DUSTMUSEUM.ORG TESTI
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MUSEO ETTORE FICO 8 SETTEMBRE 2 OTTOBRE 2016 DUSTMUSEUM.ORG PIERO LIVIO OGGETTI E IMMAGINI TESTI MEF Museo Ettore Fico - Torino 8 settembre / september 2016 2 ottobre / october 2016 biasutti & biasutti - Torino 13 ottobre / october 2016 5 novembre / november 2016 MEP Maison Européenne de la Photographie - Paris novembre / november 2017 gennaio / janvier 2018 Piero Livio. L’antiquario detective, ovvero l’ingenuo collezionista Andrea Busto Piero Livio incarna contemporaneamente almeno cinque tipologie di intellettuali differenti: l’artista, lo scienziato, il collezionista, il drammaturgo e l’antiquario. Per ognuna di queste categorie egli veste panni e assume atteggiamenti differenti che, per misura e simbologia, riducono la sua persona a una sorta di regesto vivente. Come artista si muove con agio attraverso le simbologie e le pratiche espositive, analizza il contesto e il luogo museale convertendo l’ambiente operativo in una dimensione contemporanea. Come scienziato cataloga, conserva, schematizza e classifica il mondo circostante dando un nome e un senso, spesso filosofico, agli oggetti di differente natura che si trova a comporre nel suo ordinatissimo laboratorio, palcoscenico di una privata rappresentazione dell’arte. Come collezionista crea legami fra le cose più disparate che apparentemente non sono unibili se non attraverso il pensiero personalissimo del loro possessore. Gli scarti, come gli oggetti più rari, diventano le parole di una frase dal senso compiuto il cui significato è comprensibile solo attraverso la decifrazione di un “tutto” riconducibile però al “frammento”. Come drammaturgo/attore recita performance e tableau-vivant in una sorta di scambi di ruoli pirandelliani in cui egli è uno, nessuno e centomila. Come antiquario è il vero detective sulle tracce dell’oggetto perduto, si fa esegeta della storia e ne decifrata i segnali. Decritta, nella ruggine di un microscopico oggetto di ferro trovato nella spazzatura, il racconto della sua genesi come fosse prezioso un acquamanile medioevale. La rappresentazione di questa piece teatrale trova il palcoscenico più idoneo in ciò che chiama Dustmuseum, l’insieme cioè di tutte le sculture, sorta di macrocosmo assemblato di innumerevoli reperti e composto da infinite “variazioni sul tema”. L’opera che ne deriva simboleggia magnificamente, per forma e significato, la grande tradizione allegorica della sapienza e dell’onniscienza, come simbolo di vita retta e illuminata. Piero Livio è il saggio/ ingenuo/poeta che indica la via da seguire, le tappe da intraprendere per assurgere alla verità contemporanea, per decodificare codici criptati o evidenti, per decifrare la realtà e per sciogliere i misteri che ci attorniano. Tutto ciò lo fa attraverso le opere che diventano testi di lettura, palinsesti spirituali, formule scientifiche e magiche, simbologie del mondo e del tempo, della filosofia e della religione, dell’eros e dell’ascesi. Livio ricompone la storia dell’universo e dell’uomo in oggetti fortemente connotati. Sculture riconducibili ai luoghi del sapere, all’illuminazione, alla sapienza, alla superiorità, al percorso che pratica tanto il monaco quanto il mago, tanto l’uomo che l’animale per addivenire a uno stato superiore e lasciarsi alle spalle quello inferiore. Ma è anche un inganno. Se l’opera ha una sua tridimensionalità, la sua fotografia la riduce a immagine bidimensionale, se poi il suo recto è riprodotto in modo positivo, il suo verso è in negativo. L’opera assume quindi tre differenti modi di essere: una e trina! La prima è la scultura stessa. La seconda è la sua fotografia, quella in cui la scultura è proposta su fondo bianco risultando come il suo doppio. La terza, quella su fondo nero, ne cambia completamente i connotati rendendo la materia fotografata – anche quella più vile – cristallina, trasparente e vetrosa. Il fondo nero delle immagini rappresenta la grotta scura da cui, scaturiscono come gemme, – ma attenzione, sono solo quelle dei Sette Nani di Biancaneve – le forme delle sculture: adamantine, preziose e talismaniche. Gli assemblaggi si configurano come macchine simboliche atte a varcare i confini dell’ignoto e del subconscio. Nel 1620 Francis Bacon illustra il frontespizio della sua Instauratio Magna con l’immagine di un nave che, a vele spiegate, si dirige verso l’orizzonte di un mare vasto e agitato. Quest’allegoria del sapere ci suggerisce l’idea di un uomo che intraprende il grande e “periglioso viaggio” del sapere e della conoscenza, come Ulisse o Giasone, spinto da curiosità per il desiderio di conoscere luoghi liminali e oggetti provenienti dai “mondi novi”, ignoti e non disegnati sulle carte, che colleziona oggetti provenienti dai luoghi estremi della geografia. Talvolta le navi fanno naufragio e, se talune riportano a riva mirabolanti bottini, altre rilasciano al mare i tesori trasportati. Sull’acqua allora ondeggiano i relitti e si arenano le chiglie nei bassi fondali. Sulla battigia deserta gli oggetti si accumulano e si confondono formando famiglie casuali e improbabili. Piero Livio, esegeta del naufragio intellettuale, riprende poeticamente e in modo leopardiano quella dolcezza del lasciarsi naufragare come in un sogno al limite del risveglio in cui la percezione della realtà è prossima al tuffarsi in uno specchio per seguire il Bianconiglio. Il naufragio può essere anche fonte di ricchezza per i posteri se il tempo non corrode e non scompone tutto. E allora è meglio dragare un “mare” d’immondizia alla ricerca del tesoro perduto. Le scorie e gli oggetti, nuovi o fossili, le testimonianze di una civiltà di oggi o di ieri, possono venire a galla e funzionare come una macchina del tempo in cui il presente può sembrare tanto lontano quanto il passato di una civiltà sepolta. Gli oggetti raccolti e riportati a terra diventano i souvenirs e le testimonianze dell’ignoto, della relazione che lega l’archeologo al collezionista e ai mondi lontani, della relazione tra l’”altrove”assoluto e l’isolamento intellettuale del sapiente. Questo microcosmo di “cose” viene raccolto, catalogato, impilato e incasellato in teche, armadi, biblioteche, scaffalature, vetrine chiuse o a giorno, in diorama, in serre nell’atelier/laboratorio ancora una volta sacello e antro alchemico. Tutto serve a rappresentare e a esporre fino a impossessarsi delle bacheche, di tutta una stanza, di tutta una galleria, di tutta una casa, di tutto un museo. La stanza meravigliosa (wunderkammer) o lo stipo dei tesori in cui vengono raccolte le straordinarie collezioni, hanno profonde radici nella storia dell’arte europea dal Rinascimento italiano fino al collezionismo di ottocentesco e oltre. Piero Livio rappresenta una possibile collezione dell’oggi. L’accumulo strabordante di frammenti, di animaletti, di sfere armillari e lenti e cannocchiali e libri e pietre preziose e tutto ciò che può stimolare la fantasia, viene disposto in un ordine fittizio (ingannatore) in cui perdersi e non ritrovarsi. L’ordine regna in queste opere come un’illusione di serenità, di immobile saggezza, di atemporalità eterna. Eppure se tutto fosse decontestualizzato, tutto apparirebbe come effimero, caduco, arbitrario. Il terrore per il disordine sgomenta l’artista, che riordina e manipola le cianfrusaglie collezionate trasponendo dagli oggetti al mondo un senso di potenza dominatrice del tutto ingannevole. Riordinare il caos e vincere la morte attraverso l’illusorio tentativo di possedere il mondo, è questo il grande sogno di questo artista. L’oggetto è simbolo del potere dell’immaginazione sul tempo, ma non dimentichiamo che le prime collezioni, da cui derivarono tutti i musei, non erano altro che i bottini di guerra, trofei di morte del vincitore sul vinto. Una collezione non è altro quindi che la rappresentazione di un cimitero in cui si pensa di essere i soli vivi. Ecco allora che l’assemblaggio circoscritto diventa il sacello, il tempio sacro, la grotta in cui riparare le proprie idée e i pensieri più nascosti. L’“opera” stessa diviene un micro-museo in cui le Naturalia (curiosità naturali come uova di struzzo, rami di corallo, conchiglie madreperlacee, denti di bovino, ossa di uccelli), le Artificialia (manufatti preziosi e opere d’arte come quadri e sculture) e le Mirabilia (oggetti straordinari come i gioielli, i cammei e le pietre preziose lavorate) convivono e dialogano col loro possessore. Non mi avventurerò, in questo contesto, in una lettura psicanalitica sull’uso degli oggetti e del loro assemblaggio, anche se ne sarei molto tentato, dove l’artista fa convivere un razzo su una sfera di cristallo, un manichino e la testa di un giocattolo con cappello di plastica, un mappamondo con un imbuto di vetro capovolto che sembra una coppa da Martini cocktail, automobiline, palle, chiavi inglesi arrugginite, rane di latta, elefantini di ceramica, penne e piume, pelli e pellicce, armi e armadilli! Il labirinto è completo con dentro tutti I suoi attori. Figlio di Cornell, ma anche fratello di Alice, l’artista compone e ricompone senza sosta sciarade e rebus, in cui il senso finito della storia che ci sta raccontando è aperto a qualsiasi cambiamento fino all’ultimo minuto. Gli oggetti presentati si possono ricondurre, come abbiamo già scritto, alle tre gerarchie delle stanze delle meraviglie: Mirabilia, Naturalia e Artificialia, in cui la convivenza di diversi concetti come “vero” e “falso”, “naturale” e “costruito”, “prezioso” e “povero”, “nuovo” e “antico”, trovano identico spazio e identica considerazione da parte dell’artista. Nelle opere convivono Topolino, Pikachu, la lampada di Aladino, l’orsetto Winnie The Pooh, un angioletto in ceramica, un cavallo alato, Pegaso e Godzilla. L’assemblaggio degli oggetti, di primo acchito caotico e sovraeecitato, ci rimanda alla Melancholia (1514) di Dürer (in cui una campana, un cane, attrezzi da falegname, un sasso squadrato e una scala (!) sono assemblati nel paesaggio in modo solo apparentemente arbitrario), al periodo metafisico ferrarese di de Chirico (in cui i biscotti, i mobili, I pesci disseccati e le squadrette dell’architetto convivono nelle stanze silenti dall’improbabile prospettiva), alla Boîte-en-valise (1936) di Marcel Duchamp (in cui i minuscoli modellini del Grande vetro, del Nudo che scende le scale, dei Trois Stoppages-Étalon e altre opere si impilano in una sorta di museo da passeggio), a quelle di André Breton (Page-objet e Rêve-objet rispettivamente del 1934 e del 1935), alle opere di Joseph Cornell (concentrati visibili di “collezioni di sogni”) e a quelle di Mario Merz (in cui la straordinaria teoria di Fibonacci applica alla natura concetti matematici e moltiplica ortaggi, legumi, lumache, fascine e frutti su tavoli a spirale in vetro e pietra che tendono all’infinito). Le sculture di Piero Livio diventano paradigma di tutto lo scibile, il sapere si impila, si applica, si complica e si consolida con Attack e Vinavil. Il Mondo e l’Universo sono compressi in spazi angusti sottovetro, la storia di milioni di anni o quella di attimi si concentrano in pochi centimetri cubici, insomma tutto funziona come un’incredibile e magica macchina del tempo, azionata da meccanismi a noi sconosciuti che appaiono comprensibili ma non decifrabili. Cucire, scucire, ricucire Piero Livio Molte volte mi sono chiesto, mi hanno chiesto perché? La risposta sicuramente nasce dalla mia infanzia, al centro del mediterraneo, in un accaldato pomeriggio d’estate, nell’ombra, la gibigiana del sole crea in una fessura delle persiane una lama di luce, milioni di intangibili oggetti emergono dal nulla, un polveroso universo, una ricchezza celata di differenti nature, colori, misure, tensioni, attrazioni, pulsioni; un pacato caotico vortice, un parabolico andare in cerca di pace dove pace non c’è. Un rumore inudito, il ribollir silenzioso del fiato terreno presente, impalpabile, assente, trasporta la vita, la fortuna, il destino, un granello piccino, l’intero universo che porta con sé. Dustmuseum.org - raccolta, selezione, diffusione rifiuti - è il titolo sotto il quale dal 1970 ho raccolto gli oggetti che andavo realizzando con scarti e frammenti trovati per caso e destinati all’oblio. Gli oltre centotrenta oggetti riprodotti in questo volume sono la parte emergente di una ben più vasta collezione organizzata, curata, conservata e sistematicamente catalogata. Costruiti con contributi occasionali, assemblati con fragili legature di fili, resine, colle, cera d’api e mollica; protetti da campane, vasi, teche, ampolle sono fotografati, stabilizzati in immagini perlopiù proposte con un metaforico parallasse, di recto-verso, positivo-negativo, back-to-back. Venere dea di perfezione e bellezza, nata dalle spume del mare fecondate dalla castrazione di un dio, con il suo sguardo seducente rammenta che nel procedere è un breve scarto di parallasse a dar misura e senso alla via (vita). Doundoredo - Fare, disfare, rifare; primo istante, ultimo istante; accettazione e rifiuto, scrittura e ri-scrittura; cucitura, scucitura, ricucitura; costruzione, demolizione, ricostruzione; non moda ma continua ricapitolazione, nell’onnipresente idea di quella ”aria libera del mare” - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - « La definizione base di parallasse è: il dislocamento apparente di un oggetto (lo spostamento della sua posizione rispetto allo sfondo) causato da un cambiamento nella posizione di osservazione che determina un nuovo asse visivo. Il risvolto filosofico da aggiungere è che la differenza osservata non è semplicemente “soggettiva”, poiché lo stesso oggetto che esiste “là fuori” viene visto da due posizioni o punti di vista differenti. Sono piuttosto il soggetto e l’oggetto ad essere, come avrebbe detto Hegel, intrinsecamente “mediati”, di modo che un cambiamento “epistemologico” nel punto di vista del soggetto riflette sempre un cambiamento “ontologico” nell’oggetto stesso.» Oppure, per dirla in “lacanese”, lo sguardo del soggetto è già da sempre inscritto all’interno dell’oggetto percepito, nella veste di suo “punto cieco”, il quale è “nell’oggetto più dell’oggetto stesso”, il punto da cui l’oggetto ricambia lo sguardo. “Il quadro, certo, è nel mio occhio. Ma io, io sono nel quadro”1: la prima parte della frase di Lacan indica la soggettivazione, la dipendenza della realtà dalla sua costituzione soggettiva, mentre la seconda fornisce un’integrazione materialista, reinscrivendo il soggetto all’interno della sua immagine come macchia (la scheggia oggettivata nel suo occhio). Il materialismo non è l’affermazione diretta della mia inclusione nella realtà oggettiva (una simile affermazione presuppone che la mia posizione di enunciazione sia quella di un osservatore esterno capace di cogliere l’intera realtà), ma consiste piuttosto nella svolta riflessiva tramite cui io vengo incluso nell’immagine da me costruita. È questo cortocircuito riflessivo, questo raddoppiamento necessario di me stesso come qualcosa che sta sia dentro sia fuori la mia immagine, che testimonia la mia “esistenza materiale”. Materialismo significa che la realtà che vedo non è mai “intera”, e non a causa del fatto che la maggior parte di essa mi elude, ma perché contiene una macchia, un punto cieco, che indica la mia inclusione in essa. » Slavoj Zizek La visione di parallasse, Il Nuovo Melangolo, 2006, p. 28 « Ciò che nel collezionismo è decisivo, è che l’oggetto sia sciolto da tutte le sue funzioni originarie per entrare nel rapporto più stretto possibile con gli altri a lui simili. Questo rapporto è l’esatto opposto dell’utilità, e sta sotto la singolare categoria della completezza. Cos’è poi questa “completezza”? Un grandioso tentativo di superare l’assoluta irrazionalità della semplice presenza dell’oggetto mediante il suo inserimento in un nuovo ordine storico appositamente creato. » Walter Benjamin Les passages parisiens, Einaudi, 2010, p. 214 « … tiriamo parimenti a disfare e a rimutare di continuo le cose da quaggiù, benché tu vada a questo effetto per una strada e io per un’altra … Non manco di fare parecchi giuochi da paragonare ai tuoi, come verbigrazia sforacchiare quando orecchi, quando labbra e nasi, e stracciarli colle bazzecole che io v’appicco per li fori … » Giacomo Leopardi Operette morali, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 1979 1 J. Lacan, Il Seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi (1964), a cura di A. Di Ciaccia, Torino, Einaudi, 2003, p.95 Piero Livio. L’antiquaire détective ou le collectionneur ingénu Andrea Busto Piero Livio incarne au moins cinq différentes typologies d’ intellectuel à la fois : l’artiste, le scientifique, le collectionneur, le dramaturge et l’antiquaire. Selon la catégorie, il joue différents rôles et assume divers comportements qui, de par leur importance et leurs symboles, font de ce personnage une sorte de répertoire vivant. En tant qu’artiste, il se meut avec aisance au sein des symboles et des pratiques d’exposition, analyse le lieu muséal et son contexte, transformant l’environnement opérationnel en une dimension contemporaine. Comme scientifique, il catalogue, conserve, schématise et classifie le monde qui nous entoure, prêtant un nom et un sens, sou vent philosophique, aux objets de toute sorte, qu’il dispose dans un atelier des plus ordonnés, scène d’une représentation privée de l’art. Collectionneur, il crée des liens entre les choses les plus disparates, que l’on ne peut apparemment unir sinon à travers la pensée très personnelle de leur possesseur. Comme les objets les plus rares, les déchets composent une phrase achevée, dont le sens n’est compréhensible que par le déchiffrage d’un « tout » que l’on peut rattacher toutefois au « fragment ». En tant que dramaturge-acteur, il joue des performances et des tableaux-vivants dans une espèce d’échange de rôles, propre à Pirandello, où il est à la fois un, personne et cent mille. Comme antiquaire, il s’avère un véritable détective sur les traces de l’objet perdu et il devient l’exégète de l’histoire dont il déchiffre les signaux. Il décrypte, à travers la rouille d’un microscopique objet en fer trouvé parmi les déchets, le récit de sa genèse comme s’il s’agissait d’une précieuse aiguière du Moyen Age. La représentation de cette pièce de théâtre a pour scène idéale ce qu’il appelle Dustmuseum, c’est-à-dire l’ensembles de toutes ses sculptures, sorte de macrocosme composé d’innombrables pièces assemblées et comprenant d’infinies « variations sur le thème ». L’œuvre, qui en découle, symbolise à merveille, - de par la forme et le sens – la grande tradition allégorique de la connaissance et de l’omniscience comme symbole de vie édifiante et éclairée. Piero Livio est le sage, l’ingénu, le poète, qui indique la voie à suivre, les étapes à entreprendre pour atteindre la vérité contemporaine, pour décoder des codes cryptés ou évidents, pour déchiffrer la réalité et les mystères qui nous entourent, par des œuvres qui s’avèrent des textes de lecture, des palimpsestes spirituels, des formules scientifiques et magiques, des symboles du monde et du temps, de la philosophie et de la religion, de l’éros et de l’ascèse. Livio recompose l’histoire de l’univers et de l’homme en des objets fortement connotés. Des sculptures reconductibles aux lieux du savoir, à l’illumination, à la connaissance, à la supériorité, au parcours que suit aussi bien le moine que le magicien, l’homme que l’animal pour parvenir à un état supérieur, laissant l’inférieur derrière lui. Mais il s’agit aussi d’un piège. Si son œuvre a une tridimensionnalité, qui lui est propre, sa photographie la réduit en image bidimensionnelle. Si, en outre, son recto est reproduit en mode positif, son verso l’est en mode négatif. Par conséquent, son œuvre assume trois différentes façons d’être : une et trine ! La première est la sculpture même. La deuxième est sa photographie, celle où la sculpture est proposée sur fond blanc résultant comme son double. La troisième, sur fond noir, en change complètement les données, rendant la matière photographiée – même la plus modeste – , cristalline, transparente et vitreuse. Le fond noir des images représente la grotte obscure, d’où surgissent, comme des pierres précieuses – mais, attention, il ne s’agit que de celles des Sept Nains de Blanche Neige – les formes des sculptures : diamantaires, précieuses et talismaniques.. Ses assemblages se présentent comme des machines symboliques en mesure de dépasser les frontières de l’inconnu et du subconscient. En 1620, Francis Bacon illustre le frontispice de sa Instauratio Magna, représentant un navire, qui se dirige, à pleines voiles, vers l’horizon d’une vaste mer agitée. Cette allégorie du savoir nous suggère l’idée d’un homme, qui entreprend le grand et « dangereux voyage » du savoir et de la connaissance, comme Ulysse ou Jason, désireux de connaître des lieux liminaux ainsi que des objets provenant de « nouveaux mondes » inconnus et ne résultant pas sur les cartes, et qui collectionne des objets provenant des lieux géographiquement les plus lointains. Parfois les navires font naufrage et si certains ramènent jusqu’au rivage des butins mirobolants, d’autres délaissent en mer les trésors transportés. C’est alors que sur l’eau flottent les épaves et que les quilles s’enlisent dans les bas fonds. Sur la plage déserte, les objets s’accumulent et se confondent, formant des familles casuelles et improbables. Piero Livio, exégète du naufrage intellectuel, évoque poétiquement, à la façon de Leopardi, cette douceur de « faire naufrage » comme dans un rêve à la limite du réveil, où la perception de la réalité est sur le point de plonger dans un miroir pour suivre le Lapin Blanc. Le naufrage peut aussi être source de richesse pour les descendants si le temps ne corrode et ne décompose tout. Et alors mieux vaut draguer une « mer » d’immondices à la recherche du trésor perdu. Les déchets et les objets – neufs ou fossiles - , les témoignages d’une civilisation d’hier ou d’aujourd’hui peuvent remonter à la surface et fonctionner comme une machine du temps, où le présent peut paraître aussi lointain que le passé d’une civilisation ensevelie. Les objets recueillis et ramenés sur terre deviennent les souvenirs et les témoignages de l’inconnu, de la relation qui lie l’archéologue au collectionneur et aux mondes lointains, de la relation entre l’ «ailleurs » absolu et l’isolement intellectuel du savant. Ce microcosme de « choses » est recueilli, catalogué, empilé et rangé dans des écrins, armoires, bibliothèques, étagères, vitrines fermées ou éclairées, dans des dioramas, dans des serres, dans l’atelier-laboratoire, une fois encore lieu sacré ou antre de l’alchimiste. Tout sert à la représentation et à l’exposition au point de prendre possession des vitrines, de toute une pièce, de toute une galerie, de toute une maison, de tout un musée. Le cabinet des merveilles (wunderkammer) ou l’écrin des trésors, où sont rassemblées les collections extraordinaires, puisent leurs racines dans l’histoire de l’art européen depuis la Renaissance italienne jusqu’au collectionnisme du XIX° siècle et au-delà. Piero Livio représente une possible collection de notre aujourd’hui. L’accumulation débordante de fragments, de petits animaux, de sphères armillaires et lentilles et longuevue et de livres et de pierres précieuses et de tout ce qui peut stimuler l’imagination, est disposée dans un ordre fictif (trompeur), où se perdre sans se retrouver. L’ordre règne dans ces œuvres comme une illusion de sérénité, de sagesse immobile, d’éternelle intemporalité. Cependant si tout était dé-contextualisé, tout semblerait éphémère, caduc, arbitraire. La terreur du désordre effare l’artiste, qui range et manipule la camelote qu’il collectionne, transposant, des objets au monde, un sens de puissance dominatrice totalement trompeur. Remettre en ordre le chaos et vaincre la mort par la tentative illusoire de posséder le monde, tel est le grand rêve de cet artiste. L’objet est symbole du pouvoir de l’imagination sur le temps, mais n’oublions pas que les premières collections, qui sont à l’origine de tous les musées, n’étaient autre que les butins de guerre, trophées de mort du vainqueur sur le vaincu. Par conséquent, une collection n’est que la représentation d’un cimetière, où l’on pense être les seuls vivants. Voici donc que l’assemblage circonscrit devient le lieu sacré, le temple, la grotte où abriter ses propres idées et ses pensées les plus sécrètes. L’œuvre en question devient un micro-musée, où les Naturalia (curiosités naturelles telles que des œufs d’autruche, des branches de corail, des coquilles nacrées, des dents de bovin, des os d’oiseaux), les Artificialia (des ouvrages précieux et des œuvres d’art telles des tableaux et des sculptures) et les Mirabilia (des objets extraordinaires comme les bijoux, les camées et les pierres précieuses orfévrées) cohabitent et dialoguent avec leur possesseur. Dans ce contexte, je ne m’aventurerai pas dans une lecture psychanalytique sur l’usage des objets et leur assemblage, - même si j’en suis très tenté – où l’artiste fait se côtoyer une fusée sur une sphère de cristal, un mannequin et la tête d’un jouet avec chapeau en plastic, une mappemonde dotée d’un entonnoir de verre renversé ressemblant à une coupe à cocktail Martini, des petites voitures, des balles, des clefs anglaises rouillées, des grenouilles en fer-blanc, des petits éléphants en céramique, des stylos et des plumes, des peaux et des fourrures, des armes et des tatous ! Le labyrinthe est complet avec, à l’intérieur, tous ses acteurs. Fils de Cornell mais aussi frère d’Alice, cet artiste compose et recompose sans cesse des charades et des rébus, où le sens achevé de l’histoire, qu’il nous raconte, s’offre à tout changement jusqu’au dernier moment. Comme nous l’avons déjà écrit, on peut rattacher les objets présentés aux trois hiérarchies des cabinets des merveilles : Mirabilia, Naturalia et Artificialia, où l’artiste consacre la même place et la même considération aux différents concepts : « vrai » et « faux », « naturel » et « construit », « précieux » et « pauvre », « nouveau » et « ancien », qui se côtoient. Dans ses œuvres cohabitent Mickey Mouse, Pikachu, la lampe d’Aladin, l’ourson Winnie The Pooh, un angelot en céramique, un cheval ailé, Pégase et Godzilla. L’assemblage de ces objets, au premier abord chaotique et surexcité, nous renvoie au Melancholia (1514) de Dürer (où une cloche, un chien, des outils de menuisier, un caillou équarri et une échelle (!) sont assemblés dans le paysage, seulement en apparence, de façon arbitraire), à la période métaphysique de de Chirico, à Ferrara (où les biscuits, les meubles, les poissons desséchés et les équerres de l’architecte cohabitent dans les pièces silencieuses à perspective improbable), à la Boîte-en-valise (1936) de Marcel Duchamp (où les minuscules maquettes du Grand Verre, du Nu descendant l’escalier, des Trois Stoppages-Etalon et d’autres œuvres s’entassent dans une sorte de musée-promenade), à celles d’André Breton (Page-objet et Rêve-objet de 1934 et de 1935), aux œuvres de Joseph Cornell (concentrés visibles de « collections de rêves ») et à celles de Mario Merz (où l’extraordinaire théorie de Fibonacci applique à la nature des concepts mathématiques et multiplie produits potagers, légumes , escargots, fagots et fruits, sur des tables en spirale, en verre et pierre, qui visent à l’infini). Les sculptures de Piero Livio deviennent paradigme de toute la connaissance : le savoir s’empile, s’applique, se complique et se consolide avec Attack et Vinavil. Le Monde et l’Univers sont comprimés dans des espaces réduits, sous-verre, l’histoire de millions d’années ou d’instants se concentre en peu de centimètres cubes. En conclusion, tout fonctionne comme une incroyable et magique machine du temps, actionnée par des mécanismes, - que nous ne connaissons pas – qui semblent compréhensibles mais pas déchifrables. Coudre, découdre, recoudre Piero Livio Je me suis souvent demandé et on m’a demandé : pourquoi? La réponse est à chercher sûrement dans mon enfance à l’Elbe, au centre de la Méditerranée, un après-midi d’été torride, dans l’ombre, un reflet de soleil crée, dans une fissure des volets, une lame de lumière, des millions d’objets intangibles surgissent du néant, un univers poussiéreux, une richesse cachée de différentes natures, couleurs, mesures, tensions, attractions, pulsions ; un paisible tourbillon chaotique, une recherche parabolique de paix là où la paix n’existe pas. Un bruit insensible, le bouillonnement silencieux du souffle terrestre présent, impalpable, absent, transporte la vie, la chance, le destin, un tout petit grain, l’univers tout entier qu’il porte avec lui. Dustmuseum.org – récolte, sélection, diffusion déchets – c’est sous ce titre que, depuis 1970, j’ai recueilli les objets, que je réalisais avec des rebuts et des fragments trouvés, par hasard, et destinés à l’oubli. Les plus de cent trente objets reproduits dans ce volume sont la part la plus distincte d’une beaucoup plus vaste collection organisée, soignée, conservée et systématiquement cataloguée. Les objets construits avec des contributions occasionnelles, assemblés avec de fragiles ligatures de fils, résines, colles, cire d’abeilles et mie; protégés par des cloches, des vases, des écrins, des ampoules, ils sont photographiés, stabilisés en images le plus souvent proposées avec une métaphorique parallaxe, de recto-verso, positifnégatif, back-to-back. Vénus déesse de perfection et beauté, née de l’écume de la mer fécondée par la castration d’un dieu, elle rappelle, par son regard séduisant, que, dans son parcours, c’est un bref écart de parallaxe qui donne dimension et sens à la voie (vie) Doundoredo – Faire, défaire, refaire ; premier instant, dernier instant ; acceptation et refus, écriture et ré-écriture ; couture, décousure, re-cousure ; construction, démolition, reconstruction ; non mode mais récapitulation continue, dans l’omniprésente idée de cet « air libre de la mer ». - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - « The standard definition of parallax is: the apparent displacement of an object (the shift of its position against a background), caused by a change in observational posi-tion that provides a new line of sight.The philosophical twist to be added, of course, is that the observed difference is not simply “subjective,” due to the fact that the same object which exists “out there” is seen from two different stances, or points of view. It is rather that, as Hegel would have put it, subject and object are inherently “medi-ated,” so that an “epistemological” shift in the subject’s point of view always reflects an “ontological” shift in the object itself. Or—to put it in Lacanese—the subject’s gaze is always-already inscribed into the perceived object itself, in the guise of its “blind spot,” that which is “in the object more than the object itself,” the point from which the object itself returns the gaze. “Sure, the picture is in my eye, but I, I am also in the picture”: 1 the first part of Lacan’s statement designates subjectivization, the depen-dence of reality on its subjective constitution; while the second part provides a materi-alist supplement, reinscribing the subject into its own image in the guise of a stain (the objectivized splinter in its eye). Materialism is not the direct assertion of my inclusion in objective reality (such an assertion presupposes that my position of enunciation is that of an external observer who can grasp the whole of reality); rather, it resides in the reflexive twist by means of which I myself am included in the picture constituted by me—it is this reflexive short circuit, this necessary redoubling of myself as stand-ing both outside and inside my picture, that bears witness to my “material existence.” Materialism means that the reality I see is never “whole”—not because a large part of it eludes me, but because it contains a stain, a blind spot, which indicates my inclu-sion in it. » Slavoj Zizek The Parallax View, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts, 2006, p. 17 « Ce qui est décisif dans le collectionnisme, c’est que l’objet soit libéré de toutes ses fonctions originelles pour entrer le plus étroitement possible en rapport avec les autres objets qui lui sont semblables. Ce rapport est exactement à l’opposé de l’utilité et appartient à la singulière catégorie du caractère exhaustif. Qu’est-ce donc que ce caractère exhaustif? Une tentative grandiose de dépasser l’absolue irrationalité de la simple présence de l’objet par son insertion dans un nouvel ordre historique créé expressément. » Walter Benjamin Paris capitale du XIXe siècle, le livre des passages, éditions du Cerf , Paris , 1989 « …on vise à défaire et à changer continuellement les choses dans le monde, même si tu suis une voie différente de la mienne… moi aussi je fais beaucoup de jeux semblables aux tiens, comme, par exemple, forer aussi bien des oreilles que des lèvres et des nez et les déchirer avec les bricoles que j’y attache à travers les trous » Giacomo Leopardi Poésies et Œuvres morales , Alphonse Lemerre , éditeur, 1880 1 Jacques Lacan, The Four Fundamental Concepts of Psycho-Analysis (New York: Norton, 1979), p. 63.