a quel morto scelto fra i morti, con dolcezza, « noi

Transcription

a quel morto scelto fra i morti, con dolcezza, « noi
CLAUDE MOUCHARD in Perché ancora / Pourquoi encore, ISREV, 2005.
“…PAROLA CHE SA DI VENTO, RESINA E NEVE…”
Che freschezza ti prende, nel leggere Perché ancora ?
Verrà forse dal cosi vicino evocato nei versi di Cecchinel - muri e piazze, cortili di scuola, « scrosci di
campane », alberi e pietre, « scorza», « muschio» e « acetosella» - cosi’ vicino che sembra strapparsi
subito?
O sarà forse più particolarmente per il lettore straniero che sono, che sfuggono, con “un sapore di vento”,
luoghi e appartenenze, vite intrecciate, gente con nomi e soprannomi (il “dego”), con i loro odori – “sapere
di sudore e di fumo” - o con le loro voci come eco … ?
Ma nello stesso tempo, i particolari (inaspettati, mordenti) detti al volo da queste poesie hanno il potere di
evocare al lettore quasi casuale,
altri tratti, strappati ad altri passati
**
sapori caldi o ghiacciati di altri muri
di altre pietre, in altre vallate,
grigi aranci, abitati da altre poiane,
eco…, allora fra luoghi lontani
ma simultaneizzati dalla
guerra
oppure e’ LA distanza storica, o politica, che rende alcuni eventi, molto puntuali, impossibili da decifrare ?
Non é per questo che Cecchinel mette accanto (o sotto) AD alcuni dei suoi testi
delle note, delle spiegazioni biografiche storiche, dei commenti,
sullo fondo dei quali
palpitano, resi più sensibili nei versi stessi, il vicino e il lontano,
l’illuminato unito all’annegato nell’ombra ?
*
Terribile, comunque, la freschezza che nasce da questi versi
o che riescono a captare, come uscita dal passato
e una ferita sembra riaprirsi in ogni poesia, e soffia su di noi….
*
« noi » dicono a volte le poesie,
parlando ai morti,
a quel morto scelto fra i morti, con dolcezza,
« noi dovremmo provare
a parlarti in silenzio
come gli alberi all’aria,
COME l’acqua alla luce. »
qui cercasi … un « noi »:
quello di persone vicine (nelle zone in cui trovarono la morte) dei giovani caduti ?
o quello dei lettori nella loro (crescente) distanza da queste poesie ?
*
Vento insanguinato del 43-45 : é questo da cui il ricordo viene rianimato, in fretta ogni volta, nei versi
strazianti di Cecchinel …
Terrore nazista : esecuzioni, a due passi, sulla piazza d’un villaggio, o davanti alla propria casa di quello che
verrà ammazzato, o sparizioni ? nei campi – Buchenwald, Treblinka, etc.,
Terrore fascista – recente, ma che ricorre, spesso, a vecchie brutalità, quelle del dominio di classe, o di
caste –,
E, sempre, l’ignobile creatività delle messe in scena, dei « nazi-fascisti », delle umiliazioni e dei supplizi…
*
La freschezza che LE poesie di Cecchinel si sforzano di fare riaffiorare da questi momenti atroci
– come, un tempo, questi pittori attivi nelle loro tele di martiri
(superficie delle pelli insanguinate – Cristo, Sebastiano, o Marsia – nelle ultime tele di Tiziano) ?
(Auden, nel « Museo dei DELLE Belle Arti » :
« About suffering they were never wrong,
The Old Masters : how well they understood
Its human position … »)
Riflessi di pitture traspaiono ogni tanto
nel testo di Cecchinel,
altre volte il poeta menziona delle foto
(nei versi come nei commenti)
quelle dei vivi, prima dell’ uccisione,
o quelle degli appena caduti,
quelle, dove, a volte, la poesia scopre uno sguardo
come fra la vita e la morte :
« Occhi - si direbbe –
da non dove morire
in questo modo».
é la freschezza di queste vite che hanno saputo rischiare, che si sono ritrovate esposte
placate
"grumi di carne e di spasimi"
contro pareti – muri, cimiteri, chiese, case- o sulle pendenze delle vallate,
di crepe terrose …,
vite tranciate in volo,
quelle dei ragazzi tagliate nel loro slancio verso i loro futuri
e che Cecchinel s’impegna a ritrovare là dove avranno creato, carni ferite, corpi fatti ferite,
tagli che perdurano – anche ricoperti – nella vita di tutti, nei rapporti fra tutti
*
le poesie testarde di Cecchinel
non vogliono che queste ferite si rimarginino
poesie all’improvviso polemiche – non riconciliabili ?
contro questi « smemorati e mentitori »
contro le « Anime vendute»
contro
« …lingue e le gole
agili e immonde
in scaltro rimembrare »
« contro musi di melma
in ossesso sbavare»
(dove all’improvviso ho pensato a uno dei più aspri sonetti,
di Milton sul massacro dei Valdesi,
quest’eloquenza che sa portarsi, in un volo, verso monti
lontani insanguinati,
e che si gira,subito rocciosa,
verso il cielo)
*
«… come una sorgente
da una parete di ghiaccio
la tua innocenza ancor sfolgora» :
è all’apertura stessa di vite brevi, interrotte, che queste poesie vengono a bere,
e non smettono di raccoglierle là dove partivano verso futuri subito svaniti,
poesie per giovani caduti,
poesie desiderose – nel ricollocarsi nel passato (come un angelo di Rembrandt nasce
da una penombra senza età) – di sostenere un istante ancora questi corpi nel momento del loro sprofondare…
-
talvolta é la vita stessa del suppliziato, o quello che pensava che sarebbe stata la sua vita
che la poesia,
cosi « Per a Mario Pasi (Montagna), medico, lungamente torturato e poi impiccato dai
tedeschi »tira su,
come le pieghe d’uno straccio sul corpo orrendamente esposto
« Per
le ginocchia forate
ci fu una scala di legno
per portarti massacrato al tuo castagno
come per operazione necessaria,
disperata».
*
Poesie- epitaffi
dritte nel tempo come lapidi ?
certo – per alcune fra di loro…
Ma le poesie di Cecchinel non sigillano mai niente,:
non lasciano che si richiudano le vite strozzate
anzi, le riaprono nei momenti delle loro scelte
le vanno a ritrovare nei momenti in cui
«… si arriva su un ciglio
in cui non si può non scegliere»
*
Perché, Sì davvero, la scelta c’é stata…
pagando il prezzo della violenza, non di quella « legittimata »
(quella dello Stato : esercito, polizia),
ma, bene quella dei « partigiani ».
scelte che furono fatte, terribili, nella vicinanza, e sostenute ancora nella confusione dei tempi, quella dei
mesi del 43-45,
scelta che taglio’
nel bel miscuglio delle esistenze (guerra civile)
- nella quasi identità a volte ?
« qualcuno di noi sarebbe potuto
esser stato dalla vostra parte
e qualcuno di voi
dalla nostra» –
e mi chiedo se sarebbe forviante, qui,
citare questa lettera alla mamma – copiata da Pavone, Una guerra civile –
scritta da un « membro delle Guardia nazionale repubblicana » di sedici anni
parlando alla sua mamma d’un giovane partigiano ferito che ha dovuto « trasportare fra le sue braccia » :
« questo partigiano, quello al quale sono stato costretto a sparare,
perché se no avrebbe sparato per primo, parlava la stessa lingua mia,
diceva Mamma, come lo sto dicendo adesso : era uno dei miei fratelli ! » ?
e, davvero, fu tempo di decisioni, prese spesso da giovani (e a volte, pare, in un modo cosi’ ingenuo), che
cercavano di aprire le loro esistenze su un futuro meno tragico, meno schiacciato,
« Per questi sentieri
le voci di coloro che risposero
al male così da vicino
che sentirono il bisogno
di essere migliori»
e nelle vallate, nei luoghi ben conosciuti, le vite intrecciate,
questi istanti sarebbero rimasti (nel silenzio dei tempi successivi) aperti
(molti anni dopo la fine della guerra, erano rimasti
- come ci insegna una poesia almeno –
sulle pendenze, fra le pietre e nei buchi,
non soltanto vestigia delle lotte passate
ma anche cio’ che ne poteva preparare il seguito o affrontarne il ritorno :
cosi’ la poesia « Sorelle di paura » parla
delle « armi fraterne » nascoste,
« braccate in crepacci, spelonche »)
in una freschezza crudele sotto la forma di eco e di soffi (« crepitii, singhiozzi, grida di tortura»)
galleggiante nell’aria che, pertanto,
sfiorando l’erba, fra i rami, etc.,
sembrerebbe, sempre nuova, non avere conservato nessuna traccia ?
*
Non é stato il vecchio « morire per »
(il « Dulce et decorum est pro patria mori » di Orazio)
ripreso (e cosi’ prontamente derisorio), durante la prima guerra mondiale,
non é stata la scelta della morte
si trattava piuttosto di giocare la propria vita per la vita,
contro il gusto del sangue,
contro il cosiddetto (e cosi’ falsificato) gusto fascista per il sacrificio…
si trattava di rischiare la propria vita contro la messa in scena fascista della morte
e le poesie di Cecchinel sanno ridare corpo
alle scelte
che furono allora quelle del vivere
(ed io - ma vale per qualunque lettore –sento che mancano le parole i pensieri, l’immaginazione, la generosità,
per ricevere quello che queste poesie vorrebbero darci)
(e sarebbe comunque necessario sentire meglio
in che cosa una poesia come quella di Cecchinel è, in un modo costituzionale, vicina a quello che fu,
nel tempo delle scelte,
il rifiuto
della messa in scena fascista – negli assassinii o nel “sacrificio”- della morte,
o come Cecchinel ritrova, grazie al suo senso poetico, il disgusto,
che fu, senza dubbio, quello dei ragazzi o delle ragazze, d’un contadino, di un prete o un medico,
verso la devozione al “fuoco sacro” del “Duce”,
o il loro disprezzo
per un “culto” che era tanto “sacrificale”, arrabbiato, e sanguinoso,
che i suoi cultori non potevano che sentire
il vuoto del suo oggetto fabbricato su misura)
fanno riemergere le «voci”, scrive Cecchinel,
di coloro che non lottarono per la morte
ma per la libertà»
*
Canetti : « C’é molto da dire in favore del dono di se,
ma deve essere compensato da una libertà viscerale »
(Note di Hampstead)
*
La scelta della libertà
alla quale appartiene non l’esaltazione della morte, ma il “desiderio di vivere” (e anche il desiderio che gli
altri vivano),
le poesie di Cecchinel
non la ritrovano negli slogan o nelle parole altisonanti,
non c’é nessuna vanità ideologica in Cecchinel,
i versi, spesso, corrono, umili, occupati, vicini a quello che c’é stato
(o allora alcune poesie
s’impegnano a resistere alle illusioni politiche poetiche :
« Ah ! lo santificano poeti e populisti
ma il popolo non è santo
o lo è nel peso dei macigni
e nella livida ustione delle folgori»)
ma nell’…aria (una volta ? oggi ?) o nel “fra”
al quale aggiungono la propria limpidezza interna.
Sentire liberamente – freschezza ancora, ma leggera, questa senza niente sopra di sé
(e per esempio in tale sentiero dove ripartire, contadino, dopo avere fatto volar via ad un fascista il
cappello)
tale fu (le poesie sanno crearne l’idea nel passato)
la posta in gioco
per alcuni istanti di scelta :
nel respirare le cose, le esistenze,
essere liberi, si, di ogni forma di dominio…
“Per il ruvido della tua stretta scura”
dice la poesia alla Selvamadre
“alcuni sarebbero tornati,
gli occhi verso il morbido
di un cielo senza paura».
*
La freschezza nera-luminosa d’un paesaggio d’inverno (appena tracciata)
o quella d’una primavera
(« Come nella brina gemme d'aprile»)
(ma succede anche di intravedere, in tremore,
altre trasparenze, altre luminosità, quella, per esempio delle vetrate o degli schermi
in un ospedale dove muore “mio padre” laddove
« il tuo cuore schizzava
per fiotti d’ossigeno, come allora
in fuga da lampi di gelo. »)
si comincia ad avere il sospetto che forse é stata la prima ad essere balbettata, nelle frasi di Cecchinel allora
ancora semi virtuale
e che fu piuttosto mischiando
i propri versi in formazione
(delle chiarezze si mettono a palpitare, fra le linee indovinate,
per evocare e controbilanciare, in un modo interrogativo,
quelle intraviste, tempo fa o recentemente, fra rami o cime di foreste,
o pendenze di rocce o …)
che la poesia, in tutto il suo presente (con la chiarezza contenuta per esempio nei versi rimati),
girandosi verso paesaggi ben conosciuti
(ovvero tali quali furono nel passato percepiti da altri,
o che la possibilità di percepirli fu recepita, nell’infanzia,
dai parenti o da chiunque nella zona…,
in tanti sostegni del desiderio di vivere-sentire liberamente)
avrà forse risposto meno al passato (e certo non per rispondere ad un compito)
che l’avrà chiamato
regalando la sua limpidezza
(verde argento, a volte, o bianca come dal gelo, o…)
in modo che, attraverso le sue righe, dei tratti del passato, dei particolari, duri, sanguinosi spesso,
si trovano portati in una volta,
cosi’, con amarezza, questo
« … tiro di neve
sfuggita per misera ombra al sole. »
sul quale
(cosi’ racconta la nota della poesia “Sfida”) scivolò Giuseppe Castelli nel febbraio 45
cercando di sfuggire alle pallottole fasciste
a vibrare dal fondo dell’oblio
per andare a conficcarsi in poesie che non smettono di formarsi
in una chiara-inquieta ricettivita’
«… MOTS / À LA SAVEUR DE VENT, DE RÉSINE ET DE NEIGE… »
Quelle fraîcheur saisit, à lire Pourquoi encore ?
Emane-t-elle du tout proche qu’évoquent les vers de Cecchinel – murs et places, cours d’école, « vacarme
des cloches », arbres et pierres, «écorce », « mousse » ou « oseille » –
et qui semble aussitôt s’arracher ?
Est-ce particulièrement au lecteur étranger que je suis (en français, grâce à Martin Rueff) que se dérobent,
avec une « saveur de vent »,
lieux ou appartenances, vies entrelacées, gens avec leurs noms ou surnoms (« Dego »), avec leurs odeurs –
« ma senteur de sueur et de fumée » – ou leurs voix comme des échos… ?
En même temps, les détails (inattendus, mordants) dits au vol par ces poèmes
peuvent faire venir chez tel lecteur quasi de hasard
d’autres traits, arrachés à d’autres passés
odeurs chaudes ou glacées d’autres murs,
d’autres pierres, dans d’autres vallées
grises orangées hantées d’autres buses,
échos…, alors entre lieux lointains
mais simultanéisés par
la guerre
Ou serait-ce du fait de la distance historique, ou politique, que certains événements, très ponctuels, seraient
devenus quasi indéchiffrables ?
N’est-ce pas pour cette raison que Cecchinel glisse
à côté (ou en-dessous) de certains de ses poèmes
des notes, des explications biographico-historiques, des commentaires,
sur le fond desquels
palpitent, d’autant plus sensibles dans les vers, le tout proche et le lointain,
de l’éclairé uni au noyé d’ombre ?
*
Terrible, en tout cas, la fraîcheur qui sourd de ces vers
ou qu’ils captent, comme sortant du passé
et une blessure paraît se rouvrir à chaque poème, et souffle sur nous…
*
« nous » disent parfois les poèmes
en s’adressant aux morts,
à tel d’entre eux, doucement
«nous devrions essayer
de te parler en silence
comme les arbres parlent à l’air,
comme l’eau à la lumière »
… un « nous » se cherche ici :
celui de proches (dans les parages où ils moururent) des jeunes disparus ?
ou celui des lecteurs à distance (croissante) de ces poèmes ?
*
Vent ensanglanté des années 43-45 : c’est lui dont le souvenir est ranimé, brièvement à chaque fois, par les
vers déchirants de Cecchinel…
Terreur nazie : exécutions, tout près, sur la place d’un village, ou devant la maison de celui qu’on tue, ou
disparitions dans des camps – Buchenwald, Treblinka, etc.,
terreur fasciste – récente mais usant, souvent, de vieilles brutalités, celles de la domination de classe ou de
caste –,
et, toujours, l’ignoble inventivité des mises en scène, par les « nazis-fascistes », des humiliations et des
supplices…
*
La fraîcheur que ces poèmes de Cecchinel s’astreignent à faire réémaner de moments atroces
– comme, jadis, des peintres s’activant à leurs tableaux des martyres
(surfaces de peaux sanglantes – Christ, Sébastien ou Marsyas – des derniers Titien) ?
(Auden, dans « Musée des Beaux Arts » :
« About suffering they were never wrong,
The Old Masters : how well they understood
Its human position … »)
des reflets de tableaux transparaissent ici et là
chez Cecchinel,
à moins que ce ne soit des photos qu’il mentionne
(dans ses vers ou ses commentaires)
celles de vivants, avant leur mort violente,
ou celles de récemment tués,
celles où, parfois, le poème découvre un regard
comme entre vie et mort :
« des yeux, eût-on dit,
à ne pas mourir
ainsi »
c’est celle de vies qui osèrent se risquer, qui se retrouvèrent exposées
plaquées
« grumeau de chair et de spasmes »
contre des parois – murs, cimetières, églises, maisons – ou sur des pentes de vallées,
des éboulis…,
des vies tranchées en plein vol,
celles de jeunes gens coupées dans leur élan vers leurs avenirs,
et que Cecchinel s’attache à retrouver là où elles auront créé, chairs blessés, corps eux-mêmes blessures,
des entailles qui subsistent peut-être – même recouvertes – dans la vie de tous, dans les rapports entre tous
*
ces blessures, les poèmes têtus de Cecchinel
ne veulent pas les laisser se refermer
poèmes soudain polémiques – irréconciliables ?
contre les « sans mémoire et menteurs »
contre les « âmes vendues »
contre
« …langues et gorges
agiles et immondes
au souvenir habile »
« contre des gueules de boue
à l’obsédé babil »
(ou j’ai brusquement pensé à l’un des sonnets parmi les plus âpres,
celui de Milton sur le massacre des Vaudois,
cette éloquence se portant, d’un vol, sur des monts lointains ensanglantés,
et se tournant, rocailleuse,
vers le ciel)
*
«… comme la source jaillit
d’une paroi de glace,
ton innocence toujours jaillit » :
c’est à l’ouverture même de brèves vies interrompues que ces poèmes boivent,
ils continuent de les recueillir là où elles s’élançaient vers des avenirs aussitôt évanouis,
poèmes revenant à de jeunes morts,
poèmes désireux – en se réinsinuant dans le passé (comme un ange de Rembrandt naît d’une pénombre sans
âge) – de soutenir un instant encore ces corps s’effondrant…
parfois c’est la vie même du supplicié, ou ce qu’il espérait devoir être sa vie
que le poème
– ainsi : « Pour Mario Pasi (dit Montagne), médecin, longuement torturé puis pendu par les Allemands » –
ramène
comme des plis de linge sur le corps affreusement exposé
« Pour tes genoux troués
on trouva une échelle de bois
pour te porter massacré vers ton châtaignier
comme pour une opération nécessaire
et désespérée »
*
Poèmes-épitaphes,
se dressant dans le temps comme des pierres tombales ?
Oui – certains d’entre eux, en tout cas…
Mais jamais ils ne scellent rien, les poèmes de Cecchinel :
ils ne laissent pas se refermer les vies tranchées,
ils les réouvrent aux instants de leurs choix
ils vont les retrouver dans des instants où
«… on arrive sur une crête
où l’on ne peut pas ne pas choisir »
*
Car, oui, il y eut choix…
au prix de la violence exercée non pas comme « légitime »
(celle de l’Etat : armée, police),
mais en tant que, donc, « partisans »
des choix qui eurent à se faire, terribles, dans le proche, et à se soutenir dans la confusion des temps, celle des
mois 1943-45,
tranchant
dans le mélange des existences (guerre civile)
– dans la quasi identité parfois ?
« l’un d’entre nous aurait bien pu
être des vôtres
et l’un d’entre vous
des nôtres » –
Et serait-il obscurcissant, ici,
de citer cette lettre à sa mère – recopiée par Pavone, Une guerre civile –
d’un « membre de la Garde nationale républicaine » de 16 ans
parlant à sa mère d’un jeune partisan blessé qu’il a « dû transporter dans [ses] bras » :
« ce partisan, celui sur lequel il m’a fallu tirer, autrement il aurait tiré le premier, il parlait la même langue que moi, il disait
Mamma comme je le dis à présent ; c’était l’un des mes frères ! » ?
et, oui, ce fut le temps de décisions, pour des jeunes souvent (et parfois, semble-t-il, si naïvement), tentant
d’ouvrir leurs existences sur un avenir moins catastrophique, moins écrasé,
« par ces sentiers
voix de ceux qui répondirent
de si près au mal
qu’ils ressentirent le besoin
de devenir meilleurs »
et dans les vallées, dans les lieux familiers, les vies mêlées,
ces instants seraient-ils (dans le silence des temps qui suivirent) restés béants
(plusieurs années après la fin de la guerre, il subsista
– c’est ce que nous apprend un poème au moins –
sur les pentes, parmi les pierres, dans des trous,
non seulement des vestiges de luttes passées
mais aussi ce qui pouvait en préparer la suite, ou en affronter le retour :
ainsi le poème « Sœurs de crainte » parle-t-il des
« armes fraternelles » cachées,
« braquées dans les crevasses, les gorges »)
en fraîcheur cruelle sous forme d’échos et souffles («crépitements », « sanglots », « cris de la torture »)
flottant dans l’air qui pourtant,
au ras des herbes, entre les branches, etc.,
semblerait, toujours nouveau, n’avoir conservé nulle trace ?
*
Ce ne fut pas le vieux « mourir pour »
(le « Dulce et decorum est pro patria mori » d’Horace)
rejoué (et si vite dérisoire) lors de la première guerre mondiale,
ce ne fut pas le choix de la mort
c’était plutôt jouer sa vie pour la vie,
contre le goût du sang,
contre le prétendu (et truqué) sens du « sacrifice » fasciste…
c’était risquer sa vie contre les mises en scène fascistes de la mort
et les poèmes de Cecchinel redonnent chair
aux choix
qui furent alors à vivre
(et je – n’importe quel lecteur – manque de mots ou de pensées, d’imagination, de générosité,
pour recevoir ce que ces poèmes voudraient nous donner là)
(il faudrait en tout cas mieux sentir
en quoi une poésie comme celle de Cecchinel est, constitutivement, parente de ce que fut,
au temps des choix,
le rejet
des théâtralisations fascistes – dans les assassinats ou le « sacrifice » – de la mort,
ou comment Cecchinel retrouve, par son sens poétique, le dégoût,
qui fut sans doute celui de jeunes hommes ou filles, d’un paysan, un prêtre ou un médecin,
à l’endroit de la dévotion au « feu sacré » du « Duce »,
ou leur mépris
pour un « culte » d’autant plus « sacrificiel », enragé et sanglant,
que ses tenants ne pouvaient que sentir
le creux de son objet fabriqué à leur exacte mesure)
ils font ressurgir les « voix, dit Cecchinel,
de ceux qui ne luttèrent pas pour la mort
mais pour la liberté »
*
Canetti : « Il y a beaucoup à dire en faveur du don de soi,
mais il doit être compensé par une liberté viscérale »
(Notes de Hampstead)
*
Le choix de la liberté
à quoi est inhérent non l’exaltation de la mort mais le « désir de vivre » (et le désir que les autres vivent),
les poèmes de Cecchinel
ne le retrouvent pas dans des slogans, dans de grands mots
il n’y a aucune vanité idéologisante chez Cecchinel,
les vers, souvent, courent, humbles, affairés, au ras de ce qui eut lieu
(ou bien certains de ses poèmes
s’attachent à résister aux illusions politico-poétiques :
« Ah ! les poètes et les populistes le sanctifient
mais le peuple n’est pas saint
ou sinon sous le poids des rocs
et par la brûlure livide des éclairs »)
mais dans … l’air (jadis ? aujourd’hui ?) ou dans l’ « entre »
à quoi ils allient leur propre limpidité interne.
Librement sentir – fraîcheur encore, mais, celle-ci, légère –
sans au-dessus
(dans, par exemple, tel chemin où repartir, paysan, après avoir fait sauter d’une pichenette le chapeau d’un
fasciste)
tel dût être (car les poèmes savent nous le faire deviner dans le passé)
l’enjeu
pour certains instants de choix :
en respirant les choses, les existences,
être, oui, libre d’emprise…
« Par l’ombre rêche de tes forêts »
dit le poème adressé à « Mère-forêt »
« quelques-uns purent revenir
les yeux tournés vers la douceur
d’un ciel désormais sans peur »
*
La fraîcheur noire-lumineuse d’un paysage d’hiver ((à peine tracée)
ou celle d’un printemps
(« comme dans le givre les bourgeons d’avril »)
(mais il arrive qu’ on voie trembler
d’autres transparences ou luminosités, celles, par exemple, de vitres ou d’écrans
dans un hôpital où meurt « mon père », là où
« ton cœur giclait
dans des flux d’oxygène, comme alors,
pour fuir les éclairs du gel »)
on soupçonne parfois qu’elle a pu être première à être balbutiée, dans les phrases de Cecchinel encore mivirtuelles
et ce fut plutôt en y alliant
ses propres vers en formation
(des clartés palpitent, entre les lignes qui s’esquissent,
pour évoquer et contrebalancer, interrogativement,
celles entrevues, jadis ou tout récemment, entre des rameaux ou des cimes de forêts
ou sur des pentes rocheuses ou …)
que le poème, de tout son présent propre (avec sa clarté contenue par exemple dans ces vers rimés tels que
Martin Rueff a su les traduire),
se retournant sur les paysages familiers
(c’est-à-dire tels qu’ils furent autrefois perçus par d’autres,
ou que la possibilité de les sentir fut reçue, dans l’enfance,
des proches ou de quiconque dans les parages…,
en autant de soutiens du désir de librement vivre-sentir)
aura moins répondu au passé (et certainement pas comme pour s’acquitter d’une tâche)
qu’il ne l’a appelé,
offrant sa limpidité
(verte argentée, parfois, ou blanche comme de gel, ou…)
telle que par elle des traits du passé, des détails, durs, sanglants souvent,
sont induits soudain
ainsi, amèrement, ce
« … peu de neige
échappée au soleil d’une ombre misérable »
sur quoi
(selon la note adjointe au poème « Défi ») glissa Giuseppe Castelli en février 45
en tentant d’échapper aux balles des fascistes
à se décocher du fond de l’oubli
pour se ficher dans des poèmes qui ne cessent plus de se former
en claire-inquiète réceptivité