universita` degli studi di ferrara - Università degli studi di Bergamo

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universita` degli studi di ferrara - Università degli studi di Bergamo
Jean-Paul Sartre
A porte chiuse
a cura di Paolo Bignamini
La parola conclusiva sul suo stesso lavoro merita di essere proprio quella di
Jean-Paul Sartre, raccolta nella citata introduzione introduzione al testo
registrata nel 1965 1, e qui integralmente riportata in italiano e - in nota - in
francese: “Quando si scrive una pièce, vi sono sempre cause occasionali e
problematiche più profonde.
La causa occasione era che, nel momento in cui ho scritto Huis clos, tra il
1943 e l'inizio del 1944, avevo tre amici e volevo scrivere per loro una pièce
nella quale nessuno avesse più spazio dell'altro.
In altre parole, volevo che restassero tutto il tempo in scena. Perché mi sono
detto: 'Se uno deve uscire di scena, penserà che gli altri hanno un ruolo
migliore dal momento che lui è stato fatto uscire...'.
Volevo quindi tenerli insieme. E ho pensato: 'Come possiamo mettere
insieme tre persone senza mai farne uscire una di scena, e tenerli sul palco
fino alla fine, come fosse per sempre?'
E' lì che mi è venuta l'idea di metterli all'inferno e di fare in modo che
ciascuno fosse il carnefice degli altri due. Questa è la causa occasionale.
Successivamente però, devo dire, questi tre amici non hanno recitato la pièce
e, come sapete, sono stati Vitold, Tania Balachova e Gaby Sylvia, che la
1
Cfr. supra, p.8.
hanno recitata.
Ma c'erano a quei tempi problematiche più vaste con cui fare i conti, e così
ho voluto esprimere nel testo qualcosa di diverso rispetto quello che la
semplice occasione mi dava.
Ho voluto dire: 'l'inferno, sono gli altri'.
Ma 'l'inferno, sono gli altri' è sempre stato frainteso.
Si è pensato che volessi con questo dire che le nostre relazioni con gli altri
sono sempre avvelenate, che si tratta sempre di rapporti infernali.
In realtà, quello che voglio dire è un'altra cosa..
Voglio dire che, se i nostri rapporti con gli altri sono intricati, viziati, allora
l'altro non può che essere l'inferno.
Perché? Perché gli altri sono fondamentalmente ciò che c'è di più importante
in noi stessi per la nostra conoscenza di noi stessi.
Quando noi ci pensiamo, quando cerchiamo di conoscerci, in fondo noi
utilizziamo quelle conoscenze che gli altri hanno già di noi.
Noi ci giudichiamo con i mezzi che gli altri hanno, ci (corsivo mio, ndt.)
hanno. dato per giudicarci.
Qualsiasi cosa io dica su di me, c'è sempre dentro il giudizio degli altri.
Ciò significa che, se i miei rapporti sono cattivi, mi metto in totale
dipendenza dagli altri.
E allora davvero sono all'inferno.
E c'è una quantità di gente nel mondo che è all'inferno, perché dipende
troppo dal giudizio degli altri.
Ma questo non vuol dire assolutamente che non si possano avere rapporti
differenti con gli altri. Sottolinea semplicemente l'importanza capitale di tutti
gli altri per ognuno di noi.
La seconda cosa che vorrei dire è che questi personaggi non sono simili a
noi.
I tre protagonisti che sentirete recitare in A porte chiuse non ci assomigliano
perché noi siamo vivi e loro sono morti. Naturalmente, qui, 'morto'
simboleggia qualcosa.
Quello che ho voluto dimostrare è proprio che molte persone sono incrostate
in abitudini e comportamenti che esse stesse disprezzano, ma che non
cercano nemmeno di provare a cambiare.
E queste persone sono come morte.
In questo senso non possono rompere la gabbia delle loro problematiche,
delle loro preoccupazioni, dei loro comportamenti, e sono spesso vittime di
giudizi espressi da altri su di loro.
Da questo punto di vista, è ovvio che siano vigliacchi o cattivi, per esempio.
Se hanno cominciato a essere vigliacchi, non interviene nulla a cambiare il
loro essere vigliacchi.
E' per questo motivo che sono morti, è un modo per dire che essere
circondati dalla preoccupazione eterna e da azioni che non si vogliono
cambiare, è una morte vivente
Ma siccome, in realtà, noi siamo vivi, ho voluto mostrare, per assurdo,
l'importanza della nostra libertà, vale a dire l'importanza di cambiare gli atti
degli altri atti .
Qualunque sia il cerchio dell'inferno nel quale viviamo, penso che noi siamo
liberi di romperlo.
E se una persone non lo rompe, è ancora liberamente che sceglie di restarvi,
al punto di mettersi liberamente all'inferno.
Quindi, ecco: rapporti con gli altri, abitudini incrostate e libertà, e libertà
come altra faccia, appena suggerita, della medaglia; questi sono i tre temi del
dramma.
Vorrei che questo venisse ricordato quando sentirete dire: 'l'nferno, sono gli
altri' "2
Il disvelamento dell'apparente paradosso portato da 'l'inferno sono gli altri',
fa pensare oggi che, sartrianamente parlando, esso non poteva essere svolto
che come poco sopra descritto dal maestro.
2
"Quand on écrit une pièce, il y a toujours des causes occasionnelles et des soucis profonds. La cause occasionnelle
c'est que, au moment où j'ai écrit Huis clos, vers 1943 et début 44, j'avais trois amis et je voulais qu'ils jouent une
pièce, une pièce de moi, sans avantager aucun d'eux. C'est-à-dire , je voulais qu'ils restent ensemble tout le temps sur
la scène. Parce que je me disais : "S'il y en a un qui s'en va, il pensera que les autres ont un meilleur rôle au moment
où il s'en va..." Je voulais donc les garder ensemble. Et je me suis dit : "Comment peut-on mettre ensemble trois
personnes sans jamais faire sortir l'une d'elles et les garder sur la scène jusqu'au bout comme pour l'éternité?"
C'est là que m'est venue l'idée de les mettre en enfer et de les faire chacun le bourreau des deux autres. Telle est la
cause occasionnelle. Par la suite d'ailleurs, je dois dire, ces trois amis n'ont pas joué la pièce et, comme vous le
savez c'est Vitold, Tania Balachova et Gaby Sylvia qui l'ont jouée. Mais il y avait à ce moment-là des soucis plus
généraux et j'ai voulu exprimer autre chose dans la pièce que simplement ce que l'occasion me donnait. J'ai voulu
dire : l'enfer, c'est les autres. Mais "l'enfer, c'est les autres" a toujours été mal compris. On a cru que je voulais dire
par là que nos rapports avec les autres étaient toujours empoisonnés, que c'étaient toujours des rapports infernaux.
Or, c'est autre chose que je veux dire. Je veux dire que si les rapports avec autrui sont tordus, viciés, alors l'autre ne
peut-être que l'enfer. Pourquoi ? Parce que les autres sont au fond ce qu'il y a de plus important en nous-mêmes pour
notre propre connaissance de nous-mêmes. Quand nous pensons sur nous, quand nous essayons de nous connaître,
au fond nous usons ces connaissances que les autres ont déjà sur nous. Nous nous jugeons avec les moyens que les
autres ont, nous ont donné de nous juger. Quoique je dise sur moi, toujours le jugement d'autrui entre dedans. Ce qui
veut dire que, si mes rapports sont mauvais, je me mets dans la totale dépendance d'autrui. Et alors en effet je suis en
enfer. Et il existe une quantité de gens dans le monde qui sont en enfer parce qu'ils dépendent trop du jugement
d'autrui. Mais cela ne veut nullement dire qu'on ne puisse avoir d'autres rapports avec les autres. Ça marque
simplement l'importance capitale de tous les autres pour chacun de nous. Deuxième chose que je voudrais dire,
c'est que ces gens ne sont pas semblables à nous. Les trois personnages que vous entendrez dans Huis clos ne nous
ressemblent pas en ceci que nous sommes vivants et qu'ils sont morts. Bien entendu, ici "morts" symbolise quelque
chose. Ce que j'ai voulu indiquer, c'est précisément que beaucoup de gens sont encroûtés dans une série d'habitudes,
de coutumes, qu'ils ont sur eux des jugements dont ils souffrent mais qu'ils ne cherchent même pas à changer. Et que
ces gens-là sont comme morts. En ce sens qu'ils ne peuvent briser le cadre de leurs soucis, de leurs préoccupations et
de leurs coutumes; et qu'ils restent ainsi victimes souvent des jugements qu'on a portés sur eux. A partir de là , il est
bien évident qu'ils sont lâches ou méchants par exemple. S'ils ont commencé à être lâches , rien ne vient changer
le fait qu'ils étaient lâches. C'est pour cela qu'ils sont morts, c'est pour cela, c'est une manière de dire que c'est une
mort vivante que d'être entouré par le souci perpétuel de jugements et d'actions que l'on ne veut pas changer. De
sorte que, en vérité, comme nous sommes vivants, j'ai voulu montrer pr l'absurde, l'importance chez nous de la
liberté, c'est-à-dire l'importance de changer les actes par d'autres actes. Quel que soit le cercle d'enfer dans lequel
nous vivons, je pense que nous sommes libres de le briser. Et si les gens ne le brisent pas, c'est encore librement
qu'ils y restent, de sorte qu'ils se mettent librement en enfer. Vous voyez donc que, rapports avec les autres,
encroûtement et liberté , liberté comme l'autre face à peine suggérée, ce sont les trois thèmes de la pièce. Je voudrais
qu'on se le rappelle quand vous entendrez dire : "l'enfer c'est les autres." (J.-P. Sartre, Un théâtre de situation,
Gallimard, Paris, 1973 – a cura di Michel Contat e Michel Rybalka).
Ma è l'approccio post-sartriano a consentirci questa lucidità.
Tentare di rompere il cerchio infernale: la posizione di Sartre fa pensare,
ancora una volta a Beckett, e a quella sua misteriosa coazione a fallire che, a
sua volta, così tanto ci richiama alla memoria l'epilogo di un'altra celebre
opera sartriana, Le parole.
Cosa resta da fare, si chiedeva Sartre nell'atto di congedarsi dalla letteratura
nella sua splendida biografia immaginaria, se non continuare a scrivere?
“Scrivo sempre.
Che c’è da fare di diverso? Nulla dies sine linea.
E’ la mia abitudine, e poi è il mio mestiere.
Per molto tempo ho preso la penna per una spada: ora conosco la nostra
impotenza.
Non importa: faccio, farò dei libri; ce n’è bisogno; e serve, malgrado tutto.
La cultura non salva niente né nessuno, non giustifica.
Ma è un prodotto dell’uomo: egli vi si proietta, vi si riconosce; questo
specchio critico è il solo ad offrirgli la sua immagine.
Del resto, questa vecchia costruzione in rovina, la mia impostura, è anche il
mio carattere: ci si disfa d’una nevrosi, non ci si guarisce di sé (...).
Se ripongo l’impossibile Salvezza nel ripostiglio degli attrezzi, cosa resta?
Tutto un uomo, fatto di tutti gli uomini: li vale tutti, chiunque lo vale”3.
3
Le parole, trad. it. di Luigi De Nardis, Net, Milano, 2002 – p. 175.
APPENDICE 1
Jean-Paul Sartre
A porte chiuse
Dramma in un atto
A quella signora4
A porte chiuse è stato rappresentato per la prima volta al Théâtre du Vieux-Colombier nel
maggio del 1944.
4
Si tratta di Madame Louis Morel, nella cui casa di campagna Sartre e de Beuavoir si trovavano ospiti
durante l'estate del 1943. Ingrid Galster scrive che Mme Morel, madre di una studentessa di Sartre,
ospitava spesso i due e inviava loro cibo a Parigi durante i momenti più difficili. La dedica à cette dame si
spiega con il fatto che in questo modo i due intellettuali indicavano la donna. (I. Galster, Le théâtre de JeanPaul Sartre devant ses premiers critiques, op. cit., p. 193).
Personaggi
Inès
Estelle
Garcin
Il cameriere
SCENA I
Garcin, il cameriere al piano
Un salotto in stile Secondo Impero. Una statua di bronzo sopra il camino.
GARCIN, entra e si guarda intorno
Dunque è così.
IL CAMERIERE
Proprio così.
GARCIN
Così...
IL CAMERIERE
Così.
GARCIN
Immagino che con il tempo ci si debba abituare ai mobili...
IL CAMERIERE
Dipende dalle persone.
GARCIN
E tutte le stanze sono uguali?
IL CAMERIERE
Ci pensi bene. Qui arrivano Cinesi, Indiani. Cosa potrebbero farsene di un divano Secondo
Impero?
GARCIN
E io, che dovrei farmene? Ma lei sa chi ero io? Bah, ormai non ha nessuna importanza.
Tutto sommato, ho sempre vissuto tra mobili che non mi piacevano e in situazioni false; e ci
stavo bene. Una situazione falsa in una sala da pranzo Louis-Philippe, ha presente?
IL CAMERIERE
Vedrà che anche in un salotto Secondo Impero non è male.
GARCIN
Bene. Bene, bene, bene. (Si guarda intorno) Comunque non me l'aspettavo... Lei sa cosa si
dice là fuori?
IL CAMERIERE
Riguardo che cosa?
GARCIN
Beh... (con un gesto vago e ampio) riguardo tutto questo.
IL CAMERIERE
Come si può credere a quelle sciocchezze? Nessuno ha mai messo piede qui. Perché se
qualcuno ci fosse venuto...
GARCIN
Certo.
Ridono entrambi.
GARCIN, ritornando a un tratto serio
Avanti, dove sono i pali?
IL CAMERIERE
Come?
GARCIN
I pali, le graticole, gli imbuti di cuoio.
IL CAMERIERE
Sta scherzando?
GARCIN, fissandolo
Cosa? Capisco. No, non stavo scherzando. (Una pausa. Cammina.) Niente specchi,
ovviamente niente finestre. Niente che si possa rompere. (Con improvvisa violenza: ) Perché
mi avete preso lo spazzolino da denti?
IL CAMERIERE
Ci risiamo. Ecco la dignità umana che torna fuori. Straordinario.
GARCIN, battendo sul bracciolo del divano con rabbia
Mi risparmi la sua confidenza. Mi rendo perfettamente conto della mia condizione, ma non
tollererò...
IL CAMERIERE
Calma, calma. Mi deve scusare. Che le posso dire, tutti i clienti fanno la stessa domanda.
Arrivano e: “dove sono i pali?” In quel momento, le garantisco che non pensano alla loro
toilette. E poi, dopo essere stati rassicurati, salta fuori lo spazzolino da denti. Ma, per l'amor
di Dio, rifletta! In fin dei conti, perché si dovrebbe lavare i denti?
GARCIN, più calmo
Già, certo, perché? (Si guarda intorno) E perché dovrei guardarmi in uno specchio? Mentre
il bronzo, al momento opportuno... Immagino che ci saranno momenti in cui lo fisserò con
gli occhi sgranati. Con gli occhi sgranati, vero? Avanti, avanti, non c'è niente da nascondere;
le ho già detto che mi rendo perfettamente conto della mia condizione. Vuole che le racconti
cosa succederà? Uno soffoca, sprofonda, muore di noia, solo il suo sguardo affiora dal
baratro e cosa vede? Un bronzo di Barbedienne. Che incubo! Certo, le avranno senz'altro
proibito di rispondermi, non insisterò. Ma sappia che non sono uno sprovveduto, non
vantatevi di avermi colto di sorpresa; io guardo la situazione in faccia. (Ricomincia a
camminare) Dunque, niente spazzolino. E niente letto, ovviamente. Perché non si dorme
mai, vero?
IL CAMERIERE
Vero!
GARCIN
Ci avrei scommesso. Perché si dovrebbe dormire? Il sonno ti sale da dietro le orecchie.
Senti gli occhi che ti si chiudono, ma perché dormire? Ti stendi sul divano e ouff... il sonno
sparisce. Ti freghi gli occhi, ti rialzi e tutto ricomincia.
IL CAMERIERE
Lei è molto romantico!
GARCIN
La smetta. Non mi metterò a gridare, non piangerò, ma voglio guardare in faccia la realtà.
Non voglio essere preso alle spalle dalla situazione, la voglio riconoscere. Romantico?
Quindi, il fatto è che non c'è nemmeno bisogno del sonno. Perché dormire, se non si ha
sonno? Perfetto. Aspetti... Aspetti: e perché questo dovrebbe essere un male? Perché
dovrebbe essere, per forza, un male? Ci sono: è la vita senza tagli.
IL CAMERIERE
Quali tagli?
GARCIN, imitandolo
Quali tagli? (Sospettoso) Mi guardi. Ne ero sicuro! Ecco spiegata la grossolana,
insostenibile invadenza del suo sguardo. Glielo garantisco: sono atrofizzate.
IL CAMERIERE
Ma di cosa sta parlando?
GARCIN
Delle sue palpebre. Noi, le palpebre, le sbattiamo. Un batter d'occhio, così si chiama. Un
piccolo lampo nero, un sipario che si chiude e subito si riapre: il taglio è quello. L'occhio si
inumidisce, il mondo si annichilisce. Lei non ha idea di quanto sia riposante. Quattromila
pause all'ora. Quattromila piccole evasioni. E quando dico quattromila... Allora? Dovrò
vivere senza palpebre? Non faccia l'imbecille. Niente palpebre, niente sonno, è un tutt'uno.
Non dormirò più... Ma come farò a sopportarmi? Cerchi di capire, faccia uno sforzo: io ho
un carattere molesto, e pensi un po'... ho l'abitudine di molestarmi. Ma io... io non posso
molestarmi senza sosta.: laggiù, almeno, c'erano le notti. Potevo dormire. Avevo il sonno
pesante. Per compensazione. Mi concedevo dei sogni semplici. Una prateria... Una prateria,
tutto lì. Sognavo di camminarci dentro. Farà giorno?
IL CAMERIERE
Come vede, le luci sono accese.
GARCIN
Accidenti. E' questo il vostro giorno. E fuori?
IL CAMERIERE, stupito
Fuori?
GARCIN
Ma sì, fuori! Dietro a questi muri!
IL CAMERIERE
C'è un corridoio.
GARCIN
E in fondo al corridoio?
IL CAMERIERE
Ci sono altre stanze e altri corridoi, e delle scale.
GARCIN
E dopo?
IL CAMERIERE
Nient'altro.
GARCIN
Ma lei, nel suo giorno libero, andrà pure da qualche parte?
IL CAMERIERE
Da mio zio, che è capo-cameriere, al terzo piano.
GARCIN
Avrei dovuto immaginarlo. Dov'è l'interruttore?
IL CAMERIERE
Non c'è.
GARCIN
Cioè? Non si può spegnere?
IL CAMERIERE
Dalla direzione possono togliere la corrente. Ma non mi pare l'abbiano mai fatto su questo
piano. Abbiamo elettricità a discrezione.
GARCIN
Molto bene. Quindi bisogna vivere con gli occhi aperti...
IL CAMERIERE, ironico.
Vivere...
GARCIN
Non si prenda gioco di me per una questione di vocaboli. Gli occhi aperti. Per sempre. Sarà
mezzogiorno nei miei occhi. E nella mia testa. (Una pausa.) E se spegnessi la lampada
elettrica scagliandole addosso il bronzo?
IL CAMERIERE
E' troppo pesante.
GARCIN prende il bronzo con due mani e cerca di sollevarlo.
Ha ragione. E' troppo pesante.
Una pausa.
IL CAMERIERE
Bene. Se non ha più bisogno di me, la lascio.
GARCIN, di soprassalto.
Come? Se ne va? Arrivederci. (Il cameriere raggiunge la porta.) Aspetti (Il cameriere si
gira.) E' un campanello, quello? (Il cameriere annuisce.) Posso suonarlo quando voglio e lei
sarà obbligato a venire?
IL CAMERIERE
In linea di principio, sì. Ma è capriccioso. C'è qualche cosa di incastrato nel meccanismo.
Garcin si avvicina al campanello e schiaccia il bottone. Il campanello suona.
GARCIN
Ma funziona!
IL CAMERIERE, colpito.
Sì, funziona. (Suona a sua volta). Ma non si illuda, non durerà. Arrivederci, sono a sua
disposizione.
GARCIN cercando di trattenerlo con un gesto.
Io...
IL CAMERIERE
Sì?
GARCIN
No, niente. (Raggiunge il camino e prende il tagliacarte). E questo cos'è?
IL CAMERIERE
Non lo vede? Un tagliacarte.
GARCIN
Ci sono libri, qui?
IL CAMERIERE
No.
GARCIN
E allora a cosa serve? (Il cameriere alza le spalle). Capisco. Se ne vada.
Il cameriere esce.
SCENA II
Garcin, solo.
Garcin è solo. Si avvicina al bronzo e lo accarezza con la mano. Si siede. Si rialza.
Raggiunge il campanello e schiaccia il bottone. Il campanello non suona. Prova due o tre
volte. Invano. Va alla porta e prova ad aprirla senza riuscirci. Chiama.
GARCIN
Cameriere! Cameriere!
Nessuna risposta. Bussa violentemente con i pugni sulla porta mentre chiama il cameriere.
Improvvisamente si calma e si risiede. In quel momento la porta si apre ed entra Inès,
seguita dal cameriere.
SCENA III
Garcin, Inès, il cameriere
IL CAMERIERE, a Garcin.
Mi ha per caso chiamato?
Garcin sta per rispondere, ma getta un'occhiata a Inès.
GARCIN
No.
IL CAMERIERE, girandosi verso Inès.
Faccia come se fosse a casa sua, signora. (Silenzio della donna.) Se ha domande da farmi...
(Inès non parla.)
IL CAMERIERE, deluso.
Di solito ai clienti piace informarsi... Non insisto. In ogni caso, per quanto riguarda lo
spazzolino da denti, il campanello e il bronzo di Barbedienne, il signore sa tutto e le può
rispondere meglio di me.
Esce. Una pausa. Garcin non guarda Inès. La donna osserva intorno a sé, poi si dirige
bruscamente verso Garcin.
INES
Dov'è Florence? (Garcin non risponde.) Le ho chiesto dov'è Florence?
GARCIN
Non so di cosa parla.
INES
Tutto qui, quello che avete pensato? La tortura con l'assenza? Beh, avete sbagliato di grosso.
Florence era una sciacquetta, e non la rimpiango affatto.
GARCIN
Scusi: ma lei per chi mi ha preso?
INES
Lei? Ma lei è il boia.
GARCIN, si scuote e poi si mette a ridere.
E' un equivoco piuttosto divertente. Il boia, sul serio? Lei è entrata, mi ha guardato, e ha
pensato: è il boia. Che sciocchezza! Il cameriere è uno stupido, avrebbe dovuto fare le
presentazioni. Il boia! Io sono Jospeph Garcin, giornalista e letterato. La verità è che noi due
siamo alloggiati nella stessa locanda. Signora...
INES, asciutta.
Inès Serrano. Signorina.
GARCIN
Benissimo. Perfetto. Ecco, il ghiaccio è rotto. Così, lei trova che io abbia l'aria di un
carnefice? E da cosa si riconosce un carnefice, mi dica?
INES
E' uno che ha l'aria di avere paura.
GARCIN
Paura? Assurdo. E di chi? Delle sue vittime?
INES
La smetta. So di cosa parlo. Mi sono ben guardata allo specchio.
GARCIN
Allo specchio? (Si guarda intorno.) E' soffocante: hanno tolto tutto ciò che poteva ricordare
uno specchio. (Una pausa.) In ogni caso, posso garantirle che io non ho paura. Non sto
sottovalutando la situazione e sono cosciente della sua gravità. Ma io non ho paura.
INES, alzando le spalle.
Sono affari suoi. (Una pausa.) Non le viene voglia ogni tanto di fare un giro fuori?
GARCIN
La porta è sbarrata.
INES
Tanto meglio.
GARCIN
Capisco benissimo che la mia presenza la infastidisca. E anch'io, personalmente, preferirei
restarmene solo: ho bisogno di fare ordine nella mia vita e di concentrarmi. Ma sono certo
che potremo trovare un accordo: io non parlo, quasi non mi muovo, e non faccio rumore. Mi
permetta soltanto un consiglio: dovremmo cercare di tenere tra noi una grande cortesia. Sarà
la nostra migliore difesa.
INES
Io non sono cortese.
GARCIN
Lo sarò io per tutti e due.
Una pausa. Garcin è seduto sul divano. Inès passeggia avanti e indietro.
INES, guardandolo.
La sua bocca.
GARCIN, distolto dai suoi pensieri.
Prego?
INES
Non potrebbe fermare la bocca? Gira come una trottola sotto il suo naso.
GARCIN
Le chiedo scusa: non me ne ero accorto.
INES
E' proprio questo che le rimprovero. (Di nuovo il tic di Garcin.) Ancora! Pretende di essere
cortese e lascia il suo volto senza controllo. Lei qui non è solo e non ha il diritto di
infliggermi lo spettacolo della sua paura.
GARCIN
E lei, non ha paura, lei?
INES
E di che? La paura, serviva prima, quando avevamo almeno la speranza.
GARCIN, lentamente.
Non c'è più speranza, ma siamo comunque prima. Non abbiamo ancora nemmeno
cominciato a soffrire, signorina.
INES
Lo so. (Una pausa) Allora, chi deve arrivare adesso?
GARCIN
Non lo so. Aspetto.
Una pausa. Garcin torna a sedersi. Inès ricomincia a camminare. Garcin ha ancora il suo
tic alla bocca: dopo uno sguardo a Inès, nasconde il volto tra le mani. Entrano Estelle e il
cameriere.
SCENA IV
Inès, Garcin, Estelle, il cameriere.
Estelle guarda Garcin, che non ha rialzato la testa.
ESTELLE, a Garcin.
No! No no non rialzare la testa: So cosa nascondi tra le mani, so che non hai più la faccia.
(Garcin apre le mani.) Oh! (Una pausa. Poi con sorpresa:) ma io non la conosco.
GARCIN
Non sono io il boia, signora.
ESTELLE
Ma non l'ho mica scambiata per il boia. Avevo... avevo solo paura che qualcuno volesse
farmi uno scherzo. (Al cameriere) Chi aspettiamo ancora?
IL CAMERIERE
Non verrà più nessuno.
ESTELLE, sollevata.
Ah! Pare che resteremo soli soletti, io, lei e la signora...
Si mette a ridere.
GARCIN, seccamente.
Non c'è niente da ridere.
ESTELLE, continuando a ridere.
Ma questi divani sono così squallidi... E come li hanno disposti, mi sembra di essere a casa
di mia zia Maria la mattina di Capodanno. Ciascuno ha il suo, immagino. Il mio sarebbe
questo? (Al cameriere:) Ma io non potrei mai sedermici sopra, è una catastrofe: io sono
vestita in blu chiaro e il divano è verde scuro.
INES
Vuole il mio?
ESTELLE
Il divano bordeaux? Lei è molto gentile, ma non andrebbe molto meglio. No, che vuole? A
ciascuno il suo posto: ho il verde e me lo tengo. (Una pausa.) Il solo che andrebbe bene, a
dire la verità, è quello del signore.
Una pausa.
INES
Ha sentito, Garcin?
GARCIN, sussultando.
Il... divano. Oh, prego! (Si alza.) E' suo, signora.
ESTELLE
Grazie. (Si toglie la sua mantella e getta sul divano. Una pausa.) Perché non facciamo
conoscenza, dal momento che dovremo abitare insieme. Io sono Estelle Rigault.
Garcin si inchina e sta per presentarsi, ma Inès gli passa davanti.
INES
Inès Serrano, molto piacere.
Garcin si inchina di nuovo.
GARCIN
Joseph Garcin.
IL CAMERIERE
Avete ancora bisogno di me?
ESTELLE
No, vada pure. La chiamerò.
Il cameriere si inchina ed esce.
SCENA V
Inès, Garcin, Estelle.
INES
Lei è molto bella. Vorrei avere dei fiori per augurarle il benvenuto.
ESTELLE
Fiori? Ah sì, mi piacevano molto i fiori. Ma qui appassirebbero, fa troppo caldo. La cosa
importante, comunque, è conservare il buon umore, no? Lei è...
INES
Sì, la settimana scorsa. E lei?
ESTELLE
Io? Ieri. Il funerale non è ancora finito. (Parla con naturalezza, ma come se vedesse quello
che descrive.) Il vento scompiglia la veletta di mia sorella. Come si sforza per piangere...
Forza! Forza! Ancora un piccolo sforzo. Ecco! Due lacrime, due lacrimucce che brillano
sotto il velo. Olga Jardet è davvero brutta stamattina. Sostiene mia sorella con il braccio.
Non piange per non far colare il rimmel, e devo ammettere che anch'io al suo posto... Era la
mia migliore amica.
INES
Lei ha sofferto molto?
ESTELLE
No. Ero piuttosto incosciente.
INES
E di che cosa è...
ESTELLE
Polmonite. (Stesso espediente che in precedenza.) Ecco, tutto finito, se ne vanno.
Arrivederci! Arrivederci! Quante strette di mano. Mio marito è malato di depressione, è
rimasto a casa. (A Inès) E lei?
INES
Gas.
ESTELLE
E lei, signore?
GARCIN
Dodici pallottole nella schiena. (Gesto di Estelle). Mi scusi, non sono un morto
raccomandabile.
ESTELLE
Oh! Caro signore, se solo potesse usare termini meno crudi. E'... è scioccante. E poi, morto,
che cosa significa? Mi pare che non siamo mai stati tanto vivi. Se proprio dovessimo
definire questo nostro... stato, proporrei di chiamarci “assenti”, sarebbe più corretto. E da
quanto tempo lei è assente?
GARCIN
Da circa un mese.
ESTELLE
Di dov'è lei?
GARCIN
Di Rio.
ESTELLE
Io sono di Parigi. E... ha ancora qualcuno laggiù?
GARCIN
Mia moglie. (Stesso espediente utilizzato con Estelle.) Come tutti i giorni, viene alla
caserma. Non l'hanno lasciata entrare. Guarda le sbarre del cancello. Non sa ancora che
sono assente, ma lo sospetta. Ecco, adesso se ne va. E' tutta vestita di nero. Meglio così, non
avrà bisogno di cambiarsi. Non piange: non piangeva mai. C'è un bel sole e lei è tutta nera
in mezzo alla strada deserta, con i suoi grandi occhi da vittima. Ah! Quanto mi irrita.
Una pausa. Garcin va a sedersi sul divano centrale e nasconde la testa tra le mani.
INES
Estelle!
ESTELLE
Signore, signor Garcin!
GARCIN
Prego?
ESTELLE
Lei è seduto sul mio divano.
GARCIN
Mi scusi.
Si alza.
ESTELLE
Ha l'aria assorta...
GARCIN
Sto mettendo ordine nella mia vita. (Inès si mette a ridere.) Chi ride farebbe bene a
imitarmi.
INES
E' già in ordine, la mia vita. Completamente in ordine. Si è messa in ordine da sola, laggiù,
non ho più bisogno di preoccuparmene.
GARCIN
Davvero? E lei crede sul serio che sia così semplice? (Si passa una mano sulla fronte.) Che
caldo! Permettete?
Inizia a togliersi la giacca.
ESTELLE
Ah no! (Poi, più dolcemente.) No. Ho orrore degli uomini in maniche di camicia.
GARCIN, rimettendosi la giacca.
Va bene. (Una pausa.) Sa, io passavo le notti in redazione. Faceva sempre caldo, come in un
formicaio. (Una pausa. Stesso espediente che in precedenza.) Fa sempre caldo, come in un
formicaio. E' notte.
ESTELLE
Guarda, è già notte. Olga si sta spogliando. Come passa in fretta il tempo sulla terra.
INES
Già notte. Hanno messo i sigilli sulla porta della mia camera. La camera è vuota, nel buio.
GARCIN
Hanno appoggiato le giacche sullo schienale della sedia e hanno rimboccato le maniche
delle camicie fino al gomito. C'è odore di sudore e sigaro. (Una pausa.) Mi piaceva vivere
in mezzo a uomini in maniche di camicia.
ESTELLE, seccamente.
Infatti, non abbiamo gli stessi gusti. Ecco tutto. (A Inès.) A lei piacciono gli uomini in
maniche di camicia?
INES
Camicia o no, a me gli uomini non piacciono molto.
ESTELLE, guardandoli entrambi con stupore.
Ma perché, perché, ci hanno messo qui insieme?
INES, con soffocato stupore.
Cosa intende, esattamente?
ESTELLE
Io vi guardo, e quando penso che dovremo abitare insieme... Insomma, mi aspettavo degli
amici, dei familiari.
INES
Il suo bell'amico, con un buco al posto della faccia.
ESTELLE
Perché no? Ballava il tango come un professionista... Ma come mai hanno messo insieme
proprio noi?
GARCIN
Ovvio: è il caso. Incasellano le persone in base all'ordine d'arrivo. (A Inès.) Che cos'ha da
ridere?
INES
Rido di lei, del suo caso. Ha un tale bisogno di essere rassicurato... Qui non lasciano niente
al caso.
ESTELLE, timidamente.
Magari ci siamo già incontrati da qualche parte?
INES
Mai. Non ricorderei di una come lei.
ESTELLE
Magari qualche amico in comune? Conoscete per caso i Dubois-Seymour?
INES
La cosa mi stupirebbe.
ESTELLE
Tutti vanno ai loro ricevimenti...
INES
Di che cosa si occupano?
ESTELLE
Di niente. Hanno un castello nella Corrèze, e...
INES
Guardi, io ero impiegata in posta.
ESTELLE, indietreggiando impercettibilmente.
Ah. In tal caso... (Una pausa.) E lei, signor Garcin?
GARCIN
Io non ho mai lasciato Rio.
ESTELLE
Temo che lei abbia perfettamente ragione: è il caso che ci ha messi insieme.
INES
Il caso. Quindi questi mobili sono qui per caso. E' un caso se il divano di destra è verde
scuro e se quello di sinistra è bordeaux. Un caso, no? Bene, provate a cambiarli di posto, e
poi ditemi. E il bronzo, è un caso anche quello? E questo caldo? E questo caldo? (Una
pausa.) Vi dico che è tutto studiato. Tutto, fin nei minimi dettagli, con cura. Questa camera
ci stava aspettando.
ESTELLE
Ma cosa sta dicendo? Qui è tutto così brutto, così rigido, così spigoloso. Detesto gli spigoli.
INES, alzando le spalle.
Perché, crede forse che io vivessi in salone Secondo Impero?
Una pausa.
ESTELLE
Tutto previsto, quindi?
INES
Tutto. E noi, ben assortiti.
ESTELLE
Quindi non è un caso che proprio lei, lei, mi stia di fronte? (Una pausa.) Che cosa stanno
aspettando?
INES
Non lo so. Ma stanno aspettando.
ESTELLE
Non posso sopportare che qualcuno si aspetti qualcosa da me. Mi fa venire voglia di fare il
contrario.
INES
Benissimo. Lo faccia. Avanti, lo faccia! Peccato che non sappia che cosa contraddire.
ESTELLE, picchiando i piedi.
E' insopportabile. Dunque dovrei aspettarmi qualcosa da voi due? (Li guarda.) Conoscevo
visi che sapevo leggere in un attimo. Mentre i vostri, non mi dicono niente.
GARCIN, bruscamente, a Inès.
Avanti, perché siamo insieme? Ci ha girato intorno anche troppo: vada al punto.
INES, stupita.
Ma io non ne so assolutamente niente.
GARCIN
Dobbiamo saperlo.
Riflette un istante.
INES
Se soltanto ciascuno di noi avesse il coraggio di dire...
GARCIN
Che cosa?
INES
Estelle!
ESTELLE
Sì?
INES
Lei che cosa ha fatto? Perché la hanno spedita qui?
ESTELLE, animatamente.
Ma io non lo so. Davvero, non lo so! Mi chiedo persino se non ci sia stato un errore. (A
Inès). Non sorrida. Pensi alla quantità di gente che... che si assenta ogni giorno. Vengono
qui a migliaia e hanno a che fare solo con degli scagnozzi, con impiegati senza istruzioni.
Come possiamo pretendere che non ci sia qualche errore? Ma non sorrida... (A Garcin.) E
lei, dica qualcosa! Se si sono sbagliati nel mio caso, potrebbero essersi sbagliati anche nel
suo. (A Inès.) E anche nel suo. Non sarebbe meglio credere che siamo qui per errore?
INES
Tutto qui, quello che ha da dire?
ESTELLE
Che cos'altro vuole sapere? Io non ho niente da nascondere. Ero orfana, e povera, e ho
accudito il mio fratellino minore. Un vecchio amico di mio padre ha chiesto la mia mano.
Era ricco e buono, e ho accettato. Che cosa avrebbe fatto al mio posto? Mio fratello era
malato e aveva bisogno di cure. Ho vissuto per sei anni con mio marito senza un'ombra. Poi,
due anni fa, ho incontrato la persona che avrei dovuto amare. Ci siamo riconosciuti subito.
Lui voleva che partissi con lui, ma io ho rifiutato. Dopo, ho avuto la polmonite. Tutto qui.
Forse, in base a certi principi, mi si potrebbe rimproverare di aver sacrificato la mia
giovinezza a un vecchio. (A Garcin.) Lei crede che sia una colpa?
GARCIN
No, naturalmente. (Una pausa.) E lei, crede forse che sia una colpa vivere secondo i propri
principi?
ESTELLE
E chi mai potrebbe rimproverarglielo?
GARCIN
Ero direttore di un giornale pacifista. Scoppia la guerra. Che fare? Avevo tutti gli occhi
addosso: “Avrà il coraggio?”. Ebbene, l'ho avuto, il coraggio. Ho incrociato le braccia e mi
hanno fucilato. Dov'è la colpa? Dov'è la colpa?
ESTELLE, appoggiandogli la mano sul braccio.
Nessuna colpa. Lei è...
INES, concludendo la frase con ironia.
Un eroe! E sua moglie, Garcin?
GARCIN
Mia moglie, cosa? L'ho tirata fuori dalla miseria.
ESTELLE, a Inès.
Vede? Vede?
INES
Vedo, vedo. (Una pausa.) Per chi state recitando? Qui siamo tra di noi...
ESTELLE, con insolenza.
Tra di noi?
INES
Tra assassini. Siamo all'inferno, bella mia, non c'è nessun errore e le persone non vengono
dannate senza motivo.
ESTELLE
La smetta.
INES
All'inferno! Dannati! Dannati!
ESTELLE
La smetta! La vuole smettere? La diffido dall'utilizzare parole così volgari.
INES
Dannata la piccola santarellina e dannato l'eroe senza macchia. Abbiamo avuto i nostri
momenti di piacere, o no? Qualcuno ha sofferto per noi fino alla morte e questo ci ha
divertito molto. Adesso, bisogna pagare il conto.
GARCIN, alzando una mano.
La vuole smettere?
INES, lo guarda senza paura, ma con grande sorpresa.
Oh! (Una pausa.) Aspettate! Ho capito, ho capito perché ci hanno messi insieme.
GARCIN
Stia attenta a quello che sta per dire.
INES
Ora vedrete quanto è banale. E' semplicissimo! Non c'è una tortura fisica, vero? E, tuttavia,
siamo all'inferno. E non deve arrivare nessun altro. Nessuno. Resteremo fino alla fine soli,
insieme. E' così, no? Insomma, qui manca qualcuno: manca il boia.
GARCIN, a mezza voce.
Lo so bene.
INES
Ecco: hanno risparmiato sul personale. Tutto qui. I clienti si servono da soli, come ai
ristoranti self-service.
ESTELLE
Che cosa vuol dire?
INES
Il boia, è ciascuno di noi per gli altri due.
Una pausa. Rimuginano sulla cosa.
GARCIN, con voce dolce.
Io non sarò il vostro carnefice. Non vi voglio alcun male e non ho niente da spartire con voi.
Proprio niente. In effetti, è una cosa semplice. Allora facciamo così: ciascuno nel suo
angolo; è la soluzione. Lei qui, lei laggiù, e io là. E soprattutto, silenzio. Non una parola:
non è difficile, no? Ciascuno di noi ha abbastanza da fare con se stesso. Credo che potrei
restare mille anni senza dire una parola.
ESTELLE
Cioè, dovrei tacere?
GARCIN
Sì. E noi... saremo salvi. Tacere. Guardare dentro se stessi, non alzare mai la testa. Siamo
d'accordo?
INES
D'accordo.
ESTELLE, dopo una breve esitazione.
D'accordo.
GARCIN
Allora, addio.
Raggiunge il suo divano e mette la testa tra le mani.
Silenzio. Inès si mette a cantare, per se stessa:
Dans la rue des Blancs-Manteaux
Ils ont éléve des tréteaux
Et mis du son dans un seau
Et c'était un échafaud
Dans la rue des Blancs-Manteaux
Dans la rue des Blancs-Manteaux
Le bourreau s'est levé tôt
C'est qu'il avait du boulot
Faut qu'il coupe des Généraux
Des Evêques, des Amiraux
Dans la rue des Blancs-Manteaux
Dans la rue des Blancs-Manteaux
Sont v'nues des dames comme il faut
Avec des beaux affûtiaux
La tête avec le chapeau
Dans le ruisseau des Blancs-Manteaux.
Nel frattempo, Estelle si mette della cipria e del rossetto. Mentre si trucca, cerca intorno a
sé uno specchio con aria inquieta. Fruga nella sua borsa, poi si volta verso Garcin.
ESTELLE
Non avrebbe per caso uno specchio? (Garcin non risponde.) Uno specchio, uno specchietto
da borsa, qualcosa? (Garcin non risponde.) Se dovete lasciarmi tutta sola, procuratemi
almeno uno specchio.
Garcin tiene la testa tra le mani, senza rispondere.
INES, premurosa.
Io, ho uno specchio nella borsa. (Fruga nella borsa. Con disappunto:) Non c'è più, devono
avermelo preso all'ingresso.
ESTELLE
Che strazio.
Una pausa. Estelle chiude gli occhi e vacilla. Inès si precipita a sostenerla.
ESTELLE, riapre gli occhi e sorride.
Mi sento sciocca. (Si tocca la faccia.) A lei non fa lo stesso effetto? Quando non mi vedo,
per quanto mi tocchi, mi chiedo se esisto per davvero.
INES
Lei è fortunata. Io mi sento sempre da dentro.
ESTELLE
Ah! Sì, da dentro... Tutto quello che succede dentro le teste è così vago, mi fa venire sonno.
(Una pausa.) Ci sono sei grandi specchi nella mia camera da letto. Ecco, li vedo. Li vedo.
Ma loro non vedono me. Riflettono la poltrona, il tappeto, la finestra... com'è vuoto, uno
specchio, senza di me. Quando parlavo con qualcuno, ne cercavo sempre uno per potermi
guardare. Parlavo, e mi vedevo parlare. Mi vedevo come gli altri mi vedevano, e questo mi
teneva viva. (Con scoramento.) Il rossetto! Sono sicura di aver sbavato. Non posso mica
restare senza uno specchio per tutta l'eternità!
INES
Vuole che le faccia io da specchio? Venga da me, la invito. Si sieda sul mio divano.
ESTELLE, indica Garcin.
Ma...
INES
Non occupiamoci di lui.
ESTELLE
Prima o poi ci faremo del male. L'ha detto lei stessa...
INES
Ho forse l'aria di farle del male?
ESTELLE
Non si sa mai...
INES
Sei tu che mi farai del male. Ma tanto che importa? Visto che bisogna soffrire, tanto vale
soffrire per te. Siediti. Vieni qui vicino. Di più. Guarda nei miei occhi: ti vedi?
ESTELLE
Sono piccola piccola. Mi vedo molto male.
INES
Ma io ti vedo bene. Tutta intera. Fammi delle domande, nessuno specchio sarà così fedele.
Estelle, in imbarazzo, si volta verso Garcin come per chiedere aiuto.
ESTELLE
Signore! Signore! Non le diamo fastidio con le nostre chiacchiere?
Garcin non risponde.
INES
Lascialo stare, lui non conta. Siamo sole. Fammi delle domande.
ESTELLE
Ho messo bene il rossetto sulle mie labbra?
INES
Fa' vedere. No, non molto bene.
ESTELLE
Lo sapevo. Meno male che (getta uno sguardo a Garcin) nessuno mi ha vista. Riprovo.
INES
Ora va meglio. No, segui il disegno delle labbra. Aspetta, ti guido: così, così. Bene.
ESTELLE
Bene come quando sono entrata poco fa?
INES
Meglio di poco fa: più intenso, più crudele. La tua bocca è l'inferno.
ESTELLE
Hum! Ed è una cosa bella? Com'è irritante, non posso giudicare da sola. Me lo può giurare
che va bene?
INES
Non vuoi che ci diamo del tu?
ESTELLE
Me lo puoi giurare, che va bene?
INES
Sei bella.
ESTELLE
Ma lei ha buon gusto? Ha il mio gusto? Com'è irritante, com'è irritante.
INES
Io ho il tuo gusto, dal momento che tu mi piaci. Guardami bene. Sorridimi. Anch'io non
sono brutta. Non valgo più di un semplice specchio?
ESTELLE
Non so... Lei mi mette soggezione. La mia immagine negli specchi era addomesticata. La
conoscevo così bene... Ecco, sorrido: il mio sorriso sprofonderà nella sue pupille e Dio sa
che cosa accadrà...
INES
E chi ti impedisce di addomesticarmi? (Si guardano. Estelle sorride, un po' sedotta.) Non
vuoi proprio darmi del tu?
ESTELLE
Faccio fatica a dare del tu alle donne.
INES
Soprattutto alle impiegate della posta, vero? Che cos'hai là sulla sulla guancia? Una macchia
rossa?
ESTELLE, sussultando.
Una macchia rossa, oddio! Dove?
INES
Là! Là! Sono lo specchietto per le allodole, mia piccola allodoletta, ti tengo in pugno! Non
c'è nessuna macchia rossa. Nessuna. Allora? E se lo specchio si mettesse a mentire? O se
chiudessi gli occhi, se non ti volessi più guardare, che cosa te ne faresti di tutta questa
bellezza? Non avere paura: io devo guardarti, i miei occhi resteranno spalancati. E sarò
gentile, molto gentile. Ma tu mi darai del tu.
Una pausa.
ESTELLE
Ti piaccio?
INES
Molto.
Una pausa.
ESTELLE, indicando Garcin con un cenno del capo.
Vorrei che mi guardasse anche lui.
INES
Certo! Perché lui è un uomo. (A Garcin.) Ha vinto. (Garcin non risponde.) Ma la guardi,
una buona volta! (Garcin non risponde.) Non reciti la commedia: non ha perso una parola di
quello che ci siamo dette.
GARCIN, alzando bruscamente la testa.
Può ben dirlo, non una parola: avevo un bell'infilarmi le dita nelle orecchie, vi sentivo
parlare nella mia testa. Mi lascerete in pace, adesso? Non ho niente da spartire con voi.
INES
Neanche con la biondina? Ho capito il suo gioco: si dà un sacco di arie per fare colpo sulla
ragazza.
GARCIN
Le dico di lasciarmi in pace. C'è qualcuno che sta parlando di me al giornale e vorrei
sentire. Me ne frego della ragazza, se questo la può tranquillizzare.
ESTELLE
Grazie.
GARCIN
Non volevo essere volgare...
ESTELLE
Cafone.
Una pausa. Sono in piedi, gli uni di fronte agli altri.
GARCIN
Ecco fatto! (Una pausa.) Vi avevo supplicato di stare in silenzio.
ESTELLE
Ha cominciato lei. E' lei che mi ha offerto il suo specchio, io non avevo chiesto niente.
INES
Niente. Ti stavi soltanto strusciando contro di lui e facevi la scema perché lui ti guardasse.
ESTELLE
E allora?
GARCIN
Ma siete pazze? Non vi rendete conto di dove siamo. Piantatela! (Una pausa.) Torniamo a
sederci piano piano, chiudiamo gli occhi e ciascuno cercherà di dimenticare la presenza
dell'altro.
Una pausa, Garcin si risiede. Le donne vanno verso il loro posto con passo esitante. Inès si
volta bruscamente.
INES
Ah! Dimenticare. Che sciocchezza. Io la sento fino dentro le mie ossa, Garcin. Il suo
silenzio mi urla nelle orecchie. Anche se si sigillasse la bocca, se si tagliasse la lingua, come
potrebbe impedirsi di esistere? O fermare il pensiero? Io lo sento, il suo pensiero: fa tic tac
come una sveglia, e so che lei sente il mio. Per quanto si rannicchi sul suo divano, lei è
dappertutto, i suoni arrivano alle mie orecchie insudiciati perché li ha già sentiti lei mentre
vagavano. Mi ha rubato persino il mio volto: lei lo riconosce e io non lo riconosco più. E la
ragazza? La ragazza? Mi ha rubato anche quella: se fossimo state sole, crede che avrebbe
osato trattarmi come mi ha trattata? No, no, tolga le mani dalla faccia, io non la lascerò in
pace, sarebbe troppo comodo. Lei se ne starà là, insensibile, tuffato in se stesso come un
Buddha, io avrò gli occhi chiusi e sentirò che la ragazza le dedica tutti i rumori della sua
vita, compreso il fruscio del suo vestito, e che le manda sorrisini che lei non vede...
Nossignore! Voglio scegliermelo, il mio inferno; voglio guardarvi con gli occhi spalancati e
lottare a viso aperto.
GARCIN
E va bene. Immagino che ci dovevamo arrivare; ci hanno manovrato come bambini. Se
almeno mi avessero messo con degli uomini... gli uomini sanno tacere. Ma è inutile farsi
troppo domande. (Si avvicina a Estelle e le passa la mano sotto il mento.) Allora, biondina,
ti piaccio? Pare che tu mi abbia notato...
ESTELLE
Non mi tocchi.
GARCIN
Bah! Mettiamoci comodi. Mi piacevano molto le donne, sai? E anch'io piacevo a loro.
Mettiti comoda, non abbiamo niente da perdere. Buone maniere, tante cerimonie, a cosa
servono tra di noi? Presto saremo nudi come vermi.
ESTELLE
Mi lasci.
GARCIN
Come vermi. Ah, ve lo avevo detto. Io non vi avevo chiesto niente se non un po' di pace e
un po' di silenzio. Mi ero messo le dita nelle orecchie. Gomez stava parlando, in piedi tra i
tavoli, tutti i colleghi del giornale ascoltavano. In maniche di camicia. Volevo capire quello
che diceva, ma era difficile: le cose sulla terra succedono così in fretta. E voi non potevate
tacere? Adesso è tardi, non parla più, quello che pensa di me è rientrato nella sua testa. E va
bene, bisognerà che andiamo fino in fondo. Nudi come vermi: voglio sapere con chi ho a
che fare.
INES
Lo sa. Adesso lo sa.
GARCIN
Fintanto che ciascuno di noi non avrà rivelato il motivo della sua condanna, nessuno saprà
niente. Tu, bella bionda, comincia tu. Perché. Dicci perché. La sincerità può evitare la
catastrofe; una volta che conosceremo i nostri mostri... Allora, perché?
ESTELLE
Vi dico che non lo so. Non hanno voluto spiegarmelo.
GARCIN
Capisco. Neanche a me hanno voluto rispondere. Però io mi conosco. Hai paura di parlare
per prima? Va bene. Comincio io. (Una pausa.) Io non sono una brava persona.
INES
Ma certo. Sappiamo che lei è un disertore.
GARCIN
Lasci stare questo. Non parli mai più di questo. Io sono qui perché ho torturato mia moglie.
Fine. Per cinque anni. Ovviamente lei soffre ancora. Eccola: ogni volta che parlo di lei, la
vedo. A me interessa Gomez, e vedo lei. Dov'è Gomez? Per cinque anni. Ditemi voi: le
hanno restituito i miei effetti personali, lei è seduta vicino alla finestra e ha messo la mia
giacca sulle ginocchia. La giacca con i dodici fori. Il sangue sembra ruggine. I bordi dei fori
sono rossastri. Cazzo, è una giacca da museo, un pezzo storico. E l'ho portata io. Piangerai?
Piangerai una buona volta? Tornavo a casa ubriaco come un maiale, puzzavo di vino e di
femmine. Lei mi aveva aspettato sveglia tutta la notte: e non piangeva. E, ovviamente, non
una parola di rimprovero. Ma i suoi occhi... i suoi grandi grandi occhi... Non mi pento di
niente. Pagherò ma non rimpiango niente. Fuori nevica. Piangerai una buona volta? E' una
donna con la vocazione al martirio.
INES, quasi con dolcezza.
Perché l'ha fatto soffrire tanto?
GARCIN
Perché era facile. Bastava una parola per farla arrossire, intuiva ogni cosa. Mai un
rimprovero! Io sono un bastardo. Aspettavo, aspettavo sempre. E lei niente, non una
lacrima, non un rimprovero. L'avevo raccolta io per strada, capite? Passa la mano sulla
giacca, senza guardarla. Le sue dita cercano i fori alla cieca. Cosa stai aspettando? Cosa
speri? Ti dico che non rimpiango niente. Insomma: il fatto è che mi ammirava troppo.
Capisce di cosa parlo?
INES
No. Nessuno mi ha mai ammirata.
GARCIN
Meglio per lei. Sul serio. Se tutto questo vi sembra astratto, vi racconto un aneddoto: avevo
portato a vivere a casa mia la mia amante mulatta. Che notti! Mia moglie dormiva al piano
di sopra, e ci sentiva senz'altro. Come se non bastasse, si alzava per prima e, siccome noi
dormivamo fino a tardi, ci portava la colazione a letto.
INES
Che maiale!
GARCIN
Ma sì, ma sì, il maial prodigo. (Sembra distratto da qualcosa.) No, niente, è Gomez ma non
sta parlando di me. Un maiale, dice? Accidenti! Se no che ci starei a fare qui? E lei?
INES
Dunque: io ero quella che laggiù chiamano una donna dannata. Già dannata, capisce?
Quindi, nessuna sorpresa.
GARCIN
Tutto qui?
INES
No, c'è anche la storia con Florence. Ma è una storia di morti. Tre morti. Prima lui, poi lei e
io. Non c'è più nessuno laggiù, sono tranquilla; solo la camera. Ecco, vedo la camera ogni
tanto. Vuota, con le imposte chiuse. Ah! Alla fine hanno tolto i sigilli. Affittasi... La
affittano. C'è scritto sulla porta. E'... ridicolo.
GARCIN
Tre? Ha detto tre?
INES
Tre.
GARCIN
Un uomo e due donne.
INES
Sì.
GARCIN
Pensa. (Una pausa.) Lui si è ucciso?
INES
Lui? Non era capace. E comunque non ha sofferto. No, l'ha investito un tram. Divertente. Io
abitavo da loro, era mio cugino.
GARCIN
Florence era bionda?
INES
Bionda? (Un'occhiata a Estelle.) Sa, non mi pento di niente ma non diverte raccontarle
questa storia.
GARCIN
Forza! Forza! Lei era disgustata da lui?
INES
A poco a poco. Una parola oggi, un gesto domani. Faceva rumore mentre beveva, per
esempio, soffiava con il naso dentro il bicchiere. Scemenze. Era un poveraccio, molto
vulnerabile. Perché sorride?
GARCIN
Perché io non sono vulnerabile.
INES
Vedremo. Io mi sono insinuata in lei, e lei lo ha visto con i miei occhi... Alla fine, lei mi è
caduta tra le braccia. Abbiamo preso una camera dall'altra parte della città.
GARCIN
Dopo?
INES
Dopo c'è stato il tram. Io le dicevo tutti i giorni: hai visto, tesoro, lo abbiamo ucciso! (Una
pausa.) Io sono cattiva.
GARCIN
Sì. Anch'io.
INES
No. Lei non è cattivo. Lei è un'altra cosa.
GARCIN
Cosa?
INES
Glielo dirò dopo. Io, invece, sono cattiva: significa che ho bisogno della sofferenza degli
altri per esistere. Una fiamma. Una torcia nei cuori. Quando sono sola, mi spengo. Per sei
mesi, ho bruciato nel suo cuore; ho incendiato tutto. Lei si è alzata una notte, ha aperto il
gas senza che me ne accorgessi e poi si è rimessa a dormire vicino a me. Ecco.
GARCIN
Mmh...
INES
Cosa c'è?
GARCIN
Niente. Storia squallida.
INES
Certo, storia squallida. E allora?
GARCIN
Niente, ha ragione. (A Estelle.) Tocca a te. Cosa hai fatto?
ESTELLE
Vi ho detto che non ne so niente. Più me lo chiedo...
GARCIN
Va bene. Adesso ti aiutiamo noi. Il tipo dal volto fracassato, chi è?
ESTELLE
Quale tipo?
INES
Lo sai benissimo. Quello di cui avevi paura appena sei entrata.
ESTELLE
E' un amico.
GARCIN
Perché avevi paura di lui?
ESTELLE
Voi non avete nessun diritto di interrogarmi.
INES
Si è ucciso per te?
ESTELLE
Ma no, lei è pazza.
GARCIN
Allora perché ti faceva paura? Si è tirato un colpo di fucile in faccia, vero? E' questo che gli
ha staccato la testa?
ESTELLE
Smettetela! Smettetela!
GARCIN
Per colpa tua! Per colpa tua!
INES
Un colpo di fucile per colpa tua!
ESTELLE
Lasciatemi stare. Mi fate paura. Voglio andarmene! Voglio andarmene!
Si precipita verso la porta e bussa..
GARCIN
Vattene, non chiedo di meglio. Peccato che la porta sia chiusa dall'esterno.
Estelle suona, il campanello non funziona. Inès e Garcin ridono. Estelle si gira verso di loro
restando appoggiata alla porta.
ESTELLE, lentamente, con voce roca.
Siete spregevoli.
INES
Esatto, spregevoli. Allora? Quindi il tipo si è ucciso per colpa tua. Era il tuo amante?
GARCIN
Ma certo che era il suo amante. E voleva averla per sé soltanto. Non è così?
INES
Ballava il tango come un professionista, ma era povero, mi sa.
Una pausa.
GARCIN
Ti stiamo chiedendo se era povero.
ESTELLE
Sì, era povero.
GARCIN
E tu, tu avevi una reputazione da difendere. Un giorno è venuto, ti ha supplicata e tu lo hai
preso in giro.
INES
Vero? Allora? Lo hai preso in giro? E' per questo che si è ucciso?
ESTELLE
La guardavi con questo occhi, Florence?
INES
Sì.
Una pausa. Estelle si mette a ridere.
ESTELLE
Siete fuori strada. (Si ricompone, sempre appoggiata alla porta. Con tono asciutto e
provocatorio:) Voleva che facessimo un bambino. Ecco, siete contenti?
GARCIN
E tu non volevi?
ESTELLE
No. Ma il bambino è arrivato lo stesso. Io sono andata cinque mesi in Svizzera. Nessuno ha
saputo niente. Era una bambina. Roger era vicino a me quando è nata. Lo divertiva avere
una figlia. A me no.
GARCIN
Dopo?
ESTELLE
C'era un balcone, sopra il lago. Ho preso una grossa pietra. Lui gridava: “Estelle, ti prego, ti
supplico.” Lo detestavo. Ha visto tutto. Si è sporto dal balcone e ha visto i cerchi sul lago.
GARCIN
Dopo?
ESTELLE
Niente. Io sono tornata a Parigi. Lui ha fatto quello che ha voluto.
GARCIN
Cioè si è fatto saltare la testa?
ESTELLE
Certo. Ma non ne valeva la pena: mio marito non si è mai accorto di niente. (Una pausa.) Vi
odio.
Ha una crisi, singhiozza senza lacrime.
GARCIN
Inutile. Qui le lacrime non scendono.
ESTELLE
Come sono vigliacca! Che vigliacca! (Una pausa.) Se sapeste quanto vi odio!
INES, prendendola tra le braccia.
Povera piccola! (A Garcin.) L'interrogatorio è finito. Non è il caso di tenere quel grugno da
carnefice.
GARCIN
Da carnefice... (Si guarda intorno.) Darei qualunque cosa per vedermi in uno specchio.
(Una pausa.) Che caldo! (Si toglie macchinalmente la giacca.) Oh, mi scusi.
ESTELLE
Può benissimo restare in camicia. A questo punto...
GARCIN
Certo. (Getta la giacca sul divano.) Non devi avercela con me, Estelle.
ESTELLE
Ma io non ce l'ho con lei.
INES
E con me? Con me ce l'hai?
ESTELLE
Sì.
Una pausa.
INES
Allora, Garcin? Eccoci qui, nudi come vermi. Ci vede più chiaro adesso?
GARCIN
Non lo so. Forse un po' più chiaro. (Timidamente.) E se provassimo ad aiutarci a vicenda?
INES
Io non ho bisogno d'aiuto.
GARCIN
Inès, hanno ingarbugliato tutti i fili. A ogni suo minimo gesto, se lei alza una mano per farsi
aria, io ed Estelle sentiamo lo strattone. Nessuno di noi può salvarsi da solo; dobbiamo
perderci insieme o cavarcela insieme. Scelga. (Una pausa.) Che cosa c'è?
INES
L'hanno affittata. Hanno spalancato le finestre, c'è un uomo seduto sul mio letto. L'hanno
affittata! L'hanno affittata! Entri, entri pure, prego. E' una donna. Va verso di lui, gli mette le
mani intorno al collo... Cosa aspettano ad accendere la luce, non si vede più niente... Si
stanno baciando? Quella è la mia camera! E' mia! E perché stanno al buio? Non riesco più a
vederli. Cosa stanno sussurrando? Non starà accarezzandola sul mio letto! Ma, lei gli sta
dicendo che è mezzogiorno e che c'è il sole... sto diventando cieca. (Una pausa.) Fine. Più
niente: non vedo più, non sento più. Credo di aver chiuso i conti, con la terra. Non ho più
scuse. (Rabbrividisce.) Mi sento vuota. Adesso sono davvero morta. Qui, tutta intera. (Una
pausa.) Cosa stava dicendo? Diceva di volermi aiutare, mi pare?
GARCIN
Sì.
INES
A fare cosa?
GARCIN
A sventare i loro piani.
INES
E io, in cambio?
GARCIN
Anche lei mi aiuterà. Non ci vorrà molto, Inès: solo un po' di buona volontà.
INES
Buona volontà... E dove vuole che la trovi? Io sono appassita.
GARCIN
E perché, io? (Una pausa.) Ma se provassimo lo stesso?
INES
Sono inaridita. Non posso né dare né ricevere: come può pretendere che la aiuti? Un ramo
secco, che sta per bruciare. (Una pausa. Guarda Estelle che ha la testa tra le mani.)
Florence era bionda.
GARCIN
Lei sa che questa ragazza sarà il suo carnefice?
INES
Potrei benissimo non saperlo.
GARCIN
E' grazie a questa ragazza che riusciranno ad averla vinta su di lei. Per quanto mi riguarda,
io... io... a me la biondina non interessa. Se quindi lei volesse..
INES
Cosa?
GARCIN
E' una trappola. La stanno tenendo d'occhio per capire se si lascerà prendere.
INES
Sì, lo so. Anche lei è una trappola. Crede forse che le sue parole non fossero previste? E che
non vi si nascondano dei trabocchetti invisibili per noi? Tutto è una trappola. Ma cosa me ne
può importare? Anch'io sono una trappola. Una trappola per la ragazza. Forse sarò io a
intrappolarla.
GARCIN
Le non intrappolerà nessuno. Noi ci corriamo dietro come cavalli in un bosco, senza mai
raggiungerci: creda pure che tutto sia stato previsto. Lasci perdere, Inès. Apra le mani, molli
la presa. Altrimenti farà solo del male a tutti e tre.
INES
Crede che io sia una che molla la presa? So benissimo cosa mi aspetta. Brucerò, sto già
bruciando, e so che questo non avrà mai fine. So già tutto: crede che mollerò la presa? Io
avrò la ragazza, ed Estelle la vedrà con i miei occhi, proprio come Florence vedeva l'altro.
Cosa mi parla a fare della sua sventura? Le ho già detto che so tutto, e che non posso avere
pietà nemmeno per me stessa. Una trappola, ah! Una trappola. Certo che sono presa in
trappola. E allora? Meglio così, almeno saranno contenti.
GARCIN, prendendola per le spalle.
Io posso avere pietà di lei. Mi guardi: noi siamo nudi. Fino alle ossa, e io vedo fin dentro il
suo cuore. Ci lega un filo: crede che voglia farle del male? Io non rinnego niente, anch'io
non mi compiango; anch'io sono inaridito. Ma di lei, posso avere pietà.
INES, che si è lasciata tenere per le spalle mentre Garcin parlava, si scuote.
Non mi tocchi. Destesto che mi si tocchi. E se la tenga, la sua pietà! Via, Garcin, ci sono
abbastanza trappole anche per lei in questa stanza. Si prepari ad affrontare le sue. Farebbe
meglio a pensare ai fatti suoi. (Una pausa.) Se ci lascerà tranquille, la ragazza e io, farò in
modo di non darle fastidio,
GARCIN, dopo averla guardata un istante, alza le spalle.
Va bene.
ESTELLE, rialzando la testa.
Aiuto, Garcin.
GARCIN
Cosa vuole da me?
ESTELLE, alzandosi e avvicinandosi all'uomo.
Lei può aiutarmi.
GARCIN
Si rivolga a lei.
Inès si è avvicinata a Estelle, e si posiziona vicinissimo a lei, alle sue spalle, senza toccarla.
Durante le seguenti battute, le parlerà quasi nell'orecchio. Ma Estelle, rivolta verso Garcin,
che la osserva senza parlare, risponderà solo a quest'ultimo come se fosse l'uomo a farle le
domande.
ESTELLE
La prego, me l'ha promesso. Garcin, lei ha promesso! Avanti, avanti, non voglio restare sola,
Olga l'ha portato al dancing.
INES
Chi ha portato al dancing?
ESTELLE
Pierre. Ballano insieme.
INES
Chi è Pierre?
ESTELLE
Un bamboccio. Mi chiamava la sua “acqua viva”. Mi voleva bene. E lei lo ha portato al
dancing.
INES
Tu lo amavi?
ESTELLE
Si risiedono. Lei è senza fiato. Ma perché balla? A meno che non sia per dimagrire... Ma
certo che no. Ovvio che non lo amavo: ha solo diciotto anni, e io non sono un'orchessa.
INES
Allora lasciali in pace. Che ti importa di loro?
ESTELLE
Lui era mio.
INES
Non c'è più niente di tuo sulla terra.
ESTELLE
Era mio...
INES
Appunto: era... Prova a prenderlo, prova a toccarlo. Olga, lei può toccarlo. Non è così? Non
è così?
Lei può tenergli le mani, strusciarsi contro le sue ginocchia.
ESTELLE
Lo schiaccia contro il suo enorme seno, respira nel suo respiro. Povero bimbo, povero
piccolo bimbo, cosa aspetti a scoppiare a riderle in faccia? Ah! Mi sarebbe bastato uno
sguardo, e lei non avrebbe mai osato... Non conto proprio davvero più nulla?
INES
Più nulla. E non c'è più nulla di te sulla terra: tutto quello che hai è qui. Vuoi il tagliacarte?
O il bronzo di Barbedienne? Hai il divano blu. E me, piccola mia, io sono tua per sempre.
ESTELLE
Tu? Mia? Ma chi di voi due avrebbe mai il coraggio di chiamarmi la sua “acqua viva”? Non
vi si inganna, a voi due. Voi sapete che io sono spazzatura. Pensa a me, Pierre, non pensare
che a me, difendimi: fintanto che tu pensi: la mia “acqua viva”, la mia cara “acqua viva”, io
sono qui solo per metà, sono colpevole solo per metà, sono acqua viva, laggiù, vicino a te.
Lei è rossa come un peperone. Andiamo, è impossibile: abbiamo riso di lei cento volte
insieme. Cos'è questo brano? Uh, come mi piaceva! Ah, è Saint Louis Blues... Va bene,
ballate, ballate. Garcin, si divertirebbe un mondo se potesse vederli. Olga non saprà mai che
io la vedo. Io ti vedo, ti vedo, con la tua pettinatura sfatta, il tuo volto scomposto, lo vedo
che gli schiacci i piedi. E' da morir dal ridere. Dài, più veloce, più veloce! La tira, la spinge.
E' inguardabile! Più in fretta! A me diceva: sei così leggiadra. Avanti! Avanti! (Balla mentre
continua a parlare.) Ti dico che ti sto vedendo. Ma lei se ne frega, balla anche attraverso il
mio sguardo. La nostra cara Estelle! Come? La nostra cara Estelle? Ma taci! Se non ha
nemmeno versato una lacrima al funerale. Lei gli sta dicendo ancora: “La nostra cara
Estelle”. Ha la sfrontatezza di parlargli di me. Avanti! A tempo. Non sei il tipo che può
parlare mentre balla. Ma che cosa... No! No! Non dirglielo! Te lo lascio, prenditelo,
portatelo via, tienitelo, fanne quello che vuoi ma non dirgli... (Smette di ballare.) Ecco.
Bene, puoi tenertelo adesso. Gli ha detto tutto, Garcin: Roger, il viaggio in Svizzera, il
bambino, gli ha raccontato tutto.
“La nostra cara Estelle non era...”. No, infatti, non era... Lui scuote la testa con aria triste,
ma non sembra proprio che la notizia lo abbia sconvolto. Tienitelo, a questo punto. Tieniti le
sue lunghe ciglia e i suoi modi da femminuccia. Ah, mi chiamava la sua “acqua viva”, il suo
cristallo. Ecco, il cristallo è in frantumi. “La nostra cara Estelle”. Ballate! Avanti, ballate! A
tempo. Uno, due. (Balla.) Darei qualsiasi cosa per tornare sulla terra un istante, e per ballare
(Continua a ballare. Una pausa.) Non sento più molto bene. Hanno spento le luci come per
un tango; perché suonano così piano? Più forte! Com'è lontano! Io... non sento più niente.
(Smette di ballare.) Più niente. La terra mi ha lasciata. Garcin, guardami, prendimi tra le tue
braccia.
Inès, alle spalle di Estelle, fa segno a Garcin di spostarsi.
INES, autoritaria.
Garcin!
GARCIN, indietreggia di un passo e indica Inès a Estelle.
Si rivolga a lei.
ESTELLE, lo afferra.
Non mi lasci! E' o non è un uomo? Mi guardi, allora, non distolga lo sguardo: sono davvero
così sgradevole? Ho i capelli come l'oro e, dopo tutto, c'è chi si è ucciso per me. La
supplico, qualcosa dovrà pur guardare. Se non sarò io, sarà il bronzo, il tavolo o il divano.
Tra tutto, io sono la cosa più gradevole. Ascolta: sono caduta dai loro cuori come un
uccellino fuori dal nido. Raccoglimi, prendimi nel tuo cuore, vedrai come sarò docile.
GARCIN, respingendola con forza.
Le ho detto di rivolgersi a lei.
ESTELLE
A lei? Ma lei non conta: lei è una donna.
INES
Io non conto? Ma uccellino, allodoletta, è da un bel po' che sei al riparo, qui, nel mio cuore.
Non aver paura, ti guarderò io, senza sosta, senza un battito di ciglia. Vivrai nei mio sguardo
come una pagliuzza dentro un raggio di sole.
ESTELLE
Un raggio di sole? Ma fammi il piacere! Ci ha già provato poco fa con me, e le è andata
male.
INES
Estelle! Mia acqua viva, mio cristallo.
ESTELLE
Suo cristallo? Che buffonata. Ma chi vuole prendere in giro. Avanti, tutti sanno che ho
scaraventato il bambino dalla finestra. Il cristallo è frantumato a terra e io me ne frego. Non
sono più che questa mia pelle – e la mia pelle non è per lei.
INES
Vieni qui! Sarai quello che vorrai: acqua viva, acqua sporca, ti vedrai in fondo ai miei occhi
esattamente come vorrai.
ESTELLE
Mi lasci in pace! Lei non ha occhi! Ma cosa devo fare perché tu mi lasci in pace? Tieni!
Le sputa in faccia. Inès la lascia bruscamente.
INES
Garcin! Questa me la pagherà!
Una pausa. Garcin alza le spalle e va verso Estelle.
GARCIN
Allora? Vuoi un uomo?
ESTELLE
No, non un uomo. Voglio te.
GARCIN
Poche storie. Non importa chi avrebbe dovuto essere il fortunato. Dal momento che sono
qui, il fortunato sono io. E va bene. (Le abbraccia le spalle.) Non ho niente per piacerti, sai:
non sono un bamboccio e non ballo il tango.
ESTELLE
Ti prendo come sei. Magari potrò cambiarti...
GARCIN
Ho i miei dubbi. Sappi che potrei... distrarmi. Ho altro per la testa.
ESTELLE
Che cosa?
GARCIN
Non ti interesserebbe.
ESTELLE
Mi siederò sul tuo divano. Aspetterò che ti occupi di me.
INES, scoppiando a ridere.
Ah, cagna! Come strisci! Come strisci! E non è nemmeno bello!
ESTELLE, a Garcin.
Non ascoltarla. Non ha occhi, non ha orecchie. Lei non conta.
GARCIN
Ti darò quello che potrò. Non è molto, sai. Non potrò amarti: ti conosco troppo bene.
ESTELLE
Ma mi desideri?
GARCIN
Sì.
ESTELLE
E' tutto quello che voglio.
GARCIN
In questo caso...
Si china su di lei.
INES
Estelle! Garcin! State impazzendo! Io sono qui, io!
GARCIN
Sì, e allora?
INES
Davanti a me? Voi... non potete!
ESTELLE
E perché? Mi spogliavo sempre davanti alla mia cameriera.
INES, aggrappandosi a Garcin.
La lasci! La lasci! Non la tocchi con le sue mani sudicie di maschio!
GARCIN, respingendola violentemente.
Attenta: non sono un gentiluomo, non ho paura di picchiare una donna.
INES
Lei me l'aveva promesso, Garcin, me l'aveva promesso! La supplico, me l'aveva promesso!
GARCIN
E' lei che ha rotto l'accordo.
Inès si divincola e arretra in fondo alla stanza.
INES
Faccia quello che vuole, è lei il più forte. Ma si ricordi che io sono qua e vi guardo. Io non
vi staccherò gli occhi di dosso, Garcin: dovrà baciarla sotto il mio sguardo. Come vi odio,
tutti e due! Amatevi, amatevi pure! Siamo all'inferno, verrà il mio turno.
Durante la scena seguente, Inès li guarda senza dire una parola.
GARCIN, ritorna da Estelle e le cinge le spalle.
Dammela, la tua bocca.
Una pausa. Si china su di lei e bruscamente si rialza.
ESTELLE, con un gesto di disappunto.
Ah!... (Una pausa.) Ti ho detto di non badare a lei.
GARCIN
E' proprio questo il problema. (Una pausa.) Gomez è al giornale. Hanno chiuso le finestre;
quindi è inverno. Sei mesi. Sono passati sei mesi da quando mi hanno... Ti avevo detto che
mi sarebbe successo, di distrarmi. Hanno freddo, hanno tenuto su le giacche... E' strano che
abbiano freddo laggiù: e che io abbia tanto caldo. Adesso stanno proprio parlando di me.
ESTELLE
Durerà molto... (Una pausa.) Raccontami almeno che cosa dicono.
GARCIN
Niente. Non dicono niente. E' una carogna, tutto qui. (Tende l'orecchio.) Una grossa
carogna. Boh! (Si riavvicina a Estelle.) Torniamo a noi! E tu, mi amerai?
ESTELLE, sorridendo.
Chi lo sa?
GARCIN
Avrai fiducia in me?
ESTELLE
Che domanda sciocca. Sarai sempre sotto i miei occhi e non è certo con Inès che mi tradirai.
GARCIN
Certo che no. (Una pausa. Lascia le spalle di Estelle.) Io parlavo di un altro tipo di fiducia.
(Ascolta.) Ah! Continua continua! Di' quello che vuoi: tanto non sono lì per potermi
difendere. (A Estelle.) Estelle, devi darmi fiducia.
ESTELLE
Che strazio! Hai già la mia bocca, le mie braccia, tutto il mio corpo, potrebbe essere così
semplice... La mia fiducia? Ma io non ho fiducia da dare, io; mi irriti terribilmente. Ah!
Devi averla combinata proprio grossa per reclamare in questo modo la mia fiducia.
GARCIN
Sono stato fucilato.
ESTELLE
Lo so: avevi rifiutato di arruolarti. E dopo?
GARCIN
Io... Io non avevo esattamente rifiutato (Al pubblico invisibile sulla terra.) Parla bene, lui,
giudica, ma non dice che cosa bisognava fare. Dovevo forse andare dal generale e dirgli:
“caro generale, io non parto”? Che idiozia. Mi avrebbero sbattuto in galera. Io, invece,
volevo dare una testimonianza. Non volevo che la mia voce venisse soffocata. (A Estelle.)
Così... così ho preso il treno. Mi hanno preso mentre passavo la frontiera.
ESTELLE
Dove volevi andartene?
GARCIN
In Messico. Volevo fondare là un giornale pacifista. (Una pausa.) Allora, di' qualcosa.
ESTELLE
Che cosa vuoi che ti dica. Hai fatto bene, dal momento che non volevi scappare. (Un gesto
infastidito di Garcin.) Ah! Tesoro, non posso mica indovinare quello che vuoi che ti si
risponda.
INES
Ma carina, bisogna dirgli che è scappato come un leone. Perché è scappato, il tuo tesoro. E'
questo che lo tormenta.
GARCIN
Scappato, partito. Ditelo un po' come volete.
ESTELLE
Ma per forza dovevi scappare. Se fossi rimasto, ti avrebbero messo dentro.
GARCIN
Appunto. (Una pausa.) Estelle, sono un vigliacco?
ESTELLE
Ma che ne so, amore mio, io non sono nei tuoi panni. Sta' a te deciderlo.
GRACIN, con un gesto stanco.
Io non decido niente.
ESTELLE
In fin dei conti dovrai pur ricordarti: avrai avuto le tue buone ragioni per fare quello che hai
fatto.
GARCIN
Certo.
ESTELLE
E allora?
GARCIN
Ma quali sono le ragioni vere?
ESTELLE, demoralizzata.
Come sei complicato.
GARCIN
Io volevo dare una testimonianza, io... ci avevo riflettuto a lungo... Quali sono le ragioni
vere?
INES
Ecco! Ecco qui la questione. Saranno state le ragioni vere? Tu riflettevi, non volevi
impegnarti con superficialità. Ma la paura, l'odio e tutte le meschinità nascoste sono anche
quelle delle ragioni. Avanti, cerca la risposta, interrogati.
GARCIN
Smettila! Ci mancavano solo i tuoi consigli. Camminavo nella mia cella, giorno e notte,
avanti e indietro dalla finestra alla porta. Mi sono spiato. Ho braccato me stesso. Mi pare di
aver passato tutta la vita a interrogarmi, e poi niente, l'atto era là. Ho... ho preso il treno,
questo è un fatto. Ma perché? Perché? Alla fine mi sono detto: sarà la mia morte a decidere;
se morirò dignitosamente, avrò provato di non essere un vigliacco...
INES
E come sei morto, Garcin?
GARCIN
Male. (Inès scoppia a ridere.) Oh, è stata un piccolo imprevisto di natura fisica. Io non
provo vergogna. Semplicemente, ogni cosa è rimasta sospesa all'infinito. (A Estelle.) Vieni
qui, tu. Guardami. Ho bisogno che qualcuno mi guardi mentre parlano di me sulla terra.
Amo i tuoi occhi verdi.
INES
Gli occhi verdi? Ma pensa un po'! E tu, Estelle? Tu ami i vigliacchi?
ESTELLE
Sapessi quanto me ne importa. Vigliacco o no, basta che baci bene.
GARCIN
Ciondolano la testa fumando i loro sigari; si stanno annoiando. E pensano: Garcin è un
vigliacco. Fiaccamente, debolmente. Per il fatto di dover pensare sempre a qualcosa. Garcin
è un vigliacco! Ecco cosa hanno deciso i miei colleghi. Tra sei mesi diranno: vigliacco come
Garcin. Avete una bella fortuna, voi due: nessuno pensa più a voi sulla terra. A me tocca la
sorte più dura.
INES
E sua moglie, Garcin?
GARCIN
Mia moglie cosa? E' morta.
INES
Morta?
GARCIN
Avrò dimenticato di dirvelo. E' morta subito dopo. Saranno quasi due mesi.
INES
Di crepacuore?
GARCIN
Certo, di crepacuore. Di cos'altro poteva morire? Quindi, tutto va bene: la guerra è finita,
mia moglie è morta e io sono entrato nella storia.
Ha un singhiozzo improvviso e si passa la mano sul volto.
Estelle gli si avvicina.
ESTELLE
Tesoro, tesoro! Guardami, tesoro! Toccami, toccami. (Gli prende la mano e gliela appoggia
sul suo seno.) Metti la tua mano sul mio seno. (Garcin cerca di divincolarsi.) Lascia qui la
tua mano, lasciala qui, non muoverti. Moriranno, uno per uno. Cosa importa quello che
pensano? Dimenticali, ci sono solo io.
GARCIN, liberandosi la mano.
No, non dimenticano loro. Moriranno, sì, ma verranno degli altri che si passeranno il
testimone: ho lasciato la mia vita nelle loro mani.
ESTELLE
Tu pensi troppo!
GARCIN
Cos'altro posso fare? Un tempo, potevo agire... Ah! Ritornare uno solo giorno in mezzo a
loro... Che rivincita! Ma ora sono fuori gioco; tirano le somme senza considerarmi, e hanno
ragione, visto che sono morto. Ho fatto la fin del topo. (Ride.) Sono cascato nel luogo
comune.
Una pausa.
ESTELLE, lentamente.
Garcin!
GARCIN
Eccoti. Allora, ascolta: adesso mi farai un piacere. No, non spaventarti. Lo so, ti sembra
strano che ti si possa chiedere aiuto, non ci sei abituata. Ma se vorrai, se farai uno sforzo,
potremo finalmente, una buona volta, amarci. Dunque: a migliaia ripetono che io sono un
vigliacco. Ma cosa sono, mille persone di fronte a un'anima, una sola, che affermasse con
tutte le sue forze che non sono scappato, che non posso essere scappato, che ho avuto
coraggio, dignità. Ecco: io... io sarei salvo. Vuoi credere in me? Mi saresti più cara della
mia stessa persona...
ESTELLE, ridendo.
Stupido! Piccolo stupido! Pensi davvero che potrei amare un vigliacco?
GARCIN
Ma poco fa hai detto...
ESTELLE
Ti stavo prendendo in giro. A me piacciono gli uomini, Garcin, gli uomini veri, con la pelle
ruvida, le mani forti. Tu non hai il mento di un vigliacco, non hai la bocca di un vigliacco,
non hai la voce di un vigliacco, i tuoi capelli non sono quelli di un vigliacco. Ed è per la tua
bocca, per la tua voce, per i tuoi capelli, che io ti amo.
GARCIN
Davvero? Dici davvero?
ESTELLE
Vuoi che te lo giuri?
GARCIN
Allora li sfido tutti, quelli che stanno laggiù e quelli che stanno qui. Estelle, noi usciremo
dall'inferno. (Inès scoppia a ridere. Garcin si interrompe e la guarda.) Che cosa vuoi?
INES, ridendo.
Ma se non crede a una parola di quello che ti ha detto: come puoi essere così ingenuo?
“Estelle, sono un vigliacco?” Se sapessi quanto gliene importa!
ESTELLE
Inès. (A Garcin.) Non ascoltarla. Se vuoi la mia fiducia devi cominciare con il darmi la tua.
INES
Ma sì, ma sì! Dalle fiducia. Ha bisogno di un uomo, questo è certo, delle braccia di un uomo
intorno alla vita, dell'odore di un uomo, del desiderio di un uomo negli occhi di un uomo.
Per il resto... ah! Ti direbbe anche che sei Dio Padre, se questo potesse farti piacere.
GARCIN
Estelle! E' vero? Rispondi: è vero?
ESTELLE
Ma cosa vuoi che ti dica? Non capisco niente di tutte queste storie. (Picchia i piedi.) Com'è
tutto irritante! Anche se tu fossi un vigliacco, io ti amerei lo stesso, ecco! Non ti basta?
Una pausa.
GARCIN, alle due donne.
Mi fate schifo.
Va verso la porta.
ESTELLE
Che cosa fai?
GARCIN
Me ne vado.
INES, pronta.
Non andrai lontano: la porta è chiusa.
GARCIN
Sarà bene che la aprano.
Preme il bottone del campanello. Il campanello non funziona.
ESTELLE
Garcin!
INES, a Estelle.
Tranquilla, il campanello è rotto.
GARCIN
Vi dico che apriranno. (Bussa alla porta.) Non vi posso più sopportare, non ne posso più.
(Estelle gli si avvicina, lui la respinge.) Vattene! Mi fai ancora più schifo di lei. Non voglio
sprofondare dentro i tuoi occhi. Sei umida! Sei molle! Sei una piovra, sei una palude.
(Picchia contro la porta.) Volete aprire?
ESTELLE
Garcin, ti supplico, non andartene, non parlerò più, ti lascerò sempre tranquillo, ma non
andartene. Inès ha tirato fuori gli artigli, non voglio restare sola con lei.
GARCIN
Arrangiati. Non ti ho chiesto io di venire qui.
ESTELLE
Vigliacco! Vigliacco! Oh! E' proprio vero che sei un vigliacco.
INES, avvicinandosi a Estelle.
Allora, allodoletta, sei contenta? Mi hai sputato in faccia per fare colpo su di lui e abbiamo
litigato a causa sua. Ma il guastafeste adesso se ne va, ci lascia tra donne.
ESTELLE
Tu non otterrai niente; se questa porta si apre io scappo.
INES
E dove?
ESTELLE
Dovunque. Il più lontano possibile da te.
Garcin non ha mai smesso di bussare alla porta.
GARCIN
Aprite, aprite, avanti! Accetto tutto: lo stivale di ferro, la gogna, il piombo fuso, la forca, il
supplizio, qualunque cosa bruci, laceri, voglio soffrire davvero. Meglio sbranato, meglio le
frustate, meglio il vetriolo piuttosto che questa sofferenza di testa, questo fantasma di
sofferenza che logora , che sfiora e che non fa mai abbastanza male. (Prende la maniglia
della porta e la scuote.) Volete aprire? (La porta si apre violentemente, rischiando di farlo
cadere.) Ah!
Una lunga pausa.
INES
Allora, Garcin? Se ne vada.
GARCIN, lentamente.
Mi chiedo perché la porta si sia aperta.
INES
Cosa sta aspettando? Presto, se ne vada!
GARCIN
No, non me ne vado.
INES
E tu, Estelle? (Estelle non si muove. Inès scoppia a ridere.) Allora? Chi? Chi di noi tre? La
strada è libera, chi ci trattiene? Ah! C'è da morir dal ridere! Siamo inseparabili!
Estelle la aggredisce alle spalle.
ESTELLE
Inseparabili? Garcin! Aiutami. Aiutami, presto. Trasciniamola in corridoio e chiudiamola
fuori dalla porta. Così imparerà...
INES, dibattendosi.
Estelle! Estelle! Ti supplico, tienimi con te. Il corridoio no, non gettarmi nel corridoio!
GARCIN
Lasciala.
ESTELLE
Tu sei pazzo, lei ti odia.
GARCIN
E' per lei che sono rimasto.
Estelle lascia Inès e guarda Garcin stupefatta.
INES
Per me? (Una pausa.) E va bene, chiudete la porta. Fa dieci volte più caldo da quando è
aperta. (Garcin raggiunge la porta e la chiude.) Per me?
GARCIN
Sì. Perché tu, tu sai che io sono un vigliacco.
INES
Sì che lo so.
GARCIN
Tu sai che esistono il male, la vergogna, la paura. Ci sono stati giorni nei quali ti sei
guardata fin dentro il cuore – e questo ti ha spezzato le gambe e le braccia. E il giorno dopo
non sapevi più che cosa pensare, non riuscivi più a riconoscere le verità del giorno prima.
Sì, tu conosci il prezzo del male. E se tu dici che io sono un vigliacco, è perché sai bene di
cosa stai parlando, vero?
INES
Sì.
GARCIN
E' te che devo convincere: tu sei della mia stessa specie. Credevi davvero che sarei andato?
Non potevo lasciarti qui, trionfante, con tutti quei pensieri in testa, tutti quei pensieri su di
me.
INES
Tu puoi veramente convincermi?
GARCIN
Non posso che fare quello. Loro non li sento più, sai. Probabilmente l'hanno finita una volta
per tutte, con me. Fine: la faccenda è archiviata, non sono più niente sulla terra, nemmeno
più un vigliacco. Inès, eccoci soli: non ci siete altri che voi due per pensare a me. Lei non
conta. Ma tu, tu che mi odi: se tu mi credi, tu mi salvi.
INES
Non sarà facile. Guardami: ho la testa dura.
GARCIN
Ci metterò il tempo che servirà.
INES
Oh! Abbiamo tutto il tempo. Tutto il tempo.
GARCIN, prendendola per le spalle.
Ascolta: ciascuno ha il suo obiettivo nella vita, non è vero? Io, me ne fregavo dei soldi,
dell'amore. Volevo solo essere un uomo. Un duro. Ho puntato tutto su un solo cavallo.
Come si può essere vigliacchi quando scegliamo la strada più pericolosa? Si può giudicare
una vita intera da un solo atto?
INES
Perché no? Hai sognato per trent'anni di avere coraggio; e ti sei perdonato mille debolezze
perché agli eroi è tutto concesso. Comodo, no? Poi, nel momento del pericolo, ti sei trovato
con le spalle al muro e... hai preso un treno per il Messico.
GARCIN
Non l'ho sognato questo eroismo. L'ho scelto. Siamo quello che vogliamo essere.
INES
Provalo. Prova che non è stato un sogno. Solo gli atti sono giudici di quello che abbiamo
voluto.
GARCIN
Sono morto troppo presto. Non ho avuto il tempo di fare i miei atti.
INES
Si muore sempre troppo presto – o troppo tardi. E, nonostante questo, la vita resta là,
conclusa. La linea è tracciata, bisogna tirare le somme. Tu non sei altro che la tua vita.
GARCIN
Vipera! Hai una risposta per tutto.
INES
Avanti! Avanti! Non perderti d'animo. Dovrebbe esserti facile convincermi. Cerca dei buoni
argomenti, fai uno sforzo. (Garcin alza le spalle.) Allora, allora? Te l'avevo detto che eri
vulnerabile. Ah! Quanto la pagherai cara, adesso. Tu sei un vigliacco, Garcin, un vigliacco
perché io lo voglio. Io lo voglio, capisci, io lo voglio! Eppure, vedi come sono debole, un
soffio: non sono nient'altro che lo sguardo che ti osserva, nient'altro che questo pensiero
incolore che ti pensa. (Garcin va verso di lei con le mani spalancate.) Ah! Si aprono
finalmente queste grandi mani da uomo. Ma cosa speri di fare? Non si catturano i pensieri
con le mani. Forza, non hai scelta: mi devi convincere. Ti tengo in pugno.
ESTELLE
Garcin!
GARCIN
Cosa c'è?
ESTELLE
Vendicati.
GARCIN
E come?
ESTELLE
Baciami. Vedrai come canta.
GARCIN
In effetti è vero, Inès. Mi tieni in pugno, ma anch'io ti tengo in pugno.
Si china su Estelle. Inès lancia un grido.
INES
Ah! Vigliacco! Vigliacco! Va' a farti consolare dalle femmine.
ESTELLE
Canta, Inès, canta!
INES
Che bella coppia! Se tu vedessi la sua grossa zampa schiacciata sulla tua schiena, che fruga
la carne e la stoffa. Le sue mani madide, sudate. Lascerà una macchia blu sul tuo vestito.
ESTELLE
Canta! Canta! E tu, Garcin, stringimi più forte a te. Facciamola schiattare.
INES
Ma sì, stringila forte, stringila! Mescolate i vostri umori. Che bello l'amore, eh, Garcin? E'
tiepido e profondo come il sonno, ma io ti impedirò di dormire.
Disappunto di Garcin.
ESTELLE
Non ascoltarla. Bacia la mia bocca, sono tutta tua.
INES
Allora, Garcin, cosa aspetti? Fa' quello che ti dice. Garcin il vigliacco che tiene tra le
braccia Estelle l'infanticida. Le scommesse sono aperte. Garcin il vigliacco la bacerà? Io vi
vedo, io vi vedo: la mia solitudine è una moltitudine. Una moltitudine, Garcin, una
moltitudine, li senti? (Sussurrando.) Vigliacco! Vigliacco! Vigliacco! Invano tenti di
sfuggirmi, io non ti lascerò. Cosa cerchi sulle sue labbra? L'oblio? Non ci sarà oblio con me,
Garcin. E' me che devi convincere. Me. Vieni, vieni! Io ti aspetto. Vedi, Estelle, sta già
allentando l'abbraccio, è docile come un cagnolino... Non lo avrai mai!
GARCIN
Quindi non diventerà mai notte?
INES
Mai.
GARCIN
E tu mi vedrai sempre.
INES
Sempre.
Garcin lascia Estelle e muove qualche passo nella stanza. Si avvicina al bronzo.
GARCIN
Il bronzo... (Lo accarezza.) Perfetto, è questo il momento. Il bronzo è qui, io lo guardo e
capisco di essere all'inferno. Vi dico che ogni cosa era prevista. Avevano previsto me, qui,
davanti a questo camino, la mia mano appoggiata a questo bronzo, con tutti questi sguardi
addosso. Tutti questi sguardi che mi divorano... (Si volta improvvisamente.) Ah! Ma siete
solo due? Vi credevo molte di più... (Ride.) Così è questo l'inferno. Non l'avrei mai
pensato... Vi ricordate: lo zolfo, il fuoco, la graticola... Ah, che sciocchezze. Nessuna
graticola: l'inferno sono gli Altri.
ESTELLE
Amore mio!
GARCIN, respingendola.
Lasciami. C'è lei tra di noi. Non ti posso amare se lei mi guarda.
ESTELLE
E va bene! Non ci guarderà più.
Prende il tagliacarte sul tavolo, si scaglia contro Inès e la colpisce a più riprese.
INES, divincolandosi e ridendo.
Ma cosa stai facendo? Ma cosa stai facendo? Sei matta? Sai benissimo che sono già morta.
ESTELLE
Morta?
Lascia cadere il coltello. Una pausa. Inès raccoglie il coltello e si colpisce violentemente
con la lama.
INES
Morta! Morta! Morta! Né coltello, né veleno, né cappio. E' già stato, capisci? E noi saremo
insieme per sempre.
Ride.
ESTELLE, scoppiando a ridere.
Per sempre, mio Dio, che cosa assurda! Per sempre!
GARCIN, ride osservandole entrambe.
Crollano seduti, ciascuno sul proprio divano. Un lungo silenzio. Smettono di ridere e si
guardano. Garcin si alza.
GARCIN
E va bene, continuiamo.
SIPARIO
JEAN-PAUL SARTRE - BIOGRAFIA ESSENZIALE5
Jean-Paul Sartre Jean-Paul Sartre nasce a Parigi il 21 giugno 1905 da JeanBaptiste Sartre, ufficiale di marina, e da Anne-Marie -Schweitzer (il celebre
"dottor Schweitzer" era cugino di Sartre).
Morendo il padre solo due anni dopo la nascita di Jean-Paul, la giovane
Anne-Marie si rifugia a Meudon dai suoi genitori. Qui il nonno materno
esercita sul futuro scrittore una profonda influenza, anche per quel che
concerne la sua precoce "vocazione" letteraria.
La madre passa quindi a nuove nozze con il direttore dei cantieri navali di
La Rochelle. Nella stessa città, il piccolo Jean-Paul frequenta il liceo. Dopo
aver conseguito il baccalaureato è ammesso alla Scuola Normale a Parigi.
A questi anni risale la sua conoscenza con Simone de Beauvoir, in seguito
pure lei celebre scrittrice e fervida promotrice di movimenti in difesa delle
donne, con la quale resterà sentimentalmente legato per tutta la vita.
Ottenuta l'abilitazione all'insegnamento, insegna filosofia a Le Havre.
Nel 1933 si reca per un anno a Berlino con una borsa di studio dell'Istituto
francese. Vi assiste alla presa del potere da parte dei nazisti, e legge per la
prima volta le opere di Husserl, Heidegger e Scheler.
Tre anni dopo, nel '36, pubblica il suo primo libro, il saggio filosofico
L'immaginazione.
Intanto, anche la sua carriera accademica subisce degli scossoni. Prima
insegna per un anno a Laon, poi diventa professore di filosofia al Liceo
Pasteur di Parigi. Sono anni importantissimi per la sua maturazione e una
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riprova è nel fatto che nel '38 pubblica il romanzo La nausea e la raccolta di
novelle Il muro, nei quali già sono sviluppati i principi della filosofia
esistenzialista.
La nausea, più che un romanzo in senso stretto, è un 'racconto filosofico':
Roquentin, il narratore, scopre nell'angoscia che niente nella sua vita è
motivato o giustificato, e che, d'altra parte, questa gratuità non lo esime
dalla necessità di scegliere.
I cinque racconti de Il Muro, pubblicato l'anno seguente, esprimono questi
temi in un linguaggio più letterario, risolvendoli senza residui nel tessuto
narrativo. Per cui, più de La nausea, essi rivelano il clima socioculturale di
quegli anni. Il racconto che dà il titolo al volume rappresenta l'uomo in una
situazione estrema, e il suo sforzo di assumerla, padroneggiarla, superarla.
L 'esistenzialismo sartriano può infatti essere definito una filosofia della
libertà, della scelta e della responsabilità.
L 'uomo deve inventare la propria vita e il proprio destino, deve costruire i
propri valori. Non c'è un'essenza dell'uomo, che prefiguri la sua esistenza;
non ci sono norme, leggi, autorità che predeterminino il suo comportamento.
Solo i benpensanti, i farisei, che rifiutano la responsabilità di un'esistenza
libera, credono in una necessità esterna all'uomo, in una stabilità delle cose,
in un ordine metafisico che presieda alla vita della natura e della società.
I benpensanti rifiutano le esperienze radicali e rivelatrici del nulla, della
nausea, dell'angoscia, che Sartre ritiene fondamentali per provocare
nell'uomo la crisi da cui emerge l'esigenza della libertà e dei valori. Tale
precisazione sarà approfondita da Sartre, undici anni dopo, quando, su invito
di una rivista polacca, scriverà il saggio pubblicato poi come Questioni di
metodo (1957). In questo saggio, e nella successiva Critica della ragione
dialettica
(1960),
egli
cerca
soprattutto
di
integrare
il
proprio
esistenzialismo nel pensiero marxista, da lui considerato 'l'insuperabile
filosofia del nostro tempo'. Intanto, in quegli anni, presta servizio militare a
Nancy, Brumath e Mossbronn. Scrive Immagine e coscienza, dove
l'immagine è vista come la prima espressione della libertà e del dramma
dell'uomo. Il 21 giugno viene fatto prigioniero dai tedeschi a Padoux, in
Lorena, e quindi internato a Treviri. Ottenuta la libertà (facendosi passare
per civile}, partecipa attivamente alla Resistenza clandestina e riprende
l'insegnamento al Liceo Pasteur e poi al Liceo Condorcet, dove insegna fino
alla liberazione di Parigi. Nel 1943 pubblica il suo primo dramma, Le
mosche (riprendendo l' Orestea di Eschilo), e il trattato d'ontologia
fenomenologica L' essere e il nulla.
Nel 1945 Fonda la rivista Les Temps Modernes, nella quale troveranno
espressione le tre esperienze fondamentali della sua vita: quella filosofica,
quella letteraria e quella politica. Escono L'età della ragione e Il rinvio, i
primi due volumi del ciclo romanzesco Le vie della libertà, e l'atto unico A
porte chiuse.
Pubblica i saggi L'esistenzialismo è un umanismo, Materialismo e
rivoluzione, L'antisemitismo, e i drammi La sgualdrina timorata e Morti
senza tomba. Ne L'esistenzialismo è un umanismo si preoccupa di precisare
in che senso vada inteso il termine, che era diventato in breve tempo così
generico "da non significare più nulla: o meglio, da significare le cose più
assurde". Compie un viaggio in Italia, con Simone de Beauvoir.
Negli anni successivi Sartre tornerà in Italia decine di volte.
Anche l'attività politica è assai intensa. Dà vita, con Rousset, Rosenthal e
altri, a un nuovo partito: il 'Rassemblement Democratique Revolutionnaire',
d'ispirazione marxista ma privo d'impostazione classista; l'anno seguente il
risultato delle elezioni determinerà il fallimento di questo partito e,
successivamente, il suo scioglimento. Pubblica un lungo saggio su
Baudelaire e un altro dal titolo Che cos'è la letteratura? .
Si occupa anche di cinema, stendendo la sceneggiatura cinematografica Il
gioco è fatto.
Nel '49 appare La morte dell'anima", terzo volume della serie Le vie della
libertà, e il saggio Discussioni sulla politica.
Inoltre, escono il dramma Il diavolo e il buon Dio e il saggio Gide vivente.
Inizia la pubblicazione su Les Temps Modernes del lungo saggio I comunisti
e la pace, dove sostiene la fondamentale validità delle tesi marxiste,
sottolineando una posizione da 'compagno di strada critico'.
Lo scritto sartriano suscita clamorose polemiche con Camus, Merleau-Ponty
e Lefort. Appare anche il saggio Santo Genet, commediante e martire. Sullo
sfondo della guerra d'Indocina, si pronuncia sul caso Henri Martin, e
pubblica una raccolta di testi commentati che ha per titolo L'affare Henri
Martin. In maggio, con Simone de Beauvoir, visita l'URSS. Visita anche la
Cina, e scrive la prefazione a Da una Cina all'altra, libro fotografico di
Cartier-Bresson. Il numero di gennaio di Les Temps Modernes esce
interamente dedicato alla Rivolta ungherese. Sartre, che aveva già
pubblicato sull' "Express" una prima energica protesta, ribadisce, nel saggio
Il fantasma di Stalin, il suo atto di accusa contro la politica sovietica e
compie un'acuta analisi del dramma che ha sconvolto il campo socialista.
Appare l'opera filosofica Critica della ragione dialettica, nella quale Sartre
instaura un colloquio critico tra il marxismo e il proprio esistenzialismo.
Risiede per un mese a Cuba, ospite di Fidel Castro, e vi dedica un reportage
su "France-Soir". È l'autore del famoso 'Manifesto dei 121' che proclama il
diritto all'insubordinazione per i francesi mobilitati nella guerra d'Algeria.
Dà la propria pubblica adesione al Reseau Jeanson, l'organizzazione
clandestina sostenitrice del Fronte Nazionale di Liberazione algerino.
Pubblica il saggio Merleau-Ponty vivente, e la Prefazione ai Dannati della
terra di Fanon.
Nel 1963 esce l'opera autobiografica Le parole. Lo stesso
anno gli viene assegnato il premio Nobel per la letteratura. Sartre lo rifiuta,
giustificando il suo gesto con ragioni personali ("ho sempre declinato le
distinzioni ufficiali") e con ragioni obiettive ("io sto lottando per avvicinare
la cultura occidentale a quella orientale, e svuoterei la mia azione se
accettassi onorificenze da Est o da Ovest" ). Tiene un ciclo di conferenze in
Brasile. Pubblica Bariona, il suo primo dramma (scritto durante la prigionia
in Germania). Rifiuta un invito, rivoltogli da università americane, a
svolgere un ciclo di conferenze negli USA per protestare contro l'intervento
americano nel Vietnam. A questo proposito è fra i promotori e fra i membri
del Tribunale B. Russell, che in due sedute (maggio '67 a Stoccolma e
novembre '67 a Copenaghen), stende un documento di condanna. Appare il
volume miscellaneo "Che cosa può la letteratura?" e il dramma Le Troiane
in una riscrittura da Euripide. Pubblica i saggi La coscienza di classe in
Flaubert e Dal poeta all' artista.
Nell'inverno '66-'67, compie un giro di conferenze in Egitto e in Israele,
esprimendo in entrambi i paesi con grande franchezza la sua opinione sulla
questione arabo-israeliana. Nel 1968, durante i fatti di maggio, Sartre prende
parte alle lotte studentesche, allineandosi alle posizioni politiche di alcuni
gruppi della sinistra extraparlamentare.
Più tardi ribadirà questo
orientamento aspramente critico nei confronti del Partito Comunista
Francese e, sul piano internazionale, dell'U.R.S.S. in svariate occasioni: per
esempio, insorgendo contro l'invasione della Cecoslovacchia, e assumendo
la responsabilità giuridica di periodici "filocinesi".
Pubblica L'idiota di famiglia, saggio monografico dedicato a Gustave
Flaubert, in due tomi (più di 2000 pagine complessive).
Sartre muore a Parigi nel 1980.