a quel morto scelto fra i morti, con dolcezza, « noi
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a quel morto scelto fra i morti, con dolcezza, « noi
CLAUDE MOUCHARD in Perché ancora / Pourquoi encore, ISREV, 2005. “…PAROLA CHE SA DI VENTO, RESINA E NEVE…” Che freschezza ti prende, nel leggere Perché ancora ? Verrà forse dal cosi vicino evocato nei versi di Cecchinel - muri e piazze, cortili di scuola, « scrosci di campane », alberi e pietre, « scorza», « muschio» e « acetosella» - cosi’ vicino che sembra strapparsi subito? O sarà forse più particolarmente per il lettore straniero che sono, che sfuggono, con “un sapore di vento”, luoghi e appartenenze, vite intrecciate, gente con nomi e soprannomi (il “dego”), con i loro odori – “sapere di sudore e di fumo” - o con le loro voci come eco … ? Ma nello stesso tempo, i particolari (inaspettati, mordenti) detti al volo da queste poesie hanno il potere di evocare al lettore quasi casuale, altri tratti, strappati ad altri passati ** sapori caldi o ghiacciati di altri muri di altre pietre, in altre vallate, grigi aranci, abitati da altre poiane, eco…, allora fra luoghi lontani ma simultaneizzati dalla guerra oppure e’ LA distanza storica, o politica, che rende alcuni eventi, molto puntuali, impossibili da decifrare ? Non é per questo che Cecchinel mette accanto (o sotto) AD alcuni dei suoi testi delle note, delle spiegazioni biografiche storiche, dei commenti, sullo fondo dei quali palpitano, resi più sensibili nei versi stessi, il vicino e il lontano, l’illuminato unito all’annegato nell’ombra ? * Terribile, comunque, la freschezza che nasce da questi versi o che riescono a captare, come uscita dal passato e una ferita sembra riaprirsi in ogni poesia, e soffia su di noi…. * « noi » dicono a volte le poesie, parlando ai morti, a quel morto scelto fra i morti, con dolcezza, « noi dovremmo provare a parlarti in silenzio come gli alberi all’aria, COME l’acqua alla luce. » qui cercasi … un « noi »: quello di persone vicine (nelle zone in cui trovarono la morte) dei giovani caduti ? o quello dei lettori nella loro (crescente) distanza da queste poesie ? * Vento insanguinato del 43-45 : é questo da cui il ricordo viene rianimato, in fretta ogni volta, nei versi strazianti di Cecchinel … Terrore nazista : esecuzioni, a due passi, sulla piazza d’un villaggio, o davanti alla propria casa di quello che verrà ammazzato, o sparizioni ? nei campi – Buchenwald, Treblinka, etc., Terrore fascista – recente, ma che ricorre, spesso, a vecchie brutalità, quelle del dominio di classe, o di caste –, E, sempre, l’ignobile creatività delle messe in scena, dei « nazi-fascisti », delle umiliazioni e dei supplizi… * La freschezza che LE poesie di Cecchinel si sforzano di fare riaffiorare da questi momenti atroci – come, un tempo, questi pittori attivi nelle loro tele di martiri (superficie delle pelli insanguinate – Cristo, Sebastiano, o Marsia – nelle ultime tele di Tiziano) ? (Auden, nel « Museo dei DELLE Belle Arti » : « About suffering they were never wrong, The Old Masters : how well they understood Its human position … ») Riflessi di pitture traspaiono ogni tanto nel testo di Cecchinel, altre volte il poeta menziona delle foto (nei versi come nei commenti) quelle dei vivi, prima dell’ uccisione, o quelle degli appena caduti, quelle, dove, a volte, la poesia scopre uno sguardo come fra la vita e la morte : « Occhi - si direbbe – da non dove morire in questo modo». é la freschezza di queste vite che hanno saputo rischiare, che si sono ritrovate esposte placate "grumi di carne e di spasimi" contro pareti – muri, cimiteri, chiese, case- o sulle pendenze delle vallate, di crepe terrose …, vite tranciate in volo, quelle dei ragazzi tagliate nel loro slancio verso i loro futuri e che Cecchinel s’impegna a ritrovare là dove avranno creato, carni ferite, corpi fatti ferite, tagli che perdurano – anche ricoperti – nella vita di tutti, nei rapporti fra tutti * le poesie testarde di Cecchinel non vogliono che queste ferite si rimarginino poesie all’improvviso polemiche – non riconciliabili ? contro questi « smemorati e mentitori » contro le « Anime vendute» contro « …lingue e le gole agili e immonde in scaltro rimembrare » « contro musi di melma in ossesso sbavare» (dove all’improvviso ho pensato a uno dei più aspri sonetti, di Milton sul massacro dei Valdesi, quest’eloquenza che sa portarsi, in un volo, verso monti lontani insanguinati, e che si gira,subito rocciosa, verso il cielo) * «… come una sorgente da una parete di ghiaccio la tua innocenza ancor sfolgora» : è all’apertura stessa di vite brevi, interrotte, che queste poesie vengono a bere, e non smettono di raccoglierle là dove partivano verso futuri subito svaniti, poesie per giovani caduti, poesie desiderose – nel ricollocarsi nel passato (come un angelo di Rembrandt nasce da una penombra senza età) – di sostenere un istante ancora questi corpi nel momento del loro sprofondare… - talvolta é la vita stessa del suppliziato, o quello che pensava che sarebbe stata la sua vita che la poesia, cosi « Per a Mario Pasi (Montagna), medico, lungamente torturato e poi impiccato dai tedeschi »tira su, come le pieghe d’uno straccio sul corpo orrendamente esposto « Per le ginocchia forate ci fu una scala di legno per portarti massacrato al tuo castagno come per operazione necessaria, disperata». * Poesie- epitaffi dritte nel tempo come lapidi ? certo – per alcune fra di loro… Ma le poesie di Cecchinel non sigillano mai niente,: non lasciano che si richiudano le vite strozzate anzi, le riaprono nei momenti delle loro scelte le vanno a ritrovare nei momenti in cui «… si arriva su un ciglio in cui non si può non scegliere» * Perché, Sì davvero, la scelta c’é stata… pagando il prezzo della violenza, non di quella « legittimata » (quella dello Stato : esercito, polizia), ma, bene quella dei « partigiani ». scelte che furono fatte, terribili, nella vicinanza, e sostenute ancora nella confusione dei tempi, quella dei mesi del 43-45, scelta che taglio’ nel bel miscuglio delle esistenze (guerra civile) - nella quasi identità a volte ? « qualcuno di noi sarebbe potuto esser stato dalla vostra parte e qualcuno di voi dalla nostra» – e mi chiedo se sarebbe forviante, qui, citare questa lettera alla mamma – copiata da Pavone, Una guerra civile – scritta da un « membro delle Guardia nazionale repubblicana » di sedici anni parlando alla sua mamma d’un giovane partigiano ferito che ha dovuto « trasportare fra le sue braccia » : « questo partigiano, quello al quale sono stato costretto a sparare, perché se no avrebbe sparato per primo, parlava la stessa lingua mia, diceva Mamma, come lo sto dicendo adesso : era uno dei miei fratelli ! » ? e, davvero, fu tempo di decisioni, prese spesso da giovani (e a volte, pare, in un modo cosi’ ingenuo), che cercavano di aprire le loro esistenze su un futuro meno tragico, meno schiacciato, « Per questi sentieri le voci di coloro che risposero al male così da vicino che sentirono il bisogno di essere migliori» e nelle vallate, nei luoghi ben conosciuti, le vite intrecciate, questi istanti sarebbero rimasti (nel silenzio dei tempi successivi) aperti (molti anni dopo la fine della guerra, erano rimasti - come ci insegna una poesia almeno – sulle pendenze, fra le pietre e nei buchi, non soltanto vestigia delle lotte passate ma anche cio’ che ne poteva preparare il seguito o affrontarne il ritorno : cosi’ la poesia « Sorelle di paura » parla delle « armi fraterne » nascoste, « braccate in crepacci, spelonche ») in una freschezza crudele sotto la forma di eco e di soffi (« crepitii, singhiozzi, grida di tortura») galleggiante nell’aria che, pertanto, sfiorando l’erba, fra i rami, etc., sembrerebbe, sempre nuova, non avere conservato nessuna traccia ? * Non é stato il vecchio « morire per » (il « Dulce et decorum est pro patria mori » di Orazio) ripreso (e cosi’ prontamente derisorio), durante la prima guerra mondiale, non é stata la scelta della morte si trattava piuttosto di giocare la propria vita per la vita, contro il gusto del sangue, contro il cosiddetto (e cosi’ falsificato) gusto fascista per il sacrificio… si trattava di rischiare la propria vita contro la messa in scena fascista della morte e le poesie di Cecchinel sanno ridare corpo alle scelte che furono allora quelle del vivere (ed io - ma vale per qualunque lettore –sento che mancano le parole i pensieri, l’immaginazione, la generosità, per ricevere quello che queste poesie vorrebbero darci) (e sarebbe comunque necessario sentire meglio in che cosa una poesia come quella di Cecchinel è, in un modo costituzionale, vicina a quello che fu, nel tempo delle scelte, il rifiuto della messa in scena fascista – negli assassinii o nel “sacrificio”- della morte, o come Cecchinel ritrova, grazie al suo senso poetico, il disgusto, che fu, senza dubbio, quello dei ragazzi o delle ragazze, d’un contadino, di un prete o un medico, verso la devozione al “fuoco sacro” del “Duce”, o il loro disprezzo per un “culto” che era tanto “sacrificale”, arrabbiato, e sanguinoso, che i suoi cultori non potevano che sentire il vuoto del suo oggetto fabbricato su misura) fanno riemergere le «voci”, scrive Cecchinel, di coloro che non lottarono per la morte ma per la libertà» * Canetti : « C’é molto da dire in favore del dono di se, ma deve essere compensato da una libertà viscerale » (Note di Hampstead) * La scelta della libertà alla quale appartiene non l’esaltazione della morte, ma il “desiderio di vivere” (e anche il desiderio che gli altri vivano), le poesie di Cecchinel non la ritrovano negli slogan o nelle parole altisonanti, non c’é nessuna vanità ideologica in Cecchinel, i versi, spesso, corrono, umili, occupati, vicini a quello che c’é stato (o allora alcune poesie s’impegnano a resistere alle illusioni politiche poetiche : « Ah ! lo santificano poeti e populisti ma il popolo non è santo o lo è nel peso dei macigni e nella livida ustione delle folgori») ma nell’…aria (una volta ? oggi ?) o nel “fra” al quale aggiungono la propria limpidezza interna. Sentire liberamente – freschezza ancora, ma leggera, questa senza niente sopra di sé (e per esempio in tale sentiero dove ripartire, contadino, dopo avere fatto volar via ad un fascista il cappello) tale fu (le poesie sanno crearne l’idea nel passato) la posta in gioco per alcuni istanti di scelta : nel respirare le cose, le esistenze, essere liberi, si, di ogni forma di dominio… “Per il ruvido della tua stretta scura” dice la poesia alla Selvamadre “alcuni sarebbero tornati, gli occhi verso il morbido di un cielo senza paura». * La freschezza nera-luminosa d’un paesaggio d’inverno (appena tracciata) o quella d’una primavera (« Come nella brina gemme d'aprile») (ma succede anche di intravedere, in tremore, altre trasparenze, altre luminosità, quella, per esempio delle vetrate o degli schermi in un ospedale dove muore “mio padre” laddove « il tuo cuore schizzava per fiotti d’ossigeno, come allora in fuga da lampi di gelo. ») si comincia ad avere il sospetto che forse é stata la prima ad essere balbettata, nelle frasi di Cecchinel allora ancora semi virtuale e che fu piuttosto mischiando i propri versi in formazione (delle chiarezze si mettono a palpitare, fra le linee indovinate, per evocare e controbilanciare, in un modo interrogativo, quelle intraviste, tempo fa o recentemente, fra rami o cime di foreste, o pendenze di rocce o …) che la poesia, in tutto il suo presente (con la chiarezza contenuta per esempio nei versi rimati), girandosi verso paesaggi ben conosciuti (ovvero tali quali furono nel passato percepiti da altri, o che la possibilità di percepirli fu recepita, nell’infanzia, dai parenti o da chiunque nella zona…, in tanti sostegni del desiderio di vivere-sentire liberamente) avrà forse risposto meno al passato (e certo non per rispondere ad un compito) che l’avrà chiamato regalando la sua limpidezza (verde argento, a volte, o bianca come dal gelo, o…) in modo che, attraverso le sue righe, dei tratti del passato, dei particolari, duri, sanguinosi spesso, si trovano portati in una volta, cosi’, con amarezza, questo « … tiro di neve sfuggita per misera ombra al sole. » sul quale (cosi’ racconta la nota della poesia “Sfida”) scivolò Giuseppe Castelli nel febbraio 45 cercando di sfuggire alle pallottole fasciste a vibrare dal fondo dell’oblio per andare a conficcarsi in poesie che non smettono di formarsi in una chiara-inquieta ricettivita’ «… MOTS / À LA SAVEUR DE VENT, DE RÉSINE ET DE NEIGE… » Quelle fraîcheur saisit, à lire Pourquoi encore ? Emane-t-elle du tout proche qu’évoquent les vers de Cecchinel – murs et places, cours d’école, « vacarme des cloches », arbres et pierres, «écorce », « mousse » ou « oseille » – et qui semble aussitôt s’arracher ? Est-ce particulièrement au lecteur étranger que je suis (en français, grâce à Martin Rueff) que se dérobent, avec une « saveur de vent », lieux ou appartenances, vies entrelacées, gens avec leurs noms ou surnoms (« Dego »), avec leurs odeurs – « ma senteur de sueur et de fumée » – ou leurs voix comme des échos… ? En même temps, les détails (inattendus, mordants) dits au vol par ces poèmes peuvent faire venir chez tel lecteur quasi de hasard d’autres traits, arrachés à d’autres passés odeurs chaudes ou glacées d’autres murs, d’autres pierres, dans d’autres vallées grises orangées hantées d’autres buses, échos…, alors entre lieux lointains mais simultanéisés par la guerre Ou serait-ce du fait de la distance historique, ou politique, que certains événements, très ponctuels, seraient devenus quasi indéchiffrables ? N’est-ce pas pour cette raison que Cecchinel glisse à côté (ou en-dessous) de certains de ses poèmes des notes, des explications biographico-historiques, des commentaires, sur le fond desquels palpitent, d’autant plus sensibles dans les vers, le tout proche et le lointain, de l’éclairé uni au noyé d’ombre ? * Terrible, en tout cas, la fraîcheur qui sourd de ces vers ou qu’ils captent, comme sortant du passé et une blessure paraît se rouvrir à chaque poème, et souffle sur nous… * « nous » disent parfois les poèmes en s’adressant aux morts, à tel d’entre eux, doucement «nous devrions essayer de te parler en silence comme les arbres parlent à l’air, comme l’eau à la lumière » … un « nous » se cherche ici : celui de proches (dans les parages où ils moururent) des jeunes disparus ? ou celui des lecteurs à distance (croissante) de ces poèmes ? * Vent ensanglanté des années 43-45 : c’est lui dont le souvenir est ranimé, brièvement à chaque fois, par les vers déchirants de Cecchinel… Terreur nazie : exécutions, tout près, sur la place d’un village, ou devant la maison de celui qu’on tue, ou disparitions dans des camps – Buchenwald, Treblinka, etc., terreur fasciste – récente mais usant, souvent, de vieilles brutalités, celles de la domination de classe ou de caste –, et, toujours, l’ignoble inventivité des mises en scène, par les « nazis-fascistes », des humiliations et des supplices… * La fraîcheur que ces poèmes de Cecchinel s’astreignent à faire réémaner de moments atroces – comme, jadis, des peintres s’activant à leurs tableaux des martyres (surfaces de peaux sanglantes – Christ, Sébastien ou Marsyas – des derniers Titien) ? (Auden, dans « Musée des Beaux Arts » : « About suffering they were never wrong, The Old Masters : how well they understood Its human position … ») des reflets de tableaux transparaissent ici et là chez Cecchinel, à moins que ce ne soit des photos qu’il mentionne (dans ses vers ou ses commentaires) celles de vivants, avant leur mort violente, ou celles de récemment tués, celles où, parfois, le poème découvre un regard comme entre vie et mort : « des yeux, eût-on dit, à ne pas mourir ainsi » c’est celle de vies qui osèrent se risquer, qui se retrouvèrent exposées plaquées « grumeau de chair et de spasmes » contre des parois – murs, cimetières, églises, maisons – ou sur des pentes de vallées, des éboulis…, des vies tranchées en plein vol, celles de jeunes gens coupées dans leur élan vers leurs avenirs, et que Cecchinel s’attache à retrouver là où elles auront créé, chairs blessés, corps eux-mêmes blessures, des entailles qui subsistent peut-être – même recouvertes – dans la vie de tous, dans les rapports entre tous * ces blessures, les poèmes têtus de Cecchinel ne veulent pas les laisser se refermer poèmes soudain polémiques – irréconciliables ? contre les « sans mémoire et menteurs » contre les « âmes vendues » contre « …langues et gorges agiles et immondes au souvenir habile » « contre des gueules de boue à l’obsédé babil » (ou j’ai brusquement pensé à l’un des sonnets parmi les plus âpres, celui de Milton sur le massacre des Vaudois, cette éloquence se portant, d’un vol, sur des monts lointains ensanglantés, et se tournant, rocailleuse, vers le ciel) * «… comme la source jaillit d’une paroi de glace, ton innocence toujours jaillit » : c’est à l’ouverture même de brèves vies interrompues que ces poèmes boivent, ils continuent de les recueillir là où elles s’élançaient vers des avenirs aussitôt évanouis, poèmes revenant à de jeunes morts, poèmes désireux – en se réinsinuant dans le passé (comme un ange de Rembrandt naît d’une pénombre sans âge) – de soutenir un instant encore ces corps s’effondrant… parfois c’est la vie même du supplicié, ou ce qu’il espérait devoir être sa vie que le poème – ainsi : « Pour Mario Pasi (dit Montagne), médecin, longuement torturé puis pendu par les Allemands » – ramène comme des plis de linge sur le corps affreusement exposé « Pour tes genoux troués on trouva une échelle de bois pour te porter massacré vers ton châtaignier comme pour une opération nécessaire et désespérée » * Poèmes-épitaphes, se dressant dans le temps comme des pierres tombales ? Oui – certains d’entre eux, en tout cas… Mais jamais ils ne scellent rien, les poèmes de Cecchinel : ils ne laissent pas se refermer les vies tranchées, ils les réouvrent aux instants de leurs choix ils vont les retrouver dans des instants où «… on arrive sur une crête où l’on ne peut pas ne pas choisir » * Car, oui, il y eut choix… au prix de la violence exercée non pas comme « légitime » (celle de l’Etat : armée, police), mais en tant que, donc, « partisans » des choix qui eurent à se faire, terribles, dans le proche, et à se soutenir dans la confusion des temps, celle des mois 1943-45, tranchant dans le mélange des existences (guerre civile) – dans la quasi identité parfois ? « l’un d’entre nous aurait bien pu être des vôtres et l’un d’entre vous des nôtres » – Et serait-il obscurcissant, ici, de citer cette lettre à sa mère – recopiée par Pavone, Une guerre civile – d’un « membre de la Garde nationale républicaine » de 16 ans parlant à sa mère d’un jeune partisan blessé qu’il a « dû transporter dans [ses] bras » : « ce partisan, celui sur lequel il m’a fallu tirer, autrement il aurait tiré le premier, il parlait la même langue que moi, il disait Mamma comme je le dis à présent ; c’était l’un des mes frères ! » ? et, oui, ce fut le temps de décisions, pour des jeunes souvent (et parfois, semble-t-il, si naïvement), tentant d’ouvrir leurs existences sur un avenir moins catastrophique, moins écrasé, « par ces sentiers voix de ceux qui répondirent de si près au mal qu’ils ressentirent le besoin de devenir meilleurs » et dans les vallées, dans les lieux familiers, les vies mêlées, ces instants seraient-ils (dans le silence des temps qui suivirent) restés béants (plusieurs années après la fin de la guerre, il subsista – c’est ce que nous apprend un poème au moins – sur les pentes, parmi les pierres, dans des trous, non seulement des vestiges de luttes passées mais aussi ce qui pouvait en préparer la suite, ou en affronter le retour : ainsi le poème « Sœurs de crainte » parle-t-il des « armes fraternelles » cachées, « braquées dans les crevasses, les gorges ») en fraîcheur cruelle sous forme d’échos et souffles («crépitements », « sanglots », « cris de la torture ») flottant dans l’air qui pourtant, au ras des herbes, entre les branches, etc., semblerait, toujours nouveau, n’avoir conservé nulle trace ? * Ce ne fut pas le vieux « mourir pour » (le « Dulce et decorum est pro patria mori » d’Horace) rejoué (et si vite dérisoire) lors de la première guerre mondiale, ce ne fut pas le choix de la mort c’était plutôt jouer sa vie pour la vie, contre le goût du sang, contre le prétendu (et truqué) sens du « sacrifice » fasciste… c’était risquer sa vie contre les mises en scène fascistes de la mort et les poèmes de Cecchinel redonnent chair aux choix qui furent alors à vivre (et je – n’importe quel lecteur – manque de mots ou de pensées, d’imagination, de générosité, pour recevoir ce que ces poèmes voudraient nous donner là) (il faudrait en tout cas mieux sentir en quoi une poésie comme celle de Cecchinel est, constitutivement, parente de ce que fut, au temps des choix, le rejet des théâtralisations fascistes – dans les assassinats ou le « sacrifice » – de la mort, ou comment Cecchinel retrouve, par son sens poétique, le dégoût, qui fut sans doute celui de jeunes hommes ou filles, d’un paysan, un prêtre ou un médecin, à l’endroit de la dévotion au « feu sacré » du « Duce », ou leur mépris pour un « culte » d’autant plus « sacrificiel », enragé et sanglant, que ses tenants ne pouvaient que sentir le creux de son objet fabriqué à leur exacte mesure) ils font ressurgir les « voix, dit Cecchinel, de ceux qui ne luttèrent pas pour la mort mais pour la liberté » * Canetti : « Il y a beaucoup à dire en faveur du don de soi, mais il doit être compensé par une liberté viscérale » (Notes de Hampstead) * Le choix de la liberté à quoi est inhérent non l’exaltation de la mort mais le « désir de vivre » (et le désir que les autres vivent), les poèmes de Cecchinel ne le retrouvent pas dans des slogans, dans de grands mots il n’y a aucune vanité idéologisante chez Cecchinel, les vers, souvent, courent, humbles, affairés, au ras de ce qui eut lieu (ou bien certains de ses poèmes s’attachent à résister aux illusions politico-poétiques : « Ah ! les poètes et les populistes le sanctifient mais le peuple n’est pas saint ou sinon sous le poids des rocs et par la brûlure livide des éclairs ») mais dans … l’air (jadis ? aujourd’hui ?) ou dans l’ « entre » à quoi ils allient leur propre limpidité interne. Librement sentir – fraîcheur encore, mais, celle-ci, légère – sans au-dessus (dans, par exemple, tel chemin où repartir, paysan, après avoir fait sauter d’une pichenette le chapeau d’un fasciste) tel dût être (car les poèmes savent nous le faire deviner dans le passé) l’enjeu pour certains instants de choix : en respirant les choses, les existences, être, oui, libre d’emprise… « Par l’ombre rêche de tes forêts » dit le poème adressé à « Mère-forêt » « quelques-uns purent revenir les yeux tournés vers la douceur d’un ciel désormais sans peur » * La fraîcheur noire-lumineuse d’un paysage d’hiver ((à peine tracée) ou celle d’un printemps (« comme dans le givre les bourgeons d’avril ») (mais il arrive qu’ on voie trembler d’autres transparences ou luminosités, celles, par exemple, de vitres ou d’écrans dans un hôpital où meurt « mon père », là où « ton cœur giclait dans des flux d’oxygène, comme alors, pour fuir les éclairs du gel ») on soupçonne parfois qu’elle a pu être première à être balbutiée, dans les phrases de Cecchinel encore mivirtuelles et ce fut plutôt en y alliant ses propres vers en formation (des clartés palpitent, entre les lignes qui s’esquissent, pour évoquer et contrebalancer, interrogativement, celles entrevues, jadis ou tout récemment, entre des rameaux ou des cimes de forêts ou sur des pentes rocheuses ou …) que le poème, de tout son présent propre (avec sa clarté contenue par exemple dans ces vers rimés tels que Martin Rueff a su les traduire), se retournant sur les paysages familiers (c’est-à-dire tels qu’ils furent autrefois perçus par d’autres, ou que la possibilité de les sentir fut reçue, dans l’enfance, des proches ou de quiconque dans les parages…, en autant de soutiens du désir de librement vivre-sentir) aura moins répondu au passé (et certainement pas comme pour s’acquitter d’une tâche) qu’il ne l’a appelé, offrant sa limpidité (verte argentée, parfois, ou blanche comme de gel, ou…) telle que par elle des traits du passé, des détails, durs, sanglants souvent, sont induits soudain ainsi, amèrement, ce « … peu de neige échappée au soleil d’une ombre misérable » sur quoi (selon la note adjointe au poème « Défi ») glissa Giuseppe Castelli en février 45 en tentant d’échapper aux balles des fascistes à se décocher du fond de l’oubli pour se ficher dans des poèmes qui ne cessent plus de se former en claire-inquiète réceptivité