maturita_tempo-metafisico

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maturita_tempo-metafisico
LA CONCEZIONE DEL TEMPO
NELLA LETTERATURA DEL PRIMO ‘900
INDICE
INTRODUZIONE
ITALO SVEVO E “LA COSCIENZA DI ZENO”
JAMES JOYCE AND “ULYSSES
TRADUZIONE DI JOYCE
MARCEL PROUST ET “A LA RECHERCHE DU TEMPS
PERDU”
TRADUZIONE DI PROUST
BIBLIOGRAFIA
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INTRODUZIONE
La nuova concezione del tempo tra ‘800 e ‘900 ha tra i suoi principali
fondatori il filosofo francese Bergson: egli mette in crisi il paradigma
positivista e non vede più la realtà sotto leggi meccaniche e sotto le
coordinate temporali della fisica, ma intende il reale come una
proiezione del soggetto e della sua coscienza. Queste nuove idee hanno
un riscontro molto importante anche in letteratura e dall’inizio del XX
secolo, con le opere di Proust, Mann, Joyce, Virginia Woolf e Svevo, per
esempio, il tempo non è più soltanto la condizione necessaria per
portare a compimento un’azione, ma è il soggetto stesso del romanzo.
Si assiste dunque ad un processo di interiorizzazione: al tempo
matematico sembra sostituirsi quello della coscienza. Nel romanzo
ottocentesco il succedersi degli eventi era narrato, in genere, in modo
oggettivo e cronologico, tanto che i fatti sembravano facilmente situarsi
in un “prima” e in un “poi” ed apparivano lineari alla coscienza del
narratore. Nel romanzo novecentesco dominano concezioni fortemente
soggettive del tempo: viene proposta una percezione soggettiva della
durata, il tempo cioè sembra dilatarsi o ridursi a seconda degli stati di
coscienza di colui che vive e racconta le esperienze. Un evento
piccolissimo, filtrato attraverso tutto ciò che passa nella coscienza degli
individui in ogni istante, è in grado di dar vita a ricordi e
assemblamenti di idee che possono protrarsi per pagine e pagine.
Questa compresenza costante di tutti gli eventi della vita nella
coscienza individuale è un tema connesso al predominio delle analisi
memoriali del grande romanzo novecentesco: i personaggi che si
analizzano
scoprono
che
le
esperienze
passate
non
sono
completamente trascorse, ma si sono sedimentate nell’inconscio, da
dove sovente, in modo volontario o involontario, riemergono per
continuare a influire attivamente sulle scelte e sui comportamenti,
senza che sia possibile distinguere con chiarezza ciò che è stato da ciò
2
che è, ciò che è stato da ciò che viene soltanto immaginato. E’ questo il
procedimento dello “Stream of Consciousness”.
Con questo lavoro ho preso in considerazione le opere di tre delle
principali figure della letteratura europea del primo ‘900, cioè “ La
Coscienza di Zeno” di Svevo, “Ulysses” di Joyce e “A la Recherche du
Temps Perdu” di Proust e ho analizzato la struttura narrativa da essi
utilizzata, concentrandomi soprattutto sulla concezione del tempo dei
tre autori.
3
SVEVO E “LA COSCIENZA DI ZENO”.
La vita
Italo Svevo (pseudonimo di Ettore
Schmitz) nacque a Trieste nel 1861
quando ancora questo faceva parte
dell’impero
austroungarico.
Di
famiglia ebraica per parte di madre,
e di padre tedesco, compì gli studi
medi in Baviera; nel 1879 si iscrisse
all'istituto superiore di commercio di
Trieste, ma l'anno seguente per dissesti economici familiari, dovette
impiegarsi in una banca, dove lavorò per vent'anni. Nel 1892 pubblicò
il suo primo romanzo, Una vita, che passò inosservato; identica sorte
toccò alla sua seconda opera Senilità, data alle stampe sei anni dopo.
Cominciò per Svevo, deluso dalla letteratura, un lungo periodo di
silenzio. Nel 1905 conobbe Joyce che in quel periodo stava insegnando
inglese a Trieste. Solo nel 1923 pubblicò un altro romanzo, La coscienza
di Zeno, che Joyce fece conoscere nei circoli letterari francesi. Nel 1928
morì per un incidente automobilistico.
LA COSCIENZA DI ZENO
Trama.
Il romanzo è in sostanza senza trama. È suddiviso in vari capitoli,
corrispondenti al resoconto di diversi episodi e situazioni della vita del
protagonista, Zeno Cosini, ricco commerciante triestino. Egli ha scritto
i ricordi della sua vita su consiglio del dottor S., dal quale è in cura di
psicanalisi, ma ad un certo punto, scettico sull’utilità della terapia,
4
decide di interromperla. In seguito a ciò il dottor S. per vendetta decide
di pubblicare i ricordi del suo paziente. Tutto ciò funge da prefazione
al romanzo. I capitoli dal terzo al settimo sono le memorie vere e
proprie di Zeno, che egli dichiara di avere scritto prima della terapia. Il
capitolo tre parla del vizio del fumo e di come Zeno abbia cercato di
liberarsene, ma soprattutto di come questo vizio sia diventato per lui
un alibi per crogiolarsi nella propria condizione di malattia. Il capitolo
quarto narra la morte del padre, con il quale Zeno ha sempre avuto un
rapporto difficile. Il capitolo quinto racconta la storia del suo
matrimonio. Zeno frequenta la casa di Giovanni Malfenti e alla fine
decide di sposare sua figlia Augusta, benché ami la sorella di questa,
Ada. Il capitolo sesto narra il rapporto di Zeno con Augusta, che infine
scopre di amare, e quello con Carla, la sua amante; con lei vive un
rapporto contraddittorio, oscillando tra il gusto e il peccato, il senso di
colpa e i propositi di redenzione. Quando Carla lo lascia, fa di tutto per
impedirlo, ma poi è costretto a rassegnarsi. Il capitolo settimo racconta
la storia di un’associazione commerciale in collaborazione con Guido, il
marito di Ada. L’impresa è fallimentare, tanto che Guido arriva alla
perdita del capitale ed è costretto a simulare un suicidio per incassare i
soldi della famiglia della moglie, e poi un secondo, che però finisce in
una tragedia. Il capitolo ottavo è un diario, tenuto da Zeno dopo la
terapia, in cui sono esposte fra l’altro anche le ragioni della sua
interruzione della terapia psicanalitica, incapace di restituire all’uomo
la salute.
Analisi.
Con l'esperienza letteraria di Italo Svevo si apre la nuova tradizione
romanzesca del '900 che segna un notevole distacco dalla letteratura
precedente sia per quanto riguarda i personaggi e le vicende
rappresentate, sia per quanto riguarda le tecniche di narrazione. “La
coscienza di Zeno” suscitò grande interesse soprattutto per la
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strutturazione del tempo nel romanzo. Il tempo del romanzo è quello della
coscienza, un tempo non sottoposto alle leggi oggettive di successione
ordinata, e questo incide sulla scelta delle vicende da rappresentare e
di conseguenza anche sulla struttura narrativa, che in questo caso non
è costituita da una successione cronologica degli eventi ma è suddivisa
in cinque nuclei narrativi, ognuno dei quali rappresenta un momento
fondamentale della vita di Zeno. Per questo motivo il romanzo può
essere considerato un work in progress, soggetto a numerose aggiunte o
eliminazioni di parti, e allo stesso tempo un’"opera aperta" in cui il
lettore, chiamato continuamente a collaborare alla costruzione di un
filo logico, risulta profondamente coinvolto nella lettura. La narrazione
rende l'idea di un andirivieni continuo della coscienza, il confondersi
tra il passato (gli eventi accaduti) e il presente (quello del narratore);
tutte le vicende, gli stati d'animo, gli atteggiamenti sono modificati
nella rievocazione memoriale tramite la coscienza e coesistono nel tempo
psicologico dell'io narrante. La coscienza non è il luogo della chiarezza
e della ragione, del resto, ma il teatro che il soggetto si crea per poter
convivere con le proprie nevrosi. Zeno non vuole raccontare la propria
vita, ma come la sua coscienza la sta ricostruendo, per nodi tematici, a
pezzi; egli fa quasi rivivere alla propria coscienza pezzi del proprio
passato, annullando la distanza temporale e immergendo le vicende
passate in un eterno presente. Il tempo, essendo una spirale, non
presuppone alcuna conclusione del romanzo : rimane incompiuto, perché il
compimento sarebbe pazzia o assurdità in un mondo senza centro e
coordinate o perché la sostanza stessa della realtà è il non-senso. Nel
romanzo vi è un uso frequente del flashback che permette il recupero
fulmineo di frammenti del passato, o delle cosiddette epifanie,
istinti
rivelatori del passato o di una memoria impiegate spesso anche da
Joyce.
Ecco alcune esemplificazioni del “trattamento del tempo” effettuato da
Svevo. Il terzo capitolo copre da solo un periodo di circa 44 anni, ma 9
6
pagine su 19 sono dedicate ad una singola serata. Nel quarto capitolo, i
cui estremi abbracciano 18 anni, 19 pagine su 24 sono dedicate
all’agonia del padre, che dura una quindicina di giorni. Nel quinto
capitolo, avvenimenti della durata di poco più di un anno si dilatano in
ben 77 pagine, di cui 8 dedicate alla prima visita in casa Malfenti (una
singola serata) e ben 53 pagine richiede la descrizione di cinque lunghi
giorni che vanno dall’allontanamento dal salotto dei Malfenti alla
richiesta di matrimonio. Svevo è sempre cosciente del tempo che
trascorre e cita maniacalmente il passare da una stagione all’altra, i
mesi, addirittura conta i giorni, le ore, i minuti, tuttavia non offre mai
al lettore un preciso calendario per i fatti del suo romanzo. Il calendario
lo deduce il lettore, non senza difficoltà. Il continuo movimento della
memoria prova la validità dell’assioma di Zeno enunciato nel capitolo
del fumo: per lui il tempo non è irreversibile, il passato ritorna, incombe sul
presente: “ Per me il tempo non è quella cosa impensabile che non
s’arresta mai. Da me, solo da me, ritorna”. Nel romanzo esistono due
diversi punti di narrazione. Il primo è quello da cui Zeno si colloca nello
scrivere i primi sette capitoli della sua biografia, stesi per sua implicita
ammissione l’uno di seguito all’altro fra il 1913 e il 1914, quando pensa
al dottor S. come al destinatario immediato delle sue confessioni; il
secondo, da cui si pone nell’ottavo e ultimo capitolo, che scrive dal
maggio 1915 al marzo 1916 quando, dopo aver consegnato le sue
memorie al dottor S. e dopo sei mesi di psicoanalisi ha maturato ormai
una profonda avversione per i sogni, i ricordi, la cura, e vede le cose in
una prospettiva per molti aspetti nuova, che lo induce a mutare
convinzioni e atteggiamento. In questi diversi punti di narrazione,
Zeno recupera il proprio passato: dagli anni dell’infanzia a quello del
suicidio involontario del cognato, con qualche puntata al passato più
recente.
Nel romanzo, per meglio esprimere il rapporto sempre più centrale
realtà-coscienza dell’individuo, prevale largamente l’uso del monologo
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interiore: la distanza fra “io” narrante, Zeno anziano, e “io” narrato,
Zeno personaggio, diviene così sempre più sottile e ambigua.
Indubbiamente non manca il giudizio, spesso ironico, del primo sul
secondo, ma esso resta sempre precario, aperto e problematico. Il
tempo a cui fa riferimento Svevo è un tempo cosiddetto "misto" lo
stesso utilizzato da Joyce nelle sue opere, ma, mentre queste ultime si
basano sul meccanismo del "flusso di coscienza" in cui i pensieri della
mente si sovrappongono automaticamente, in Svevo il monologo
interiore ha ancora un controllo logico e razionale. Nonostante questo, la
presenza di crepe e discontinuità tra gli eventi, mostra una nuova
concezione stilistica e narrativa profondamente diversa da quella del
romanzo naturalista che pone Svevo tra i grandi esempi del romanzo
d'avanguardia.
Un brano tratto da “La Coscienza di Zeno”.
Questo brano è tratto dal terzo capitolo del romanzo, intitolato “Il
fumo”. Il protagonista, Zeno, cerca di smettere di fumare e ogni volta
promette che fumerà la sua ultima sigaretta, ma in realtà rimane
sempre schiavo del suo vizio. Egli ha anche provato a rivolgersi a un
medico, con scarso successo, e parlando con questo mette in rapporto
la sua malattia del fumo con le donne e l’insonnia, che lo opprimono a
loro volta. L’influenza della psicanalisi di Freud è evidente: egli
presenta l’anima come divisa in tre sfere, cioè l’ES, sede delle pulsioni e
dell’istinto, il SUPEREGO, vale a dire l’introiezione del principio del
dovere e l’IO, che è “schiavo” di entrambi. L’IO di Zeno non ha
equilibrio, essendo schiacciato da un ES caotico e irrazionale che non
gli dà tregua e che lo spinge in questo caso a fumare e da un
SUPEREGO che incombe su di lui, facendolo sentire in colpa. Lo
sguardo dell’io narrante (Zeno anziano) sull’io narrato (Zeno giovane)
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è quasi sempre ironico, critico. Da notare, infine, è la concezione
“circolare” del tempo, espressa esplicitamente da Zeno.
Si dice con un bellissimo atteggiamento: “mai più!”. Ma dove va
l’atteggiamento se si tiene la promessa? L’atteggiamento non è possibile
di averlo che quando si deve rinnovare il proposito. Eppoi il tempo, per
me, non è quella cosa impensabile che non s’arresta mai. Da me, solo da
me ritorna.
La malattia, è una convinzione ed io nacqui con quella convinzione. Di
quella dei miei vent’anni non ricorderei gran cosa se non l’avessi ancora
descritta ad un medico. Curioso come si ricordino meglio le parole dette
che i sentimenti che non arrivarono a scotere l’aria.
Ero andato da quel medico perché m’era stato detto che guariva le
malattie nervose con l’elettricità. Io pensai di poter ricavare
dall’elettricità la forza che occorreva per lasciare il fumo. Il dottore
aveva una grande pancia e la sua respirazione asmatica accompagnava
il picchio della macchina elettrica messa in opera subito alla prima
seduta, che mi disilluse, perché m’ero aspettato che il dottore
studiandomi scoprisse il veleno che inquinava il mio sangue. Invece
egli dichiarò di trovarmi sanamente costituito e poiché m’ero lagnato di
digerire e dormire male, egli suppose che il mio stomaco mancasse di
acidi e che da me il movimento peristaltico (disse tale parola tante volte
che non la dimenticai più) fosse poco vivo. Mi propinò anche un certo
acido che mi ha rovinato perché da allora soffro di un eccesso di acidità.
Quando compresi che da sé egli non sarebbe mai più arrivato a scoprire
la nicotina nel mio sangue, volli aiutarlo ed espressi il dubbio che la mia
indisposizione fosse da attribuirsi a quella. Con fatica egli si strinse
nelle grosse spalle:
-Movimento peristaltico… acido… la nicotina non c’entra!
Furono settanta le applicazioni elettriche e avrebbero continuato tuttora
se io non avessi giudicato di averne avute abbastanza. Più che
attendermi dei miracoli, correvo a quelle sedute nella speranza di
convincere il dottore a proibirmi il fumo. Chissà come sarebbero andate
9
le cose se allora fossi stato fortificato nei miei propositi da una
proibizione simile.
Ed ecco la descrizione della mia malattia quale io feci al medico: “Non
posso studiare e anche le rare volte in cui vado a letto per tempo, resto
insonne fino ai primi rintocchi delle campane. È perciò che tentenno fra
la legge e la chimica perché ambedue queste scienze hanno l’esigenza di
un lavoro che comincia ad un’ora fissa mentre io non so mai a che ora
potrò essere alzato”.
-L’elettricità
guarisce qualsiasi insonnia,- sentenziò l’Esculapio, gli
occhi sempre rivolti al quadrante anziché al paziente. Giunsi a parlare
con lui come s’egli avesse potuto intendere la psico-analisi ch’io,
timidamente, precorsi. Gli raccontai della mia miseria con le donne.
Una sola non mi bastava e molte neppure. Le desideravo tutte! Per
istrada la mia agitazione era enorme: come passavano, le donne erano
mie. Le squadravo con insolenza per il bisogno di sentirmi brutale. Nel
mio pensiero le spogliavo, lasciando loro gli stivaletti, me le recavo
nelle braccia e le lasciavo solo quando ero ben certo di conoscerle tutte.
Sincerità e fiato sprecati! Il dottore ansava:
-Spero bene che le applicazioni elettriche non vi guariranno di tale
malattia. Non ci mancherebbe altro! Io non toccherei più un Rumkorff
se avessi da temerne un effetto simile.
Mi raccontò un aneddoto ch’egli trovava gustosissimo. Un malato della
stessa mia malattia era andato da un medico celebre pregandolo di
guarirlo e il medico, essendovi riuscito perfettamente, dovette emigrare
perché in caso diverso l’altro gli avrebbe fatta la pelle.
-La mia eccitazione non è la buona, -urlavo io.- Proviene dal veleno che
accende le mie vene!
Il dottore mormorava con aspetto accorato:
-Nessuno è mai contento della sua sorte.»
10
JAMES JOYCE AND “ULYSSES”.
Life.
Joyce was an Irishman, he was born
in Dublin in
1882, of a middle-class
Irish Catholic family.
In 1888 James
was sent to a Catholic institution run
by the Jesuit order : the Jesuit were
responsible
for
all
of
Joyce
's
education. In 1904 Joyce took the two
steps which were to determine the
direction of his life and save him from a complete self - destruction in
Dublin : he met Nora Barnacle, the woman who was to be his
lifelong companion ; in the same year the couple left Ireland, still
unmarried. They settled to Trieste, at the time still part of the AustroHungarian Empire. Among his pupils there was Ettore Schmitz (Italo
Svevo), at that
time an unknown author whose two early novels
(“Una vita” and “Senilità”) had been ignored by the critics. In 1914
Joyce 's book of short stories “Dubliners” was published after many
difficulties. Joyce was using the stream of consciousness technique to
great effect. In 1920 he settled in Paris. His masterpiece “Ulysses”
appeared in 1922. It tells about the story of one day in the lives of some
Dubliners. Joyce left Paris in 1940 when the events of the Second World
War forced him to escape. He settled in Switzerland, where he died in
1941.
ULYSSES
Plot
The novel is set in Dublin on a single day, 16 June 1904. The main
characters are three: Stephen Dedalus, a young teacher with literary
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ambitions, Leopold Bloom, a singer and a sensual woman whose
infidelity is chronic. The day starts when Stephen leaves the Martello
Tower, where he lives, and begins his wanderings through the town.
As for Bloom, he has breakfast with his wife, then he goes to a funeral.
His wanderings lead him to several places in Dublin. During the day
Stephen and Leopold end by meeting and for a time they establish a
sort of positive friendship. Stephen is unconsciously looking for a
father figure in Leopold, while Leopold, who is still regretting the
death of his son, is willing to recognize a son in Stephan. The
adventures constituting the novel follow the framework of Homer’s
Odyssey and can be compared to the episodes of the Homeric poem.
The eighteen episodes are divided into three parts: Telemachia, the main
character of which is Stephen Dedalus/Telemachus; Odyssey including
all the episodes connected with Leopold Bloom/Ulysses and Stephen;
Nostos which is a long interior monologue which records Molly
Bloom’s flow of thoughts while she is going to sleep, by means of the
Stream of Consciousness technique.
Analysis
Joyce's new novel and the 20th century novel in general, distinguish
from the 19th century novel because of the loss of a common view of
things which shows itself in relativism. Modernism is the new literary
movement which started at the beginning of the 20th century and
modernist writers try to explore the chaotic and fragmentary
contemporary reality. The construction of the plot is based on private
interpretations of reality: now the novelist presents a world which does
not depend on a single criterion of significance at all, so an event or a
character becomes important or trivial in base of the importance which
the author gives to it. Objectivity lets its place to subjectivity and the
novel’s structure is influenced by a new concept of time, taken also from
Henri Bergson's theory of durée of time as a “flow and duration” according
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to which time is not a series of moments moving forward in progress,
so there is not a hero who moves through a sequence of circumstances
in chronological order. In consciousness and subconsciousness past
experiences are retained and determine the whole of a character’s
personality.
All this pushed Joyce- like Proust in “A la Recherche du Temps Perdu”
and Svevo in “La Coscienza di Zeno”- to write a discontinuous,
unforeseeable plot, thanks to narrative techniques such as the stream of
consciousness. This technique attempts to reproduce and record the
thoughts
of
the
characters:
the
writer
presents
directly
the
uninterrupted flow of character's impressions and feelings without the
conventional devices of dialogue and description.
In this way the omniscient narrator, who fits a linear story, is abolished
in favour of a plurality of points of view. What is important are not facts,
but their emotional implications, what the character thinks and feels;
the protagonist uses first person narration and describes in an
apparently illogical sequence of progressions and regressions.
Very important in “Ulysses” is the so called Mythical Method, which
also T.S.Eliot, one of the author’s friends, defined as a continuous
parallel between antiquity and modernity. It is used to underline the
present moral degradation crashing against the good values of the
past. Also the epiphany plays an essential role: it is the moment in a
story when the character experiences are awakening and he becomes
aware of details, thoughts, objects, feelings he had forgotten, or buried
for years in his memory. These thoughts come to the mind of the
character, like old photos and contribute to start a long mental labour.
All these narrative techniques reflect an expressionistic production,
woven of paradoxical approach of styles, situations and registers
flowing in the complete and most total desecration of any predetermined
truth,
hooking
again
to
the
Nietzsche’s
typical
“Weltanschauung”.
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Furthermore there is a great linguistic experimentation: for example
some words are used in their most obsolete acceptation and
neologisms of symbolist kind are invented.
Ulysses” is a detached rebuilding of life and people in Dublin in a
complicated realistic-symbolic novel where the narrative structure, the
choice of the characters and the stylistic changes expand the history of
Dublin showing a split of human life and its dilemma. The novel is about
one day in the life of three Dubliners, Stephen Dedalus , Leopold
Bloom and Molly, Leopold’s wife. Stephen, Joyce’s alter ego, is an
ambitious artist, enemy of his own country who preaches art to Irish.
The second part of the book is characterised by the presence of Leopold
Bloom, the “Ulysses”, a middle aged man who goes around Dublin
and is involved in many misadventures as the homeric Ulysses had.
The third part is about Molly Bloom, his wife, who can be associated to
Homer’s Penelope. The novel begins with Stephen sent away from his
house and compelled to wander to find a new house. He meets
Leopold who adopts him. The novel concludes with Molly’s thoughts
while she is awake in bed waiting for the two men to arrive. Molly is at
the same time the symbol of womanhood, the mermaid of “Odyssey”,
a temptress who leads to death and Calypso, the enchantress who
keeps Odysseus away from Ithaca for several years. Anyway, she is a
“Calypso” who is imprisoned herself in a loveless marriage: her lover is
insensitive and her husband is masochistic and unable to tell her how
much he feels about her. In his soliloquy in bed, at the end of the novel,
we can see that even if she is so unfaithful, her last thoughts are for her
husband. In this monologue, Molly's thoughts do not flow in a
consecutive, narrative pattern: Joyce reproduces the random ideas of a
sleepy woman early in the morning. Molly is a very intriguing, but also
very melancholic character: she does not want to be used by her lover,
she wants to be loved, in a tender way, she feels very lonely because
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her husband is very cold with her. Molly's adultery is triggered by the
failings of Bloom, who thinks of her throughout the book because of
her adultery, so even if she is described just in the final chapter, she is
always present in Bloom's thoughts.
In this novel we can find a multiplicity of levels, situations and themes,
the most important of which are the loneliness and the estrangement
created in man by the unnatural speed of industrial work, history seen
as a nightmare and destruction, fault, remorse and nostalgia. Through
the analysis of Dublin, which he considers the centre of paralysis, Joyce
outlines the whole adventure of the modern man, extending in this
way his analysis to his entire contemporary civilisation.
A passage taken from “Ulysses”
Three friends, Cissy, Edy and Gerty are enjoying the evening; Cissy has
to look after her small twin brothers, while Edy must take care of her
one-month-old brother. Gerty is sitting lost in thought. Leopold Bloom
in his wandering has reached the same place and kicks the ball the
twins are playing with and it rolls to Gerty’s feet. The girl, who is lame,
falls in love with him at first sight.
This passage underlines “Ulysses”’s parallelism with Homer’s
“Odissey” and also exemplifies the varieties of Joyce’s style employed
for different points of view and different subject matter. At the
beginning of the extract there is a shift from third-person narration to
interior monologue; the language is rich in onomatopoeic words to add
realism and vividness to the scene. In the second part, instead, the
style reflects Gerty’s dream world.
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“The twins were now playing again right merrily for the troubles of
childhood are but as fleeting summer showers. Cissy played with baby
Boardman till he crowed with glee, clapping baby hands in air. Peep
she cried behind the hood of the pushcar and Edy asked where was
Cissy gone and then Cissy popped up her head and cried ah! And, my
word, didn’t the little chap enjoy that! And then she told him to say
papa, - say papa, baby. Say pa pa pa pa pa pa pa.
And the baby did his level best to say it for he was very intelligent for
eleven months everyone said and big for his age and the picture of
health, a perfect little bunch of love, and he would certainly turn to be
something great, they said.
-Haja ja ja haja.
Cissy wiped his little mouth with the dribbling bib and wanted him to
sit up properly, and say pa pa pa but when she undid the strap she
cried out, holy saint Denis, that he was possing wet and to double the
half blanket on the other way under him. Of course his infant majesty
was most obstreperous at such toilet formalities and he let everyone
know it:
-Habaa baaaahabaaa baaaa.
And two great big lovely big tears coursing down his cheeks. It was all
no use soothering him with no, nono, baby, no and telling him about
the geegee and where was the puffpuff but Cissy, always readywitted,
gave him in his mouth the teat of the suckingbottle and the young
heathen was quickly appeased.
Gerty wished to goodness they would take their squalling baby home
out of that and get on her nerves no hour to be out and the little brats of
twins. She gazed out towards the distant sea. It was like the paintings
that man used to do on the pavement with all the coloured chalks and
such a pity too leaving them there to be all blotted out, the evening and
the clouds coming out and the Bailey light on Howth and to hear the
music like that and the perfume of those incense they burned in the
church like a kind of waft. And while she gazed her heart went pitapat.
Yes, it was her he was looking at and there was meaning in his look.
His eyes burned into her as though they would search her through and
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through, read her very soul. Wonderful eyes they were, superbly
expressive, but could you trust them? People were so queer. She could
see at once by his dark eyes and his pale intellectual face that he was a
foreigner, (…). He was looking up so intently, so still and he saw her
kick the ball and perhaps he could see the bright steel, buckles of her
shoes if she swung them like that thoughtfully with the toes down. She
was glad that something told her to put on the transparent stockings
thinking Reggy Wylie might be out but that was far away. Here was
that of which she had so often dreamed. It was who mattered and there
was joy on her face because she wanted him because she felt
instinctively that he was like no-one else. The very heart of her
girlwoman went out to him , her dreamhusband, because she knew on the
instant it was him. If he had suffered, more sinned against than sinning,
or even, even, if he had been himself a sinner, a wicked man, she cared
not. Even if he was a protestant or Methodist she could convert him
easily if he truly loved her. There were wounds that wanted healing
with heartbalm. She was a womanly woman not like other flighty girls,
unfeminine, he had known, those cyclists showing off what they hadn’t
got and she just yearned to know all, to forgive all if she could make
him fall in love with her, make him forget the memory of the past. Then
mayhap he would embrace her gently, like a real man, crushing her soft
body to him, and love her, his ownest girlie, for herself alone.”
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JAMES JOYCE
Vita
Joyce nacque a Dublino nel 1882 da una famiglia irlandese cattolica di
ceto medio. Nel 1888 fu mandato in una scuola cattolica gestita
dall'ordine dei Gesuiti: essi furono responsabili di tutta l'educazione di
Joyce, anche universitaria. Nel 1904 Joyce intraprese i due passi che
determinarono la direzione della sua vita e lo salvarono dalla completa
autodistruzione a Dublino: incontrò Nora Barnacle, la donna che sarà
la sua compagna di vita; nello stesso anno la coppia lasciò l'Irlanda non
ancora sposata e si trasferì a Trieste, che all'epoca era ancora parte
dell'impero Austro-Ungarico. Tra i suoi allievi c’era Ettore Schmitz
(Italo Svevo), al tempo un autore sconosciuto, i cui due romanzi "Una
vita" e "Senilità" furono ignorati dalla critica. Nel 1914 venne
pubblicato dopo molte difficoltà un’opera di Joyce: “Dubliners”
("Gente di Dublino"). Joyce usò la tecnica del flusso di coscienza con
grande effetto. Nel 1920 andò a Parigi. Il suo romanzo “Ulysses” venne
pubblicato nel 1922 : esso è ambientato nello spazio di una giornata e
parla della vita di alcuni personaggi di Dublino. Joyce lasciò Parigi nel
1940 quando gli eventi della seconda guerra mondiale lo costrinsero a
scappare. Andò poi in Svizzera, dove morì nel 1941.
Trama di “Ulysses”
Il romanzo è ambientato a Dublino nello spazio di un solo giorno, il 16
giugno 1904. I personaggi principali sono tre: Stephen Dedalus, un
giovane insegnante con ambizioni letterarie, Leopold Bloom, un
cantante, e Molly, una donna sensuale la cui infedeltà è cronica. Il
giorno inizia quando Stephen lascia la Martello Tower, dove vive, e
inizia a vagabondare per la città. Come Bloom, fa colazione con sua
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moglie, poi va ad un funerale. Il suo vagabondare lo porta in diverse
zone di Dublino. Durante il giorno Stephen e Leopold finiscono per
incontrarsi e per un po’ nasce tra loro una bella amicizia. Stephen è
inconsciamente alla ricerca di una figura paterna in Leopold, mentre
Leopold, che è ancora addolorato per la morte del figlio, spera di
trovare un figlio in Stephen. Le avventure che costituiscono il romanzo
seguono lo schema dell’Odissea e possono essere confrontate con gli
episodi del poema omerico. I diciotto episodi sono divisi in tre parti: la
Telemachia, in cui il personaggio principale è Dedalo/Telemaco;
l’Odissea, che include tutti gli episodi legati a Leopold Bloom/Ulisse e
Stephen; Nostos, che è un lungo monologo interiore che registra il
flusso dei pensieri di Molly mentre va a dormire, mediante la tecnica
dello Stream of Consciousness.
Analisi
Il romanzo di Joyce e del XX secolo in generale si distingue da quello
del XIX secolo per la mancanza di un unico punto di vista, che si
manifesta nel relativismo. Il modernismo è un nuovo movimento
letterario nato all’inizio del ‘900 e gli scrittori modernisti tentano di
esplorare la realtà contemporanea, frammentaria e caotica. La struttura
del romanzo si basa sull’interpretazione personale della realtà: ora il
romanziere presenta un mondo che non è più giudicato secondo un
criterio universale, così un evento o un personaggio possono diventare
rilevanti o banali a seconda dell’importanza accordatagli dall’autore.
L’oggettività cede il posto alla soggettività e la struttura del romanzo è
influenzata da una nuova concezione del tempo, desunta anche dalla
teoria di “durata” di Bergson, secondo cui il tempo non è una serie di
istanti che scorrono, bensì è quello della coscienza, di conseguenza non
c’è un eroe che vive un’evoluzione basata sul tempo cronologico. Le
esperienze passate sono conservate nella coscienza e nell’inconscio e
determinano completamente la personalità dell’individuo.
19
Tutto ciò ha spinto Joyce- come Proust in “Alla Ricerca del Tempo
Perduto” e Svevo in “La Coscienza di Zeno”- a scrivere un intreccio
discontinuo, imprevedibile, grazie a delle tecniche narrative come lo
stream of consciousness. Questa tecnica tenta di riprodurre e registrare i
pensieri dei personaggi: l’autore presenta direttamente il flusso
ininterrotto dei pensieri e dei sentimenti dei personaggi senza
utilizzare dialoghi e descrizioni. Si ha quindi l’abolizione del narratore
onnisciente adatto ad una storia lineare, a favore, invece, di una
pluralità di punti di vista interni ai personaggi. Ciò che conta non sono gli
avvenimenti, bensì le loro conseguenze a livello emotivo, ciò che il
personaggio pensa e sente; il protagonista narra la storia in prima
persona ed effettua in modo apparentemente illogico una serie di
progressioni e regressioni.
D’importanza rilevante nell’ “Ulisse” è il Mythical Method, che anche
T.S. Eliot,
amico di Joyce, definì come un continuo parallelo tra
antichità e modernità, atto a sottolineare la corrente degradazione
morale in contrasto con i buoni valori del passato. Un ruolo essenziale
occupa l’Epiphany: essa è il momento nella storia in cui le esperienze
del personaggio emergono ed egli diventa consapevole dei dettagli,
degli oggetti, dei pensieri e dei sentimenti che aveva dimenticato o
seppellito da anni nella memoria. Questi pensieri affiorano nella mente
del personaggio come vecchie fotografie e lo portano ad intraprendere
un lungo lavoro mentale. Tutte queste tecniche narrative si riflettono in
una produzione quanto mai espressionistica, intessuta di paradossali
accostamenti di stili, situazioni e registri che sfociano nella completa e
più
totale
dissacrazione
di
qualsiasi
verità
precostituita,
riagganciandosi così alla tipica “Weltanschauung” nietzschiana. A
tutto ciò si aggiunge una straordinaria sperimentazione linguistica che
vede l’accostamento di vocaboli usati nelle loro accezioni più desuete e
neologismi di stampo simbolista.
20
“Ulysses” è una ricostruzione distaccata della vita e della gente di
Dublino in un complesso romanzo realistico-simbolico, dove la
struttura narrativa, la scelta dei personaggi e le variazioni stilistiche
dilatano la storia dublinese fino a farne uno spaccato della vita umana
e dei suoi dilemmi.
Il romanzo si svolge in un giorno e racconta la storia di tre personaggi
dublinesi: Stephen Dedalus, Leopold Bloom e Molly, la moglie di
Leopold. Stephen, l’alter ego di Joyce, è un artista ambizioso, nemico
del suo stesso paese e insegna l’arte agli irlandesi. La seconda parte del
romanzo è caratterizzata dalla presenza di Leopold Bloom, cioè
“Ulisse”, un uomo di mezza età, che è coinvolto in tante disavventure
mentre gira per Dublino, come accade all’eroe omerico. La terza parte
riguarda Molly, sua moglie, che corrisponde a Penelope. Il romanzo
inizia con Stephen che è cacciato di casa e costretto a vagabondare alla
ricerca di una nuova casa. Incontra così Leopold, che lo adotta e il
romanzo si conclude con i pensieri di Molly, che è a letto sveglia e
aspetta il ritorno dei due uomini. Molly è nello stesso tempo il simbolo
della femminilità, la sirena dell’”Odissea”, una tentatrice che porta alla
morte e Calipso, l’incantatrice che trattiene Ulisse lontano da Itaca per
diversi anni. Tuttavia è una “Calipso” che è imprigionata lei stessa in
un matrimonio senza amore: il suo amante è insensibile e suo marito
incapace di comunicarle il suo affetto. Nel suo soliloquio a letto, alla
fine del romanzo, le riflessioni di Molly non seguono un percorso
narrativo logico: Joyce riproduce casualmente i pensieri della donna
assonnata alle prime luci del mattino. Molly è un personaggio molto
intrigante, ma anche malinconico: non vuole essere “usata” dal suo
amante, ma vuole essere amata teneramente e si sente terribilmente
sola perché suo marito è molto freddo con lei. L’adulterio di Molly è
incoraggiato dalle debolezze di Bloom che, a causa del suo tradimento,
pensa a lei per tutta la durata del romanzo. Così, anche se viene
21
descritta solo alla fine del romanzo, Molly è comunque sempre
presente nei pensieri del marito. Nella sua molteplicità di piani,
situazioni e temi tra cui spiccano la solitudine e l’alienazione prodotta
nell’uomo dagli innaturali ritmi di lavoro industriale, la storia come
incubo e distruzione, e ancora la colpa, il rimorso, la nostalgia, Joyce,
analizzando la città che secondo lui costituiva il centro della paralisi,
riesce a delineare invece l’intera avventura dell’uomo moderno,
estendendo così la sua analisi a tutta la civiltà contemporanea.
22
MARCEL PROUST ET “À LA RECHERCHE DU TEMPS PERDU”.
Sa vie
Proust naît
à Paris ; son père,
Adrien, est professeur de médecine ;
sa mère , Jeanne Weil, est israélite
d’origine. Il débute en écrivant pour
des revues liées au mouvement
symboliste. En 1893 le poète Robert
de Montesquiou l’introduit dans le
milieu aristocratique, vers lequel
Proust est attiré par un certain
snobisme et dans lequel il trouvera des modèles réels pour beaucoup
de ses personnages. Son premier volume « Le plaisir et les jours », un
recueil de proses sophistiquées et mondaines, mais déjà caractérisé par
sa typique finesse introspective, est publié en 1896. En 1902 il perd son
père et en 1905 sa mère, à laquelle il était lié d’une tendresse presque
morbide. L’asthme des foins, à cause duquel Proust souffrait dès son
enfance,devient chronique. En 1905 il déménage dans un appartement
dans le boulevard Haussmann et là-bas, toujours plus isolé du monde
entier, il travaille à son œuvre immense « À la Recherche du temps
perdu » jusqu’aux dernières années de sa vie.
Analyse de l’œuvre.
«À la Recherche du temps perdu » est un roman d’analyse: on
s’intéresse à l’analyse de l’individu pris dans sa subjectivité et dans son
effort de se situer dans un monde qui le refuse. Ce sont les romanciers
étrangers (Joyce, Virginia Woolf, Musil, Kafka) et la psychanalyse de
Freud qui ont influencé l’œuvre de Proust. Le roman ne doit plus être
23
une photographie de la réalité, mais une résurrection au présent d’une
réalité passée ; Bergson a beaucoup influencé la conception du temps en
Proust : le temps est celui de la mémoire, le temps psychologique, qui
peut dilater un événement dont les retentissements intérieurs sont
immenses.
«À la Recherche du Temps perdu» est composée de sept volumes: «Du
côté de chez Swann», «À l’ombre des jeunes filles en fleurs», «Le côté
de Guermantes I et II», « Sodome et Gomorrhe», «La Prisonnière»,
« Albertine disparue » et « Le temps retrouvé ». Il s’agit de l’histoire
d’une conscience en quête de son identité ; dans « Le temps retrouvé »
le narrateur découvre enfin la vérité, c’est-à-dire que la vie trouve sa
signification grâce à l’Art, qui fixe le passé qui sinon serait condamné à la
destruction. L’œuvre est un texte monde qui a une structure et une
unité où tout est évolution, flux et reflux, échos, symétries, ordre libre
qui procède vers une révélation. Mais lorsque on avance, on semble
aussi de revenir en arrière : l’œuvre, en effet, est un retour aux sources
et le mouvement de la recherche est circulaire : elle commence dans une
chambre et se termine dans une bibliothèque.
Dans l’incohérence de la réalité, la mémoire permet au narrateur de
retrouver le temps, la durée et le paradis qu’on a perdu. Tout part de la
sensation rapprochée à la réminiscence. La recherche n’est pas
seulement une quête, mais un espoir et promesse de bonheur aussi :
retrouver le temps n’est pas impossible, à condition que le monde
récréé soit un monde littéraire, un monde intérieure, mystique, bâti sur
ce jeu de mémoire et temps. La structure tient à l’opposition Temps
perdu-Temps retrouvé
à travers la mémoire involontaire, qui est le
souvenir soudain et spontané d’une sensation éprouvée dans le passé,
suscité par la même sensation dans le présent. L’intelligence et l’esprit
ont le devoir de rapprocher les deux sensations et de ramener la
sensation qui s’enfuit. Cette expérience qui n’appartient ni au passé ni
au présent et donc est extratemporelle, est l’occasion d’un grand
24
bonheur parce qu’elle abolit la sensation de fuite du temps et permet
au sujet lui-même de sortir de la dimension du temps réel et découvrir
la vérité d’un moment de son existence. La mémoire involontaire capture
avec une impression ou une sensation, l'essence précieuse de la vie, qui est le
moi; l'esprit sert à expliquer la valeur absolue d'un souvenir abandonné
de l'enfance, réveillé à travers la saveur d'un gâteau et une gorgée de
thé. Ce procédé porte à la victoire sur le temps et sur la mort, c'est-à-dire
affirmer nous mêmes comme êtres capables de permaner et de
récupérer le temps et la conscience comme la seule réalité qui gagne
sur la matière et conduit à la Vérité et au bonheur. Proust connaît la
labilité de chaque réalité parce que la permanence et la durée ne sont
données à rien, à la douleur non plus, mais il pense qu'il y a toujours la
possibilité de découvrir la Vérité à travers le procédé de la vie
intérieure. Le style, aussi, musical, très détaillé et métaphorique est
l'expression d'une sorte d'éternité et victoire sur le temps et de foi en
l'Absolu qui vit dans l'intériorité humaine. Les pages de Proust, faites
de phrases sinueuses et longues, éclairent non pas successivement mais
simultanément les aspects du monde et les profondeurs de l'âme.
Proust conçoit l’artiste comme celui qui apporte une révélation.
Il définit son œuvre comme une cathédrale: l'oeuvre est comme "une
église où les fidèles sauraient peu à peu apprendre des vérités et
découvrir des harmonies". La recherche n'est pas une évocation nostalgique
d'un passé nostalgique, mais la découverte d'une seule vérité qui se forme
dans la mémoire, même si les êtres et les choses sont caractérisés par leur
fugacité. La mémoire volontaire souligne la distance qui nous sépare des
instants passés, tandis que la mémoire involontaire annule cette distance et
fait affleurer le passé dans le présent, en nous permettant de saisir l'essence
des choses hors du temps. La vie des êtres humaines consiste,donc, dans
une lutte désespérée contre l'écoulement inévitable du temps qui passe
et transforme ou détruit les êtres, les sentiments, les idées, lutte que
l'on mène grâce à la mémoire involontaire. En fait, il ne s'agit pas de
25
reconstruire d'une façon intellectuelle le passé avec des documents ou
des souvenirs, mais il faut attendre une sensation particulière qui
évoque une sensation passée, un souvenir. A ce propos on peut citer
l’épisode célèbre de la « Petite madeleine », qui permet à Proust de
récupérer son passé (voir le texte ci-dessous). On peut individuer trois
moments dans cet épisode: l'allusion de la tristesse du présent et de la
perspective d'un triste lendemain; la mémoire involontaire qui capture
la sensation; les efforts de la raison pour comprendre le sens de l'effet
de bonheur provoqué par la sensation et l'émersion d'un souvenir de
l'enfance de l'édifice immense du souvenir, du passé qui semblait
enterré pour toujours: ici le protagoniste écoute son monde intérieur et
s'isole hors du temps présent. Le passé est ici récupéré, soutrait à la
mort: ces émotions et pensées permettent au sujet de retrouver son
identité authentique. L'auteur expliquera que le grand bonheur ne
consiste pas dans le simple élément mémorial, mais dans la Vérité à
laquelle il conduit, c'est-à-dire la primauté de l'esprit sur la matière et
le retrouvement de son identité. Le langage métaphorique, analytique
et lyrique et les métaphores rendent les correspondances entre le
niveau réel des sensations et celui de l'idéal de l'intériorité. La
narration ne suit pas un développement logique, ordonné ou
chronologique, au contraire, le passé est superposé au présent. Cela
permet d'avoir une expérience de l'intertemporel et d'abolir la
sensation de fuite du temps. De toute façon, le temps dans toute
l'oeuvre, semble arrêté, même si il s’agit d'une recherche: le temps de la
narration semble être remplacé par le temps de la contemplation qui
maintient loin la mort, comme garantie d'éternité.
26
Un passage tiré de «À la Recherche Temps Perdu».
L'épisode célèbre
de la madeleine, par exemple illustre comme la
coïncidence entre une sensation présente et le souvenir de cette même
sensation, éprouvée auparavant, provoque la résurrection de tout un
monde oublié, visages, objets , sentiments contenus en un petit
morceau de gâteau trempé dans le thé. Proust explique clairement que
les efforts de l’intelligence sont inutiles pour évoquer notre passé , qui
est caché dans les objets et si nous le
rencontrons, il arrive par hasard et non pas parce que nous le voulons. Il
raconte comme Marcel retourne à la maison et boit un peu de thé, sous
le conseil de sa mère, avec des gâteaux courts qui sont appelés
madeleines. A' l'instant où il boit et goûte une petite madeleine, il
tressaillit parce qu’il se sent différent, heureux et il ne donne pas de
poids aux vicissitudes tristes de la vie. Il ne se sent mortel et est plein
de joie, mais en buvant encore, il ne réussit pas à éprouver la même
sensation. C'est à ce moment là qu'il doit rechercher la Vérité en lui
même: c'est maintenant qu'il doit utiliser son intelligence et son esprit
pour retrouver la vrai essence qui est en lui. Ainsi, toutes les choses
passent, mais les saveurs et les odeurs restent et mènent à l'édifice
immense du souvenir, qui est constitué par toute son enfance (la rue, la
ville, le jardin, les chemins), qui le rendaient tellement heureux.
«C’est peine perdue que nous cherchions à évoquer notre passé, tout les
efforts de notre intelligence sont inutiles. Il est caché hors de son
domaine et de sa portée, en quelque objet matériel (en la sensation que
nous donnerait cet objet matériel), que nous ne soupçonnons pas. Cet
objet, il dépend du hasard que nous le rencontrions avant de mourir, ou
que nous ne le rencontrions pas.
Il y avait déjà bien des années que, de Combray, tout ce qui n’était pas
le théâtre et le drame de mon coucher, n’existait plus pour moi, quand
un jour d’hiver, comme je rentrais à la maison, ma mère, voyant que
27
j’avais froid, me proposa de me faire prendre, contre mon habitude, un
peu de thé. Je refusai d’abord et, je ne sais pas pourquoi, me ravisai. Elle
envoya chercher un de ces gâteaux courts et dodus appelés Petites
Madeleines.[…] Et bientôt, machinalement, accablé par la morne
journée et la perspective d’un triste lendemain, je portai à mes lèvres
une cuillerée du thé où j’avais laissé s’amollir un morceau de
madeleine. Mais à l’instant même où la gorgée mêlée de miettes du
gâteau toucha mon palais, je tressaillis, attentif à ce qui se passait
d’extraordinaire en moi. Un plaisir délicieux m’avait envahi, isolé, sans
la notion de sa cause. Il m’avait aussitôt rendu les vicissitudes de la vie
indifférentes, ses désastres inoffensifs, sa brièveté illusoire, de la même
façon qu’opère l’amour, en me remplissant d’une essence précieuse : ou
plutôt cette essence n’était pas en moi, elle était moi. J’avais cessé de me
sentir
médiocre, contingent, mortel. D’où avait pu me venir cette
puissante joie ? Je sentais qu’elle était liée au goût du thé et du gâteau,
mais qu’elle le dépassait infiniment,
ne devait pas être de même
nature . […] Il est temps que je m’arrête, la vertu du breuvage semble
diminuer. Il est clair que la vérité que je cherche n’est pas en lui, mais
en moi. Il l’a éveillé, mais ne la connaît pas, et ce ne peut que répéter
indéfiniment, avec de moins en moins de force, ce même témoignage
que je ne sais pas interpréter et que je veux au moins pouvoir lui
redemander et retrouver intact, à ma disposition, tout à l’heure, pour
un éclaircissement décisif. Je pose la tasse et me tourne vers mon esprit.
C’est à lui de trouver la vérité. Mais comment ? […] Et je recommence à
me demander quel pouvait être cet état inconnu, qui n’apportait aucune
preuve logique, mais l’évidence de sa félicité, de sa réalité devant
laquelle les autres s’évanouissent. Je veux essayer de le faire
réapparaître. Je rétrograde par la pensée
au moment où je pris la
première cuillerée de thé. Je retrouve le même état, sans une clarté
nouvelle. Je demande à mon esprit un effort de plus, de ramener encore
une fois la sensation qui s’enfuit. […] Et tout à coup le souvenir m’est
apparu. Ce goût c’était celui du petit morceau de madeleine que le
dimanche matin à Combray, quand j’allais lui dire bonjour dans ma
chambre, ma tante Léonie m’offrait après l’avoir trempé dans son
28
infusion de thé ou de tilleul. La vue de la petite madeleine ne m’avait
rien rappelé avant que j’y eusse goûté ; peut-être parce que, en ayant
souvent aperçu depuis, sans en manger, sur les tablettes des pâtissiers,
leur image avait quitté les jours de Combray pour se lier à d’autres plus
récents ; peut-être parce que ce ces souvenirs abandonnés si longtemps
hors de la mémoire, rien ne survivait, tout s’était désagrégé ; les formes
[…] s’étaient abolies, ou, ensommeillées, avaient perdu la force
d’expansion
qui leur eût permis de rejoindre la conscience. Mais,
quand d’un passé ancien rien ne subsiste, après la mort de êtres, après
la destruction des choses, seules, plus frêles mais plus vivaces, plus
immatérielles, plus persistantes, plus fidèles, l’odeur et la saveur restent
encore longtemps, comme des âmes, à se rappeler, à attendre, à espérer,
sur la ruine de tout le reste, à porter sans fléchir, sur leur gouttelette
presque impalpable, l’édifice immense du souvenir. Et dès que j’eus
reconnu le goût du morceau de madeleine trempé dans le tilleul que me
donnait ma tante […], aussitôt la vieille maison grise sur la rue, où était
sa chambre, vint comme un décor de théâtre s’appliquer au petit
pavillon, donnant sur le jardin, qu’on avait construit pour mes parents
sur ses derrières ; et avec la maison, la ville, la Place où on m’envoyait
avant déjeuner, les rues où j’allais faire des courses depuis le matin
jusqu’au soir et par tous les temps, les chemins qu’on prenait si le
temps était beau.»
29
MARCEL PROUST
La vita
Marcel Proust nasce a Parigi; il padre, Adrien, è professore di
medicina; la madre, Jeanne Weil, è di famiglia ebrea. Debutta su alcune
riviste legate al movimento simbolista. Nel 1893 il poeta Robert de
Montesquiou lo introduce nell'ambiente aristocratico, verso il quale
Proust è attirato da un intenso snobismo e nel quale troverà i modelli
reali di tanti dei suoi personaggi. Il suo primo volume, “I piaceri e i
giorni”, raccolta di prose sofisticate e mondane, ma già caratterizzate
dalla tipica finezza introspettiva, esce nel 1896. Nel 1902 muore suo
padre; nel 1905 la madre, alla quale è legato da una tenerezza quasi
morbosa. L'asma da fieno, di cui Proust soffre fin da bambino, diventa
cronica. Nel 1905 si trasferisce in un appartamento di Boulevard
Haussmann e qui, sempre più isolato dal mondo, scrive “Alla ricerca
del tempo perduto”, al quale lavora sino agli ultimi anni di vita.
Analisi dell’opera.
“Alla ricerca del tempo perduto” è un romanzo analitico: l’autore si
interessa all’analisi dell’individuo considerato nella sua soggettività e
nel suo sforzo di situarsi in un mondo che lo rifiuta. Alcuni scrittori
stranieri (Joyce, Virginia Woolf, Musil, Kafka) e la psicanalisi di Freud
hanno influenzato l’opera di Proust. Il romanzo non deve essere una
copia perfetta della realtà, ma una “resurrezione” nel presente di una
realtà passata; Bergson ha influenzato molto la concezione del tempo in
Proust: il tempo è quello della memoria, il tempo psicologico, che può
dilatare un evento il cui eco interiore è immenso.
“Alla ricerca del tempo perduto” è composto da sette volumi: “ Dalla
parte di Swann”, “All’ombra delle fanciulle in fiore”, “I Guermantes I e
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II”, “ Sodoma e Gomorra”, “La prigioniera”, “Albertina scomparsa o
La fuggitiva” e “Il tempo ritrovato”. Si tratta della storia di una
coscienza in cerca della sua identità; in “Il tempo ritrovato” il narratore
scopre infine la verità, cioè la vita scopre il suo significato grazie all’Arte,
che fissa il passato che altrimenti sarebbe condannato alla distruzione.
L’opera ha una struttura e un’organicità dove tutto è evoluzione, flusso
e riflusso, echi, simmetrie, ordine libero che procede verso una
rivelazione. Ma mentre si procede, sembra anche di ritornare indietro:
l’opera, infatti, è un ritorno alle origini e il movimento della ricerca è
circolare: comincia in una stanza e finisce in una biblioteca.
Nell’incoerenza della realtà, la memoria permette al narratore di
ritrovare il tempo, la durata e il paradiso che ha perso. Tutto parte
dalla sensazione accostata alla reminescenza. La ricerca di Proust è
anche una speranza e una promessa di felicità: ritrovare il tempo non è
impossibile, a patto che il mondo ricreato sia un mondo letterario, un
mondo interiore, mistico, costruito su questo gioco di memoria e
tempo. La struttura si basa sulla contrapposizione Tempo perdutoTempo ritrovato attraverso la memoria involontaria, che è il ricordo
improvviso e spontaneo di una sensazione provata nel passato,
suscitata dalla stessa sensazione nel presente. L’intelligenza e lo spirito
hanno il compito di riavvicinare queste due sensazioni e di riportare la
sensazione che sfugge. Questa esperienza, che non appartiene né al
passato né al presente ed è dunque extratemporale, è motivo di grande
felicità perché elimina la sensazione di perdita del tempo e permette al
soggetto stesso di uscire dalla dimensione del tempo reale e riscoprire
la verità di un momento della sua esistenza.
La memoria involontaria cattura con un’impressione o una
sensazione
l’essenza preziosa della vita, che è l’”io”, lo spirito serve a spiegare il
valore assoluto di un ricordo abbandonato dall’infanzia, risvegliato
attraverso il sapore di un dolce o un sorso di tè. Questo procedimento
porta alla vittoria sul tempo e sulla morte, cioè ad affermare noi stessi
31
come esseri capaci di rimanere e di recuperare il tempo e la coscienza
come unico elemento che vince la materia e porta alla Verità e alla
felicità. Proust conosce la fugacità di ogni realtà perché la permanenza
e la durata non sono dati a nulla, nemmeno al dolore, ma pensa che ci
sia sempre la possibilità di scoprire la Verità attraverso la vita interiore.
Anche lo stile, musicale, molto dettagliato e metaforico, è l’espressione di
una sorta di eternità e vittoria sul tempo e di fede nell’Assoluto che
vive nell’interiorità umana. Le pagine di Proust, fatte di frasi lunghe e
sinuose, spiegano simultaneamente gli aspetti del mondo e la
profondità dell’anima. Proust concepisce inoltre l’artista come il
portatore di una rivelazione.
Egli definisce la sua opera una cattedrale: essa è come “una chiesa dove
i fedeli sapranno apprendere a poco a poco delle verità e scoprire delle
armonie.” La ricerca non è un’evoluzione nostalgica di un passato
nostalgico,ma la scoperta di una verità che si forma nella memoria, anche se
gli esseri e le cose sono caratterizzati dalla fugacità. La memoria volontaria
sottolinea la distanza che ci separa degli istanti passati, mentre la memoria
involontaria annulla questa distanza e fa affiorare il passato nel presente,
permettendoci di afferrare l’essenza delle cose fuori dal tempo. La vita degli
uomini consiste dunque in una lotta disperata contro l’inevitabile
scorrere del tempo che passando trasforma o distrugge gli esseri, i
sentimenti, le idee e questa lotta è condotta grazie alla memoria
involontaria. Infatti non si tratta di ricostruire il passato in modo
intellettuale con documenti o ricordi, ma bisogna attendere una
sensazione particolare che ne evochi una passata, un ricordo. A questo
proposito possiamo citare il celebre episodio della “maddalenina”
(vedi il testo riportato in lingua), che permette a Proust di recuperare il
suo passato. In questo episodio si possono distinguere tre momenti:
l’allusione alla tristezza del presente e la prospettiva di un triste
domani; la memoria involontaria che cattura la sensazione; gli sforzi
della ragione di comprendere il senso dell’effetto di felicità provocato
32
dalla sensazione e l’emergere di un ricordo d’infanzia dall’edificio
immenso del ricordo, di un passato che sembrava sepolto per sempre:
qui il protagonista ascolta il suo mondo interiore e si isola dal mondo
presente. Il passato è recuperato, sottratto alla morte: queste emozioni e
pensieri permettono al soggetto di ritrovare la sua identità autentica.
L’autore spiegherà che la grande felicità non consiste nel semplice
elemento memoriale, bensì nella felicità alla quale conduce, cioè il
primato dello spirito sulla materia e il ritrovamento della sua identità.
Il linguaggio metaforico, analitico e lirico e le metafore rendono la
corrispondenza tra il livello reale delle sensazioni e quello ideale
dell’interiorità. La narrazione non segue uno sviluppo logico, ordinato
o cronologico, al contrario il passato è sovrapposto al presente. Ciò
permette un’esperienza intertemporale e di eliminare la sensazione di
perdita del tempo. Ad ogni modo il tempo in tutta l’opera sembra
essere fermo, anche se si tratta di una ricerca: il tempo della narrazione
sembra essere sostituito da quello della contemplazione, che mantiene
lontani dalla morte, come garanzia di eternità.
33
BIBLIOGRAFIA
Twentieth Century Interpretations of The Castle, Neumeyer.
Literature and beyond 4, Loescher, De Luca, Grillo, Pace,
Ranzoli.
Littérature et Civilisation Françcaises 2 , Valmartina, di Bonini e
Jamet.
Biblioteca 3, Archimede Edizioni, di Cadioli, Di Alesio,Esposito,
Vincenzi.
34