6_b_Testi a confronto_Misantropi in scena

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6_b_Testi a confronto_Misantropi in scena
6.
b) Misantropi in scena
Peri; de; to;n loipo;n hJdu; to; ejn to; bivw/ oJ me;n wJ~ dei' hJdu;~ w]n fivlo~ kai; hJ
mesovth~ filiva, oJ d’ uJperbavllwn, eij me;n oujdeno;~ e{neka, a[resko~, eij d’ wjfeleiva~
th'~ auJtou', kovlax, oJ d’ ejlleivpwn kai; ejn pa'sin ajhdh;~ duvseriv~ ti~ kai; duvskolo~.
Riguardo al piacevole che resta da trattare – quello che si trova nelle circostanze della vita –, chi è
piacevole come si deve è amabile, ed amabilità la via di mezzo. Chi eccede, se non lo fa in vista di
qualche fine, è complimentoso; se lo fa per una propria utilità è adulatore. Chi difetta ed è sgradevole
in tutte le circostanze è uno scontroso ed un individuo fastidioso.
(Traduzione M. Zanatta)
Questa la definizione di dyskolos formulata da Aristotele (Etica Nicomachea
1108a 26-30). Tale carattere compare sin dalla commedia antica – ad esempio
Strepsiade nelle Nuvole di Aristofane – ma riceve maggiore attenzione nella
commedia nuova: l’unica commedia menandrea pervenutaci interamente si
intitola proprio Dyskolos (in cui troviamo il vecchio Cnemone, uomo dal pessimo
carattere, che vive sfuggendo gli altri e si occupa esclusivamente della
coltivazione del suo campo, con la sola compagnia della figlia). Questo carattere
avrà molta fortuna nel teatro successivo, a cominciare dalla commedia romana.
Plauto e Terenzio portano sulla scena due famosi vecchi misantropi e avari:
Euclione nell’Aulularia e Demea nell’Adelphoe.
Il
misantropo,
inizialmente
caratterizzato
quasi
esclusivamente
come
personaggio dal carattere scontroso, si evolve assumendo nel tempo una
caratteristica che andrà a costituire uno dei suoi tratti fondamentali: l’avarizia.
Importante, da questo punto di vista, la creazione da parte di Plauto del
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personaggio di Euclione nell’Aulularia. Nel passo seguente, il vecchio caccia via
di casa in malo modo la serva Stafila ossessionato dalla paura che lei possa
scoprire il tesoro che nasconde gelosamente in casa (Aulularia 40-66):
EU. Exi, inquam, age exi! Exeundum hercle tibi hinc est foras,
Cirumspectatrix cum oculis emissiciis !
ST. Nam cur me miseram verberas ?
EU.
Ut miseras sis,
Atque ut te dignam mala malam aetatem exigas.
ST. Nam qua me nunc causa extrusisti ex aedibus?
EU. Tibi ego rationem reddam, stimulorum seges?
Illuc regredere ab ostio! Illuc sis. Vide,
ut incedit! At scin quo modo tibi res se habet?
Si hercle hodie fustem cepero aut stimulum in manum,
testudinem istum tibi ego grandino gradum.
ST. Utinam me divi adaxint ad suspendium
Potius quidam quam hoc pacto apud te serviam!
EU. At ut celesta sola secum murmurat!
Oculos hercle ego istos, improba, ecfodiam tibi,
ne me observare possis, quid rerum geram.
Ascende etiam nunc, etiam nunc, etiam… ohe,
istic astato. Si hercle tu ex istoc loco
digitum transvorsum aut unguem latum excesseris,
aut si respexis, donicum ego te iussero,
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continuo hercle ego te dedam discipulam cruci. –
scelestiorem me hac anu certo scio
vidisse numquam, nimisque ego hanc metuo male,
ne mihi ex insidiis verba inprudenti duit,
neu persentiscat, aurum ubi est absconditum;
quae in occipitio quoque habet oculos, pessima.
Nunc, ibo ut visam, sitne ita aurum ut condidi,
quod me sollicitat plurimis miserum modis.
EU. Esci, ti dico, esci, su! Per Ercole!Devi uscir
fuori di qua, spiona, con quegli occhi che si
ficcano dappertutto!
ST. Ma perché mi batti, disgraziata che sono?
EU. Perché tu sia veramente disgraziata e abbia
a passare una brutta vecchiaia, degna della
tua bruttezza!
ST. Per qual motivo adesso m’hai scacciata fuori di casa?
EU. Dovrei renderne conto a te, terra da staffili?
Tirati via da quella porta; là, se ti pare.
Guarda un po’ come cammina. Lo sai cosa
t’aspetta? Per Ercole! Se oggi prenderò in
mano un bastone o uno staffile, ti farò al-
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lungare codesto passo da tartaruga!
ST. Che gli dèi mi spingano su una forca, piuttosto che servire in casa tua a queste condizioni!
EU. Guarda la scellerata, come brontola dentro
di sé! Per Ercole! Te li caverò, codesti occhi, sfacciata, perché tu non possa spiare le
mie mosse. Allontanati ancora, ancra, an…
Oh! Fèrmati là. Per Ercole! Se ti scosti di là
la grossezza d’un dito o la larghezza di
un’unghia, o se ti volti indietro prima che
te ne dia l’ordine, immediatamente ti manderò a scuola su una croce, per Ercole!
(Tra sé) Certo che non ho mai visto un essere più scellerato di questa vecchia; ho una
tremenda paura che mi tenda un tranello,
cogliendomi di sorpresa, e che scopra col
suo fiuto dov’è nascosto l’oro. Ha occhi
perfino sulla nuca, quel pessimo arnese! Ed
ora andiamo a vedere se l’oro sta ancora
come l’ho nascosto. Quante preoccupazioni
mi dà, povero me! (Rientra in casa)
(Traduzione M. Scàndola)
In questa scena Euclione si dispera perché qualcuno gli ha rubato la pentola.
Aulularia 713-726 [testo e traduzione uguale al cartaceo]
Negli Adelphoe di Terenzio troviamo la contrapposizione tra due metodi
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educativi: quello all’antica e rigoroso impersonato da Demea, quello più
comprensivo impersonato da Micione. Demea ha due figli, Ctesifonte ed Eschino,
ma decide di dare quest’ultimo in adozione a Micione, suo fratello. Nella scena
seguente i due fratelli discutono sulle “marachelle” combinate da Eschino.
Adelphoe 81-154
Ehem, opportune! Te ipsum quaerito.
DE.
MI. Quid tristis es?
DE.
Rogas me, ubi nobis Aeschinus
Siet, quid tristis ego sum ?
Dixin hoc fore ?
MI.
Quid fecit ?
DE.
Quid ille fecerit ? quem neque pudet
Quicquam nec metuit quemquam neque legem putat
Tenere se ullam ! nam illa quae antehac facta sunt
Omitto; modo quid dissignavit!
MI.
Quidam id est?
DE. Fores effregit atque in aedis inruit
Alienas ; ipsum dominium atque omnem familiam
Mulcavit usque ad mortem; eripuit mulierem
Quam amabat. Clamant omnes indignissume
Factum esse ; hoc advenienti quot mihi, Micio,
dixere! In orest omni populo. Denique,
si conferendum exemplum est, non fratrem videt
rei dare operam, ruri esse parcum ac sobrium?
Nullum huius factum simile. Haec cum illi, Micio,
dico, tibi dico; tu illum corrumpi sinis.
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MI. Homine imperito numquam quicquam iniustiust,
qui nisi quod ipse fecit nihil rectum putat.
DE. Quorum istuc?
MI.
Quia tu, Demea, haec male iudicas;
non est flagitium, mihi crede, adulescentulum
scortari neque potare, non est, neque fores
effringere. Haec si neque ego neque tu fecimus,
non siit egestas facere nos. Tu nunc tibi
id laudi ducis quod tum fecisti inopia?
Iniuriumst; nam si esset unde id fieret,
faceremus. Et tu illum tuum, si esses homo,
sineres nunc facere, dum per aetatem licet,
potius quam, ubi te expectatum eiecisset foras,
alieniore aetate post faceret tamen.
DE. Pro Iuppiter, tu homo adigis me ad insaniam!
Non est flagitium facere haec adulescentulum?
MI.
Ah,
Ausculta, ne me optundas de hac re saepius !
Tuum filium dedisti adoptandum mihi :
is meus est cactus: siquid peccat, Demea,
mihi peccat ; ego illi maxumam partem feram.
Obsonat, potat, olet unguenta? De meo.
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Amat? Dabitur a me argentum, dum erit
[commodum;
ubi non erit, fortasse excludetur foras.
Fores effregit ? restituentur; discidit
Vestem ? resarcietur ; est, dis gratia,
Et unde haec fiant, et adhuc non molesta sunt.
Postremo aut desine aut cedo quemvis arbitrum :
Te plura in hac re peccare ostendam.
DE.
Ei mihi!
Pater esse disce ab illis qui vere sciunt.
MI. Natura tu illi pater es, consiliis ego.
DE. Tu consiliis quicquam?
Ah! Si pergis, abiuro.
MI.
DE. Sicine agis?
An ego totiens de eadem re audiam?
MI.
DE. Curae est mihi.
Et mihi curae est. Verum, Demea,
MI.
Curemus aequam uterque partem : tu alterum,
Ego item alterum ; nam ambos curare propemodum
Reposcere illum est quem dedisti.
DE.
Ah! Micio!
MI. Mihi sic videtur.
DE.
Quid istic? Si tibi istuc placet,
profundat perdat pereat! Nihil ad me attinte.
Iam si verbum unum posthac –
MI.
Rursum, Demea,
irascere?
DE.
An non credis? Repeton quem dedi?
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Aegrest, alienus non sum: si obsto – em, desino!
Unum vis curem? Curo; et est dis gratia
Cum ita ut volo est; iste tuus ipse sentiet
Posterius – nolo in illum gravius dicere.
DE. Ehi, giusto! Proprio te cercavo.
MI. Perché sei di malumore?
DE. Mi chiedi perché sono di malumore, con uno coMe il nostro Eschino?
MI. (A parte) Non l’avevo detto? (Forte) Che cosa ha
fatto?
DE. Cosa può aver fatto? Non ha vergogna di nulla,
non ha paura di nessuno, non c’è legge di cui si
dia pensiero. Tutto quello che è successo finora,
lasciamolo perdere: ma adesso l’ha combinata
bella!
MI. Di che cosa si tratta?
DE. Ha sfondato una porta e ha fatto irruzione in casa
D’altri. Ha picchiato a sangue il padrone e tutta la
Sua gente: ha rapito una donna di cui era innamoRato. Sono tutti indignati, e lo proclamano ai
Quattro venti. Quante persone me l’hanno detto,
Micione, mentre venivo qui! Tutta la gente ne
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Parla. Per farla breve: se vogliamo prendere un
Esempio - ma suo fratello, non lo vede? Lavora e
Guadagna, vive nei campi, è parsimonioso e fruGale: lui sì, non fa proprio nulla del genere.
Quando parlo così per quel ragazzo, Micione,
parlo anche per te. Sei tu che lo lasci andare alla
rovina.
MI. La cosa più ingiusta di tutte è un uomo privo di
esperienza, il quale considera che sia bene solo
ciò che fa lui.
DE. Cosa significa questa frase?
MI. Tu, Demea, su questo punto dai un giudizio sbagliato. Non è una vergogna, credimi, che un ragazzo vada a donne, né che beva. No, non è così:
e neppure che sfondi una porta. Non l’abbiamo
fatto né tu né io, è vero; ma era il bisogno che
non ci permetteva di farlo. Adesso vuoi conoiderare un merito ciò che allora hai fatto solo perché
eri povero? Non è giusto. Se ne avessimo avuto i
mezzi, ci saremmo comportati così anche noi. Se
tu fossi un uomo, lo lasceresti fare, adesso che ha
l’età. È meglio, credimi: altrimenti, una volta che
ti abbia seppellito secondo il suo desiderio, lo farà dopo, quando non sarà più il momento giusto.
DE. Perdio, tu vuoi farmi impazzire, uomo! Non è una
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vergogna che un ragazzo si comporti così?
MI. Su, ascolta, smetti di seccarmi con questa storia.
Tuo figlio l’hai dato a me, e io l’ho adottato. Ora
È mio, Demea; e se sbaglia l’errore ricade su di
Me: sono soprattutto io che ne farò le spese. È un
Buongustaio, beve bene, profuma d’unguenti? Lo
Fa con i miei soldi. È innamorato? Il denaro glieLo darò io, finchè mi andrà a genio. Quando non
Sarà più così, forse lo butteranno fuori. Ha sfonDato una porta? La faremo rifare. Ha stracciato
Un abito? Pagheremo il danno. Me lo posso perMettere, grazie a dio, e per ora non mi pesa. InSomma, smettila, oppure fa’ venire un arbitro: diMostrerò che dalla parte del torto sei tu.
DE. Povero me, impara ad essere padre da chi sa esserlo davvero.
MI. Tu sei suo padre perché gli hai dato la vita, io
Perché gli insegno a vivere.
DE. Tu? E cosa gli insegni?
MI. Smettila, o me ne vado.
DE. Mi tratti così?
MI. Ma devo sentirmi dire sempre la stessa storia?
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DE. È un pensiero per me.
MI. Anche per me è un pensiero. Suvvia, Demea,
pensiamoci in parti uguali, com’è giusto: tu a
uno, io all’altro. Che mi hai dato.
DE. Ah, Micione!
MI. Il mio parere è questo.
DE. Cosa devo dire? Se ti piace così, lasciamolo spendere, sperperare, rovinarsi. Non mi riguarda. Se
D’ora in poi dirò una sola parola –
MI. Torni ad arrabbiarti, Demea?
DE. E tu, cosa credi? Ti chiedo forse indietro quel che
Ti ho dato? Certo mi dispiace: non sono un estraNeo. Se mi oppongo – no, ecco, la smetto. Vuoi
Che pensi a uno solo? Va bene; e siano ringraziaTi gli dèi che lui è come voglio io. Il tuo se ne acCorgerà più tardi – ma basta, non voglio parlare
Troppo male di lui.
(Traduzione D. Del Corno)
Un altro famosissimo avaro e misantropo del teatro di tutti i tempi è l’Arpagone
de L’avaro di Molière (opera del 1668). Ispirata all’Aulularia di Plauto, ne riprende
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in parte il personaggio del protagonista, i dettagli del pranzo che l’avaro offre, lo
scontro con il servo e la perquisizione dello stesso, l’idea del furto della cassetta
e il conseguente monologo, l’equivoco in cui cadono l’avaro e l’aspirante genero
quando questi viene incolpato del furto della cassetta e crede che si stia parlando
dell’onore della fanciulla amata.
L’avaro, atto I scena III – Arpagone e Freccia (valletto di Cleante)
HARPAGON Hors d’ici tout à l’heure, et qu’on ARPAGONE Fuori di qui, subito, e senza una
ne réplique pas. Allons, que l’on détale de chez parola! Via, sgomberare da casa mia, ladro
moi, maître juré filou, vrai gibier de potence.
patentato, pendaglio da forca.
LA FLÈCHE Je n’ai jamais rien vu de si FRECCIA mai visto niente di più pestifero di
méchant que ce maudit vieillard et je pense, questo vecchio maledetto. Sono sicuro, dio
sauf correction, qu’il a le diable au corps.
liberi!, che questo ha il diavolo in corpo.
HAR. Tu murmures entre tes dents.
AR. Borbotti fra i denti.
L. F. Pourquoi me chassez-vous?
FR. Perché mi scacciate?
HAR. C’est bien à toi, pendard, à me demander AR. E hai anche il coraggio di chiedermelo,
des raisons; sors vite, que je ne t’assomme.
furfante? Fuori, di corsa, prima che ti ammazzi.
L. F. Qu’est-ce que je vous ai fait?
FR. Che cosa vi ho fatto?
HAR. Tu m’as fait que je veux que tu sortes.
AR. Mi hai fatto che qui non ti voglio.
L. F. Mon maître, votre fils, m’a donné ordre de FR. Il mio padrone, vostro figlio, mi ha ordinato
l’attendre.
di aspettarlo.
HAR. Va-t’en l’attendre dans la rue, et ne sois AR. E tu vai ad aspettarlo in strada; e non qui, a
point dans ma maison planté tout droit comme casa mia, piantato lì come un palo, a stare
un piquet, à observer ce qui se passe, et faire attento a tutto quel che succede, e a approfittare
ton profit de tout. Je ne veux point avoir sans di tutto. Non voglio avere continuamente
cesse devant moi un espion de mes affaires, un davanti a me una spia dei miei affari; un
traître, dont les yeux maudits assiègent toutes traditore, con quei due occhi maledetti che
mes actions, dévoent ce que je possède, et insidiano tutti i miei gesti, che divorano tutto
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furettent de tous côtés pour voir s’il n’y a rien à quello che possiedo, e che frugano dappertutto a
voler.
vedere se c’è qualcosa da rubare.
L. F. Comment diantre voulez-vous qu’on fasse FR. Come diavolo volete che si faccia a rubarvi
pour vous voler? Êtes-vous un homme volable, qualcosa?
Vi
par
d’essere
una
persona
quand vous renfermez toutes choses, et faites derubabile, voi, che tenete tutto chiuso via, e
sentinelle jour et nuit?
state di sentinella giorno e notte?
HAR. Je veux renfermer ce que bon me semole, AR. Io chiudo via tutto quello che mi pare e
et faire sentinelle comme il me plaît. Ne voilà piace, e faccio la sentinella finchè ne ho voglia.
pas de mes mouchards, qui prennent garde à ce Eccolo: visto, lo spione che sta attento a tutto
qu’on fait? Je tremble qu’il n’ait soupçonné quel che faccio? (A parte) Io tremo, che abbia
quelque chose de mon argent. Ne serois-tu point sospettato qualcosa dei miei soldi. (Ad alta
homme à aller faire courir le bruit que j’ai chez voce) Tu sei capace di mettere in giro la
moi de l’argent caché?
chiacchiera che io, qui in casa, ho dei soldi
L. F. Vous avez de l’argent caché?
nascosti: vero?
HAR. Non, coquina, je ne dis pas cela. (A part) FR. Avete dei soldi nascosti?
J’enrage. Je demande si malicieusement tu AR. No, furfante, non ho detto questo. (A parte)
n’irois point faire courir le bruit que j’en ai.
Divento matto. (Ad alta voce) Mi domando se
L. F. Hé! Que nous import eque vous en ayez ou per caso, pettegolo come sei, non andrai in giro
que vous n’en ayez pas, si c’est pour nous la a dire che ce n’ho.
même chose?
FR. Ah, che cosa importa che ne abbiate o non
HAR. Tu fais le raisonneur. Je te baillerai de ce ne abbiate, quando per noi è lo stesso?
raisonnement-ci par les oreilles. (Il lève la main AR. Sputi sentenze, eh? Te le faccio sputare io
pour lui donner un soufflet) Sors d’ici, ancore dalle orecchie. (Alza la mano per dargli uno
une fois.
schiaffo) Vattene di qui, per l’ultima volta.
L. F. Hé bien! Je sors.
FR. Va bene: me ne vado.
HAR. Attends. Ne m’emportes-tu rien?
AR. Un momento. Non mi porti via niente?
L. F. Que vous emporterois-je?
FR. Che cosa volete che vi porti via?
HAR. Viens ça, que je voie. Montre-moi tes AR. Vieni qui, fa vedere. Mostrami le mani.
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mains.
FR. Eccole.
L. F. Les voilà.
AR. Le altre.
HAR. Les autres.
FR. Le altre?
L. F. Les autres?
AR. Sì.
HAR. Oui.
FR. Eccole.
L. F. Les voilà.
AR. Hai messo niente lì dentro?
HAR. N’as-tu rien misi ci dedans?
FR. Guardate voi.
L. F. Voyez vous-même.
AR. (tasta la parte bassa dei calzoni di Freccia)
HAR. (Il tâte le bas de ses chausses) Ces grands Questi calzoni gonfiati sembrano fatti apposta
hauts-de-chausses sont propres à devenir les per nascondere roba rubata. Quello che li ha
receleurs des choses qu’on dérobe; et je inventati doveva essere impiccato.
voudrois qu’on en eût fait pendre quelq’un.
FR. Ah, se uno così non si meriterebbe tutto
L F. Ah! Qu’un homme comme cela mériteroit quel che teme! E la voglia che avrei di
bien ce qu’il craint! Et que j’aurois de joie à le derubarlo!
voler!
AR. Eh?
HAR. Euh?
FR. Cosa?
L. F. Quoi?
AR. Che cos’è che parli di derubare?
HAR. Qu’est-ce que tu parles de voler?
FR. Dico che frughiate bene dappertutto, per
L. F. Je dis que vous fouillez bien partout, pour vedere se vi ho derubato.
voir si je vous ai volé.
AR. È quello che voglio fare. (fruga nelle
HAR. C’est ce que je veux faire. (Il fouille dans tasche di Freccia)
le poches de la Flèche)
FR. La peste che gli prenda, all’avarizia e a tutti
L. F. La peste soit de l’avarice et des gli avari!
avaricieux!
AR. Come? Che cosa dici?
HAR. Comment? Que dis-tu?
FR. Cosa dico?
L. F. Ce que je dis?
AR. Sì: che cos’è che stai dicendo, di avarizia e
HAR. Oui: qu’est-ce que tu dis d’avarice et di avari?
d’avaricieux.
FR. Dico che gli prenda la peste, all’avarizia e a
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L. F. Je dis que la peste soit de l’avarice et des tutto gli avari.
avaricieux.
AR. E di chi intendi parlare?
HAR. De qui veux-tu parler?
FR. Degli avari.
L. F. Des avaricieux.
AR. E chi sarebbero questi avari?
HAR. Et qui sont-ils ces avaricieux?
FR. Dei vecchi spilorci e degli usurai.
L. F. Des villains et des ladres.
AR. E a chi intenderesti alludere?
HAR. Mais qui est-ce que tu entends par là?
FR. Ma di che cos’è che vi preoccupate?
L. F. De quoi vous mettez-vous en peine?
AR. Mi preoccupo di quello che mi pare e piace.
HAR. Je me mets en peine de ce qu’il faut.
FR. Credete per caso che volessi alludere a voi?
L. F. Est-ce que vous croyez que je veux parler AR. Io credo quel che mi pare e piace; ma
de vous?
voglio sapere con chi è che ce l’hai quando dici
HAR. Je crois ce que je crois; mais je veux que quello che hai detto.
tu me dises à qui tu parles quand tu dis cela.
FR. Ce l’ho… ce l’ho col berretto che ho in
L. F. Je parle… je parle à mon bonnet.
testa.
HAR. Et moi, je pourrois bien parler à ta AR. E se ce l’avessi anch’io, col berretto che hai
barrette.
in testa?
L. F. M’empêcherez-vous de maudire les FR.
avaricieux?
Vorreste
impedirmi
di
parlar
male
dell’avarizia?
HAR. Non; mais je t’empêcherai de jaser, et AR. No, voglio impedirti di parlare a vanvera e
d’être insolent. Tais-toi.
di dire insolenze. Stà zitto.
L. F. Je ne nomme persone.
FR. Io non faccio nomi.
HAR. Je te rosserai, si tu parles.
AR. Un’altra parola, e ti strozzo.
L. F. Qui se sent morveux, qu’il se mouche.
FR. Chi ha orecchie per intendere, intende.
HAR. Te tairas-tu?
AR. Vuoi stare zitto?
L. F. Oui, malgré moi.
FR. Sì, per forza.
HAR. Ha! Ha!
AR. Ah, ah!
L. F. (Lui montrant une des poches de son FR. (mostrandogli una delle tasche del proprio
justacorps) Tenez, voilà ancore une poche; êtes- giustacuore) Guardate: un’altra tasca. Siete
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vous satisfait?
contento?
HAR. Allons, rends-le-moi sans te fouiller.
AR. Su, tiralo fuori senza farti perquisire.
L. F. Quoi?
FR. Che cosa?
HAR. Ce que tu m’as pris.
AR. Quel che m’hai preso.
L. F. Je ne vous ai rien pris du tout.
FR. Io non vi ho preso un bel niente.
HAR. Assurément?
AR. Sicuro?
L. F. Assurément.
FR. Sicuro.
HAR. Adieu: va-t’en à tous les diables.
AR. Addio: vattene al diavolo.
L. F. Me voilà fort bien congédié.
FR. Ringrazio per il cortese congedo.
HAR. Je te le mets sur ta conscience, au moins. AR. Se non altro, ce l’avrai sulla coscienza.
Voilà un pendard de valet qui m’incommode (Esce Freccia) Quello è un furfante di servitore
fort, et je ne me plais point à voir ce chien de che mi dà molto fastidio: un cane d’uno storpio
oiteux-là.
che proprio non mi piace vedermi intorno.
(Traduzione L. Lunari)
L’avaro atto V scena III – dialogo-equivoco tra Arpagone e Valerio (innamorato
della figlia Elisa) alla presenza del commissario e di Mastro Giacomo
HAR. Approche: viens confesser l’action la plus AR. Vieni qui: vieni a confessare l’azione più
noire, l’attentat le plus horrible qui jamais ait turpe, l’attentato più orribile che mai sia stato
été commis.
commesso.
VA. Que voulez-vous, Monsieur?
VA. Il signore desidera?
HAR. Comment, traître, tu ne rougis pas de ton AR. Come, traditore! Neppure arrossisci all’idea
crime?
del tuo delitto?
VA. De quel crime voulez-vous donc parler?
VA. Di quale delitto parlate, signore?
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HAR. De quel crime je veux parler, infâme! AR. Di quale delitto parlo, infame? Come se tu
Comme si tu ne savois pas ce que je veux dire. non sapessi fin troppo bene quel che intendo
C’est en vain que tu prétendrois de le déguiser: dire! Invano pretendi di negare: sei stato
l’affaire est découverte, et l’on vient de smascherato, mi hanno detto tutto. Ma come!
m’apprendre tout. Comment abuser ainsi de ma Abusare così della mia bontà, insinuarsi sotto il
bonté, et s’introduire exprès chez moi pour me mio tetto proprio per tradirmi, per ingannarmi in
trahir? Pour me jouer un tour de cette nature?
questo modo?
VA. Monsieur, puisqu’on vous a découvert tout,
je ne veux point chercher de détours et vous nier
la chose.
VA. Signor Arpagone, dal momento che vi
MA. J. Oh! Oh! Aurois-je deviné sans y penser?
hanno detto tutto, non cercherò vie traverse per
VA. C’étoit mon dessein de vous en parler, et je negare la cosa.
voulois attendre pour cela des conjonctures M. G. (A parte) Oh, oh, vuoi vedere che senza
favorables; mais puisq’il est ainsi, je vous saperne niente ho indovinato?
conjure de ne vous point fâcher, et de vousloir VA. Avevo in animo di parlarvene io stesso,
signore; stavo solo aspettando il momento più
bien entendre mes raisons.
HAR. Et quelles belles raisons peux-tu me favorevole. Ma poiché così non è stato, vi prego
di non arrabbiarvi, e di ascoltare le mie ragioni.
donner, voleur infâme?
VA. Ah! Monsieur, je n’ai pas mérité ces noms.
Il est vrai que j’ai commis une offense envers AR. E quali saranno mai queste ragioni, ladro
vous;
mais,
aprés
tout,
ma
faute
est infame?
pardonnable.
VA. Ah, signore, non mi merito questi insulti. È
HAR. Comment, pardonnble? Un guet-apens? vero che vi ho offeso: ma il mio errore, signore,
Un assasinat de la sorte?
è perdonabile.
VA. De grâce, ne vous mettez point en colère.
Quand vous m’aurez oui, vous verrei que le mal AR. Come, perdonabile?! Un’infamia, un delitto
n’est pas si grand que vous le faites.
come questo?
HAR. Le mal n’est pas si grand que je le fais! VA. Di grazia, non andate in collera. Una volta
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Quoi? Mon sang, mes entrailles, pendard?
che mi avrete ascoltato, vedrete che il male non
VA. Votre sang, Monsieur, n’est pas tombé dans è poi così grande come ora vi sembra.
de mauvaises mains. Je suis d’une condition à AR. Il male non è poi così grande?... ma come,
ne lui point faire de tort, et il n’y a rien en tout mascalzone: il mio sangue, le mie viscere.
ceci que je ne puisse bien réparer.
VA. Il vostro sangue, signore, non è caduto in
HAR. C’est bien mon intention, et que tu me cattive mani. Sono perfettamente in grado di
restitues ce que tu m’as ravi.
non fargli mancare nulla; e del resto, non vi è
VA. Votre honneur, Monsieur, sera pleinement nulla in tutto questo che non possa essere
satisfait.
prontamente riaparato.
HAR. Il n’est pas question d’honneur là dedans. AR. Lo spero bene: quindi, restituiscimi subito
Mais, dis-moi, qui t’a porté à cette action?
quel che mi hai rubato.
VA. Hélas! Me le demandez-vous?
VA. Il vostro onore, signor Arpagone, sarà
HAR. Oui, vraiment, je te le demande.
pienamente soddisfatto.
VA. Un dieu qui porte les excuses de tout ce AR. Lascia perdere l’onore, che non c’entra.
qu’il fait faire: l’Amour.
Dimmi piuttosto che cosa t’ha spinto a questa
HAR. L’amour?
infamia.
VA. Oui.
VA. Ahimè, e me lo chiedete?
HAR. Bel amour, bel amour, ma foi! L’amour de AR. Sì, certo; te lo chiedo proprio.
mes louis d’or.
VA. Un dio che di per sé giustifica tutto ciò che
VA. Non, Monsieur, ce ne sont point vos in suo nome si compie: l’amore.
richesses qui m’ont tenté: ce n’est pas cela qui AR. L’amore?
m’a ébloui, et je proteste de ne prétendre rien à VA. Sì.
tous vos biens, pourvu que vous me laissiez AR.
celui que j’ai.
Bell’amore,
bell’amore,
parola
mia!
L’amore per i miei scudi d’oro.
HAR. Non ferai, de par tous les diables! Je net VA. No, signore, non sono le vostre ricchezze
e le laisserai pas. Mais voyez quelle insolence che mi hanno indotto in tentazione; non è questo
de vouloir retenir le vol qu’il m’a fait!
che mi ha affascinato e travolto; e qui dico e
VA. Appelez-vous cela un vol?
pubblicamente dichiaro che mai chiederò nulla
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HAR. Si je l’appelle un vol? Un trésor comme delle vostre ricchezze, purché mi si lasci quello
celui-là!
che ho.
VA. C’est un trésor, il est vrai, et le plus AR. Mai al mondo, accidenti a tutti i diavoli!
précieux que vous ayez sans doute: mais ce ne Non ti lascerò un bel niente. Ma avete sentito
sera pas le perdre que de me le laisser. Je vous che faccia tosta? Quel che mi ha rubato, vuol
le demande à genoux, ce trésor plein de tenerselo.
charmes; et pour bien faire, il faut que vous me VA. Chiamate questo rubare?
l’accordiez.
AR. Se lo chiamo rubare? Uno che mi porta via
HAR. Je n’en ferai rien. Qu’est-ce à dire cela?
un tesoro come quello?
VA. Nous nous sommes promis une foi mutuelle, VA. È un tesoro, è vero: ed è certo la cosa più
et avons fait serment de ne nous point preziosa che voi possedete. Ma lasciarlo a me,
abandoner.
non significa perderlo. E io ve lo chiedo in
HAR. Le serment est admirable, et la promesse ginocchio, questo tesoro così pieno d’ogni
plaisante!
fascino per me; e se davvero volete fare le cose
VA. Oui, nous nous sommes engagés d’être l’un secondo giustizia, non potete dirmi di no.
à l’autre à jamais.
AR. Mai al mondo! Ma siamo diventati matti?
HAR. Je vous empêcherai bien, je vous assure.
VA. Ci siamo promessi eterna fede, e abbiamo
VA. Rien que la mort ne nous peut séparer.
giurato di non lasciarci mai più.
HAR. C’est être bien endiablé après mon AR. Bella promessa, e divertente il giuramento:
argent.
complimenti!
VA. Je vous ai dejà dit, Monsieur, que ce n’étoit VA. Sì, ci siamo impegnati ad essere l’uno
point l’interêt qui m’avoit poussé à faire ce que dell’altro per sempre.
j’ai fait. Mon cœur n’a point agi par le ressorts AR. Ci penserò io ad impedirvelo: sta’
que vous pensez, et un motif plus noble m’a tranquillo.
inspiré cette résolution.
VA. Soltanto la morte potrà separarci.
HAR. Vous verrez que c’est par charité AR. Veramente, i miei soldi gli han messo il
chrétienne qu’il veut avoir mon bien: mais j’y diavolo in corpo.
donneari bon ordre; et la justice, pendard VA. Vi ho già detto, signore, che non è stato un
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effronté, me va faire raison de tout.
volgare interesse a spingermi a fare quel che ho
VA. Vous en userez comme vous voudrez, et me fatto. Il mio cuore non vi è stato indotto dalle
voilà prêt à souffrir toutes les violences qu’il ragioni cui voi pensate; ben più nobili motivi lo
vous plaira; mais je vous prie de croire, au hanno ispirato.
moins, que, s’il y a du mal, ce n’est que moi AR. Carità cristiana, suppongo. Vuoi vedere che
qu’il en faut accuser, et que votre fille en tout è per questo che gli piacciono i miei soldi? Ma
ceci n’est aucunement coupable.
ci penserò io a mettere le cose a posto: e la
HAR. Je le crois bien, vraiment; il seroit fort giustizia,
furfante
spudorato,
mi
darà
étrange que ma fille eût trempé dans ce crime. soddisfazione di tutto.
Mais je veux ravoir mon affaire, et que tu me VA. Farete quello che crederete opportuno,
confesse en quel endroit tu me l’as enlevée.
signore; ma io sono pronto a subire ogni e
VA. Moi? Je ne l’ai point enlevée, et elle est qualsiasi violenza. Vi prego comunque di
ancore chez vous.
credere che se vi è stato del male in tutto questo,
HAR. Ô a chère cassette! Elle n’est point sortie la colpa è soltanto mia, e vostra figlia è
de ma maison?
perfettamente innocente.
VA. Non, Monsieur.
AR. Lo credo bene; bella questa! Dovrebbe
HAR. Hé! Dis-moi donc un peu: tu n’y as point essere
touchè?
abbastanza
incredibile,
mia
figlia
immischiata in questo delitto. Ma io, intanto,
VA. Moi, y toucher? Ah! Vous lui faites tort, voglio riavere quel che è mio. Quindi confessa:
aussi bien qu’à moi; et c’est dune ardeur toute dov’è che hai nascosto il mio tesoro, dopo
pure et respectueuse que l’ai brûlé pour elle.
averlo portato via di qui?
HAR. Brûlé pour ma cassette!
VA. Io? ma io non ho portato via un bel niente.
VA. J’aimerois mieux mourir que de lui avoir È ancora qui, in casa vostra.
fait paroître aucune pensée offensante: elle est AR. (A parte) oh, la mia adorata cassetta! (Ad
trop sage et trop honnête pour cela.
alta voce) Ancora qui, in casa mia?
HAR. Ma cassette trop honnête!
VA. Sì, signore.
VA. Tous mes desirs se sont bornés à jouir de sa AR. Ehi, dimmi un po’: e non hai toccato
vue; et rien de criminal n’à profane la passion niente?
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que ses beaux yeux m’ont inspirée.
VA. Io, toccato?! Ah, qui fate torto anche a lei,
HAR. Le beaux yeux de ma cassette! Il parle non solo a me. Pura e rispettosa è la fiamma che
d’elle comme un amant d’une maîtresse.
per lei mi ha acceso d’amore.
VA. Dame Claude, Monsieur, sait la vérité de AR. (A parte) acceso d’amore per la mia
cette aventure, et elle vous peut rendre cassetta?
témoignage…
VA. E preferirei morire piuttosto che dar luogo
HAR. Quoi? Ma servante est complice de al minimo pensiero men che rispettoso; lei
l’affaire?
stessa, d’altronde, è troppo giudiziosa e onesta
VA. Oui, Monsieur, elle a été témoin de notre per questo.
engagement; et c’est après avoir connu AR. (A parte) La mia cassetta troppo onesta?
l’honnêteté de ma flame, qu’elle m’a aide à VA. Tutti i miei desideri mai hanno mirato ad
persuader votre fille de me donner sa foi, et altro che a gioire onestamente della sua vista;
recevoir la mienne.
non un’ombra di peccato ha profanato la
HAR. Eh? Est-ce que la peur de la justice le fait passione che i suoi begli occhi hanno saputo
extravaguer? Que nous brouilles-tu ici de ma ispirarmi.
fille?
AR. (A parte) i suoi begli occhi? Parla della mia
VA. Je dis, Monsieur, que j’ai eu toutes les cassetta come un poeta della donna che ama.
peines du monde à faire consentir sa pudeur à VA. La signora Claudia, signore, sa tutta la
ce que vouloit mon amour.
verità di questo caso, e vi potrà testimoniare
HAR. La pudeur de qui?
essa stessa…
VA. De votre fille; et c’est seulement depuis hier AR. Come? La mia cameriera complice in
qu’elle a pu se rèsoudre à nous signor questa storia?
mutuellement une promesse de mariage.
VA. Sì, signore; lei è stata testimone del nostro
HAR. Ma fille t’a signé une promesse de reciproco impegno; ma soltanto dopo aver
mariage!
riconosciuto l’onestà della fiamma ond’io
VA. Oui, Monsieur, comme de ma part je lui en ardevo, mi ha aiutato a persuadere vostra figlia a
ai signé une.
darmi la sua fede e ad accettare la mia.
HAR. O Ciel! Autre disgrâce!
AR. (A parte) Mah… la paura della giustizia lo
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M. J. Écrivez, Monsieur, écrivez.
fa straparlare! (Ad alta voce) che cosa diavolo
HAR. Rengrégement de mal! Surcroît de stai infinocchiando, con mia figlia?
désespoir! Allons, Monsieur, faites le dû de VA. Sto dicendo, signore, che grande è stata la
votre charge, et dressez-lui-moi son process, fatica
comme larron, et comme suborneur.
per
convincere
il
suo
pudore
a
corrispondere i miei voti.
VA. Ce sont des noms qui ne me sont point dus; AR. Il pudore di chi?...
et uand on saura qui je suis…
VA. Di vostra figlia: che soltanto ieri ha
finalmente acconsentito a firmare con me una
mutua promessa di nozze.
AR. Mia figlia ti ha firmato una promessa di
nozze?
VA. Sì, signore; come io d’altro canto l’ho
firmata a lei.
AR. Oh cielo! Un’altra disgrazia!
M. G. A verbale, signor commissario, a verbale!
AR. Il marcio dilaga! Cresce il dolore a
dismisura! Orsù, signor commissario, fate quel
che il vostro ufficio vi impone: incriminatelo
formalmente, come ladro e seduttore.
VA. Signore, questi son nomi che non mi
competono! E quando si saprà chi sono io…
(Traduzione L. Lunari)
Anche Goldoni mise in scena alcuni misantropi e lo fece ne I rusteghi, commedia
in dialetto veneziano (scritta nel 1760), in cui l’autore descrive impietosamente le
caratteristiche dei quattro misantropi (Lunario, Ciancian, Simon, Maurizio), gretti,
avari, zotici, misoneisti, unicamente preoccupati dalla conservazione della loro
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specie. Le loro donne, però, si ribellano quando Lunardo combina il matrimonio
della sua figlia di primo letto, Lucietta, con Felippetto, figlio di Maurizio, senza
informarne prima né gli sposi né la moglie Margarita. Felice, moglie di Ciancian,
e Marina, moglie di Simon, aiutano Margarita a far sì che i ragazzi, contro il
divieto di Lunario e Maurizio, si possano almeno conoscere prima delle nozze.
Scoperta la cosa i due padri si arrabbiano ma li calma Felice facendo capire
quanto siano assurde le loro pretese.
I rusteghi atto III scena II – Felice, Lunario, Ciancian e Simon.
FELICE Patroni reveriti, grazie del so bon amor.
CIANCIAN Cossa feu qua?
LUNARDO Cossa vorla in casa mia?
SIMON Xèla qua, per far che nassa qualche altra bela scena?
FELICE I se stupisse perché son qua? Voléveli che fusse andada via? Credévelo sior Cancan che fusse
andada col forestier?
CI. Se anderè più con colù, ve farò véder che son.
FE. Disème, caro vecchio, ghe songio mai andada senza de vu?
CI. La sarave bela!
FE. Senza de vu, l’òggio1 mai recevesto in casa?
CI. Ghe mancarave anca questa!
FE. E perché donca credevi che fusse andada con élo?
CI. Perché sé una mata.
FE. (El fa el bravo, perché xe in compagnia).
SI. (Oe, la gh’ha filo2) (piano a Lunardo).
CI. Anoémo, siora, vegnì a casa con mi.
FE. Abiè un pocheto de flema.
1
2
L’ho.
Ha timore.
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CI. Me maraveggio, che gh’abiè tanto muso de vegnir qua.
FE. Per cossa? Cossa òggio fato?
CI. No me fè parlar.
FE. Parlè.
CI. Anoémo via.
FE. Sior no.
CI. Anoémo, che cospeto de diana… (minacciandola).
FE. Cospeto, cospeto… so cospetizar anca mi. Cos’è, sior? M’aveu trovà in t’un gatolo3? Songio la
vostra massèra? Cusì se parla con una donna civil? Son vostra muggire; me podè comandar, ma no me
vòi4 lassar strapazzar. Mi no ve perdo el rispetto a vu, e vu no me l’avè da perder a mi. E dopo che sè
mio mario, no zar? Coss’è sto cospeto? Cossa xè sto alzar le man? A mi manazzar? A una donna della
mia sorte? Disè, sior Ciancian, v’àli messo su sti patroni? V’àli conseggià che me tratè in sta maniera?
Ste asenarie l’aveu imparade da lori? Se sè un galantuomo, tratè da quelo che sè, se ho falà,
corezème5; ma no se strapazza, e no se manazza, e no se dise cospeto, e no se tratta cusì. M’aveu
capío, sior Ciancian? Abiè giudizio vu, se volè che ghe n’abbia anca mi.
Ciancian resta ammutolito.
SI. (Aveu sentio che ràcola6?) (A Lunardo)
LU. (Adessadesso me vien voggia de chiaparla mi per el colo. E quel martuffo7 sta zito) (A Simon).
SI. (Cossa voleu che el fazza? Voleu che el se precipita?)
FE. Via, sior Ciancian, no la dise gnente?
CI. Chi ha più giudizio, el dopera8.
FE. Sentenza de Ciceron! Cossa dísele éle, patroni?
LU. Cara siora, no me fè parlar.
FE. Perché? Son vegnua a posta, acciò che parlè; so che ve ne lamentè de mi, e gh’ho gusto de sentir
3
Quasi tutte le strade veneziane hanno dei piccolo cataletti laterali dove si uniscono le immondizie e per dove scorre
l’acqua piovana, che si chiamano “gattoli”.
4
Non mi voglio.
5
Correggetemi.
6
Che bagattella?
7
Sciocco.
8
Lo adoperi.
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le vostre lamentazion. Sfoghève con mi, sior Lunardo, ma no stè a meter su mio marito. Perché, se me
dirè le vostre rason, son donna giusta, se gh’ho torto, sarò pronta a darve soddisfazion; ma arecordève
ben, che el meter disunion tra mario e muggire el xè un de quei mali che no se giusta cusì facilmente,
e quel che no volessi che i altri fasse con vu, gnanca vu coi altri no l’avè da far, e parlo anca co sior
Simon, che con tuta la so prudenza el sa far la parte da diavolo, co9 bisogna. Parlo con tutti do10 e ve
parlo schieto perché me capí. SOn una donna d’onor, e se gh’avè qualcosa, parlè.
LU. Disème, cara siora, chi è stà che ha fato vegnir quel puto in casa mia?
FE. Son stada mi. Mi son stada, che l’ha fato vegnir.
LU. Brava, siora!
SI. Pulito!
CI. Lodève, che avè fato una bel’azion!
FE. Mi no me lodo; so che giera meggio che no l’avesse fato; ma no la xè una cativa azion.
LU. Chi v’ha dà licenza, che lo fè vegnir?
FE. Vostra muggire.
LU. Mia muggire? V’àla parlà? V’àla pregà? Xèla egnua éla a dirvelo che lo mené11?
FE. Sior no; me l’ha dito siora Marina.
SI. Mia muggier?
FE. Vostra muggier.
SI. Àla pregà éla el forestier, che tegnisse terzo12 a quela puta?
FE. Sior no, el forestier l’ho pregà mi.
CI. Vu l’avè pregà? (Con isdegno)
FE. Sior sì, mi (a Cianciano, con isdegno).
CI. (Oh che bestia! No se pol parlar!)
LU. Mo perché far sta cossa? Mo perché menarlo? Mo perché siora Marina se n’àla intrigà? Mo
perché mia muggier s’àla contentà?
FE. Mo perché questo, mo perché st’altro! Ascoltème; sentí l’istoria come che la xè. Lassème dir; no
9
Quando.
Due.
11
Che lo conduciate.
12
Che tenesse mano.
10
25
me interrompè. Se gh’ho torto, me darè torto; e se gh’ho rason, me darè rason. Prima de tuto, lassè,
patroni, che ve diga una cossa. No andè in colera, e no ve n’abiè per mal. Sé tropo rusteghi; sé tropo
salvadeghi. La maniera che tegní co le donne, co le mugghier, co la fia, la xè cusì stravagante fora de
l’ordinario, che mai in eterno le ve poderà voler ben; le ve obbedisse per forza, le se mortifica con
rason, e le ve considera no marii, no padri, ma tartari, orsi e aguzini. Vegnimo al fato. (No «vegnimo a
dir el merito», vegnimo al fato). Sior Lunato vol maridar la so puta, nol ghe lo dise, nol vol che la lo
sapia, no la lo ha da véder; piasa o no piasa, la lo ha da tòr. Accordo anca mi, che le pute no sta ben
che le fazza l’amor, che el mario ghe l’ha da trovar so sior padre, e che le ha da obedir, ma no xè mo
gnanca giusto de meter alle fie un lazzo al colo, e dighe: ti l’ha da tiòr. Gh’avè una fia sola, e gh’avè
cuor de sacrificala? (A Lunardo). Mo el puto xè un puto de sesto, el xè bon, el xè novene, nol xè bruto,
el ghe piacerà. Seu seguro, «vegnimo a dir el merito», che el gh’abia da piàser? E se nol ghe piasesse?
Una puta arlevda a la casalina con un mario fio d’un pare salvadego, sul vostro andar13, che vita
dovervela far? Sior sì, avemo fato ben a far che i s veda. Vostra muggire lo desiderava, ma no la
gh’avea coraggio. Siora Marina a mi s’ha racomandà. Mi ho trovà l’invenzion de la maschera, mi ho
pregà el forestier. I s’ha visto, i s’ha piasso14, i xè contenti. Vu doveressi esser più quieto, più consolà.
Xè compatibile vostra muggier, merita lode siora Marina. Mi ho operà per bon cuor. Se sè omeni,
persuadève, se sè tangheri, sodisfève. La puta xè onesta, el puto no ha falà; nualtre semo donne
d’onor. Ho fenío la renga; laudè el matrimonio, e compatí l’avocato.
Nel cinema ritroviamo la figura del misantropo avaro in due film, interpretati
rispettivamente da Totò e Alberto Sordi: 47 morto che parla (del 1950, da un
soggetto di Ettore Petrolini) e L’avaro (del 1990).
13
14
Fatto alla vostra maniera.
Si son piaciuti.
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