean-Pierre (1812-1882) del fu Jean-Jacques, La casa al Pra, l’antica dimora seicentesca del notaio Charriere, era di proprietà della moglie di Jean-Jacques (1858-1922) Marie-Louise Storto Stuarte. Eugenio Consol, già vedovo di Marie Christille sposò in seconde nozze Maria Stévenin vedova di Giacomo Consol Stoffeltisch (1912-1938), a cui lasciò in eredità il mayen di Rundemen, alcuni prati al Pra e un’abitazione nel Duarf che Eugenio aveva acquistato da Adolfo Trenta (già degli Storto), casa in cui morì nel 1981. La casa in precedenza apparteneva a Jean-Pierre-Joseph Busso Schützersch (1864-1934) figlio di Jean-Pierre (1812-1882) del fu Jean-Jacques, che sposò nel 1890 Pauline-Anne-Marie Christillin Tunterentsch (1865-1942). Anche questa abitazione in precedenza era di proprietà della famiglia Busso Schützersch originaria del villaggio di Rollie, oggi di Ezio Stévenin ved. di Emilia Busso figlia di Modeste Consol. — 63 — A U G U S T A STAZIONI D’ALPEGGIO NEL VALLONE DI TOURRISON E LORO PROPRIETARI Alpeggi dei Consol-Stoffultsch: Krechtaz, Tschavanellji inferiore, Torriti, Mun Rus, Tourrison superiore, Töivi, Lei Kier, Krecht e Marmuntoana (Fontainemore). Nel corso del XIX secolo, le montagne dei Consol sono state utilizzate da: Jean Consol (1875-1953) e il figlio Cesar (1906): Krechtaz, Tourrison superiore, Krecht (Pian de l’omo). La casa a Seingles superiore in cui viveva Cesar (oggi appartiene al figlio Duilio Consol) era della prima moglie Josephine Dandres. Daniel Consol (1879-1917): Torriti – Mun Rus, Tschavanellji inferiore, Lei Kier, Marmuntoana e poi il figlio Daniel Consol (1916-1993): Tschavanellji inferiore, di Töivi, Lei Kier, Marmuntoana. (da Töivi saliva direttamente alla Marmuntoana, e poi per ultimo a Lei Kier). Daniel utilizzò l’alpeggio dal 1944 per 9 anni, quindi andò a lavorare all’ILSA. Joseph Consol (1897-1977) e il fratello Vital (1894), e poi Vitale (1931): Vasir, Léjunh (mayen), Torriti – Mun Rus, Töivi (erano lì nel 1968 quando ci fu il terremoto), Krédemì33, e Lei Kier (dopo il 1950). Vital Consol (1894-1971) emigrato in Francia, nel 1953 tornò ad Issime e condusse insieme al fratello Joseph l’alpeggio nel vallone di Tourrison, per qualche anno i due fratelli ne gestirono due separati. Alpeggi dei Ronco-Pétéretsch: Tschavanellji di mezzo e superiore, Kredémì, Nawun Goavunu (oggi rudere), Pétéretsch Brunni (oggi rudere), Lejet. Alpeggi degli Stévenin – Pierinhsch (Pitòt Djon), oggi 33 Stévenin - Amédesch e Tousco: Tourrison inferiore, Pioani, La Mianda. Tourrison (inferiore), l’alpeggio è diviso fra due rami degli Stévenin, Janet e Amédesch, in origine Pitòt Djon. La baita di Bruna Stévenin porta su una pietra d’angolo le iniziali CP (Consol Pierre) e la data 1802 (oggi eredi). Pioani, apparteneva agli Stévenin Pitòt Djon, per eredità a Jean Tousco (oggi eredi). La data sull’architrave d’ingresso 1831. La Mianda, appartiene a Bruna Stévenin Amédesch (Pitòt Djon), oggi eredi. Alpeggi degli Stévenin – Janet (Pitòt Djon): Tourrison inferiore, Funtoani (Brunni), Nawun Goavunu, Lei Nir (sull’architrave d’ingresso le iniziali CP ‘Consol Pierre’ e la data 1763). La montagna oggi appartiene a Mauro Stévenin di Attilio di Gaby. Tutti coloro che hanno delle proprietà nel Vallone di Tourrison hanno diritto di prelevare alberi d’alto fusto e legna nella Consorteria (bosco) di Tschavanellji verso Vaciapel. GLI ALPEGGI NEL VALLONE DI TOURRISON CHE APPARTENNERO A JEAN-BAPTISTE CONSOL STOFFULTSCH (1821-1902) Krechtaz, l’alpeggio lo ereditò Jean Consol (1875-1953) quindi il figlio Cesar, oggi Flavio Consol. L’antica abitazione in parte in legno della famiglia Consol, che sorgeva al mayen del Krechtaz, andò distrutta qualche anno prima del 1889, in seguito ad un incendio. Jean-Baptiste decise nel 1895 di ricostruire la casa a poca distanza al villaggio del Léjunh (casa oggi di Silvia Consol) e di trasformare il vecchio mayen in alpeggio costruendo la baita nel 1889, come da data incisa sul trave maestro. Torriti (Torretta) e Mun Rus, andò in eredità a Vital Consol L’alpeggio di Kredemì passò in eredità a Joseph dallo zio materno Pétéretsch Jean (1859-1934). — 64 — A U G U S T A (1894-1971) celibe, figlio di Jean-Christophe-Roch (1851-1902), lo lasciò in eredità al nipote Vitale Consol (1931), oggi eredi. Tschavanellji (sotto), passò in eredità al canonico Eugenio Consol (1881-1967) figlio di Jean-Christophe-Roch (1851-1902), che lasciò l’alpeggio al nipote Daniel Consol (1916-1993), oggi eredi. Tourrison (superiore), lo ereditò Jean Consol (1875-1953), quindi il figlio Cesar, oggi Flavio Consol. L’edificio adibito ad abitazione d’alpeggio fu costruito nel 1906, come da data incisa sulla trave maestra da Jean-Baptiste-Fortuné Consol Stoffultsch (1875-1953), figlio di Jean-Roch (1851-1902) del fu Jean-Baptiste (1821-1902), e Marie Ronco Pétéretsch. Al suo posto sorgevano due edifici d’alpeggio fatiscenti, probabilmente in origine erano due distinti proprietari. La trave maestra reca incise le iniziali CF (Consol frères), in quanto nel 1906 le proprietà erano ancora indivise fra i fratelli di Jean Baptiste Fortuné, e cioè Daniel, Eugene, Vital e Joseph. La casera fu costruita da un capomastro della famiglia Dandres, lo stesso che costruì le casere nel Vallone di San Grato, di Höischer inferiore (di Elio Consol) e di Keckeretschjatz nel 1905 (della famiglia Goyet). Secondo le informazioni raccolte con Flavio Consol, Jean-Baptiste-Fortuné Consol (1875-1953) acquistò l’altra metà dell’alpeggio dai Busso-Schützersch, compreso un schelbit (incolto produttivo) detto appunto Schützersch schelbit. I Busso si riservarono una porzione di questo appezzamento proprio sopra l’alpeggio di Tourrison, a forma di piramide tronca, e la possibilità di ritirare il fieno selvatico, raccolto, nel piccolo stadel che si trova all’alpeggio. Da questo appezzamento i Busso potevano raccogliere al massimo una decina di trusse (balle di fieno). Fu probabilmente Marie-Christine-Bernardine Busso Schützersch (1862-1920) figlia di Jean-Jacques Busso (1814-1891), a vendere a Jean-Baptiste-Fortuné Consol la porzione d’alpeggio. Secondo Flavio Consol su una pietra d’angolo della baita di Tourrison del 1906 si vede ancora la marca di confine che segnava la divisione fra le due proprietà degli Stoffultsch e dei Schützersch. Alla famiglia Schützersch probabilmente questa proprietà arrivò per eredità tramite la madre di Jean-Jacques Busso (1814-1891) che era Marie-Antoinette Consol (1780) che sposò nel 1800 JeanJacques Busso Schützersch, anche perché era l’unica proprietà Busso in questa porzione di territorio di Issime, mentre storicamente gli Schützersch si attestano nella Costa di Issime e nel Vallone di San Grato. Marie-Antoinette era sorella di Marie-Christine Consol (17851831) moglie di Jean-Christophe Consol (1781-1859), uniche eredi di Jean-Jacques Consol di Jean loro padre. Possiamo ipotizzare che l’alpeggio essendo diviso in parti uguali fra gli Schützersch e gli Stoffultsch, provenisse dalle due sorelle, rispettivamente mogli di Jean-Jacques Busso Schützersch e JeanChristophe Consol Stofful, confermato dal fatto che, come già detto all’inizio del testo, nel 1774 Jean Consol, il loro nonno, possedeva ‘Torison, Lac Clair et Crest’. Töivi, andò in eredità a Josephine Consol (1889-1964) figlia di Jean-Christophe-Roch (1851-1902), che lasciò in eredità al fratello Joseph Consol (1897-1977), oggi degli eredi di Ettore Consol (1935). Lei kier, l’ereditò Vital Consol (1894-1971) celibe, figlio di Jean-Christophe-Roch (1851-1902), lo lasciò in eredità al nipote Vitale Consol (1931), oggi eredi. La baita non ha date incise, la piccola stalla più a valle porta la data 1888. Pian de l’omo, lo ereditò il canonico Eugenio Consol (1881-1967) e lo lasciò al nipote Cesar Consol (1906), oggi Flavio Consol. Croce tombale di Cristoforo Consol morto all’età di 77 anni l’8 giugno del 1859 il capostipite dei Consol Stoffeltisch e Stoffultsch. (foto Musso) Krecht, lo ereditò il canonico Eugenio Consol (1881-1967) il quale lo lasciò al nipote Cesar Consol (1906), oggi Flavio Consol. Jean-Baptiste aggiustò e ampliò la baita nel 1878. GLI ALPEGGI NEL VALLONE DI TOURRISON CHE APPARTENNERO ALLA FAMIGLIA DI JEAN-ISIDORE RONCO PÉTÉRETSCH (1825-1909) PASSATI AI CONSOL STOFFULTSCH Tschavanellji (mezzo e superiore), l’alpeggio l’ereditò Pétéretsch Jean (1859-1934), il quale la lascio al nipote (figlio della sorella) Joseph Consol (1897), oggi degli eredi di Ettore Consol (1935). La baita di Tschannavellji di sotto fu costruita nel 1920. Kredémì, Nawun Goavunu (si trovava sopra la baita di Krédemì verso Krennu, oggi rudere), Pétéretsch Brunni (si trovava sotto Krennu, oggi rudere), Pétéretsch Jean (1859-1934) ereditò l’alpeggio, poi lo lasciò al nipote (figlio della sorella) Joseph Consol (1897), oggi degli eredi di Ettore Consol (1935). Il tetto della baita e il solaio di Kredémì furono sostituiti nel 1937, quando Joseph Consol (1897-1977) la ricevette in eredità da Jean Ronco Pétéretsch (1859-1934). Quando i Ronco acquistarono Léjet non si recarono più a Pétéretsch Brunni. Lejet, i Ronco lo acquistarono dagli Stévenin (le inziali sulla baita JS 1886), passò in eredità a Pétéretsch Jean (1859-1934), il quale lo lasciò al nipote (figlio della sorella) Jean Consol (18751953), quindi al figlio Cesar (1906), oggi di Flavio Consol. — 65 — A U G U S T A Guti chüjini ouf tur d’Wasser Buone frittelle su per i Wasser Ugo Busso Schützersch-Dschoansch Ich goan geere hinner vür sibbenzg joar, um bsinnen éttlljigi dinnhi das hen arhurtegit méini iestu joari, z’Éischeme, ouf tur d’Kruasi un d’Rollji das ich man nöit vargesse. Du, séindsch gsinh kantunhi volli lljöit un chinn un villjen allu d’ketschi, van im goade unz in di dilli un im boeje, séin sinh vollu villjen altsch was het dinut um essen z’ganz joar. Vado volentieri indietro di settant’anni per ricordare alcune cose che hanno rallegrato i miei primi anni ad Issime su per i villaggi di Crose e Rollie che non posso dimenticare. Allora erano villaggi pieni di gente e bambini e quasi tutte le case, dalla stalla al sottotetto, erano piene quasi di tutto ciò che serviva per vivere tutto l’anno. In allu d’goadma séin gsinh chü, geiss un hénnji. Da summer d’chü séin gvoarit z’alpu wa d’geiss séin bljibben zam hous, z’grünn ol z’beerg, um heen as söiri milch vür dan ganze summer. Z’merteil, ous tur d’hoeji un d’oamedi, van im grünn ischt mu kannhe hüten d’geiss ouf tur d’almini un das ischt gsinh ünz weerch van chin un boffi das, da summer, hewer muan tun geeren etwas um anandre vinnen um roddun zseeme, auch z’hüten d’geiss. In tutte le stalle c’erano mucche, capre e galline. D’estate le mucche salivano negli alpeggi ma le capre rimanevano a casa, al piano o ai ‘mayen’, per avere un po’ di latte per tutta l’estate. Ordinariamente, all’infuori del tempo del primo e secondo fieno, dal piano si andava a pascolare le capre su per i beni comunali e quello era il nostro lavoro di bambini e di ragazzi che, d’estate, potevamo fare volentieri, per giocare insieme anche pascolando le capre. Z’geissi esst lljibur d’gutu weidu in d’mattu vür d’Kruasi dén d’lauber in d’Wasseri un d’vacksi in d’schelbiti. La capretta mangia più volentieri l’erba buona del prato davanti a Crose che le foglie dei Wasseri e le oline delle radure degli incolti. — 66 — A U G U S T A Schien üerter un nöit z’vil in d’leidi séiru gsinh ouf tur d’schlücht hinner La Grotte das mu het gseit d’Wasser. Wa nunh, noa gowischi un bloatri, séindsch nua mé as lénhs guvver. Doa ündsch geiss hen kessen geere lauber, halma, grün vaksi, büschunhi un grech unzana lénnhunuchrout. An dem, wir, chin, boffi un töchterlljini, hen groddut zseeme un wéilu hewernündsch unzana chonnu machun, séndsch hüte, guti chüjini. Dei bei posti e non troppo pericolosi, ce n’erano nel piccolo vallone dietro La Grotte, che si chiama d’Wasser. Là le nostre capre vi mangiavano volentieri foglie, fili d’erba, oline verdi, cespugli e forse anche l’erba viperina. Intanto noi bambini ragazzi e ragazzine giocavamo insieme e ogni tanto abbiamo anche saputo farci, pascolando, delle buone frittelle. Geit oa seen, das um tun das, hewer mussun troa vam hous villjen alz for nöit z’wasser das het grunnen, fresks un vliats, ous ter a ressal van an gruasse stein, un d’milch das war hen mua melhje van ar geiss; un hen nöit gwénght witt, chleine un grobbi. Un sua ischt noch gsinh wier het troagen a fannu, wier as packetji lümmiti, wier as taski wéiss meelu, wiar üeli, un wiar, zücker. Non occorre dire che per fare quello, abbiamo dovuto portare da casa quasi tutto eccetto l’acqua che sgorgava pulita e fresca da un fessura di una grande pietra, il latte che mungevamo da una capra e non mancava della legna grossa e minuta. E così c’era ancora chi ha portato una padella, chi un pacchetto di fiammiferi, chi un sacchetto di farina bianca, chi dell’olio e chi, dello zucchero. Höit zam tag, wier ischt noch leebenz un ischt oalts wi t ich un grech noch mia, wén war zéllje dischi dinhi das nümmi mian gsinh, wéltewer alz eis, gsian chin un junnhi das chonnun dschi noch gréiffen a, das tun geere anandre helfen um tun etwas zseeme, oan mussun goa vinnen, z’vil wéit ol z’vil tell, was méchti machu hübschur un tellur da lebtag. Um das, dungh mich das z’Éischeme séji as gruass schienz dinh, das, mia dén a voart zar wuchu, vill junnhi un boffi van in lann vinnendschi zseeme um leerne lljöiten mi la banda vam lann. Al giorno d’oggi, chi è ancora in vita ed è anziano come lo sono io e forse anche di più, quando raccontiamo queste cose che non possono più accadere, vorremmo vedere dei bambini e dei giovani che sanno ancora darsi da fare, che si aiutano volentieri gli uni gli altri per fare qualche cosa insieme, senza dover andare a trovare, troppo lontano o troppo facilmente, ciò che rende bella la vita. Al riguardo, ad Issime mi sembra che sia una gran bella cosa che, più di una volta alla settimana, tanti giovani e ragazzi del paese si ritrovino insieme per imparare a suonare con la Banda musicale del paese. Mir gvalter auch gsian noch junnhi un chin nöit z’vil einigi un chrummi ouf in as buettelti das dschi mian njeckun, héi un doa, mi am vinher um schréje ol un um etwas antwém loa wissu. Éttlljigi gsimu auch mi am kwoaderlji in d’hann das heist z’tablet um wissun alz was bschit in d’ganzu weelt oan grech dschi geen an acht wan was bschit nen béi ol im lann. A Crose nel ventennio 1924-1945 abitano tre famiglie che hanno in tutto 14 bambini (6, 4 e 4). Nella foto scattata verso il 1935 sono riconoscibili da sinistra Sady e Giovanni Christille (senza scarpe ma, da adulto, prete insigne della diocesi di Aosta), Bruno Busso, i fratelli Piero ed Elisa Gribaudi (figli di Ferdinando “Dino” Gribaudi, Professore di geografia all’Università di Torino e di sua moglie Vittoria Palazzi Trivelli che trascorrevano l’estate a Crose), le sorelle Elena e Ida Busso. Mancano ancora Ivonne, Zeffirino, Luigi e Maria della famiglia Christille e Ugo, Arturo, Walter, Vitale e Marco delle due famiglie Busso. A me piacerebbe anche vedere ancora altri giovani e bambini non troppo soli e ricurvi su di una scatoletta che possono premere qua e là con un dito per scrivere e lasciare qualche messaggio. Alcuni li vediamo anche con una tavoletta chiamata il tablet per conoscere tutto ciò che succede nel mondo intero senza forse accorgersi di ciò che accade loro da vicino o in paese. Ürriu lebtag geit grech sinh tellur dén ündsche, wa um nunh, nöit um das, hurtugur van den van ündschen junhen tag. La loro vita sarà forse più facile della nostra, ma per adesso, non per questo, più felice di quella della nostra gioventù. — 67 — A U G U S T A Les mayens entre Issime e Gaby François Stévenin E n quittant Issime, après avoir dépassé Zuino, le premier village de Gaby, on rencontre le Sanctuaire de Vourry (Voures) dédié à Notre-Damedes-Grâces. Un petit clocher existait déjà en 1717, mais ce lieu de pèlerinage devint célèbre à partir de 1833, lorsque Jean-Pantaléon Touscoz, sorti indemne d’une avalanche, le transforma en sanctuaire. C’est l’un des plus importants de la Vallée d’Aoste. Le maître-autel, l’orgue, qui figure parmi les plus anciens de notre région, et les 14 stations du chemin de croix sont de grande valeur. Aujourd’hui bat son plein le 15 août, à l’occasion de la fête de notre Dame, avec la bénédiction des enfant et l’enchère. Il faudrait faire connaître davantage ce monument qui mérite vraiment d’être restauré et remis à l’honneur. Du sanctuaire de Vourry et de Serta Desout, part un sentier qui grimpe jusqu’au sommet de la montagne, là où se trouvent les mayens de Moumilian, Roundavin (in töitschu Rundévei), Bel Crecht, Sourull, Pailleron et Stemprendili. Il faut rappeler que, depuis Issime aussi, on peut atteindre ces mayens : en effet, à partir de Tchendriun, en passant par Penne et Traversogni, on réjoint Bel Crecht. D’ailleurs jusqu’à l’an 1952, Gaby et Issime faisaient partie de la même commune. Malheureusement, aujourd’hui, à cause de l’abandon et des inondations, les sentiers sont presque impraticables et pour monter à ces mayens on rencontre pas mal de difficultés. Il faut des chaussures de montagne et la serpe s’avère indispensable pour ouvrir le passage, bien que certains s’y s’aventurent avec des chaussures de gymnastique… On court le risque de glisser et de déraper et, si l’on ne connaît pas le chemin, de se perdre. C’est d’ailleurs ce qui est arrivé à une équipe qui avait décidé de descendre de Sourull en passant par le sentier qui rejoint Tchendriun d’Issime. Elle s’est trouvée devant un précipice fort dangereux. Il a fallu qu’elle regagne l’endroit d’où elle était parti et reprendre le sentier vers le sanctuaire de Vourry. En montant sur le sentier, on ne peut s’empêcher de penser à toutes celles et à tous ceux qui montaient là haut avec «i soc» aux pieds, c’est-à-dire des pantoufles d’étoffe, cousues à la main par les femmes du pays. Il y a plus d’un demi siècle, une trentaine de femmes de Gaby se rendaient chaque année dans ces mayens pour la récolte des foins et des «ollines»; elles y portaient tout ce qu’il fallait pour pouvoir vivre en haute montagne et surtout y conduisaient des chèvres, des veaux, des bœufs et, selon les dires de certains, même des vaches. De nombreuses personnes ont confirmé ces souvenirs : le bonheur et la joie d’avoir vécu à cette époque ces moments là-haut sur la montagne. Faucher l’herbe, récolter les foins et ramasser du bois pour l’envoyer en bas par le moyen d’un téléphérique étaient les travaux essentiels, mais il y avait également le plaisir de cueillir des brouvocou (myrtilles), des framboises et des champignons. Dans leurs récits, le soir était le plus beau moment, lorsque les femmes se réunissaient pour « la veillà » en racontant de petites anecdotes et en chantant des chansons de la tradition. Ayant reçu en partage le mayen de Sourull, je m’y suis rendu Il Santuario di Vourry. Il cerchietto rosso evidenzia dov’è Sourull. (foto Sara Ronco) plusieurs fois avec des amis et j’ai constaté les difficultés qu’il y avait de plus en plus pour y arriver et surtout que la plupart bâtiments s’étaient écroulés (einz) tandis que le mien était encore debout, sauf la petite cuisine qui a cédé. A l’occasion d’une sortie en groupe, pas loin de mon mayen, quelqu’un a observé quelque chose de très curieux. Au milieu d’une plaine verte, un cercle elliptique de foin sec, plus au moins de 2 mètres sur 3, avec autour des pierres entassées, a attiré l’attention. Surpris, on s’est demandé la raison d’être de ce fait, sans trouver une réponse satisfaisante. Lors qu’on a raconté cette histoire à plusieurs personnes, une femme d’Issime a demandé si l’on avait vu un fil de corde descendant d’un arbre avec un os de chauve-souris accroché. Franchement personne n’avait remarqué cela. L’année suivante, intrigué par la question, on s’est rendu encore une fois à Sourull et on a constaté qu’un fil de corde pendait d’un arbre, mais à la place d’un os de chauve-souris, accroché au fil, il y avait un petit morceau de bois ou quelque chose de semblable. «Lieu où se réunissent les « masques », c’est-à-dire les sorcières, a été le verdict de la femme. En Vallée d’Aoste des histoires sur les sorcières il y en a de toute sorte et il y a dans presque toutes nos communes des lieux où elles se réunissent. La vallée du Lys est particulièrement importante en la matière : Jean-Jacques Christillin et Iolanda Stévenin nous l’ont raconté dans leurs ouvrages. Malgré tout, le mystère du cercle elliptique de Sourull … reste entier ! — 68 — A U G U S T A Victoirisch buhu1 Il faggio di Vittoria W Vittoria Busso Lixandrisch ar sén gsinh z’hüten d’chü, ischt gsinh d’hérbscht, war sén gsinh z’hüten d’chü héi ambri, wir seemu z’undruscht da Voakul, da Voakul heisst das stükhjilti doa, woa sén all déi steina, doa béi d’ketschu. D’oaltu mamma, Lixandrisch Maréji, d’mamma vam pappa, antweegen d’andra ischt gstuarben en ’20, ischt gstuarbe ievun ich wieri gwuarte. Dar pappa ischt arrivurut uger van im Duarf, eer het gweerhut en commune. Ischt arrivurut uger doa un d’oaltu mamma seet mu: “Zich ous das baumji doa, ischt doa von d’moarch”, wissischt darnoa wénn dŝch’ischt gruassi dan baum machut schat, wissischt wol! Un hets gseit dam pappa: “Zich ous das baumji doa” un dar pappa het mu gseit: “Na, das ischt nöit von z’ündŝcha!” un dé is blljibben doa. Un nunh ischt sua, nunh ischt noch doa, eh wa ich hen muan heen vünv secksch joar, bsinnimich krat sua… bsinnimich das bin gsinh ambri doa sua. Nunh ischt tschebs z’nen goan zin ous! Nen trommun… nunh ischt tschebbur antweegen het allu d’wurzi unner d’ketschu, neh! Un dar pappa het nöit wéllje dar wieris gsinh zuahe ous antweegen ischt nöit gsinh von z’ündŝcha! (foto Sara Ronco) Era intorno alla fine degli anni ’20 del ’900, Vittoria Busso Lixandrisch, che aveva allora cinque, sei anni, stava pascolando le capre con la nonna Lixandrisch Méji (Marie-Pauline Busso che viveva al villaggio della Cugna) in un prato detto da Voakul sopra la frazione di Bennetsch, vicino al prato chiamato z’Dschardinh, dove Vittoria ha costruito la sua casa. Vittoria ricorda l’accaduto, perchè il fatto l’aveva particolarmente colpita. La nonna notò un piccolo faggio sul confine della proprietà, nel frattempo arrivò il figlio Henrei, e gli disse “ci conviene strappare via quell’alberello prima che cresca troppo”, lui rispose “non cresce sul mio terreno, non tocco ciò che non mi appartiene”. Quel faggio è ancora lì e svetta fiero sul paese di Issime, lasciamo riflettere il lettore sull’evento accaduto oltre ottant’anni orsono. 1 Il testo è tratto da una registrazione effettuata da Barbara Ronco nell’autunno 2013 in casa di Vittoria Busso a Crose. GABY, IL VILLAGGIO DI PONT TRENTA: COMMENTO AD UN’IMMAGINE DI FINE ‘800 DEL MEDICO JEAN GOYET Michele Musso La foto della quarta di copertina di questo numero della rivista risale al 1890 circa e ritrae il villaggio di Pont Trenta nel comune di Gaby (già Issime-Saint-Michel). In quel punto della Valle si realizzò e si completò intorno al 1894 la strada carrozzabile e il ponte a due arcate che attraversa il torrente Lys a monte del villaggio. Nell’immagine, a sinistra si riconoscono le due case della famiglia Bastrenta del ramo che a fine ‘800 si trasferì nel capoluogo di Issime acquistando l’antica casa dei notabili Alby al Letz Duarf. Furono Philippe Bastrenta (1852-1940) e la moglie Octavie-Marie Yon Valguiveira (1862-1934) a trasferirsi dapprima a Prò-dou-Toucco e poi nel Capoluogo. Delle due abitazioni quella più a sinistra fu distrutta da un masso che il mattino del 4 giugno 1938, giorno di Pentecoste, precipitò dalla montagna e la colpì, morirono due vacche e un vitello appena nato, mentre una terza si salvò. Non ci furono per fortuna perdite umane, ma la seconda abitazione, in cui viveva la famiglia Bastrenta, fu abbandonata, cadde in rovina e in seguito fu abbattuta. A destra si vede l’antico mulino del ramo dei Bastrenta chiamato de Clement, anch’esso fu abbattuto per realizzare la strada carrozzabile del villaggio. In questo mulino Emilio Bastrenta (1904-1998) da ragazzino vide lo spettro di un condottiero tutto ricoperto di medaglie d’oro lou Rei medaljr. Dietro l’antico ponte, tutt’oggi esistente, si intravede un rascard che fungeva da granaio per il villaggio, fu venduto intorno agli anni ’50 del ‘900, smontato e rimontato, con dubbio risultato, in un villaggio a sud della piana di Gressoney-Saint-Jean, addossato ad una abitazione in muratura. I quattro funghi su cui poggiava il rascard sono stati ‘messi a dimora’ in terra, come per un set cinematografico della disney, nel giardino dove è il rascard. L’unica abitazione rimasta è quella di cui si intravede la parte superiore e il tetto, fu edificata nel 1850, su una precedente del 1732, da due fratelli Bastrenta del ramo dei Milder e oggi appartiene ai discendenti diretti, la famiglia Chiara. In basso nella foto e al centro del torrente domina un enorme masso piatto detto dagli abitanti del villaggio la Pera de la masca, serviva, come gli altri a monte del ponte, a frenare le acque del torrente quando queste si gonfiano a dismisura. Intorno a questo masso aleggia un’aurea magica, si racconta che una strega, al tempo in cui le streghe furono cacciate in alta montagna, avesse l’abitudine di lasciare in custodia per l’inverno agli abitanti del villaggio una capra bianca senza corna, una zücka. La capra però non dava mai latte e un inverno decisero di macellarla. La primavera successiva la strega tornò per riprendersela e gli abitanti le raccontarono che era morta per malattia, questa non credette al loro racconto e infuriata con un enorme salto balzò proprio sul masso. Anche quest’ultimo non è più lì, alla fine degli anni ‘70 del ‘900, durante i lavori di risistemazione dell’alveo del Lys, quando si decise di eliminare i grossi sassi al centro del torrente, l’hanno minato e ridotto di molto, si dice per evitare disastri alluvionali. L’alluvione del 2000 ha distrutto buona parte dell’antico ponte e minacciato seriamente il villaggio. Il Lys non aveva più ostacoli alla sua furia distruttiva. Queste testimonianze sono state raccolte presso la famiglia Chiara, dai racconti di Adele Maria Bastrentaz (1906-2003) della famiglia Milder, in particolare dal figlio Ernesto (1934) e dalla nipote Mary Chiara. La foto fu scattata da Jean-Pierre-Antoine Goyet (1852-1917) figlio di JeanPantaleon (1822–1879) e di Marie Alby (1824-1878) di Jean Alby notaio, esattore delle imposte e gabelle a Fontainemore, appartenente al ramo degli Alby chiamato Wéisse che provenivano dal Letz Duarf (casa oggi Bastrenta). Jean Goyet nacque ad Issime nella casa dei Goyet ad Eimattu, poi la famiglia si trasferì nella casa che Jean-Pantaleon aggiustò nel 1861 a Preit, in realtà la famiglia era originaria del villaggio della Riva. Jean Goyet sposò il 27 giugno 1889 Hortanse Christillin (1864-1919) della famiglia Pintsche, figlia del Cavaliere Louis-Gustavo Christillin (1838-1900) e di MarieChristine-Philomène Freppa (1837-1883). Esercitò la professione di medico condotto per più di trent’anni nella Valle del Lys, e visse con la famiglia nel villaggio di Tunterentsch nell’abitazione (oggi di proprietà Linty) che fece costruire nel 1886 sul prato chiamato Gassenérp lungo l’antica mulattiera che risaliva la Valle del Lys. Il Gassenérp si estende dal villaggio di Preit fino al villaggio di Tunterentsch, oggi si trova lungo una strada carrozzabile, anticamente lungo la mulattiera della Valle. Su questo prato, nel punto in cui dall’antica mulattiera dipartiva quella che conduceva ai villaggi della Costa e quindi al Vallone di San Grato, fu costruita nel 1667 la cappella di Preit dedicata a San Giuseppe, cappella privata della famiglia del medico Goyet e della famiglia Linty (già Ronco). — 69 — A U G U S T A D’seisunhi – Le stagioni Imelda Ronco Hantsch D’OUSTAGA DA SUMMER D’oustaga het zwei chnechtjini dar choalt winn ischt eis, z’andra süssi luftjini, zwei lljidjini, ich weis höit sinnhe hurtigi voggiltini muare dar donner töivlut d’oustaga het zwei kleidjini eis nawe schnia un éisch un z’andra grüni weidjini. Arschtüar dich, doa beiter an gruasse joa, is ischt aschuan louter tag wi z’doch ischt muss mu tun dam noa, vartroan d’hitz un z’schwiar weerch mit guts mut, oan dŝchi khee, ich bin müds, sua wi génh, henni wol gseit nunh di toaga sén z’vill lénh! LA PRIMAVERA L’ESTATE La primavera ha due paggetti il vento freddo e il ghiaccio è uno, l’altro soave brezza, due canzoni, io so, oggi cantano allegri gli uccellini domani brontola il tuono la primavera ha due vestitini uno neve fresca e ghiaccio l’altro erbetta verde. Sbrigati, là ti aspetta un lavorone, è già giorno fatto comunque sia bisogna starci dietro, sopportare il caldo e il duro lavoro di buona lena e senza lamentarsi, io sono stanco, così come sempre, ve l’ho ben detto ora le giornate son troppo lunghe! — 70 — A U G U S T A D’HÉRBSCHT DA WINTER Höit bin ich aschtrikht! “Woa sén ellji méini lauber? Ich bin arwachit bluas, hen kheen um, an goldene neebal un génh antwiar im schuass, oh, wértis nuan an traum!” nunh chints da winter, nua schloaf, oalten baum! Da winter het dŝchi nöit vargesse dar ischt doa zar hirtu, dar wolf het ne noch nöit kesse, is het gschnout d’ganzu nacht nunh d’matti röschten unner a wéiss déchi un d’chinn, wol tochiti i, roddun im schnia krat das nöit cheemi dar küsch das allz zartreit van im Wéisse Wéib unz ambri im sia. L’AUTUNNO L’INVERNO Oggi sono rimasto di stucco! “Dove sono tutte le mie foglie? Mi son svegliato nudo, ero avvolto in una nube d’oro e sempre qualcuno in grembo, oh, fosse solo un sogno!” ora arriva l’inverno, dormi pure, vecchio albero! L’inverno non si è scordato è là alla solita ora, il lupo non l’ha ancora mangiato, è nevicato la notte intera ora i prati riposano sotto una coltre bianca e i bimbi, ben coperti, giocano nella neve purché non venga la tormenta che tutto spazza dal Wéiss Wéib fino al lago. — 71 — A U G U S T A IN MEMORIAM ÜNZ REGRET - Il nostro rimpianto Ugo Busso Schützersch-Dschoansch Dan ieste vruantag oaberllje in d’chilhu z’Greschunej, d’lljöit van doa, van Éischeme un vam Augschtalann, mi an schupputu sinnhara, das hen gholfe wol ünz bet, hen bettut zseeme vür grüzen dar oarzat Vittorio De La Pierre, in d’chilhu woa dar ischt gsinh taufti acht un achzg joar kannhe un woa dar het nöit gwénght, im sunnatag, zar mesch. Don Ugo Busso (Presidente dell’Associazione Il primo giovedì di aprile nella chiesa di Gressoney Saint-Jean la gente del posto, di Issime e di Aosta, Augusta dal 1982) nel 2011 in occasione delle sue nozze d’oro sacerdotali con Vittorio De La Pierre con un bel gruppo di cantori, che hanno animato bene la nostra preghiera, hanno pregato insieme e sua moglie Jolanda Bieler. per salutare il dottor Vittorio De La Pierre, nella chiesa dove è stato battezzato 88 anni fa e dove non mancava, la domenica, alla messa. An andren gruz hemmu noch troage, a lénh prussesiunh um amun noch chröitzen a voart dschéin koaschju gsturti imitsch in a vréituf woa a meischter schnia het noch bdéckht ellji d’grébber. Un altro saluto, glielo ha ancora portato una lunga processione per fare ancora un segno di croce sulla sua bara posta in mezzo ad un cimitero dove un metro di neve ricopriva ancora tutte le tombe. Nunh séiwumu ellji schuldig as gruas vergelzgott: im Augschtalann das het muan piénnen un schétzen, sit lénnhi joari, an oarzat das het glebt um gnérren un um geen mut, in ündschi spittallj, da chranghu im oalten tag; un in ündschi walserlénner woa, a voart in d’pansiunh, dar het génh keen dschéis heers un alz dschéis zéit, wi présidanh van Walser Kultur Zentrum van Greschunej un müddünündsch mi l’Associazione walser Augusta van Éischeme. Ora gli siamo debitori di un grande “Grazie” in Valle d’Aosta che ha potuto conoscere ed apprezzare un medico vissuto, nei nostri ospedali, per guarire ed incoraggiare gli ammalati anziani, e nei nostri paesi walser dove, una volta in pensione ha dato il suo cuore e tutto il suo tempo come Presidente del Centro Culturale Walser e con noi, nell’Associazione walser Augusta di Issime. Mia dén a voart, wén dar het gschwétzt vür vill lljöit van was mu solti noch tu um nöit loan goa hinner ündsch oaltu réddini un brouha, dschéis wuart het gmuntut fauru un di trieni séimu gvallen aber d’auge. Più di una volta quando parlava in pubblico di ciò che si dovrebbe ancora fare per non lasciar venir meno le nostre antiche lingue e le nostre tradizioni, la sua parola sembrava piangere e le lacrime gli cadevano dagli occhi. Darrum, in méin töitschu van Éischeme un in Teutschsparlichig das Vittorio De La Pierre het wéllje mia pnoati un mia brouchti in ündschi walserlénner, ich loamu dische létschten lljauben gruz mi d’iestu wüerter van ünz diktioneri d’Éischemtöitschu. Nel mio dialetto töitschu di Issime e nella lingua tedesca che Vittorio De La Pierre avrebbe voluto più conosciuta ed adoperata nei nostri paesi walser, gli lascio quest’ultimo saluto con le prime parole del nostro dizionario d’Éischemtöitschu. Elljene deene das mi dischen wüerter hennündsch zeihut gutsch, un deene junnhu das wélljendschi noch brouhe um nöit bljéiben antwurziti va was dschi macht érbara van d’oaltu walser. Allen jenen die uns mit diesen Worten Den Weg zum Guten gewiesen haben, Un der Jugend, die willens ist ihn zu befolgen um nicht entwurzelt zu sein von dem, was uns zu Erben der alten Walser macht. A tutti coloro che con queste parole ci hanno insegnato il Bene, ed a quei giovani che le vogliono ancora imparare per non rimanere sradicati da ciò che li fa eredi dei vecchi walser. Una grande personalità walser ci ha lasciati: il Dott. Vittorio De la Pierre Der eisòndrissgòschte merze de docter Vittorio De La Pierre hät éndŝch gloat: en wéchtége herr fer d’ walserkultur vòm Oberlystal. Abgstammet vòn greschòneyfamilie, hätter déchtég géere kät dŝchis land òn hätter d’sproach òn d’kultur mé gròsser pflécht ufbewart. Éschter geng zfrédò gsid dŝchin landslitté anz’treffe òn médene titsch z’chònnò redò. Spaziere dòrch d’béerga vòn Greschòney èscht gsid dŝchin passion, òn mét der fotografmaschin hätter abkécht d’natur òn d’landschaft woa hein nachanand tischòt, òn déŝcher archiv tuet ònderstriche d’schénheite òn de gròsartége vermége vòn éndŝchem land. Sétter aberle 2001 éschter Präsident vòn der « Dauernder Rat für die Wahrung der Walsersprache und –kultur » òn sétter heiò 2006 Präsident vòm Walser kulturzentrum gsid. Geng bi de problemé vòn der gmeinschaft, hätter d’walserkultur òf alle sitte ufkät. Jeds moal, woa en der region oder mé andré titsché gmeindschafte, hätter vòn de Walser òn vòn eriò stoarche karakter gredt, vòn dŝchir stémm hämmò gmerkt en gròssé empféndléchkeit òn de stolz fer di litté woa hein bés em Titschland achtòng eroberet. Vittorio éscht gsid hoffertége vòn der walserkultur, òn hät tetég gwéerchòt fer ŝcha z’verwéerde òn ŝcha z’erhoalte fägs der gròsartégò wéert woa hät’sch fer z’Ougstalland. Dŝchin ònmiedégé gab fer d’walsergmeinschaft siggé es bischpél fer déŝché pflécht vorwerz z’troage. Z’ganz land tuene géere erénnerò mé dankbarkeit òn tuet de gròsse verdròs vòn dŝchir familiò métteile. Il 31 marzo ci ha dolorosamente colpito la scomparsa del Dottor Vittorio De la Pierre: una personalità significativa della cultura Walser dell’alta valle del Lys. Discendente da vecchie famiglie gressonare, amava intensamente il suo paese d’origine e ne conservava e coltivava con entusiasmo la lingua e la cul- tura. Gioiva dell’incontro con i suoi compaesani, con i quali s’intratteneva per quanto possibile in “greschoneytitsch”, idioma a lui caro e familiare. Percorreva instancabilmente i ripidi sentieri della sua valle, attento agli inevitabili cambiamenti, che il corso degli anni e l’abbandono agricolo dovuto ai tempi moderni, portavano con sé. Immortalava lo scorrere delle stagioni e gli aspetti mutevoli del paesaggio, lasciando una ricca collezione fotografica, testimone delle bellezze e delle ricchezze dell’amata Gressoney. Presidente della Consulta dall’aprile 2001 e del Centro Culturale Walser dal luglio 2006, sempre attento ai problemi della comunità, ha promosso con costanza e generosità la tutela della cultura Walser in tutte le sue sfaccettature. Perorando la causa Walser, presso le autorità regionali e in occasione d’incontri con altre comunità linguistiche germanofone, ha saputo, con quell’entusiasmo tutto suo, che lo portava fino alla commozione, esaltare e valorizzare il carattere forte e volitivo della “sua gente”. Una comunità che nel corso dei secoli ha saputo conquistarsi stima e reputazione sia al sud sia al nord delle Alpi occidentali, fino alla lontana Germania. Una cultura alla quale Vittorio con orgoglio apparteneva e alla quale era profondamente legato. Una cultura da conservare e rivalorizzare, mantenendola viva in tutte le sue forme, perché retaggio dei nostri avi e di grande valore non solo per l’alta valle del Lys, ma per tutta la regione della Valle d’Aosta che ne rimane arricchita. Il suo instancabile ed espressivo impegno per tutta la comunità Walser, certamente saranno, anche nel futuro, da sprone a continuare, con altrettanta diligenza e passione, nell’avvalorare e mantenere la nostra cultura. Tutta Gressoney lo ricorda con grande affetto e riconoscenza e porge alla famiglia rinnovate e sincere condoglianze. Il Presidente del Centro Culturale Walser di Gressoney e Issime, Pier Paolo LAURENT — 72 —