l ` U l i v o - Abbazia di Monte Oliveto Maggiore

Transcription

l ` U l i v o - Abbazia di Monte Oliveto Maggiore
l’Ulivo
Anno XXXV
•
n u ova serie
G e n n a i o -Giugno 2005 - N. 1
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In omaggio
Texte francais p. 10 - English text p. 17 - Texto español p. 25
33
Editoriale
Texte francais p. 37 - English text p. 41 - Texto español p. 45
Articoli
49
BRUNO FORTE
Dio, la ricerca e la fede nel pensiero di Joseph Ratzinger
62
GIOVANNI IAMMARRONE
La contemplazione di Gesù Cristo
79
FRANCESCO SANTI
Dolcezze del Paradiso. Visioni della mente
96
LUISA TAVANTI CHIARENTI
Tipologie architettoniche degli ordini monastici
105
CELSO BIDIN
Nello di Mino Tolomei
112
ROBERTO DONGHI
Una inedita preghiera del Seicento al beato Bernardo Tolomei
122
ENRICO MARIANI
Osservazioni intorno alle bozze delle Costituzioni della
Congregazione di Santa Maria di Monte Oliveto del 1932 (II parte)
141
SARAH LACHERÉ
«Heureux les épis mûrs et les blés moisonnés...» Ma r i e- Pa s ca
Dickson 1904-2004
Vita della famiglia monastica di Monte Oliveto
184
Dalle nostre Comunità
Texte francais p. 199 - English text p. 214 - Texto español p. 229
243
MICHELANGELO TIRIBILLI
Il Capitolo Generale della Congregazione di Monte Oliveto: 1-14
ottobre 2004
256
COLOMBAN BENDERITTER
Une visite fraternelle à nos frères de Gosung et à nos sœurs
olivétaines en corée
270
Monasteiro São Bento de Ribeirão Preto - Brasil. «A escola da
Vida»
Indicazioni bibliografiche
274
Recensioni
314
Segnalazioni
327
Bibliografia olivetana
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Nell’umile consapevolezza di bene corrispondere non solo al desiderio di tutti i monaci e le monache della famiglia monastica di Monte Oliveto ma anche a quello di ogni nostro lettore, vogliamo che ques to volume dell ’Ulivo ospiti al suo inizio una breve, ma affettuosa e
riconoscente memoria del grande Papa che ci ha las c i a to la sera del
primo sabato dopo Pasqua, nell’imminenza della Domenica in Albis,
quella Domenica che Gi ovanni Paolo II av eva voluto dedicare alla
Divina Misericordia. Siamo peraltro convinti che un modo fruttuoso
per rievocare lo straordinario dono di Dio alla sua Chiesa e al mondo
intero che è stato questo lungo Pontificato sia condividere coi nostri
lettori la rilettura di qualcosa del suo magistero, un magistero sapiente che in più occasioni non ha mancato di arricchire di senso e di
motivazioni nuove il monachesimo e la sua più che millenaria tradizione. Tutti noi infatti custodiamo nel cuore e nella mente le bellissime pagine di Orientale lumen, autentica profezia di una futura, riconciliata testimonianza cristiana di vita monastica d’Oriente e d’Occid e n te; tutti noi abbiamo letto e studiato l’esortazione aposto l i c a
post-sinodale Vita consecrata, appassionato e fiducioso appello perché
i religiosi vivano pienamente la loro dedizione a Dio «per non lasciar
mancare a questo mondo un raggio della divina bellezza che illumini
il cammino dell'esistenza umana» (109); tutti noi monache e monaci
olivetani non potremo mai dimenticare quel dono magnifico che nel
1998 ci è stato fatto da Giovanni Paolo II con la sua lettera inviata al
Padre Abate Generale in occasione del 650° anniversario della morte
del Beato Bernardo Tolomei. In quelle pagine il Papa ci regalava una
delle più belle ed ispirate definizioni della nostra famiglia monastica,
da lui evocata come «un’agape fraterna di comunità». Qui dunque vorremmo innanzitutto ricordare, anche per la sua valenza ecumenica,
un passo molto suggestivo per essenzialità e profondità tratto da un
discorso pronunciato da Giovanni Paolo II ai monaci del monastero
di San Giovanni di Rila (Bulgaria) dove si era recato in pellegrinaggio
nel maggio del 2002: «La vita monastica, in virtù della tradizione ininterrotta di santità su cui poggia, custodisce con amore e fedeltà alcu-
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ni elementi della vita cristiana, importanti anche per l’uomo di oggi:
il monaco è memoria evangelica per i cristiani e per il mondo. Come
insegna san Basilio il Grande (PG 31,933-941), la vita cristiana è anzitutto apotaghé, “rinuncia”: al peccato, alla mondanità, agli idoli, per
aderire all’unico vero Dio e Signore, Gesù Cristo (cfr. 1 Ts 1,9-10). Nel
monachesimo tale rinuncia si fa radicale: rinuncia alla casa, alla famiglia, alla professione (cfr. Lc 18,28-29); rinuncia, poi, ai beni terreni,
nell’incessante ricerca di quelli eterni (cfr. Col 3,1-2); rinuncia alla phi lautìa, come la chiama san Massimo il Confessore (cfr. Capita de chari tate II,8; III,8; III,57 e passim, PG 90,960-1080), cioè all’amore egoistico, per conoscere l’infinito amore di Dio e divenire capaci di amare i fratelli. L’ascesi del monaco è anzitutto un cammino di rinuncia
per poter aderire sempre di più al Signore Gesù ed essere trasfigurato
dalle energie dello Spirito Santo.[…] La “lotta spirituale” è un altro
e l e m e n to della vita monastica che oggi è necessario reimparare e
riproporre a tutti i cristiani. Si tratta di un’arte segreta e interiore, un
combattimento invisibile che il monaco conduce ogni giorno contro
le tentazioni, le suggestioni malvagie che il demonio cerca di insinuare nel suo cuore; è una lotta che diventa crocifissione nell’arena della
solitudine in vista della purezza del cuore che permette di vedere Dio
(cfr. Mt 5,8) e della carità che consente di partecipare alla vita di Dio
che è amore (cfr 1 Gv 4,16). Nell’esistenza dei cristiani oggi più che
mai gli idoli sono seducenti, le tentazioni pressanti: l’arte della lotta
spirituale, il discernimento degli spiriti, la manifestazione dei propri
pensieri al maestro spirituale, l’invocazione del nome santo di Gesù e
della sua misericordia devono tornare a far parte della vita interiore
del discepolo del Signore. Questa lotta è necessaria per essere “non
distratti”, aperíspastoi, “non preoccupati”, amérimnoi (cfr. 1 Cor 7, 32.35)
e vivere in co s t a n te raccoglimento con il Signore (cfr. S. Basilio
Magno, Regulae fusius tractatae VIII,3; XXXII,1; XXXVIII)». Queste
parole, pronunziate ormai tre anni fa, non solo continuano a proporre a noi monaci d’Oriente e d’Occidente un modello luminoso di vita
monastica e di testimonianza ecclesiale, ma additano altresì a tutti i
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cristiani di oggi, quale che sia la loro specifica vocazione, la necessaria centralità di un’esperienza di orante co n templazione se davvero
autentico è il desiderio di tracciare un fruttuoso itinerario di sequela
sulle orme del Signore Gesù, «confessato come senso della storia e
luce del nostro cammino» (Novo millennio ineunte, 15). Tale necessaria
centralità era stata ribadita dal Santo Padre come fondamento sicuro
e fecondo di ogni dinamismo pas torale proprio all’indomani del
Grande Giubileo del 2000, nella lettera apostolica Novo millennio
ineunte: «Ora dobbiamo guardare avanti, dobbiamo “prendere il largo”, fiduciosi nella parola di Cr i s to: Duc in altum! Gesù stesso ci
ammonisce: “Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge
indietro, è adatto per il regno di Dio” (Lc 9,62). Nella causa del Regno
non c’è tempo per guardare indietro, tanto meno per adagiarsi nella
pigrizia. Mo l to ci attende, e dobbiamo per questo porre mano ad
u n’ e f f i c a ce programmazione pas torale post-giubilare. E’ tuttavia
importante che quanto ci proporremo, con l’aiuto di Dio, sia profondamente radicato nella contemplazione e nella preghiera. Il nostro è
tempo di continuo movimento che giunge spesso fino all'agitazione,
col facile rischio del “fare per fare”. Dobbiamo resistere a questa tentazione, cercando di “essere” prima che di “fare”. Ricordiamo a questo proposito il rimprovero di Gesù a Marta: “Tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno” (Lc 10,4142)» (15). E infatti, ancora in Novo millennio ineunte, il Papa ribadiva
poco dopo la necessità per ogni membro del popolo di Dio di acquisire sempre più confidenza con almeno due caratteri così tipici della
vita monastica: «Solo l’esperienza del silenzio e della preghiera offre l’orizz o n te adeguato in cui può maturare e svilupparsi la co n o s cenza più
vera, aderente e coerente, di quel mistero, che ha la sua espressione
culminante nella solenne proclamazione dell’evangelista Giovanni: “E
il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e
di verità” (Gv 1,14)» (20). La constatazione, poi, che la vita monastica
con peculiare evidenza ed esemplarità tragga il suo principale alimen-
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to da radici così pure ogg e t t i v a m e n te essenziali per ogni aute n t i c a
s celta di vita cristiana, pare quasi imporre a noi monaci una seria
assunzione di responsabilità in vista di una rinnovata e sapiente dedizione alla preghiera, per come si desume da un ulteriore, significativo
passo di Novo millennio ineunte: «Sì, carissimi Fr a te lli e Sorelle, le
nostre comunità cristiane devono diventare autentiche “scuole” di pre ghiera, dove l’incontro con Cristo non si esprima soltanto in implorazione di aiuto, ma anche in rendimento di grazie, lode, adorazione,
co n templazione, as colto, ardore di affetti, fino ad un vero “invag h imento” del cuore. Una preghiera intensa, dunque, che tuttavia non
distoglie dall'impegno nella storia: aprendo il cuore all’amore di Dio,
lo apre anche all’amore dei fratelli, e rende capaci di costruire la storia secondo il disegno di Dio (33). Certo alla preghiera sono in particolare chiamati quei fedeli che hanno avuto il dono della vocazione ad
una vita di speciale consacrazione: questa li rende, per sua natura, più
disponibili all’esperienza co n templativa, ed è import a n te che essi la
coltivino con generoso impegno. Ma ci si sbaglierebbe a pensare che
i comuni cristiani si possano accontentare di una preghiera superficiale, incapace di riempire la loro vita. Specie di fronte alle numerose
prove che il mondo d’oggi pone alla fede, essi sarebbero non solo cristiani mediocri, ma “cristiani a rischio”. Correrebbero, infatti, il
rischio insidioso di veder progressivamente affievolita la loro fede, e
magari finirebbero per cedere al fascino di “surrogati”, acco g l i e n d o
proposte religiose alternative e indulgendo persino alle forme stravaganti della superstizione» (34).
Custodiamo e meditiamo queste parole di monito e di esortazione
lasciateci da Giovanni Paolo II come uno dei tanti e fra i più maturi
frutti di quella straordinaria e indimenticabile testimonianza di amore per Cristo, per la Chiesa e l’umanità intera che il primo Papa slavo
della storia ci ha donato, nella gioia e nella sofferenza, con tanta perseverante fedeltà.
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* * *
Nell’ora vespertina del 19 aprile 2005 è succeduto a Giovanni Paolo
II, come tutti sappiamo, il cardinale Joseph Ratzinger, il Papa Benedetto XVI: divenendo vescovo di Roma egli è pure divenuto, vorremmo dire con una certa audacia, Abba della chiesa universale. Manifestiamo la nostra gratitudine a Dio per il dono di un uomo così straord i n a r i a m e n te ricco di fede e di sapienza teologica, che aveva già
e d i f i c a to e commosso il mondo intero con le sue delicate parole di
amicizia e di fedeltà tributate al suo Predecessore nelle indimenticabili esequie dell’8 aprile 2005. Al magistero e all’esempio di Giovanni
Paolo II il nuovo Papa Benedetto XVI si è espressamente riallacciato con parole ancora una volta ricche di filiale ammirazione e di programmatica chiarezza come quelle rivolte ai Cardinali Elettori riuniti
nella Cappella Sistina il 20 aprile scorso: «Mi sta dinanzi, in particolare, la testimonianza del Papa Giovanni Paolo II. Egli lascia una Chiesa più coraggiosa, più libera, più giovane. Una Chiesa che, secondo il
suo insegnamento ed esempio, guarda con serenità al passato e non ha
paura del futuro. Col Grande Giubileo essa si è introdotta nel nuovo
millennio recando nelle mani il Vangelo, applicato al mondo attuale
attraverso l’autorevole rilettura del Concilio Vaticano II. Giustamente il Papa Gi ovanni Paolo II ha indicato il Concilio quale “bussola”
con cui orientarsi nel vasto oceano del terzo millennio (cfr Lett. ap.
Novo millennio ineunte, 57-58). Anche nel suo Testamento spirituale egli
annotava: “Sono co n v i n to che ancora a lungo sarà dato alle nuove
generazioni di attingere alle ricchezze che questo Concilio del XX
secolo ci ha elargito” (17.III.2000). Anch’io, pertanto, nell’accingermi
al servizio che è proprio del Successore di Pietro, voglio affermare con
forza la decisa volontà di proseguire nell’impegno di attuazione del
Concilio Vaticano II, sulla scia dei miei Predecessori e in fedele continuità con la bimillenaria tradizione della Chiesa. Ricorrerà proprio
quest’anno il 40.mo anniversario della conclusione dell’Assise co n c iliare (8 dicembre 1965). Col passare degli anni, i Documenti conciliari non hanno perso di attualità; i loro insegnamenti si rivelano anzi
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particolarmente pertinenti in rapporto alle nuove istanze della Chiesa e della presente società globalizzata» (dal Primo messaggio di Sua San tità Benedetto XVI al termine della concelebrazione eucaristica con i Cardi nali Elettori in Cappella Sistina).
* * *
Si potrà facilmente immaginare lo stupore e la felicità di tutti i
monaci e le monache delle diverse Chiese quando si è appreso la scelta di un nome a noi così caro e familiare e, per la verità, assai significativo per ogni cristiano: un nome che per esplicito desiderio del nuovo Pontefice vuole infatti richiamare alla memoria del mondo intero
tanto l’esempio di un Predecessore che era stato, negli anni bui della
prima guerra mondiale, infaticabile e inascoltato apostolo di pace fra
i popoli, quanto la viva eredità del nostro Santo Padre Benedetto ,
padre dei monaci d’Occidente e patrono d’Europa. La fedele ricezione di una tale eredità traspare assai nitidamente nel rileggere le parole pronunziate, Domenica 24 aprile 2005, nell’omelia della Celebrazione Eucaristica per l’inizio del ministero petrino, allorquando il
Santo Padre, in piena sintonia con le primissime esortazioni del Prologo della nostra Regola, ha in questi termini sottolineato il primato
dell’as co l to e, più ancora, della fiduciosa obbedienza a quanto il
Signore ci chiede: «Il mio vero programma di governo è quello di non
fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in
as colto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del
Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la
Chiesa in questa ora della nostra storia». Ci colmano altresì di ulteriore gioia, pure risuonandoci come severo appello ad una maggiore
autenticità di vita, le parole con cui il nuovo Papa ha dato ragione di
questa sua scelta onomastica nel corso della prima udienza generale
del mercoledì in Piazza San Pietro, il 27 aprile scorso: «Il nome Benedetto evoca, inoltre, la straordinaria figura del grande “Patriarca del
monachesimo occidentale”, san Benedetto da Norcia, compatrono
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IN OMAGGIO
d’Europa insieme ai santi Cirillo e Metodio e le sante donne Brigida
di Svezia, Caterina da Siena ed Edith Stein. La progressiva espansione dell’ordine benedettino da lui fondato ha esercitato un influsso
enorme nella diffusione del cristianesimo in tutto il Continente. San
Benedetto è perciò molto venerato anche in Germania e, in particolare, nella Baviera, la mia terra d’origine; costituisce un fondamentale
punto di riferimento per l’unità dell’Europa e un forte richiamo alle
irrinunciabili radici cristiane della sua cultura e della sua civiltà. Di
questo Padre del Monachesimo occidentale conosciamo la raccomandazione lasciata ai monaci nella sua Regola: “Nulla as s o l u t a m e n te
antepongano a Cristo” (Regola 72, 11; cfr. 4, 21). All’inizio del mio servizio come Successore di Pietro chiedo a san Benedetto di aiutarci a
tenere ferma la centralità di Cristo nella nostra esistenza. Egli sia sempre al primo posto nei nostri pensieri e in ogni nostra attività!».
Amatissimo Santo Padre Benedetto XVI, vogliamo condividere il
Suo auspicio e la Sua preghiera nella nostra povera ma fervorosa intercessione e, con non minore convinzione, nella nostra feriale testimonianza di amorosa predilezione al Signore Gesù, in una rinnovata
fedeltà alla Chiesa e alla Regola del nostro Santo Padre Benedetto.
Padre Abate Generale D. Michelangelo M. Tiribilli OSB Oliv.
e la Direzione Editoriale de l’Ulivo
2 maggio 2005, Trigesimo della morte di Papa Giovanni Paolo II
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EN HOMMAGE
Humblement conscients de répondre non seulement au désir de
tous les moines et moniales de la famille monastique de Mont-Olivet
mais encore à celui de chacun de nos lecteurs, nous souhaitons que ce
volume de l’Ulivo offre en ouverture un bref hommage, plein d’affection et de reconnaisance, à la mémoire du grand pape qui nous a quittés au soir du premier samedi après Pâques, alors que s’ouvrait la célébration liturgique du dimanche in albis, dimanche que Jean-Paul II
avait tenu à consacrer à la Divine Miséricorde. Pour évoquer l’extraordinaire don de Dieu à son Église et au monde entier que fut ce long
pontificat, nous pensons qu’il peut être fécond de partager avec nos
l e c teurs la relecture d’un aspect de son magistère, un magistère
sapientiel qui n’a pas manqué, à diverses reprises, de mettre en évidence la signification du monachisme et de sa tradition plus que millénaire, de souligner leur actualité.
Tous en effet, nous gardons au cœur et à l’esprit les très belles
pages d’Orientale lumen, authentique prophétie d’un chemin de réconciliation chrétienne entre vie monastique d’Orient et d’Occident ;
tous, nous avons lu et étudié l’exhortation apostolique post-synodale
Vita consecrata, appel passionné et confiant adressé aux religieux pour
qu’ils vivent pleinement leur consécration à Dieu, «afin de ne pas priver ce monde d’un rayon de la divine beauté qui illumine le chemin de
l’existence humaine» (109) ; nous tous, moniales et moines olivétains,
nous ne pourrons jamais oublier ce don magnifique que nous a fait
Jean-Paul II en 1998, avec la lettre écrite au Père abbé général à l’occasion du 650ème anniversaire de la mort du Bienheureux Bernard. En
ces pages, le pape nous offrait l’une des plus belles définitions de
notre famille monastique de Mont-Olivet, qualifiée d’«agapè frate rnelle de communautés».
Nous voudrions surtout rappeler ici, également pour sa pertinence
œcuménique, un pas s age d’une grande densité, extrait du disco u r s
prononcé par Jean-Paul II devant les moines du monastère Saint-Jean
de Rila (Bulgarie), où il s’était rendu en pèlerinage en mai 2002 : «La
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EN HOMMAGE
vie monastique, en vertu de la tradition ininterrompue de sainteté sur
laquelle elle s’appuie, co n s e rve avec amour et fidélité quelques éléments de la vie chrétienne, importants aussi pour l’homme d’aujourd’hui : le moine est mémoire évangélique pour les chrétiens et pour le
monde. Comme l’enseigne saint Basile le Grand (PG 31, c. 933-941), la
vie chrétienne est avant tout apotaghè, “renoncement” : au péché, au
monde, aux idoles, pour adhérer à l’unique vrai Dieu et Seigneur,
Jésus-Christ (cf. 1 Th 1, 9-10). Dans le monachisme, ce renoncement
se fait radical : renoncement à la maison, à la famille, à la profession
(cf. Lc 18, 28-29) ; renoncement ensuite aux biens terrestres, dans l’incessante recherche des biens éternels (cf. Col 3, 1-2) ; renoncement à la
philautìa, comme l’appelle saint Maxime le Confesseur (cf. Capita de
charitate II, 8 ; III, 8 ; III, 57 et passim, PG 90, c. 960-1080), c’est-àdire à l’amour de soi égoïste, pour connaître l’amour infini de Dieu et
devenir capable d’aimer les frères. L’ascèse du moine est avant to u t
chemin de renoncement pour pouvoir adhérer de plus en plus au Seigneur Jésus et être transfiguré par les énergies de l’Esprit Saint.[…] Le
“combat spirituel” est un autre élément de la vie monastique qu’il est
aujourd’hui nécessaire de réapprendre et de reproposer à tous les
chrétiens. Il s’agit d’un art secret et intérieur, un combat invisible que
le moine mène chaque jour contre les tentations, les suggestions
malignes que le démon cherche à insinuer dans son cœur ; c’est une
lutte qui devient crucifixion dans l’arène de la solitude, en vue de la
pureté du cœur qui permet de voir Dieu (cf. Mt 5,8) et en vue de la charité qui permet à l’homme de participer à la vie de Dieu qui est amour
(cf. 1 Jn 4, 16). Dans l’existe n ce des chrétiens, aujourd’hui plus que
jamais, les idoles sont séduisantes, les tentations pressantes : l’art du
combat spirituel, le disce rnement des esprits, la manifestation de ses
pensées au maître spirituel, l’invocation du saint Nom de Jésus et de sa
miséricorde, doivent retrouver une place dans la vie intérieure du disciple du Seigneur. Ce combat est nécessaire pour se rendre “étranger
aux distractions”, aperíspastos, aux “préoccupations”, amérimnos ( c f. 1 Co
7, 32.35) et vivre dans un recueillement constant avec le Seigneur (cf. St
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EN HOMMAGE
B asile le Grand, Regulae fusius tractatae VIII, 3 ; XXXII, 1; XXXVIII)».
Ces paroles prononcées voilà déjà trois ans continuent à nous proposer, à nous moines d’Orient et d’Occident, un modèle lumineux de
vie monastique et de témoignage ecclésial ; mais qui plus est, ell e s
indiquent à tous les chrétiens d’aujourd’hui, quelle que soit leur vocation spécifique, l’importance primordiale d’une expérience de prière
contemplative pour qui désire sincèrement s’engager dans un itinéraire de disciple, sur les traces du Seigneur Jésus, «confessé comme sens
de l’histoire et lumière sur notre route» (Novo millennio ineunte, 15). Juste au lendemain du grand jubilé de l’an 2000, dans sa lettre apostolique Novo millennio ineunte (“Au début du nouveau millénaire”), le
Saint-Père avait déjà souligné ce t te import a n ce primordiale de la
contemplation, fondement sûr et fécond de tout dynamisme pastoral
: «Nous devons maintenant regarder devant nous, nous devons avancer au large, confiants dans la parole du Christ Duc in altum! [...]Jésus
lui-même nous avertit : “Celui qui met la main à la charrue et regarde
en arrière n’est pas fait pour le Royaume de Dieu” (Lc 9, 62). Dans la
cause du Royaume, il n’y a pas de temps pour regarder en arrière et
e n core moins pour s’abandonner à la paresse. Bien des tâches nous
attendent et c’est pourquoi nous devons établir un programme pastoral post-jubilaire qui soit efficace. Il importe to u tefois que ce que
nous nous proposerons, avec l’aide de Dieu, soit profondément enraciné dans la contemplation et la prière. Notre époque est une époque
de mouvement continuel qui va souvent jusqu’à l’activisme, risquant
facilement de “faire pour faire”. Il nous faut résister à cette tentation
en cherchant à “être” avant de “faire”. Rappelons-nous à ce sujet le
reproche de Jésus à Marthe : “Tu t’inquiètes et t’agites pour bien des
choses. Une seule est nécessaire” (Lc 10, 41-42)» (ibid., 15). Et de fait,
toujours dans la même lettre, un peu plus loin, le pape rappelait la
nécessité pour chaque membre du peuple de Dieu de grandir de plus
en plus dans la foi, évoquant deux traits typiques de la vie monastique
: «Seule l’expérience du silence et de la prière offre le cadre approprié dans
lequel la connaissance la plus vraie, la plus fidèle et la plus cohérente
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EN HOMMAGE
de ce mystère peut mûrir et se développer. L’expression de ce mystère culmine dans la proclamation solennelle de l’évangéliste Jean : “Et
le Verbe s’est fait chair et il a habité parmi nous, et nous avons vu sa
gloire, la gloire qu’il tient de son Père comme Fils unique, plein de grâce et de vérité” (Jn 1, 14)» (ibid., 20).
Cette constatation que la vie monastique, de manière particulièrement manifeste et exemplaire, puise à des sources aussi importantes
pour to u te vie chrétienne authentique, paraît nous imposer, à nous
moines, le devoir d’assumer sérieusement notre responsabilité de
nous consacrer toujours davantage et mieux à la prière, ainsi que l’on
peut le déduire d’un autre passage significatif de Novo millennio ineun te : «Oui, chers Frères et Sœurs, nos communautés chrétiennes doivent devenir d’authentiques “écoles” de prière, où la rencontre avec le
Christ ne s’exprime pas seulement en demande d’aide, mais aussi en
action de grâce, louange, adoration, contemplation, écoute, affection
ardente, jusqu’à une vraie “folie” du cœur. Il s’agit donc d’une prière
intense, qui toutefois ne détourne pas de l’engagement dans l’histoire
: en ouvrant le cœur à l’amour de Dieu, elle l’ouvre aussi à l’amour des
frères et rend capable de construire l’histoire selon le dessein de Dieu.
Certes, les fidèles qui ont reçu le don de la vocation à une vie de
consécration spéciale sont appelés à la prière de façon particulière :
par nature, cette vocation les rend plus disponibles à l’expérience
co n templative, et il importe qu’ils s’y adonnent avec une généreuse
assiduité. Mais on se tromperait si l’on pensait que les simples chrétiens peuvent se contenter d’une prière superficielle, qui serait incapable de remplir leur vie. Face notamment aux nombreuses épreuves
que le monde actuel impose à la foi, ils seraient non seulement des
chrétiens médiocres, mais des “chrétiens en danger”. Ils courraient en
effet le risque insidieux de voir leur foi progressivement affaiblie, et
ils finiraient même par succomber à la fascination de “succédanés”,
accueillant des propositions religieuses de suppléance et se prêtant
même aux formes extravagantes de la superstition» (ibid., 33-34).
Gardons et méditons ces paroles d’avertissement et d’exhortation
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EN HOMMAGE
que nous laisse Jean-Paul II. Recueillons-les comme l’un des innombrables fruits, et parmi les plus mûrs, de l’extraordinaire et inoubliable témoignage d’amour pour le Christ, pour l’Église et pour l’humanité entière, donné par le premier pape slave de l’histoire, dans la
joie comme dans la souffrance, avec une si persévérante fidélité.
* * *
À l’heure des vêpres du 19 avril 2005, Jean-Paul II a reçu pour successeur, comme nous le savons tous, le cardinal Joseph Ratzinger, le
pape Benoît XVI : en devenant évêque de Rome, celui-ci est aussi
devenu, oserions-nous dire avec une certaine audace, Abbé de l’Église
universelle. Nous exprimons notre gratitude à Dieu pour le don d’un
homme aussi riche de foi et de sagesse théologique, qui avait déjà édifié et ému le monde entier par ses paroles de délicate amitié et de fidélité à l’égard de celui dont il allait devenir le successeur, lors des inoubliables obsèques du 8 avril 2005. Le nouveau pape Benoît XVI s’est
expressément référé au magistère et à l’exemple de Jean-Paul II en
des propos encore une fois vibrants de filiale admiration et qui
avaient valeur de programme, dans son message adressé aux cardinaux
é l e c teurs réunis dans la Chapelle Sixtine, le 20 avril dernier : «J’ai
devant moi, en particulier, le témoignage du pape Jean-Paul II. Il nous
laisse une Église plus co u r ageuse, plus libre, plus jeune. Une Église
qui, suivant son enseignement et son exemple, regarde avec sérénité
le passé et n’a pas peur de l’avenir. Avec le grand Jubilé, elle est entrée
dans le nouveau millénaire, portant en ses mains l’Évangile, appliqué
au monde actuel à travers la relecture autorisée du concile Vatican II.
Avec justesse, le pape Jean-Paul II a qualifié le concile de “boussole”
pour s’orienter dans le vaste océan du troisième millénaire (cf. Novo
millennio ineunte, 57-58). Jusque dans son Testament spirituel, il notait :
“Je suis convaincu que pendant longtemps encore, il sera donné aux
nouvelles générations de puiser aux richesses que ce Concile du XXème
siècle nous a prodiguées” (17.III.2000). Moi aussi, au moment où je
m’apprête à assumer le service propre au Successeur de Pierre, je veux
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EN HOMMAGE
affirmer avec force la ferme volonté d’avancer dans la tâche de mise
en œuvre du concile Vatican II, sur la trace de mes prédécesseurs et
en fidèle continuité avec la tradition bimillénaire de l’Église. Cette
année marquera le 40ème anniversaire de la conclusion de l’assemblée
conciliaire (8 décembre 1965). Au fil du temps, les documents conciliaires n’ont nullement perdu de leur actualité ; au contraire, leurs
enseignements se révèlent particulièrement pertinents au regard des
nouvelles exigences qui s’imposent à l’Église et la société contemporaine, mondialisée» (du Premier message de Sa Sainteté Benoît XVI au ter me de la concélébration eucharistique avec les cardinaux électeurs, dans la Cha pelle Sixtine).
* * *
On peut imaginer la stupéfaction et la joie de tous les moines et
moniales des diverses Églises quand fut connu le choix d’un nom qui
nous est si cher, si familier et qui est, à la vérité, très significatif pour
tout chrétien. Ce nom veut en effet, selon le désir explicite du nouveau Pontife, rappeler à la mémoire du monde entier tout à la fois
l’exemple d’un de ses prédécesseurs qui, au cours des années sombres
de la Première Guerre mondiale, avait été un infatigable apôtre de
paix entre les peuples, même s’il ne fut pas écouté, comme il entend
rappeler aussi l’héritage vivant de notre Père, saint Benoît, père des
moines d’Occident et patron de l’Europe. À relire les propos prononcés le dimanche 24 avril 2005, pendant l’homélie de la célébration
eucharistique pour l’inauguration du ministère pétrinien, la fidélité à
un tel héritage transparaît nettement ; en pleine harmonie avec les
exhortations qui ouvrent le Prologue de notre Règle, le Saint-Père
soulignait en ces termes le primat de l’éco u te et, plus encore, de
l’obéissance de foi à tout ce que le Seigneur nous commande : «Mon
vrai programme de gouvernement est de ne pas faire ma volonté, de
ne pas poursuivre la réalisation de mes idées, mais de me mettre à
l’écoute, avec toute l’Église, de la parole et de la volonté du Seigneur,
et de me laisser guider par Lui, en sorte que ce soit Lui qui conduise
l’Église en ce moment de notre histoire».
15
EN HOMMAGE
Les paroles par lesquelles le nouveau pape a expliqué le choix de
son nom, lors de la première audience générale du mercredi sur la Place Saint-Pierre, nous comblent également de joie, même si elles
résonnent pour nous comme un pressant appel à une plus grande
authenticité de vie : «Le nom de Benoît évoque en outre l’extraordinaire figure du grand “Patriarche du monachisme occidental”, saint
Benoît de Nursie, copatron de l’Europe avec les saints Cyrille et
Méthode et les saintes femmes Brigitte de Suède, Catherine de Sienne et Edith Stein. L’expansion progressive de l’ordre bénédictin, dont
il est le fondateur, a exercé une immense influence dans la diffusion
du christianisme sur tout le continent. Saint Benoît est donc très
vénéré en Allemagne également, et en particulier en Bavière, ma terre d’origine ; il constitue un point de référence essentiel pour l’unité
de l’Europe et un puissant rappel des racines chrétiennes de sa culture et de sa civilisation, racines auxquelles nous ne pouvons renoncer.
Nous connaissons la recommandation que ce Père du monachisme
occidental laisse aux moines dans sa Règle : “Qu’ils ne préfèrent
absolument rien au Christ” (Règle 72, 11; cf. 4, 21). Au début de mon
ministère comme Successeur de Pierre, je demande à saint Benoît de
nous aider à tenir ferme la place centrale du Christ dans notre existe n ce. Que ce soit Lui, le Christ, qui ait toujours la première place
dans nos pensées et dans toutes nos activités!»
Bien-aimé Saint-Père Benoît XVI, nous voulons accueillir votre
souhait et votre prière dans notre pauvre mais fervente intercession
et, avec non moins de conviction, dans notre témoignage quotidien
d’amoureuse prédilection pour le Seigneur Jésus, dans une fidélité
renouvelée à l’Église et à la Règle de notre Saint Père Benoît.
Père Abbé Général dom Michelangelo M. Tiribilli OSB Oliv.
avec la Direction éditoriale de l’Ulivo
2 mai 2005, trentième jour après la mort du Pape Jean-Paul II
16
IN HOMAGE
In the humble awareness of corresponding well not only to the
desire of all the monks and nuns of the monastic family of Mo n te
Oliveto but also to that of every reader, we wish that this volume
of l’Ulivo feature at its beginning a short, but af f e c t i o n a te and
grateful remembrance of the great Pope who left us the evening
of the first Saturday af ter Eas te r, in the shadow of Whitsunday,
that Sunday that John Paul II wished to dedicate to Divine Mercy. Mo r e over we are convinced that a fruitful way of recalling the
extraordinary gift of God to his Church and to the whole world
that this long pontificate has been is to share with our readers a
re-reading of some of his teaching, a wise teaching that on many
o c c asions did not fail to enrich monasticism and its more than
1000 year tradition with new motivations and meaning. All of
us, in fact, keep in heart and mind the very beautiful pages of
Orientale lumen, an authentic prophecy of a future reco n c i l e d
Christian witness of monastic life of East and West. We have all
read and studied the post-synodal apostolic exhortation Vita con s e c ra t a, an impassioned and faithful appeal that religious live fully their dedication to God “so as not to allow a ray of the divine
beauty which illumines the path of human existence to be lacking in this world.” All of our Olivetan monks and nuns can never forget that mag n i f i cent gift which John Paul II gave in 1998
with his letter sent to Father Abbot General on the occasion of
the 650th anniversary of the death of Blessed Bernard Tolomei.
In these pages the Pope gifts us with one of the most beautiful
and inspired definitions of our monastic family, designated by
him as “a fr a te rnal agape of co m m u n i t y.” Here then we wo u l d
want above all to remember, as well as for its ecumenical import,
a very suggestive passage for thoroughness and depth treated in
a discourse pronounced by John Paul II to the monks of the
monas te ry of San Giovanni di Rila (Bulgaria) where he went on
pilgrimage in May of 2002: «Mo n astic life, in virtue of the unin-
17
IN HOMAGE
terrupted tradition of sanctity on which it rests, safeguards with
love and fidelity some elements of the Christian life, important
for people today as well: the monk is an evangelical memory for
Christians and for the world. As St. Basil the Great teaches (PG
31,933-941), Christian life is above all apotaghé, “renunciation”: to
sin, to worldliness, to idols, in order to adhere to the only tru e
God and Lord Jesus Christ (cfr. 1 Ts 1 , 9 -10). In monasticism such
renunciation is made radical: renunciation of home, family, profession (cfr. Lc 1 8 , 2 8-29); renunciation, then, to earthly goods, in
the unceasing search for those of eternity (cfr. Col 3,1-2); renunciation of self-love, as St. Maximus the Confessor calls it (cfr.
Capita de charitate II,8; III,8; III,57 e passim, PG 9 0, 9 6 0- 1 0 8 0 ) ,
that is, to egoistic love, in order to know the infinite love of God
and to become capable of love for the brothers and sisters. The
as ceticism of the monk is above all a path of renunciation in
order to be able to better adhere to the Lord Jesus and to be
transfigured by the energies of the Ho ly Spirit.[…] The “spiritual struggle” is another element of the monastic life which today
is nece s s a ry to relearn and repropose to all Christians. We are
dealing with an art secret and interior, an invisible combat that
the monk conducts each day against temptations, the evil suggestions that the demon seeks to insinuate in his heart; it is a
struggle which becomes a crucifixion in the arena of solitude in
view of trhe purity of heart that permits the vision of God (cfr.
Mt 5,8) and of the charity which consents to part i c i p a te in the
life of God which is love (cfr 1 Gv 4,16). In the existence of Christians today more than ever the idols are seducing, the te m p t ations pressing. The art of the spiritual struggle, discernment of
spirits, manifestation of one’s own thoughts to a spiritual master,
the invocation of the holy name of Jesus and of his mercy should
be retrieved to make up a part of the interior life of the disciple
of the Lord. This struggle is necessary in order to be “undistract-
18
IN HOMAGE
ed,” a p e r í s p a s t o i, “unpreoccupied”, amérimnoi ( c fr. 1 Cor 7, 32.35)
and to live in constant recollection with the Lord (cfr. St. Basil
the Great, Regulae fusius tractatae VIII,3; XXXII,1; XXXVIII)».
These words, pronounced nearly three years ago, not only co ntinue to propose to us monks of East and West a luminous model of monastic life and of ecclesial witness, but they indicate as
well to all Christians of today, what may be their specific vocation. The necessary centrality of an experience of prayerful contemplation if really authentic is the desire to map out a fruitful
i t i n e r a ry of following in the footsteps of the Lord Jesus, “co nfessed as the meaning of histo ry and the light of our path” (Novo
millennio ineunte, 15). This nece s s a ry centrality has been reaffirmed by the Ho ly Father as a sure and fruitful foundation of
every pas toral dynamism proper to the days following the Great
Jubilee of 2000, in the apostolic Novo millennio ineunte: “Now we
must look ahead, we must ‘put out into the deep,’ trusting in
C h r i s t ’s word: Duc in altum! Jesus himself warns us: ‘No one who
puts his hand to the plough and looks back is fit for the Kingdom
of God’ (Lk 9,62). In the cause for the Kingdom there is no time
for looking back, even less for settling into laziness. Much awaits
us and for this reason we must set about drawing up an effective
post-Jubilee pastoral plan It is important, however, that what we
propose with the help of God should be profoundly rooted in
contemplation and prayer. Ours is a time of continual movement
which often leads to restlessness, with the risk of ‘doing for the
s a ke of doing.’ We must resist this temptation by trying ‘to be’
before trying ‘to do.’ In this regard we should recall how Jesus
r e p r oved Ma rtha: ‘You are anxious and troubled about many
things; one thing is needful’ (Lk 1 0, 4 1 -42)» (15). And in fact, again
in Novo millennio ineunte, the Pope reaffirms a little later the
necessity for each member of the People of God to acquire ever
more co n f i d e n ce with at least two characteristics so typical of
19
IN HOMAGE
the monastic life: “Only the experience if silence and prayer offers the
proper setting for the growth and development of a true, faithful
and consistent knowledge of that mystery which finds its culminating expression in the solemn proclamation by the Evangelist
Saint John: ‘A nd the Word became flesh and dwelt among us, full
of grace and truth; we have beheld his glory, glory as of the only
Son from the Father’ (Jn 1,14)» (20). The observation, then, that
the monastic life with singular ev i d e n ce and example draws its
principal nourishment from roots so objectively essential for
every authentic choice of Christian life, seems almost to impose
on us monks a serious assumption of responsibility in view of a
renewed and wise dedication to prayer, by what is inferred from
a further significant passage of Novo millennio ineunte: “ Yes, dear
brothers and sisters, our Christian communities must beco m e
genuine ‘s c h o o l s’ of pra ye r, where the meeting with Christ is
expressed not just in imploring help but also in thanksgiving,
praise, adoration, co n templation, listening and ardent devotion,
until the heart truly ‘falls in love’. In tense prayer, yes, but it does
not distract us from our commitment to history. By opening our
heart to the love of God it also opens it to the love of our brothers and sisters, and makes us capable of shaping history according to God’s plan” (33). “Christians who have received the gift of
a vocation to the specially consecrated life are of course called to
prayer in a particular way. Of its nature their consecration make s
them more open to the experience of co n templation, and it is
important that they should cultivate it with special care. But it
would be wrong to think that ordinary Christians can be content
with a shallow prayer that is unable to fill their whole life. Especially in the face of the many trials to which to d a y ’s world subjects faith, they would be not only mediocre Christians, but
“Christians at risk.” They would run the insidious risk of seeing
their faith progressively undermined, and would perhaps end up
20
IN HOMAGE
succumbing to the allure of “substitutes,” accepting alte rn a t i v e
religious proposals and even indulging in far-fetched superstitions.” (34).
Let us hold fast and meditate on these words of admonition
and of exhortation left to us by John Paul II as one of many and
among the most mature fruit of that extraordinary and unforgettable testimony to love for Christ, for the Church and the entire
human race that the first Slavic Pope of history has given us, in
joy and in suffering, with so much persevering fidelity.
* * *
In the evening hour of April 19, 2005, Cardinal Jo s e p h
Ra t z i n g e r, Pope Benedict XVI, as we all know, succeeded Jo h n
Paul II. In becoming bishop of Rome, he has become, we would
l i ke to say with a certain boldnes, Abba of the Church Universal.
We manifest our gratitude to God for the gift of a man so
extraordinarily rich in faith and in theological wisdom, who has
already edified and moved the whole world with his delicate
words of friendship and of fidelity in tribute to his predecessor
in the unforgettable funeral rites of April 8, 2005. To the teaching and to the example of John Paul II the new Pope Benedict
XVI has expressly bound himself with words again once rich
with filial admiration and with programmatic clarity like those
addressed to the Cardinal Electors gathered in the Sistine
Chapel last April 20: “In part i c u l a r, the witness of Pope Jo h n
Paul II remains ahead of me. He left behind a Church more
courageous, freer, younger. A Church which, following his teaching and example, looks with serenity to the past and does not fear
the future. With the Great Jubilee it was introduced into the new
millennium carrying the Gospel in hand, applied to the current
world through the authoritative rereading of the Second Vatican
21
IN HOMAGE
Council. Justly has Pope John Paul II indicated the Council as a
compass with which to be oriented in the vast ocean of the third
millennium (cfr Lett. ap. Novo millennio ineunte, 57-58). Also in his
Testamento spirituale he noted: “I am co n v i n ced that again in the
long run it will be given to the new generations to draw from the
riches that this Council of the twentieth century has handed us”
( 1 7.III.2000). I, as we ll, therefore, in the bonds to the serv i ce
that is proper to the Successor of Peter, wish to strongly affirm
the decisive will of following through in the commitment of carrying out the Second Vatican Council, in the wake of my Pr e d ecessors in faithful continuity with the bimillenarian tradition of
the Church. The fortieth anniversary of the conclusion of the
conciliar as s e m b ly (December 8, 1965) will be remembered just
this year. With the passing of the years, the conciliar documents
h ave not lost their currency. On the co n t r a ry their te a c h i n g s
show themselves part i c u l a r ly pertinent in relation to the new
demands of the Church and of the present globalized society”
(from the First Message of His Holiness Benedict XVI at the conclusion
of the Eucharistic concelebration with the Cardinal Electors in the Si s t i n e
C ha p e l).
* * *
One can eas i ly imagine the amazement and the happiness of
a ll the monks and nuns of the various Churches when they
learned the choice of a name so dear and familiar to us and, to tell
the truth, so very significant for all Christians, This name by the
explicit desire of the new Pope in fact recalls to the memory of
the whole world both the example of a Pr e d e cessor who had
been, in the dark years of World War I, an untiring and unheeded apostle of peace among people, as we ll as the living inherit a n ce of our Ho ly Father Benedict, father of monks of the West
22
IN HOMAGE
and patron of Europe. The faithful reception of such an inheritance shines through so very clearly in rereading the words pronounced Sunday, April 24, 2005, in the homily of the Eucharistic
Celebration for the inauguration of the Petrine ministry, when
the Ho ly Father, in full harmony with the very first exhortations
of the Prologue of our Rule, has in these terms underlined the
primacy of listening, and furthermore, of trusting obedience to
what the Lord asks of us: “ My true program of gov e rn a n ce is
that of not doing my own will, of not following my own ideas, but
of listening with the whole Church, to the word and to the will
of the Lord and to allow myself to be guided by Him, so that it is
He himself who guides the Church in this hour of our history.”
The words with which the new Pope gave a reason for his choice
of name in the course of the first Wednesday general audience in
St. Pe te r’s Square last April 27, fill us with further joy as there
resounds among us a serious call to a greater authenticity of life:
“The name Benedict furthermore ev o kes the extraordinary figure of the Grand Patriarch of Western Mo n asticism, St. Benedict
of Nursia, co-patron of Europe together with Saints Cyril and
Methodius and the female saints Brigid of Sweden, Catherine of
Siena, and Edith Stein. The progressive expansion of the Benedictine Order founded by him has exercised an enormous influence in the diffusion of Christianity on the whole Continent. St.
Benedict is for this reason much venerated even in Germany, and
in particular, in Bavaria, the land of my birth. He constitutes a
fundamental reference point foir the unity of Europe and a
strong calling back to the unrenouncable Christian roots of its
culture and civilization. Of this Father of Western Mo n asticism
we know the recommendation left to monks in his Rule: “Place
absolutely nothing before Christ” (Rule 72, 11; cfr. 4, 21). At the
beginning of my service as successor of Pe ter I ask St. Benedict
to help us to hold firm to the centrality of Christ in our exis-
23
IN HOMAGE
tence. May he always hold first place in our thoughts and in our
every activity!
B e l oved Ho ly Father Benedict XVI, we desire to share your
good wishes and your prayer in our poor but fervent intercession
and, with no small conviction, in our daily witness of lov i n g
predilection for the Lord Jesus, in a renewed fidelity to the
Church and to the Rule of our Ho ly Father Benedict.
Father Abbot General Dom Michelangelo M. Tiribilli OSB
Oliv.
and the Editorial Board of l’Ulivo
May 2, 2005, Thirtieth day from the death of Pope John Paul II
24
HOMENAJE
En la humilde conciencia de bien corresponder no solo al deseo de
todos los monjes y las monjas de la familia monástica de Monte Oliveto pero también a aquel de todos nuestros lectores, deseamos que
este volumen del Ulivo hospede en su inicio una breve, pero afectuosa y reco n o cedora memoria del grande Papa que nos ha dejado la
noche del primer sábado después de Pascua, en la inminencia del
Domingo en Al b i s, aquel domingo que Juan Pablo II había querido
dedicar a la Divina Misericordia. Estamos por tanto convencidos que
un modo fructuoso para evocar el extraordinario don de Dios a su
Iglesia y al mundo entero que ha sido este largo pontificado sea compartir con nuestros lectores la relectura de algo de su magisterio, un
magisterio sapiente que en tantas ocasiones no ha faltado de enriquecer de sentido y motivaciones nuevas el monacato y su milenaria tradición. Todos nosotros en efecto conservamos en el corazón y en la
mente las bellísimas paginas de Orientale lumen, autentica profecía de
una futuro, reconciliado testimonio cristiano de vida monástica de
o r i e n te y de occidente; todos nosotros hemos leído y estudiado la
exhortación apostólica post-sinodal Vita Consecrata, apasionada y confiada apelación porque los religiosos vivan plenamente su dedicación
a Dios «para no dejar faltar a esto mundo un rayo de la divina belleza
que ilumine el camino de la existencia humana» (109); todos nosotros
monjas y monjes olivetanos no podremos nunca olvidar aquel don
magnifico que en 1998 nos ha estado hecho de Juan Pablo II con su
carta enviada al Padre Abad General en ocasión del 650º aniversario
de la muerte del Beato Bernardo Tolomei. En aquellas páginas el Papa
nos regalaba una de las más bellas e inspiradas definiciones de nuestra
familia monástica, de él evocada como «un ágape fraterna de comunidad». Aquí entonces quisiéramos sobre todo recordar, también por su
valoración ecuménica, un paso muy sugestivo por esencialidad y profundidad extractado de un discurso pronunciado de Juan Pablo II a
los monjes del monas terio de San Juan de Rila (Bulgaria) donde se
había conducido en peregrinaje en el mayo 2002: «La vida monástica,
en virtud de la tradición ininterrumpida de santidad sobre la cual se
25
HOMENAJE
apoya, custodia con amor y fidelidad algunos elementos de la vida
cristiana, import a n tes también para el hombre de hoy: el monje es
memoria evangélica para los cristianos y para el mundo. Como enseña San Basilio el Grande (PG 31, 933-941), la vida cristiana es sobretodo apotaghé, “renuncia”: al pecado, a la mundanidad, a los ídolos, para
adherir al único Dios verdadero y Señor, Jesús Cristo (cfr. Col 3, 1-2);
renuncia a la p h i l a u t i a, como la llama san Máximo el Confesor (cfr.
Capita de charitate II, 8; III, 8; III 57 e passim, PG 90, 960-1080), es
decir al amor egoístico, para conocer el infinito amor de Dios y convertirse en capaces de amar los hermanos. La ascesis del monje es
sobretodo un camino de renuncia para poder adherir siempre más al
Señor Jesús a ser transfigurado de las energías del Espíritu Santo […]
La “lucha espiritual” es otro elemento de la vida monástica que hoy es
necesario reaprender y reproponer a todos los cristianos. Se trata de
un arte secreto e inte r i o r, un co m b a t i m i e n to invisible que el monje
conduce cada día contra las tentaciones, las sugestiones malvadas que
el demonio busca de insinuar en su corazón; es una lucha que se convierte en crucifixión en la arena de la soledad en vista de la pureza del
corazón que permite ver a Dios (cfr. Mt 5, 8) y de la caridad que conciente de participar a la vida de Dios que es amor (cfr. 1 Jn 4, 16). En
la existencia de los cristianos hoy más que nunca los ídolos son seductores, las tentaciones mordaces: el arte de la lucha espiritual, el discernimiento de los espíritus, la manifestación de los propios pensamientos al maestro espiritual, la invocación del nombre de Jesús y de su
misericordia deben tornar a hacer parte de la vida interior del discípulo del Señor. Esta lucha es necesaria para ser “no distraídos”, aperís pastoi, “no preocupados”, amérimnoi (cfr. 1 Cor 7, 32. 35) y vivir en constante recogimiento con el Señor (cfr. S. Basilio Magno, Regulae fusius
tractatae VII, 3 XXXII, 1; XXXVIII)». Estas palabras pronunciadas,
ya hace tres años, no solo continúan a proponer a nosotros monjes de
oriente y de occidente un modelo luminoso de vida monástica y de
testimonio eclesial, sino que indican además a todos los cristianos de
hoy, cual sea su especifica vocación, la necesaria centralidad de una
26
HOMENAJE
experiencia de orante co n templación si de verdad es aute n t i co el
deseo de trazar un fructuoso itinerario de seguimiento sobre las huellas del Señor Jesús, «confesando como sentido de la historia y de luz
del nuestro camino» (Novo millennio ineunte, 15). Tal necesaria centralidad había sido ratificada del Santo Padre como fundamento seguro y
fecundo de todo dinamismo pastoral justamente despuès del Grande
Jubileo del 2000, en la carta apostólica Novo millenio ineunte: «ahora debemos ver hacia delante, debemos “tomar el largo” , confiados en
la palabra de Cristo: Duc in altum! Jesús mismo nos amonesta: “Ninguno que ha puesto la mano al arado y luego se vuelve atrás, es adapto para el reino de Dios” (Lc 9, 62). En la causa del Reino no hay tiempo de guardar atrás, tanto menos de detenerse por pereza. Mucho nos
espera, y debemos por esto poner mano a una eficaz programación
pastoral post-jubilar. Es sin embargo importante que cuanto nos proponemos, con la ayuda de Dios, sea profundamente radicado en la
co n templación y en la oración. El nuestro es tiempo de co n t i n u o
movimiento que llega tantas veces hasta la agitación, con el fácil riesgo de “hacer por hacer”. Debemos resistir a esta tentación, buscando
de “ser” primero que “hacer”. Recordemos a este propósito la fuerte
admonición de Jesús a Marta: “Tu te preocupas y te agitas por muchas
cosas, pero una sola es la cosa de la cual hay necesidad” (Lc 10, 41-42)»
(15). Y en efecto, aun en Novo millennio ineunte, el Papa confirmaba
poco después la necesidad para todo miembro del pueblo de Dios de
adquirir siempre más confianza con al menos dos caracteres así típicos de la vida monástica: «Sólo la experiencia del silencio y de la oración ofrece el horizonte adecuado en el cual puede madurar y desarrollarse el co n o c i m i e n to más verdadero, adherente y coherente, de
aquel misterio, que tiene su expresión culmen en la solemne proclamación del evangelista San Juan: “Y el Verbo se hizo carne y vino a
habitar en medio de nosotros; y nosotros vimos su gloria, gloria como
de unigénito del Padre, lleno de gracia y de verdad (Jn 1, 14)» (20). La
constatación, luego, que la vida monástica con peculiar evidencia y
ejemplaridad traiga su principal alimento de las raíces objetivamente
27
HOMENAJE
esenciales para una autentica elección de vida cristiana, para casi
imponer a nosotros monjes una seria asunción de responsabilidad en
vista de una renovada y sabia dedicación a la oración, por como se
deduce de un ulterior paso de Novo millennio ineunte: «Sí, queridísimos hermanos y hermanas, nuestras comunidades cristianas deben
co n v e rtirse en autenticas “e s c u e l as” de oración, donde el encuentro
con Cr i s to no se exprese solamente en imploración de ayuda, sino
también en rendimiento de gracias, alabanza, adoración, contemplación, escucha, ardor de afectos, hasta un verdadero “enamoramiento”
del corazón. Una oración intensa, entonces, que sin embargo no nos
aleja del compromiso en la historia: abriendo el corazón al amor de
Dios, lo abre también al amor de los hermanos, y los hace capaces, por
su naturaleza, más disponibles a la experiencia co n templativa, y es
importante que ellos la cultiven con generoso compromiso. Pero nos
equivocaríamos a pensar que los comunes cristianos se puedan contentar de una oración superficial, incapaz de llenar sus vidas. Especialmente de frente a las numerosas pruebas que el mundo de hoy pone a
la fe, ellos serían no solo cristianos mediocres, sino “cristianos a riesgo”. Correrían, en efecto, el riesgo insidioso de ver progresivamente
debilitada su fe, y quizá terminarían por ceder a la fascinación de “bienes subrogados” acogiendo propuestas religiosas alternativas e indulgentes hasta las formas extravagantes de superstición» (34)
Cu s todiamos y meditamos estas palabras de admonición y de
exhortación de Juan Pablo II como uno de tantos y entre los más
maduros de aquel extraordinario e inolvidable testimonio de amor
por Cristo, por la Iglesia y la humanidad entera que el primer Papa
eslavo de la historia nos ha donado, en la alegría y en el sufrimiento,
con tanta perseverante fidelidad.
* * *
En horas de la tarde del 19 de abril de 2005, el sucesor de Juan Pablo
II, como todos sabemos, el cardenal Joseph Ra t z i n g e r, tomo posesión
como Papa, Benedicto XVI, co n v i rtiéndose en obispo de Roma entre
28
HOMENAJE
sus prerrogativas, queremos decir con cierta audacia, a bad de la iglesia
universal. Manifestamos nuestra gratitud a Dios por el don de un hombre extraordinario rico de fe y de sabiduría teológica, la cual había ya
edificado y co n m ovido al mundo entero con sus delicadas palabras a
favor de su Predecesor en las inolvidables exequias del 8 de abril de
2005. Al mag i s terio y al ejemplo de Juan Pablo II el nuevo Papa Bened i c to XVI se ha expresamente “amarrado” con palabras ricas de filial
admiración y de programática claridad como aquell as dirigidas a los
Cardenales Electores reunidos en la Capilla Sextina el 20 de abril pas ado: «tengo presente en particular, el testimonio del Papa Juan Pablo II.
Él deja una Iglesia con mucho más coraje, libre, joven. Una Iglesia que,
según su enseñanza y ejemplo, mira con serenidad al pasado y no tiene
miedo al futuro. Con el gran Jubileo la Iglesia se introdujo en el nuevo
milenio en las manos del Evangelio, aplicado al mundo actual mediante la autoridad de una relectura del Concilio Vaticano II. Ju s t a m e n teel
Papa Juan Pablo II, indicó al Concilio como “brújula” con la cual orientarse en el vas to océano del terzo milenio (cfr. Car. Ap. Novo millennio
ineunte, 5 7-58). Así como también en su testamento espiritual: “estoy
convencido que por largo tiempo se dará a las nuev as generaciones el
Concilio para encontrar muchas riquezas que el siglo XX nos dejó”
(17/3/2000). Por lo tanto, cuando me dispongo al servicio que es propio
del Sucesor de Pedro, quiero afirmar con fuerza la decidida voluntad de
seguir en la tarea de actualizar el Concilio Vaticano II, sobre las huell as de mis Pr e d e cesores y con la misma fidelidad con la milenaria tradición de la Iglesia. Precisamente este año se celebra el 40mo. Aniversario de la conclusión de Asís conciliar (8 diciembre de 1965). Con el
r e correr de los años, los documentos conciliares no han perdido su
actualidad; sus enseñanzas se revelan por el contrario, pertinentes en
relación con las nuev as instancias de la Iglesia y para la presente sociedad globalizada» (primer mensaje su Santidad Benedicto XVI al te r m inar la celebración eucarística con los Cardenales Electores en la Ca p illa Sextina).
* * *
29
HOMENAJE
Se puede con facilidad imaginar el estupor y la felicidad de todos
los monjes y monjas de la diferentes Iglesias cuando se manifiesta la
elección de un nombre para nosotros, muy querido y familiar, y a decir
verdad, muy significativo para cada cristiano: un nombre que por
e x p l i c i to deseo del nuevo Po n t í f i ce, quiere de hecho reclamar a la
memoria del mundo entero tanto el ejemplo de un Predecesor que
fue, en los años oscuros de la primera guerra mundial, inagotable
como también ignorado apóstol de la paz entre los pueblos, cuanto
por viva heredad de nuestro Santo Padre Benito, padre de los monjes
de Occidente y patrón de Europa. La fiel recepción de una tal heredad, tras l u ce nítidamente al releer las palabras pronunciadas, el
domingo 24 de abril de 2005, en la Homilía de la Celebración Eucarística en el inicio del ministerio Petrino, cuando el Santo Padre, en plena sintonía con las primeras exhortaciones del Prólogo de nuestra
Regla, en estos términos subraya la primacía del escuchar y más todavía, de la obediencia confiada a cuanto el Señor nos pide: «Mi verdadero programa de gobierno es aquel de no hacer mi voluntad, de no
perseguir mis ideas, sino de ponerme a escuchar, con toda la Iglesia,
la palabra y la voluntad de Señor y dejarme guiar por Él, de manera
que, sea Él mismo a guiar la Iglesia en esta hora de nuestra historia».
Todo esto colma de grande alegría, así como una resonancia a un llamado a una mayor autenticidad de vida, en las palabras con las cuales
el nuevo Papa dio razón de su elección onomástica en el curso de su
primera audiencia general del miércoles en la Plaza San Pedro, el 27 de
abril pasado: «El nombre Benedicto evoca, entre otros, la extraordinaria figura del gran “Patriarca del monacato occidental”, san Benito
de Nurcia, patrón de Europa en compañía de los Santos Cirilo y
Metodio y a las santas mujeres, Brígida de Suecia, Catarina de Siena y
Edith Stein. La progresiva expansión del orden benedictino por él
fundado ha ejercitado un empuje enorme en la difusión del cristianismo en todo el Continente. San Benito es por eso muy venerado también el Alemania y, en particular en Baviera, mi tierra de origen; constituye un importante punto de referencia para la unidad de Europa y
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HOMENAJE
un fuerte reclamo a las irrenunciables raíces cristianas de la cultura y
de la civilización. De este Padre del Monacato occidental conocemos
la recomendación dejada a los monjes en su Regla: “Nada absolutamente antepongan a Cristo” (Regla 72,11; cfr. 4, 21). Al inicio de mi servicio como Sucesor de Pedro, pido a san Benito de ayudarnos a mantener firme la centralidad de Cr i s to en nuestra existencia. Él esté
siempre en el primer lugar en nuestros pensamientos y en cada una de
nuestras actividades».
Amadísimo Santo Padre Benedicto XVI, queremos compartir Su
auspicio y Su oración en nuestra pobre pero fervorosa intercesión y
no con menor convicción, en nuestro cotidiano testimonio de amorosa predilección al Señor Jesús, en una renovada fidelidad a la Iglesia y
a la Regla de nuestro Santo Padre Benito.
Padre Abad General D. Michelangelo M: Tiribilli
OSB Oliv.
Y la dirección Editorial del Ulivo
2 de mayo 2005, Trigésimo de la muerte del Papa Juan Pablo II
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IN OMAGGIO
32
EDITORIALE
Quella dei monaci è una forma tanto più riprovevole di negligenza, quanto
più sarebbe per loro facile coltivare la propria cultura: essi infatti hanno libri
sacri in abbondanza e modo di dedicarsi tranquillamente allo studio. Nelle Vite
dei Padri un anziano giustamente riprende costoro che si vantano di avere a
disposizione tanti libri senza però pensare a leggerli. «I profeti –egli dice- ha n n o
scritto i libri; dopo di questi sono venuti i nostri padri e hanno lavorato molto
su di essi, mentre i loro successori li hanno imparati a memoria. Poi è venuta que sta generazione di adesso che li ha trascritti su carte e pergamene, ma li ha ripo sti sugli scaffali restandosene oziosa». Anche l’abate Palladio, esortandoci viva mente a imparare e al contempo a insegnare, dice: «E’ necessario che un’anima
che viva secondo la volontà di Cristo apprenda fedelmente quanto non sa e inse gni apertamente quanto ha appreso». Se poi, pur potendo, non vuole fare nessu na delle due cose, quest’anima è affetta da follia. Si comincia infatti a distaccar si da Dio quando si prova fastidio per la sua dottrina.
Queste severe, talvolta ironiche, ma sempre istruttive considerazioni tratte da un’ e p i s tola di Abelardo mostrano chiaramente co m e
già in secoli ormai lontani quasi mai sia stato superfluo richiamare la
vita monastica alla necessaria centralità della lectio biblica e di uno studio il più possibile serio e approfondito in ordine alla conoscenza di
Cristo e alla trasmissione del suo Vangelo. Oggi più che mai, in forza
della fragile consistenza numerica delle nostre comunità e in ragione
della grande quantità di tempo che ogni monaco o monaca deve conseguentemente dedicare ogni giorno alle molteplici problematiche di
vita pratica, può talvolta divenire più suadente la tentazione sia di
confinare la pratica della lettura e dello studio a scampoli marginali
del nostro tempo quotidiano sia di rinunciare quasi del tutto, spesso
anche a partire dagli anni della formazione iniziale, alla possibilità di
coltivare con particolare cura una determinata area disciplinare dove
specializzare competenze e attitudini di studio.
Desidereremmo pertanto che i nostri lettori, entro e fuori i peri-
33
LA DIREZIONE EDITORIALE
metri claustrali (perché la stessa patologia affligge purtroppo non solt a n to la vita monastica) salutassero l’iniziativa editoriale sottesa a
questo rinnovato Ulivo come un umilissimo ma appassionato tentativo di incentivare l’attitudine e il gusto per la lettura e di contribuire,
per il poco in cui vi possiamo riuscire, ad un arricchimento culturale
delle nostre comunità e dei nostri lettori. Ci vogliamo peraltro muovere nelle coordinate richieste e dettate dalla nuova Ratio formationis
in via di imminente e definitiva approvazione, che in più passaggi esige seria consapevolezza e valida strumentazione al fine di garantire
un’art i colata formazione iniziale e permanente nella nostra vita
m o n astica. D’altra parte, nella co n s a p evolezza dell’esistenza di una
incontenibile messe di pubblicazioni che af f o llano gli scaffali delle
nostre biblioteche così come di una sempre più sovrabbondante e sorprendente offerta multimediatica della cui portata formativa indubbie
sono le potenzialità ma anche i limiti, questa direzione editoriale e l’intera redazione della rivista intendono perseverare nella volontà di co llazionare semestre dopo semestre art i coli e contributi di indubbio
valore perché alimentino davvero un’ a c cesa passione per quella «dottrina di Dio» di cui parlava Abelardo in quella lettera ricordata in apertura. Sia chiaro: una «dottrina» che, fondata su di una Parola vivente, ci
d eve tras m e t tere tutto il sapore e tutta la dolcezza di Cristo per farn e
autentica e feconda esperienza ogni giorno della nostra vita.
A favore di tale intento, che in questa rinnovata programmazione
editoriale compie il suo primo anno di vita, giungono alcune prime
incoraggianti reazioni alle novità di forma e di contenuti innestate sul
vetusto tronco del nostro Ulivo. Dalle risposte raccolte nell’autorevole e rappresentativo consesso dell’ultimo Capitolo Generale svoltosi
a Mo n te Oliveto nello scorso ottobre emerge infatti un sostanziale
a p p r e z z a m e n to per i risultati sino ad allora raggiunti. Ci rincuora
inoltre l’aver riscontrato un notevole interesse a che la rivista affronti sistematicamente problematiche legate alla vita ed alla spiritualità
monastica continuando altresì a garantire ai lettori una panoramica
complessiva della vita delle nostre comunità, panoramica che vuole
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EDITORIALE
essere segno e strumento di coesione comunionale fra le nostre diverse famiglie olivetane e, al contempo, di informazione rivolta alle più
diverse realtà ecclesiali e ai più disparati lettori. Tale esigenza impone
dunque di rafforzare il carattere di internazionalità della rivista, tanto nel raccogliere articoli che ci auguriamo provenienti da sempre più
d i v e r s i f i c a te aree geografiche e linguistiche, quanto nella duplice
n e cessità sia di garantire opportune traduzioni dell’editoriale, degli
abstracts e della cronaca sia di pubblicare recensioni di novità bibliografiche edite nei diversi paesi dove sono presenti i nostri cenobi. Già
da questo numero invece possiamo venire incontro ad un desiderio
sov e n te manifestato da più voci, quello cioè di vedere la nostra rivista corredata da un’appendice foto g r afica grazie alla quale l’ill u s t r azione di alcuni dati documentarî o di altro genere e l’intensità emotiva suscitata dall’immagine potranno indubbiamente potenziare la
fruizione di quanto esaminato nei vari saggi e di quanto narrato in
alcuni pas s aggi della cronaca della nostra famiglia monas t i c a .
Ci sia permessa un’ultima considerazione prima di avviare i nostri
lettori agli articoli di questo volume che a noi curatori appare di singolare ricchezza tanto per l’ampiezza degli argomenti trattati (dall a
c r i s tologia alla liturgia, dall’escatologia dantesca all’ecclesiologia),
quanto per l’alto profilo scientifico degli studiosi che vi hanno collab o r a to. Dobbiamo all’ultima e preziosa fatica di quell’instancabile
maestro di studi monastici che fu Dom Jean Leclercq (e segnatamente ai suoi Regards monastiques sur le Christ au moyen âge, Desclée, Paris
1992) il merito di averci ricordato come, in molte pagine della tradizione monastica medievale, Cristo fosse contemplato nella suggestiva immagine metaforica del libro, un libro che, divenuto parola di carne ed evento di vita, ci rivela e ci racconta l’amore del Padre (Gv 1,18).
La famigliarità di ogni monaco e di ogni credente, ovviamente in pri mis e maxime col libro dei libri, ma in fondo anche con ogni libro evangelicamente “sapido” (ed è questa la sapienza che desideriamo per la
nostra rivista), diventi sempre più fecondo e quotidiano esercizio di
35
LA DIREZIONE EDITORIALE
paziente ricerca di Dio, di amorosa intelligenza del vero, di appassionata memoria storica. Ma al contempo però, secondo quanto evocato
da una tradizione monastica ormai secolare, il rinnov a to amore per
una perseverante lettura possa anche, con l’efficacia propria dell’esperienza simbolica, rinviare gli occhi del nostro cuore all’altro libro, il
libro vivente in cui l’ultima pagina mai potrà esser scritta (Gv 20,30 e
21,25), il libro vivente che è la nitida e compiuta rivelazione di quanto
la profezia d’Israele aveva nascosto negli antichissimi rotoli (Lc, 4,1621), il libro vivente che reclama ed esige sempre aperto un altro libro
di esperienza, quello del nostro cuore, dove il Signore possa continuare a scrivere e a narrare attraverso la nostra vita e le nostre parole le
meraviglie del suo amore e il multiforme splendore della sua veritas.
Se prima Abelardo ci esortava a far scendere dai nostri impolverati
scaffali libri, carte e pergamene, adesso è il suo sommo “rivale” di sempre, Bernardo di Clairvaux, a chiederci di spalancare, contemplare ed
i n terpretare un altro libro: «il Libro della vita è Gesù aperto a tutti
coloro che sono chiamati. Beato colui che viene a leggere questo libro
che è Gesù. Dovrebbe sempre co n s e rvare davanti agli occhi e nell e
mani il libro che è Gesù: voglio dire, beninteso, nel suo cuore e nelle
sue opere».
La direzione editoriale
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ÉDITORIAL
Celle des moines constitue une forme de négligence que l’on peut d’autant
plus leur reprocher qu’il serait facile pour eux de travailler à leur propre cultu re : eux ont en effet des livres sacrés en abondance et la possibilité de s’adonner
tranquillement à l’étude. Dans les Vies des Pères, un ancien reprend justement
ceux qui se vantent d’avoir à leur disposition tant de livres sans même penser à
les lire. « Les prophètes – dit-il – ont écrit des livres ; après eux sont venus nos
pères et ils ont beaucoup travaillé sur ces livres ; quant à leurs successeurs ils les
ont appris par cœur. Puis est venue cette génération d’a u j o u rd’hui qui les a
transcrits sur papier et parchemin, mais ensuite les a posés sur les étagères sans
les consulter ». L’Abbé Pallade, en nous exhortant vivement à étudier et à ensei gner, dit aussi : « Il est nécessaire qu’une âme qui vit selon la volonté du
Christ apprenne consciencieusement ce qu’elle ne sait pas et enseigne publique ment ce qu’elle a appris. ». Si ensuite, tout en le pouvant, elle ne veut faire aucu ne de ces deux choses, c’est que cette âme est affectée de folie . On commence en
effet à se détacher de Dieu lorsque on éprouve de l’ennui pour sa doctrine.
Ces considérations sévères, parfois ironiques, mais toujours instructives, tirées d’une lettre d’Abélard, montrent clairement co mment il n’a jamais été superflu, même dans des siècles lointains, de
rappeler la vie monastique à la nécessaire centralité de la lectio
biblique et à une étude, aussi sérieuse et approfondie que possible,
portant sur la connaissance du Christ et la transmission de son Evangile. Aujourd’hui plus que jamais, vue la faible consistance numérique
de nos communautés et en raison de la grande quantité de temps que
chaque moine ou moniale doit en conséquence consacrer chaque jour
aux multiples problèmes de la vie pratique, la tentation peut se faire
plus insinuante soit de confiner la pratique de la lecture et de l’étude
à des moments marginaux de notre temps quotidien, soit de renoncer
presque complètement, souvent même à partir des années de la formation initiale, à la possibilité de cultiver avec un soin particulier un
champ d’étude déterminé dans lequel spécialiser son effort.
37
LA DIRECTION ÉDITORIALE
Nous désirerions donc que nos lecteurs, aussi bien à l’intérieur qu’à
l’extérieur des enceintes claustrales (car la même pathologie n’afflige
malheureusement pas seulement la vie monastique) saluent l’initiative éditoriale sous-jacente à cet Ulivo renouvelé comme une tentative
très humble mais passionnée pour attiser le penchant et le goût pour
la lecture et pour contribuer, dans la faible mesure où nous le pouvons, à un enrichissement culturel de nos communautés et de nos lecteurs. Nous voulons de plus nous situer à l’intérieur des coordonnées
établies et demandées par la nouvelle Ratio formationis en voie d’approbation imminente et définitive, laquelle en plusieurs endroits exige co n s c i e n ce et moyens sérieux en vue de garantir dans notre vie
monastique une formation initiale et permanente organisée. D’autre
part, consciente de l’existence d’une énorme somme de publications
qui remplissent les étagères de nos bibliothèques non moins que
d’une offre médiatique toujours plus surabondante et surprenante et
dont la portée formatrice indubitable constitue la puissance mais aussi les limites, ce t te direction éditoriale et l’entière rédaction de la
revue, entendent persévérer dans la volonté de collationner, semestre
après semestre, des articles et des contributions d’une valeur indubitable, afin qu’elles nourrissent vraiment une passion croissante pour
cette « doctrine de Dieu » dont parlait Abélard dans la lettre citée en
ouverture. Que ce soit bien clair : une « doctrine » qui, fondée sur
une Parole vivante, doit nous transmettre toute la saveur et toute la
douceur du Christ et nous en faire faire l’expérience authentique et
féconde chaque jour de notre vie.
En faveur d’une telle entreprise qui en cette programmation éditoriale renouvelée achève sa première année de vie, nous parviennent
quelques premières réactions encourageantes concernant la nouveauté de la forme et du contenu, greffée sur le vieux tronc de notre Ulivo.
Des réponses reçues à l’occasion du rassemblement autorisé et représentatif de notre dernier Chapitre Général tenu à Mont Olivet en
octobre dernier, ressort en effet une appréciation substantielle pour
les résultats déjà atteints. Nous réconforte aussi le fait d’avoir rencon-
38
ÉDITORIAL
tré un net intérêt à ce que la revue aborde systématiquement des problématiques liées à la vie et à la spiritualité monastiques tout en continuant d’autre part à offrir aux lecteurs une vue d’ensemble sur la vie
de nos communautés, tour d’horizon qui veut être signe et moyen de
communion entre nos diverses familles olivétaines et, en même
temps, d’information pour les réalités ecclésiales les plus diverses et
pour tous les genres de lecteurs. Une telle exigence nécessite donc un
renforcement du caractère international de la revue, aussi bien en ce
qui concerne l’origine des articles qui, nous l’espérons, nous parviendrons d’aires linguistiques et géographiques de plus en plus diversifiées, que pour répondre à la double nécessité d’une part de garantir
d’opportunes traductions de l’éditorial, des abstracts et de la chronique, et d’autre part de publier des recensions de nouveautés bibliographiques éditées dans les différents pays dans lesquels sont présents
nos monastères. Déjà à partir de ce numéro nous pouvons répondre à
un désir souvent exprimé de plusieurs côtés, celui de voir notre revue
accompagnée d’un appendice photographique grâce auquel l’illustration des documents et l’impression suscitée par les images pourront
certainement faire mieux apprécier les différents thèmes abordés
dans les études et les récits co n tenus dans différents pas s ages de la
chronique de notre famille monastique.
Qu’il nous soit permis une ultime considération avant d’introduire
nos lecteurs aux articles de ce numéro qui à nous éditeurs nous apparaît d’une singulière richesse, tant par l’ampleur des sujets traités (de
la christologie à la liturgie, de l’eschatologie dantesque à l’ecclésiologie), que par le haut niveau scientifique des auteurs qui y ont collaboré. Nous devons au dernier et précieux effort de Dom Jean Leclercq
(et précisément à ses Regards monastiques sur le Christ au moyen âge, Desclée, Paris 1992) le mérite de nous avoir rappelé comment, en bien des
pages de la tradition monastique médiévale, le Christ a été contemplé
sous la métaphore suggestive du livre, un livre qui, devenu parole de
chair et événement de vie, nous révèle et nous raconte l’amour du
Père (Jn 1,18). Que la familiarité de chaque moine et de chaque
39
LA DIRECTION ÉDITORIALE
croyant, évidemment in primis et maxime avec le livre des livres, mais
au fond aussi avec tout livre évangéliquement ‘savoureux’ ( et c’est cette sagesse là que nous désirons pour notre revue) se tourne en un exercice quotidien et toujours plus fécond de patiente recherche de Dieu,
d’amoureuse pénétration du vrai, de mémoire historique passionnée.
Mais en même temps to u tefois, et selon une tradition monastique
séculaire, que l’amour renouvelé pour une lecture assidue puisse aussi, avec l’efficacité propre à l’expérience symbolique, renvoyer les
yeux de notre cœur à l’autre livre, le livre vivant dans lequel la dernière page ne pourra jamais être écrite (Jn 20,30 et 21,35), le livre vivant
qui est la révélation claire et accomplie de ce que la prophétie d’Israël
avait cachée dans ses derniers rouleaux (Lc 4,16-21), le livre vivant qui
exige que soit toujours ouvert un autre livre d’expérience, celui de
notre cœur, dans lequel le Seigneur puisse continuer à écrire et à
r a co n te r, à travers notre vie et nos paroles, les merveilles de son
amour et les splendeurs multiformes de sa véritas. Si au début Abélard
nous exhortait à faire descendre de nos poussiéreuses étagères, livres,
papiers et parchemins, maintenant c’est à son grand ‘rival’ de to ujours, Bernard de Clairvaux, à nous demander d’ouvrir grand, de
contempler et d’interpréter un autre livre : « le Livre de la vie est
Jésus, livre ouvert à tous ceux qui sont appelés. Heureux celui qui
vient à lire ce livre qui est Jésus. Il devrait toujours garder devant les
yeux et dans les mains le livre qui est Jésus : je veux dire, bien entendu, dans son cœur et dans ses œuvres ».
La direction éditoriale
40
EDITORIAL
Something about monks constitutes a form of negligence for whicht one can
so much more reproach them, since it would be easy for them to work at their
own proper cultivation. In fact they have plenty of sacred books and the possi bility to dedicate themselves to study in tranquility. In the Lives of the
Fa t h e r s, an older man rightly scolds those who boast about having so many
books available without even thinking to read them. “The Prophets,” he says,
“wrote the books; after them came our Fathers who worked very much on
them, while their successors learned them by heart. Then there is today’s gener ation, who transcribed them on papers and parchments, but they put them on
shelves and are idle.” Even Abbot Palladius, while encouraging us to learn and
to teach at the same time, says: “It is necessary that one, who lives according to
Christ’s will, learn accurately all that he does not know, and teach openly all
that he has learned.” If then, even though he is capable, he does not want to do
either thing, this one is insane. In fact we start to detach ourselves from God
when we feel His doctrine is annoying.
These severe, at times ironical but always instructive co n s i d e r ations, taken from an epistle written by Abelard, clearly show as starting from really bygone centuries, almost never it has been superfluous
to remind the monastic life of the necessary centrality of the biblical
Lectio and to the most possible serious and profound study in order to
arrive at the knowledge of Christ and the transmission of his Gospel.
Today, more than ever, because of the fragile numerical consistency of
our communities and because of the large quantity of time that every
monk or nun must consequently dedicate every day to the multiple
problems of the practical life, sometimes the more appealing temptation can become either to limit the practice of reading and of studying to the margins of our daily time, or to renounce almost completely, often even from the years of initial formation, the possibility to
cultivate with particular attention a specific area of study where one
specializes in competencies and attitudes of study.
41
THE EDITORIAL COMMITTEE
So we would wish that our readers, within and outside the cloistered perimeters (as the same pathology unfort u n a te ly afflicts not
only the monastic life), be able to we l come the editorial of this
renewed L’Ul i v o, intended as an extremely humble but pas s i o n a te
effort to encourage the attitude and the pleasure for reading, and to
contribute, within the limits in which we are able to accomplish, to a
cultural enrichment of our communities and to that of our readers.
We also want to move within the required coordinates dictated in the
new Ratio Formationis, soon to be definitely approved, as in more than
one place it asks for a serious cognizance and a valid orchestration for
the purpose of guaranteeing an articulate initial and permanent formation in our monastic life. On the other hand, in the awareness of
the existence of a uncontainable output of publications which flood
the shelves of our libraries, as well as an always more superabundant
and surprising multimedia supply, of whose formative import a n ce
there is no doubt about both potentialities and limitations, this editorial board as well as all the editing staff of the review intend to pers evere in the desire to co ll a te, semester after semester, articles and
contributions of undoubted value as they really nourish a burning
passion for that “Doctrine of God” of which Abelard speaks in his letter quoted above. Let it be clear: A “doctrine” that, founded on a living Word, must transmit all the flavor and all the sweetness of Christ
in order to make it, an authentic and fruitful experience every day of
our life.
In favor of this intention, on the first birthday of this renewed editorial program, there arrive some first encouraging reactions to the
novelties form and of content, grafted onto the ancient trunk of our
L’Ulivo. From the responses co llected during the authoritative and
representative meeting of the last General Chapter, which took place
at Monte Oliveto this past October, there emerges, in fact, a substantial appreciation for the results achieved up to now. We are also
encouraged by the fact that we have seen a notable interest in that the
review systematically faces problems typical to the monastic life and
42
EDITORIAL
spirituality, while it continues moreover to guarantee to our readers a
comprehensive panorama of the life in our communities, which seeks
to be a sign and an instrument of communal cohesion among our several Olivetan families and, at the same time, of information addressed
to the most varied ecclesial realities and to the widest range readers.
This demand then calls for a strengthening of the inte rnational chara c ter of the review, not only in co llecting articles that we hope to
receive from always more diversified geographic and linguistic areas ,
but also in the two fold need both to guarantee needed translations of
the editorial, of the abstracts, and of the daily news, as we ll as to publish summaries of bibliographic entries published in the many co u ntries where our monas teries are. Already with this issue, we can
address a desire expressed by many, that is, to see our rev i ew complete
with a photographic appendix thanks to the illustration of some documentary data or of other things, and the emotional intensity brought
up by the image will be definite ly able to add to the enjoyment of what
has been read in the different essays and of what has been narrated in
some passages of the chronicle of our monastic family.
Allow us to share another consideration before our readers start
reading the articles of this volume, that seems to us uniquely rich for
the breadth of thought of its subjects (from Christology to Liturgy,
from the Dante’s eschatology to ecclesiology) as well as for the
sophisticated scientific profile of the scholars who gave their collaboration. We owe to the final and valuable effort of the tireless master
of monastic studies, Dom Jean Leclercq, (and mainly to his Re ga rds
monastiques sur le Christe au Moyen Age, Desclée, Paris 1992) the merit to
have reminded us as, in many pages of the medieval monastic tradition, Christ was contemplated in the attractive metaphoric image of
the Book, a book that, after becoming Word of flesh and event of life,
shows us and te lls us our Father’s love (Jn 1,18). The familiarity of
every monk and of every believer, obviously in primis and maxime with
the Book of Books, but bas i c a lly also with any evangelically book
“savored” (and this is the wisdom we desire for our rev i ew) ,will
43
THE EDITORIAL COMMITTEE
become always a more fruitful and daily exercise in patiently seeking
God and in loving understanding of the Truth, in a passionate historical memory. But at the same time, according to what has been evoked
by a monastic tradition that is by now almost centuries old, the
renewed love for a persevering reading that will be also able, with the
efficacious characteristic of the symbolic experience, to direct the
eyes of our heart to the other book, the living book in which the last
page will not ever be able to be written (Jn 20,30 and 21,25),the living
book that is the clean and tidy and complete revelation of how much
the prophecy of Israel had hidden in the oldest scrolls (Lk 4,16-21),the
living book that asks for and expects that another book of experience
be always open, the book of our heart, where the Lord can continue
writing and narrating through our life and our words the wonders of
His love and the multiform splendor of His veritas. If at first Abelard
was encouraging us to take down from our dusty shelves books,
papers and parchments, now it is his top “rival” of always, Bernard of
Clairvaux, who asks us to open wide, to contemplate and to interpret
another book: “The Book of Life is Jesus open to all those who are
called. Blessed is he who comes to read this book that is Jesus. H
should always keep in front of his eyes and in his hands the book that
is Jesus: I mean, needless to say, in his heart and in his works”.
The Editorial Committee
English translation by Br. Stephen Coffey
44
EDITORIAL
Aquella de los monjes es una forma tanto más reprochable de negligencia,
cuanto más sería para ellos fácil cultivar la propia cultura: ellos de hecho pose en libros sagrados en abundancia y oportunidad de dedicarse tranquilamente al
estudio. En las Vidas de los Padres un anciano justamente amonesta a aquellos
que se halagan de tener a disposición tantos libros sin pensar a leerlos. «Los pro fetas –él dice- han escrito los libros; trabajando mucho sobre ellos, mientras sus
sucesores los han aprendido de memoria. Luego vino esta generación la cual los
ha reescrito sobre papel y pergaminos, pero los ha puesto en libreras quedándo se ociosa». También el Abad Palladio, exhortándonos vivamente a aprender y
al mismo tiempo enseñar, dice: «Es necesario que un alma que viva según la
voluntad de Cristo aprenda fielmente cuanto no sabe y enseñe abiertamente
cuanto ha aprendido». Si después, pudiendo hacerlo, no quiere hacer ninguna de
las dos cosas, esta alma está infectada por la locura. Se empieza de hecho por ale jarse de Dios cuando se siente fastidio por su doctrina.
Estas severas, a veces irónicas, pero siempre instructivas consideraciones extraídas de una epístola de Abelardo muestran claramente
como desde siglos lejanos nunca fue superfluo hacer notar a la vida
monástica la necesaria centralidad de la Lectio bíblica y de un estudio
lo más serio posible y profundo en relación al conocimiento de Cristo y a la transmisión del Evangelio. Hoy mas que nunca, dada la frágil
consistencia numérica de nuestras comunidades y en razón de la gran
cantidad de tiempo que cada monje o monja debe consecuentemente
dedicar cada día a la multiplicidad de problemas de vida práctica, puede convertirse en tentaciónel confinar la práctica de la lectura y del
estudio a escapadas marginales de nuestro tiempo cotidiano o de
renunciar casi del todo, frecuentemente comenzando desde los años
de formación inicial, a la posibilidad de cultivar con particular cura
una determinada área disciplinar donde especializar competencias y
actitudes de estudio.
Deseamos por lo tanto que nuestros lectores, dentro y fuera de los
45
LA DIRECCIÓN EDITORIAL
parámetros de la clausura (porque la misma patología aflige desafortunadamente no sólo la vida monástica) recibieran la iniciativa editorial de este renovado Ulivo como un humilde pero apasionado tentativo de incentivar la actitud y el gusto por la lectura y de contribuir,
por el poco que podremos lograr, al enriquecimiento cultural de nuestras comunidades y de nuestro lectores. Por otro lado queremos guiarlos coordenadas dictadas por la Ratio formationis en camino a una eminente y definitiva aprobación, que en más de un parágrafo exige serio
conocimiento y válidos instrumentos con el fin de garantizar una articulada formación inicial y permanente en nuestra vida monástica. Por
otro lado, en el co n o c i m i e n to de la existencia de una incontenible
gama de publicaciones que abultan las libreras de nuestras bibliotecas
así como de la abundante y sorprendente oferta multimedia el cual
valor formativo sin duda posee potencialidad pero también límite s ,
esta dirección editorial y la entera redacción de la revista desea perseverar en la voluntad de recopilar semestre tras semestre artículos y
estudioss de indiscutible valor para que alimenten de verdad una
e n cendida pasión por aquella «doctrina de Dios» de la cual hablaba
Abelardo en aquella carta recordada en la apertura. Que quede claro:
una «doctrina» que, fundada en una Palabra viviente, nos debe transmitir todo el sabor y toda la dulzura de Cristo para hacer auténtica y
fecunda la experiencia de cada día en nuestra vida.
A favor de tal intento, que en esta renovada programación editorial
cumple su primer año de vida, llegan las primeras reacciones alentadoras por la novedad de forma y de contenidos injertados en el antiguo tronco de nuestro Ulivo. De las respuestas recogidas en el autoritario y representativo consenso del último Capítulo General realizado a Mo n te Oliveto en el pasado octubre surgió de hecho un
sustancial apreciamiento por los resultados hasta aquel día logrados.
Nos regocija de igual manera, haber encontrado un notable interés en
que la revista proponga sistemáticamente problemáticas relacionadas
con la vida y con la espiritualidad monástica; continuando de igual
modo a garantizar a los lectores una panorámica compleja de la vida
46
EDITORIAL
de nuestras comunidades, panorámica que pretende ser signo e instrumento de coacción comunal entre nuestras diferentes familias olivetanas y al mismo tiempo ser un medio de información dirigido a las
más variadas realidades eclesiales y a los más inquietos lectores. Tal
exigencia impone ento n ces reforzar el carácter inte rnacional de la
revista, tanto en acoger artículos que provengan de diferentes áreas
geográficas y lingüísticas, en cuanto a la doble necesidad de garantizar
oport u n as traducciones del editorial, de los abstracts y de la crónica,
sea de publicar recensiones de novedades bibliográficas editadas en
d i f e r e n tes países donde están presentes nuestros cenobios. Desde
e s te número podemos ver nuestra revista ilustrada de un apéndice
f o to g r á f i co, gracias a dicha ilustración podremos indudablemente
potenciar la fluidez de cuanto se ha examinado en los varios ensayos y
de todo lo narrado en algunos pasajes de la crónica de nuestra familia
monástica.
Se nos permita todavía una consideración antes de llevar a nuestros
lectores a los artículos de este volumen que en particular a nuestros
colaboradores parece de singular riqueza tanto por la amplitud de los
a r g u m e n tos tratados (de la cristología a la liturgia, de la escatología
dantesca a la eclesiología), cuanto por el hilo científico de los estudios
que se han elaborado. Debemos a la última y preciosa fatiga de aquel
incansable maestro de estudios monásticos que fue el monje Jean
Leclercq (especialmente a sus Regards monastiques sur le Christ au moyen
âge, Desclée, Paris 1992) el merito de habernos recordado como, en
muchas páginas de la tradición monástica medieval, Cristo fuese contemplado en la sugestiva imagen metafórica del libro, un libro que,
convertido en palabra de carne y evento de vida, nos revela y nos cuenta el amor del Padre (Jn 1,18). La familiaridad de cada monje y de cada
c r e y e n te, (obviamente in primis y maxime con el libro de los libros,
pero en el fondo también con cada libro evangélicamente “sabio”, y es
esta sabiduría que deseamos para nuestra revista), se convierta siempre más en fecundo y cotidiano ejercicio de paciente búsqueda de
Dios, de amorosa inteligencia de la verdad, de apasionada memoria
47
LA DIRECCIÓN EDITORIAL
histórica. Pero al mismo tiempo, según cuanto evocado por la tradición monástica desde siglos, en renovado amor por una perseverante
lectura que pueda también, con eficacia propia de la experiencia simbólica, reenviar los ojos de nuestro corazón al otro libro, el libro
viviente la cual última página no podrá jamás ser escrita (Jn 20,30 y
21,25), el libro viviente que es la nítida y completa revelación de cuanto la profecía de Israel había escondido en los antiguos rollos (Lc 4,1621), el libro viviente que reclama y exige siempre abierto otro libro de
experiencia, aquel de nuestro corazón, donde el Señor puede co n t inuar a escribir y a narrar a través de nuestra vida y de nuestras palabras las maravillas de su amor y el multiforme esplendor de su veritas.
Si antes Abelardo nos exhortaba a bajar de nuestras empolvadas libreras libros, papeles y pergaminos, ahora es su máximo “rival” de siempre, Bernardo de Clairvaux, a pedirnos de abrir, contemplar e interpretar otro libro: «el libro de la vida es Jesús abierto a todos aquellos
que son llamados. Beato aquel que viene a leer este libro que es Jesús.
Debería siempre conservar delante de sus ojos y de las manos el libro
que es Jesús: quiero decir, se entienda bien, en su corazón y en sus
obras».
La dirección editorial
Traducción en español de d. Antonio Bran Tecun
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Bruno Forte
D I O, LA R I C E RC A E LA FEDE NEL
P E N S I E RO DI JOSEPH RAT Z I N G E R *
È lo stesso Joseph Ratzinger a offrirci la chiave di lettura della sua
opera di pensatore della fede e di uomo di dialogo con i cercatori di
Dio quando afferma che lo scopo della Sua vita intera è stato quello
di dedicarsi «al servizio della parola di Dio che cerca e si procura
as colti tra le mille parole degli uomini»1. Chi cerca e si procura as co lti non ha nulla del presuntuoso possessore della Verità che voglia
imporla agli altri a colpi di clava: Ratzinger pone e accoglie domande vere e non offre mai risposte che non siano rigorosamente argom e n t a te. Ne è prova significativa tra tante il dialogo svoltosi il 19
gennaio 2004 a Monaco di Baviera fra lui e il filosofo Jürgen Ha b e rm as su I fondamenti morali prepolitici dello Stato liberale2. Se Ha b e r m as
è considerato come il più influente filosofo te d e s codel momento, il
cui ruolo appare persino quello di dare voce alla coscienza morale
n e lla cultura politica del Paese, Ratzinger non è solo il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede divenuto oggi Papa
Benedetto XVI, ma anche il fine inte llettuale che – ad esempio – nel
1992 è stato accolto nell ’ « Académie des Sciences Morales et Po l i t iques» dell ’ « Institut de France», lui, uomo di Chiesa tedesco.
In realtà, Joseph Ratzinger intende l’opera del pensiero e della
ricerca come semplice e puro servizio alla Verità: ecco perché il vero
idolo negativo è da lui identificato nel relativismo, in quella posizio_______________
* Conferenza tenuta dall ’ Au tore nell ’ Università di Chieti il 28 aprile sco r s o .
Ringraziamo di cuore S.E. Mons. Bruno Forte per averne concesso la pubblicazione nella nostra rivista (n.d.r.).
1 Prefazione a A. Nichols, Joseph Ratzinger, San Paolo, Cinisello Balsamo 1996, 6.
2 Il volume è stato pubblicato di recente dall’editrice Morcelliana di Brescia.
49
BRUNO FORTE
ne cioè che riconoscendo il pluralismo delle verità – più o meno legate all’arbitrio soggettivo – esclude l’idea della Verità da servire e da
amare, sostituendola con l’unica certezza che tutto sia relativo. A
questo forte senso della Verità Ratzinger giunge non in un’avventura individuale senza radici profonde, ma attingendo alla comunione
d e lla Chiesa di Dio come vero ‘uomo ecclesiale’, nel contesto della
grande tradizione del pensiero occidentale: dagli studi sull ’ a m a t i ssimo Agostino e su Bonaventura alla frequentazione dei maestri
d e ll’eredità di Mo n a co (Sailer, Görres, Bardenhewer, Grabmann e
Schmaus, per fare solo qualche nome), al dialogo con la sapienza
greca, soprattutto platonica, e con la filosofia moderna e co n te mporanea, il futuro Benedetto XVI si nutre di uno straordinario
patrimonio di pensiero, che attualizza e rielabora al fine di dire in
modo nuovo il messaggio antico della rivelazione cristiana per l’inquieta cultura del nostro tempo, segnato da cambiamenti tanto
rapidi, quanto profondi.
Si può dire veramente che la sua teologia e la sua filosofia più che
aristo c r a t i co amore della sapienza, sono espressione di un’umile e
convinta sapienza dell’amore, da offrire con generosità agli altri, in
ascolto e in dialogo con tutti. Nel presentare il pensiero del futuro
Benedetto XVI sul tema «Dio: la ricerca e la fede», cercherò allora
di rispondere a quattro domande, che ci riguardano tutti, credenti e
non credenti pensosi: che significa credere? Chi è il Dio in cui crede
chi crede? Che rapporto c’è fra l’umano e il divino riconosciuto nella fede? Quale è il luogo vivo dell ’ i n contro, ovvero: dove ‘abita’ Dio?
Il riferimento al dialogo di Ratzinger con Habermas servirà a
mostrare il profondo carattere dialogico delle risposte date dal futuro Benedetto XVI, sempre attente alle ragioni dell’altro.
1. Che significa credere?
Ne ll’analisi di Ratzinger credere «significa dare il proprio assenso
a quel ‘senso’ che non siamo in grado di fabbricarci da noi, ma solo
di ricevere come un dono, sicché ci basta accoglierlo ed abbandonar50
DIO, LA RICERCA E LA FEDE NEL PENSIERO DI JOSEPH RATZINGER
ci ad esso»3. La fede è l’accettazione co n s a p evole e libera del ‘senso
donato’ e nasce dall’incontro fra il movimento di autotrascendenza
dell’uomo e l’offerta assolutamente gratuita e indeducibile della grazia di Dio. Quest’incontro è tutt’altro che scontato: esso va anzi vissuto in tutta la sua dimensione agonica, segnata dall’esperienza della reale alterità dell’Altro: «Il ‘Credo’ cristiano riprende con le sue
prime parole il ‘Credo’ d’Israele, acco llandosi però al co n te m p o
anche la lotta d’Israele, la sua esperienza della fede e la sua battag l i a
per Dio, che diventano così una dimensione interiore della fede cristiana, la quale non esisterebbe affatto senza tale lotta»4.
A questa visione della fede Ha b e r m as si mostra quanto mai interessato: «La ragione che riflette sul suo fondamento più profondo –
afferma nel dialogo citato – scopre la sua origine in un Altro; e la
potenza fatale di questo deve essere riconosciuta dalla ragione, se
essa non vuole perdersi nel vicolo cieco di un ibrido divenire preda
di se stessa […] Pur senza un’iniziale intenzione teologica, la rag i o n e
che scopre i suoi stessi limiti trapassa verso un Altro»5. La prospettiva di un apprendimento complementare tra religione e ragione è
dunque condivisa da entrambi. La visione che Ratzinger ha della
razionalità, della sua forza e dei suoi progressi, è senza dubbio più
problematica di quella espressa da Habermas. Da teologo egli non
manca di rilevare come accanto alle patologie della religione – di cui
possono essere esempio i movimenti religiosi che alimentano la violenza e il terrorismo – vi sono anche patologie della ragione, co m e
q u e lle che hanno port a to alla costruzione e all’uso di terribili armi di
distruzione. Ma questo rilievo non esime la fede dal dovere di un dialogo purificatore con la ragione e Ratzinger non esita a dichiarare
_______________
3
J. RATZINGER, Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul Simbolo apostolico, Queriniana, Brescia 1969, 41.
4 Ibidem, 73.
5 J. RATZINGER - J. HABERMAS, Etica, religione e Stato liberale, Morcelliana, Brescia 2005, 33.
51
BRUNO FORTE
che esiste una «necessaria correlazione tra ragione e fede, ragione e
religione, che sono chiamate alla reciproca purificazione e al mutuo
risanamento, e che hanno bisogno l’una dell’altra e devono rico n oscersi l’una con l’altra»6. La fede – lungi dall’essere sacrificio dell’inte lligenza – ne è insomma straordinario stimolo e alimento. La
ragione che voglia dare ragione di quanto esiste, esercitata fino in
fondo, si apre allo stupore davanti al mistero, dove abita l’Altro, che
chi crede riconosce come il Dio al tempo stesso sovrano e vicino…
2. Chi è il Dio in cui crede chi crede?
L’unico Dio cui si affida chi crede è il mistero del mondo, il senso ultimo della vita e della storia, la ragione inconfutabile per diffidare della miopia di tutto ciò che è penultimo, il fondamento al
tempo stesso della vigilanza critica nei confronti di tutto ciò che è
meno di Lui e della speranza profetica nei riguardi del veniente e
del nuovo collegati alla Sua promessa. «Chiamando Dio ‘Padre’ e al
contempo ‘Sovrano dell’universo’, il Credo ha abbinato un concetto familiare ed uno di portata cosmica, facendoli servire alla
descrizione dell’unico Dio. In tal modo esso mette bene in risalto
quali siano le note più salienti che nella fede cristiana caratterizzano il ritratto di Dio: la tensione fra potenza assoluta ed amore
as s o l u to, fra incommensurabile distanza e strettissima vicinanza»7. È proprio il paradosso della compresenza di queste due caratteristiche che aiuta a comprendere in che senso il Dio della fede
sia il Dio vivente: non un morto oggetto, su cui esercitare il gioco
dell’intelligenza, ma il Soggetto vivo e operante, cui corrispondere con la consapevolezza e la libertà dell’accettazione di un’alleanza d’amore. Non un Dio concorrente dell’uomo, ma il Dio umano,
la cui gloria è l’uomo vivente!
_______________
6
7
Ibidem, 56.
J. RATZINGER, Introduzione al cristianesimo, 109.
52
DIO, LA RICERCA E LA FEDE NEL PENSIERO DI JOSEPH RATZINGER
Di questo Dio le tesi di Ha b e r m as pretendono di offrire una sorta di traduzione secolare, che – seppur co n testabile nell’ottica dell a
fede vissuta – mostra la singolare corrispondenza che c’è fra ricerca
filosofica di Dio e fede cristiana in Lui: «La compenetrazione reciproca di cristianesimo e metafisica greca non ha prodotto solo la forma spirituale della dogmatica teologica e una, non sempre benefica,
ellenizzazione del cristianesimo. Tale compenetrazione ha favorito
anche, dall’altro lato, l’appropriazione di contenuti genuinamente
cristiani, da parte della filosofia. Questo lavoro di appropriazione si
è dispiegato in connessioni concettuali dalla forte carica normativa,
connessioni come responsabilità, autonomia e giustificazione, co m e
s toria e ricordo, nuovo inizio, innovazione e rito rno, come emancipazione e compimento, come alienazione, interiorizzazione e incarnazione, individualità e comunità. Questo lavoro ha certo tras f o rmato il senso religioso originario, ma non l’ha deflazionato e dev i t al i z z a to, rendendolo vuoto. Tradurre l’idea di un uomo creato ad
i m m agine e somiglianza di Dio nell’idea di un’eguale dignità di tutti
gli uomini, da rispettarsi incondizionatamente, costituisce un esempio di una tale traduzione salvante. Essa impiega e dischiude il co ntenuto dei concetti biblici al di là dei confini di una comunità religiosa, fino al pubblico generale di coloro che hanno altre fedi o che
non credono»8. Anche qui, la corrispondenza con le tesi di Ra t z i nger si unisce alla ulteriore problematicità che questi avanza: la semp l i ce ‘traduzione’ dei concetti teologici in categorie mondane non
b asta. Il rapporto fra il divino e l’umano è ben più complesso…
3. Quale rapporto fra l’umano e il divino?
Nell ’ i n contro della fede l’umano e il divino si rapportano in
maniera dialettica, viva e vitale: Ratzinger ha approfondito questo
r a p p o rto, mostrando come l’esperienza ecclesiale della grazia venga
a costituire il vero compimento della ricerca del cuore umano, e
_______________
8
J. RATZINGER - J. HABERMAS, Etica, religione e Stato liberale, 35-36.
53
BRUNO FORTE
come ciò avvenga non senza un prezzo pari alla dignità della creatura. La «tesi dualista», che oppone natura e grazia secondo la dottrina della «natura pura» e la teoria dei «due ordini», naturale e
soprannaturale, av eva finito col mantenere l’azione della grazia in
un marcato estrinsecismo: alla mera non imputazione del peccato non veniva a corrispondere alcuna modifica della dinamica spirituale e naturale dell’uomo. Le «dottrine dell’immanenza» – legate ai progetti emancipatori della modernità – av evano co l to unic a m e n te nelle capacità intrinseche dell’umano il potenziale da
esprimere ed attuare nel progresso della vita personale e sociale.
Fra questi opposti estremismi, la tradizione credente ha ce r c ato un equilibrio, che Ratzinger vede bene espresso nella formula
gratia praesupponit naturam (o anche gratia non destruit, sed supponit
et perficit natura m), da lui studiata in un co n t r i b u to ispirato al suo
maestro Gottlieb Söhngen: «Il naturalismo che rifiuta la grazia
nella natura porta allo stesso risultato del soprannaturalismo, che
combatte la natura e, travisando la creazione, rende priva di senso anche la grazia»9. In primo luogo, se la grazia presuppone la natura, l’inte r l o c u tore umano del patto non è annientato, ma entra nel
m i s tero dell’alleanza con Dio in tutta la co n s i s tenza e la dignità
del suo essere. L’uomo sta davanti all ’ E te rno come protagonista,
non come semplice rece t tore passivo dell’opera divina in lui. Ne lla densità del p raesupponit è compreso allora anche lo spazio della
libera azione della creatura, che può aprirsi con co n s a p evolezza e
responsabilità all’accoglienza del dono soprannaturale, o può
chiudersi in se stessa, in una presunta autosufficienza davanti al
M i s tero. Ecco perché nell’assioma occorre correttamente leggere un mov i m e n to dialettico. La grazia compie la natura anzitutto
in quanto la nega nelle sue chiusure: essa giunge all’uomo «soltanto violando il duro involucro dell’auto-esaltazione, che copre in
_______________
9
J. RATZINGER, Dogma e predicazione, Queriniana, Brescia 1974, 138.
54
DIO, LA RICERCA E LA FEDE NEL PENSIERO DI JOSEPH RATZINGER
lui la mag n i f i cenza di Dio. E questo vuol dire che non esiste grazia senza la croce »10. L’ i n contro con Dio inizia sempre con la chiamata al cambiamento radicale del cuore e della vita.
Insieme con questa negazione dell’antropologia in quanto
chiusa all ’ E te rno, la grazia ne co m p o rta però anche la piena affermazione: se l’uomo è desiderio di Dio, l’offerta dell ’ a u to co m u n icazione divina lo realizza al più alto livello dell’aspirazione del suo
essere. Nel praesupponit sono comprese la gioia e la bellezza della
vita divina partecipata alla creatura, la pienezza di senso che essa
s o l t a n to è capace di dare alla vita dell’uomo sulla terra: «Solo l’umanità del secondo Adamo è la vera umanità, solo l’umanità che
è passata attraverso la croce mette in luce il vero uomo»11. La dialettica della negazione e dell’affermazione, tuttavia, non rende
a n cora la pienezza di senso dell’assioma: il co m p i m e n todel desiderio umano da parte del Dio vivente è il suo superamento a un
livello che il desiderio stesso non avrebbe mai potuto raggiungere. «La vera umanità dell’uomo è l’umanità di Dio, la grazia, che
riempie la natura»12. È questa peraltro anche la conclusione che
Ratzinger trae al termine del suo dialogo con Habermas: «È
importante per le due grandi componenti della cultura occidentale farsi coinvolgere in una correlazione polifonica, in cui aprano se stesse alla complementarità essenziale tra ragione e fede,
cosicché possa crescere un processo di purificazione universale,
in cui in ultima istanza i valori e le norme essenziali in qualche
modo conosciuti o presagiti da tutti gli uomini possano conseguire nuova forza d’illuminazione, cosicché possa rito rnare ad avere
forza operante quanto tiene unito il mondo»13.
_______________
10
Ibidem, 152.
Ibidem, 153.
12 Ibidem, 154.
13 J. RATZINGER - J. HABERMAS, Etica, religione e Stato liberale, 56-57.
11
55
BRUNO FORTE
4. Qual è il luogo vivo dell’incontro, il «circolo ermeneutico» dell’assenso credente?
È in questa prospettiva che la Chiesa – terreno dell’avvento libero e gratuito dell’amore ete rno – può essere colta nel suo profondo
significato di luogo del rapporto sempre vivo e fecondo fra il Dio
vivente e la nostalgia del cuore umano assetata di Lui: Ratzinger lo
fa esaminando un altro as s e rto della tradizione teologica, non meno
ricco di sorprendenti illuminazioni, l’assioma «extra Ecclesiam null a
salus»14. Esso non è comprensibile all’infuori dell’orizzonte unitario e
totalizzante del simbolismo patristico: «La fr ase è sviluppata sullo sfondo dell ’ i m m agine del mondo propria dell’antichità, che vi si è anche
intessuta e ne è parte. In forza di questa immagine del mondo, al termine del tempo patristico il mondo era ritenuto come prevalentemente
cristiano. L’impressione di ciò che si sapeva del mondo era che chiunque volesse essere cristiano, lo poteva anche essere e lo era. Solo più un
irrigidimento co l p evole te n eva l’uomo lontano dalla Chiesa»15. In quanto ambito della presenza e dell’offerta del Logos universale, la Chiesa
appare ai Padri come il luogo proprio in cui trova espressione l’accoglienza salvifica dello stesso Logos, e la separazione da essa come un
a llontanarsi dalla porta, che sola co n d u cepienamente alla vita.
C e rto, la Chiesa resta paradosso, che vela e rivela: perciò, essa rinvia a Colui da cui viene e verso cui tende, e non può mai presumere di
essere un assoluto, che si sostituisca all’attrazione misteriosa di Dio
ed alla libertà delle Sue vie. Ne lla concezione della Chiesa come sacramento di salvezza universale coesistono allora «sia l’ampiezza illimitata della salvezza (universalismo come speranza), sia l’indispensabilità dell ’ ev e n to Cristo (universalismo come pretesa)»16. Il paradosso
ecclesiale rimanda così inevitabilmente al mistero del Regno: proprio
così esso rispetta ogni libertà. E perciò non sorprende che il dramma
_______________
14 J. RATZINGER, Nessuna salvezza fuori della Chiesa?, in ID., Il nuovo popolo di Dio,
Queriniana, Brescia 1971, 365-389.
15 Ibidem, 373.
16 Ibidem, 380.
56
DIO, LA RICERCA E LA FEDE NEL PENSIERO DI JOSEPH RATZINGER
del male e del peccato abiti anche nella Chiesa: Ratzinger lo sa bene
e vi riflette con co r aggio. Santa per la chiamata e la fedeltà di Dio, la
Chiesa è non di meno peccatrice nelle colpe dei suoi figli. Essa «vive
sempre ancora del perdono, che la trasforma da prostituta in sposa;
la Chiesa di tutte le generazioni è Chiesa per grazia, che Dio si trae
fuori sempre di nuovo da Babilonia, dove gli uomini si trovano a vivere secondo le loro forze... Proprio l’assolutezza della grazia include
l’insufficienza e la criticabilità degli uomini, ai quali è rapportata. Ma
questi uomini... sono la Chiesa, una Chiesa che non si può semplicemente staccare da loro, come se fosse qualcosa di proprio, di puramente oggettivo dietro agli uomini; essa vive invece negli uomini,
anche se li trascende per quel mistero della benevolenza divina, che
essa comunica loro. In questo senso, la Chiesa santa resta sempre in
questo tempo anche Chiesa peccatrice»17.
A partire da questa coesistenza di santità e di peccato, si comprende in che senso la vita stessa della Chiesa esiga il suo incessante rinnov a m e n to: per risplendere come Israele escato l o g i co, il
popolo di Dio deve rendere visibile e attraente la sua santità attraverso un sempre nuovo ritorno al Signore e alla sua signoria assoluta in ogni campo del suo esistere sto r i co. Il criterio della vera
riforma e dell’autentico rinnovamento è la fedeltà alla volontà di
Dio riguardo al suo popolo: il rinnovamento non si fa, allora, scegliendo forme di rottura, che privilegino contro la massa il piccolo gruppo degli eletti, ma è ecclesiale nel suo fine e nei suoi protagonisti. La riforma si fa insieme con tutti: la Chiesa si rinnova veramente, se si rinnova nella comunione della sua fede, in uno sforzo
a u te n t i c a m e n te «catto l i co» di conversione, che non escluda preg i u d i z i a l m e n te nessuno, e non punti a modelli irraggiungibili o
impossibili per la maggior parte dei fedeli. In questo senso il rinnovamento «non consiste in una quantità di esercizi ed istituzioni este_______________
17 ID.,
Il nuovo popolo di Dio, 278s.
57
BRUNO FORTE
riori, ma nell ’ a p p a rtenere unicamente ed interamente alla fr a ternità
di Gesù Cristo... Rinnovamento è semplificazione, non nel senso di
un decurtare o di uno sminuire, ma nel senso del divenire semplici,
del rivolgersi a quella semplicità vera che è il mistero di tutto ciò che
vive... e che in fondo è un’eco della semplicità del Dio uno»18.
La fede vissuta in continuo rinnov a m e n to nella Chiesa diventa
così la via in cui si prepara e si anticipa il compimento dell ’éschaton:
«La partecipazione al martirio di Cristo è quel modo di morire che è
la fede e l’amore, per cui accetto la mia vita e la rendo accetta a Dio,
il quale, solo in quanto Trinità, può essere amore, e solo in quanto
amore rende il mondo sopport a b i l e »19. A tutti è data la possibilità di
entrare nella tensione fra il già e il non ancora di cui la Chiesa è sacramento: per i credenti, incorporati al Corpo ecclesiale di Cristo, questa condizione sarà comunque segnata dal conforto della ‘comunione dei santi’, che, radicata nella vita delle relazioni divine, consente
la comunicazione interpersonale nella fede, nella speranza e nella
carità, espressa e nutrita dalla preghiera, nel tempo e per l’eternità.
In questo senso, veramente, «chi crede non è mai solo, nella vita,
come nella morte»20. Questo il teologo Joseph Ratzinger ha mostrato con l’intera Sua vita ed opera. Di questo la Chiesa tutta, e la te ologia in essa, devono essergli riconoscenti. Possa il Signore che lo ha
c h i a m a to ora a seguirlo nella sede di Pietro sostenere Benedetto
XVI nel realizzare per la Chiesa degli inizi del Terzo Millennio le
prospettive stupende di fede, di amore e di speranza che gli ha co ncesso di co n templare e di vivere, di far co n templare e di far vivere nel
suo servizio di teologo veramente ‘cattolico’.
Bruno Forte
Arcivescovo Metropolita di Chieti-Vasto
_______________
18
Ibidem, 301. 303.
19 ID., Escatologia. Morte e vita eterna,
20 Omelia.
Cittadella, Assisi 1985, 115.
58
ABSTRACTS
Abstracts
Il noto teologo membro della Commissione Teologica Internazionale, ora
arcivescovo di Chieti-Vasto, offre una penetrante sintesi del pensiero
del Card. Joseph Ratzinger, ora Papa Benedetto XVI.
Viene rilevato, innanzitutto, lo sfondo entro il quale il teologo Joseph
Ratzinger ha svolto la propria ricerca. Si tratta dell’ascolto della parola di Dio e del servizio alla Verità. All’interno di queste due coordinate viene colto l’idolo negativo del relativismo, nel quale non si pone la
Verità da amare e da servire, ma un indistinto pluralismo di verità
legate all’arbitrio del soggetto. Per l’A., inoltre, il percorso della riflessione del futuro Benedetto XVI si situa all’interno di un profondo
orizzonte ecclesiale che attinge alla tradizione del pensiero cristiano,
ma anche alla filosofia classica, moderna e contemporanea. L’A., quindi, prendendo spunto da un recente confronto tra Joseph Ratzinger e
Jürgen Habermas, articola la sua analisi sul pensiero del futuro Papa
focalizzando quattro punti: (credere) il rapporto tra fede e ragione,
(Dio) l’identità del Dio cristiano, (l’uomo) il rapporto tra natura e grazia e la possibilità di tradurre co n cetti teologici in categorie umane
nell’eccedenza dei primi sui secondi e, infine, (la Chiesa) il luogo di
incontro tra il Dio vivente e l’uomo alla ricerca di Dio.
* * *
Le théologien reconnu, membre de la Commission théologique interna tionale, maintenant archevêque de Chieti-Vas to, offre une synthèse
pénétrante de la pensée du Card. Joseph Ratzinger, maintenant Pape
Benoît XVI.
L’arrière-fond de la recherche du théologien Joseph Ratzinger est
l’écoute de la parole de Dieu et le service de la Vérité. À l’intérieur de
ces deux coordonnées, l’idole négative du relativisme est dénoncé.
Avec le relativisme, la Vérité n’est pas quelque chose à aimer et à servir, mais un pluralisme indifférencié de vérités arbitrairement reliées
entre elles par le sujet. La réflexion du futur Benoît XVI se situe à l’in-
59
ABSTRACTS
térieur d’un profond horizon ecclésial qui puise dans la tradition de la
pensée chrétienne, mais aussi de la philosophie classique, moderne et
contemporaine. Sur la base d’un échange récent entre Joseph Ratzinger et Jürgen Habermas, il est possible de saisir 4 points dans la pensée du futur pape: (croire) le rapport entre foi et raison, (Dieu) l’identité du Dieu chrétien, (l’homme) le rapport entre nature et grâce et la
possibilité de traduire des notions théologiques en catégories
humaines en privilégiant les premières sur les dernières, (l’Église) le
lieu de la rencontre entre le Dieu vivant et l’homme à la recherche de
Dieu.
* * *
The we ll known theologian, who is a member of the In te rnational
Theological Commission, and who is now also archbishop of ChietiVas to, offers an insightful summary of the thinking of Ca r d i n a l
Joseph Ratzinger, now Pope Benedict XVI. First of all, he presents
the background within which the theologian Joseph Ratzinger has
been doing his own research. It deals with listening to God’s Word
and with the service to the Truth. Within these two coordinates the
negative idol of relativism is found, in which the Truth that must be
loved and served is not present, but there is an indistinct pluralism of
Truth that depends upon the subject’s free will. According to the
author the course of the reflection of the future Benedict XVI is situated within a profound ecclesial horizon that draws not only from
the tradition of Christian thinking, but also from classical, modern
and contemporary philosophy. Then the author, taking as a starting
point a recent exchange of opinion between Joseph Ratzinger and
Jurgen Habermas, presents his analysis of the future Pope, thinking,
by focusing on four points: (to believe) the relationship between faith
and reason, (God) the identity of the Christian God, (humanity) the
connection between nature and grace and the possibility to translate
theological concepts into human categories in the excess of the for-
60
ABSTRACTS
mer over the latter, and, finally, (the Church), the meeting place of the
living God and humankind seeking God.
* * *
El célebre teólogo de la Comisión Te o l ó g i caInternacional, ahora arzobispo de Chieti-Vas to, ofr e ce una penetrante síntesis del pensamiento del
Cardenal Joseph Ratzinger, ahora Papa Benedicto XVI.
Destaca sobretodo, el confín sobre el cual el teólogo Joseph Ratzinger desarrolla su propia búsqueda. Se trata de escuchar la palabra
de Dios y del servicio a la Verdad. Al interno de estas dos coordenadas se concibe el ídolo negativo del relativismo, en el cual no se pone
la Verdad para amar y para servir, sino un indiferente pluralismo de
verdad ligada al arbitrio del sujeto. Para el Au to r, sin embargo, el
recorrido de la reflexión del futuro Benedicto XVI se sitúa al interno
de un profundo horizonte eclesial que se alimenta de la tradición del
pensamiento cristiano, pero también de la filosofía clásica, moderna
y contemporánea. El Autor entonces, a partir de un reciente encuentro entre Joseph Ratzinger y Jürgen Haberlas, articula su análisis
sobre el pensamiento del futuro Papa, localizando cuatro punto s :
(creer) la correspondencia entre fe y razón, (Dios) la identidad del Dios
cristiano, (el hombre) la correspondencia entre naturaleza y gracia y la
posibilidad de traducir conce p tos teológicos en categorías humanas en
demasía las primeras sobre las segundas y, en fin, (la Iglesia) el lugar del
encuentro entre el Dios viviente y el hombre en la búsqueda de Dios.
61
TESTATINA SX : NOME AUTORE
Giovanni Iammarrone
LA CONTEMPLAZIONE DI GESÙ CRISTO*
Premessa
Comincio questa riflessione con i versetti di 1Gv 1,1-2, che la
Chiesa ci fa meditare in part i colare nel tempo liturgico natalizio:
«Vi annunciamo ciò che era fin da principio, ciò che abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi
abbiamo co n te m p l a to e ciò che le nostre mani hanno to c c a to ,
ossia il Verbo della vita. Poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la
vita ete rna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi».
Q u e s to passo neotestamentario ci dà il nucleo di quanto possiamo dire sulla tematica che mi accingo a trattare. Giovanni, qui
come anche in Gv 1,14, oltre ad «abbiamo visto» (heorakámen), d i ce
anche «abbiamo guardato lo spettacolo» (e t h e a s á m e t ha) del Verbo
eterno della vita, del Verbo che era presso il Padre ed è apparso a
noi in Gesù Cr i s to. La versione CEI traduce: «abbiamo co n te mplato». La debita attenzione a questo linguaggio giovanneo ci porta a rilevare che non è esatto del tutto asserire che la Scrittura
«non contiene praticamente il termine di co n templazione ed è
i n centrata sulla fede nella parola»1. La tradizione giovannea, ma
_______________
* Meditazione teologica presentata dall’autore durante il ritiro spirituale dell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore svoltosi il 4 gennaio 2005. Ringraziamo
il relatore - docente ordinario di Antropologia teologica, Cristologia, e Teologia francescana alla Pontificia Facoltà Teologica “san Bonaventura”, nonché
docente incaricato di cristologia alla facoltà di teologia della Pontificia Università Lateranense di Roma - per averne concesso la pubblicazione [n.d.r.].
1 A. BERNARD, Contemplazione, in Nuovo Dizionario di spiritualità, Pa o l i n e ,
Roma 19792, 263.
62
LA CONTEMPLAZIONE DI GESÙ CRISTO
anche la sinottica2, ci dice che la risposta cristiana all’iniziativa di
grazia di Dio che si manifesta non è solo “as co l to” della Parola,
ma anche “co n templazione” di uno spettacolo, di una vicenda, in
sostanza di una storia che si è svolta e manifestata ai nostri occhi.
Divido la meditazione in 4 punti:
1. La co n templazione nell’esperienza religiosa e in quella cristiana.
2. Gesù Cr i s to modello della co n templazione cristiana.
3. Gesù Cr i s to ogg e t to della co n templazione cristiana.
4. Presenza della tradizione co n templativa del passato, monastica in part i co l a r e .
1. La contemplazione nell’esperienza religiosa in genere e in quella cristiana
Non è ce rto il caso di addentrarci ad approfondire il conce t to
e la realtà della “co n templazione”. Solo qualche cenno fenomenol o g i co e te o l o g i co .
La fenomenologia e la storia delle religioni sino ad oggi documentano che in seno all’esperienza religiosa dell’umanità è stata
ovunque presente, pur se in misura e secondo modalità diverse,
un’esperienza o un momento co n templativi come stacco e distacco dall’inserimento attivo nel mondo e co n centrazione della
m e n te, del cuore, dell’intera persona, su ciò che, possiamo dire,
sta “dietro”, “sotto” o “oltre” quanto vediamo e tocchiamo, al di
là del modo in cui questa realtà “nas costa”, “misteriosa” venga
rappresentata. L’induismo, il buddismo in genere e in particolare
quello zen, il sufismo in seno all’islam, i numerosi e vari gruppi
guidati da guru alla meditazione tras cendentale, il “New Age” che
in questi ultimi tempi sta propagandando la meditazione, co n_______________
2 Molti
profeti e giusti (cf. Mt 11,16-17), molti profeti e re (cf. Lc 10,23-24) desiderarono vedere e non videro ciò che voi vedete.
63
GIOVANNI IAMMARRONE
templazione trans-personale e così via co s t i t u i s cono l’eloquente
riprova che sia nel pas s a to che nel presente il momento meditativo-co n templativo è stato ed è ancora largamente apprezzato dall’umanità, anche nell ’ a m b i to della società occidentale largamente
s e colarizzata, anzi in molti è diventata una viva esigenza.
La storia cristiana ci consegna una grande tradizione co n templativa, fiorita in oriente e in occidente, in part i colare nel mondo monastico; anzi, essa ci dice che la vita contemplativa per secoli ha avuto
un primato indiscusso, sigill a to anche dall’interpretazione classica
d e lle parole di Gesù: «Maria si è scelta la parte migliore» (Lc 10,42).
Eppure si deve constatare che negli ultimi decenni in ambito
cristiano alla vita contemplativa e al suo primato assiologico sono
state avanzate diverse critiche che possono essere raccolte nei termini seguenti: da più parti è stato affermato che non è chiaramente fondata nella Scrittura; co m p o rta un disimpegno nei riguardi
del mondo creato buono da Dio e luogo in cui ci interpella e invita a dare la nostra attiva risposta di fede; la sostanza della vita cristiana è la carità operosa, non la co n templazione, che, al limite ,
potrebbe anche diventare disdicevole disimpegno dall’operare
caritativo salvifico3.
In questi ultimi tempi in sostanza si è verificato il seguente s t ra no fenomeno: mentre in ambito cristiano è stata sottovalutata se non
co n testata la dimensione co n templativa della vita, in larga parte del
mondo non cristiano essa è stata ed è tenuta in alta considerazione.
Si tratta probabilmente di uno dei fattori che hanno port a to al distacco dal e all’abbandono del cristianesimo da parte di molte persone che hanno av v e rtito un “deficit” di impegno contemplativo
_______________
3 Riguardo a questo ultimo punto, A. Bernard, dietro B. Butler, rileva che i
grandi maestri cristiani di vita spirituale hanno sempre cercato di conciliare
le due esigenze della vita cristiana autentica: l’azione e la contemplazione; ma
ad essi non è mai venuta in mente l’idea di mettere in discussione la legittimità della vita contemplativa: cf. Contemplazione, 265.
64
LA CONTEMPLAZIONE DI GESÙ CRISTO
nel suo ambito; di uno dei motivi che ag evolano la larga diffusione
del “New Age” nel mondo occidentale/Emisfero Nord tradizionalm e n te cristiano. Si impone perciò una decisa rivalutazione e un
convinto riapprezzamento del momento o della dimensione contemplativa dell ’ e s i s tenza cristiana sia per motivi storico-culturali
sia, a maggior ragione, per motivi intrinseci perché essa è una
dimensione costitutiva dell’esistenza cristiana in quanto tale.
Ma in che cosa consiste la dimensione contemplativa quale elemento
o dimensione dell ’ e s i s tenza cristiana? Si tratta di un problema
complicato, data anche la molteplicità delle posizioni delle scuole
di spiritualità in proposito.
Nell’epoca moderna in ambito teologico e spirituale al termine
“contemplazione” per lo più è stato attribuito un significato molto angusto, quello di «ricerca di una certa forma di conoscenza» di
Dio, in pratica di una co n o s cenza intima, esperienziale di Dio,
conseguibile per grazia particolare solo da alcuni con un distacco
totale dal mondo. Si tratta in verità di un’accezione ristretta di
“contemplazione” e “vita contemplativa”, estranea al dato biblico
e alla grande tradizione teologica cristiana.
In effetti la tradizione spirituale anteriore, i Padri, gli uomini di
spirito e i teologi, in particolare S. Bonaventura, hanno inserito la
“co n templazione” nel co n te s to dell’una, unica ampia e articolata
esperienza cristiana di fede4, che, per usare il linguaggio classico
_______________
4 Il Dottore Serafico, si sa, è stato un grande mistico e un maestro di contemplazione; l’influsso della sua dottrina è stato rilev a n te nel corso dei seco l i .
Secondo il suo insegnamento la contemplazione, l’attività più sublime dell’anima umana che formerà la sua beatitudine nel Cielo, è elevazione a Dio
mediante l’unione di pensiero e di amore con Lui, oppure, con parole prese
da Riccardo da San Vittore, «è lo sguardo libero e perspicace sugli spettacoli
della sapienza, sguardo sospeso nell’ammirazione»: Legenda maior, c. 9, n. 1;
VIII,580, che ha per “oggetto” più alto, ultimo, la stessa Trinità e l’umanità di
Cristo (cf. De perfectione vitae ad Sorores, c. 5, n. 10; VIII, 120): sulla dottrina
65
GIOVANNI IAMMARRONE
benedettino, ha come punto di partenza e base permanente la lec tio dei fatti salvifici, che si apre alla meditatio dei loro contenuti di
grazia, matura in seguito nell’oratio a Dio che benevolmente li ha
concessi e li concede e culmina nella contemplatio profonda, amorevole e aperta alla prassi della loro portata e dinamica salvifiche5.
Oggi, con un ritorno a questa prospettiva classica più ampia, la
teologia della spiritualità tende giustamente a rico llocare la contemplazione/la vita contemplativa nel contesto della vita di fede
come «adesione a Dio con la mente e il cuore» (cf. PC 5) e a considerarla come quell’esperienza che ha luogo quando il fedele, sotto
la grazia divina, «prende in considerazione il mistero della fede per
assimilarne il co n te n u to e pervenire così ad un’adesione sempre
più personale ad esso»6 sia in forma “spontanea” sia «attraverso
un’applicazione costante e metodica»7. Ovviamente tale assimilazione non è fatto solo intellettuale, ma anche volitivo, affettivo,
immaginativo, aperto alla prassi.
Le modulazioni dell’assimilazione co n templativa dell ’ u n i co
_______________
bonaventuriana si veda L. VEUTHEY, Orazione e contemplazione in San Bonaven tura, Incontri Bonaventuriani, 6, Montecalvo Irpino 1970, 111-130; 119.121.
5 In questi termini possiamo tradurre le parole di Guigo il Certosino sull’ascesa dell’anima credente a Dio: «La lettura - lectio - è lo studio atte n to della
Scrittura fatto con uno spirito tutto teso a comprenderla. La meditazione è
una operazione dell’intelligenza che si concentra con l’aiuto della ragione nell’investigare le verità nascoste. La preghiera è il volgere con fervore il proprio
cuore a Dio per evitare il male, e perseverare nel bene. La contemplazione è
un innalzamento dell’anima che si eleva al di sopra di se stessa verso Dio
gustando le gioie dell ’ e te rna dolcezza»: B. CALATI, Parola di Dio, in Nu o v o
Dizionario di spiritualità, 1146. Il medesimo Guigo scrive: «La lettura port a
cibo solido alla bocca, la meditazione lo mastica e lo spezza; la preghiera ne
cerca il sapore; la contemplazione è la stessa dolcezza che dà gioia e ricrea»:
Scala claustralium, PL 184, 475-484.
6 A. BERNARD, Contemplazione, 266.
7 Ibidem, 265-266.
66
LA CONTEMPLAZIONE DI GESÙ CRISTO
“mistero della fede” sono diverse a seconda della varietà dei carismi ecclesiali: così si dà una modalità contemplativa laicale, se ne
dà una consacrata ecc. La base comune di tali modulazioni diverse è e resta la “lectio” dei fatti salvifici fatta nella fede. Ciò ci introduce al secondo punto della nostra meditazione, a Gesù Cristo. Il
libro che viene “letto” è la Scrittura, di cui Gesù Cristo è il “libro
abbreviato”, che tutto contiene e ricapitola.
2. Gesù Cristo “modello” della contemplazione cristiana
Il credente cristiano anche nel momento co n templativo della
sua esperienza spirituale deve avere davanti a sé Gesù Cristo, perché egli è la via al Padre, alla retta conoscenza ed esperienza di Dio
invisibile; egli è la porta per la quale si è introdotti alla profonda
unione con Dio e, in e per Dio, con tutta la realtà. Per questa centralità di Cr i s to nella vita co n templativa possiamo far valere due
p assi significativi della Regola di San Benedetto: «non anteporre
assolutamente nulla a Cristo» (RB 72,11); «nulla di più caro di Cristo» (RB 5,2). Fortunatamente questa prospettiva cristocentrica al
presente è tornata a risplendere con chiarezza, almeno in linea di
principio, nella coscienza teologica e spirituale cristiana.
La vita contemplativa cristiana che si fonda sulla e si nutre della “l e c t i o”, di cui Gesù Cr i s to co s t i t u i s ce la “Parola abbreviata”,
deve riferirsi a Gesù Cristo fondamentalmente come al suo model lo. Richiamiamo alcuni dati evangelici significativi: a 12 anni il
ragazzo Gesù co n centra la sua attenzione e il suo impegno sulle
cose del Padre (cf. Lc 2,49); nel corso del suo ministero pubblico
ha davanti a sé il Padre e il suo Regno come stella polare del suo
cammino e del suo operare: vive un rapporto diretto e immediato
col Padre nella preghiera frequente (cf. Mc 1,35; 6,46; Mt 14,23; Lc
6,12; 22,45; Gv 17; Eb 5,7); fa della volontà del Padre, che egli ha
sempre davanti a sé, il suo cibo (cf. Gv 4,34); opera come vede operare il Padre (cf. Gv 5,17); il Padre e la sua sovrana volontà pone
67
GIOVANNI IAMMARRONE
davanti ai suoi occhi sia nei giorni felici (cf. Gv 5,30; 6,38) che nell’approssimarsi della passione nell’orto del Getsemani (cf. Mc
14,36) e nella morte sulla croce (cf. Lc 23,46). In base a tutto ciò si
può dire che Gesù ha posto continuamente davanti al suo spirito
e ai suoi passi il Padre e il suo agire salvifico: il Padre con il suo
disegno salvifico in questo senso è stato l’“oggetto” costante della
sua contemplazione.
Non è il caso di richiamare qui le posizioni dei teologi sul modo
in cui egli contemplava il Padre e i suoi disegni: se con una visione
immediata facciale e oltre a ciò beatificante oppure in altro modo,
ad esempio, con una percezione di coscienza immediata e ce rt a
d e lla propria identità filiale e redentrice non facciale né beatific a n te. La teologia cristiana sta approfondendo, per quanto le è
possibile, questa esperienza intima di Gesù. La verità cristiana ci
chiede che lo vediamo in unione filiale permanente intima, unica,
esclusiva, con il Padre, di cui egli solo in quanto Figlio conosce l’identità, identità che ha manifestato e manifesta agli uomini (cf. al
riguardo Mt 11,27; Lc 21,22; Gv 13,3). Per questo è esatto dire che
nella sua vita terrena è stato un vero contemplativo, un autentico
“ m i s t i co di Dio” e grazie a ciò anche un uomo aperto agli altri
uomini (“uomo per gli altri”) con un servizio senza riserve sino al
dono totale di sé8.
Il Nuovo Testamento in sostanza ci dà un Gesù contemplatore
del Padre, Dio, in vita e morte, in rapporto intimo con Lui suggell a to in ete rno con la risurrezione: «salgo al Padre mio e Pa d r e
vostro, Dio mio e Dio vostro» (Gv 20,17). I cristiani, suoi fratelli e
seguaci, nel vivere la dimensione contemplativa della loro vita di
fede, devono orientarsi a Lui, modello di co n templazione del
Padre e dei suoi disegni di salvezza.
_______________
8 Su questo punto si veda E. SCHILLEBEECKX, Il Cristo. Storia di una nuova pras si, Queriniana, Brescia 1989, 962-963.
68
LA CONTEMPLAZIONE DI GESÙ CRISTO
3. Gesù Cristo “oggetto” della contemplazione cristiana
Gesù però non è solo il modello ma anche l’oggetto della vita contemplativa cristiana. La Comunità dei discepoli dopo la Pasqua ha
compreso con maggior chiarezza che Gesù non solo con il suo
comport a m e n to, ma nel suo stesso essere è via al Padre e porta alla
comunione con il Padre, presente in modo mirabile in lui, suo
Figlio. Ciò risulta oltre che da 1Gv 1,1-5, citato all’inizio, anche da
Gv 1,18; 14,9; 17,4; 1Gv 5,20: «Sappiamo anche che il Figlio di Dio è
venuto e ci ha dato l’intelligenza per conoscere il vero Dio». Si tratta del dato nuovo, specifico, peculiare del Nuovo Testamento sul
rapporto Dio-uomo che per i cristiani porta a compimento l’Antico Te s t a m e n to e costituisce il criterio di verifica dell’autenticità
delle esperienze religiose dell’umanità sorte e che sorgono nel corso della storia.
La tradizione teologica e spirituale cristiana non è sempre stata
attenta a questo elemento essenziale dell’annuncio cristiano. Spesso il mistero di Gesù Cristo quale oggetto di contemplazione qualificante del cristianesimo è stato affermato in linea di principio,
ma pre-comprensioni culturali e filosofiche hanno indirizzato lo
spirito e il cuore dei contemplanti a immagini o rappresentazioni
di Dio o del divino che poco hanno a che vedere con l’oggetto della contemplazione cristiana che Gesù è venuto a donarci. Si è pens a to di potere, anzi di dovere, as cendere al divino, di sentirsi
davanti al divino e di co n templarlo in unione profonda prescindendo dalla mediazione iconica, noetica e vitale di Gesù Cr i s to,
Verbo fatto carne, crocifisso e risorto: si pensi a Origene, Maestro
Eckhart, gli Alumbrados (gli “Illuminati”) spagnoli del secolo XVI
e altri mistici cristiani. Di questo orientamento e del suo indispensabile superamento è testimone, almeno indiretta, Santa Teresa
d’Avila, grande contemplatrice carmelitana. Sembra che in un primo momento sentisse il fascino della mistica fortemente apofatica degli Alumbrados (gli “Illuminati”) e tendesse a non dare la giu-
69
GIOVANNI IAMMARRONE
sta importanza alla contemplazione del mistero di Gesù Cristo per
elevarsi alle altezze della contemplazione del divino trascendente.
Ad ogni modo ecco cosa scrive sulla necessità di non “oltre-passare”, “by-passare”, l’umanità di Gesù Cristo nella ricerca della contemplazione: «Ho sempre riconosciuto e tuttora vedo chiaramente che non possiamo piacere a Dio e da lui ricevere grandi grazie,
se non per le mani della sacratissima umanità di Cristo, nella quale egli ha detto di compiacersi. Ne ho fatto molte volte l’esperienza. Meditando la sua vita, non si troverà modello più
perfetto...Beato colui che lo ama per davvero e lo ha sempre co n
sé!...Conosciuta questa verità, ho considerato e ho appreso che alcuni santi molto contemplativi...non hanno seguito altro cammino»9.
Tra questi santi contemplativi colloca anche San B e rnardo.Ora la
logica e l’iter della contemplazione cristiana li indica e riassume San
Bernardo in un testo straordinario, che, non a caso, è stato scelto
come seconda lettura della memoria di Santa Maria del Rosario, in
cui si co n templano i misteri di Gesù Cr i s to in unione spirituale
con Maria sua Madre. Cosa dice in esso e ci ripete San Bern a r d o ,
grande luminare della tradizione contemplativa ciste r cense? Ecco:
«Ma il progetto di Dio rimaneva presso di lui e noi non eravamo in
grado di conoscerlo. Infatti: chi conosce il pensiero del Signore e chi
gli può essere consigliere? (cf. Rm 11,24). E allora il pensiero di pace si
calò nell’opera di pace: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in
mezzo a noi” (Gv 1,14); venne ad abitare part i colarmente nei nostri
cuori per mezzo della fede. Divenne ogg e t to del nostro ricordo, del
nostro pensiero e della nostra immaginazione. Se egli non fosse venuto in mezzo a noi, che idea si sarebbe potuto fare di Dio l’uomo, se
non quella di un idolo, frutto di fantasia? Sarebbe rimas to inco mprensibile e inaccessibile, invisibile e del tutto inimmag i n a b i l e10.
_______________
9
Il libro della vita, c. 22,6-7; Liturgia delle ore, 15 ottobre, seconda lettura.
Viene da pensare al linguaggio di tanti mistici cristiani, che in tali termini
hanno descritto le loro esperienze profonde del divino.
10
70
LA CONTEMPLAZIONE DI GESÙ CRISTO
Invece ha voluto essere compreso, ha voluto essere veduto, ha
voluto essere immaginato. Dirai: Dove e quando si rende a noi visibile? Appunto nel presepio, in grembo alla Vergine, mentre predica sulla montagna, mentre passa la notte in preghiera, mentre pende sulla croce e illividisce nella morte, oppure, mentre libero tra i
morti, comanda sull’inferno, o anche quando risorge il terzo giorno e mostra agli apostoli le trafitture dei chiodi, quali segni di vittoria, e, finalmente, mentre sale al cielo sotto i loro sguardi. Non è
forse cosa giusta, pia e santa meditare tutti questi misteri? Quando la mia mente li pensa, vi trova Dio, vi sente colui che in tutto e
per tutto è il mio Dio. È dunque vera sapienza fermarsi su di essi
in contemplazione. È da spiriti illuminati riandarli per colmare il
proprio cuore del dolce ricordo del Cristo»11.
Questi sono i contenuti e la logica della contemplazione cristiana: l’esperienza intima di Dio si fa nella contemplazione del mistero del Verbo fatto carne a Natale, vissuto tra gli uomini, morto sulla croce, risorto e asceso alla destra del Padre, speranza dell’uomo.
È quanto “contempliamo” nei misteri gaudiosi, luminosi, dolorosi
e gloriosi di Gesù Cristo del Santo Rosario, preghiera che è ritenuta da molti ripetitiva, noiosa, quasi infantile; invece, se fatta con
fede, si rivela profondo momento e proficua scuola di alta contemplazione, di contemplazione non generica, ma sostanziata dei più
genuini contenuti spirituali cristiani.
4. Presenza della tradizione contemplativa del passato, monastica in
particolare
Questo testo di San Bernardo, uno tra i tanti che si trovano nelle sue opere, in particolare nei Sermones super Cantica, riassume la
prospettiva della co n templazione o della vita co n templativa del
_______________
11 Discorso De aquaeductu, Discorsi, Opera omnia, 5,1968, pp. 282-283. Su questa
visione di S. Bernardo si veda J. LECLERCQ, o.c., 170-182.
71
GIOVANNI IAMMARRONE
monachesimo medievale, come si può vedere dalla bella e istruttiva opera di J. LECLERCQ, La contemplazione di Cristo nel monachesimo
medievale12. Lo studioso mostra che la meditazione teologica
monastica medievale, profondamente caratterizzata «dal suo
o r i e n t a m e n to co n templativo», co n s i s teva sostanzialmente nella
« co n templazione amorosa dei misteri di cui avevano parlato le
Scritture e i Padri della Chiesa antica»13: in concreto del «ciclo dei
m i s teri di Cr i s to, il cui centro è la Pas q u a »14, misteri meditati e
celebrati anche nelle loro anticipazioni nell’Antico Testamento e
nei loro prolungamenti nella vita della Chiesa. Tale contemplazione mirava a «riflettere, nella fede e alla luce della liturgia, sulle verità rivelate e sul modo in cui è possibile viverne»15; essa aveva lo scopo «di favorire la preghiera e la crescita spirituale»16.
In realtà J. Leclercq mostra come i grandi abati di Cluny (Sant’Oddone, Sant’Odilone), Gi ovanni di Fecamp, Pietro il Venerabile,
Pietro di Celle, i grandi teologi e uomini spirituali cistercensi quali
S. Bernardo, Guglielmo di Saint-Thierry, Guerrico d’Igny, Aelredo di
R i evaulx, Ugo di Pontigny, erano tutti dediti alla meditazione del
mistero di Cristo quale fonte, sostanza e meta della vita conte m p l ativa. Esponendo la dottrina spirituale di Pietro di Celle in part i co l are, rileva che questi «scrive quasi esclusivamente per favorire nell a
Chiesa la vita co n templativa, e al cuore stesso del suo insegnamento
si situa il Signore Gesù»17, insegna che «la co n templazione deve av ere come oggetto principale la persona e la vita di Cristo»18.
_______________
12 Apparve nel 1994 in italiano per i tipi dell’editore San Paolo, Cinisello Balsamo (or. fr. 1993).
13 Ibidem, 137.
14 Ibidem, 151.
15 Ibidem, 137.
16 Ibidem, 150.
17 Ibidem, 163.
18 Ibidem, 165
72
LA CONTEMPLAZIONE DI GESÙ CRISTO
Ma, come detto, la teologia monastica nel suo co m p l e s s o
era orientata alla meditazione della rilevanza spirituale dei
m i s teri di Gesù Cr i s to, che si deve tradurre in “imitazione di
Cr i s to”, imitazione, osser va Leclercq, non «puramente
morale, esteriore o interiore, dei co m p o rtamenti di Cr i s to ,
m a . . . p a rtecipazione ai misteri che ha co m p i u to, al miste r o
s tesso che egli è stato » 19.
Al riguardo però sorgono spontanee due domande: È
attuale la lezione co n templativa del pas s a to, quella monas t ica in part i colare? Ce ne possiamo e dobbiamo appropriare
perché ci aiuti a co n templare e ad assimilare vitalmente il
m i s tero di Cr i s to oggi? Soll evare simili quesiti può sembrare
una provocazione. Ovviamente, non vuole esserlo. Ad ogni
modo le provocazioni hanno anche la funzione positiva di stimolare a riflettere e impegnarsi a tradurre in forme oggi fru ibili grandi valori del pas s a to. Prima di tentare una risposta
a lle domande faccio due brevi considerazioni sulla distanza
tra il nostro modo di accostarci a Gesù Cr i s to e quello del
p as s a to nonché tra l’esperienza del mondo, della storia, della nostra esistenza personale che facciamo noi e quella del
mondo mediev a l e .
O ggi ai detti e fatti di Gesù Cr i s to narrati dai vangeli facciamo riferimento con approccio sto r i co - c r i t i co e legg i a m o
la Scrittura dando grande peso al senso letterale, sto r i co ;
q u e s to fenomeno ci procura la difficoltà di poterli prendere
tutti come realmente accaduti e di dare spazio ad una loro
fondata co n templazione simbolica, elementi questi su cui
hanno bas a to e di cui hanno nutrito la loro meditazione i
co n templativi del pas s a to .
Inoltre, il senso del mondo, della storia, della vita che
respiriamo oggi è alquanto distante da quello respirato dai
_______________
19 Ibidem, 200
73
GIOVANNI IAMMARRONE
co n templativi del pas s a to perché diamo maggiore import a nza al vivere in seno a questo mondo e le realtà ete rne, ce l e s t i ,
oltremondane, scopo unico delle aspirazioni del co n te m p l ativi del pas s a to, non co s t i t u i s cono la meta ev i d e n te e premin e n te dei nostri desideri, diciamo delle nostre “co n te m p l azioni”.
Sono alcune ragioni che ci distanziano dai grandi co n te mplativi del pas s a to. Ma queste innegabili differenze non sono
t a l m e n te cogenti da farceli sentire lontani, quasi degli estranei, con la loro testimonianza co n templativa. Penso che al di
là di esse, che marcano indubbiamente una lontananza tra noi
e loro, la loro testimonianza della co n templazione del mistero della fede, in co n c r e to del mistero salvifico di Cr i s to e di
Dio, resti eloquente e stimolante per noi ogg i .
In verità il mistero di Gesù Cr i s to, per quanto oggi venga
co n s i d e r a to in modo più critico, scientifico, continua ad
o f frirsi alla nostra co n templazione con i suoi co n tenuti fondamentali e ci inte r p e lla esiste n z i a l m e n te chiedendoci fede
per dare pienezza di senso alla nostra vita. È da pensare perciò che non ci sia poi tanta lontananza tra la co n te m p l a z i o n e
di esso fatta dai grandi uomini spirituali del pas s a to e quell a
che siamo chiamati a fare noi nel co n te s to culturale attuale.
Per quanto riguarda il nostro senso del mondo, della sto r i a ,
d e lla vita, molto diverso da quello del co n te s to culturale in
cui vissero i co n templativi del pas s a to, siamo portati a meditare i misteri salvifici di Gesù Cr i s to con la viva preoccupazione, non altrettanto viva in loro, di art i colarli con il valore
d e lla nostra esistenza e del nostro operare terrestri. Tu t t av i a ,
o ggi co n templiamo il nostro mondo, la storia umana e quell a
personale terrena alla luce di Gesù Cristo e nella prospettiva dei
disegni di Dio rivelatici in Lui, quindi a lla luce di quel mede simo Dio e di quel medesimo Gesù Cr i s to che costituivano l’ogg e t to centrale e quasi esclusivo della loro co n te m p l a z i o n e .
74
LA CONTEMPLAZIONE DI GESÙ CRISTO
Ciò avvicina il nostro impegno co n templativo al loro. Pe r
q u e s to, al di là di ogni lontananza storica e spirituale, li possiamo e dobbiamo sentire vicini e stimolanti per la nostra
vocazione e testimonianza co n templative.
A modo di c o n c l u s i o n e, si può tentare di fornire un esempio
d e lla co n templazione del mistero salvifico di Gesù Cr i s to in
linea con la nostra sensibilità odierna per il mondo, la sto r i a
umana e l’avventura personale terrestre. Nel tempo natalizio
d e llo scorso anno si è verificato il catas t r o f i co maremoto in
terra asiatica. Questo immane trag i co ev e n to ci ha stimolati
a “co n templare”, come è emerso dalle tante e molteplici co nsiderazioni fatte sui giornali e in trasmissioni radio-te l ev i s i v e
da uomini di fede, miscredenti e atei per l’occasione. Quale
tipo di co n templazione abbiamo potuto e “d ov u to” fare in
q u a n to credenti cristiani? A livello di superf i c i e, abbiamo “co nte m p l a to” le immagini drammatiche che ci sono state trasmesse in abbondanza dai mass media e sono pas s a te sotto i
nostri occhi; a livello profondo, quello della fede, abbiamo co nte m p l a to i disegni sovrani e misteriosi della Pr ovvidenza di
Dio riguardo a questo mondo, alla storia degli uomini e all a
nostra esistenza personale che si svolge in seno ad essi; in
co n c r e to abbiamo co n te m p l a to il mistero di Gesù Cr i s to, del
Figlio ete rno di Dio, quindi di Dio stesso, che si è inserito in
q u e s to mondo assumendone la debolezza, la passibilità e la
m o rtalità e trasfigurandole con la risurrezione in vita luminosa e intramontabile. Il mistero salvifico di Cr i s to e di Dio in
q u e s to fr a n g e n te è stato co n te m p l a to , ma all ’i n t e rno del problema del senso del nostro mondo trag i co, della nostra storia umana drammatica, della nostra vicenda personale te r r estre cui Gesù Cr i s to si è intimamente unito. La fede cristiana esige che dal giorno dell ’ i n c a rn a z i o n e - m o rte - r i s u r r e z i o n e
del Figlio di Dio nell’umano Gesù di Nazaret e alla luce di
q u e s to grande mistero co n templazione di Dio e co n te m p l a-
75
GIOVANNI IAMMARRONE
zione del mondo si richiamano i n s c i n d i b i l m e n t e. È la co n s eguenza, sul piano della co n templazione, della decisione di
Dio, mistero tras ce n d e n te, di farsi nel Figlio “Dio con noi” e
nostro co m p agno di strada, “apripista” (a c h e g ò s) del nostro
cammino di fede (cf. Eb 12,2) e della nostra elevazione (co ntemplazione) alle altezze e profondità del mistero di Dio.
Gi ovanni Iammarrone, OFM Conv.
Pontificia Facoltà teologica S. Bonaventura
Ro m a
76
ABSTRACTS
Abstracts
L’Autore, dopo aver rilevato come il linguaggio della contemplazione abbia un chiaro riferimento biblico, mette in luce come l’indagine
dell’esperienza religiosa, non solo cristiana, mostri come l’uomo abbia
un naturale interesse per la dimensione meditativo-co n te m p l a t i v a ,
anche nell’ambito della odierna società occidentale, come evidenzia il
s u c cesso della religiosità di ispirazione orientale. Paradossalmente,
però, nonostante la tradizione co n templativa abbia una lunga sto r i a
nell’ambito cristiano, è proprio in questo contesto ad essere negli ultimi decenni sottovalutata, mentre in larga parte del mondo non cristiano è stata ed è tenuta in alta considerazione. L’Autore, quindi,
descrive la contemplazione alla luce della tradizione monastica e della teologia della spiritualità, in cui l’orizzonte cristo l o g i co resta il
modello e l’oggetto primario della contemplazione.
* * *
Le langage de la co n templation a une référence biblique claire.
L’investigation de l’expérience religieuse non seulement chrétienne
montre que l’homme éprouve un intérêt naturel pour la dimension
de méditation et de co n templation, même dans la société occidentale co n temporaine, comme le succès de la religiosité d’inspiration
orientale le montre bien. Pa r a d oxalement, bien que la tradition
contemplative ait eu une longue histoire en milieu chrétien, le
conte x te contemporain des dernières décennies conduit à la dévaluer, alors qu’elle jouit d’une grande considération dans une large
partie du monde non-chrétien. La co n templation est décrite à la
lumière de la tradition monastique et de la théologie de la spiritualité, dont l’horizon Christologique demeure le modèle et l’objet
principal de la contemplation.
77
ABSTRACTS
* * *
The author, after having reported how the language of contemplation has a clear biblical reference, brings to light how the investigation of religious experience, not only Christian, shows how the
human being has a natural interest for the meditative-contemplative
dimension, even in the sphere of co n te m p o r a ry We s te rn society, as
the success of religious thought of Eas te rn inspiration makes clear.
Paradoxically, then, though the co n templative tradition has a long
history in the Christian sphere, just in this context in the last decades
it has been undervalued, while in a large part of the non-Christian
world, it has been held in high esteem. The author, then, describes
contemplation in light of the monastic tradition and of the theology
of spirituality, in which the Christological horizon remains the model and the primary object of contemplation.
* * *
El autor, después de haber mostrado como el lenguaje de la co n te m p l ación tenga una clara referencia bíblica, pone de manifiesto como la
bùsquedaa de la experiencia religiosa, no sólo cristiana, demuestra
como el hombre posea un natural interés por la dimensión meditativaco n templativa, aún en el ámbito de la moderna sociedad occidental,
como evidencia el éxito de la religiosidad de inspiración oriental. Pa r adójicamente, sin embargo, no obstante la tradición co n templativa te nga una larga historia en el ámbito cristiano, es precisamente en este
contexto donde en las últimas décadas ha sido devaluada, mientras en
gran parte del mundo no cristiano fue y permanece en alta co n s i d e r ación. El Autor, ento n ces, describe la contemplación a la luz de la tradición monástica y de la teología de la espiritualidad, en las cuales el horizonte cristo l ó g i co permanece como modelo y objeto primario de la
contemplación.
78
TESTATINA SX : TITOLO ARTICOLO
Francesco Santi*
DOLCEZZE DEL PARADISO.
VISIONI DELLA MENTE 1
«Il potere delle immagini sopra la mente procede in poesia
secondo la progressione stessa della natura; - guadagnandosi prima
i sensi, poi il cuore, quindi colpiscono l’immaginazione; all’ultimo
stampansi nella memoria evocando l’opera della ragione».
Entro nel discorso di oggi scegliendo nel Foscolo lo duca mio, il quale introduce questa riflessione sul potere delle immagini n e llo studio
dedicato al parallelo tra Dante e il Petrarca. Mi pare che il Foscolo
possa darci un buon avvio, suggerendo due elementi che spesso trascuriamo: in primo luogo il te s to del Foscolo ci rammenta che è il
Paradiso la condizione della memoria di tutta la Commedia; Dante può
ricordare ogni sconvolgimento, dei sensi e del cuore, che la sua esperienza visionaria gli ha fin qui procurato, solo attraverso il luogo conclusivo del suo percorso poetico: dal Paradiso t u t to è giudicato e dal
Paradiso le immagini che av evano colpito sensi, cuore e immag i n a z i one, sono offerte poi a noi, rielaborate da l’opera della ragione. Per que_______________
* Francesco Santi, nato a Prato nel 1960, è docente di Storia della Letteratura latina medioevale all'Università degli Studi di Lecce. Studioso della storia del pensiero, della cultura e della mentalità del Medioevo, ha pubblicato
innumerevoli articoli e saggi relativi, fra l'altro, alla mistica femminile, all a
l e t teratura e spiritualità francescana, al pensiero di Gioacchino da Fi o r e ,
Tommaso d'Aquino, Raimondo Lullo e Arnaldo da Villanova. [N.d.R.]
1 Il testo che qui si pubblica è stato letto il 28 ottobre 2004, nell’ambito dell’iniziativa “Dante in Battistero”, promossa dall’Opera di Santa Maria del Fiore di Firenze, e curata dalla prof. Anna Maria Chiavacci. Si ringraziano gli
organizzatori per averne consentito qui la pubblicazione (con un corredo di
note ridotto all’essenziale), prima della stampa degli Atti.
79
FRANCESCO SANTI
sto il Paradiso è il luogo ermeneutico per ecce llenza di tutto il viaggio
di Dante. Tu t t avia - ed è questo il secondo punto che il Foscolo insinua - giungendo alla completezza l’opera della ragione si volge sì a un
vertice dove memoria non può ire, ma quanto al passato dell’esperienza
visionaria, ciò non implica che le immagini filtrate dal cuore e dal senso siano cancellate, restando invece ben vicine e vive e distinte, avvolte e trasfigurate dall’opera della ragione, ma facendo come carbon che
fiamma rende, e che per vivo candor quella soverchia, sì che nel fuoco dell’intelletto le immagini restano visibili.
1. Più che mai, il Paradiso ci impone Dante teologo, di una teologia
che per niente rinuncia alla poesia e che nella poesia pienamente si
esprime. Così, il suo gusto teoretico e la sua capacità di esprimere in
co n cetti i co n tenuti della visione ci catturano nella terza cantica,
suscitando emozioni in forma nuova. Dai concetti poi egli ogni volta ci
restituisce alle immagini, perché torniamo ai colori con maggior stupore, misurando anche questo percorso nel paesaggio del nostro spirito e la sua bellezza. Ai concetti, dunque.
2. Ordine, unione, finalità: anche questo Dante ci riferisce di aver
visto in cielo. Vi ha visto l’ordine del mondo creato, l’unione della natura divina e della natura umana nella persona del Verbo, il ritorno in Dio
d e ll’uomo intero, anima e corpo. Ordine, unione e ritorno, che hanno
nel Padre la loro origine materiale, in Gesù la causa diretta, nello Spirito la regola somma, nella gloria della Trinità il loro fine. I riferimenti
a queste tre visioni dell’ordine delle creature; dell’unione in Cristo e
d e lla deificazione dell’uomo, pullulano in tanti luoghi del Paradiso, ma
di esse il profilo è specialmente compiuto in alcuni discorsi teologici:
il discorso sulla creazione, lo troviamo subito nel primo canto e poi nel
ventinovesimo; il discorso sulla incarnazione del Verbo domina il settimo canto; il discorso sulla resurrezione della carne, introdotto nella
conclusione dello stesso settimo canto, è svolto pienamente nel quattordicesimo, sulla bocca di Salomone.
80
DOLCEZZE DEL PARADISO. VISIONI DELLA MENTE
La dottrina della creazione
3. Per descrivere l’universo (il gran mar dell’essere), Dante rileva in
esso la composta presenza di due condizioni, quella dell ’unità e
quella del movimento. Il cosmo è uno, da questa unità di causa, di
fine e di sostanza, deriva il suo ordine che coinvolge tutte le cose e
il suo ordine manifesta l’unità:
Le cose tutte quante
hanno ordine tra loro e questa è forma
che l’universo a Dio fa simigliante. (I, 103-105)
A sua volta questa unità non è statica ma inclinata, e tutte le natu re si muovono a diversi porti.
Ne l’ordine ch’io dico sono accline
tutte nature, per diverse sorti
più al principio loro e men vicine;
onde si muovono a diversi porti
per lo gran mar de l’essere, e ciascuna
con istinto a lei dato che la porti. (I, 109-114)
Tra le creature volute da Dio vi è anche il movimento, che si
manifesta grazie al tempo, sua misura, il quale pure è creatura, tant’è che prima del creato non v’era un prima né un poscia. Il tempo
stesso è creatura e per questo non ha senso domandarsi cosa avvenisse prima della creazione e che cosa Dio facesse, così come Dante osserva nel canto XXIX:
in sua etternità di tempo fore,
fuor d'ogne altro comprender, come i piacque,
s'aperse in nuovi amor l'etterno amore.
81
FRANCESCO SANTI
Né prima quasi torpente si giacque;
ché né prima né poscia procedette
lo discorrer di Dio sovra quest' acque. (XXIX, 16-21)
In Dio unità e movimento convergono; la manifestazione dell’ordine creato non è disturbata dal succedersi dei tempi, anzi si
trova esaltata da questa ulteriore possibilità delle dimensioni create, dall’armonia di tempo e di spazio.
4. La poesia teologica di Dante non si esaurisce nella sublime
narrazione di un equilibrio dinamico e solenne. Secondo il suo stile, essa supera se stessa precipitandosi in una zona part i colare dell’argomento, puntualizzandone un as p e t to, sovraeccitandolo,
mostrando infine come quel che potrebbe apparire un co r o llario sia
essenziale alla vera comprensione. Da parte nostra per comprendere bene la cosmologia dantesca, dobbiamo pure appuntarci sull ’ i nsorgenza di questo elemento marginale, sorprendente e polemico.
Nel caso specifico della dottrina della creazione, dopo aver presentato la sua concezione, Dante rende esplicito e non nas conde il suo
dissenso rispetto a un as p e t to della dottrina patristica: seco n d o
Gerolamo infatti gli angeli sarebbero stati creati prima del mondo
materiale. Dante deve negare questo primato nel tempo degli angeli, perché esso corrisponderebbe in qualche modo a un primato della dignità delle creature invisibili su quelle visibili, dello spirito sulla materia. Per Dante, l’ordine del mondo che si co n templa nella
visione dell’insieme delle creature, corrisponde alla perfezione di in
ogni sua parte senza costituire una gerarchia ontologica, ma piuttosto un insieme organico e vivente di elementi di pari dignità.
5. L’altra puntualizzazione che Dante propone a proposito dell’ordine del creato, come forma che l’universo a Dio fa simigliante,
riguarda la possibilità in esso della libertà dell’uomo:
82
DOLCEZZE DEL PARADISO. VISIONI DELLA MENTE
Lo maggior don che Dio per sua larghezza
fesse creando e a la sua bontate
più conformato e quel ch’e’ più apprezza,
fu de la volontà la libertate (Par. V, 19).
Il porre Dio come creatore e il vederlo rappresentato nell’ordine del creato, non solo non implica una gerarchia ontologica, superiorità umiliante dello spirito sulla materia, neanche nega la libertà della creatura razionale. La creatura può anzi dirigersi in modo
contrario alla sua natura, anche se la natura ha consistenza ultima
nell’amore di Dio. Essa può rifiutare se stessa ovvero può negare il
s i g n i f i c a to metas torico della sua condizione naturale. Per Dante
dentro la creatura è Dio, perché nella sua autonomia la natura è ars
Dei; nello stesso tempo, dentro Dio è la natura, perché essa ha in
lui un senso e un compimento appropriato e ulteriore a lei stessa.
Entrambe queste dimensioni della natura (di co n tenere Dio e di
essere in Dio), possono tuttavia essere negate dalle creature razionali, perché Dio ama il creato e l’amante non può dare leggi e
costrizione al suo amato (quis det legem amantibus?), anche se sa, per
amore, che solo in lui esso troverà la sua pace assoluta. E anche
considerando le possibilità del libero arbitrio, il movimento delle
creature non riesce tuttavia a negare l’armonia ordinata del tutto2.
6. Unità e mov i m e n to rimandano all’uno e al molte p l i ce. E’
chiaro quindi che per il filosofo queste due condizioni potrebbero
risultare incomponibili. Dante riferisce la situazione cosmologica
con gli strumenti del teologo, mostrando come la ragione naturale - se vuole riconoscere senso e bellezza nella natura - non può che
constatare in essa la presenza di unità e di pluralità; soltanto sostenuta dalla fede può pensare la loro compatibilità: la fede insegna
_______________
2 Si
veda in particolare Par. I, 76-126.
83
FRANCESCO SANTI
che nell’amore divino hanno origine e fine e vita, l’unità e il movimento del cosmo: Dio, che è prima del creato (e quindi del tempo), ha voluto che il suo splendore riflesso nelle creature, lo glorificasse, in virtù del semplice fatto di sussistere autonomamente: ma
nella coscienza dell’uomo lo splendore di Dio è solo l’esito del suo
amore; Dio crea solo per amore, non traendo dalla creazione per sé
alcun di ben acquisto se non l’amore: la gloria di Dio è l’aprirsi in nuo vi amori de l’etterno amore. Qui è il senso, il fine della creazione3.
7. Il discorso sul cosmo è dunque discorso sull’unità dinamica di
spirito e di materia, di volontà e di intelletto e anche di tempo ed
eternità. Non a caso questo discorso è posto all’inizio della storia
del Paradiso; introducendo alla comprensione del significato pieno
dell’armonia dei cieli, esso corrisponde al discorso di Piccarda sui
gradi della beatitudine: la beatitudine ha gradi, ma ogni grado è in
sé perfetto e dà assoluta soddisfazione a chi lo vive. Anche il
cosmo che l’uomo conosce nella storia per mezzo della sua natura
ha gradi e ordine, ma ogni grado è perfetto e il loro ordine è armonia, in quanto perfettamente amato in Dio e perfettamente vivente perché pervaso dallo spirito di Dio. L’ordine del creato visibile
corrisponde all’ordine dei cieli abitati dai beati, in cui trasfigurati
esisteranno ancora unità e molteplicità, eternità e tempo.
La dottrina dell’incarnazione
8. Il discorso sulla incarnazione si incontra compatto nel canto
VII. Dante vi illustra due temi principali: il primo serve a spiegare come giuste poterono essere sia la vendetta di Dio su Gesù, sia
quella che - attraverso Tito - Dio stesso volle compiuta su coloro
che erano stati responsabili della sua uccisione. Il secondo te m a
_______________
3 Si
veda in particolare Par. XIX, 10-36.
84
DOLCEZZE DEL PARADISO. VISIONI DELLA MENTE
mostra la perfetta co n g ruità della scelta divina a proposito della
forma adottata nella redenzione dell’uomo, attraverso l’incarn azione e la passione di Cristo. Dante dà importanza al primo tema
perché attraverso esso può ribadire la realtà delle due nature di
Gesù, nell’unità della sua persona: l’essere veramente uomo da parte del Cristo, rende giustissima la vendetta di Dio su di lui; il suo
essere veramente il Dio misericordioso, nella persona di Gesù,
meriterà ai suoi persecutori la punizione che Dio vorrà infliggere
loro, per mano romana4.
9. Ugualmente, l’unità delle due nature nella persona di Cristo è
illustrata da Dante quando spiega le ragioni per le quali la forma
scelta da Dio per ottenere la redenzione dell’uomo caduto sia da
considerarsi la migliore. Perché, infatti, Dio non volle salvare l’uomo, risparmiando a Cristo la sofferenza assoluta?
Questo decreto, frate, sta sepulto
a li occhi di ciascuno il cui ingegno
ne la fiamma d'amor non è adulto.
Dio non lo volle, perché la sua opera sarebbe stata meno perfetta nell’amore. L’incarnazione e la passione del Figlio infatti furono
necessarie per liberare l’uomo dal peccato co m p i u to in Adamo,
manifestando il più grande amore. Ancora una volta, Dante lo
mostra portando a nudo la catena degli eventi e il loro significato.
L’uomo di per sé non avrebbe potuto esprimere un pentimento
adeguato, non avrebbe potuto umiliarsi in una misura tanto grande e adeguata alla misura della superbia, manifestata da Adamo,
p r o g e n i tore del genere umano, che av eva desiderato spodestare
Dio proiettandosi su un cammino di falsità infinita. Alla creatura
_______________
4 Si
veda in particolare Par. VII, 34-51.
85
FRANCESCO SANTI
finita non era dunque possibile discolparsi, accettando di assumere su se stessa un inverso e infinito cammino di penitenza: l’uomo
è creatura, fissa nei termini suoi; il maggior dono della libertà - ricevuto direttamente da Dio - fa sì che egli possa vivere in un’infinita
e stolta superbia (volendosi da creatura creatore), ma mai infinita
potrà essere l’umiltà, non essendo umiltà per la creatura l’aderire
alla sua condizione ontologica, il sentirsi e dichiararsi e vivere da
pura e semplice creatura, a cui dunque tutto è dato.
10. Dio salva l’uomo per amore e chi ama non umilia l’amato; le
creature per Dante sono l’aprirsi de l'etterno amore divino in nuovi
amor e la regola che l’amore trova in se stesso non può in alcun
modo essere violata. Per questo Dio non volle (poter) salvare l’uomo senza coinvolgere l’uomo stesso nell’opera della redenzione,
senza che l’uomo assumesse su di sé, in Gesù, la sofferenza redentrice, senza dare all’opera della redenzione oltre il connotato della
misericordia infinita anche quello della giustizia infinita. La salvezza fu affidata al Dio-uomo Gesù: egli veramente uomo e veram e n te Dio, morendo nella passione si sottoponeva all’orrenda
discesa con cui l’uomo espiava la sua superbia: solo l’umile annichilarsi dell’uomo che era anche Dio, poteva vantare la stessa infinita dimensione dell’infinita dimensione che Adamo av eva percorso nella sua prevaricazione. In ciò dunque si realizzava un doppio discorso: Dio era misericordioso verso la creatura (che nella
r e d e nzione riceveva un puro dono) e Dio era giusto amante (applicando il decreto d’amore) verso l’ordine in cui la creatura viveva:
all’umana natura infatti era affidata in Cr i s to l’assoluzione del
debito da lei stessa contratto; giustizia e misericordia si manifestavano come due forme dell’amore divino5.
_______________
5 Si
veda in particolare Par. VII, 52-120.
86
DOLCEZZE DEL PARADISO. VISIONI DELLA MENTE
11. Anche nel discorso sulla incarnazione noi possiamo rinvenire fonti tradizionali e va qui soprattutto rico r d a to il pensiero d’
Anselmo. Per farlo in sintesi userò una figura, incompleta ma non
fuorviante: per Anselmo l’uomo av eva defr a u d a to Dio: il cattivo
uso di ciò che gli era stato affidato dal creatore rendeva la creatura tale e quale a un amministratore infedele: tutto quello che l’uomo possedeva lo aveva ricevuto e tutto ciò, per la stessa natura di
creatura infedele, era divenuto refurtiva. Ebbene, nella restituzione
della refurtiva - pur in sincera penitenza - non può esaurirsi l’espiazione del furto. L’espiazione chiede un di più che l’uomo rispetto
a Dio non ha, avendo tutto da lui ricev u to e tutto pregiudicato.
Quel di più lo ebbe invece il Dio-uomo, lui che senza cessare d’essere Dio potè pagare da uomo, per conto dell’uomo, essendosi fatto veramente uomo, e facendo così l’uomo sufficiente a rilevarsi.
12. Il discorso di Anselmo verte dunque soprattutto sull’insufficienza della creatura e sulla totalità divina nella quale è posto
anche l’uomo. Il discorso di Dante ha dietro di sé questo di Anselmo, ma enfatizza anche qualche elemento diverso: la libertà di
Adamo, pur nella trasgressione, si manifestò come infinita: questa
dimensione infinita della libertà l’av eva voluta Dio per l’uomo:
nello spazio di questa libertà dell’uomo si realizza tutta la sto r i a
della creazione, che Dio fa sua nella redenzione. Ancora una volta
unità e movimento, ossia unità e pluralità, sono custodite da Dio
e la ragione elaborando i suoi concetti, sente di appagarsi nella trasformazione mistica che li combina. Quest’ordine tra ete rnità e
tempo, tra spirito e materia si manifesta ancora di più nel fatto che
per mostrare il suo amore perfetto, per fare le cose a perfezione,
Dio volle aver bisogno del corpo e della persona intera di un uomo,
di un sé corporeo, su cui giustamente fare vendetta. Nella redenzione agisce l’infinita misericordia, ma anche agisce la nece s s i t à
per Dio di impiegare la finita condizione umana in Cr i s to, per
esprimere la verità della fede. Nella persona di Gesù, l’unità tra
87
FRANCESCO SANTI
finito e infinito è una necessità per Dio, ma questa necessità in lui
acquista un chiaro nome, chiamandosi amore, e si realizza in un
corpo: caro cardo salutis.
Il discorso sulla resurrezione
13. La posizione centrale del corpo di Cr i s to, che compie la
missione dell’umiltà infinità e della giustizia insieme alla misericordia, ha una corrispondenza nel ruolo centrale attribuito al
corpo di ciascun uomo nell’identificarne la persona. Ciò è chiar a m e n te ill u s t r a to nella dottrina della resurrezione dei corpi, di
seguito a quella dell’incarnazione nel canto VII e poi più ampiam e n te nel canto XIV. Nel modo in cui Dante illustra la resurrezione, nella seconda parte del canto VII è da rilevare il fatto che
l’immortalità del corpo non è condizione di privilegio e prete rnaturale: la natura stessa del corpo, per la sua coessenzialità co n
l’anima, richiede la perennità dell ’ e s i s tenza. In questa dottrina,
che innova quella tradizionale, molto importanti sono le precedenti conclusioni di Tommaso a proposito dell’unità del co m p os i to umano: ogni co m p o n e n te dell’uomo non esiste di per sé, ma
e s i s te nell’unità che realizza nella persona stessa. Per Tommaso
non ha senso dunque parlare di anima e di corpo come fossero
due realtà distinte nel loro essere e nella Summa Theologiae egli
giunge a dire che "magis anima continet corpus ... quam e co nverso"6: in qualche modo è il corpo ad essere prigioniero d e ll ’ a n ima, piutto s to che il contrario, come si rite n eva nella tradizione
p l a tonica. Tuttavia, il modo in cui Dante rivendica la parte c i p azione del corpo nella costituzione della persona ha aspetti innovativi, in cui queste conclusioni sono port a te alle loro conseguenze radicali.
_______________
6
Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I q. 76 a. 3.
88
DOLCEZZE DEL PARADISO. VISIONI DELLA MENTE
14. Nel canto XIV, Dante spiega così che dopo la resurrezione dei corpi il cielo sarà più ardente e più luminoso, domandandosi come potrà avvenire che in mezzo a tanta luce dei cieli, in mezzo alla sorprendente luce che proviene dalla stessa anima beata, il
corpo di ciascuno possa restare visibile. La sua spiegazione è racchiusa nella metafora del carbon di vivo candor: la luce che proviene dal corpo sarà addirittura più intensa di quella dello splendore
che lo circonda, così come più splendida è la luce del carbone
incandescente avvolto dalla luce del suo fuoco, e per questo ancora più visibile del suo splendore, esaltato dal fatto di essere circoscritto in una realtà concreta.
Ma sì come carbon che fiamma rende,
e per vivo candor quella soverchia,
sì che la sua parvenza si difende;
così questo folgór che già ne cerchia
fia vinto in apparenza da la carne
che tutto dì la terra ricoperchia.
15. Dopo la resurrezione lo splendore dei cieli sarà grandissimo.
C i ascuna anima sarà infatti più splendente quando avrà ricevuto il
corpo che ancora - Dante lo ricorda spesso con infinita pietà - la te rra ricopre. Ma qual’è la ragione per la quale lo splendore del corpo
r i s o rto sarà addirittura capace di superare quello dell’anima che lo
a c coglie? Per Dante la filosofia aristo telica che aiuta To m m aso ad
i llustrare come nella persona si realizzi un’unità assoluta d’anima e
corpo, è la migliore filosofia disponibile; tuttavia egli mostra co m e
essa non riesca ad esprimere pienamente il concetto teologico dell a
resurrezione. La luminosità dei beati crescerà dopo aver ricev u to il
corpo perché Dio amerà di più la sua creatura; finalmente viva nel
suo corpo essa sarà perfetta tutta quanta e a lui più somigliante: per
89
FRANCESCO SANTI
questa maggiore somiglianza, Dio vorrà e potrà più donarsi a lei. Per
questa ragione la luce nei cieli dopo la resurrezione aumenterà, e non
solo il corpo glorioso sarà uno dei premi dell’anima, ma anche l’anima sarà a sua volta premio del corpo, perché gioendo a causa del co rpo dell’uomo, Dio produrrà per il corpo un’anima più gloriosa.
16. In cielo – si badi bene – la causa della maggior gioia (il co r p o
riavuto) non potrà essere celata dal suo effetto (lo splendore che
deriva dal maggior amore), perché privare il corpo di visibilità significherebbe cancellarlo e cance ll a rne la beatifica azione. Il corpo sarà
visibile, perché la visibilità è sua caratteristica essenziale, e non solo
sarà visibile a Dio, ma a tutti gli altri beati e soprattutto alle mamme
e ai padri e a li altri che furon ca r i; tutti loro potranno vedere sia perché i loro sensi saranno accresciuti in potenza, sia perché l’amore di
Dio per il corpo corrisponde e somiglia all’amore umano. E sebbene
il mio compito divenga ora davvero ingrato devo ricordare che anche
in questo discorso Dante intreccia concetto ed esperienza d’amore.
Dante si domanda come e perché i beati potranno vedere il corpo
dei risorti e risponde con una ragione almeno doppia: i beati potran no vedere il corpo luminosissimo degli altri risorti, perché i loro sensi saranno più potenti (ed è questa la ragione materiale ed efficiente) ma anche potranno vedere perché questo è richiesto e conforme
a lla realtà dell’amore umano per la somiglianza con l’amore divino.
Questa somiglianza tra l’amore divino per il corpo di ogni uomo e
l’amore delle mamme e dei padri e di tutti gli amanti e amici, che
ancora ci commuove, commuove Dante non solo per l’evocazione
immediata dei sentimenti che l’immagine associa, ma anche perché egli vi vede la regola del creato, vede la somiglianza formale dei
due amori, divino e umano, in rapporto al compimento, nell’insieme articolato delle cause che muovono l’universo7.
_______________
7 Si
veda in particolare Par. XIV, 34-66.
90
DOLCEZZE DEL PARADISO. VISIONI DELLA MENTE
L’unione di concetti e di emozioni.
17. Nell’illustrazione che ho offerto tre cose compaiono. In primo
luogo Dante utilizza pienamente la tradizione teologica che in Anselmo e in To m m aso ha le maggiori evidenze. In secondo luogo, parlando della creazione, dell’incarnazione e della resurrezione, Dante segue
quella linea teologica accentuando fortemente il tema della dignità
della finitezza, affermando la pari dignità del cosmo materiale; la
necessità del corpo umano di Cristo; la maggior gloria del corpo risorto. In terzo luogo l’uso rigoroso dei concetti della teologia scolastica
nel Paradiso è evidente, ma anche è evidente una loro trasformazione:
il concetto è elaborato dalla ragione filosofica e in essa ha una sua co nsistenza, ma esso è aperto, appellandosi per necessità all’intellezione
teologica, al pensiero dell’amore divino. In questo modo il concetto è
perfetto nella sua regola, ma non è un fine in sé, essendo volto dalla sua
stessa natura a provocare un’emozione. Così noi verifichiamo in Dante anche una poesia del ragionamento apodittico; il suo discorso teologico nasce apodittico - cioè cogente nel suo meccanismo - per compiersi in un luogo in cui il meccanismo argomentativo non è negato ma
transvalutato in poesia; egli ci offre il ragionamento stringente che
giunge a compiersi generando emozione; la perfezione dell’orditura
logica sarebbe vuota se non si risolvesse in emozione, ma non si potrebbe risolvere in emozione se il suo disegno non fosse così perfetto8.
18. E’ un dato di fatto che Dante non prova solo l’ebbrezza dell e
i m m agini; egli prova anche l’ebbrezza dei concetti. In lui, anche nel
gioco di concetto ed emozione si compie il gioco tra finito e infinito:
_______________
8
Il concetto è imperiale - direbbe il lettore della Monarchia - ma non stric te, non in modo angusto, bensì augusto, anzi agosto, come Giustiniano. E la sua
natura augusta non lo priva di autonomia (ché questa è sua condizione essenziale), ma da essa lo splendore si slancia, come la luce beata dal corpo glorioso, come il vivo candor dal carbone ardente.
91
FRANCESCO SANTI
il concetto è infinitamente preciso, ma anche finito nella sua debolezza rispetto alla forza dell’emozione, che pure procede dal corpo e si
sente così passeggera e insufficiente. Chiediamo noi ora alla rag i o n e
concettuale se si possa rappresentare un concetto con un’immagine:
essa ci dirà di no, che non è possibile, perché l’esattezza è la co n d izione della realtà nel concetto. Chiediamo alla nostra affettività se
tutta un’emozione possa stare in un concetto ed essa ci dirà di no,
perché maior lex amor est sibi, perché l’amore col suo proprio decreto
supera ogni decreto, anche quello di ragione. Tu t t avia Dante non
parla mai se non come intelletto adulto nella fiamma d’a m o r e; la sua
logica dell’ emozione e l’emozione che prova per la logica corrispondono ad una sponsalità non diversa da quella stabilita tra creature
spirituali e creature materiali, tra anima e corpo, tra uomo e Dio.
19. La Commediaesibisce l’emozione vivente nel concetto; il concetto vivente nell’emozione. Non solo dunque la ragione si mostra
capace di assumere e ricondurre a sé ciò che era apparso del tutto
diverso (secondo l’esigenza del razionalismo moderno, che comprese
Dio nell’uomo). Dante vede anche come ciò che è totalmente altro,
assuma la ragione, come ciò che appare irreale assuma e riconduca a
sé il reale, senza mortificarlo in sragione, senza abolire l’amata distinzione. Ciò avviene perché egli comprende che riconoscere Dio nel l’uomo, implicava per forza il riconoscimento dell’essere dell’uomo in
Dio. Concetto ed emozione sono dunque reciprocamente ospitali,
nel Dante scienziato e poeta, cioè nel Dante teologo. E pure - se più
ci piace - invece che emozione, potremmo dire intuizione, perché
altro non è l’emozione se non lo sguardo assoluto dell’uomo, lo sguardo che ha riferimento e giustificazione solo nella profondità della
persona e che si volge alla Persona: lo sguardo dell’uomo da tutto
assolto.
Francesco Santi
Università di Le c c e
[email protected]
92
ABSTRACTS
Abstracts
Il Paradiso è il luogo ermeneutico per ecce llenza di tutto il viaggio di
Dante: dal Paradiso tutto è giudicato e dal Paradiso le immagini che av evano colpito sensi, cuore e immaginazione, sono poi offerte a noi, rielaborate da l’opera della ragione. Il Paradiso ci mostra dunque con la mas s ima intensità il Dante teologo, capace di una teologia che tuttavia non
rinuncia alla poesia e che nella poesia pienamente si esprime. Il poeta ci
d i cedi aver visto in cielo l’ordine del mondo creato, l’unione della natura divina e della natura umana nella persona del Verbo, il rito rno in Dio
d e ll’uomo intero, anima e corpo. Ordine, unione e rito rno, che hanno
nel Padre la loro origine materiale, in Gesù la causa diretta, nello Spirito la regola somma, nella gloria della Trinità il loro fine. Corrisponde all a
sponsalità stabilita tra creature spirituali e creature materiali, tra anima
e corpo, tra uomo e Dio il gioco inesausto, così tipico della scrittura
dantesca, fra co n cetto ed emozione: Dante infatti non parla mai se non
come intelletto adulto nella fiamma d’amore. La sua logica delle emozione
e l’emozione che prova per la logica ci dice in altre parole come il conce t to sia sì infinitamente preciso, ma anche finito nella sua debolezza
rispetto alla forza dell’emozione, pure inadeguata rispetto all’esattezza
richiesta dal concetto. E tuttavia in un co n cetto non potrà stare tutta
un’emozione perché maior lex amor est sibi, perché l’amore col suo proprio decreto supera ogni decreto, anche quello di ragione.
* * *
Le Paradis est le lieu herméneutique par excellence de tout le voyage de Dante : tout est jugé à partir du Paradis; à partir du Paradis aussi, l’œuvre de la raison élabore et offre les images qui avaient frappé les
sens, le cœur et l’imagination. Le Paradis, donc, nous offre le sommet
du théologien qu’est Dante, celui qui est capable d’une théologie qui
ne renonce pas à la poésie et qui s’exprime pleinement dans celle-ci.
Le poète nous dit avoir vu le ciel, l’ordre du monde créé, l’union de la
93
ABSTRACTS
nature divine avec la nature humaine dans la personne du Verbe, le
retour au Verbe de l’homme tout entier, âme et corps. Ordre, union,
retour qui ont dans le Père leur origine matérielle, en Jésus leur cause
d i r e c te, dans l’Esprit Saint leur plus haute règle, dans la gloire de la
Trinité leur but. Le jeu intarissable entre concept et émotion, si caractéristique de l’écriture de Dante, correspond avec les épousailles établies entre créatures spirituelles et créatures matérielles, entre âme et
corps, entre l’homme et Dieu. En effet, Dante ne parle que comme
intellect adulte dans la flamme de l’amour. Sa logique des émotions et
l’émotion qu’il éprouve pour la logique nous disent combien le
co n cept, tout infiniment précis qu’il puisse être, est aussi limité et
faible par rapport à la force de l’émotion, même si ce lle-ci n’a pas
l’exactitude de celui-là. Une émotion ne pourra jamais être contenue
par un co n cept, parce que maior lex amor est sibi, parce que l’amour, av e c
son propre d é c r e t, va au delà de tout décret, même celui de la raison.
* * *
The Paradiso is the hermeneutical place par excellence for the whole
voyage of Dante. From the Paradiso everything is judged and from the
Paradiso as well ‘the work of reason’ elaborates and offers the images
which have touched the senses, the heart and the imagination. The
Paradiso shows us, then, with the greatest intensity Dante the theologian, capable of a theology which, moreover, does not renounce poetry, and which is fully expressed in poetry. The poet tells us of having
seen in heaven the order of the created world, the union of divine
nature and human nature in the person of the Word, the return to
God of the whole person, soul and body. Order, union, and return
which have in the Father their original matte r, in Jesus the direct
cause, in the Spirit the highest rule, in the glory of the Trinity their
end. The inexhaustible play between concept and emotion, so typical
of Dante’s writing corresponds to the espousals established between
spiritual and material creatures, between soul and body, between
94
ABSTRACTS
humanity and God. Dante, in fact, never speaks except as ‘an adult
intellect in the flame of love.’ His logic of the emotions and the emotion which is tested by logic tells us in other words that the concept
as infinitely precise as it can be, is also limited in its weakness regarding the force of the emotion, even if the latter lacks the exactitude of
the former. Moreover an emotion can never be contained by a concept because maior lex amor est sibi, because love with its own decreto
surpasses every decree, even that of reason.
* * *
El Paraíso es el lugar hermenéutico por excelencia de todo el viaje de
Dante: desde el Paraíso todo se juzga y desde el Paraíso las imágenes que
habían golpeado sentidos, corazón e imaginación, fueron después ofr ec i d as a nosotros, reelaboradas por la obra de la razón. El Paraíso no muestra entonces con la máxima intensidad el Dante teólogo, capaz desde luego de una teología que no renuncia a la poesía y que en la poesía se exprime en plenitud. El poeta nos dice de haber visto en el cielo el orden del
mundo creado, la unión de la naturaleza divina y de la naturaleza humana en la persona del Verbo, el retorno a Dios del hombre entero, alma y
cuerpo. El Orden, unión y regreso, que tienen en el Padre su origen material, en Jesús la causa directa, en el Espíritu su regla máxima, en la gloria
de la Trinidad su fin. Corresponde al matrimonio establecido entre criat u r as espirituales y criaturas materiales, entre alma y cuerpo, entre hombre y Dios el juego inacabable, así típico en la escritura dantesca, entre
concepto y emoción: Dante de hecho, no habla nunca sino como intelecto adulto en la llama del amor. Su lógica de las emociones y la emoción
que encuentra por la lógica nos dice en otras palabras como el concepto
sea sí infinitamente preciso, pero también finito en su debilidad respecto a la fuerza de la emoción, también inadecuada respecto a la exactitud
solicitada por el concepto. Con todo, en un concepto no podrá estar toda
una emoción porque maior lex amor est sibi, porque el amor con su propio decreto supera todo decreto, aún aquellos de la razón.
95
TESTATINA SX : NOME AUTORE
Luisa Tavanti Chiarenti
TIPOLOGIE ARCHITETTONICHE
DEGLI ORDINI MONASTICI
Q u a n to è stato illustrato in generale sulla connessione tra
monachesimo ed arte, può avere immediato seguito considerando
prima di tutto che l’arte monastica ha inizio dalla elementare
necessità da parte di questo singolare fenomeno di scelta di vita, di
creare un luogo dove poter divenire preghiera vivente offerta a
lode ed a gloria di Dio fino alla morte.
Quindi, dai primordi vissuti all ’ i n terno di grotte o ripari naturali in luoghi romiti e deserti ove vivere un severo eremitaggio di
penitenza e di preghiera, la scelta di aggregazione cenobitica sotto
la guida di un padre, detto Ab a te, richiese subito un progetto edilizio per organizzare la vita specifica dei monas teri in accordo con
le esigenze della vita presce l t a .
Inizialmente i monasteri occidentali av evano un impianto molto simile a quello dei cenobi orientali, con gli edifici dei monaci distribuiti lungo un perimetro più o meno regolare, al centro del quale stava la Chiesa per le preghiere comuni detto “katholikòn” in greco (fig. p.356 in alto). Tu t t avia, sin dai primi tempi in Occidente si
aggiunge al complesso un co rtile quadrato circondato da portici,
derivante dal modello del “peristylium” romano che diventerà poi il
chiostro.
In un tempo relativamente breve, si svilupperà nei monas te r i
benedettini uno schema archite t to n i co part i colare basato su un
chiostro centrale che fungeva da luogo di meditazione riposo e
disimpegno dei percorsi interni del complesso monas teriale, ed al
quale si addossavano, in posizioni prefissate, i vari corpi di fabbrica
che ospitavano le varie funzioni : la Chiesa a nord, la sala capitolare
96
TIPOLOGIE ARCHITETTONICHE DEGLI ORDINI MONASTICI
ad est, il refettorio e l’infermeria a sud, la foresteria ad ovest (fig.
p.356 in bas s o ).
Questo schema, adottato dalle grandi Abbazie carolinge e cluniacensi, durò per secoli, improntando di sé tutta l’archite t t u r a
monastica occidentale (fig. p.357 e p. 358 in alto).
La definizione architettonica di “organismi monastici” per queste
costruzioni deve sicuramente le sue origini all’esistenza di una “regol a” costante e comune, e chi osservi le planimetrie dei monasteri troverà nelle loro indiscutibili somiglianze strutturali, la presenza di
legislazioni e motivi spirituali e materiali che li accomunano.
La “Regula Sancti Benedicti” offre subito una parziale ma indicativa spiegazione1. È facile infatti trovarvi il seme di un programma
costruttivo in cui si stabilisca lo svolgimento del lavoro di comunità, sia che vi si regolino le ore di preghiera, di svago o di riposo. È
noto che S. Benedetto amava tracciare egli stesso la pianta di alcuni monasteri, come per il convento di S. Stefano a Terracina, per
p o ter stabilire il luogo dell’oratorio, del refettorio, della Chiesa,
degli ospiti e via dicendo; le testimonianze che attestano l’esistenza di disposizioni costruttive part i colari per i monas teri sono
numerose2. Non stupisce allora che anche la composizione dei vari
complessi monastici presenti una certa uniformità planimetrica.
Quali fossero le primarie necessità abitative di queste comunità
è facile da comprendere: un luogo dove Abate e monaci potessero
riunirsi, cioè una sala detta “Sala del Capitolo” spesso ricavata lungo
un braccio del chiostro e vicina alla sagrestia, vasta, e sovente quadrata o poligonale, comunicante col chiostro attraverso una port a
e larghe finestre dalle quali i religiosi conversi potevano seguire le
riunioni più importanti. Un doppio ordine di banchi circo n d ava il
seggio dell’Abate posto al centro verso il fondo della sala.
_______________
1 “Regula
2 M.
S. Benedicti” cap. XLVIII; cap. XLIII e cap. XLVII.
AUBERT, L’Architecture Cistercienne en France, Paris, 1947.
97
LUISA TAVANTI CHIARENTI
“Il Chiostro”, la cui origine romana è stata già accennata, fungeva da centro di raccordo tra gli ambienti principali della vita monastica quali la Chiesa, il Refettorio, il Ca p i tolo ed il Dormito r i o ;
quasi sempre quadrato o rettangolare, si appoggiava ad un lato della Chiesa ed era un elemento caratteristico di espressione dell’accordo spirituale e temporale del monastero.
“La Chiesa” era costruita nel punto più alto del terreno sce l to; il
refettorio e le estreme costruzioni dei monaci e dei conversi, nel
punto più basso; ciò determinava la posizione a nord della chiesa e
a sud del chiostro. Quindi non la Regola, né l’epoca, né la religione,
né il clima o la derivazione da case-madri, spiegano la posizione del
chiostro rispetto alla chiesa, ma solo l’obbligo di disporre i vari elementi secondo una determinata posizione in relazione alla chiesa
stessa e vi interveniva sicuramente la configurazione stessa dei luoghi e la necessità di disporre le canalizzazioni dell’acqua.
Anche la Sagrestia , molto grande, si affacciava sul chiostro e su
un braccio del transetto della chiesa con annessa la “camera del teso ro” dell’Abbazia.
Il “Refettorio” si allungava, fino alla metà del secolo XII, lungo il
lato del chiostro opposto alla chiesa e non vi era posto allora anche
per un ambiente dove i monaci copiassero i manoscritti; solo nel
XIII secolo, quando la Regola divenne meno austera, potendo i
monaci dedicarsi al lavoro intellettuale, si decise una sala di lavoro distinta, ed il refettorio fu disposto perpendicolarmente al lato
del chiostro. Era una sala allungata grande e chiara, illuminata da
alte finestre e talvolta divisa in senso longitudinale da una serie di
colonne disposte a sostegno della copertura con addossata alla
p a r e te la cattedra o il piccolo pulpito del lettore ed in fondo, la
tavola dell’Abate.
Il “D o r m i t o r i o” era situato sopra la sala del capitolo e sopra il
prolungamento del transetto col quale comunicava spesso tramite
una scala. La sua superficie era divisa da un largo corridoio centrale sul quale si af f a c c i avano le ce lle dei monaci la cui dimensione
98
TIPOLOGIE ARCHITETTONICHE DEGLI ORDINI MONASTICI
media era di 2m.x1,80, poiché l’iniziale antico dormitorio comune
fu presto sostituito da quello a celle distinte, ad eccezione dei
cistercensi che tornarono nell’XI sec. alla regola rigida del dormitorio unico. I frati avevano un dormitorio simile a quello dei Padri,
situato sullo stesso piano lungo il lato ovest del chiostro
“L’infermeria” solitamente collocata in luogo appartato e nel lato
sud più soleggiato, comportava un certo numero di camere per i
malati ed una cappella a parte.
“La Foresteria” costituiva un padiglione distaccato comprendente
le camere, i dormitori, il refettorio, la cucina, alcune sale di riunione
ed un giardino e tutti i locali necessari ad albergare gli ospiti laici.
A tutto l’insieme, si aggiungevano magazzini e dispense vicino
alle cucine e costruzioni molto estese per l’attività agricola.
In disparte, in luogo romito facente parte della proprietà, non
mancava naturalmente il piccolo cimitero dei monaci.
I primi monas teri sorsero in Oriente, nelle “La u r e” sparse nei
deserti d’Egitto o in Siria tra il IV e il V sec. d.C. ed erano solo
gruppi di grotte o capanne riunite attorno a quella dell’anacoreta
di maggiore risonanza. Ma forse il più antico, che meriterebbe un
ampio discorso a parte, è il monastero di Qumran nel deserto di
Giuda sulla riva nord-occidentale del Mar Morto, i cui resti sono
databili tra il II sec a. C ed il 135 d.C.
Il monastero orientale mostra un’architettura variegata ed irregolare, affatto metodica, e specie in Siria era costituito da una cappella attorniata da edifici di residenza che non rispondevano ad un
preciso piano costruttivo (fig. p.356 in alto).
Le teorie sulle origini del monastero occidentale sono molte: sia
che lo si voglia far derivare dall’ “atrium” delle basiliche cristiane;
sia dalla “villa rustica” romana descritta da Vitruvio come una grande corte con cucina disposta ai lati; sia dalla ricca “domus romana”
per la somiglianza dell’ “atrium” con il chiostro, del “tablinium” con
la sala capitolare e dei dormitori con i “ cubicola”padronali.
Dobbiamo però arrivare fino al periodo medievale per trovare
99
LUISA TAVANTI CHIARENTI
nei monasteri espressioni co m p i u te che sono giunte pressoché
intatte sino ai nostri giorni.
Uno sviluppo ulteriore dell ’ a r c h i tettura monastica si ebbe
attraverso la diversificazione dei vari ordini monastici : la razionalità cistercense, la grandiosità certosina, le innovazioni degli ordini mendicanti, la maestosità della Controriforma.
I Cistercensi adattarono per le loro costruzioni lo schema bened e t t i n o - c l u n i a cense a cui diedero un’ impronta spiccatamente
razionale e severa, tipica della loro co n cezione di vita. I vari
ambienti, tutti regolarmente modulati sulla base delle campate
q u a d r a te imposte dalla copertura a crociera, assunsero ognuno
una ben definita connotazione che ne rendeva evidente subito la
funzione. I corpi di fabbrica erano tutti rigidamente rettangolari,
con contrafforti in corrispondenza degli angoli delle crociere, ma
la cucina venne staccata dal resto del complesso per prevenire
pericoli d’incendio (fig. p.359 in alto).
La sala capitolare assunse una grande importanza e la Chiesa
aveva absidi e transetti sempre a terminazione rigorosamente
piatta.
Il campanile poi venne abolito e sostituito da una torre impostata sul tiburio, così che lo stesso celebrante potesse manovrare le
corde delle campane (fig. p. 358 in basso).
I Certosini diedero vita ad un tipo di monas tero molto part i co l are, sempre di grandi dimensioni, basato su due chiostri: uno minore,
into rno al quale si distribuivano tutti i locali comuni che erano pochi
e di dimensioni ridotte, poiché i monaci erano soggetti ad una rigorosa clausura che limitava persino le funzioni religiose comunitarie;
ed un chiostro maggiore, into rno al quale erano disposte le singole
casette con orto, ognuna abitata da un religioso (fig. p. 358 in alto).
I nuovi ordini nati nel Duecento come ordini mendicanti, modificarono profondamente il co n cetto di vita monastica. Il loro scopo era di portare la Parola di Dio alla massa della popolazione.
C o s t ruirono perciò nelle città i loro insediamenti, che chiamarono
100
TIPOLOGIE ARCHITETTONICHE DEGLI ORDINI MONASTICI
“c o n v e n t i” cioè luoghi di riunione e non più monas teri che erano
luoghi di isolamento, sacrificando la regolarità dell ’ i m p i a n to alle
esigenze dei fr astagliati lotti cittadini e modificarono moltissimo la
Chiesa in funzione della loro attività principale: la predicazione.
La Chiesa assunse allora una forma cosiddetta a “croce commissa”,
cioè a “T”, con numerose cappelle sul fondo, per consentire a tutti i “fratres” di celebrare la S. Messa giornaliera. La Chiesa doveva
essere vasta, e il più possibile senza pilastri o altri ostacoli che
impedissero ai fedeli di vedere e sentire comodamente il predicatore: perciò fu prediletta la pianta a navata unica o con radi pilastri individuanti campate di grande dimensione. La co s t ruzione
era comunque semplicissima e rinunciava spesso alle volte in favore della leggerezza e della possibilità di affrescare le pareti con soggetti didattici o con la “Biblia Pauperum” (fig. p. 359 in basso).
I numerosi ordini nati dalla Controriforma, prima tra tutti la
Compagnia di Gesù, ma anche gli Oratoriani, i Cappuccini, i
Camaldolesi con la loro “Re n ovatio” della Regola primigenia, la
Congregazione benedettina di Santa Giustina, nonché chierici
regolari con finalità riformatrici come i Teatini, i Barnabiti, i
Somaschi e le Orsoline, diedero alle loro “Case”, come le chiamavano, e ai loro conventi, impianti assai diversi e molto variati,
anche se pur sempre basati su uno o più chiostri into rno a cui
disporre i vari corpi di fabbrica. Elaborarono però un tipo di Chiesa molto peculiare che tramite loro si diffuse in tutti i continenti
con caratteristiche sostanzialmente inalterate: pianta a croce latina, navata unica con copertura prevalentemente a botte, cappelle
laterali collegate da passaggi interni, ampia abside a catino. Diedero inoltre vita al tipo del “collegio”, cioè alla scuola inte rna in cui
erano istruiti i giovani delle classi dominanti di cui questi ordini si
assunsero la formazione (fig. p.360).
Tu t te queste tipologie archite t toniche degli ordini monastici,
pur nelle loro specifiche differenziazioni, hanno dato vita all ’ i mmenso patrimonio dell’architettura monastica italiana ed europea
101
LUISA TAVANTI CHIARENTI
che non ha avuto e non ha certo minor peso nella storia dell’architettura e dell’arte di quella ecclesiale in generale.
Moltissime delle novità architettoniche, decorative e costruttive di questi insediamenti, sorti esclusivamente a gloria di Dio ed a
celebrazione della fede e della creatività umana, sono state poi di
modello per l’evoluzione dell ’ a r c h i tettura civile. Hanno inoltre
creato innovazioni e stili diversi che sono divenuti dominanti nella storia dell’arte per secoli interi, e soprattutto sono serviti ad
essere sedi privilegiate di straordinarie opere d’arte pitto r i c h e ,
s c u l toree, di arredi sacri preziosi, cicli meravigliosi musivi o in
affresco che fanno parte oggi di quel 75% di tutti i tesori d’arte che
abbiamo il privilegio e la fortuna di trovare in terra italiana, e che
vanno as s o l u t a m e n te promossi, conosciuti ed amorev o l m e n te
custoditi per le generazioni future.
Bibliografia essenziale
L. GRASSI, Storia e cultura dei monumenti, Società Editrice Libraria, Milano 1960.
J. LENZENWEGER - K. A. - STOCKMEIER R. ZINNHOBLER, Storia del la Chiesa Cattolica, San Paolo, Cinisello Balsamo 1988.
T.C.I., Abbazie e Monasteri d’Italia, Touring Editore, Milano
1996.
Luisa Tavanti Chiarenti
Oblata
Monastero di santa Francesca Romana
(Abbazia di Santa Maria Nova)
102
ABSTRACTS
Abstracts
Dopo il discorso generale sul concetto di monachesimo ed arte e la
loro indiscussa reciproca influenza, il punto di partenza per parlare
dell’arte monastica avviene al momento del costituirsi dei cenobi. Le
necessità di riparo, di preghiera e di lavoro, scandite da precise regole e da spazi destinati ad una vita comunitaria, ha dete r m i n a to la
nascita di “organismi monastici” che si sono modificati e perfezionati nel tempo, ma che sempre, fino ad oggi, mostrano una matrice
comune sia planimetrica che architettonica.
La Regula Sancti Benedicti, la prima a codificare l’architettura monastica in occidente, influenzerà fino ai nostri giorni ogni tipo di abbazie, conventi, monasteri e ‘case’ dei più svariati ordini religiosi, almeno in quelli che sono i comuni moduli fondamentali in cui si svolge la
giornata monastica, poi arricchiti o modificati per i cambiamenti storici e per i caratteri peculiari di ciascun ordine.
* * *
Après une vue d’ensemble sur les notions de monachisme et d’art
et de leur relation réciproque, le point de départ pour parler de l’art
monastique est représenté par la constitution des coenobia. La nécessité de refuge, de prière et de travail, marquée par des règles précises
et par des espaces destinés à la vie communautaire, a fait naître des
‘organismes monastiques’ qui se sont modifiés et perfectionnés avec
le temps. Ceux-ci ont toujours gardé un plan et une architecture commune. La Regula Sancti Benedicti, la première à avoir codifié l’architecture monastique en Occident, a exercé son influence sur abbayes,
couvents, monastères et ‘maisons’ des ordres religieux les plus variés
- ceux, du moins, qui ont en commun un même modèle de journée
monastique, avec les enrichissements ou les traits distinctifs de
chaque ordre à chaque époque.
103
ABSTRACTS
* * *
After the general discussion on the concept of monasticism and art
and their undisputed reciprocal influence, the point of departure for
speaking of monastic art arrives at the moment of the construction
of the cenobium. The necessities of shelte r, of prayer and of wo r k ,
taken from precise rules and from spaces geared to community life,
have determined the birth of ‘monastic organisms’ which have been
modified and perfected in time, but which always, even until today,
demonstrate a common matrix, as practical as it is architectural.
The Rule of St. Benecict, the first to codify monastic architecture in
the West, will influence up to our days every type of abbey, convent,
monastery and ‘house’ of the most varied religious orders, at least in
those things which are the common fundamental modules in which
the monastic day unfolds, then enriched or modified by the historical
changes and by the particular characteristics of each order.
* * *
Después del discurso general sobre el concepto de monaquismo y arte
y la discusión sobre su recíproca influencia, el punto de comienzo para
hablar del arte monástico viene en el momento de constituirse los cenobios. La necesidad de alojo, de oración y de trabajo, distribuidas por prec i s asreglas y por espacios destinados para el nacer de “organismos monásticos” que fueron modificados y perfeccionados en el tiempo, que hasta
hoy han mostrado una matriz común sea en la planimetría y en la arquitectónica. La Regula Sancti Benedicti, la primera que codifica la arquitectura monástica en occidente, influenciará hasta nuestros días todo tipo de
abadías, conventos, monas terios y ‘cas as’ de la amplia gama de ordenes
religiosos, por lo menos en aquello que representa los módulos comunes
que son el fundamento en los cuales se desarrolla la jornada monástica,
después enriquecidos y modificados por los cambios históricos y por los
caracteres peculiares de cada uno de las órdenes.
104
TESTATINA SX : TITOLO ARTICOLO
Celso Bidin
NELLO DI MINO TOLOMEI
Eminenza sociale e politica familiare
Abbiamo già nel passato sottolineato che Nello di Mino Tolomei, fratello minore del Beato Bernardo, è il personaggio che nella compagnia familiare restituisce appieno il significato dell’impegno diffuso verso l’istituto podestarile e l’ufficio di capitanato ,
come uno sforzo elevato e continuo che dà anche una misura di
specializzazione e di affermazione personale.
Come Nello possa senz’altro essere considerato l’esponente più
conosciuto, che fece della funzione pubblica lo strumento principale del suo prestigio e della sua ricchezza, lo ricaviamo non solo
dalla lunga carriera e dai luoghi dove svolse la sua azione, ma
s o p r a t t u t to da un’opera d’arte da lui commissionata e probabilmente da lui pagata che è: la Maestà di Lippo Memmi del Palazzo
Pubblico di San Gimignano.
Se già da più di quindici anni, dal 1300, Nello si alternava nella
signoria di diverse comunità, nel secondo semestre del 1317 ricoprì
la carica di podestà e dal giugno a dicembre del 1318 anche quella
di Capitanato del Popolo a San Gimignano.
Nei diciotto mesi di presenza a San Gimignano con la contemporanea frequentazione politica nel Palazzo comunale di Siena, avendo
sempre davanti agli occhi la Maestà di Simone Martini da poco realizzata, Ne llo volle emulare quanto ammirava nella sua città impegnandosi a realizzarne una anche a San Gimignano, lasciando imperitura testimonianza del suo operato nella città dalle belle torri.
La Maestà di Simone Martini era ce rt a m e n te un esempio
imprescindibile e condizionante, per le sue vistose novità d’arte,
per il suo fascinoso aspetto profano, per la sua pubblica destinazione e Ne llo, stimolato da tutto ciò, si propose come una sfida
105
CELSO BIDIN
con se stesso, incaricando Lippo Memmi di realizzare una Maestà
anche per il Palazzo Pubblico di San Gimignano dove lui era Capitano del Popolo1.
La commissione della Maestà, partiva quindi dallo spirito di
emulazione per la grande impresa senese e dal fascino esercitato
dalla accecante bellezza dell’opera di Simone Martini.
E’ proprio verso la fine del suo incarico a San Gimignano, che
Ne llo, il 6 dicembre intervenendo a Siena nel dibattito, dopo la co ngiura del 1318, propose che il consiglio non prendesse in esame la
questione del cambiamento della signoria, ma co n f e r m asse ed
a p p r ov asse che l’ufficio dei Nove dovesse essere retto e gov e rnato
“per gentem mediam”, come era stato ben gov e rn a to in prece d e n z a .
Nello che rappresentava ufficialmente i Tolomei si schiera apert a m e n te, di fronte al potere e alla città, con l’oligarchia novesca
offrendole un forte sostegno.
Possiamo pensare che l’af f i d a m e n to della realizzazione dell ’ opera a Lippo fu certamente la soluzione naturale, nel senso che si
continuava in sostanza a servirsi della bottega memmiana, il cui
vecchio capomaestro Memmo di Filippuccio aveva tenuto l’incarico di pittore civico per lungo tempo, diffondendo in questo centro la moderna cultura giottesca.
Se diversi sono i criteri di dipendenza di Lippo dal modello di
Simone, come per la tecnica pittorica di sottilissimi filamenti delle barbe, come la replica di puntigliosa meticolosità per l’effetto
efficace nel raffronto tra la barba incolta del San Niccolò di Lippo
e il San Pietro di Simone, anche motivi tecnici, come gli incarnati
delle figure di Lippo che ancora oggi si conservano perfettamente
conservati e ammirevoli per il loro aspetto di forte compattezza,
pur manifestando significative eccezioni, provano comunque la
stretta aderenza di Lippo alla lezione martiniana.
_______________
1 Una riproduzione della Maestà di Lippo Vanni si trova in questo numero
de l’Ulivo, p.346
106
NELLO DI MINO TOLOMEI
L’aspetto che mi sta a cuore sottolineare e quindi, per me più
importante in questa opera, è certamente la raffigurazione del personaggio sto r i co di Nello di Mino Tolomei, e quindi non solo la
tecnica di esecuzione del mezzo fresco nella ricerca di un maggiore senso di verità e di ineffabile tenerezza della stesura pittorica,
quasi un disegno preparatorio finissimo e perfettamente chiaroscurato, quanto l’osservazione del volto intenso e co m p o s to di
Nello di Mino Tolomei, che possiede un grado di elaborazione che
si direbbe realizzato grazie a riprese dal vero, per i marcati tratti
individualizzanti che permettono di ritenerlo un esempio fra i più
antichi della ritrattistica in pittura.
Nella raffigurazione della Maestà di Lippo Memmi nel Palazzo
pubblico di San Gimignano contemplando il vero ritratto di Nello Tolomei possiamo per affinità immaginarci le caratteristiche
somatiche anche del fratello Giovanni.
Fu certo il magistero di Simone, anche per questo aspetto, a fornire a Lippo gli strumenti per un indagine di una fisionomia reale, infatti la compostezza e la perfetta rappresentazione di profilo
del ‘ritratto’ di re Roberto di Simone può essere stato certamente
l’immediato precedente del ‘ritratto’ di messer Tolomei.
Un’ultima osservazione, che poi può risultare storicamente la più
n u ova e import a n te, è la sottolineatura che nella impareggiabile Ma està di Lippo Memmi il committente Ne llo Tolomei viene presentato
alla Regina del cielo, Maria santissima, da San Niccolò, che con la
mano sinistra sembra sostenere e dolcemente avvicinare verso il centro il suo assistito e ha nella destra un pregevole cartiglio che formula la preghiera di intercessione e di protezione per il suo devoto.
Perché è raffigurato San Niccolò? Sappiamo con certezza che la
Compagnia di Gesù Crocifisso, della quale come è elencato nel
codice I.V.22 della Biblioteca Comunale di Siena (al foglio n. 14r, 2°
colonna linea 20) faceva parte anche Nello di Messer Mino, oltre
Giovanni, poi Bernardo e altri fratelli.
Sappiamo appunto con certezza che all’inizio la Compagnia di
107
CELSO BIDIN
Gesù Crocifisso aveva sede nella Chiesetta di San Niccolò, prima
di trasferirsi sotto le volte dell’Ospedale, e quindi Nello anche nella sua Maestà si fa ritrarre vicino alla Vergine, memore della sua
devozione coltivata e nutrita già dalla sua giovinezza, fra i devoti
confratelli della Compagnia di Gesù Crocifisso in San Niccolò.
Questa supposizione, se ritenuta fondata oltre che verosimile,
proverebbe che anche il Beato Bernardo che pure faceva parte della Compagnia di Gesù Crocifisso, per diverso tempo, ha certam e n te fr e q u e n t a to e praticato le sue devozioni nella chiesina di
San Niccolò, per poi passare ed essere attivo co llaboratore della
Compagnia sotto le volte dell’Ospedale.
Il testo in latino della preghiera che è scritta nel cartiglio esposto
da San Niccolò come presentazione orante alla Vergine Maria dice :
«Salve Regina, mundi mater Dei, quae sine pena peperisti
Christum, Vobis commendo devotum infrascriptum Nellum
domini Mini Talomei, in ulnis vestris rogo amore mei. Ut placet vobis suscipere istum et inter santos vestros esse mistum
angelos patriarcas Dei»2.
La certezza della data del 1317, se pure riscritta dal Gozzoli, trova però conferma in un documento di quell’anno stesso “si dipinsero le figure del palazzo cioè nella sala del consiglio del popolo
per Memmo pictore e Lippo suo figliuolo” per 28 fiorini. Sappiamo d’altra parte che la citazione di Memmo non indica la sua partecipazione all’esecuzione, ma piutto s to la garanzia del ‘pitto r e
civico’ per il figlio, dal momento che Lippo non era ancora maggiorenne. Infatti l’iscrizione alla base alla base della pittura porta
_______________
2 «Salve regina del mondo, madre di Dio che, senza dolore, avete generato
Cr i s to. Affido il dev o to Ne llo Tolomei, nominato più in basso, alle vostre
braccia. Vi chiedo, per mio amore, che vi piaccia di riceverlo e che egli sia
riunito ai santi uomini, agli angeli ed ai patriarchi che vivono per Dio»
108
NELLO DI MINO TOLOMEI
soltanto il nome di Lippo e non risulta affatto manomessa. L’iscrizione sulla cornice della Maestà costituisce quindi anche la prova
documentaria che nel secondo semestre del 1317 Nello fu allo stesso tempo Podestà e Capitano del Popolo.
È ce rto che la scelta dei santi raffigurati e venerati a Siena fu
voluta dal senese Nello Tolomei che volle soprattutto essere ritratto sotto la protezione di san Ni c colò per i motivi che abbiamo
appena illustrato.
Celso Bidin
Monaco benedettino di Monte Oliveto
Abbazia di Monte Oliveto Maggiore
109
ABSTRACTS
Abstracts
Nello Tolomei – fratello del fondatore di Monte Oliveto – seguendo ancor giovane le orme del padre Mino nella funzione pubblica di
Podestà e di Capitano del popolo a San Gimignano dal secondo semestre 1317 al primo semestre 1318 restituisce alla compagnia familiare
dei Tolomei la misura più alta di specializzazione e affermazione personale, mentre il fr a te llo Bernardo viveva nell’umiltà della grotta di
Acona.
Come nel palazzo pubblico di Siena dal 1315 risplendeva la Maestà di
Simone Martini, così nel 1317 Nello a San Gimignano volle far realizzare da Lipo Memmi una Maestà in quel palazzo dove lui era Podestà.
Il ritratto dal vero di Nello Tolomei per le caratteristiche somatiche delineate ci rappresentano un volto che per affinità è certamente
il più vicino e familiare al volto del fondatore di Monte Oliveto il Beato Bernardo Tolomei.
* * *
Ne llo Tolomei – frère du fondateur de Mo n te Oliveto- suivit les
traces de son père Mino: encore jeune, il remplit la fonction publique
de Po d e s t à et de Capitaine du Peuple à San Gimignano, entre le
deuxième semestre de 1317 et le premier semestre de 1318. Ce succès
personnel de Ne llo renforçait le prestige de la co m p agnie familiale
des Tolomei, alors que, à ce moment même, son frère Bernard vivait
dans l’humilité de la grotte d’Accona. Depuis 1315, la Maestà de Lipo
Memmi resplendissait dans le palais publique de Sienne. Nello recourut alors au même Lipo Memmi pour qu’il réalise une Maestà dans le
palais dont il était le Podestà, en 1317. Dans celle-ci, se trouve le portrait de Nello Tolomei, un visage qui certainement rappelle celui du
fondateur de Monte Oliveto, le Bx. Bernardo Tolomei.
110
ABSTRACTS
* * *
Nello Tolomei, – brother of the founder of Monte Oliveto – following while still young in the footsteps of his father Mino in the public function of Podestà and of Captain of the People at San
Gimignano from the second half of 1317 to the first half of 1318,
restored the highest measure of specialization and personal affirmation to the family company of the Tolomeis, while his brother
Bernard lived in the humility of the grotto of Acona.
As in the public palace of Siena from 1315 the Majesty of Simone
Martini shines, so in Nello at San Gimignano wants to have realized
by Lipo Memmi a Majesty in that palace where he was Podestà.
The true portrait of Nello Tolomei by the physical characteristics
d e l i n e a ted represents for us a face which by affinity is ce rt a i n ly the
nearest and most familiar to the face of the founder of Monte Oliveto, Blessed Bernard Tolomei.
* * *
Nello Tolomei, – hermano del fundador de Monte Oliveto –
siguiendo en su junentud las huellas de su Padre Mino en la función
pública del poder y de Capitán del pueblo en San Gimignano desde el
segundo semestre de 1317 al primer semestre de 1318, restituye a la
compañía familiar de los Tolomei la medida mas alta de especialización y afirmación personal, mientras el hermano Bernardo vivía en la
humildad de la gruta de Acona.
Como en el palacio público de Siena desde el 1315 resplandecía la
Majestad de Simón Ma rtini, así en el 1317 Nello a San Gi m i g n a n o
quiere hacer realizar por Lipo Memmi una Majestad en aquel palacio
donde él ejercía el poder.
Il retrato verdadero de Nello Tolomei por las características somáticas delineadas nos representan un rostro que por la afinidad es cier-
111
CELSO BIDIN
t a m e n te el más cercano y familiar al rostro del fundador de Mo n te
Oliveto, el Beato Bernardo Tolomei.
Roberto Donghi
UNA INEDITA PREGHIERA DEL SEICENTO
AL BEATO BERNARDO TOLOMEI
La venerazione verso il proprio fondatore è sempre rimasta viva
tra i monaci benedettini di Monte Oliveto fin da quando egli era
ancora in vita. Basti pensare alla sua rielezione come abate alla scadenza annuale del mandato, contrariamente alla norma allora stabilita, e questo per ben ventisette anni, fino alla sua morte, avvenuta a Siena nel 1348. Anzi con un atto di estrema fiducia, durante il capitolo generale del 4 maggio 1347, i monaci davano piena
facoltà all’abate Bernardo Tolomei di disporre e decidere qualsiasi cosa riguardo la vita del monas tero di Mo n te Oliveto e della
Congregazione senza dover previamente consultare il capitolo e i
fr a te lli, con questa motivazione: “Confidando pienamente che a
causa della sua santità egli non si allontanerà né dalla volontà di
Dio né dalla salvezza delle anime dei suoi fratelli e figli”1.
Anche Antonio da Barga nella sua Cronaca, scritta verso il 1450,
non esita a definire Bernardo “uomo veramente mirabile e santo”2,
_______________
1
Il testo completo, in traduzione italiana, è riportato in I PADRI OLIVETA-
NI, Per una rinnovata fedeltà. Fonti olivetane. I più importanti documenti, le più anti
che cronache e le più rilevanti testimonianze letterarie. Introduzione, traduzione e
note a cura di Cecilia Falchini, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, Magnano 2003, pp. 95-96. Per il testo latino: Regardez le rocher d’où l’on vous a taillés.
Documents primitifs de la Congrégation Bénédictine de Sainte Marie de Mont-Olivet,
Abbaye de Maylis 1996, pp. 118-123. (Studia olivetana, 6)
2 Fuit enim per omnia vir valde mirabilis et sanctus. Cf. I PADRI OLIVETANI, op. cit.,
p.198; Regardez le rocher, op. cit., p. 258.
112
-
UNA INEDITA PREGHIERA DEL SEICENTO AL BEATO BERNARDO TOLOMEI
mentre la successiva C r o n a ca della Cancelleria dedica un inte r o
paragrafo alla santità di Bernardo e dei suoi primi compagni, terminando il racconto della sua vita con una preghiera molto bella,
forse la più antica tra quelle rivolte al beato fondatore, invocato
come “dolcissimo padre e amico di Dio”, a cui viene chiesto di continuare ciò che ha così bene istituito perché i suoi figli spirituali
“che attraverso l’evangelo di Cristo ha generato e parto r i to […]
abbondino al presente della grazia divina, e in futuro della gloria”3.
Tuttavia soltanto dopo più di due secoli dalla sua santa morte, il
c u l to ab immemorabili a lui prestato, ha ricevuto l’approvazione
ufficiale della Chiesa, con un decreto della S.Congregazione dei
Riti del 25 novembre 1644 e successivamente, un breve di Clemente X del 30 agosto 1673, concedeva ai monasteri della Congregazione Olivetana e alle Oblate di Tor de’ Specchi in Roma, la celebrazione della messa e dell’ufficio divino in suo onore, dal “Comune
di un confessore non pontefice”. Testi propri per la celebrazione
eucaristica e per la liturgia delle ore saranno composti e approvati
dalla competente autorità nel secolo successivo4.
Il rico n o s c i m e n to del culto del beato Bernardo e l’avvio della
Causa per la sua canonizzazione nel sec. XVII, av eva fav o r i to
anche la diffusione dell’iconografia relativa, che una prima ricerca
iconografica, anche se non esaustiva, effettuata nel VII centenario della sua nascita, ha segnalato come “una preziosa conferma
dell’amore e del culto riserv a to dai monaci di Mo n te Oliveto al
_______________
3 Dulcissine pater et amice Dei. Cf. I PADRI OLIVETANI, op. cit., p. 303; Regardez
le rocher, op. cit., p. 402-403.
4 P. LUGANO, La causa di canonizzazione del beato Bernardo Tolomei Fondatore dei
monaci benedettini di Montoliveto, in “Rivista Storica Benedettina”, 17 (1926),
pp. 204-289.
5 G. BRIZZI, Iconografia del b. Bernardo Tolomei. Prime ricerche, in AA. VV., Sag gi e ricerche nel VII centenario della nascita del b. Bern a rdo Tolomei (1272-1972),
Monte Oliveto Maggiore 1972, pp. 131-180 (Studia olivetana, 1).
113
ROBERTO DONGHI
loro padre e fondatore”5.
Tra le testimonianze di questa venerazione si inserisce una inedita preghiera in forma di meditazione, composta nella prima metà del
Seicento e quindi prima del riconoscimento ufficiale del suo culto,
da don Mauro Puccioli da Perugia, monaco olivetano nel monastero
di Monte Morcino, che si legge in un suo manoscritto auto g r afo,
conservato nell’Archivio dell ’ Abbazia di Mo n te Oliveto Magg i o r e6.
L’autore
Mauro Puccioli nacque a Perugia il 21 dicembre 1562. A undici
anni entrò nel monastero olivetano di santa Maria di Monte Morcino nei pressi della sua città, dove rivestì l’abito monastico il 25
marzo 1574 ed emise la professione il 21 marzo 1579. Trascorso il
periodo di formazione nei monasteri di Monte Morcino di Perugia, di Monte Oliveto di Napoli e di Monte Oliveto Maggiore, fu
o r d i n a to sace r d o te nel 1586. Esercitò l’incarico di maestro dei
novizi nei monasteri di san Cristoforo a Lodi (1590-1591), dei santi Angelo e Nicolò a Villanova di Lodi (1594-1597) e di Monte Oliv e to Maggiore (1600-1602). Sentendosi chiamato a una vita di
maggiore solitudine, pensava di ritirarsi tra gli eremiti di Camaldoli, ma ne fu dissuaso dai suoi superiori. Nel 1607 rito rnò nel
monastero di Monte Morcino a Perugia dove visse fino alla morte,
per più di quarant’anni, attendendo all’accoglienza di quanti, religiosi e laici, rico r r evano a lui per la direzione spirituale, per il
s a c r a m e n to della riconciliazione o per un semplice co n s i g l i o .
Dopo lunga e penosa malattia che lo costrinse a letto per due anni,
morì il 20 settembre 1650. Diffusasi la notizia della sua morte ,
_______________
6 Per una descrizione del ms. e del suo contenuto cf. R. DONGHI, Esortazio ni ai novizi di Mauro Puccioli da Perugia (+1650), in Mo n a s t i ca et Hu m a n i s t i ca.
Scritti in onore di Gregorio Penco O.S.B., Cesena, Badia di Santa Maria del Monte, 2003, pp. 491-501 (Italia Benedettina, 23).
114
UNA INEDITA PREGHIERA DEL SEICENTO AL BEATO BERNARDO TOLOMEI
molta gente, non solo dalla città di Perugia, ma anche da Assisi e
da Foligno, si riversò nella chiesa del monastero e una folla immensa partecipò, tre giorni dopo, ai suoi funerali “che ciascuno diceva
non concorrere tanta gente alla Madonna degl’Angioli per il perdono d’Assisi”, come è scritto in una sua biografia inedita7 . Fu
sepolto nella chiesa del monastero in una cappella laterale, ma nel
1790, quando i monaci si trasferirono nel nuovo monastero in città, nel rione di Porta S.Angelo, trasferirono anche i suoi resti mortali, rinvenuti in questi ultimi anni, con un suo ritratto a olio e l’iscrizione sepolcrale, a seguito dei lavori di restauro eseguiti nei
locali attigui alla chiesa dell’ex-monas tero olivetano di Mo n te
Morcino Nuovo, ora sede dell’Università degli studi di Perugia.
La preghiera
La struttura della preghiera al beato Bernardo, come è ben ev i d e nziato dal titolo, segue il metodo già usato dall’autore nelle meditazioni sulla Regola di san Benedetto, gli “Essercitii Regolari”, contenute
n e lla prima parte del manoscritto. Come indicato dal sottotitolo delle meditazioni, il suo intento, secondo il metodo della devotio moder na, già da tempo in uso anche nei monasteri benedettini, è “muovere
la volontà e applicare l’affetto, et operatione di ciaschedun monaco
nell’osservanza di quella”, ossia della Regola.
Nella prima parte, rivolgendosi direttamente al beato Bern a r d o ,
“padre degli Olivetani presenti, passati e futuri”, l’autore si domanda come ringraziarlo per il dono della vocazione monastica e per i
benefici spirituali e materiali ricevuti nella Congregazione da lui
fondata. La risposta non può essere che quella di vivere “la buona
vita, l’osservanza regolare, il profitto spirituale”. Consapevole che
_______________
7 In GIOVANNI ANTONIO ASPLANATI, Fragmenta de rebus olivetanis, ms.
del sec.
XVIII, conservato nell’Archivio parrocchiale di santo Stefano a Genova, pp.
89-224.
_______________
115
ROBERTO DONGHI
non sempre è stato così, formula il proposito di vivere con magg i ore impegno la propria vita monastica, offrendo a tale scopo il sacrificio eucaristico in rendimento di grazie per la vocazione ricevuta, in
riparazione per le mancanze commesse e in richiesta di una grazia
sovrabbondante per i meriti e l’intercessione dello stesso beato.
La seconda parte della preghiera si sofferma a considerare “la
buona et esemplare vita” del fondatore, proponendola come
modello da imitare per le sue virtù “come di huomo grave, piacevole, benigno, dev o to, et ce tera; in se racco l to et inte r i o r m e n te
occupato”, soprattutto durante la celebrazione dell’ufficio divino
e della liturgia eucaristica. Ne consegue che non basta portare un
abito particolare e abitare in un monastero, bisogna fare della propria esistenza un sacrificium laudis, vivendo alla presenza di Dio
nell’ascolto incessante della sua parola, come la Vergine Maria, che
il nostro autore, citando Luca 2,51, propone al monaco come
modello di ascolto e di ruminazione interiore. Con questo riferimento mariano, quasi facendo eco alle parole di Gesù a conclusione del discorso d e lla montagna: “Non chiunque dice: Signore,
Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del
Padre mio che è nei cieli” (Mt 7,21), la preghiera termina rico r d a ndo ancora una volta che non basta ritirarsi in monas tero e professare una regola, ma è necessario praticare quanto è stato promesso.
Presentando il beato Bernardo come modello da imitare, la preghiera si inserisce nella tradizione monastica che vede nel ruolo
dell’abate e a maggior ragione in quello del fondatore la presenza di
Cristo, anima vivente del monas tero, come afferma san Benedetto
nel capitolo secondo della Regola. Non è altro che l’eco fedele di
una devozione propria dell’epoca dei Padri in cui la pate rnità di Cr isto era venerata in quanto lui stesso era l’Immagine del Padre suo.
_______________
8
M. OLPHE -GALLIARD, Fondatore. III. Aspetto ascetico, in Dizionario degli Isti tuti di Perfezione, IV, Roma 1977, col. 102-108.
116
UNA INEDITA PREGHIERA DEL SEICENTO AL BEATO BERNARDO TOLOMEI
“Imitare il fondatore significa riprodurre in seno alla comunità una
filiazione spirituale analoga a quella del Padre e del Figlio in seno
a lla Trinità”8. Anche i monaci olivetani, come in genere tutti gli istituti religiosi, hanno sempre considerato il proprio fondatore come
uno specchio del Figlio di Dio, essendo lui stesso divenuto modello o forma dell’umanità con la sua Incarnazione. Uno dei temi più
r i correnti nell’iconografia, il beato Bernardo in preghiera davanti al
Crocifisso9, ne rappresenta indirettamente una conferma, come se
lo stesso beato volesse ripetere a tutti le parole dell ’ a p o s tolo Paolo:
“Fa tevi miei imitatori, come io lo sono di Cr i s to” ( 1 Cor 11,1).
Il testo della preghiera
ARCHIVIO ABBAZIA MONTE OLIVETO MAGGIORE,
Cod. A 5, f. 317 r-v.
Essercitio nella memoria del servo di Dio Bernardo istitutore di questa
Religione.
Iste Pater digne in memoriam vertitur hominum, qui ad gaudium trans iit Angelorum (ut pie credimus) quoniam in hac peregrinatione solo corpo re constitutus cogitatione, et avididate in illa aeterna patria conversatus
est10; vinculis carnis absolutus, talentum sibi creditum Domino suo dupli catum reportavit11.
Pater noster, padre degli Olivetani presenti, passati e futuri, Padre
mio Bernardo, al quale molto devo per l’habito della Religione, et altri
beni in quella spirituali e temporali: per che come a capo di quella cre_______________
9
G. BRIZZI, op. cit., p. 133-134 e nota 13.
Commune Confessoris Pontificis, Lectio VII.
Cf. Breviarium Olivetanum, Venetiis 1610, p. 35 del Commune Sanctorum. EUSEBIUS GALLICANUS , Collectio homiliarum, CCL 101 A, p. 601.
11 SCRIPTORES ORDINIS GRANDIMONTENSIS, Vita beati Hugonis Lacerta, CCM
8, p. 206.
10 Sermo Sancti Maximi Episcopi nel
117
ROBERTO DONGHI
do siamo tutti numerati nel cospetto vostro, di tutti teniate memoria, e che nella visone beatifica vediate quello che si fa in questa vostra
Religione, per quella facciate continua oratione, e la mia vocazione
sia stata fatta con il consenso di Maria Vergine e vostro. Che gratie
dunque per ciò vi devo dare? Le gratie principali deverebbero essere
state la buona vita, l’osservanza regolare, il profitto spirituale, che
come religioso mi conveniva. Ma poiché non è stato così, non dev o
per questo lasciare di rendere gratie alla Divina Maestà, a Maria Vergine et a Voi padre mio. Oh quanti nel secolo, et in altre Religioni
sariano vissuti meglio di me, e glorificato Dio, se fussero stati introdotti in questa Religione, et occasione che per ciò con ragione vi
potete lamentare di me.
Ma non per questo mi devo confondere, ma humiliarmi e propormi l’integra osservanza regolare, con discendere a cose part i colari. N. N. Il santo Sacrificio che son per celebrare sarà nel co n s p e tto di Dio, dopo l’honor debito, che in quello e con quello alla Divina Maestà si dà, sarà dico in rendimento di gratie per la vocatione,
placatione per le trasgressioni, sodisfatione per le pene meritate, et
suplicatione per l’aiuto efficace, che per ciò tengo bisogno, et ubi
abundat delictum, superabundet gratia Dei12, la qual superabundante
gratia efficace humilmente la dimando, e spero per i meriti, et
inte r cessione vostra o Beato Bernardo.
Laudemus viros gloriosos et parentes nostros in generatione sua. Homines
m a gni in virtute, et prudentia sua praediti. Qui de illis nati sunt (noi Olivetani) r e l i n q u e runt nomen narrandi laudes eorum. Hereditas sancta nepotes
eorum…filii propter illos usque in aeternum manent13. Per esser buon
nepote, e legittimo figlio, mi conviene l’andarmi immaginando la
buona et semplice vita vostra (B. Bernardo) come di huomo grave,
piacevole, benigno, dev o to, et cetera, in se raccolto, et interiormente
_______________
12
13
Rm 5,20.
Sir 44, 1.3.8.12-13.
118
UNA INEDITA PREGHIERA DEL SEICENTO AL BEATO BERNARDO TOLOMEI
ben occupato. Tale devo, e vorrei esser io, e massime nel tempo del
divino officio, e santo Sacrificio. Ricorro a Voi padre per ciò, si come
per voi ho hereditato luogo nel monas tero, et i beni temporali.
Justus germinabit sicut lilium, è vero che a guisa di giglio vesto di
bianco, ma non so se come quello rendo odore di buono essempio,
o buona vita ante Dominum14.
Plantatus in domo Domini, in atriis domus Dei nostri15. Non mi posso lamentare, ma vi devo laudare per esser io stato trapiantato dalla terra arida del secolo, nella fruttifera della religione, ma utinam
con frutto.
Se farò come voi faceste sarà gloria a Dio, soddisfatione a Voi,
et utilità propria. Justus cor suum tradet ad vigilandum diluculo16. Di
notte, e la mattina in occuparmi in sante contemplationi, et essercitii spirituali, dando la maggior parte del giorno ad Dominum, qui
fecit illum et in conspectu Altissimi deprecabitur17. Non per consuetudine, ma con sentimento spirituale, la quale oratione fatta così, causa la divina presenza per tutto il giorno, et in conseguenza virtù in
ogni cosa. Questa è la vita alla quale mi conviene aspirare per essere vostro buon figliolo, propostaci anco dal profeta: Quoniam cogi tatio hominis confitebitur tibi, et reliquie cogitationis diem festum agent
tibi18. Impetrami Beato Padre tal vita, che tale ancora la considero
in Maria Vergine Signora Nostra: Et mater eius conserv a bat omnia
verba haec in corde suo19.
Vovete et reddite Domino Deo vestro, omnes qui in circuitu eius affertis
_______________
14 Cf.
Os 14,6.
Sal. 91,14.
16 Sir 39, 6.
17 Sir 39,6.
18 Sal 75, 11-17.
19 Lc 2,51.
20 Sal 75,12.
21 Sal 75,12-13.
15
119
ROBERTO DONGHI
munera20. M’avvedo benissimo che non basta il ritirarsi nel monastero e promettere la s. Regola per offerire il s. Sacrificio, ma osservare il mio instituto. Nam terribili, etc.21. Ora pro me.
Se bene non mi è lecito celebrare la s. Messa di questo servo di
Dio, et institutore di questa Olivetana religione in suo honore
come si fa ai santi, mentre la s. Chiesa non ne dà licentia. Potrò
nondimeno celebrarla pro gratiarum actione delli benficii fattili da
Dio. E perché abbiamo memoria che passasse da questa vita l’Ott ava della Assunta di Maria Vergine e la Messa della Madonna si
dice pro gratiarum actione, come è notato nel Messale. Però etc.22.
Roberto Donghi
Monaco benedettino di Monte Oliveto
Abbazia di Monte Oliveto Maggiore
_______________
22
Solo il 30 agosto 1673 Clemente X, con il breve Apostolici muneris, conced eva di poter celebrare il 20 agosto la Messa e l’Ufficio divino in onore del
beato Bernardo Tolomei, per cui questa annotazione del Puccioli conferma
che la preghiera è stata composta prima di quella data. Cf. P. LUGANO, op cit.,
p. 212.
120
ABSTRACTS
Abstracts
La venerazione per il proprio fondatore, rimasta sempre viva tra i
monaci olivetani, è testimoniata anche da questa preghiera al beato
Bernardo Tolomei, composta nella prima metà del Seice n to, prima
del riconoscimento ufficiale del suo culto, da don Mauro Puccioli da
Perugia (+ 1650), tratta da un suo manoscritto conservato nell’archivio dell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore.
* * *
La vénération toujours vivante des moines olivétains pour leur fondateur est témoignée aussi par cette prière au Bx. Bernard Tolomei,
composée pendant la première moitié du 17ème siècle, avant la reconnaissance officielle de son culte. L’auteur en est don Mauro Puccioli
de Perugia (+ 1650) et elle est tirée de l’un de ses manuscrits qui se
trouve dans les archives de l’abbaye de Monte Oliveto Maggiore.
* * *
Veneration for their own founder remains always alive among the
Olivetan monks, as is witnessed by this prayer to Blessed Bernard
Tolomei, composed in the first half of the 17th ce n t u ry, before the
official recognition of his cult, by Dom Mauro Puccioli of Perugia (+
1650), drawn from his manuscript preserved in the archives of the
Abbey of Monte Oliveto Maggiore.
* * *
La veneración hacia el propio fundador permaneció siempre viva
entre los monjes olivetanos y lo atestigua la oración al beato Bernardo Tolomei, compuesta en la primera mitad del sigloXVII, antes del
r e co n o c i m i e n to oficial de su culto, por el monje Mauro Puccioli de
Perugia (+ 1650), extraída del manuscrito conservado en el archivo de
la Abadía de Monte Oliveto Mayor.
121
ROBERTO DONGHI
Enrico Mariani
OSSERVAZIONI INTORNO ALLE BOZZE
DELLE COSTITUZIONI DELLA
CONGREGAZIONE DI SANTA MARIA DI
MONTE OLIVETO DEL 1932 (II PARTE)
Continua la pubblicazione di commenti di olivetani alle bozze
delle Costituzioni del 1932.
Il primo contributo di questa seconda serie di interventi proviene da un gruppo di monaci (nel testo dattiloscritto conserv a to
mancano però le firme), che, in occasione di un Capitolo generale
(quello del 1928), av evano av a n z a to alcune proposte di modifica
costituzionale, approfittando della revisione imposta dalla pubblicazione del nuovo Codice di Diritto Canonico nel 1917. Sorprendentemente moderna è l’esigenza di rinnov a m e n to e di adeguam e n to alle mutate circostanze dei tempi. Il punto principale di
c a m b i a m e n to proposto è dato dalle strutture di governo della
Congregazione, con la necessità di tornare all’abbaziato generale
temporaneo. Si propone poi di scegliere i Visitatori non solo tra gli
Abati, ma tra tutti i Capitolari.
Il secondo intervento, di Don Girolamo Francini, è ridotto ad
una sola osservazione, ma di capitale importanza, relativa alla proposta forse più curiosa degli schemi preparatori delle Costituzioni del 1932: il conferimento al Priore claustrale di Monte Oliveto
Maggiore della dignità abbaziale, con la titolarità di una abbazia
122
OSSERVAZIONI INTORNO ALLE BOZZE DELLE COSTITUZIONI DELLA
CONGREGAZIONE DI SANTA MARIA DI MONTE OLIVETO DEL 1932 (II PARTE)
estinta, in modo da dargli parità di rango con l’Abate generale.
Il terzo contributo proviene da Dom Anselmo Vincent e Dom
Louis Boumier di Mesnil. Si tratta di un intervento molto tecnico,
part i co l a r m e n te atte n to agli aspetti liturgici e celebrativi. Dal
punto di vista del governo della Congregazione, si conferma la preferenza per la perpetuità della carica abbaziale, sostenendo, tra
l’altro, che l’Ab a te te r r i toriale, come ogni vescovo, non può che
restare in carica a vita. Esprime infine parere contrario alla titolarità di abbazie estinte per il Priore claustrale di Monte Oliveto.
Il quarto documento non è propriamente un interv e n to sulle
Costituzioni, ma una lettera di Don Bernardo Rosatelli, in cui si
accenna a perduti Direttori antichi.
Il quinto contributo è di Don Severino (Castignani?), chierico,
molto attento all’osservanza regolare. Da sottolineare la proposta
sulla necessità della carica temporanea dell’Abate generale e degli
abati locali, e l’acce n to posto sull’ufficiatura corale, anche nelle
case con pochi monaci.
Enrico Mariani
Oblato
Abbazia di Monte Oliveto Maggiore
123
ENRICO MARIANI
DOCUMENTI
[1] <Voti di alcuni Padri capitolari del Ca p i tolo generale del
1928>
Originale: AMOM, b. Osservazioni per la redazione delle Costitu zioni del 1932.
[1] Ven. Fratelli,
I sottoscritti Monaci, sicuri d’interpretare la volontà unanime
degli altri loro Confr a te lli, approfittano dell’occasione di questi
comizi [Capitolo generale] per presentare a questa Ven. Assemblea alcuni loro voti riguardanti il maggiore incremento ed il bene
spirituale dell’amato nostro Ordine.
Vogliono innanzi tutto dichiarare che quanto stanno per sottoporre al Vostro esame non proviene da altro che dall’amore figliale che nutrono verso la nostra amata Congregazione, a cui co n
q u e s te auspicate riforme vogliono dare un maggiore impulso di
vitalità spirituale e materiale.
Avendo saputo che le nostre Costituzioni, conformate al nuov o
Codice di Diritto Canonico in quello che da questo chiaramente dissentivano, già sono state presentate alla Congregazione dei Religiosi per il loro esame e per la loro approvazione, s’af frettano a chiedere a questa Assemblea che incarichi il Reverendissimo P. Ab. Pr o c uratore di ritirarle dalla stessa Sacra Congregazione in vista di nuov e
agg i u n te e riforme che s’impongono; perché sarebbe irrag i o n evole il
ritornarvi sopra dopo la loro approvazione.
Diranno alcuni che non si devono toccare queste Costituzioni,
rappresentando esse quanto di meglio hanno potuto lasciarci i nostri
Padri. Questa ragione, se è speciosa all’apparenza, non lo è però in
realtà, poiché la sei volte ce n tennaria [s i c] storia del nostro Ordine ci
dice che numerose volte furono esse in più punti mutate; e le stesse
Costituzioni attuali tutti sanno che non risalgono più in là del 1886.
124
OSSERVAZIONI INTORNO ALLE BOZZE DELLE COSTITUZIONI DELLA
CONGREGAZIONE DI SANTA MARIA DI MONTE OLIVETO DEL 1932 (II PARTE)
[2] Le cause di questi periodici mutamenti si devono ricercare
nelle diverse condizioni di tempo e di luogo in cui venne a trovarsi il nostro Ordine.
Tutti constatano che anche oggi, come nel passato, i tempi cambino, e ad essi per ineluttabile necessità, anche le Istituzioni più
sante debbono nella loro esterna costituzione adattarsi.
Il fatto delle nuove leggi che la Chiesa nel 1917 è venuta emanando col nuovo Codice è classico.
Niuna meraviglia quindi se pure la nostra Congregazione senta
il bisogno di rivedere alcuni punti delle sue Costituzioni, perché
non rispondenti più alle necessità sue spirituali e materiali.
D’altra parte, quanto siamo per sotto p o rvi, o Ven. Fratelli,
risponde pienamente alle nuove norme di Governo che la Chiesa
ci dà nel suo Codice di Diritto Canonico, alla conseguente attuale
prassi della Congregazione dei Religiosi, e ci riallaccia alle nostre
antiche tradizioni.
Non vogliono nemmeno i sottoscritti tralasciare di rico r d a r e
come dopo il nuovo Codice tutti gli Ordini Religiosi e tutte le
Congregazioni Monastiche si siano date a quest’opera di revisione.
La obiezione, che è di data recente la riforma delle nostre Costituzioni, non vale; poiché questo breve tempo passato ha travolto
e cambiato più cose che non avrebbe fatto un intero secolo in tempi più remoti. Vi è poi di mezzo un mutamento della Legislazione
Ecclesiastica, contro lo spirito della quale, se non contro la lettera, vanno alcune nostre [3] Costituzioni. Inoltre, un ritocco di queste Costituzioni fatto unicamente col criterio di conformarle alla
lettera del Codice non può conferirgli unità né stabilità, poiché si
presenta pieno di contraddizioni e non può impedire che in un
tempo non lontano avvengano necessarie riforme.
La base su cui i sottoscritti vorrebbero questa riforma è la stessa su cui, in senso inverso, si basò quella del 1886: il Regime.
È in primo luogo la Costituzione dell’Ab. Generale. Questa
carica, la più alta dell’Ordine, è stata sempre presso di noi, fino al
125
ENRICO MARIANI
1886, temporanea. La causa per cui in quell’anno venne cambiata
la Costituzione di questa elezione si deve ricercare nelle modeste
proporzioni a cui era ridotto il nostro Ordine. Non discutiamo se
da questo mutamento ne siano venuti i benefizi sperati; oggi però
constatiamo, che, mutate le circostanze della nostra Congregazione, questa perpetuità non è più a suo beneficio, ma piuttosto a suo
scapito. E la ragione è chiara: qualsiasi uomo, dopo un periodo di
anni più o meno lunghi di lavoro, sente bisogno di riposarsi, e non
può quindi fare più uso di quell’energia necessaria al retto andamento di un intiero Ordine. Possono certo darsi delle eccezioni,
ma nessuno in tal caso ci impone che non possa essere rieletto.
La stessa Legislazione Ecclesiastica, dietro l’esperienza dei
secoli, si è alquanto mutata a questo proposito; e nel primo comma del Can. 505 mostra il desiderio suo, che pure i Superiori Maggiori siano temporanei.
[4] Questo ritorno alle antiche nostre Costituzioni ci riallaccia
ai più floridi periodi del nostro Ordine e ci pone anche a pari alle
altre Congregazioni Benedettine, che in questi ultimi tempi hanno modificato le loro Costituzioni in questo senso.
Altro punto che i sottoscritti chiedono di rivedere nelle attuali
Costituzioni è l’istituzione dei Visitatori.
Ben sapendo che i due Visitatori formano con l’Ab. Generale il
Definitorio, sembra ragionevole che debbano essere liberamente
s celti dai Padri Ca p i tolari. Ora, date le vigenti Costituzioni che
richiedono in essi la dignità Abbaziale, appare ev i d e n te che per
non moltiplicare gli Abati, i Padri Ca p i tolari siano costretti a
rieleggere sempre gli stessi, con facile scapito dell’intero Ordine.
S’impone quindi anche su questo punto la necessità di una revisione delle Costituzioni, mediante la quale, in avvenire, i Visitatori
possano liberamente eleggersi tra tutti i Monaci atti a tale carica,
escludendo che debbano elevarsi alla dignità abbaziale se non
l’hanno in precedenza.
Pure questa riforma nella nostra Congregazione non è una
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OSSERVAZIONI INTORNO ALLE BOZZE DELLE COSTITUZIONI DELLA
CONGREGAZIONE DI SANTA MARIA DI MONTE OLIVETO DEL 1932 (II PARTE)
innovazione, perché tutti sanno come un tempo i nostri Visitatori erano semplici monaci.
Le varie Congregazioni Monastiche poi in questi ultimi anni ci
hanno preceduto anche in questo, e già ne risentono i benefizi.
Un terzo quesito su cui i sottoscritti richiamano l’attenzione di
questa Ven. Assemblea, riguarda il Procuratore Generale.
[5] È voto nostro unanime che le Costituzioni debbano prescrivere che pure questa carica debba essere eletta dal Capitolo Generale e debba poi cessare col cessare dell’Ab. Generale; perché tutti comprendono come sia illogico che una delle cariche maggiori
dell’Ordine debba essere eletta da una sola Comunità e debba poi
rimanere in carica in perpetuo.
Da questi tre punti di capitale importanza per il regime dell’Ordine ne derivano molte altre piccole riforme che ad essi si riallacciano e che con essi debbono mutarsi, ma l’esame di esse, come dei
tre punti precedenti, non compete ai sottoscritti il farlo, sibbene
all’intera Congregazione, quando le saranno presentati in forma
concreta.
I sottoscritti con questa esposizione dei loro voti non intendono minimamente ledere i diritti acquisiti del Generale eletto e del
Pr o c u r a tore Generale, né degli altri Superiori, che godranno dei
privilegi che gli co n cedono le Costituzioni a norma delle quali
sono stati eletti.
Ciò premesso, si rivolgono a questa Assemblea perché voglia col
suo voto confermare quanto sopra hanno esposto, e pregano il
Reverendissimo Padre Abate Generale e gli altri Capitolari a procedere in questo stesso Capitolo alla formazione di una Commissione di Competenti per concretare questa auspicata riforma dentro i limiti concessi dai SS. Canoni.
[6] Ven. Fratelli,
I sottoscritti vogliono ancora usufruire di questa Vostra Riunione perché venga fatta l’elezione di quell’Amministratore Generale che il Can. 516 impone ad ogni Ordine Religioso. Le attribuzio-
127
ENRICO MARIANI
ni di questa carica non dovrebbero solo limitarsi all’Amministrazione della Cassa Generalizia, ma dovrebbero estendersi ad un
diritto di ispezione annuale sopra le singole Amministrazioni locali. Questa alta carica, così co n cepita, toglierebbe molte cause di
lamentele e ci darebbe anche il mezzo di vedere come e in quanto
c i ascuna famiglia religiosa possa contribuire per i nostri studentati.
Ed a proposito di Amministrazioni locali i sottoscritti invocano
ancora l’intervento dell’Ab. Generale, perché richiami alla memoria di ciascun Superiore l’obbligo di osservare il Cap. 31° delle
nostre Costituzioni, che assai saviamente stabilisce quali e quanti
siano i doveri dei singoli membri dell’Amministrazione.
Un’ultima preghiera vi rivolgono infine i sottoscritti, o Ven.
Padri; che ridiate al Prefetto degli Studi quella autorità e quei mezzi che gli riconoscono le nostre Costituzioni, perché allora soltanto sarà efficace ed utile il suo ministero. La necessità di un organico ordinamento dei nostri studi lo esige, e noi fiduciosi attendiamo anche questa decisione dalla Vostra saviezza.
[2] <Lettera di Don Girolamo M. Francini al P. Abate generale>
Originale: AMOM, b. Osservazioni per la redazione delle Costitu zioni del 1932.
Montallegro, 25.8.1929.
Reverendissimo padre Abate generale.
Dispiacemi aver tardato a mandare la mia adesione per la riforma delle Costituzioni e Le domando scusa. In esse ho fatto una
sola osservazione. Trovo totalmente inutile, anzi fuori di posto che
il Priore di Montoliveto venga nominato Abate Titolare, e su questo punto il mio parere è contrario.
Su tutto il resto non ho trovato da fare altre osservazioni. Tutte
128
OSSERVAZIONI INTORNO ALLE BOZZE DELLE COSTITUZIONI DELLA
CONGREGAZIONE DI SANTA MARIA DI MONTE OLIVETO DEL 1932 (II PARTE)
le riforme saranno certamente di gran vantaggio e di maggiore
incremento alla Congregazione.
Inchinato al bacio del S. Anello imploro la Sua Benedizione.
Devotissimo.
D. Girolamo M. Francini Oliv. O.S.B.
[3] Animadversiones et vota quoad Constitutiones emendatas Congre gationis Sanctae Mariae Montis Oliveti O.S.B.
Originale: AMOM, b. Osservazioni per la redazione delle Costitu zioni del 1932.
[1] Monasterium Sanctae Mariae Matris Sanctae Spei, Mesnil
Saint Loup.
Animadversiones et vota quoad Constitutiones emendatas
Congregationis Sanctae Mariae Montis Oliveti O.S.B.
Cap. 3.
Omnes monachi solemniter professi adesse tenentur.
Votum - Ut omnes monachi professi capitulo intersint et vocem
activam habeant, dum agitur de admissione ad habitum, professionem et ordines, dummodo receperint ordinem de quo agitur.
Cap. 20, n. 2.
Missa conventualis quolibet sabbato celebranda est de B.M.V.,
modo non occurrat festum 1ae vel 2ae classis.
In Calendario (pro anno 1929, fol. 12): «Quolibet sabbato non
impedito festo 1ae vel 2ae classis, vel vigilia aut octava privilegiata,
missa cantatur votiva de B.M.V».
Vota - 1°. Ut eadem sit regula quoad missam sabbati, in Constitutionibus et in Calendario. Insuper, ex rubricis hodie vigentibus,
videtur quod missa votiva de B.M.V. prohibeatur etiam in feriis pri -
129
ENRICO MARIANI
vilegiatis, verbi gratia Quadragesimae et quatuor temporum.
2°. Ut constitutio capitis XVII (de diebus quibus canantur
Vesperae et aliae horae canonicae) ponatur cap. XX, n. 2, post constitutionem de diebus quibus canenda est missa.
3° Ut in omnibus monasteriis Congregationis nostrae, in quibus
monachorum numerus sit sufficiens, quotidie decantentur Tertia,
missa et Vesperae.
[Cap. 20], n. 3.
Solemniter agantur festa...
Votum - Ut addatur et festum Visitationis B.M.V.
[cap. 20], n. 8.
Cum aliquis Congregationis nostrae monachus etc. In monasterio quo moritur dicantur Missae S. Gregorii.
Votum - 1°. Ut addatur «Celebratur missa exequialis [2] post
integrum officium defunctorum».
2°. In obitu reverendissimi patris Abbatis generalis, praeter suffragia n. 8 praescripta pro singulis monachis defunctis, cantatur in
singulis monas teriis aut saltem recitatur inte g rum officium
defunctorum, et cantatur solemniter missa de Requie [s i c] cum
absolutione.
3°. Pro monialibus nostris et pro oblatis regularibus Sanctae
Franciscae Romanae, legitur una missa defuncto rum in quolibet
monasterio.
4° Pro oblatis secularibus legitur una missa de requie, in monasterio cui adscripti sunt.
[Cap. 20], n. 9°.
Pro defunctis qui suffragiorum communione nobis conjuncti
sunt, in monasterio cui aggregantur cantatur missa.
Votum - Ut dicatur «cantatur aut saltem legitur».
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OSSERVAZIONI INTORNO ALLE BOZZE DELLE COSTITUZIONI DELLA
CONGREGAZIONE DI SANTA MARIA DI MONTE OLIVETO DEL 1932 (II PARTE)
Cap. 33.
Votum - Ut dicatur quid agendum de bonis temporalibus cum
eo qui dimissus fuerit propter suam incorrigibilitatem.
Cap. 39, n. 2.
Usus carnium ex consuetudine retinemus, exceptis diebus ab
Ecclesia praescriptis, necnon et feria IV.
Votum - Ut addatur «Et sabbato». Nam ex novo Codice juris
canonici abstinentia die sabbato non est ab Ecclesia praescripta.
Cap. 41.
Votum - Ut diebus jejunii ex constitutionibus praescriptis addatur et pervigilium solemnitatis S.P.N. Benedicti.
Cap. 45, n. 2.
Hic et alibi dicitur Poenam subeat negligentium.
In constitutionibus hodie vigentibus, pro poena negligentium
index indicat cap. 23, fol. 63. Videtur quod poena negligentium
eadem sit ac poena inobedientium, fol. 63, n. 4.
Votum - Ut clarius indicetur quaenam sit poena negligentium.
Cap. 46, n. 5. «Confessarii a Definitorio constituendi sunt audito abbate … »
Votum - Ut servetur constitutio hodie vigens, fol. 108: «Confessarii ab abbate constituendi sunt». Quae [3] constitutio videtur ad
normam esse can. 874, qui sic se habet: «... iurisdictionem delegatam co n f e rt quoque proprius eorumdem superior, ad normam
constitutionum».
Cap. 57, n. 5.
Num necesse sit novitium conversum manere in novitiatum per
duos annos, an sufficiat ipsum manere in novitiatum per integrum
primum annum?
131
ENRICO MARIANI
Cap. 58, n. 2.
Vota - 1°. Ut consuetudo deferendi ad cingulum rosarium
B.M.V. servetur non solum a novitiis, sed et a monachis omnibus.
2°. Ut enumerentur ea quae cuilibet monacho co n ceduntur,
quoad vestes, calceamenta, etc., ut in constitutionibus hodie
vigentibus.
3°. Foramen in ostio cellulae cuiusque novitii nonne prohibetur?
[Cap. 58], n. 8.
In diaeta generali anni 1926, decretum est omnia documenta
servanda esse in monasterio ubi postulans adest, et relationem de
omnibus mittendam esse ad abbatem generalem.
Votum - Standum decreto praedictae diaetae, ob difficultatem
mittendi multa documenta.
[Cap. 58], n. 13.
Magistri socius a quo eligendus? Videtur quod eligatur ab abbate generali, quia... «in officio perdurat ad nutum abbatis generalis».
Votum - Dicatur a quo eligendus.
[Cap. 58], n. 16.
«Habeantur ordinarii confessarii pro novitiis».
Non dicitur quisnam designet hos confessarios.
«Praeter hos confessarios ordinarios, designentur ab abbate aliqui confessarii, quos novitii in casibus particularibus...».
Votum - Ut in qualibet familia confessarii pro tota familia et pro
novitiis, tam ordinarii quam extraordinarii, designentur ab abbate, vel priore regiminis, ad normam can. 875.
Cap. 63, n. 5.
Votum - Ut prior regiminis in suo monasterio retineat primum
locum, post abbates et visitatores.
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OSSERVAZIONI INTORNO ALLE BOZZE DELLE COSTITUZIONI DELLA
CONGREGAZIONE DI SANTA MARIA DI MONTE OLIVETO DEL 1932 (II PARTE)
[4] Cap. 73.
Votum - Ut dicatur quidnam sit privilegium nobis concessum a
Julio II.
Appendix I, § 5, n. 7.
Votum - Ut prior regiminis eligatur in domibus probandorum puerorum, sicut in aliis prioratibus, et regat ipse domum. Rector autem
co llegii a Definitorio electus regat collegium, et priori subjectus sit.
App[endix] III, § 2, n. 10.
Votum - Sic dicatur «Anno peracto, de consensu praefati capituli, oblationem facere poterunt, et si voluerint et eis concessum fuerit,
vota simplicia emittere etc...».
Addantur verba: «Et si voluerint et eis concessum fuerit», ut clare indicetur oblationem non necessario implicare vota.
De oblatis, in genere scilicet privilegiatis, conversis, artificibus,
saecularibus extra communitatem viventibus.
Votum - Ut huiusmodi oblati admittantur ab abbate monasterii
ejusve delegato, quin necessaria sit delegatio abbatis generalis.
§ IV. De oblati extra communitatem viventibus.
Vota - 1°. Ut pro defunctis oblatis saecularibus, extra communitatem viventibus, celebretur una missa in monasterio cui adscripti sunt.
2°. Ut abbas vel prior regiminis delegare possit sace r d o tem in
casibus particularibus ad vestiendos oblatos saeculares, vel ad eorum
oblationem recipiendam.
Delegatio vero perpetua ad vestiendos oblatos saeculares, vel ad
eorum oblationem recipiendam, non detur sacerdotibus secularibus, nisi ab abbate generali.
3°. Ut addatur «Oblati seculares in seculo viventes reguntur ex
decreto Sacrae Congregationis Episco p o rum et Regularium 23
Julii 1904, a SS. PP. Pio X approbato.
133
ENRICO MARIANI
[5] Pars II
Cap. 1, n. 1.
Ut regimen abbatis generalis sit perpetuum, quia abbas generalis
est pater totius congregationis, ac proinde eam regere debet
quamdiu vixerit.
Insuper abbas generalis ordinarius est M.O.M. nullius. Inconveniens videtur mutatio ordinarii, nisi per mortem.
Cap. 2, § 3, n.1.
Votum - Ut dicatur an cancellarius in Definitorio habeat vocem
activam.
[Cap. 2], § 5, n. 1.
Officiales majores in officio perdurant ad biennium.
Votum - Ut addatur: Et semper sunt reegibiles [sic].
Cap. De suprema abbatis generalis auctoritate.
Cap. *, § 2 De visitatoribus.
n. 4. «Vi s i t a tor primus... abbate generali aegrotante ejus vice s
gerit … ».
Quis autem decernet utrum abbas generalis sufficienter aegrotaverit, ut visitator vices ejus gerat?
«Sede vacante pote s t a tem aucto r i t a temque abbatis generalis
statim obtinet... usque ad proximum Capitulum generale».
Proinde Congregatio gubernari poterit per plures annos a vicario generali, quod videtur maxime inconveniens.
Votum - Ut defuncto abbate generali, novus eligatur abbas
generalis, elapso duorum mensium ab obitu, ad normam Constitutionum hodie vigentium.
Cap. De monasteriorum regimine.
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OSSERVAZIONI INTORNO ALLE BOZZE DELLE COSTITUZIONI DELLA
CONGREGAZIONE DI SANTA MARIA DI MONTE OLIVETO DEL 1932 (II PARTE)
Vota - § 1, n. 3. Ut in prioratibus in quibus erigentur co llegia,
superior sit prior regiminis, electus ut alii priores regiminis.
§ 2, n. 8. Ut abbas generalis sit verus abbas M.O.M., et non
solum titulo deco r e t u r, sit autem ei facultas co m m i t tendi priori
plena potestas regendi familiam M.O.M. Ac proinde necesse non
est ut prior M.O.M. titulum habeat ex aliqua extincta abbatia.
[6] Cap. De capitulo generali.
Vota - 1°, § 1, n. 1. Ut habeatur capitulum generale quolibet sexen nio, vel antea, non autem quolibet octennio, ut proponitur.
2°. n. 10. Dicatur an elector praepeditus quin ad comitia accedat, et legittime dispensatus, possit schedam mittere per alium
pro primo scrutinio, uti permittebatur in Constitutionibus hucusque vigentibus (fol. 206, n. 8), et permitti potest ex can. 163.
3°, § 1, n. 3. No tetur professio fidei facienda similiter et in §
sequenti De Definitoribus.
4°, § 11. «Definitores electi habeantur qui majoritatem absolutam
retulerint».
Dicatur quid faciendum si nullus retulerit majoritatem absolu tam. Ma j o r i t as enim absoluta intelligitur dimidia pars suffragiorum, cui additur unum suffragium.
Ex monasterio Sanctae Mariae Matris Sanctae Spei, Mesnil St.
Loup, die 31 augusti 1929.
D. Anselmus M. Vincent prior.
D. Lodovicus Maria Boumier.
[4] <Lettera di Don Bernardo Rosatelli al P. Abate generale>
Originale: AMOM, b. Osservazioni per la redazione delle Costitu zioni del 1932.
Settignano, 8 settembre 1929.
135
ENRICO MARIANI
Reverendissimo padre Abate generale.
Ho fatto ricerche nell’Archivio se potevo rinvenire il Direttorio
di cui spesso parlano le nostre Costituzioni, ma invano. Ricordo che
dopo l’approvazione delle attuali Costituzioni dov eva esser preso in
esame la compilazione di questo, anzi Varia Directoria, e cioè D i r e c torium Chori et Ecclesiae, il Directorium alumnorum e il Regolamento
del Noviziato, fatto (l’attuale) dal rev.mo p. abate Seriolo su quell o
già in uso a M.O.M., ma ampliato e redatto come è al presente con
agg i u n te di capitoli sull ’ as cesi ecc. [2] Compilate adunque le attuali
Costituzioni, dovrà esser cura del Definitorio approvarli nelle sedute di esso come è acce n n a to a pag. 202, n. 8. Ma vostra paternità
ricorderà che regolarmente le Diete generali, ed anche biennali, nei
tempi passati non venivano ce l e b r a te come al presente, e quindi,
quod erat in votis non venne mai effettuato, e i diversi Directoria furono sempre desiderati.
Disparvero di mano in mano i Padri che av evano av u to le mani in
p asta e che potevano darceli, così non ne fu fatto più nulla. Chiedo
che, se si voglia fare qualcosa di questo genere e riandare [s i c] i nostri
usi e consuetudini antiche, bisognerà consultare le Costituzioni
redatte e manoscritte del nostro reverendissimo padre abate Don
Cherubino Besozzi - una copia ne ha il p. priore D. Patrizio Papucci. Il detto redattore parla abbastanza in lungo, anzi ne fa una materia dottrinale ben larga. Non potrei dire altro su questo proposito.
O ggi 8 settembre abbiamo solenni<z>zato anche noi la SS. Bambina
con Messa in musica ecc. Costì sarà ce rto riuscita con maggior pompa.
Gradiamo rivederla quanto prima tra noi. D. Luigi Viganò sta
bene? Egli ha las c i a to qui i suoi occhiali. D. Ip p o l i to è andato a
cantare la Messa a M.O. di Firenze.
Noi tutti bene come spero di tutti anche costà.
Ossequiandola in modo particolare unitamente ai padri e giovani studenti e novizi ecc. ci benedica, e mi creda di vostra paternità reverendissima devotissimo in Gesù Cristo.
Don Bernardo Rosatelli.
136
OSSERVAZIONI INTORNO ALLE BOZZE DELLE COSTITUZIONI DELLA
CONGREGAZIONE DI SANTA MARIA DI MONTE OLIVETO DEL 1932 (II PARTE)
[5] <Osservazioni di Don Severino sulle bozze delle Costituzioni>
Originale: AMOM, b. Osservazioni per la redazione delle Costitu zioni del 1932.
Il chierico Don Severino.
a) Desidero che le preci col titolo ante primam et post completo rium vengano tolte, e questo per tre ragioni: 1°. Per dare maggior
tempo all’ufficio divino; 2°. perché mentre tali preghiere vengono
recitate da molti si sonnecchia e pochi rispondono; 3°. perché recitare due volte le litanie della B.V.? Non basta forse una volta, e questa volta recitate bene?
b) Desidero che in tutte le case siano celebrate in forma solenne la Festa della Natività di M.V. quale nostra Patrona, del Patrocinio di S. Benedetto, del B. Bernardo e del Patrocinio di S. Giuseppe.
c) Desidero che, almeno per quanto si può, sia messa una regola da osservarsi in tutti i nostri monasteri, cioè di suonare la campana alla levata, all’Angelus e via dicendo.
d) Desidero che il piccolo scapolare da tenere la notte venga
soppresso.
e) Come può osservarsi il silenzio dopo le preghiere di ringraziamento alla cena, se dopo si ritorna a ricreazione? quindi si tolga
questo punto. Desidero che il programma del silenzio che attualmente vige in Montoliveto Maggiore sia messo in pratica da tutti
gli altri monasteri, di più silenzio anche per i corridoi, almeno che
il tempo cattivo esiga ciò [sic].
f ) Conversi e ragazzi non prendano parte all’officio divino, sia
anche la Notte di Natale, se non sanno bene le cerimonie e il modo
di salmeggiare.
g) Nessuno che sia stato mandato via da altre religioni [Istituti
religiosi, N.d.R.], s’intende mandato via per qualunque ragione,
137
ENRICO MARIANI
sia ricevuto nella nostra Congregazione.
h) Ben sapendo che quelli che venuti in religione ritornando al
secolo sono peggiori dei secolari, desidero che nessun giovane sia
ricevuto senza aver prima avuto informazioni, e per essere accettato occorre il permesso del Generale e del Superiore immediato
a cui il probando verrà affidato.
i) Credo esser ottima cosa determinare ogni quanto tempo il
Superiore può concedere ai suoi sudditi di andare alla propria casa.
l) Desidero che verso i giovanetti e come tutti non si usino percosse nel correggere.
m) Desidero che quegli studenti, i quali durante l’anno hanno
avuto la media nei punti, siano promossi senza gli esami finali [sic].
n) È utile pel bene della parrocchia che colui che la governa non
venga cambiato almeno prima di tre anni, ma ogni anno passi un
po’ di giorni fra i suoi confratelli.
o) Desidero che gli altri Abbati come il Generale siano ad tem pus.
p) Desidero che tutte quelle case in cui vivono quattro sacerdoti facciano il coro, ed in quelle che ve ne sono due o tre, dicano l’ufficio divino insieme.
<manca lettera)>
r) Sia permesso l’uso dei bagni ogni tanto non solo per i malati,
ma anche per igiene.
138
ABSTRACTS
Abstracts
Il contributo intende presentare ulteriori commenti di monaci olivetani all’instrumentum laboris preparatorio alla stesura delle Costituzioni del 1932. Vengono accluse anche le proposte presentate da alcuni Padri Capitolari al Capitolo generale del 1928, con richiese di modifiche delle Costituzioni del 1886, soprattutto per quanto riguarda il
governo della Congregazione, da cui prese le mosse il lavoro di revisione che avrebbe port a to alla compilazione proprio dell ’instrumen tum laboris.
* * *
Cette contribution présente de nouveaux commentaires de moines
olivétains sur l’i n s t rumentum laboris en vue de la rédaction des Constitutions de 1932. On y joint aussi les propositions présentées par des Pères
Capitulaires au Chapitre général de 1928, avec des demandes de modifications des Constitutions de 1886, surtout en ce qui co n ce rne le gouv e rnement de la Congrégation. Ces demandes furent le point de départ
du travail de révision qui aboutit justement à l’i n s t rumentum laboris.
* * *
This contribution intends to present further comments of Olivetan monks on the instrumentum laboris preparatory to the draft of the
Constitutions of 1932. Also included are the proposed presentations
by some of the Chapter Fathers at the General Chapter of 1928, with
requests to modify the Constitutions of 1886, above all in what concerns the govern a n ce of the Congregation, which came about as a
result of the work of revision which it would have carried out just in
compiling the instrumentum laboris.
139
ABSTRACTS
* * *
La aportaciòn entiende presentar ulteriores comentarios de monjes olivetanos con relación al Instrumentum laboris preparatorio para la
concepción de la Constituciones de 1932. Están también contenidas
en la misma las propuestas presentadas por algunos Padres Capitulares al Capítulo general de 1928, con peticiones de modificaciones a las
Constituciones de 1886, sobretodo por cuanto concierne el gobierno
de la Congregación, de los cuales partieron los trabajos de revisión
que habría llevado a la compilación del propio Instrumentum laboris
140
OSSERVAZIONI INTORNO ALLE BOZZE DELLE COSTITUZIONI DELLA
CONGREGAZIONE DI SANTA MARIA DI MONTE OLIVETO DEL 1932 (II PARTE)
Sarah Lacheré
«HEUREUX LES ÉPIS MÛRS ET LES BLÉS
MOISSONNÉS...»
MÈRE MARIE-PASCAL DICKSON
1904-2004
I. Chemin faisant – II. Au fil de sa plume ou ses maîtres à
penser: 2.1 Son père, Edmond Malo; 2.2 Son époux, Marcel Dickson;
2.3 Son frère et père dans la foi, Dom Paul Grammont; 2.4 Les pères de
l’Ab ba ye du Bec: Herluin, Lanfranc, An s e l m e; 2.5 Les pères de la
Congr é gation de Mont-Olivet: Bx. Bern a rd To l o m e i, S.te Françoise
Romaine – III. La grande épreuve ou le point source – IV. Bibliographie de Mére Marie-Pascal Dickson
Ce 8 mai 2004, Mère Marie-Pascal, moniale-oblate au Monastère Sainte Françoise Romaine, sis à l'ombre de l'Abbaye du BecHellouin, retournait à ce Dieu dont elle avait sans cesse quêté le
visage. Une grande figure de notre Congrégation nous quittait, un
visage qui ne laissait pas insensible et qui a marqué notre histoire.
Sans cesse, elle a scruté cette histoire, a tenté de la déchiffrer grâce à son esprit vif, toujours en éveil. Grande spécialiste de sainte
Françoise Romaine, elle nous laisse de nombreux écrits, et plus
encore peut-être, le vivant portrait d’une fille de sainte Françoise.
I. Chemin faisant
Marie Christiane Malo est née le 23 juillet à Chalon sur Saône,
dans le diocèse d'Autun. Troisième fille d'Edmond Malo, architecte des Monuments historiques, "du Gouvernement" comme on
disait à l'époque, et d'Emilie Lagoutte, elle vient après Huguette,
de deux ans son aînée et Brigitte; to u tes les trois ont de magnifiques cheveux blonds -"trois blonds différents qui faisaient la fierté de
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SARAH LACHERÉ
ma mère"1-. Ils vivent dans leur maison familiale de St Martin sous
Montaigu. Elle est baptisée le 16 août à l'église Saint-Pierre de
Chalon.
Montée à Paris pour ses études supérieures, elle entre à l'École
des Chartes en 1924 et y soutient sa thèse en 1929. Sa carte d'identité la décrit ainsi: 1m 63, yeux gris bleu, teint clair. Elle y rencontre
Marcel Dickson, d'origine écossaise, de quatre années plus jeune
qu'elle. Naît une grande amitié, nourrie de leur foi commune, de
leur quête de Dieu, de la profondeur de leurs intelligences, de leur
commune sensibilité. Ils passent des heures à "philosopher". La
rencontre de leurs âmes fait naître en eux le désir d'unir leurs vies.
Né à Cambray St Géry le 9 mai 1908, fils de Georges Dickson et
de Marce lle Bassay, il est baptisé le 14 mai. Il vit à Poitiers de l'âge de
6 à 18 ans, fait sa première communion à St Hilaire de Poitiers. Le
jour de leur mariage, le 10 décembre 1931, il est domicilié au Mans.
Le mariage a lieu à Chalon sur Saône, dans la paroisse Saint-Vincent.
Marcel est engagé depuis plus de deux ans dans les Équipes
sociales, et en décembre 1929, il lance l'Équipe du Plateau de Gentilly à partir de 17 jeunes ouvriers. On fait appel à lui et à ses
grandes capacités pour donner l'impulsion première aux équipes
de Paris, de Lyon et de Poitiers. Le journal L'Équipier qui porte en
devise "Il faut croire à ce que l'on fait et le faire avec enthousiasme" donne de lui ce témoignage:
"C'était un équipier magnifique, débordant d'enthousiasme. Tout en lui attirait la sympathie dès le premier abord. Sa
démarche avait un je ne sais quoi de jeune et de décidé. Il
avait le secret des poignées de main qui communiquent un
élan, une foi en un idéal. Son regard, son sourire, traduisaient
une joie intérieure profonde, qui laissait l'impression parfois
_______________
1 Au
témoignage de Mère Marie-Pascal les dernières semaines de sa vie.
142
HEUREUX LES ÉPIS MÛRS ET LES BLÉS MOISSONNÉS...»
MÈRE MARIE-PASCAL DICKSON 1904-2004
d'être une joie de gosse, éclatant dans un rire très frais, il
rayonnait de la joie. Soudain, il devenait sérieux, écoutait de
to u te sa puissance d'attention, cherchait à comprendre à
fond la pensée de son inte r l o c u te u r... En quelques phrases
précises et rapides, il donnait son avis. Il n'avait pas son pareil
pour entraîner dans son sillage, tellement il montrait d'intelligence et d'affection... Je le revois au moment du lancement
de Équipe de Gentilly. Élève à École des Chartes, il doutait,
avant son arrivée aux Équipes, qu'il fut possible de parvenir à
une amitié totale avec des jeunes gens si différents de lui par
leur culture et leur vie: il était très intellectuel et se passionnait pour des recherches sur le Moyen Âge... Il résolut de tenter une expérience en s'y donnant tout entier. Il habitait à la
Cité universitaire. Tout près, c'était la "zone", et un peu plus
loin, Gentilly. En décembre 1929, il décide d'aller vers ce u x
qui vivent si près de lui et qu'il ne connaît pas. Après bien des
démarches, il trouve un local pour la future équipe. Sans l'aide d'aucun équipier ancien, il distribue des tracts avec le
concours des futurs enseignants, il va à la sortie du métro, se
promène dans la zone, acco s te les ouvriers. Enfin, un soir,
c'est le "topo" de lancement devant 17 jeunes gens. L'équipe
démarre... Décembre 1933, Boë est parti en prov i n ce. On
cherche un "jeune" pour s'occuper des lancements de nouvelles équipes dans Paris. On propose Dickson. La tâche est
lourde, surtout quand on manque d'expérience. De plus,
Dickson prépare sa thèse à École des Chartes...songez que
Dickson a la charge de son équipe, et qu'il poursuit ses études
en travaillant une bonne partie de la nuit..."2.
Marcel et Christiane vivent à Paris, rue Poultier dans le 4ème
_______________
2 L' Équipier,
journal mensuel, n° 53 (1933, janvier)
143
SARAH LACHERÉ
arrondissement. Christiane travaille à la Bibliothèque Forney,
bibliothèque municipale d'art et d'industrie. En 1932, Ma r cel est
frappé par une grave maladie qui néce s s i te une hospitalisation à
Pasteur. Il fait sur elle ce témoignage auprès d'un ami:
"J'aime beaucoup son sourire qui est très beau, très franc, très
gai, très amical. J'aime beaucoup son allure un peu martiale et
dégagée, son air grave et en même temps volontiers joyeux.
Mais surtout, je sens en elle cette chose que j'ai toujours cherchée... je veux dire une attention sans cesse fixée ailleurs, au-dessus de l'interlocuteur, attirée par un objet supérieur, divin. En
plus de sa vie, en haut de sa vie, il y a cette préoccupation, essent i e lle, qui prime toutes les autres, de chercher Dieu, -pas seulement de lui plaire, mais de le rechercher et de le trouver."3
Marcel meurt à l'hôpital le 14 décembre 1932. Il a alors 24 ans, et ils
sont mariés depuis un an. C'est comme si la vie de Christiane s'arrêtait. Po u rtant, elle est ence i n te, et l'enfant qu'elle porte va devenir le
nouveau moteur de sa vie. Elle continue du mieux qu'elle peut la thèse de Marcel, et le 11 mai 1933, naît un petit garçon qu'elle nomme Pascal. Il est baptisé à la même date que Ma r cel, le 14 mai. Un an et demi
plus tard, Pascal meurt lui aussi, de manière tragique.
Après les drames successifs qui la brisent, elle songe à donner sa vie
à Dieu. Dom Cabrol, alors abbé de Fa rnborough, un monastère fondé par l'Impératrice Eugénie, brillant esprit aux sources du renouveau
liturgique, lui co n s e i lle d'entrer à Vanves, puis se ravisant, à Cormeilles-en-Parisis. Dans une lettre du 20 mai 1936, écrite sur un
papier cadré de noir marquant son statut de veuve, elle demande à
Mère Marie-Élisabeth de Wavrechin de faire une retraite de quelques
_______________
3 Lettre de Ma r cel non datée et inco m p l è te, sans doute écrite à son ami
l'Abbé Christian de Chaunac-Lanzac
144
HEUREUX LES ÉPIS MÛRS ET LES BLÉS MOISSONNÉS...»
MÈRE MARIE-PASCAL DICKSON 1904-2004
jours à Cormeilles, du 30 mai au 3 juin. Elle rencontre d'abord Mère
Marie-Madeleine et dit d'elle-même plus tard: "Je n'ai pas pensé à poser
de questions. Je me donnais à Dieu et puis c'est tout". Elle fait des séjours
s u c cessifs en 1936 et écrit souvent à Mère Marie-Élisabeth:
"Je ne pourrai oublier avec quelle compréhension vous
m'avez tendu la main dans une circonstance si grave, dans un
pas si difficile à franchir."4 "Je ne sais pas encore quand je
pourrai retourner à Cormeilles, bien que ce ne soit pas l'envie qui m'en manque. Tout m'est devenu si étranger ici."5
Un souvenir amusant peut être rapporté ici, trace de ces séjours
et de l'originalité de celle qui frappe à la porte du monastère:
"La sœur chargée du ménage de l'hôte llerie ouvre la porte de
la chambre de Mme Dickson. Il y a un pyjama sur le lit, des
mégots de cigarettes sur la table. Suffoquée, elle referme la
porte et va dire à Mère Prieure: 'il y a un homme à l'hôtellerie'...
Rire de Mère Prieure qui calme la soeur : c'est Madame Dickson !..."6. En avril, Mère Marie-Élisabeth note: "Mme Dickson
m'annonce que ses parents ont accepté son entrée. Elle ira en
Italie avec sa soeur en juin. Elle sera libre à sa bibliothèque vers
le 15 septembre. Sa venue au monastère sera avant octobre."7
En juin, elle part donc en Italie et s'enthousiasme sur tout ce
qu'elle découvre:
_______________
4 Lettre
de Christiane Dickson à Mère Marie-Élisabeth, le 6 janvier 1937
de Christiane Dickson à Mère Marie-Élisabeth, le 10 avril 1937
6 Témoignage de Mère Marie-Françoise de Parseval, moniale du Bec, août
2004
7 De la main de Mère Marie-Élisabeth, le 13 avril 1937, jour de la fête de l'Ascension
5 Lettre
145
SARAH LACHERÉ
"Notre séjour à Rome s'est très bien passé et nous av o n s
reçu le meilleur accueil à Tor de' Specchi. Le monastère est
magnifique et je vous remercie beaucoup de m'en avoir ouvert
les portes. Tous les souvenirs de sainte Françoise m'ont vraiment intéressée, et les fresques qui raco n tent sa vie m'ont
enthousiasmée... J'ai vu Subiaco qui est de to u te beauté, et
c'est trop peu dire. Je serai de retour à Paris le 15 juillet..."8
Le 1er octobre 1937, elle entre au postulat de Cormeilles-en-Parisis.
"Quand elle a annoncé son entrée au monastère, ses amis
lui ont demandé ce qu'elle y ferait, sa réponse fut : 'je ne sais
pas, il y a des moutons'. Elle se donnait à Dieu sans condition.
Elle entrait pour faire "Oblation"9 .
Mère Ma r i e - B e rnard sera sa maîtresse des novices, relayée ensuite par Mère Marie-Anselme Luquet. Celle-ci est son aînée de 5 ans,
et plus tard, leur duo dans la communauté sera long et féco n d .
Quelques mois après son entrée, elle écrit : "je ne vous étonnerai
pas en vous disant que mon ambition n'est pas de devenir une religieuse
i m p e c cable (heureusement que cela ne risque absolument rien)..."10 . E ll e
reçoit l'habit le 20 avril 1938. Elle écrit quelques jours avant à une
amie: "Je voudrais bien faire cela proprement, je veux dire donner à cet
acte tout son sens, mais je crains d'être très au dessous..."11
Tout son être, elle en fait oblation le 18 mai 1939, en la fête de
l'Ascension. Mère Marie-Françoise, une de ses co m p agnes de
noviciat, raconte:
_______________
8 Lettre
de Christiane Dickson, le 23 juin 1937
de Mère Marie-Françoise, moniale du Bec, mai 2004
10 Lettre de Mère Marie-Pascal à Mlle Chédon, le 20 février 1938
11 Lettre de Mère Ma r i e - Pascal à son amie M. Élisabeth de Solms, le 1er
avril 1938.
9 Témoignage
146
HEUREUX LES ÉPIS MÛRS ET LES BLÉS MOISSONNÉS...»
MÈRE MARIE-PASCAL DICKSON 1904-2004
"C'est en 1937 que j'ai vu Mère Marie-Pascal à Cormeill e s ,
peu de temps avant son entrée au Postulat. Je l'y rejoignais en
octobre 1938, alors qu'elle avait reçu l'habit. Je fus vite édifiée
par son observ a n ce humble et fr a te rn e lle, silencieuse, car à
ce t te époque, il n'y avait pas de partage de notre co m m u n
idéal. Mais ce que nous enseignait Mère Marie-Anselme sur la
Règle et la liturgie, nous l'entendions ensemble... En 1939, son
Oblation à l'Ascension fut émouvante dans sa radicalité. Oui,
c'était totalement son don sans condition affirmé clairement.
Nous savions ce qu'elle remettait à Dieu dans le sacrifice de
son mari et de son fils offerts dans sa grande foi..."12.
Mère Marie-Anselme, malade, ne peut as s i s ter au chapitre de
vote pour la profession de Mère Marie-Pascal. Elle donne ce
témoignage écrit à Mère Marie-Élisabeth:
"Obéissance prompte et très exacte. Caractère agréable
pour la vie commune. Très dominée par sa sensibilité. Ne
cache aucune de ses impressions. Certain égoïsme, surto u t
intellectuel. Elle me semble être un sujet particulièrement
riche d'expérience et très compréhensive de notre idéal"13
Son père meurt quelques mois plus tard, le 7 septembre 1939.
Une fois encore, dans la lumière de la fête de l'as cension, elle fait
Oblation perpétuelle le 14 mai 1942. Femme au grand sens pratique,
e lle exercera de nombreuses charges : aide à la ce llererie de Mère
Marie-Augustin, hôtelière, cordonnière, caviste en bonne bourguignonne qu'elle était, chargée des travaux, bibliothécaire, etc. Très
_______________
12 Témoignage
de Mère Marie-Françoise, moniale du Bec, mai 2004
secrète écrite par Mère Marie-Anselme à Mère Marie-Élisabeth, en vue du chapitre d'admission à la Profession, mai 1938.
13 Appréciation
147
SARAH LACHERÉ
vite après sa profession perpétuelle, Mère Marie-Élisabeth la choisit comme Sous-Prieure, voyant en elle quelqu'un pouvant lui succéder. Père Philibert, moine à Cormeilles, dit d'elle "Elle était à la fois
rigoureuse et indépendante; rigoureuse dans son observance monastique et
indépendante dans sa pensée ; à cause de cela, ses avis étaient très écoutés."14
E lle sera Sous-Prieure de 1944 à 1959, jusqu'au moment de la fondation du Liban, où Mère Marie-Élisabeth choisira pour Sous-Prieure
Mère Marie-Anselme. Longtemps co n s e i llère de Mère Marie-Élisabeth, elle jouera un grand rôle avec Mère Marie-Anselme pour faire
reconnaître cette nouvelle vocation de moniales-oblates en France.
Voici deux témoignages sur ce fameux "duo" ou même "trio":
"Entrée au monastère quelques mois avant l'ouverture du
Congrès Anselmien qui s'est tenu à l'Abbaye du Bec en juill e t
1959, j'ai tout de suite été plongée dans la fièvre des préparations et c'est là que j'ai pu commencer à découvrir la personnalité de Mère Marie-Pascal, inséparable pour moi d'ailleurs de
celle de Mère Marie-Anselme. A mes yeux, ces deux anciennes
formaient comme un attelage de deux puissants moteurs, dont
le dynamisme était tempéré et enco u r agé à la fois par celui de
Mère Élisabeth encore très vivant à cette époque, qui tantôt se
communiquait et tantôt se nourrissait de ces deux personnalités... Ayant eu plusieurs fois à leur servir de chauffeur, j'ai été
témoin de cette communion qui circulait sans cesse entre elles
trois, communion toute nourrie de respect mutuel, de grande
franchise, de pensées quelquefois divergentes, mais le to u t
exprimé, reçu, trav a i llé dans le recul de la prière et de la vie
commune part agée et vécue dans un don d'elles-mêmes dont
toute la communauté à bénéficié."15 "Mes souvenirs de Mère
_______________
14 Témoignage
de Père Philibert Zobel, moine du Bec, juillet 2004.
Témoignage de Mère Ig n a ce - Marie Doria, Prieure d'Abu Gosh, juin
2004.
15
148
HEUREUX LES ÉPIS MÛRS ET LES BLÉS MOISSONNÉS...»
MÈRE MARIE-PASCAL DICKSON 1904-2004
Marie-Pascal avec Mère Élisabeth sont très lointains. C'était
une ancienne qui m'impressionnait par sa science, son histoire
p e r s o n n e lle, sa position de référence dans la communauté. Je
me souviens d'elle avec Mère Marie-Anselme dans leur marche
vers l'Abbaye et leurs échanges inte llectuels interminables."16
Nous ne pouvons pas, dans le cadre de cet article, retracer toute l'histoire de Cormeilles et du Bec et le rôle qu'a pu jouer Mère Marie-Pascal dans ses différentes étapes. Notons simplement que lorsque en 1947,
l'Abbaye du Bec fut proposée de façon inattendue aux moines de Corm e i lles, les difficultés administratives furent aplanies grâce à l'intervention du professeur Gabriel Le Bras, ami de Mère Marie-Pascal. Lorsque
l'Abbaye se lança dans l'aventure charismatique dans les années 19721973, Mère Marie-Pascal, après une farouche opposition, entra pleinement dans le Renouveau, donnant à l'Esprit une part plus grande
en sa vie.
Le plus important, sans doute, est que durant toutes les péripéties de
la vie des communautés, elle joua un grand rôle de soutien auprès des
prieures successives, par ses conseils, sa vie, sa joie. Citons par exemple
ces lignes écrites après une réponse venant de Rome, très opposée à la
vocation des moniales-oblates:
"Ce matin, j'étais heureuse de cet évangile de la Cananéenne,
et je suppliais Dieu, que voyant votre foi, il vous dise aujourd'hui...
O femme, ta foi est grande, qu'il te soit fait selon ta foi. En quittant la Bibliothèque Nationale ce soir, je suis passée à Notre
Dame des Victoires comme je le fais toujours dans les cas désespérés et j'ai prié... sainte Françoise. Il faut qu'elle nous sauve. Je
suis sûre que Dieu le fera, qu'Il n'est pas à court de moyens..."17
_______________
16 Témoignage
de Sr Jean-Paul Héron, moniale d'Abu Gosh, juin 2004
17 Lettre de Mère Marie-Pascal à Mère Marie-Élisabeth, Vanves, le 6 mars 1952.
149
SARAH LACHERÉ
Une profonde vision de ce que Dieu veut accomplir par Mère
Marie-Élisabeth et Père Abbé Paul l'habitera sans cesse : "Tra vaillons ensemble dans l'amour à cette oeuvre une que Dieu nous deman de."18 "je veux être votre enfant parce que Dieu m'a donnée à vous et qu'il
vous a confié une oeuvre qui nous dépasse."19 Elle a certainement eu le
don de mettre en mots pour Mère Élisabeth ce dessein de Dieu.
"Dès leur première rencontre, en juillet 1932, Mère Élisabeth et Père Abbé Paul pressentirent une volonté de Dieu qui les
destinait à faire oeuvre commune. Les conditions extérieures
ne leur offraient alors aucune ouverture possible, mais leur
co n ception essentielle de la vie monastique co m p o rtait la
même radicalité. Pour Mère Élisabeth, c'est à Rome auprès de
sainte Françoise Romaine qu'elle en avait puisé l'intell i g e nce... C'est sur ce terrain d'une même co n ception de la vie
monastique dans son essence la plus profonde, que s'est nouée
l ' a ll i a n cedes deux communautés."20
A la fin de sa vie, elle décrit ainsi son rôle dans l'histoire des
communautés:
"En fait, je n'ai été qu'un rouage, un témoin dans l'élaboration de l’œuvre du Bec à laquelle le Seigneur destinait nos
communautés. Je n'avais qu'à suivre Mère Élisabeth et Père
Abbé Paul qui tous deux écoutaient les évènements comme
paroles de Dieu, et marchaient, sans savoir bien souvent s'il
s'agissait d'av a n ce ou de recul, mais ils étaient conduits...
_______________
18
Lettre de Mère Marie-Pascal à Mère Marie-Élisabeth, le 23 novembre
1944
19 Lettre de Mère Marie-Pascal à Mère Marie-Élisabeth, avril 1945
20 «Dom Paul Grammont et la renaissance monastique de l'Abbaye du Bec»
par Mère Marie-Pascal, dans Les Amis du Bec-Hellouin, n° 88 (1989, décembre),
p. 20-23
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HEUREUX LES ÉPIS MÛRS ET LES BLÉS MOISSONNÉS...»
MÈRE MARIE-PASCAL DICKSON 1904-2004
marche dans l'obscurité que la foi seule soutient et nourrit.
Quand on se retourne pour voir le chemin parcouru, on reste étonné de cette main de Dieu qui maintenait toute chose
dans la ligne de sa Volonté. Que ce soit recul ou avance, obstacles ou marche libre, tout cela n'était que lignes courbes,
comme Dieu seul sait en tracer pour écrire droit et aboutir à
la réalisation de sa volonté. Pour les acteurs de l'oeuvre, la foi
seule doit leur suffire, dans une écoute attentive et inlassable,
malgré les échecs apparents, et assurer leur marche. Elle ne
peut les tromper, si rien ne vient entraver la rectitude de cette foi. Voilà comment je vois le développement de l'oeuvre à
laquelle j'ai pris part dans l'obscurité, mais aussi, je dois dire,
dans l'obéissance à une Volonté à laquelle j'ai cru..."21
A la question qui lui était posée juste avant sa mort : "Ma mère,
quelle a été votre principale qualité ?", elle répondait "ma confiance dans
le Seigneur", et c'est de cela que témoigne toute sa vie. Elle meurt à
l'aube du 8 mai 2004, dans une paix profonde, ayant remis toute sa
co n f i a n ce en Dieu dans l'"action de grâces pour le labeur quotidien
incessant jamais refusé et ce long enfantement d'une oeuvre que Dieu luimême dirige par les voies qui sont siennes."22
II. Au fil de sa plume ou ses maîtres à penser
2.1. Son père, Edmond Malo
C'est au cœur même de sa famille que Christiane délia son
_______________
21 Lettre de Mère Ma r i e - Pascal à Sr Françoise-Elisabeth, moniale d'Abu
Gosh, le 13 février 1994.
22 Vœux de Mère Marie-Pascal à Mère Marie-Élisabeth, pour ses 25 ans de
profession, le 15 août 1950.
151
SARAH LACHERÉ
esprit et apprit à le toujours tenir en éveil. Son père joua en ce sens
un grand rôle et l'encouragea à faire École des Chartes. Dans la
p r é f a ce de la thèse qu'elle y soutient en 1931 sur les Églises
romanes de l'ancien diocèse de Chalon, on peut lire:
"Elle avait souvent parco u ru la région avec son père,
Edmond Malo, archite c te des Monuments historiques à
Chalon. Pendant deux années, elle visita les églises, releva les
plans, prit des photographies, nota les caractères co n s t ructifs et décoratifs, rechercha les faits historiques qui pourraient aider à préciser les dates."23
Lorsque la thèse sera imprimée quelques années plus tard chez Protat, elle la dédicace à ce père aimé et admiré : "A l'infatigable animateur
de ce travail, au guide et à l'ami, notre père, Edmond Malo, ce livre est dédié".
2.2 Son époux, Marcel Dickson
La thèse de Christiane fut très remarquée, et elle en synthétisa les
résultats dans le Bulletin monumental de 1931. Aidée par Marcel, son
époux, elle reprit le travail et le compléta. La thèse fut éditée quatre
années plus tard chez Protat sous leurs deux noms : Marcel et Christiane Dickson. Tous les deux chartistes et spécialistes du Moyen
Âge, leurs esprits se rencontraient et se stimulaient. Mère MariePascal évoquait souvent leurs longues conversations. Deux autres
textes sont signés de leurs deux noms, dont un texte dactylographié
de quelques pages, très attachant, intitulé: Comment visiter une égli se?24 Le texte commence ainsi, typique de leur pensée originale:
_______________
23
Les Églises romanes de l'ancien diocèse de Chalon : Cluny et sa région, par Marcel et Christiane Dickson. - Mâcon : Protat, 1935.
24 Comment visiter une église ?, Christiane et Marcel Dickson. - 7 p. dactylogr. - Archives du Monastère Sainte Françoise Romaine.
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HEUREUX LES ÉPIS MÛRS ET LES BLÉS MOISSONNÉS...»
MÈRE MARIE-PASCAL DICKSON 1904-2004
"Qui se confie à la pierre ne sera pas déçu" (citation de
Paul Claudel, dans l'Annonce faite à Marie). Avant tout, deux
conseils pratiques : 1) entrer tout de suite dans l'église et visiter l'intérieur avant l'extérieur, parce que c'est le premier qui
commande et explique le second ; 2) entrer par une porte
latérale : ne pas aborder une église (ni la photographier) dans
son axe, car, de ce point, l'édifice ne révèle que l'élément vertical de son ossature. Une série de lignes verticales qui se
confondent en se rapprochant faussent la vue d'ensemble des
éléments essentiels et de leur lien naturel..." Le texte se termine par cette autre citation de Claudel: "Je crois que Dieu
est ici bien qu'il me soit caché."25
La grande affaire qui occupa Marcel, puis Marcel et Christiane,
puis Christiane seule, fut la rédaction de la thèse de Marcel pour
lÉcole des Chartes. Marcel était un brillant élève et sur son image
mortuaire est donné ce témoignage d'un de ses professeurs:
"Marcel Dickson était un érudit de grand avenir, sa haute
culture philosophique et son esprit investigateur, largement
ouvert aux spéculations les plus élevées de la pensée médiévale, nous donnaient à nous qui avions contribué à sa formation intellectuelle, les plus légitimes espérances ".
Ayant fait deux années de lice n ce en droit, archiviste paléographe de la promotion 1931, il prépare une thèse d'histoire de la
philosophie scolastique en travaillant la vie et l'oeuvre du Cardinal
Robert de Courson. Tout le temps de sa maladie, Christiane va
l'aider dans ses recherches, et en 1934 sera éditée sous leurs deux
_______________
_______________
25 Cinq grandes odes, suivies d'un processionnal, par Paul Claudel. - N.R.F., 1919,
p. 189-191.
153
SARAH LACHERÉ
noms la première partie de la thèse sur la vie du Ca r d i n a l26. Ell e
n'aura de cesse, après la mort de son mari, de continuer sa thèse ;
elle écrit en 1938:
"Vous ai-je dit que je continuais la thèse de Marcel sur le
Cardinal de Courson par l'édition de la Somme du dit Cardinal. C'est un travail terriblement long et minutieux qu'il faut
mener à bien, car je ne puis donner une oeuvre médiocre sous
le nom de Marcel. Priez-le qu'il m'aide efficacement pour que
je puisse vraiment donner ce travail comme il l'aurait voulu
lui-même ; et que je ne fasse pas honte à sa mémoire. Après
des années d'arrêt, je suis bien rouillée dans le travail, je n'ai
pas assez lu et je ne suis plus au courant des ouvrages sur ce
sujet. Il me faut reprendre tout cela. Mais ceci dit, je suis bien
heureuse de le faire et il m'intéresse énormément. Courson
est un théologien doublé d'un juriste -Ma r cel disait, plus
théologien que juriste-, qui avec des complications de pensée
invraisemblables a parfois des lueurs magnifiques et des vues
très hautes et très fortes... Dans l'ensemble une charité
inouïe déborde, charité vigoureuse, nullement faiblarde, avec
un sens aigu de la nécessité de Dieu..."27
L'aventure prendra parfois les allures des apparitions et disparitions du monstre du Loch Ness. En 1945, elle fait un séjour en
famille afin d'avancer la thèse, comme le lui demande Mère
Marie-Élisabeth:
_______________
26 Le Cardinal Robert de Courson : sa vie , par Marcel et Christiane Dickson. Paris : Vrin, 1934. – dans Archives d'histoire doctrinale et littéraire du Moyen Age,
p. 53-142 et 369-375
27 Lettre de Mère Marie-Pascal à l'Abbé Christian de Chaunac-Lanzac.
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HEUREUX LES ÉPIS MÛRS ET LES BLÉS MOISSONNÉS...»
MÈRE MARIE-PASCAL DICKSON 1904-2004
"Mon travail av a n ce péniblement ces jours-ci... c'est un
monde..."28 "je travaille tant que je peux pour avancer le plus
possible, mais c'est long et difficile. En tous les cas, il y aura
toujours un bon travail de fait, mais évidemment bien loin de
la totalité."29 "Il est de toute évidence qu'une grande partie
de ce qui restera ne pourra être fait qu'à Paris avec l'aide de
la Bibliothèque Nationale et de quelques personnes qui voudront bien me prêter un concours indispensable."30
En 1951-1952, Mère Marie-Pascal est envoyée chez les bénédictines de Vanves, près de Paris, pour pouvoir continuer, et Mère
Marie-Élisabeth l'espère, terminer la thèse. "Mon travail marche
assez bien. J'ai presque fini la question du mariage qui est la plus importan te de toutes (91 pages dactylographiées)... Je vais entreprendre L'Eucharis tie le jour de la Pentecôte et je suis sûre que cela ira très bien."31 En 1953,
elle sera envoyée au Mesnil St Loup pour continuer le travail; on
trouve encore trace de recherches faites à Troyes en 1961, puis il
semble que Mère Marie-Pascal, prise par d'autres travaux et
recherches, renonce au projet, laissant dormir les innombrables
fiches qu'elle a réalisées, dans l'attente de jours meilleurs.
2.3 Son frère et père dans la foi, Dom Paul Grammont
En 1936, elle se to u rne vers le monastère de Cormeilles. En
mai 1937, quelques mois avant son entrée, Mère Élisabeth
conseille à Christiane d'aller éco u ter le Père Paul Grammont
qui donne une co n f é r e n ce au 29, rue Saint-Gu i llaume. Ce sera
la première rencontre et le premier éblouissement. Père Pa u l
_______________
28 Lettre
de Mère Marie-Pascal à Mère Marie-Élisabeth, le 3 août 1945
de Mère Marie-Pascal à Mère Marie-Élisabeth, le 7 août 1945
30 Lettre de Mère Marie-Pascal à Mère Marie-Élisabeth, le 14 août 1945
31 Lettre de Mère Marie-Pascal à Mère Marie-Élisabeth, le 24 mai 1952
29 Lettre
155
SARAH LACHERÉ
revient de Rome où il a fait sa théologie de 1933 à 1936. Là, il
continue son doctorat à Paris à L'Institut Catholique. Elle dira
de lui: " Sa pensée a fait naître ma pensée. "
En 1942, l'année de sa profession perpétuelle, Père Pa u l
s'adresse à la latiniste qu'elle est pour la traduction du Proslo gion de saint Anselme. C'est Dom Stoltz, un de ses brill a n t s
professeurs de Rome qui lui a fait découvrir saint Anselme, et
ce bien avant qu'il ne soit question du Bec.
"Ce matin, j'ai vu le Père Prieur au sujet du Proslogion et
j'ai hâte de venir vous redire ce qu'il m'en a dit... To u t
d'abord le Père Prieur trouve que la traduction est bonne,
q u ' e lle rend bien la pensée générale et qu'elle peut
paraître te lle que. Il m'a seulement expliqué une nuance
théologique au sujet de la phrase pour laquelle j'avais eu
une hésitation..."32
La traduction paraîtra dans le n°8 de la revue de Cormeilles,
Sanctae Ecclesiae, intitulé: "Lumière de foi". Lorsqu'en 1948-1949
les communautés de Cormeilles s'installent au Bec, Mère MariePascal reçut avec une grande joie intérieure l'héritage de ce lieu
dans les pères qui en marquèrent les origines.
2.4 Les pères de l'Abbaye du Bec : Herluin, La n f ranc, Anselme
C'est ainsi qu'elle retrouvait Anselme, et qu'elle découvrait He rluin et Lanfranc. Ayant pris la suite de Sœur Marie-Joseph de Coster comme bibliothécaire à Cormeilles, elle s'occupe du déménag ement de la bibliothèque. Elle a l'idée géniale de placer les livres dans
des caisses à oranges dans leur ordre de classement, si bien que c'est
_______________
32 Lettre
de Mère Marie-Pascal à Mère Marie-Élisabeth, le 25 juillet 1942
156
HEUREUX LES ÉPIS MÛRS ET LES BLÉS MOISSONNÉS...»
MÈRE MARIE-PASCAL DICKSON 1904-2004
une bibliothèque classée, et accessible (ou presque) qui prendra le
chemin du Bec. Elle restera bibliothécaire jusqu'à la fin du siècle, et
assurera ce serv i ce avec une grande co m p é te n ce. Elle inaugurera
pour l'estampill age des livres le tampon " Sainte Françoise du Bec".
La grande "affaire" qui occupa les communautés autour des
années 1959, fut la préparation du Congrès anselmien. Dès 1955, on
trouve trace des préparatifs:
"J'ai vu Le Bras ce matin. Il a été on ne peut plus gentil et nous
avons parlé ensemble comme de vieux amis. Il m'a posé mill e
questions sur le Bec... Il veut bien faire partie du Comité de patron age et faire une brève communication... Il ne demande pas
mieux que de voir le Père Abbé à ce sujet... Il m'a donné toutes
sortes de noms de conférenciers possibles... J'en ai parlé aussi à
Mérèse qui m'a aussi donné une ou deux indications, et je dois
encore consulter, sur le conseil de Le Bras, les tables de la Revue de
théologie ancienne et médiévale pour y trouver des noms..."33
La perspective du Concile imprime un élan à ce projet, lui donnant
une dimension inte rnationale et oecuménique. Le congrès se tint à
l'Abbaye du 7 au 12 juillet 1959, à l'occasion du 9ème centenaire de l'arrivée d'Anselme au Bec. Mère Marie-Pascal fut chargée d'une part i e
de la logistique, et retrouva ses anciennes fonctions d'hôtelière, en
aménageant pendant plus de 6 mois le Vieux Moulin et les autres maisons afin d' accueillir les membres et participants du Congrès. Ce
Congrès pour qui l'a vécu, fut inoubliable, tant par la qualité des inte rventions, que par les évènements qui en ponctuèrent le développement: inauguration de la nouvelle église aménagée dans l'ancien
réfectoire mauriste; transfert du corps d'Herluin de l'église paroissiale à la nouvelle église. Ce fut aussi comme une reconnaissance officiel_______________
33 Lettre
de Mère Marie-Pascal à Mère Marie-Élisabeth, le 11 juin 1955.
157
SARAH LACHERÉ
le des communautés. Des actes du Congrès furent publiés en 1959
chez Vrin34. A la fin du volume sera publiée en avant-première l'introduction à l'étude critique du Coutumier du Bec -édition que Dom
Grammont avait demandé à Mère Marie-Pascal de réaliser, et ce, dans
la perspective du Concile. Dom Hallinger qui dirigeait ce travail permit cette publication qui mit à la portée du public et des spécialistes
le meilleur des conclusions de Mère Marie-Pascal, et comme le dit
Dom Grammont dans son mot d'introduction: "L'étude dégage à travers
des coutumes qui ont persisté au cours de plusieurs siècles, les lignes essentielles
qui ont caractérisé l'abbaye du Bec, dirigé sa vie et lui ont conféré sa physiono mie originale parmi les monastères normands." Nous y reviendrons plus
loin. Le Congrès anselmien fut aussi l'occasion pour Mère Marie-Pascal de travailler les textes d'Anselme et de faire paraître, en 1960, un
Saint Anselme35 regroupant des textes choisis du docteur angélique,
qu'elle traduit et présente: la préface du Monologion, le Proslogion dans
son entier, les 10 premiers chapitres du Cur Deus Ho m o, la Méditation
III sur la Rédemption de l'homme, la Lettre à Lanzon, nov i ce à Cluny qui
livre la pensée d'Anselme sur la vie monastique -une sorte de règle du
moine-, sa Lettre à Baudouin, roi de Jérusalem, ainsi que l'Épître sur les
sacrements de L'Église et l'Oraison III pour recevoir le Corps et le Sang
du Seigneur. Dans son introduction, elle note: "Rien ne vaut, pour la
connaissance d'une oeuvre, un contact direct qui n'est point gêné par une inter prétation étrangère, quelle qu'elle soit." Te lle est bien la méthode qu'elle a
toujours adoptée pour travailler un auteur et pour découvrir un père.
On peut noter ici trois traits caractéristiques de son travail, de
sa méthode, principes fondamentaux de sa formation à École des
Chartes:
_______________
34
«Introduction à l'édition critique du Coutumier du Bec», par Mère
Marie-Pascal Dickson, dans Spicilegium Beccense I : Congrès international du 9ème
centenaire de l'arrivée d'Anselme au Bec. - Paris: J. Vrin, 1959. - p. 599-632.
35 Saint Anselme. Textes choisis et présentés par Mère Marie-Pas cel Dickson. - Namur : Ed. du Soleil levant, 1960. - (Les Écrits des saints).
158
HEUREUX LES ÉPIS MÛRS ET LES BLÉS MOISSONNÉS...»
MÈRE MARIE-PASCAL DICKSON 1904-2004
- le contact direct, et si possible dans la langue originale, avec les
écrits de l'auteur que l'on travaille;
- un apparat critique toujours développé et vérifié minutieusement;
- une bibliographie fouillée afin de donner aux lecteurs les clés
de la recherche.
L'édition du Coutumier du Bec, suivant ces trois principes,
demanda à Mère Marie-Pascal un travail colossal. Elle fut publiée
dans le Corpus Consuetudinum monasticarum36 dirigé au Collège
S a i n t -Anselme de Rome par Dom Kassius Hallinger, co n j o i n tement aux Constitutions de Lanfranc (tome III de ce même Corpus). Germaniste, elle séjourna en 1964 à l'Abbaye de Varenzell
ainsi qu'à l'Abbaye de Fulda pour mettre au point l'apparat critique de cette édition. L'avant-propos du volume dit:
"Tandis que les coutumes de Lanfranc reflètent le rayonnement de l'ère bourguignonne jusque dans l'Angleterre normande, il ressort du texte du Bec, édité pour la première fois
par M.M.P. Dickson... que ce point de vue est irrecevable
pour le Bec. Ce n'est pas qu'il n'y ait aucun rapport avec Cluny, mais, grâce à la recherche exposée en 60 points, il s'est
trouvé que les formules du Bec contredisent 53 fois celles de
Cluny. Ceci étonne d'autant plus que Lanfranc était luimême sorti du Bec. Il ne peut donc plus être admis que les
Décrets de Lanfranc reflétaient les coutumes normandes de
son Abbaye d'origine. Le Bec ne se rattache pas à la Tradition
d'un cercle déterminé ; au contraire, il reste ouvert à de nom_______________
36 Corpus consuetudinum monasticaru m, tome IV: Consuetudines Beccenses, éd.
par Mère Marie-Pascal Dickson. - Siegburg: F. Schmitt, 1967. Le coutumier
du Bec co n tenu dans le tome IV était publié dans le même volume que le
tome III contenant les Constitutions de Lanfranc.
159
SARAH LACHERÉ
breux centres monastiques. Les coutumes de ce monastère,
désormais éclairées pour la recherche, et sur le contenu et la
valeur desquels M.M.P. Dickson donne de particuliers éclaircissements, constituent le terrain sous-jacent sur lequel a pu
se développer une vie spirituelle de haute classe, qui a permis
l'efficacité d'un Lanfranc et d'un Anselme. La préparation de
ce 4ème tome a exigé une puissance de travail et une très grande discipline due à l'importance des recherches."37
Et l'avant-propos continue, non sans une pointe d'humour
"germanique":
"La révision et la mise en page pour l'impression de ce volumineux manuscrit n'ont pu être faites sans que les formules du
Bec aient dû souvent être éclairées pour dévoiler leur signification cachée. De cette manière, il en est résulté un allègement
pour l'apparat, mais non une accélération pour l'impression."38
En effet, la rigueur intellectuelle de Mère Marie-Pascal pouvait
tendre parfois à l'obsession. Mais le texte conclut ainsi: "Pour tou te la peine et le dévouement apportés, nous adressons nos sincères et cordiaux
remerciements à l'auteur M.M.Pascal Dickson."39
Ce travail la fit entrer dans la grande tradition du Bec, dans
l'oeuvre monastique de Lanfranc et d'Anselme, et lui fit mettre au
jour cette "liberté de Église du Bec" qui lui tenait à coeur. Elle l'explicita lors d'une session monastique au Bec en septembre 197340.
_______________
37 Avant-propos pour les 3ème et 4ème tomes du Corpus consuetudinem
monasticorum
38 id.
39 id.
40 La Liberté de l’Église du Bec, par M.Marie-Pascal Dickson. - 13 p. dactylogr. - Conférence donnée à la Session monastique , Abbaye du Bec, septembre
1973. - Archives du Monastère Sainte-Françoise Romaine.
160
HEUREUX LES ÉPIS MÛRS ET LES BLÉS MOISSONNÉS...»
MÈRE MARIE-PASCAL DICKSON 1904-2004
Le Renouveau charismatique battait son plein et avait d'une certaine manière dilaté son coeur et son inte ll i g e n ce. Elle mit en
lumière dans la co n f é r e n ce qu'elle donna, ce au travers des trois
pères fondateurs du Bec : Herluin, Lanfranc et Anselme, la valeur
incomparable de l'obéissance qui libère, thème sur lequel elle
reviendra avec sainte Françoise: "Libérée dans l'obéissance, offerte dans
l'amour, Françoise remet tout au Dieu qui, seul, comble son désir"41.
Parmi ces travaux sur les origines du Bec, citons la traduction
qu'elle fait de la Vie d'Herluin, fondateur et premier abbé du Bec,
relatée par son disciple Gi l b e rt Crépin42. Lors d'un co lloque à
l'Abbaye bénédictine Sainte - Marie de Paris en 1980, elle fit une
contribution sur Herluin43, qui sera publiée trois ans plus tard.
Elle rédigera également sur Herluin une notice en 1988 pour le
Dictionnaire d'histoire et de géographie ecclésiastiques. Notons encore
une lettre de Lanfranc à la Reine d'Écosse, Margaret, qu'elle traduit en 199044.
Avant d'évoquer son travail sur les fondateurs de Mont-Olivet,
mentionnons ici, comme commune source de tous ces pères (tant
du Bec que de Mont-Olivet), sa libre traduction de la Règle de saint
Benoît qu'elle réalisa en 1968. Elle la présente ainsi dans sa préface :
"Pr é f a ce indispensable à ce t te re-lecture de la Règle de saint
Benoît - Le texte qui est présenté ici ne se donne pas pour une traduction littérale de la Règle. La Règle de saint Benoît a été fréquem_______________
41Répons
de la fête de sainte Françoise, d'après le texte d'une de ses visions
42La vie de saint Herluin relatée par son disciple Gilbert Crépin , trad. du latin par
Mère Marie-Pascal Dickson. - Le Bec-Hellouin : les Ateliers du Bec, 1961
43 « Quelques aspects de la personnalité d'Herluin, fondateur de l'Abbaye
du Bec », par Mère Marie-Pascal Dickson. - Droz, 1982. Dans Sous la Règle de
saint Benoît : structures monastiques et sociétés en France du Mo yen Âge à l'époque
moderne, Abbaye bénédictine Sainte-Marie de Paris, 23-25 octobre 1980, p.
107-123.
44 Les Amis du Bec-Hellouin, n° 91 (1990, septembre), p. 33-34.
161
SARAH LACHERÉ
ment et fort bien traduite. Il ne s'agissait donc pas de reprendre ce travail, mais de donner, dans la mesure du possible, une re-lecture de cette Règle pour notre temps. Et ceci non pas en supprimant ce qui relève de coutumes périmées, mais en s'attachant, par une certaine interprétation de quelques termes, à rendre l'essentiel de ce t te vie
monastique..." Donnons-en un exemple : "...grâce à cette vie de lumière qui nous est proposée, nous devons nous hâter d'agir, accordés à ce
qui offre pour nous valeur d'éternité." (Prologue de la Règle, 43-44)
2.5 Les pères de la Congrégation de Mont-Olivet : Bx Bernard Tolomei,
Ste Françoise Romaine
Toute subjuguée qu'elle était par le riche héritage de l'Abbaye
du Bec, Mère Marie-Pascal ne s'intéressa que tardivement à la
Congrégation de Mont Olivet. Sa première contribution à l'histoire de la Congrégation remonte à 1972 -elle avait alors 68 ans- et eut
pour objet le premier siècle de son histoire45.
Dans le magnifique travail réalisé au sein de la Congrégation
pour mettre à la disposition de tous en latin et en français les
te x tes primitifs: Re ga rdez le rocher d'où l'on vous a taillés46, Mère
Marie-Pascal eut pour part la présentation des Constitutions de
1350/136047. Elle y souligna la parenté de la vie des premières communautés olivétaines avec celle de la première communauté chrétienne décrite dans les Actes. C'est là qu'elle mit -comme prophé_______________
45 «La Congrégation bénédictine de Mont-Olivet au premier siècle de sa
fondation et sa place dans l'histoire de l'Ordre». - Siena: Monte Oliveto Maggiore, 1972. - Dans Saggi e Ricerche nel VII centenario della nascita del B. Bernardo
Tolomei, 1272-1972, p. 25-47
46 Regardez le rocher d'où l'on vous a taillés : documents primitifs de la Congréga tion bénédictine de Mont-Olivet : texte latin et trad. française, par les moines de
l'Abbaye de Maylis - Abbaye de Maylis, 1996. - 478 p.
47 «Constitutions de la Congrégation du Mont-Olivet de 1350/1360», dans
Regardez le rocher d'où l'on vous a taillés, p. 127-203.
162
HEUREUX LES ÉPIS MÛRS ET LES BLÉS MOISSONNÉS...»
MÈRE MARIE-PASCAL DICKSON 1904-2004
tiquement- en lumière le concept de communion comme charisme essentiel de la Congrégation. Rejoignant là un courant d'éveil
et de recherche, on peut dire qu'elle est à la source d'un renouveau
de la Congrégation et du travail de relecture des Constitutions de
2001. Frère Luigi Gioia de l'Abbaye de Maylis avec qui elle a entretenu une profonde relation et amitié à la fin de sa vie lui écrit au
sujet de cette intuition:
"...ecclésiologie de communion que votre étude a si grandement aidé à redécouvrir comme étant à la racine même du
charisme de nos fondateurs. Je dois même dire que votre étude sur les Constitutions de 1350/1360 a été le point de départ
de toute une réflexion d'abord personnelle et puis menée au
sein de la CoReCo -Commission pour la révision des Constitutions- dont la justesse et la fécondité ont été confirmées par
la quasi-unanimité avec laquelle le Chapitre Général extraordinaire en a fait sien les applications..."48
Dans son ouvrage tout récent sur l'esprit de la famille monastique de Mont-Olivet49, Frère Luigi dit ceci:
"C'est à Mère Marie-Pascal, moniale-oblate de Notre
Dame du Bec, que revient le mérite d'avoir mis en lumière le
rôle central et la fécondité de la notion de communio chez nos
pères. Elle a été à la source de la redécouverte de cet aspect
essentiel de l'esprit et de la grâce des initiateurs de Mo n te
Oliveto et on peut lui attribuer le mérite de la fécondité que
_______________
48 Lettre de Frère Luigi Gioia, moine de Maylis à Mère Marie-Pascal, le 1er
septembre 2002.
49Bernardo Tolomei e lo spirito della famiglia monastica di Monte Oliveto, par Frère Luigi Gioia ; avec trad. française et anglaise. - Siena : Abbazia di Monte Oliveto, 2004. - 177 p. - (Quaderni di Monte Oliveto; 01).
163
SARAH LACHERÉ
ce t te redéco u v e rte a déployée jusqu'à son premier aboutissement, celui de la révision des Constitutions de 2001."
C i tons ici quelques lignes de sa main écrites à la fin de sa vie
d'une écriture toute tremblée à propos de la vision de l'échelle du
Bx Bernard et appuyant cette intuition:
"S'il est vrai que l'histoire est une science qui se construit
avec des faits concrets, il n'en est pas moins vrai que ces faits
sont issus d'une germination, laquelle donne naissance à une
réalité vivante. Celle-ci se poursuivra avec tous les éléments
de la vie ; elle sera donc soumise au développement et à une
évolution qui n'en altère pas la vérité première. Il s'agit ici du
charisme fondateur de la Congrégation olivétaine. La vision
de l'échelle (depuis ce lle de Ja cob) n'a cessé d'informer les
récits biographiques des contemplatifs. Comme tout évènement imaginaire (du moins à ce que l'on croit), elle n'a pas de
signification positive dans l'histoire en tant que science. Or,
celle que Bernard a contemplé me semble apporter une signification particulière à ce qu'on peut appeler le charisme du
fondateur. Tout d'abord, ce t te vision aurait été d'assez
longue durée, ce qui semble inhabituel dans ce genre d'évènements. Ici, la durée semble appeler l'attention du visionnaire sur un point important, un dire de Dieu particulier, un
message qui lui est adressé directement par le Seigneur. Elle
lui permet de ne pas en rester à une grâce personnelle mais
d'annoncer un message qui doit informer toute la vie monastique qui est entre ses mains. Ici, nous arrivons à un point
tout à fait positif de l'évènement. Comme la vision se prolonge, Bernard, sans doute, pour une compréhension plus large
de la grâce qui lui est faite, appelle un certain nombre de ses
frères à co n templer, et à comprendre par là qu'ils sont euxmêmes appelés à entrer dans le mouvement fondateur de
164
HEUREUX LES ÉPIS MÛRS ET LES BLÉS MOISSONNÉS...»
MÈRE MARIE-PASCAL DICKSON 1904-2004
communion qu'illustre la vision."50
La grande oeuvre de Mère Marie-Pascal au coeur de la Congrégation fut de trav a i ller sainte Françoise Romaine. Son premier contact
avec elle à Rome en juin 1937 fut une rencontre profonde et décisive ; comme Françoise, elle avait été épouse et mère ; elle rejoignait
là l'expérience profonde qu'avait fait Mère Élisabeth lors de son
pèlerinage à Rome en 1919 -expérience qui fut pour to u tes les deux
le moteur de leur vie de foi, comme si elles avaient reçu, comme tant
d'autres avant et après elles, une part de l'esprit de Françoise.
Mère Marie-Pascal y trav a i lle pour la première fois en 1962, au
d é p a rt en vue de la fête de Mère Élisabeth, sur l'oeuvre monastique
de Françoise. A la demande de Père Philibert, le texte sera publié
dans les Amis du Bec51. Dom Lugano, moine de Sainte-Marie la Neuve
à Rome avait publié dès les années 1923 les principaux textes relatifs
à la fondation de sainte Françoise. Ses articles avaient été traduits de
l'italien et publiés dans la revue de Cormeilles, Sanctae Ecclesiae52.
C'est sur ce magnifique travail que Mère Marie-Pascal s'appuiera.
En 1978, elle fait une communication en italien lors du second
Incontro di Monte Oliveto Maggiore, les 12 et 13 septembre. Elle
sera publiée dans la revue L'Ulivo53 l'année suivante et porte sur la
filiation de la communauté du Bec avec sainte Françoise Romaine.
En 1983, le VII In contro de Mont Olivet sera consacré à sainte
_______________
50 Notes manuscrites de Mère Marie-Pascal, 2001 ? - Archives du Monastère Sainte-Françoise Romaine
51 «Sainte Françoise Romaine : son oeuvre monastique, témoignage ecclésial». par Mère Ma r i e - Pascal Dickson, dans Les Amis du Bec- He l l o u i n, n° 4
(1962, octobre), p. 21-25
52Sanctae Ecclesiae, 27ème année (1946, avr. et juil./oct.)
53 « Le monache-oblate di Notre Dame du Bec, figlie di S. Francesca Romana », par Mère Marie-Pascal Dickson, dans L'Ulivo, nlle série, n° 1 (1979, janvier/mars), p. 33-40.
165
SARAH LACHERÉ
Françoise, en vue de la préparation du 6ème centenaire de sa naissance (en 1384). Mère Marie-Pascal y donne à nouveau une communication en italien sur la spiritualité de sainte Françoise54. Elle
en relève trois caractéristiques: le puissance d'oblation, la polarisation sur le Christ et la réceptivité silencieuse. Lors de ces rencontres de Mont Olivet, Mère Marie-Pascal nouera de profondes
amitiés avec quelques uns des intervenants ou participants : Alessandra Bartolomei Romagnoli, Dom Giorgio Picasso, Dom Valerio Cattana et tant d'autres. Cet In contro lui permettra de se
mettre en contact avec La Mère Pr é s i d e n te de Tor de'Specchi,
Madre Paola Vecchi, qui lui fera parvenir une copie du manuscrit
a u tographe de Mattioti en idiome vulgaire romanesco du XV°
siècle conservé aux Archives de Tor de' Specchi, et qui sera un instrument très précieux de travail pour Mère Ma r i e - Pascal lorsqu'elle en viendra à travailler les visions de Françoise. Elle a souvent dit que c'est grâce au Renouveau charismatique qu'elle s'était
ouverte au monde des visions de Françoise. Jusque là, ce mot
même lui faisait peur.
En 1989, elle publie une étude sur quelques visions de Françoise: Jubilation dans la lumière divine 55. Son amie, Lucienne Portier,
e x ce ll e n te italianiste, fit la traduction des visions et introduisit
Mère Marie-Pascal au monde du romanesco, ce qui lui fut très précieux pour ses recherches ultérieures. Elle conclut en manière
d'épilogue par ces mots:
_______________
54 «La Spiritualité de sainte Françoise dans ses caractéristiques», par Mère
Marie-Pascal Dickson, dans Les Amis du Bec-He l l o u i n,n° 67 (1983, décembre), p.
19-33 et dans Una Santa tutta romana : saggi e ricerche nel VI centenario della nascita
di Francesca Bussa dei Ponziani, 1384-1984, a cura di Giorgio Pi c asso. - Siena : Mo nte Oliveto Maggiore, 1984. - p. 445-455
55 Jubilation dans la lumière divine : Françoise Romaine, 1384-1440, d'après le récit des
visions transcrit par son père spirituel : choix de 20 visions, suivies chacune d'une inter prétation, par Mère Marie-Pascal Dickson. - Paris: O.E.I.L., 1989. - VI-211 p.
166
HEUREUX LES ÉPIS MÛRS ET LES BLÉS MOISSONNÉS...»
MÈRE MARIE-PASCAL DICKSON 1904-2004
"Il est remarquable que Françoise ait vécu ce chemin intérieur intense, tout en menant sa vie de dame romaine avec
tous les devoirs et charges que ce lle-ci co m p o rtait, sans parler de ses tâches caritatives. Elle n'a rien d'une recluse, elle
est très insérée dans la vie du monde au milieu duquel elle se
trouve, et dans la vie de Église encore déchirée par les derniers schismes. Au coeur d'une situation humaine en proie
au bouleversement dans tous les domaines, elle en a embrassé les faiblesses aussi bien que les valeurs. Elle apporte par le
récit de ses visions qui sont de l'ordre de la relation amoureuse, de la rencontre de personne à personne, un message
d'optimisme fort, implanté dans le réel, le message... que
tout baptisé est appelé à la vie mystique, quelles que soient
ses attaches avec le milieu ambiant. Il est placé dans un
temps donné, dont il ne lui faut renier aucune des dimensions: c'est avec lui qu'il doit travailler et vivre, c'est la
matière mise entre ses mains pour qu'il en fasse jaillir l'esprit. Françoise a compris, comme le dira Péguy, que "le te mporel est la terre et le temps, la matière, le terroir, le terreau
de l'éte rnel". C'est là le message qu'elle apporte encore à
notre monde aujourd'hui."
Dans Les Amis du Bec de nombreuses recherches seront
publiées sur Françoise d'après les documents originaux: sur Yp ol i to et Françoise56, sur la fondation de Tor de' Specchi d'après les
visions de sainte Françoise57, sur le lien entre Françoise et la Vier_______________
56 «Ypolito de Rome et Françoise Romaine», par Mère Marie-Pascal Dickson, dans Les Amis du Bec-Hellouin, n° 85 (1989, mars), p. 22-30
57 «La fondation de Tor de'Specchi d'après les visions de Françoise Romaine», par Mère Marie-Pascal Dickson, dans Les Amis du Bec- Hellouin, n° 97
(1992, avril), p. 4-35.
167
SARAH LACHERÉ
ge Marie 58. Dans sa méditation sur la vision de l'échelle du Bx
B e rnard, Mère Marie-Pascal vit dans la Vierge et le Christ assemblés au haut de l'échelle une image de cette vocation unique que
Françoise inaugurait dans Église - moines et moniales assemblés
pour louer ensemble la gloire de Dieu.
Concluons ici par quelques hommages rendus à son intelligence:
"Ce qui m'a frappé chez Mère Marie-Pascal, c'est que, érudite comme elle l'était, elle ne s'imposait pas, mais éco u t a i t
patiemment ce qu'on lui disait, puis avait le souci d'informer
gentiment."59; "C'était une femme remarquablement érudite...
Ses qualités scientifiques ne l'avaient pas rendue moins désireuse des qualités de la vie monastique et elle n'avait aucun
mépris pour un ce rtain humour, parfois caustique..."60 ; "une
vie si féconde pour vos communautés, elle qui était si atte n t ive au lien entre nos communautés."61 "Mère Marie-Pascal nous
a été précieuse parce qu'à travers ses écrits et ses dires, elle
nous a fait connaître et aimer la Règle de saint Benoît et sainte Françoise Romaine. Elle nous a aidés à aller plus loin en œcuménisme par ses inte rventions lors de nos rencontres et par
une correspondance que j'ai en partie conservée, elle nous a fait
comprendre la "catholicité" de Ma rtin Luther..."62.
_______________
58
« Sainte Françoise et la Vierge Marie», par Mère Marie-Pascal Dickson,
dans Les Amis du Bec-He l l o u i n, n° 123 (1998, juin), p. 38-46. L'étude fut aussi
publiée dans L'Ulivo, anno XXIV, n° 1-2 (1998, janvier/juin)
59 Témoignage de Mère Marie-Gertrude Pi n o teau, moniale du Bec, août
2004.
60 Lettre de Dom Adrien Nocent, moine de Maredsous, à Mère Marie-Placide, Prieure du Bec, le 16 juillet 1992
61Lettre de la communauté de Grandchamp à Mère Marie-Placide Cazenave, Prieure du Bec, mai 2004
62Lettre du Pasteur Albert Greiner à Mère Marie-Placide, Prieure du Bec ,
le 10 mai 2004
168
HEUREUX LES ÉPIS MÛRS ET LES BLÉS MOISSONNÉS...»
MÈRE MARIE-PASCAL DICKSON 1904-2004
Nous pourrions multiplier ici les témoignages; nous donnerons
juste cet ultime hommage mis en dédicace par Frère Luigi Gioia, dans
son ouvrage cité plus haut: " alla memoria di Madre Marie-Pascal Dick son, Monaca-Oblata del Bec (1904-2004), Un giorno capiremo quanto le dob biamo"63 Oui, un jour, nous comprendrons ce que nous lui devons.
III. La grande épreuve ou le point-source
To u tejeune femme, elle fut éprouvée au-delà des forces humaines
par le décès de son époux tant aimé et admiré. Au retour d'une visite de l'Abbaye de Pontigny, ils retournent à pied à la gare, et là, Ma rcel, épuisé dit à Christiane: "je n'en peux plus!". Ce sera le premier
signe de la tuberculose qui l'emportera quelques mois plus tard, un
an après leur mariage. Marcel lui écrit de l'hôpital Pasteur:
"J'ai pensé à quel point j'avais laissé ma vie intérieure s'engourdir dans notre bonheur. Je voudrais do nc, mon amour
chéri, que nous fassions vœu, si je guéris bien, d'être très
stricts sur le chapitre vie intérieure, prière et sacrement."64.
Mère Marie-Pascal aimait à dire que Ma r cel l'avait merv e i ll e u s ement préparé à son départ. Dans les nombreuses lettres de co n d ol é a n ces qu'elle reçoit, l'ami de Ma r cel, l'Abbé de Chaunac, lui écrit:
"...douleur d'autant plus vive que je songeais que ce n'était
pas en moi seulement qu'il laissait un grand vide mais en
vous surtout qui perdez la moitié de vous-même, vide
_______________
63Dédicace
64 Lettre
de l'ouvrage cité en référence à la note 48
de Marcel à Christiane, non datée [1932]
169
SARAH LACHERÉ
immense que seul peut combler Notre Seigneur Jésus. Je n'ai
pas besoin de vous le dire, car votre lettre m'a montré votre
grand esprit de foi, qui est une des choses que Marcel a
d'abord remarqué en vous et comment vous savez rapporte r
tout à Dieu ... et comment vous avez compris ce nouvel
amour de Ma r cel, beaucoup plus grand, infiniment plus
g r a n d . . . " 65
La voici donc veuve à 28 ans, attendant un enfant. D'une ce rtaine façon, ce t te atte n te la tire en avant, du côté de la vie et de
Dieu. Paul Fournier, directeur de École des Chartes, la soutient
pendant tout le temps de son veuvage ; il lui écrit juste après la
mort de Marcel:
"Croyez bien que de tout coeur, je pleure avec vous l'homme de foi profonde et de ferme bonne volonté, pour lequel
j'avais une haute estime et une très vive et très sincère affection. J'aimais à me rappeler l'union si belle et si étroite que
vous avez contractée avec lui, c'était bien un modèle de
mariage chrétien, pour lequel je formais les plus belles espér a n ces... Pensez que lui-même ne vous oublie pas là-haut et
demandez lui sa protection pour vous-même et pour le petit
enfant qu'il vous a laissé... J'ose vous demander de me considérer comme restant attaché aux deux époux et comme attaché d'avance à celui que vous attendez..."66.
Pascal naît le 11 mai 1933; Paul Fo u rnier lui écrit à cette occasion:
"Je suis heureux des bonnes nouvelles que vous avez bien voulu m'envoyer, de
_______________
65 Lettre de l'Abbé Christian de Chaunac-Lanzac à Christiane Dickson, le
28 décembre 1938.
66 Lettre de Paul Fournier à Christiane Dickson, le 20 décembre 1932.
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HEUREUX LES ÉPIS MÛRS ET LES BLÉS MOISSONNÉS...»
MÈRE MARIE-PASCAL DICKSON 1904-2004
votre santé et de celle du jeune Pascal. Il me sera très agréable de faire la
connaissance du jeune homme..."67 Il lui écrit le jour de l'Ascension et te rmine ainsi sa lettre: "jour de l'Ascension : fête du ciel, fête de l'espérance !".
L'épreuve pourtant ne s'arrêta pas là, et le 11 juillet 1934, elle perdait aussi le petit Pascal. Mère Hugues-Marie, ancienne Prieure du
Monastère Sainte-Françoise Romaine, qui succéda à Mère MarieÉlisabeth fut témoin du drame:
"Une grande amitié liait mes parents68 avec Christiane et
Marcel Dickson. Après la mort de celui-ci, Christiane et son
petit Pascal nous étaient encore plus proches et nous les
emmenions en vacances au bord de la mer, à Hendaye, en ce tte année 1934. Un jour, tous prenaient un bain de mer ; étaient
restés sur la plage ma mère, pour garder Pascal et mon frère
B e rtrand, qui étaient presque jumeaux. Or, tout à coup, je vois,
de la mer, maman nous faire de grands signes. J'av e rtis mon
père qui comprend qu'il y a quelque chose de grave, et qui part
immédiatement vers la plage, suivi de Christiane et de mes
sœurs. Arrivant sur la plage, nous voyons maman désemparée :
le petit Pascal avait avalé un co q u i ll age, et ses essais pour le
retirer n' avaient pas réussi. Aussitôt mon père, avec Christiane
-en maillot de bain, hèlent un taxi qui les emmène avec Pascal
aux urgences de l'hôpital. Hélas, c'était trop tard. C'était un 11
juillet, fête de saint Benoît. Il rejoignait ainsi son père..."69
Lorsqu'elle reçut l'habit, l'Abbé de Chaunac qui prononça l'allocution mit en relief le caractère pascal de sa vie:
_______________
67 Lettre
de Paul Fournier à Christiane Dickson, le 25 mai 1932
et Norbert Dufourcq, qui avaient fait lÉcole des Chartes avec le
ménage Dickson.
69Témoignage de Mère Hugues-Marie Dufourcq, ancienne Prieure du Bec,
août 2004.
68 Odette
171
SARAH LACHERÉ
"'Ne vous attristez pas comme ceux qui n'ont pas d'espér a n ce' (1 Thess. 4, 12)70 - Chère madame, vous ne m'en voudrez pas, j'en suis sûr, de vous rappeler en ce jour de joie les
paroles de St Paul aux Thessaloniciens: vous en avez senti
dans la douleur la dure et co n s o l a n te leçon, vous les avez
répétées souvent et je ne doute pas que vous les ayez beaucoup aimées... Vous êtes marquée du signe de la résurrection... par vocation spéciale, vous l'êtes plus particulièrement... Dieu vous a fait suivre le dur chemin du calvaire, et
ce n'est pas sans dessein qu'Il a permis que to u te votre vie,
la date de votre vêture71 et votre nom plus encore vous rappelassent ce mystère..."72.
Le jour des obsèques de Mère Marie-Pascal, le 11 mai 2004 - 71
ans jour pour jour après la naissance de Pascal- Père Abbé dans
son homélie posait ce t te question: " Quelle est donc cette flamme qui
a consumé les affections de Mère Marie-Pa s cal sans réduire en cendres son
coeur?"73. Question, en effet - comment n'est-elle pas ressortie
anéantie de tout cela ? Les années qui ont suivi ont été difficiles,
et ne disait-elle pas avec un regard rétrospectif sur son entrée à
Cormeilles: "J'étais comme une loque!". Peu à peu, le Dieu qui l'a
a c co m p agnée sa vie durant, et de façon plus aiguë pendant ces
années de deuil, lui redonne une ce rtaine paix. Lors de sa profession perpétuelle, elle fait don à Dieu de son amour, de Marcel:
"Depuis la dernière fête de l'Ascension, je pense à ce don
_______________
70 Citation
figurant sur l'image mortuaire de Marcel Dickson.
Mère Marie-Pascal reçut l'habit le lundi de Pâques 1938.
72Allocution de l'Abbé Christian de Chaunac-Lanzac le jour de la vêture de
Mère Marie-Pascal.
73 Homélie des obsèques de Mère Marie-Pascal, le 11 mai 2004, par Père
Abbé Paul-Emmanuel Clénet, Abbé du Bec.
71
172
HEUREUX LES ÉPIS MÛRS ET LES BLÉS MOISSONNÉS...»
MÈRE MARIE-PASCAL DICKSON 1904-2004
de notre amour, à Ma r cel et à moi, que vous m'avez demandé de vous exprimer ce jour-là, afin qu'il fut offert... ce don...
vous savez bien que je l'ai déjà accompli dans sa totalité ce
dimanche du temps pascal 1942, où vous m'avez fait co mprendre l'arrachement nécessaire à tout ce qui était personnel dans la grâce d'amour qui nous avait été départie ici-bas,
afin de ne pas arrêter à soi et tarir par là-même la sève de vie
divine qui doit circuler librement dans tout le Corps du
Christ - reconnaissant que cet amour ne nous appartient
p as, mais qu'il est le bien de tout le Corps glorieux du Christ
dans la vie duquel il doit se perdre pour un don total qui ne
laisse plus subsister de lui que la louange une d'une seule et
même chair, d'une seule et même âme en Dieu... Je vous ai
apporté nos deux all i a n ces... Ce jour-là ma mère, je vous ai
donné mon amour -pour qu'il ne vive plus que dans le
Christ. Ces all i a n ces, vous n'avez pas voulu les prendre.
Vous avez voulu que ce soit un prêtre qui les reçoive puisque
c'était un prêtre qui nous les avait remises de la part de
Dieu. Vous m' avez co n d u i te au Révérend Père Prieur, et
là...je les lui ai données. Au jour de ma profession74, elles
sont demeurées sur l'autel pendant le Saint Sacrifice de la
Messe. Vous aviez bien voulu les placer là avec les vôtres, ma
Révérende Mère, et vous y aviez joint la lettre dans laquelle
le Révérend Père Prieur me demandait de porter à l'autel le
don total de lui-même qu'il se sentait appelé à faire à la co mmunauté..."75
Dom Grammont demandait en effet, comme en figure de ce
qui adviendrait à l'Épiphanie 1944, ceci: " Demandez à la Révérende
_______________
74 En
la fête de l'Ascension 1942.
de Mère Marie-Pascal à Mère Marie-Élisabeth, le 15 août 1943.
75 Lettre
173
SARAH LACHERÉ
Mère Prieure je vous prie, de porter vous-même au saint autel le don total
que je dois faire à votre communauté de tout ce que je suis et puis être..."76
Quant à la cicatrisation de la blessure reçue lorsqu'elle perdit
Pascal, elle ne fut jamais complètement réalisée ; elle resta plaie
o u v e rte d'où purent couler des fleuves de co m p assion pour to u s
ceux qui avaient perdu un enfant. Elle est confrontée pour la première fois en 1942 à pareil drame:
"J'ai été violemment émue par la visite de mon amie
Catherine Delebecque qui vient de perdre son deuxième
enfant, une petite fille de 3 ans. Elle est d'un courage magnifique et entrevoit parfaitement les réalités plus hautes que sa
petite fille l'aidera à découvrir peu à peu. Mais le contact de
cette souffrance était déchirant. J'espère l'avoir un peu aidée.
Mais moi-même après son départ, j'avais bien besoin d'être
aidée..."77
Elle eut tout au long de sa vie de moniale un véritable charisme
de co m p assion et de consolation pour tous ceux qui venaient de
perdre un enfant, et nous pourrions citer ici de nombreux témoignages de ceux qu'elle a aidés: Michel et Georgette Lamare qui
ont perdu un fils en montagne, fondateurs de "Jonathan" pour les
parents ayant perdu un enfant; le ménage allemand des Vostmeyer,
les Dieuleveult, le Docteur Alexandre Minkowski, Simone qui
avait perdu une petite Odile:
"...restent gravées les paroles de réconfort, d'espérance, de
foi, qui m'ont fait passer de la révolte à l'acceptation de
l'épreuve. Je crois que sa maternité blessée m'a enfantée à la
_______________
76 Lettre
77 Lettre
de Dom Paul Grammont à Mère Marie-Pascal, mai 1942.
de Mère Marie-Pascal à Mère Marie-Élisabeth, le 29 juillet 1942.
174
HEUREUX LES ÉPIS MÛRS ET LES BLÉS MOISSONNÉS...»
MÈRE MARIE-PASCAL DICKSON 1904-2004
vie spirituelle ; quand je lui disais "Mère", le mot recouvrait
tout cela comme une action de grâces..."
Mère, elle l'a été, et combien d'âmes et de cœurs a-t-elle touchés par son affection maternelle. "Son affection maternelle m'a tou jours beaucoup soutenue. Elle aimait sans aucun jugement de valeur dans
une affection qui n'était pas attachement mais libération et croissance..."78
Elle était pour beaucoup une "mère pleine de bonté et
d'amour."79"Veramente una granda figura di mamma! "80
Deux réalités profondes ont comme traversé sa vie de part en
part: l'amour et la sainteté de Dieu.
"Toute vocation est et doit être exigeante, car il n'y a de vérité, et donc de joie, que là : lorsque nous ne gardons plus rien
pour nous et que tout en nous est aux autres et pour les autres.
Ce n'est qu'en vivant cela que l'on trouve paix et bonheur ; ce
n'est pas chez les autres ou par les autres mais dans notre don
à eux. Nous n' avons rien à exiger d'eux puisqu'ils nous donnent
la joie, mais tout exiger de nous pour eux, et alors une joie
immense nous envahit et nous porte et nous fait trouver toute
fatigue légère. C'est cela l'amour..."81.
La sainteté de Dieu la saisissait souvent au-delà des mots: "Tu
solus sanctus: la sainteté n'est qu'à Lui et ne peut venir que de Lui..."82 et
c'est pour cela qu'elle goûtait tant à la liturgie, à l'Opus Dei. Sa
_______________
78
Témoignage de Soeur Jean-Paul, moniale d'Abu Gosh, juin 2004
E-mail du Rabbin Elie Martiano, lors du décès de Mère Marie-Pascal, le
29 mai 2004.
80 Fax de Dom Valerio Cattana, Abbé de Seregno, le 13 mai 2004
81 Lettre de Mère Marie-Pascal à ?, le 2 mai 1965
82 Lettre de Mère Marie-Pascal à Mère Marie-Élisabeth, le 11 septembre
1960.
79
175
SARAH LACHERÉ
prière préférée resta jusqu'à ses derniers jours le Te Deum.
Voici deux témoignages portant sur la fin de sa vie, où elle était
devenue quasiment aveugle:
"J'ai mieux connu Mère Marie-Pascal vers la fin de sa vie où je
pouvais dav a n t age me permettre de m'infiltrer dans son horaire
pour une rencontre qu'elle était toujours heureuse de m'offrir.
Très vite elle me parlait de Dieu, de son amour sans mesure, comme d'une expérience qu'elle vivait. Ses yeux bleus un peu dans le
flou, car sa vue était devenue mauvaise, cherchaient à fixer mon
regard comme si elle voulait que nous ne fassions qu'un dans
l'échange, que nous nous comprenions bien. Elle me disait :
"Tout ce que nous sommes, nos broutilles, nos fautes mêmes,
tout cela n'est rien, absolument rien ; c'est dissous en Dieu. Seul
compte son amour qui prend tout, remplit tout, recherche notre
âme, l'union avec notre pauvre réalité, notre rien, pour l'unir à sa
toute beauté, son être divin. Dieu a soif, une soif infinie de sa
créature si pauvre soit-elle. Quand nous pensons à Dieu, nous
nous to u rnons vers lui, alors, nous ne nous regardons pas, nous le
contemplons: Il dépasse tout ce que nous pouvons imag i n e r."
L'essentiel de ce qu'elle voulait part ager c'était cela, l'amour fou
de Dieu. Je ne saurais redire exactement ses mots, c'est un pâle
essai ; elle-même ne trouvait pas de mots assez forts pour exprimer son éblouissement face à l'amour de Dieu. Elle éprouvait
une reconnaissance sans commune mesure avec le don reçu. Elle
avait goûté Dieu, en était imbibée et son être était comme brûlant de le communiquer. Sa foi était un vrai témoignage, elle était
convaincue... Je la sentais pacifiée, sans peur car si sûre de Dieu.
Oui, je garde de notre dernière rencontre un souvenir lumineux;
sa foi ne pouvait qu'entraîner."83; "Très émouvantes sont ses
_______________
83Témoignage de Sr Marie-Henri de Wavrechin, moniale d'Abu Gosh, juin 2004.
176
HEUREUX LES ÉPIS MÛRS ET LES BLÉS MOISSONNÉS...»
MÈRE MARIE-PASCAL DICKSON 1904-2004
lignes des dernières années de sa vie, où l'on peut suivre le chemin intérieur dans lequel elle était conduite de par ses infirmités,
le ralentissement de son rythme mais non pas de sa mémoire ni
de sa pensée : "...Voilà des temps que je désire vous écrire et je
n'arrive pas "intellectuellement" à vous dire ce qui me vient au
coeur. Tout d'abord, je sors d'une période de bien des mois, pendant laquelle ma vue s'est amoindrie peu à peu, pour arriver à un
aveuglement presque total. L'incapacité de lire a été pour moi un
c rucifiement, jusqu'à ce que j'ai accepté vraiment et non en parole, cette nouvelle destruction de ma vie... Mais peu à peu, le Seigneur m'a donné de le faire et d'être en paix... J'apprends peu à
peu à vivre cette vie désœuvrée pratiquement, et j'y mets toute
ma volonté, ou plutôt mon désir sans y mêler quoi que ce soit de
moi-même. Le Seigneur est le seul Maître, et s'il lui arrive d'agir
par moi, il le fait absolument sans moi..."84
Souvent, elle disait: "ce n'est pas moi..." ou "je ne sais pas pourquoi je
vous dis çà..." En décembre 2003, elle disait: "Il arrivera un moment
où je serai à même de vivre, j'en remercie le Se i gn e u r." La veille de sa
mort, le médecin ayant déclaré qu'elle touchait au terme du voyage, une des sœurs. qui l'entourait l'encouragea ainsi: "Ma mère, la
porte est grande ouverte, vous pouvez partir quand vous voulez", et à l'aube du 8 mai, elle entrait dans la lumière de Pâques.
Dix jours plus tard, elle aurait fêté ses 65 ans de profession, et
quelques mois plus tard ses cent ans ; elle préféra partir en ce mois de
mai qui lui était cher. La liturgie de ses obsèques fut toute centrée sur
la joie pascale qui fut la sienne, et se conclut par le chant "J'ai vu l'eau
vive" qu'elle écoutait avec bonheur chaque matin tous les dern i e r s
mois de sa vie. Avec elle, redisons cette prière copiée de sa main:
_______________
84 Témoignage
de Mère Ignace-Marie, Prieure d'Abu Gosh, juin 2004.
177
SARAH LACHERÉ
"Viens, toi qu'as désiré et désire mon âme misérable,
Viens, toi le Seul, au seul puisque tu le vois, je suis seul,
Viens, toi qui m'as séparé de tout et fait solitaire en ce monde,
Viens, toi, devenu toi-même désir qui m'as fait te désirer,
Toi, l'absolument inaccessible
Viens, mon souffle et ma vie,
Viens, consolation de ma pauvre âme,
Viens, ma joie85 ! "
_______________
85
Siméon le nouveau théologien
178
HEUREUX LES ÉPIS MÛRS ET LES BLÉS MOISSONNÉS...»
MÈRE MARIE-PASCAL DICKSON 1904-2004
IV . Bibliographie de Mère Marie-Pascal Dickson
Le Cardinal Robert de Courson: sa vie, par Marcel et Christiane
Dickson, Vrin, Paris 1934. Dans Archives d'histoire doctrinale et litté raire du Moyen Age, p. 53-142 et 369-375
Les Eglises romanes de l'ancien diocèse de Chalon: Cluny et sa région,
par Marcel et Christiane Dickson, Protat, Mâcon 1935
Le Proslogion de saint Anselme ou la foi qui tend à la vision, Introduction et traduction de Mère Marie-Pascal Dickson, Notre Dame de
la Source du Martray, Cormeilles-en-Parisis 1942. Tiré-à-part de la
revue Sanctae Ecclesiae 8
«Introduction à l'étude critique du Coutumier du Bec», dans
Spicilegium Beccense I : Congrès international du 12ème centenaire de l'ar rivée d'Anselme au Bec, Vrin, Paris 1959, p. 599-632
Saint Anselme, Textes choisis et présentés par Mère Marie-Pascal Dickson, Ed. du Soleil levant, Namur 1960
La Vie de saint Herluin relatée par son disciple Gilbert Crépin, Traduction du latin par Mère Marie-Pascal Dickson, Les Ateliers du
Bec, Le Bec-Hellouin 1961
«Sainte Françoise Romaine: son oeuvre monastique, témoignage ecclésial », dans Les Amis du Bec-Hellouin 4 (1962), p. 21-25
Corpus consuetudinum monastica rum, Consuetudines Becce n s e s ,
tome IV, édité par Mère Marie-Pascal Dickson, F. Schmitt, Siegburg 1967
«La Congrégation bénédictine du Mont-Olivet au premier
179
SARAH LACHERÉ
siècle de sa fondation et sa place dans l'histoire de l'Ordre», dans
Saggi e Ricerche nel VII centenario dalla nascita del B. Bernardo Tolomei,
1272-1972, Monte Oliveto Maggiore, Siena 1972, p. 25-47
«Le Monache-oblate di Notre Dame du Bec, figlie di S. Francesca Romana”, dans L'Ulivo, nlle série, 1 (1979), p. 33-40
«Quelques aspects de la personnalité d'Herluin, fondateur de
l'Abbaye du Bec», Droz 1982, dans Sous la Règle de saint Benoît : struc tures monastiques et sociétés en France du Moyen Age à l'époque moderne,
Abbaye bénédictine Sainte-Marie de Paris, 23-25 octobre 1980, p.
107-123
La Règle de saint Benoît, traduction de Mère Marie-Pascal, Association Source du Martray, Le Bec-Hellouin 1981
«La Spiritualité de sainte Françoise dans ses caractéristiques »,
communication donnée en italien à l'Abbaye de Mo n te Oliveto
Maggiore, le 6 septembre 1983 lors du Colloque consacré à sainte
Françoise ; publiée dans Les Amis du Bec-Hellouin 67 (1983), p. 19-33
et dans Una Santa tutta romana, Mo n te Oliveto Maggiore, Siena
1984, p. 445-4 5 5. Ré-édité par le Monastère Sainte Françoise
Romaine, 2001, collection Sources et racines 2
«Ypolito de Rome et Françoise Romaine», dans Les Amis du BecHellouin 85 (1989), p. 22-30
«Dom Paul Grammont et la renaissance monastique de l'Abbaye du Bec», dans Les Amis du Bec-Hellouin 88 (1989), p. 20-23
Jubilation dans la lumière divine: Françoise Romaine, 1384-1440,
d'après le récit des visions trascrit par son père spirituel: choix de 20 visions,
suivies chacune d'une interprétation, O.E.I.L., Paris 1989
180
HEUREUX LES ÉPIS MÛRS ET LES BLÉS MOISSONNÉS...»
MÈRE MARIE-PASCAL DICKSON 1904-2004
«Lettre de Lanfranc à Margaret, reine d'Ecosse», traduction par
Mère Marie-Pascal, dans Les Amis du Bec- Hellouin 91 (1990), p. 33-34
«La Fondation de Tor de' Specchi d'après les visions de Françoise Romaine», dans Les Amis du Bec-Hellouin, 97 (1992), p. 4-35
«Constitutions de la Congrégation du Mont-Olivet de 13501360 », introduction et traduction par Mère Marie-Pascal Dickson, dans Regardez le rocher d'où l'on vous a taillés : documents primitifs
de la Congrégation bénédictine de Mont-Ol i v e t, Abbaye de Maylis
1996, p. 127-203
«Sainte Françoise et la Vierge Marie», dans Les Amis du Bec-Hel louin 123 (1998), p. 38-46 et dans L' Ulivo 24 (1998)
Textes inédits
Comment visiter une église ? - 7 pages dactylographiées - Archives
du Monastère Sainte Françoise Romaine
La Liberté de l'Eglise du Bec. Conférence donnée à la Session
monastique, Abbaye du Bec, septembre 1973. - 13 pages dactylographiées - Archives du Monastère Sainte Françoise Romaine
Sarah Lacheré
Moniale-Oblate
Monastère Sainte Françoise Romaine
181
ABSTRACTS
Abstracts
Madre Marie-Pascal Dickson, monaca-oblata di Santa Francesca
Romana al Bec-He llouin (1904-2004), fu dapprima all i eva all’École
des Chartes di Parigi ed entrò in seguito a far parte della famiglia
monastica di Monte Oliveto, dopo aver tragicamente perso il suo giovane sposo e, poco tempo dopo, il suo unico figlio. Il suo contributo
alla vita delle due comunità di monaci e monache-oblate del Bec-Hellouin e a quella della Congregazione di Monte Oliveto è stato determinante, prima di tutto attraverso la sua testimonianza di vita monastica e poi attraverso gli studi e le edizioni di documenti che condusse
con competenza, rigore e intelligenza.
* * *
Mère Marie-Pascal Dickson, moniale-oblate de Sainte Françoise
Romaine au Bec-Hellouin (1904-2004), commença par être élève à
l ’ É cole des Chartes de Paris et entra ensuite dans la famille monastique de Monte Oliveto, après avoir tragiquement perdu son jeune
époux et, peu de temps après, son unique enfant. Sa contribution à la
vie des deux communautés de moines et de moniales-oblates du BecHellouin et à celle de la Congrégation de Monte Oliveto a été déterm i n a n te, d’abord par son témoignage de vie monastique et ensuite
par les études et les éditions de documents qu’elle mena avec compétence, rigueur et intelligence.
* * *
Mother Marie-Pascal Dickson, oblate-nun of St. Frances of Rome
at Le Bec-Hellouin (1904-2004), was at first a student at the École des
Chartes of Paris and then entered to become a part of the monastic
f a m i ly of Monte Oliveto, af ter having trag i c a lly lost her young husband, and after a short time, her only son. Her contribution to the
182
ABSTRACTS
life of the two communities of monks and oblate-nuns of Le Bec-Hellouin and to that of the Congregation of Mo n te Oliveto has been
decisive, first of all through her witness of monastic life and then
through studies and the editing of documents which she carried out
with competence, rigor, and intelligence.
* * *
Madre Ma r i e - Pascal Dickson, monja oblata de Santa Francisca
Romana de Bec-Hellouin (1904-2004), estuvo en primer lugar como
aprendiz en el École des Chartes de París, hizo su ingreso en la familia monástica de Mo n te Oliveto, después de haber perdido trágicamente a joven esposo y, a su hijo único. Su contribución a la vida de las
dos comunidades de monjes y monjas oblatas de Bec-Hellouin y a
aquella de la Congregación de Monte Oliveto fue dete r m i n a n te, en
primer lugar mediante su ejemplo de vida monástica y a través de
estudios y la publicaciòn de documentos que elaboró con competencia, rigor e inteligencia.
183
SARAH LACHERÉ
VITA DELLA FAMIGLIA MONASTICA
DI MONTE OLIVETO
Dalle nostre comunità
Come parlare di “vita di famiglia” quando frate lli e sorelle sono
dispersi ai quattro angoli del mondo? Bisogna temere le distanze, le
differenze culturali, i diversi modi d’incarnare la stessa vocazione
m o n astica, la stessa eredità ricevuta da Bernardo Tolomei e dai suoi
co m p agni?
Grazie all’unità che viene dallo Spirito Santo, ogni differenza, nella Chiesa, diviene fonte di ricchezza, perché una stessa carità abbraccia e trasforma tutto in sacrificio spirituale gradito a Dio. La nostra
famiglia monastica è un luogo privilegiato dove si sperimenta la cattolicità della Chiesa e l’unità che le è propria, all ’ i n te rno stesso di
questa varietà. Si tratta di un’unità che non è conseguenza dei nostri
sforzi, ma che è stata ricevuta in dono dall’inizio e che si fa visibile
soprattutto in eventi privilegiati come quello del Ca p i tolo Generale
che la famiglia monastica di Mo n te Oliveto ha vissuto dal primo al
q u a t tordici ottobre 2004.
Il capitolo è stato inaugurato con una piccola Pente co s te che
r e s terà nel ricordo di quanti l’hanno vissuta. Il primo giorno, nella
cappella del Beato Bernardo, l’inte r cessione e la lode dei rappresentanti delle comunità di monaci, monache e suore olivetani è sgorgata spontaneamente in italiano, in francese, in inglese, in coreano, in
spagnolo, in portoghese, in danese e, si capisce, in latino (quest’ultimo, è vero, meno spontaneamente, per molti!). Ci si può forse rammaricare che i lavori del capitolo abbiano troppo presto sopraf f a t to
q u e s to as p e t to di preghiera e di unità nello Spirito che dà tutto lo
spazio necessario alla diversità delle lingue e delle culture. Tuttavia,
da un capitolo all’altro, è co n f o rt a n te vedere come questa dimensione si sviluppi e si affermi. D’altronde, il capitolo stesso ha acco l to
184
DALLE NOSTRE COMUNITÀ
questa aspirazione e ha istituito un gruppo di riflessione destinato a
ripensare lo svolgimento del capitolo in modo da spiegare più efficace m e n te la sua dimensione carismatica, cioè di esperienza della presenza operante dello Spirito. Per un resoco n to più dettag l i a to dei
lavori di questo capitolo, lasciamo la parola al P. Ab a te Generale, d.
Michelangelo Tiribilli, che è stato rico n f e r m a toalla testa della famiglia monastica di Monte Oliveto per la terza volta.
Questa stessa unità che lo Spirito ha donato alla nostra Congregazione si perce p i s ce anche negli avvenimenti della vita delle nostre
comunità, quelli più straordinari, ma anche, e forse soprattutto,
quelli di tutti i giorni.
Niente di straordinario?
Quando si chiede a un monaco o a una comunità monastica di trasmettere al cronista un evento particolarmente significativo degli
ultimi mesi, non è raro imbattersi in un risposta simile a quella di d.
Alfonso Serafini, il priore di Ro d e n g o: «Non c’è stato niente di straordinario; siamo una piccola comunità, la cui età media cresce, impegnata nella fedeltà alla sua testimonianza di vita monastica e che rappresenta, nella sua diocesi, un punto di riferimento e un luogo di
riforn i m e n to spirituale e sacramentale». O ancora in quella che ci
viene dai fr a te lli di San Mi n i a t o: «Non c’è stato proprio nessun av v en i m e n to, se non la celebrazione liturgica dell ’Historia salutis, grazie a
cui il suo ricordo giunge a tutti…». Non è bello, per una famiglia
monastica, risplendere non innanzitutto in un tale o talaltro av v e n imento apparente m e n te più brill a n te, ma innanzitutto nell’umile
fedeltà al «dovere quotidiano del nostro servizio», come dice la Re g ola di San Benedetto? E tuttavia, molti avvenimenti straordinari si
innestano su questa umile fedeltà per trarre da essa tutto il loro senso profondo.
Un esempio a tal proposito tra i più significativi ci è offerto dall a
comunità dei frate lli studenti di Santa Fra n c e s caRomana a Roma. Il 29
185
LA REDAZIONE
o t tobre, al Campidoglio, situato a qualche centinaio di metri dal
m o n as tero, av eva luogo l’av v e n i m e n to sto r i co della firma della nuova Costituzione Europea da parte dei 25 capi di St a to dei paesi dell’Unione Europea. Nello stesso momento, i fr a te lli hanno voluto
celebrare l’ufficio e la Messa del Patrono d’Europa, san Benedetto, a
testimonianza di quelle radici cristiane e monastiche dell’Europa
che il nuovo te s to costituzionale ha disgraziatamente deciso d’ignorare.
Il 3 ottobre, tra i numerosi fedeli venuti a commemorare l’anniversario dell ’ i n coronazione dell ’ i cona della Vergine venerata nel santuario di Pi c c i a n o, c’era Umberto Copertino, uno dei quattro ostaggi italiani rapiti in Iraq durante lo scorso anno. Veniva, con la sua famiglia,
a rendere grazie per la sua liberazione e per unirsi alla preghiera di
questa comunità per ottenere la pace .
Proprio mentre il Ca p i tolo Generale era al culmine a Mo n te Oliv e to, all’inizio del mese di ottobre, un altro av v e n i m e n to nas costo,
ma non meno “straordinario”, av eva luogo a Roma. Il defunto Ponte f i ce Gi ovanni-Paolo II, nel 1994, av eva voluto che i monasteri di
monache del mondo intero contribuissero ad animare una co m u n i t à
co n templativa all ’ i n te rno stesso del Vaticano, chiamata Mater Ecce s i a e, i cui membri cambiano ogni 5 anni. Per i prossimi cinque anni,
questo ruolo è stato af f i d a to a un piccolo gruppo di monache benedettine: 3 monache italiane dell ’ Abbazia di Rosano di Pontas s i ev e
(Firenze), 2 monache francesi dell ’ Abbazia Notre Dame de Fidélité
di Jouques (Prov e n ce), una monaca americana ed una filippina dell ’ Abbazia di St. Walburga in Virginia Dale (Colorado, USA) ed infine una sorella della nostra famiglia monastica di Mo n te Oliveto, suor
Sr. Mary Fr a n ces Mure di Pe cos. Per questo motivo, questo gruppo
di monache si è recato in visita all’abbazia di Monte Oliveto il 9 settembre, dove ha avuto per guida d. Ro b e rto Nardin. Non stupisce ,
perciò, il fatto che quest’ultimo sia stato invitato dalla priora, Madre
Maria Sofia, a predicare gli esercizi spirituali al monas tero Mater
E c c l e s i a e, e si svolgeranno dal 23 al 29 ottobre prossimo.
186
DALLE NOSTRE COMUNITÀ
Una vocazione monastica che si rinnova continuamente
Molti cambiamenti che consolidano la vocazione monastica e la
vita fr a te rna delle nostre comunità potrebbero così passare inosservati, col prete s to che non hanno «niente di straordinario».
Dobbiamo essere rico n o s centi per la semplicità con cui le nostre
sorelle di Eyres-Mo n c u b e, per esempio, ci comunicano la loro ev o l uzione nel modo di vivere il canto corale da due anni a questa parte .
Un pur lodevole sforzo di migliorare l’impostazione della voce e la
pratica del gregoriano av eva portato a quello che esse stesse descrivono come «un bel co n ce rto dove le voci più brillanti trascinano le
altre e dove i meno dotati restano in disparte». Da qui la scelta di una
maggiore sobrietà e semplicità più corrispondenti alle loro forze e al
loro numero; il più bel risultato è che ora tutte possono cantare e che
la preghiera ci ha guadag n a toco n s i d e r evolmente.
Con la stessa semplicità, i nostri frate lli studenti di Santa Fra n c e s ca
Romana a Roma ci fanno partecipi della loro gioia per la crescita nell’osservanza monastica di questa casa, con lettura al refettorio a tutti i pasti, la Messa cantata in gregoriano tutti i giorni e con gli inco ntri di lectio divina, aperti ai laici, svolti durante l’Avvento e guidati da
d. Ro b e rto Nardin.
«Un monas tero senza una biblioteca è come una fortezza senza
armi»! I nostri fratelli di Holy Cross Monastery a Rostrevor, in Irlanda,
mostrano come se ne siano resi conto con lo zelo profuso in questi
ultimi tempi per arricchire la biblioteca del loro nuovo monas tero.
D. Thierry ha soggiornato dai nostri frate lli di Tu rv e y, in Inghilterra,
il 3 e 4 settembre, per approfittare della chiusura di una libreria religiosa e fare il pieno di libri per la loro biblioteca. Due mesi dopo, l’8
e il 9 novembre, d. Thierry e d. Benoît si sono recati all’Abbazia di
Glenstal, in Irlanda, per prendere delle scatole di libri e di riviste
g e n e r o s a m e n te offerti dai nostri co n frate lli benedettini.
La lista di cose “non straordinarie” potrebbe allungarsi… Rico rdiamo la gioia e la profonda rico n o s cenza al Signore con cui molte
187
LA REDAZIONE
delle nostre comunità vogliono condividere con noi la loro co n te ntezza per l’entrata di giovani, a volte dopo periodi di attesa assai lunghi. I nostri frate lli di San Nicola di Rodengo hanno as p e t t a to 35 anni!
In effetti, per la prima volta dopo il rito rno dei monaci della nostra
Congregazione in questo monastero nel 1969 su esplicita richiesta
del Papa Paolo VI, due giovani, Emilio e Eusebio, hanno bussato alla
loro porta e sono stati accolti. Uno di loro, Emilio, che ha vestito il
nostro abito il 12 dicembre, inizio del suo nov i z i a to, all’abbazia
madre di Mo n te Oliveto, si chiama adesso d. Paolo — appunto in
r i cordo del Papa Paolo VI.
Alcuni giovani sono entrati anche tra le nostre sorelle di Abu Gosh;
all’abbazia madre di Monte Ol i v e t o, a Maylis e, s’intende, in gran
numero, nel nostro monas tero dei fr a te lli di Gosung in Corea e di
Boca del Monte in Gu a temala. Come commentare questa primav e r a
vocazionale che la nostra famiglia monastica sperimenta dall’anno
2000, se non con la piccola domanda con cui D. Alfonso conclude la
cronaca della sua comunità: «È forse l’avvicinarsi tanto atteso della
canonizzazione del nostro santo fondatore che sta per risvegliare
qualcosa?»?
Anche alcune prove
«Come rendere grazie per una disgrazia?», s’interrogano i fratelli e
le sorelle di Abu Gosh, quando il P. Ab a te Ve s covo Jean-Baptiste Gourion, di rito rno dal capitolo generale, cade gravemente malato e deve
restare inchiodato a letto per tre mesi. Una malattia che si manifesta
proprio quando il Papa Giovanni Paolo II gli ha appena af f i d a to una
missione assai delicata e la comunità monastica si trova ad af fr o n t are la difficoltà di dover condividere il loro P. Ab a te con la diocesi dei
cattolici ebreofoni di Gerusalemme di cui quest’ultimo è anche il
p as tore. La risposta che dà loro la fede viene da sé: «Di quale opera
si tratta? Di quella di Dio […]. Questo pas s aggio attraverso la prov a
che ha segnato Abu Gosh in questi ultimi mesi è un dono di Dio, il
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DALLE NOSTRE COMUNITÀ
luogo in cui Dio stesso si dà e dà a leggere la sua opera. È forse anche
una partecipazione alle sofferenze e alla speranza di coloro che
vogliono la pace per questo paese». Grazie a Dio, le ultime notizie
sono co n f o rtanti: pas s a to il momento più critico, il P. Jean-Baptiste
si riprende e i fr a te lli ci dicono come «la pace non l’abbia las c i a to un
istante».*
La prova tocca anche la nostra comunità di Cockfosters, a Londra. Il
suo Priore, D. Costanzo, vuole condividere con noi le difficoltà di una
comunità che, in due anni, ha perduto le sue due colonne, il P. Priore
d. Placido Meylink e il P. Ab a te Vi t torino Aldinucci. Poco dopo, d.
Wi llibrord, ora assai anziano, è to rnato nel suo paese, l’Olanda, per
finire i suoi giorni nel monas tero benedettino in cui anche uno dei
suoi fratelli è monaco. Infine, d. Benedict e d. Paschal hanno dei problemi di salute. I numerosi impegni della comunità e dell’importante
parrocchia che le è unita pesano dunque unicamente su d. Costanzo
e su due altri fratelli.
Nell’attesa di una prossima visita del P. Abate Generale tanto a Abu
Gosh che a Cockfosters, queste due comunità si affidano alla nostra
preghiera e di tutto cuore assicuriamo loro la nostra vicinanza nelle
prove di questo momento.
La prova ha toccato anche la nostra comunità de Riberao Preto il cui
priore, d. Fortunato Capodilupo, moriva improvvisamente il 2 ottobre 2004. Un ricordo di d. Fortunato che ci è stato inviato dai suoi fratelli di Riberao Preto viene pubblicato alla fine di questa cronaca.
Fratello che va, fratello che viene: nomine e trasferimenti
La comunità di Riberao Preto ci dà la notizia più significativa a pro_______________
* L’Ulivo è già in stampa quando ci giunge la notizia del transito del P. Abate Vescovo Jean Baptiste. Un ricordo di questa grande figura della nostra
famiglia monastica sarà pubblicato nel prossimo numero.
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LA REDAZIONE
po s i to delle nuove nomine di quest’ultimo periodo. Per la prima volta dopo la sua fondazione, nel 1919, il 19 gennaio, essa ha eletto un
priore brasiliano, d. Anselmo Sidinei Codinhoto, segno di un radicamento sempre più profondo nel proprio paese, dopo l’entrata, nel
corso di questi ultimi anni, di un nutrito gruppo di giovani.
Il capitolo generale ha poi port a to con sé la consueta serie di trasferimenti e di nomine. Ricordiamo innanzitutto l’elezione di d.
Jean-Gabriel Personnaz, fino ad oggi maestro di formazione dell ’ a bbazia di Ma y l i s, a vicario dell’abate generale. Viene così ripresa la tradizione di una presenza di un monaco di Maylis all’abbazia madre,
dopo appena tre anni dalla morte del d. Bernard Dumartin. Quest’ultimo, uno dei fondatori della nostra abbazia francese, è restato all ’ a bbazia madre, senza inte r ruzione, dal 1952 alla sua morte, per assolvervi le funzioni, di volta in volta, di cance lliere, di vicario dell ’ a b a te
generale e, soprattutto, di priore claustrale.
Il vuoto che d. Jean-Gabriel ha las c i a to a Maylis si è potuto misurare, tra l’altro, dai numerosi cambiamenti che la sua partenza ha
co m p o rt a to in questa comunità. D. Jean-Gabriel univa all ’ i n c a r i co
già non indifferente di maestro di formazione quello di professore di
teologia dogmatica, di responsabile del negozio e del laboratorio di
cera, di consigliere del P. Ab a te e di confessore di numerosi monas teri di monache (ci vuole un vero dono, per questo!). In una lettera alla
comunità di Mo n te Oliveto, i frate lli di Maylis hanno voluto esprimere, allo stesso tempo, tutto il sacrificio che una tale partenza rapp r e s e n t ava per loro e la loro gioia di poter così rafforzare ancora di
più il legame con la casa madre.
In seguito alla partenza di d. Jean-Gabriel, il P. Ab a te You di May lis ha nominato d. Raphaël Chapelard come priore claustrale e d. Luigi Gioia come maestro di formazione. Sottolineiamo una novità in
queste nomine: per la prima volta dalla rinascita della nostra co n g r egazione nel XIX secolo, due fr a te lli non sacerdoti si vedono affidare
questi incarichi, segno eloquente del nuovo volto meno clericale che
sempre più la nostra famiglia monastica si sta dando.
190
DALLE NOSTRE COMUNITÀ
In seguito anche al Ca p i tolo Generale, c’è stata, a Monte Ol i v e t o, la
nomina di un nuovo priore claustrale, d. Ro b e rto Donghi, che è stato nominato anche Maestro di formazione in sostituzione di d. Stanislao Avanzo. Quest’ultimo, finito il suo servizio come vicario dell ’ a b a te generale, è stato tras f e r i to all’abbazia di Lendinara, mentre il
generosissimo fratello infermiere d. Vi to Latorre è stato assegnato
alla comunità di Pi c c i a n o .
Un’altra nomina import a n te da ricordare è quella di cappellano
della casa principale delle nostre sorelle olivetane di Corea a Busan.
Da quando le nostre sorelle si sono stabilite in Corea, questo ruolo
era stato svolto da un monaco di Saint Ottilien. Tuttavia, da quando
la comunità dei nostri frate lli olivetani di Corea è stata in grado di
prenderne il testimone, le nostre sorelle hanno voluto ricorrere a
loro per avere un cappellano della stessa famiglia monastica. Il primo cappellano è stato d. Silouane Kim e, alla fine del suo mandato ,
il Padre Priore di Gesung, d. Giona Lee, ha nominato come suo successore d. Pio Park. Allo stesso tempo, da ben 5 anni, d. Giona predica ogni anno il ritiro comunitario delle sorelle. Queste ultime ci
tengono a dirci quanto esse apprezzino questo dono della Pr ov v i d e nza, mentre continuano a beneficare di un’espansione veramente prodigiosa, con la sfida che essa co m p o rta. Con più di 450 suore, è stato necessario creare tre prov i n ce, Busa, Daegu e Seul, allo scopo di
continuare ad assicurare un cammino veramente personalizzato per
ciascuna suora. D’altra parte, le nostre suore ci mostrano un modello impressionante di formazione permanente, per sostenere la loro
vita spirituale e comunitaria. 11 volte all’anno, incontri di 4 giorni
ciascuno vengono organizzati a Busan, durante i quali le sorelle possono beneficare di un acco m p agnamento e fare il punto su se ste s s e
e sulla loro vita di comunità.
Avvenimenti di famiglia
Tra gli avvenimenti di famiglia più lieti della vita delle nostre
191
LA REDAZIONE
comunità, c’è, s’intende, la professione perpetua, con cui fr a te lli e
sorelle confermano per tutta la vita la loro scelta per la nostra famiglia monastica con la stabilità in una data comunità. È stato il cas o ,
il 19 agosto, solennità del b. Bernardo, di d. Thomas Ward del nostro
m o n as tero di Turvey e, il 5 dicembre, per d. Angelo Jeong del monastero di Gosung, in Corea. Entrambi hanno potuto prepararsi ad as s umere la doppia dimensione di appartenenza alle loro rispettive
comunità e alla Congregazione grazie alla partecipazione all ’ i n co ntro dei giovani monaci e monache olivetane del mese di luglio a Mon te Ol i v e t o.
Poi, se la nostra famiglia monastica si dà un volto meno clericale,
ciò non vuol dire che non abbiamo più bisogno di fratelli che, nelle
nostre comunità, assumano umilmente il ministero sacerdotale.
Ogni ordinazione sacerdotale ci ricorda che l’iniziativa della nostra
salvezza viene dall ’ a l to, che essa è un dono e che senza vita sacramentale non c’è vita cristiana. Cinque fratelli hanno ricevuto questo
dono e questa missione negli ultimi mesi: d. Anselmo Barberis, a
Monte Ol i v e t o, il 10 ottobre, in pieno capitolo generale; d. Bernard
Buchoud, il 30 ottobre, a Mesnil Saint Lo u p; d. André Aparecido Bernardino, il 14 gennaio, in Brasile e, infine, d. Paolo Baek e d. Agostino Ri, il 18 gennaio, in Corea. Per l’ordinazione in Corea, rimandiamo alla cronaca a parte che ne dà, in questo numero de l’Ul i v o, d.
Colomban Benderitter di Ma y l i s, che vi ha parte c i p a to .
Per l’ordinazione di d. Bernard Buchoud, il fr a te lli di Mesnil Saint
Loup ci fanno il piccolo resoco n to che segue: «Sabato 30 ottobre
2004, atto rno alle due comunità di monaci e di monache-oblate di
Mesnil si ritrovarono alla cattedrale di Troyes il Padre Ab a te di Ma ylis, P. François You, amico di famiglia di frère Bernard, e molti fr a te llie sorelle venuti dal Bec e da abu-Gosh. Nel saluto ai presenti, il
v e s covo della diocesi, Monsignor Marc Stenger ha sottolineato co n
forza la dimensione gratuita del sacerdozio monas t i co; anche la sua
omelia sul ministero di Cr i s to, ministero del sace r d o te, ha avuto una
forte risonanza. La nostra preghiera fiduciosa, dopo questa ordina-
192
DALLE NOSTRE COMUNITÀ
zione, dopo, soprattutto, la professione solenne di frère Gu i ll a u m e ,
è che le nostre due comunità di fratelli e sorelle, unite in una ste s s a
lode, possano accogliere nuove vocazioni».
A tutti questi fr a te lli e alle loro comunità vanno gli auguri più sinceri della redazione de l’Ulivo e di tutti i suoi letto r i .
Visite fraterne
Le sorelle di Busan si uniscono ai nostri fratelli del monastero Bles sed Bernard Tolomei di Gasung, per testimoniare la gioia provata per la
visita del P. Abate François You e di d. Colomban Benderitter di May lis, all’inizio del mese di Febbraio. L’occasione della visita è stata offerta dall’ordinazione sacerdotale di d. Agostino Ri e di d. Paul Baek
(quest’ultimo ha ricevuto una parte della sua formazione all’abbazia di
Maylis). La ricchezza di questa visita merita un racconto a parte, che
viene pubblicato in questo numero de l’Ulivo.
I legami di frate rnità tra le nostre comunità hanno beneficato di
molte altre visite o soggiorni fraterni, tra cui ecco quelli che ci sono
stati segnalati: la madre Priora di Sainte Françoise Romaine del Bec, M.
Placide Cazenave, ha trascorso i mesi di dicembre e di gennaio dalle
nostre sorelle di Turvey, in Inghilterra; per quattro volte, le sorelle di
Turvey hanno visitato quelle di Schotenhof, dopo quelle del monastero
Regina Pacis del Brasile; assai apprezzato dai fratelli di Maylis è stato il
passaggio di d. Silouane Kim, che già aveva vissuto in questo monastero per molti anni all’inizio della sua formazione monastica.
«L’Africa lontana è diventata vicina», esclamano le nostre sorelle di
Palo del Colle: esse hanno appena acco l to nella loro comunità una
sorella del Ghana, Sr. Maria-Nazaria, e si rallegrano per l’apertura che
rappresenta per la loro comunità la presenza di una sorella d’un altro
continente.
Un’esperienza simile è stata vissuta dalle sorelle di Ey r e s -Moncu be col loro predicatore di ritiro, il P. Dominique Catta, uno dei 6
monaci che, 40 anni fa, fondarono il monas tero benedettino di
193
LA REDAZIONE
Keur Moussa, nel Senegal. Le nostre sorelle hanno apprezzato
s o p r a t t u t to l’esperienza d’inculturazione liturgica rappresentata
da questa comunità, risultato, tra l’altro, d’un paziente ascolto dei
canti africani tradizionali.
Anche per molti dei nostri monas teri questo valore fondamentale della spiritualità benedettina che è l’ospitalità è stata l’occasione di avvenimenti significativi.
Le nostre sorelle del monas tero Sainte Françoise Romaine del Bec
hanno acco l to in settembre Pamela Porter Snare, sace r d o te della
Chiesa Episcopaliana degli Stati Uniti. Ordinata nel 1984, ha ottenuto dall’Istituto di Louisville una borsa di studio per portare a termine un progetto ince n t r a to sulla Regola di san Benedetto. Il suo
s copo era di avvicinare dall ’ i n te rno la vita di una comunità che
vivesse di questa Regola, per adattare il dinamismo di questa
“scuola del servizio del Signore” alla sua vita di famiglia (è infatti
sposata) e al suo ministero parrocchiale (Christ Church, a Covington, in Luisiana). Un legame assai profondo è così nato tra le
nostre sorelle e lei, grazie a questa Regola di quindici secoli fa, ma
così piena di esperienza umana e spirituale da tras cendere le barriere confessionali.
I fr a telli e le sorelle del Bec hanno ospitato, dal 3 al 9 settembre, una
sessione di canto gregoriano per maestri e maestre di cori monas t i c i
animata da P. Daniel Saulnier di Solesmes, as s i s t i to da Jaan-Eik Tulve.
Vi hanno partecipato una trentina di fr a te lli e sorelle venuti da monasteri di Francia, Scozia, Spagna e Argentina, tra cui i fr a te lli Vianney e
Benoît di Ma y l i s.
I fr a te lli di Notre Dame des près e le sorelle del priorato di Saint Dodon,
a Moustier-en-Fagne, hanno ricev u to in giugno tre monaci inglesi di
Doway, monas tero benedettino vicino a Londra, venuti in visita a
Douai, nella diocesi di Cambrai, luogo di rifugio degli intellettuali cattolici inglesi fuggiti da Oxford e anche dalle loro comunità dal 1558
quando, sotto il regno di Elisabetta, gli ultimi monaci furono espulsi
dall’Inghilterra.
194
DALLE NOSTRE COMUNITÀ
I nostri fr a te lli di Boca del Monte, in Gu a temala, per la solenne incoronazione dell’immagine della Vergine venerata nella loro chiesa, hanno acco l to il Card. Rodolfo Quezada Torno, arcivescovo metropolita
di Santiago del Guatemala; essi mantengono anche strette relazioni
con il nunzio aposto l i co, Mons. Bruno Musaro, che in questi ultimi
mesi ha fatto loro visita per due volte .
Infine, il monas tero di Camogli è stato scelto, all’inizio del mese di
Febbraio, per la prima riunione plenaria annuale del nuovo Definitorio, destinata soprattutto a pianificare il lavoro per il prossimo sessennio e per la distribuzione di alcuni compiti tra i Padri Definitori. L’accoglienza di Camogli è stata molto fr a te rna e ha confermato la validità
della scelta del Definitorio di riunirsi ogni volta in un monas tero diverso della Congregazione, per raggiungere le diverse comunità e fav o r i r e
in questo modo la comunione nella nostra famiglia monastica.
Costruzioni
I lavori sono, è vero, il pane quotidiano di quasi tutte le nostre
comunità; ci sono, tuttavia, delle tappe più significative. In particolare, i nostri fratelli di Gosung in Corea hanno formalizzato con
una decisione capitolare la loro intenzione di trasferirsi in un altro
p o s to e di fondare un nuovo monas tero, per meglio rispondere
alle esigenze di questa comunità in piena espansione. L’ a i u to della provvidenza si sta manifestando nel modo più to c c a n te e invita
i nostri fr a te lli a cogliere questa tappa importante della loro storia come un rinnov a m e n to comunitario.
Anche i tre monas teri delle nostre monache-oblate di Sainte
Françoise Romaine sono attivamente impegnati in numerosi lavori. Al B e c, esse migliorano i loro edifici con il rifacimento del negozio, l’allestimento di una grande sala di accoglienza e l’ingrandim e n to di molte ce lle, con l’installazione di lavandini e docce .
Anche ad Abu Gosh le suore hanno intrapreso la costruzione di un
atelier per i diversi artigianati di cui vivono (cereria, iconografia,
195
LA REDAZIONE
carte) e la creazione di uno spazio più comodo che raggruppi in un
solo ufficio il fax, la foto co p i a t r i ce e il co m p u te r. Infine, a Mesnilsaint-Loup, le suore affidano alla nostra preghiera il loro progetto
di co s t ruire un piccolo oratorio vicino al locale che serve loro
a t t u a l m e n te da luogo di preghiera.
I nostri monas teri si arricchiscono anche dal punto di vista
artistico. Nel mese di novembre, a Holy Cross, in Irlanda, ha avuto luogo l’installazione delle vetrate della cappella della Vergine
e del lato sud della loro chiesa, che è stata consacrata l’anno scorso. Ne llo stesso tempo, a Ma y l i s, nella sala del capitolo, è stata
posta la scultura in ferro forgiata da Mr. Puste t to, raf f i g u r a n te la
scena della lavanda dei piedi (una foto di quest’opera si trova in
q u e s to numero de l’Ul i v o). La comunità ha approfittato dell a
coincidenza di questo av v e n i m e n to con la proclamazione dell’anno dell’Eucaristia da parte di Papa Giovanni Paolo II per stabilire il legame tra Eucaristia e vita sotto il segno, giustamente, della lavanda dei piedi, alla luce del Vangelo di San Gi ovanni. Ques to gesto è stato rivissuto nei giovedì di Quaresima e un
r e s o co n to di questa esperienza comunitaria sarà pubblicato nel
prossimo numero de l’Ulivo.
Alcuni avvenimenti stra o rd i n a r i, comunque…
Non è cosa di tutti i giorni accendere la televisione e vedere le
nostre sorelle del Priorato Regina Pacis di Schotenhof! È accaduto il
25 luglio, giorno in cui la loro Messa solenne è stata trasmessa dalla televisione belga.
Il 29 gennaio, più di 200 persone si sono unite alla nostra comunità di Mary, spouse of the Holy Spirit delle Hawaii per celebrare il
XX anniversario della Basic Christian Community of Ha w a i i, le cui
guide spirituali sono d. Michael Sawyer e Sr. Ma ry Jo McEnany. Si
tratta di un mov i m e n to di laici che riunisce piccoli gruppi di fedeli desiderosi di vivere più pienamente la loro vita cristiana. La
196
DALLE NOSTRE COMUNITÀ
vitalità del lavoro di questo gruppo è dimostrata dal fatto che ha
riguardato, nel corso degli anni, circa 3600 persone. Un bel risultato, il cui avvenire è af f i d a to alle nostre preghiere.
Segnaliamo anche un’insolita proposta fatta alle nostre sorelle
di Sainte Françoise Romaine del Bec: preparare un libro di “sentenze” di Giovanni Paolo II destinato ai giovani. Proposta accettata
con entusiasmo dalle nostre sorelle e condotta a termine da Sr.
Joëlle Marie col titolo A vous les jeunes, Éditions Saint Augustin.
Infine, per concludere questo panorama, ricordiamo due avvenimenti rilevanti.
Verso la fine dell’anno scorso, una nota emanata dal Ministe r o
della Cultura fr a n cese ricordava ai nostri fr a te lli del Bec Hellouin
che quest’anno ricorre il primo millenario della nascita di Lanfr a n co. Lanfr a n co fu il fondatore delle scuole del Bec, verso il
1 0 4 5, per poi diventare il primo abate di Saint Etienne de Caen, e
infine arcivescovo di Ca n te r b u ry, nel 1070. Questa import a n te
figura di monaco contribuì anche all’evoluzione del pensiero della Chiesa sull’Eucaristia. I nostri fr a te lli si apprestano dunque a
celebrare e ad aiutare a co n o s cere meglio questo grande monaco,
uomo al servizio della Chiesa e della società del suo tempo e ad
approfittare di questa occasione per nutrire e approfondire i loro
legami con la Chiesa d’Inghilterra, che tanto deve a quell’arcivescovo riformatore che fu Lanfranco, al tempo di Guglielmo, quando già nas ceva l’Europa.
Terminiamo con un av v e n i m e n to riguardante la nostra cara
casa madre di Monte Ol i v e t o, i cui innumerevoli tesori artistici vengono sempre meglio valorizzati, da qualche anno, grazie a importanti lavori di restauro. L’8 gennaio, la comunità ha ricev u to il
Pr o f. Antonio Paolucci, responsabile della Regione Toscana con il
Pr o f. Bruno Santi e la Signora Alessi della Soprintendenza di Siena, il sindaco di Asciano e altre personalità per l’inaugurazione del
restauro del refettorio, del coro e della sala detta del Tribunale. Il
P. Ab a te Generale ha approfittato dell’occasione per sottolineare
197
LA REDAZIONE
che l’Abbazia non è un museo e che la presenza dei monaci ne fa
un organismo vivente. Ne lla sua risposta, il Pr o f. Paolucci ha
ripreso l’idea di “organismo vivente” e ha fatto un collegamento
con gli af freschi del Novelli che fanno del refettorio di Mo n te Oliv e to uno spazio unico nel suo genere, soprattutto a causa dell’hu moria, l’umorismo espresso soprattutto nel volto dei personaggi
rappresentati.
Per concludere
I nostri padri erano dunque convinti dell’importanza dell’umorismo per l’equilibrio umano e spirituale delle nostre comunità.
Ne sono testimonianza non solo gli af freschi del refettorio di
Monte Ol i v e t o, ma anche e soprattutto quelli, così familiari a tutti
noi, del Sodoma e del Signorelli nel grande chiostro. Chi non
ricorda la scena raf f i g u r a n te il pasto dei monaci, in cui un monaco nas conde il pezzo di pane di uno dei suoi fratelli, mentre il serv i tore sorride divert i to? L’umorismo, come insegna d. Alain Delbos — che per 40 anni ha svolto il ruolo di maestro di novizi a
Maylis — è espressione di umiltà e di amore. È quanto auguriamo
di tutto cuore alle nostre comunità e ai nostri lettori alla fine di
q u e s to panorama, fino al prossimo resoco n to .
La Redazione
198
DALLE NOSTRE COMUNITÀ
De nos Communautés
Comment parler de ‘vie de famille’ quand frères et sœurs sont dispersés aux quatre coins du monde ? Ne serait-ce pas faire fi des dist a n ces, des différences culturelles, des multiples façons d’incarner
une même vocation monastique, le même héritage reçu de Bernard
Tolomei et de ses co m p agnons ?
Gr â ce à l’unité qui vient de l’Esprit Saint, to u te différence devient
dans l’Église source de richesse, parce qu’une même charité embrasse et transforme tout en sacrifice spirituel agréable à Dieu. Notre
famille monastique est ainsi pour nous le lieu privilégié où s’expérim e n te la catholicité de l’Église et l’unité qui lui est propre, au sein
même de ce t te diversité. Une unité qui n’est pas la co n s é q u e n ce de
nos efforts, mais qui a été reçue en don dès le départ et qui devient
particulièrement visible lors d’événements privilégiés comme le
Chapitre Général que la famille monastique de Mo n te Oliveto a vécu
du 1er au 14 octobre 2004.
Ce chapitre a été inauguré par une petite Pe n te c ô te qui reste r a
dans la mémoire de tous les participants. Le premier jour, dans la chapelle du Bienheureux Bernard, l’intercession et la louange des représentants des communautés de moines, moniales et sœurs de notre
Congrégation a spontanément jailli en italien, en français, en anglais,
en coréen, en espagnol, en portugais, en ghanéen et bien sûr en latin
(ce dernier, il est vrai, moins spontanément pour beaucoup!). On peut
sans doute regretter que les travaux du chapitre aient trop vite pris le
pas sur cet aspect de prière et d’expérience d’unité dans l’Esprit qui
laisse toute sa place à la diversité des langues et des cultures. Cependant, d’un chapitre à l’autre, il est réconfortant de voir combien cette
dimension se développe et s’affirme. D’ailleurs, le chapitre lui-même
a accueilli cette aspiration et a constitué un groupe de réflexion destiné à repenser le déroulement du chapitre de façon à déployer plus
e f f i c a cement sa dimension charismatique, c'est-à-dire d’expérience
199
LA REDACTION
de la présence agissante de l’Esprit. Pour un co m p te-rendu plus
détaillé des travaux de ce chapitre, nous laissons la parole au P. Abbé
Général, Don Michelangelo Tiribilli, confirmé à la tête de la famille
monastique de Monte Oliveto pour un troisième mandat.
Cette même unité que l’Esprit a donnée à notre Congrégation se
laisse percevoir également dans les événements de la vie de nos co mmunautés, ceux qui sortent de l’ordinaire, mais aussi, et peut-être
s u rtout, ceux de tous les jours.
Rien d’extra o rdinaire ?
Quand on demande à un moine ou bien à une communauté
m o n astique de transmettre au chroniqueur un événement part i c u l i èrement significatif des derniers mois, il n’est pas rare de lire une
réponse comme ce lle de Don Alfonso Serafini, prieur de Ro d e n g o: «Il
n’y a rien eu d’extraordinaire; nous sommes une petite communauté,
dont l’âge moyen grandit, engagée dans la fidélité à son témoignage
de vie monastique et qui représente, dans son diocèse, un point de
repère et un lieu de ressourcement spirituel et sacramentel.» Ou bien
e n core comme ce lle qui nous vient des frères de San Miniato: « Il n’y
a vraiment eu aucun événement, si ce n’est la célébration liturgique
de l’Historia salutis, pour que sa mémoire s’étende à tous…». N’est-il
p as normal, pour une famille monastique, de resplendir non pas dans
tel ou tel événement apparemment plus brillant, mais d’abord dans
l’humble fidélité à «la tâche accoutumée de notre serv i ce», comme le
dit la Règle de Saint Benoît ? Et pourtant, bien des événements
extraordinaires se greffent sur ce t te humble fidélité pour tirer d’elle
leur sens le plus profond.
Un exemple parmi les plus significatifs nous est offert par la co mmunauté des frères étudiants de Santa Fra n c e s ca Romana à Rome. Le
29 octobre, au Ca p i tole, dont le monastère n’est distant que de
quelques centaines de mètres, avait lieu l’événement historique de la
signature de la to u te nouvelle Constitution par les 25 chefs d’États
200
DE NOS COMMUNAUTÉS
des Pays de l’Union Européenne. À ce moment même, les frères célébraient l’office et la messe du patron de l’Europe, saint Benoît, en
témoignage de ces racines chrétiennes et monastiques que le te x te
constitutionnel a malheureusement décidé d’ignorer.
Le 3 octobre, parmi les nombreux fidèles venus célébrer l’anniversaire du couronnement de l’icône de la Vierge vénérée dans le sanctuaire de Pi c c i a n o, se trouvait Umberto Copertino, l’un des quatre
otages italiens enlevés en Irak au cours de l’année précédente. Il
venait, avec sa famille, rendre grâce pour sa libération et s’unir à la
prière de ce t te communauté en faveur de la paix.
Alors même que le Chapitre Général battait son plein à Mo n te
O l i v e to, au début du mois d’octobre, un autre événement caché,
mais pas moins ‘extraordinaire’ avait lieu à Rome. Le défunt Pa p e
Jean-Paul II avait souhaité, en 1994, que les différents Ordres de
moniales contribuent, par périodes de cinq ans, à la présence d’une
communauté co n templative à l’intérieur même du Vatican, en un
monastère placé sous l’invocation de Marie, Mater Ecclesiae. Pour les
cinq prochaines années, ce t te présence est assurée par un petit groupe de moniales bénédictines : 3 moniales italiennes de l’Abbaye de
Rosano de Pontassieve (Florence), 2 moniales françaises de l’Abbaye
Notre Dame de Fidélité de Jouques (Prov e n ce), une moniale américaine ed une philippine de l’Abbaye de S. Walburge en Virginie Dale
(Colorado, USA) et enfin une sœur de notre famille monastique de
Mo n te Oliveto, Sr. Mary Fr a n ces Mure de Pe cos. Pour ce t te raison,
ce groupe de moniales s’est rendu en visite à l’abbaye de Mo n te Oliv e to le 9 septembre et y fut guidé par Don Roberto Nardin. Rien
d ’ é tonnant que ce dernier ait été invité par la prieure, Mère Maria
Sofia, à prêcher la retraite au monastère Mater Ecclesiae du 23 au 29
o c tobre prochain.
Une vocation monastique se renouvelant sans cesse
Bien des changements qui consolident la vocation monastique et
201
LA REDACTION
la vie fratern e lle de nos communautés pourraient aussi passer inaperçus, sous préte x te qu’ils n’ont « rien d’extraordinaire».
Il faut être reconnaissant pour la simplicité avec laquelle nos
sœurs d’Eyres-Mo n c u b e, par exemple, nous partagent leur évolution
dans la manière de vivre le chant choral depuis bientôt deux ans. Un
effort louable d’améliorer la pose de la voix et la pratique du grégorien avait conduit à ce qu’elles-mêmes décrivent comme « un beau
co n ce rt où les voix plus brill a n tes entraînaient les autres et où les
moins douées restaient à l’écart ». D’où le choix d’une plus grande
sobriété et simplicité correspondant mieux à leurs forces et à leur
nombre et dont le plus beau résultat est que to u tes peuvent chante r
et que la prière y a considérablement gagné.
Avec la même simplicité, nos frères étudiants de Santa Fra n c e s ca
Romana à Rome nous font part de leur joie pour le développement
de l’observ a n ce monastique de ce t te maison, avec lecture au réfectoire à tous les repas et messe chantée en grégorien tous les jours.
No tons également les rencontres de lectio divina guidées par D.
Roberto Nardin pendant l’Avent, auxquelles de nouvelles personnes
se sont jointes.
«Un monastère sans une bibliothèque est comme un château fort
sans salles d’armes » ! Nos frères de Holy Cross Monastery à Rostrevor,
en Irlande, montrent combien ils en ont conscience par le zèle qu’ils
ont déployé ces derniers temps à enrichir la bibliothèque de leur
nouveau monastère. Fr. Thierry effectuait un séjour chez nos frères
de Tu rv e y, en Angleterre, les 3 et 4 septembre, pour profiter de la fermeture d’une librairie religieuse et faire le plein de livres pour leur
bibliothèque. Deux mois après, les 8 et 9 novembre, Fr. Thierry et Fr.
Benoît se rendaient à l’Abbaye de Glenstal, en Irlande, qui offrait
généreusement à leur monastère des cartons de livres et de revues.
C e t te revue des faits ‘non extraordinaires’ pourrait s’allonger…
Retenons la profonde reconnaissance au Seigneur de la part de plusieurs de nos communautés, qui partagent avec nous leur joie pour
l’entrée de jeunes, parfois après de très longues périodes d’atte n te .
202
_______________
DE NOS COMMUNAUTÉS
Nos frères de San Nicola de Rodengo ont attendu 35 ans ! En effet, pour
la première fois depuis le retour des moines de notre Congrégation
dans ce monastère en 1969, à la demande explicite du Pape Paul VI,
deux jeunes, Emilio et Eusebio, ont frappé à sa porte et ont été
accueillis. Emilio, qui a revêtu notre habit le 12 décembre pour l’inauguration de son noviciat à l’abbaye-mère de Monte Oliveto, s’appelle maintenant don Paolo, précisément en souvenir du pape Paul VI.
Des jeunes sont également entrés chez nos sœurs d’Abu Gosh, à
l’abbaye-mère de Monte Ol i v e t o, à Maylis et, bien sûr, en grand
nombre, dans les monastères de Gosung en Corée et de B o ca del Mon te au Gu a temala. Comment co m m e n ter ce printemps vocationnel
que notre famille monastique expérimente depuis l’année 2000
autrement que par la petite question avec laquelle D. Alfonso achève la chronique de sa communauté : « E s t - ce l’approche tant espérée de la canonisation de notre saint fondateur qui est en train de
réveiller quelque chose? »
Des épreuves aussi
«Comment rendre grâce pour un malheur?» s ’ i n terrogent les frères
et les sœurs d’Abu Gosh, alors que leur abbé-évêque, dom Je a n - B a ptise Gourion tombe gravement malade au retour du chapitre général
et doit rester cloué au lit pendant trois mois ? Maladie qui se déclare
un an seulement après le début de ce t te délicate mission épisco p a l e
et alors que la communauté monastique est co n frontée à la difficulté de devoir partager son abbé avec le diocèse des catholiques
hébréophones d’Israël dont il est devenu le pas teur. Voici la réponse
que leur inspire la foi : «De quelle œuvre s’agit-il ? Celle de Dieu. […]
Ce passage par l’épreuve qui a marqué Abu-Gosh ces derniers mois
est un don de Dieu, le lieu où Dieu lui-même se donne et donne à lire
son œuvre. C’est peut-être aussi une participation aux souffrances et
à l’espérance de ceux qui veulent la paix pour ce pays.» Dieu merci,
les dernières nouvelles sont réconfort a n tes: passé le moment plus
203
LA REDACTION
critique, le P. Je a n - B a p t i s teémerge et les frères nous disent combien
«la paix ne l’a pas quitté un instant.»*
L’épreuve touche aussi notre communauté de Cockfosters, à
Londres. Son Prieur, D. Costanzo, veut partager avec nous les difficultés d’une communauté qui, en deux ans, a perdu ses deux
colonnes, le P. Prieur D. Placido Meylink et le P. Abbé Vittorino
Aldinucci. Peu après, D. Wi llibrord, très âgé maintenant, est reto u rné dans son pays, la Hollande, pour finir ses jours dans le monastère
bénédictin où l’un de ses propres frères est également moine. Enfin.
D. Benedict et D. Paschal ont des problèmes de santé. Les nombreuses charges de la communauté et ce lle de l’importante paroisse
qui lui est attachée pèsent donc uniquement sur Don Costanzo et
sur deux autres frères.
Dans l’attente d’une prochaine visite du P. Abbé Général tant à
Abu-Gosh qu’à Cockfosters, ces deux communautés se confient à
notre prière et, de tout cœ u r, nous les assurons de notre prox i m i t é
dans leurs épreuves du moment.
L’épreuve a touché aussi notre communauté de Riberao Preto dont
le prieur, D. Fortunato Capodilupo, est soudainement décédé, le 2
o c tobre 2004. Un hommage à D. Fort u n a to, qui nous a été envoyé
par ses frères de Riberao Pr e to, suit ce t te chronique.
Frère qui va, frère qui vient: nominations et transferts
La communauté de Riberao Preto nous offre la nouvelle la plus
significative au sujet des nouvelles nominations de ce t te dernière
période. Pour la première fois depuis sa fondation, en 1919, le 19 janvier, elle a élu un prieur Brésilien, le Fr. Anselmo Sidinei Codinhoto ,
_______________
* L’Ulivo est dèjà chez l’imprimeur au moment où nous apprenons la nouvelle du décìs de Père Abbé - Évèque Jean - Baptiste. Un Souvenir de ce t te
grande figure de notre famille monastique parai^tra dans le prochain numéro.
204
DE NOS COMMUNAUTÉS
signe d’un enracinement toujours plus profond dans leur pays, après
qu’un bon groupe de jeunes y est entré au cours de ces dernières
années.
Le chapitre général a ensuite entraîné son cortège habituel de
transferts et de nominations. Mentionnons d’abord l’élection du P.
Jean-Gabriel Personnaz, jusque-là maître de formation de l’abbaye
de Ma y l i s, comme vicaire de l’abbé général. Une tradition de présence d’un moine de Maylis à l’abbaye-mère a ainsi été renouée, trois ans
seulement après le décès du P. Bernard Dumartin. Ce dernier, l’un
des fondateurs de cette abbaye française, était resté sans inte r ru ption à l’abbaye-mère de 1952 jusqu’à sa mort, y remplissant tour à to u r
les fonctions de chancelier, de vicaire de l’abbé général et surtout de
prieur claustral.
Le vide que le P. Jean-Gabriel a laissé à Maylis a notamment pu
être mesuré aux nombreux changements que son départ a entraînés
dans ce t te communauté. À la charge déjà importante de maître des
novices, P. Jean-Gabriel ajoutait ce lles de professeur de théologie
dogmatique, de responsable du magasin et de l’atelier de cire, de
conseiller du P. Abbé et de confesseur de plusieurs monastères de
moniales, obédience pour laquelle il a un vrai don ! Dans une lettre à
la communauté de Mo n te Oliveto, les frères de Maylis ont tenu à
exprimer à la fois tout le sacrifice qu’un tel départ représentait pour
eux et leur joie de pouvoir ainsi renforcer davantage encore leurs
liens avec la maison-mère.
Suite au départ du P. Jean-Gabriel, le Père abbé, dom François
You, nommait le Fr. Raphaël Chapelard comme prieur claustral et le
Fr. Luigi Gioia comme maître de formation. Soulignons une nouveauté dans ces nominations : pour la première fois depuis la renaissance de notre Congrégation au 19ème siècle, deux frères non prêtres
se voient confier ces charges, signe éloquent du nouveau visage
moins clérical que notre famille monastique se donne toujours
davantage.
À la suite encore du chapitre général, le Père abbé général a nom-
205
LA REDACTION
mé le nouveau prieur claustral de Monte Ol i v e t o, don Roberto Donghi, également chargé de la formation des jeunes frères, obédience
en laquelle il remplace don Stanislao Avanzo. Ce dernier, ayant te rminé son service comme vicaire de l’abbé général, était transféré à
l’abbaye de Lendinara, alors que le très dévoué frère infirmier, don
Vito Latorre, était assigné à la communauté de Picciano.
Une autre nomination importante à mentionner est ce lle de l’aumônier de la maison principale de nos sœurs olivétaines de Corée à
Busan. Depuis l’implantation de nos sœurs en Corée, ce rôle av a i t
été rempli par un moine de Saint-Ottilien. Cependant, dès que la
communauté de nos frères olivétains de Corée a été en mesure de
prendre le relais, nos sœurs ont tenu à recourir à eux pour avoir un
aumônier de la même famille monastique. Le premier aumônier a été
don Silouane Kim et, au terme de son mandat, le Père prieur de
G o s u n g, don Giona Lee, a nommé pour lui succéder don Pio Pa r k .
Simultanément, depuis bientôt cinq ans, don Giona prêche chaque
année la retraite communautaire des sœurs. Ces dernières tiennent
à nous dire combien elles apprécient ce don de la Providence, alors
q u ’ e lles continuent à bénéficier d’une expansion réellement prodigieuse, avec les défis que cela co m p o rte. Avec plus de 450 sœurs, il
est devenu nécessaire de créer trois prov i n ces, Busan, Daegu et
Seoul, dans le but de continuer à assurer un suivi vraiment personnalisé de chaque sœur. D’autre part, nos sœurs nous offrent un modèle impressionnant de formation permanente pour soutenir leur vie
spirituelle et communautaire. Onze fois par an, des rencontres de
quatre jours sont organisées à Busan, pendant lesquelles les sœurs
peuvent bénéficier d’un acco m p agnement et faire le point sur ellesmêmes et sur leur vie de communauté.
Événements de famille
Parmi les événements les plus heureux de la vie de nos co m m u n a utés, il y a bien sûr la profession perpétuelle, par laquelle frères et
206
DE NOS COMMUNAUTÉS
sœurs ratifient pour la vie leur choix de notre famille monastique à
travers la stabilité dans une communauté donnée. Ce fut le cas, le 19
août, solennité du Bx. Bernard, pour le fr. Thomas Ward de notre
monastère de Turvey et, le 5 décembre, pour don Angelo Jeong du
monastère de G o s u n g, en Corée. Tous deux ont pu se préparer à as s umer la double dimension d’apparte n a n ce à leur communauté respective et à la Congrégation à travers la participation à la rencontre des
jeunes moines et moniales olivétaines, au mois de juillet dernier à
Monte Ol i v e t o.
Par ailleurs, si notre famille monastique prend un visage moins
clérical, cela ne veut pas dire que nous n’ayons plus besoin de frères
qui, dans nos communautés, assument humblement le ministère
presbytéral. Toute ordination presbytérale nous rappelle que l’initiative de notre salut vient d’ailleurs, qu’elle est reçue et que sans vie
s a c r a m e n te lle il n’y a pas de vie chrétienne. Cinq frères ont reçu ce
don et ce t te mission au cours de ces derniers mois : don Anselmo
Barberis, à Monte Ol i v e t o, le 10 octobre, en plein chapitre général ; le
fr. Bernard Buchoud, le 30 octobre, à Mesnil Saint Loup ; don André
Aparecido Bernardino, le 14 janvier, au Brésil et enfin don Pa o l o
Baek et don Agostino Ri, le 18 janvier, en Corée. Pour l’ordination en
Corée, nous renvoyons à la chronique à part que nous en donne, dans
ce numéro de l’Ulivo, le fr. Colomban Benderitter de Maylis, qui y
participait.
Pour l’ordination du Fr. Bernard Buchoud, les frères de Mesnil
Saint Loup nous en donnent le petit co m p te-rendu suivant : « Le
samedi 30 octobre 2004, autour des deux communautés de moines
et de moniales-oblates du Mesnil, se retrouvaient à la cathédrale de
Troyes le Père abbé de Maylis, dom François You, ami de la famill e
de frère Bernard, et plusieurs frères et sœurs venus du Bec et d’AbuGosh. Dans la salutation qu’il adressa à l’assemblée, l’évêque du diocèse, Monseigneur Marc Stenger mit nettement en valeur la dimension gratuite du sace r d o ce monas t i q u e ; son homélie sur le ministère du Christ, ministère du prêtre, eut également un fort
207
LA REDACTION
retentissement. Notre prière co n f i a n te, après ce t te ordination, après
s u rtout la profession solennelle de frère Gu i llaume, est que nos deux
communautés de frères et de sœurs, rassemblées dans une louange
commune, puissent accueillir de nouvelles vocations.»
À tous ces frères et à leur communautés vont les vœux les plus
chers de la rédaction de l’Ulivo et de tous ses lecte u r s .
Visites fraternelles
Les sœurs de Busan s’unissent à nos frères du monastère Blessed
Bernard Tolomei de G o s u n g, pour témoigner de la joie éprouvée lors de
la visite du P. Abbé François You et du Fr. Colomban Benderitter de
Ma y l i s, au début du mois de février. L’ o c c asion de la visite était offerte par l’ordination presbytérale de Fr. Agostino Ri et de Fr. Paul Baek
(ce dernier a effectué une partie de sa formation à l’abbaye de May l i s). La richesse de ce t te visite mérite un développement propre, que
l’on trouvera dans ce numéro de l’Ulivo.
Les liens de fr a te rnité entre nos communautés ont profité de bien
d’autres visites ou séjours fr a te rnels, dont voici ceux qui nous ont été
signalés: la Mère prieure de Sa i n t e-Françoise-Romaine du Bec, Mère
Marie-Placide Cazenave, a passé les mois de décembre et de janvier
chez nos sœurs de Turv e y, en Angleterre; à quatre reprises, les sœurs
de Turvey ont visité ce lles de Schotenhof, s’ajoutant à ce lles du monastère Regina Pacis du Brésil; très apprécié par les frères de Maylis a été
le passage du Fr. Brice d’Ab u -Gosh, qui venait de participer à la
réunion de la commission économique de la Congrégation à Rome ;
enfin, les frères de Maylis sont aussi heureux d’accueillir pour un
séjour de quelques mois le Fr. Silouane Kim, qui avait déjà vécu dans
ce monastère pendant de nombreuses années au début de sa formation monastique.
«La lointaine Afrique est devenue proche de nous», s’exclament
nos sœurs de Palo del Colle: elles viennent d’accueillir dans leur co mmunauté une sœur Ghanéenne, Sr. Maria-Nazaria, et se réjouissent
208
DE NOS COMMUNAUTÉS
de l’ouverture que représente pour leur communauté la présence
d’une sœur d’un autre co n t i n e n t .
Une expérience semblable a été vécue par les sœurs d’Eyres-Mon cube au contact de leur prédicateur de retraite le P. Dominique Ca tta, l’un des six moines qui, il y a quarante ans, fondèrent le monas t ère bénédictin de Keur-Moussa, au Sénégal. Nos sœurs ont apprécié
surtout l’expérience retraite, d’inculturation liturgique dant
témaigne cette communauté, résultat, entre autres, d’une éco u te
p a t i e n te des chants traditionnels afr i c a i n s .
Pour plusieurs de nos monastères aussi, ce t te valeur fondamentale de la spiritualité bénédictine qu’est l’hospitalité a été l’occasion
d’événements marquants.
Nos sœurs du monastère Sa i n t e-Françoise-Romaine du Bec, ont
accueilli en septembre Pamela Porter Snare, prêtre de l’Église épiscopalienne des Etats-Unis. Ordonnée en 1984, elle a obtenu de l'In stitut de Louisville une bourse pour mener à bien un projet centré sur
la Règle de saint Benoît. Son propos était d'approcher de l'intérieur
la vie d'une communauté vivant de cette Règle, afin d'adapter le
dynamisme de ce t te "école du serv i ce du Seigneur" à sa vie de famille (étant elle-même mariée) et à son ministère paroissial (Christ
Church, à Covington, en Louisiane). Un lien très profond est ainsi né
entre nos sœurs et elle, à partir de cette Règle vieille de quinze
siècles mais si riche d'expérience humaine et spirituelle, transce ndant ainsi les barrières confessionnelles.
Les frères et soeurs du Bec ont également accueilli, du 3 au 9 septembre, une session de chant grégorien pour maîtres et maîtresses de
chœur monastique, session animée par dom Daniel Saulnier de
Solesmes, assisté par Jaan-Eik Tulve. Y ont participé une trentaine
de frères et sœurs venus des monastères de France, d’Écosse, d’Espagne et d’Argentine, et parmi eux les frères Vianney et Benoît de
Ma y l i s.
Les frères de No t r e- Dame-des-Prés et les sœurs du prieuré Sa i n t Dodon, à Moustier-en-Fagn e, ont reçu en juin trois moines anglais de
209
LA REDACTION
Doway, monastère bénédictin près de Londres, venus en visite à
Douai, dans le diocèse de Cambrai, lieu de refuge des inte ll e c t u e l s
catholiques anglais ayant fui Oxford et aussi leur communauté à partir de 1558 quand, sous le règne d’Élisabeth, les derniers moines
furent expulsés d’Anglete r r e .
Nos frères de B o ca del Mo n t e, au Gu a temala, pour le couronnement
solennel de l’image de la Vierge vénérée dans leur église, ont accueilli
le cardinal Rodolfo Quezada Toruno, archevêque métropolitain de
Santiago de Gu a temala ; ils entretiennent aussi d’étroites relations
avec le nonce apostolique, Mgr Bruno Musaro, qui leur a rendu visite par deux fois ces derniers mois.
Enfin, le monastère de Camogli a été choisi, au début du mois di
février, pour la première réunion plénière annuelle du nouveau Défin i toire, destinée surtout à planifier le travail pour les six années à
venir et à la distribution de ce rtaines tâches entre les Pères Définiteurs. L’accueil de Camogli a été des plus fr a te rnels et a confirmé
combien justifié est le choix du Définitoire de se réunir chaque fois
dans un monastère différent de la Congrégation, pour rejoindre les
différentes communautés et favoriser ainsi la communion dans notre
famille monas t i q u e .
Constructions
Les travaux sont, il est vrai, le pain quotidien de presque to u te s
nos communautés, mais il est des étapes plus significatives tout de
même. En particulier, nos frères de Gosung en Corée ont formalisé
par une décision capitulaire leur intention de se transférer dans un
autre lieu et de bâtir un nouveau monastère, pour mieux répondre
aux exigences de leur communauté en pleine expansion. L’aide de la
Providence est en train de se manifester de la façon la plus to u c h a nte et invite nos frères à saisir ce t te étape import a n te de leur histo i r e
pour un renouvellement co m m u n a u t a i r e .
Par ailleurs, les trois monastères des moniales-oblates de Sainte -
210
_______________
DE NOS COMMUNAUTÉS
Françoise-Romaine sont aussi activement engagés dans de nombreux travaux. Au Bec, les sœurs rénovent leur magasin, aménagent
une grande salle d’accueil et procèdent à l’agrandissement de plusieurs ce llules, avec installation de lavabos et douches. À Abu-Gosh
aussi, les sœurs ont entrepris la construction d’un atelier pour les différents artisanats dont elles vivent (ciergerie, iconographie, carte s )
et la création d’un espace plus pratique regroupant en un seul bureau
le fax, la photo copieuse et l’ordinate u r. Enfin, au Mesnil-saint-Loup,
les sœurs confient à notre prière leur projet de co n s t ruire un petit
o r a toire près de la pièce qui leur sert actuellement de lieu de prière.
Nos monastères s’enrichissent également du point de vue art i stique. Au mois de novembre, à Holy Cross, en Irlande, avait lieu la
pose des vitraux de la chapelle de la Vierge et sur le côté sud de leur
église, qui a été consacrée l’année dernière. Au même moment à
Ma y l i s, dans la salle du chapitre, était posée la sculpture en fer forgé,
réalisée par M. Puste t to et représentant la scène du lavement des
pieds (voir une photo de ce t te œuvre, dans ce numéro de l’Ul i v o). La
communauté a profité de la co ï n c i d e n ce de cet événement avec la
proclamation de l’année de l’Eucharistie par le pape Jean-Paul II
pour établir le lien entre eucharistie et vie fratern e lle sous le signe du
lavement des pieds, à la lumière de l’évangile de saint Jean. Ce geste
a été re-vécu les jeudis de Carême ; le lecteur trouvera dans le prochain numéro de l’Ulivo un co m p te-rendu de ce t te expérience co mmunautaire.
Quelques événements extraord i n a i r e s,tout de même…
Ce n’est pas tous les jours que, en allumant la télévision, on voit
nos sœurs du Prieuré Regina Pacis de Schotenhof ! Ce fut le cas le 25
juillet, jour où leur ‘grand-messe’ fut diffusée par la télévision belge.
Le 29 janvier, plus de 200 personnes se joignaient à notre co m m unauté de Mary, spouse of the Holy Sp i r i t des Hawaii pour célébrer le
20ème anniversaire de la Basic Christian Community of Ha w a i i, dont Fr.
211
LA REDACTION
Michael Sawyer et Sr. Mary Jo McEnany sont les guides spirituels. Il
s’agit d’un mouvement de laïcs qui rassemble des petits groupes de
fidèles désireux de se soutenir mutuellement, d’étudier et mieux
connaître la Parole de Dieu et de vivre plus pleinement leur vie chrétienne. La vitalité du travail de ce groupe se lit dans le fait qu’il a to uché environ 3600 personnes au fil des années. Une belle réussite,
dont l’avenir est confié à notre prière.
Signalons aussi une proposition inhabituelle faite à nos sœurs de
Sa i n t e-Françoise-Romaine du Bec : préparer un livre de ‘sente n ces’ de
Jean-Paul II destiné aux jeunes. Proposition acceptée avec enthous i asme par nos sœurs et menée a terme par sœur Joëlle-Marie sous le
titre À vous les jeunes, aux Éditions Saint-Augustin.
Enfin, pour conclure ce panorama, mentionnons deux événements notables.
Vers la fin de l’année dernière, une note émanant du Ministère
français de la culture rappelait à nos frères du Bec-Hellouin que Lanfranc était né il y a 1000 ans. Lanfranc, prieur claustral de l’abbé fond a teur Herluin, créa et dirigea au Bec des écoles fameuses, vers 1045,
avant de devenir le premier abbé de Saint-Étienne de Caen, et enfin
a r c h evêque de Ca n te r b u ry, en 1070. Cette import a n te figure monastique contribua aussi à l'évolution de la pensée de l'Église co n ce rnant
l'eucharistie. Nos frères vont donc célébrer et aider à mieux
connaître ce grand moine, serv i teur de l'Église et de la société de son
temps et profiter de ce t te occasion pour nourrir et approfondir leurs
liens avec l'Église d'Angleterre, qui doit tant à l'archevêque réformateur que fut Lanfranc, au temps de Guillaume, quand naissait déjà
l'Europe.
Terminons enfin sur un événement touchant notre chère maisonmère de Monte Ol i v e t o, dont les innombrables trésors artistiques sont
toujours mieux mis en valeur, depuis quelques années, par d’importants travaux de restauration. Le 8 janvier, la communauté recevait le
Prof. Antonio Paolucci, responsable de la Région Toscane avec le
Prof. Bruno Santi et Madame Alessi de la Soprintendenza de Sienne,
212
_______________
DE NOS COMMUNAUTÉS
le Maire d’Asciano et d’autres personnalités, pour l’inauguration de
la restauration du réfectoire, du chœur et de la salle dite du Tribuna le. Le Père abbé général a profité de l’occasion pour souligner que
l’abbaye n’est pas un musée et que la présence des moines en fait un
organisme vivant. Dans sa réponse, le Prof. Paolucci a repris l’idée d’
‘organisme vivant’ et a fait le lien avec les fresques du Nov e lli qui font
du réfectoire de Monte Oliveto un espace unique en son genre, surtout à cause de la h u m o r i a, l’humour qui s’exprime surtout à trav e r s
les visages des personnages représentés.
Pour conclure
Nos pères étaient donc persuadés de l’import a n ce de l’humour
pour l’équilibre humain et spirituel de nos communautés. Ceci nous
est témoigné non seulement par les fresques du réfectoire de Monte
Ol i v e t o, mais aussi et même surtout par ce lles, si familières à nous
tous, de Sodoma et de Signorelli dans le grand cloître. Qui n’a pas à
l’esprit la scène représentant le repas monastique, dans laquelle un
moine est en train de cacher le morceau de pain de l’un de ses fr è r e s ,
alors que le serveur en sourit amusé ? L’humour, comme l’enseigne le
P. Alain Delbos – qui a rempli pendant 40 ans le rôle de maître des
novices à Maylis – est expression d’humilité et d’amour. Voilà ce que
nous souhaitons de tout cœur à nos communautés et à nos lecte u r s
en conclusion de ce panorama, jusqu’au prochain co m p te-rendu.
La Redaction
213
FROM OUR COMMUNITIES
From our communities
How do we speak of ‘family life’ when brothers and sisters are
spread abroad to the four co rners of the world? Is it nece s s a ry to
shrink the distances, the cultural differences, the multiple styles to
enflesh the same monastic vocation, the same heritage received from
Bernard Tolomei and his companions ?
Thanks to the unity which comes from the Holy Spirit, every difference becomes in the Church a source of richness, because one and
the same charity embraces and transforms ev e ryone into a spiritual
sacrifice acceptable to God. Our monastic family is a privileged place
where one experiences the catholicity of the Church and the unity
which is proper to her, even in the midst of this variety. It takes place
from a unity which is not the consequence of our efforts, but which
has been received as a gift from the beginning and which becomes visible above all through privileged events like that of the General Chapter which the monastic family of Mo n te Oliveto experienced fr o m
the 1st to the 14th of October 2004.
The chapter was inaugurated with a little Pentecost which remains
in the memory of those who experienced it. The first day, in the
chapel of Blessed Bernard, the intercession and the praise of the representatives of the communities of Olivetan monks, nuns, and sisters
spontaneously burst forth in Italian, in French, in English, in Korean,
in Spanish, in Portuguese, in Ghanian and even in Latin (this last, it is
true, less spontaneously for sure!). One can perhaps regret that the
works of the chapter too quickly took the place of this aspect of
prayer and the experience of unity in the Spirit who allots each a
place in the diversity of languages and of cultures. However, from one
c h a p ter to the next, it is co m f o rting to see how this dimension is
developed and affirmed. Fu rthermore, the chapter itself we l co m e d
this aspiration and constituted a reflection group destined to rethink
the unfolding of the chapter after a fashion to more effectively deploy
214
FROM OUR COMMUNITIES
its charismatic dimension, that is, of the experience of the acting
presence of the Spirit. For a more detailed account of the workings of
this chapter, we leave the word to the Father Abbot General, Dom
Michelangelo Tiribilli, who was reconfirmed at the head of the
monastic family of Monte Oliveto for the third time.
This same unity that the Spirit has given to our Congregation
lets itself be perceived also in the events of the lives of our co m m unities, those more extraordinary, but also, and perhaps above all,
those of every day.
Nothing Extraordinary?
When one asks a monk or a monastic community as we ll to send to
the chronicler an event part i c u l a r ly significant from the last months, it
is not rare to encounter a response similar to that of Dom Alfonso Serafini, the prior of Rodengo: «There has n’t been anything extraordinary; we
are a small community, whose median age grows, engaged in fidelity to
its witness of monastic life and which represents, in its diocese, a point
of shelter and a place of spiritual and sacramental recharging». Or yet
again to that which comes to us from the brothers of San Miniato: «Truly there has not been any event, unless it is the liturgical celebration of
the History of salvation, by which its memory is extended to all…». Isn’t it
beautiful, for a monastic family, not to bask first of all in this or that
apparently very brilliant event, but above all in humble fidelity to «the
accustomed task of our service», as the Rule of Saint Benedict says? And
likewise, many of the extraordinary events graft themselves onto this
humble fidelity in order to draw from it all their profound sense.
One example of this among the most significant is offered to us from
the community of student brothers from Santa Francesca Romana in
Rome. On October 29, at the Campidoglio, situated some hundred
m e ters from the monastery, the historic event of the signature of the
n ew European Constitution by the 25 Heads of State of the Countries of
the European Union took place. At this same moment, the brothers
215
REDACTION
were celebrating the office and the Mass of the Patron of Europe, saint
Benedict, in testimony to these Christian and monastic roots of Europe,
that the new constitutional text had unfort u n a te ly decided to ignore.
On October 3, among the numerous faithful having come to co mmemorate the anniversary of the coronation of the icon of the Virgin
venerated in the sanctuary of Pi c c i a n o,was found Um b e rto Copertino,
one of the four Italian hostages detained in Iraq in the course of the previous year. He came, with his family, to give thanks for his liberation and
to unite himself to the prayer of this community in favor of peace .
At the same time that the General Chapter was running its course
at Monte Oliveto, at the beginning of the month of October, another happening, but no less ‘extraordinary,’ took place in Rome. Pope
John-Paul II, in 1994, wished that the monasteries of nuns from the
entire world contribute in animating a contemplative community in
the very interior of the Vatican, called Mater Ecclesiae, whose members change every 5 years. For the next 5 years, this role has been confided to a small group of Benedictine nuns, 3 Italian nuns from the
Abbey of Rosano of Pontas s i eve (Firenze), 2 French nuns from the
Abbey of Notre Dame of Fidélité of Jouques (Provence), one American nun and another from Philippines, from the Abbey of St. Walburga of Virginia Dale (Colorado, USA) and finally also a sister of our
m o n astic family, Sister Mary Francis Mure of the Mother of Me r c y
and Peace Monastery in Pecos, New Mexico, USA. For these reasons,
this group of nuns had paid a visit to the Abbey of Monte Oliveto on
September 9 and were guided by Dom Roberto Nardin. It was nothing as tonishing that the latter was invited by the prioress, Mother
Marie-Sophie, to preach the retreat at the monastery Mater Ecclesiae
from the 23rd to the 29th of October.
A Monastic Vocation Unceaselessly Renews Itself
Many of the changes which solidify the monastic vocation and the
fraternal life of our communities can also pass unnoticed, under the
216
FROM OUR COMMUNITIES
pretext that they are «nothing extraordinary».
It is necessary to be cognizant of the simplicity with which our sisters from Eyres-Moncube, for example, show us their evolution in the
manner of conducting the choral chant for almost two years. A
praiseworthy effort of improving the pitch of the voice and the practice of the Gregorian has evolved into what even they describe as «a
beautiful concert where the most brilliant voices carry the others and
where the less endowed remain in the background». Thus the choice
of a greater sobriety and simplicity corresponds better to their efforts
and their number, of which the most beautiful result is that all are
able to sing and that the prayer has been considerably enriched.
With the same simplicity, our student brothers of Santa Francesca
Romana in Rome share with us their joy at the development in the
monastic observance of this house, with reading in the refectory at all
meals, Mass chanted in Gregorian every day and continuing with the
sessions of lectio divina guided by Dom Roberto Nardin, which new
people have joined this year.
«A monas tery without a library is like a fortress without arms» !
Our brothers of Holy Cross Monastery at Rostrevor, in Ireland, show
how conscious they are of this by the zeal they have deployed these
days to enrich the library of their new monas tery. Br. Thierry has
completed a sojourn at our brothers of Turvey, in England, September
3 and 4 in order to profit from the closing of a religious bookstore and
to take his fill of books for their library. Two months later, November
8 and 9, Br. Thierry et Br. Benoît took themselves to the Abbey of
Glenstal, in Ireland, to procure cartons of books and periodicals generously offered by our Benedictine confreres.
The list of things ‘not extraordinary’ could be prolonged… We
remember the joy and the profound gratitude to the Lord with which
several of our communities wish to share with us their happiness at
the entrance of the young, sometimes after very long periods of waiting. Our brothers of San Nicola in Rodengo have waited 35 years! As a
matter of fact, for the first time since the return of monks of our Con-
217
REDACTION
gregation to this monas tery in 1969 at the explicit request of Pope
Paul VI, two young men, Emilio and Eusebio, have knocked at its
door and have been received. One of them, Emilio, who was clothed
with our habit December 12 for the inauguration of his nov i t i a te at
the mother abbey of Monte Oliveto, is now called Dom Paolo –justly
in remembrance of Pope Paul VI.
Some youth have also entered at our sisters’ at Abu Gosh; at the
mother abbey of Monte Oliveto, at Maylis and, of course, in large numbers, at our monasteries of brothers at Gosung in Korea and at Boca del
Monte in Guatemala. How can we comment on this vocational springtime that our monastic family is experiencing since the year 2000
other than by the little question with which Dom Alfonso concludes
the chronicle of his community: «Is it the long hoped for approach of
the canonization of our holy founder who remains present in order to
awaken something» ?
Some Trials As Well
«How to give thanks for a misfortune ?», the brothers and sisters of
Abu Gosh as ked themselves, when Fr. Abbot-Bishop Je a n - B a p t i s te
Gourion, upon his return from the general chapter, fell gravely ill and
had to stay in bed for three months? An illness which shows itself just
at the moment when Pope John Paul II comes to confer on him a very
delicate mission and that the monastic community is already co nfronted with the difficulty of having to share its Father Abbot with
the diocese of the Hebrew-speaking Catholics of Jerusalem, of whom
he is also shepherd. The answer faith gives them comes from faith
itself: «Whose work is it? God’s. […] This passage through trial which
h as marked Abu Gosh these last months is a gift of God, the place
where God Himself gives Himself and allows us to read his work. It is
also perhaps a participation in the sufferings and in the hope of those
who desire peace for this country». Thank God, the latest reports are
comforting : having passed the most critical moment, Fr. Jean-Bap-
218
FROM OUR COMMUNITIES
tiste is recovering and the brothers tell us how much «peace has not
left for an instant».*
Trial also touches our community of Cockfosters, in London. Its prior,
Dom Costanzo, wishes to share with us the difficulties of a community
which, in two years, lost its two pillars, Fr. Prior Dom Placid Meylink and
Fr. Abbot Vittorino Aldinucci. A little later, Dom Willibrord, very elderly now, has returned to his country of Ho lland, to complete his days in
the Benedictine monas tery where one of his brothers is also a monk.
Fi n a lly Dom Benedict and Dom Paschal have some health problems.
The numerous duties of the community and of the important parish that
is attached to it weigh then uniquely on Dom Costanzo and on two other brothers.
While waiting for an upcoming visit of Fr. Abbot General as much at
Abu Gosh as at Cockfosters, these two communities entrust themselves
to our prayer and we assure them of our closeness in their present trials.
Trial has also touched our community of Riberao Preto whose prior,
Dom Fortunato Capodilupo, died suddenly on the 2nd of October. A
remembrance of Dom Fo rt u n a to that has been sent to us by his
brothers of Riberao Preto, follows this chronicle.
A Brother Comes, A Brother Goes : Nominations and Transfers
The community of Riberao Preto offers us the most significant news
on the subject of new nominations of this last period. For the first time
s i n ce its foundation, in 1919, on January 19, it elected a Brazilian prior,
Fr. Anselmo Sidinei Codinhoto, a sign of its maturity and of its growth,
af ter the entrance in the course of these last years of a nice group of
young people.
The general chapter has then carried on its usual series of transfers
_______________
* Since going to press l’ulivo received the sad news of abbot Jean-Baptiste
death an account of this great figure within our monastic family will be published in the next edition of this review.
219
REDACTION
and nominations. We mention first of all the election of Fr. JeanGabriel Personnaz, until now master of formation of the abbey of
Maylis, as vicar of the abbot general. A tradition of the presence of a
monk of Maylis at the mother abbey has been thus renewed, only
three years after the death of Fr. Bernard Dumartin. The latter, one
of the founders of our French abbey, remained without interruption
at the mother abbey from 1952 until his death, in order to there fulfill
the functions, in turn, of chancellor, of vicar of the abbot general and
above all, of claustral prior.
The void which Fr. Jean-Gabriel left at Maylis could be meas u r e d ,
among other things, by the numerous changes that his departure has
caused in this community. Fr. Jean-Gabriel joined to the already not
indifferent duty of mas ter of formation, that of professor of dogmatic
theology, of the one responsible for the store and ceramic studio, of
co u n s e llor of the Abbot and of confessor of several monas teries of
nuns (he has a true gift for this!). In a letter to the community of Monte
Oliveto, the brothers of Maylis wanted to express at the time all the
sacrifice that such a departure represents for them and their joy of so
being able to reinforce still more their bonds with the mother-house.
Following the departure of Fr. Jean-Gabriel, Fr. Abbot You of
Maylis named Br. Raphaël Chapelard as claustral prior and Br. Luigi
Gioia as master of formation. We underline a novelty in these nominations : for the first time since the rebirth of our Congregation in
the 19th century, two non-ordained brothers were seen fit to be
entrusted with these duties, an eloquent sign of the new less clerical
face that our monastic family is more and more being given.
Also following the General Chapter, there was the nomination of a
new claustral prior at Monte Oliveto, Dom Roberto Donghi, who was also
named Master of formation, replacing Dom Stanislao Avanzo. The latter, having completed his service as vicar of the abbot general, was transferred to the abbey of Lendinara, while the very devoted brother infirmarian Dom Vito Latorre was assigned to the community of Picciano.
Another important nomination to mention is that of the chaplain
220
FROM OUR COMMUNITIES
of the principal house of our Olivetan sisters of Korea at Pusan. Since
the implantation of our sisters in Korea, this role had been filled by a
monk of Saint Ottilien. However, from the time that the community
of our Olivetan brothers of Korea were in a position to take up the
slack, our sisters desired to have recourse to them in order to have a
chaplain from the same monastic family. The first chaplain was Dom
Silouane Kim and, at the conclusion of his mandate, Fr. Prior de
Gosung, Dom Giona Lee, named Don Pio Park as his successor. During the same time, for almost 5 years, Dom Giona preached the community retreat of the sisters each year. These women want to let us
know how much they appreciate this gift of Pr ov i d e n ce, while they
continue to benefit from a really prodigious expansion, with the challenges that it produces. With more than 450 sisters, it has beco m e
necessary to create three provinces, Pusan, Daegu et Seoul, in the
attempt to continue to assure a truly personalized path for each siste r. On the other hand, our sisters offer us an impressing model of
permanent formation, in order to sustain their spiritual and community lives. 11 times a year, meetings of 4 days each are organized at
Pusan, during which the sisters can benefit from this accompaniment
and carry on discussion on themselves and on their community life.
Family Happenings
Among the happier events of the life of our communities, there is,
of course, perpetual profession, by which brothers and sisters ratify for
life their choice for our monastic family with stability in a given co mmunity. Such was the case on August 19, solemnity of Blessed Bernard,
for Fr. Thomas Ward of our monas tery of Turvey and, on December 5
for Dom Angelo Jeong of the monas te ry of G o s u n g in Korea. The two
were able to prepare themselves to assume the double dimension of
belonging to their respective communities and to the Congregation
thanks to their participation in the enco u n ter of young Olivetan
monks and nuns in the month of July at Monte Oliveto.
221
REDACTION
Then, if our monastic family takes on a less clerical face, this is not
to say that we do not have need of brothers who, in our communities,
h u m b ly assume the presbyteral ministry. Every presbyteral ordination
recalls for us that the initiative of our salvation comes from above, that
is, is received as a gift, and that without sacramental life, there is no
Christian life. Five brothers received this gift and this mission in the
course of these last months: Dom Anselmo Barberis, at Monte Oliveto,
October 10, in the midst of the general chapter; Br. Bernard Buchoud,
October 30, at Mesnil Saint Lo u p; Dom André Aparecido Bernardino,
January 14, in Brazil, and finally Dom Paolo Baek and Dom Agostino
Ri, January 18, in Korea. For the ordination in Korea, we refer to the
separate chronicle in this issue of l’Ul i v o, which was given to us by Br.
Colomban Benderitter de Ma y l i s,who participated there.
For the ordination of Br. Bernard Buchoud, the brothers of Mesnil
Saint Loup give us a small account of it as follows: «Saturday, October 30
2004, around the two communities of monks and oblate-nuns of Me snil were gathered at the cathedral of Troyes the Father Abbot of Maylis,
Dom François You, friend of the family of Br. Bernard, and several
brothers and sisters from Bec and Abu Gosh. In his greeting to those
present, the bishop of the diocese, Monsignor Marc Stenger forcefully
underlined the gratuitous dimension of the monastic priesthood ; his
h o m i lyon the ministry of Christ, ministry of the priest, had an equally
strong resonance. Our confident prayer, after this ordination, above all
after the solemn profession of Br. Gu i llaume, is that our two communities of brothers and sisters, assembled together in common praise, may
welcome new vocations.»
To all these brothers and to their communities go the most since r e
wishes of the editorial board of l’Ulivo and of all its readers.
Fraternal Visits
The sisters of Pusan joined with our brothers of the monas tery of
Blessed Bern a rd Tolomei of Gosung, in order to witness their joy at the vis-
222
FROM OUR COMMUNITIES
it of Fr. Abbot François You and of Br. Colomban Benderitter fr o m
Ma y l i s, at the start of the month of February. The occasion for the visit was offered by the presbyteral of Br. Agostino Ri of Br. Paul Baek (the
latter completed part of his formation at the abbey of Ma y l i s). The richness of this visit deserves a separate treatment, which can be found in
this issue of l’Ul i v o.
The bonds of frate rnity between our communities have profited as
we ll by other visits or fr a te rnal sojourns. Here are some which which
have been made known to us: the Prioress of Sainte Françoise Romaine
of Le Bec, Mother Placide Cazenave, spent the months of Dece m b e r
and January at our sisters at Turv e y, in England; on four occasions, the
sisters of Turvey v i s i ted those of Schotenhof, joining themselves to
those from the Mo n as tery Regina Pacis from Brazil; much appreciate d
by the brothers of Maylis was the arrival of Br. Brice of Abu Gosh, who
came to participate in the meeting of the economic commission of the
Congregation in Rome; finally, the brothers of Maylis were also happy
to we l come for a stay of several months Br. Silouane Kim, who had
already lived in this monas te ry for several years at the start of his
monastic formation.
«Distant Africa has become near to us», exclaimed our sisters from
Palo del Colle. They we l comed into their community Sr. Maria-Nazaria
from Ghana, and were glad for the opening which represents for their
community the presence of a sister from another continent.
A similar experience happened to the sisters from Eyres-Moncube by
contact with their retreat preacher, Fr. Dominique Catta, one of 6
monks who, 40 years ago, founded the Benedictine Monastery of Keur
Moussa, in Senegal. Our sisters appreciated above all the experience of
liturgical inculturation represented by this community, resulting among
other things in a patient listening to the traditional African chants.
For several of our monas teries as we ll, the fundamental value of
Benedictine spirituality that is hospitality has been the occasion of significant events.
Our sisters of the monastery Sainte Françoise Romaine of Le Bec, wel-
223
REDACTION
comed in September Pamela Po rter Snare, priest of the Episcopalian
C h urch of the United St a t e s. Ordained in 1984, she obtained from the
Institute of Louisville a grant to carry out for a term a project ce ntered on the Rule of St. Benedict. Her plan was to approach from the
inside the life of a community living this Rule, for the purpose of
adapting the dynamism of this "School of the Lord’s Service" to her
family (being herself married) and to her parish ministry (Christ
Church, at Covington, in Louisiana). A very deep bond was thus born
between our sisters and herself, coming from this old Rule of fourteen
centuries, but so full of human and spiritual experience, transcending
even confessional barriers.
The brothers and sisters of Le Bec h ave also hosted from September
3 to 9 a session of Gregorian Chant for monastic choir mas ters and mistresses conducted by Fr. Daniel Saulnier from Solesmes, as s i s ted by
Jaan-Eik Tulve. It was attended by thirty brothers and sisters coming
from monas teries in Fr a n ce, Scotland, Spain and Argentina, among
whom were Brothers Vianney and Benoît from Maylis.
The brothers of Notre Dame des près and the sisters of the priory of
Saint Dodon, at Moustier-en-Fagn e, received in June three English monks
from Doway, a Benedictine monastery near London, having come on a
visit to Douai, in the diocese of Cambrai, the place of refuge of the English Catholic inte llectuals fleeing from Oxford and also of their community since 1558 when, under the reign of Elizabeth, the last monks were
expelled from England.
Our brothers of B o ca del Mo n t e, in Guatemala, we l comed Cardinal
Rodolfo Quezada Toruno, metroplolitan archbishop of Santiago in
Guatemala for the solemn crowning of the image of the Virgin venerated in their church. They also maintain cordial relations with the apostolic nuncio, Mgr. Bruno Musaro, who paid them a visit twice these last
months.
Finally, the monas tery of Camogli w as chosen for the first plenary
meeting of the new Definitory, at the beginning of February, to plan the
work for the six coming years and to attribute specific tasks to each of
224
FROM OUR COMMUNITIES
the Fathers of the Definito ry. The warm we l come of the Community of
Camogli confirmed that the decision of the Definito ry to meet each
time in a different monastery of the Congregation is justified, since it is
a way of reaching all the communities and to promote the communion
of our monastic family.
Constructions
Works, are, it is true, the daily bread of almost all our co m m unities. There are however, some significasnt stages. In particular,
our brothers of G o s u n g in Korea have formalized by a chapter decision their intention to transfer to another place and to build a new
monas te ry, in order to better respond to the needs of a co m m u n ity in full expansion. The aid of Pr ov i d e n ce is being manifested in a
most touching fashion and invites our brothers to grasp this
important step of their history as a communitarian renewal.
Furthermore, the three monasteries of our oblate-nuns of St.
Frances of Rome are also actively engaged in numerous works. At
Le Bec Au Bec, they are improving their buildings by the resto r ation of the gift shop, the preparation for a large reception room,
and the enlargement of several ce lls, with installation of sinks and
showers. Also at Abu Gosh the sisters have undert a ken the construction of a workshop for the different crafts they do (candlemaking, iconography, paper creations) and the creation of a more
practical space regrouping in a single office fax, photo copier and
co m p u te r. Finally, at Mesnil-saint-Lo u p, the sisters are confiding to
our prayer their project of building a small oratory near the location which currently serves as their place of prayer.
Our monas teries are also enriching themselves from the artistic
point of view. In the month of November at Holy Cross, in Ireland,
there took place the installation of the windows of the chapel of
the Virgin and of the south side of their church, which was co n s ec r a ted last year. At the same time at Ma y l i s, the sculpture in iron
225
REDACTION
forged by Mr. Puste t to, representing the scene of the washing of
the feet, was put in place in chapter room. (A photo of this work is
found in this issue of l’Ulivo). The community has profited from
the co i n c i d e n ce of this event with proclamation of the Year of the
Eucharist by Pope John Paul II in order to establish the link
b e t ween Eucharist and life, justly under the sign of the washing of
the feet, in the light of the Gospel of St. John. This gesture has
been re-lived the Thursdays of Lent and an account of this community experience will be found in the next issue of l’Ulivo.
Some Events Extraordinary, All the Same…
It is not every day that, in turning on the television, one sees our
s i s ters of the Priory Regina Pacis de Schotenhof ! Such was the case on
July 25, the day on which their solemn Mass was broadcast by Belgian television.
On January 29, more than 200 people came to our co m m u n i t y
of Mary, spouse of the Holy Sp i r i t in Hawai’i in order to ce l e b r a te the
2 0th a n n i v e r s a ry of the Basic Christian Community of Hawaii, of
which Fr. Michael Sawyer and Sr. Ma ry Jo McEnany are spiritual
guides. It functions as a movement of laity who gather in small
groups faithful desirous of mutually sustaining themselves, to
study and better know the Word of God and to live their Christian
life more fully. The vitality of the work of this group is demons t r a ted by the fact that it has touched around 3600 people in the
course of the years. A beautiful outcome, the future of which is
entru s ted to our prayer.
We point out also an unusual proposition made to our sisters of
Sainte Françoise Romaine of Le Bec : to prepare a book of ‘sayings’
of John Paul II directed toward youth. A proposition accepted
with enthusiasm by our sisters and brought to completion by Sr.
Joëlle Marie under the title A vous les jeunes, published by Éditions
Saint Augustin.
226
FROM OUR COMMUNITIES
Finally, in order to conclude this panorama, we mention two relevant events.
Towards the end of last year, a note originating from the Minister of French Culture recalled to our brothers of Le Bec Hellouin
that Lanfranc was bornque Lanfranc was born 1000 years ag o .
Lanfranc was the founder of the schools of Le Bec, around 1045,
then became the first abbot of Saint Etienne of Caen, and finally
archbishop of Ca n te r b u ry in 1070. This important monastic figure
also co n t r i b u ted to the evolution of the thought of the Church
co n ce rning the Eucharist. Our brothers then went to ce l e b r a te and
to assist to better know this great monk, servant of the Church and
of the society of his times and to profit from this occasion in order
to nurture and deepen their ties with the Church of England,
which owes so much to the reforming archbishop who was Lanfranc, at the time of William, when Europe was already coming to
birth.
L as t ly we conclude with an event touching our dear motherhouse of Monte Oliveto, whose innumerable artistic treasures are
held in ever greater value for some time now, thanks to important
works of restoration. On Ja n u a ry 8, the community we l co m e d
Pr o f. Antonio Paolucci, official from the Tuscan Region with Pr o f.
B runo Santi and Mrs. Alessi of the Soprintendenza of Siena, the
Mayor of Asciano and other personalities for the inauguration of
the restoration of the refecto ry, of the choir and of the room
known as the Tribunale. Father Abbot General took advantage of
the occasion to underline that the Abbey is not a museum and that
the presence of monks makes it a living organism. In reply, Pr o f.
Paolucci reprised the idea of ‘living organism’ and made the co nnection with the frescoes of Novelli which make of the refectory
of Monte Oliveto a space un unique in its genre, above all because
of the humoria, the humor which expresses itself above all in the
faces of the persons represented.
227
REDACTION
In conclusion
Our fathers, then, were co n v i n ced of the importance of humor
for the human and spiritual balance of our communities. This is
witnessed to us not only by the frescoes of the refecto ry of Monte
Ol i v e t o, but also and even above all by those, so familiar to all of us,
of Sodoma and Signorelli in the great cloister. Who does not recall
the scene representing the monastic repast, in which a monk hides
a morsel of bread from one of his brothers, while the server smiles
in amusement ? Humor, as Fr. Alain Delbos teaches – who for 40
years has carried out the role of mas ter of nov i ces at Maylis- is an
expression of humility and of love. This is what we wish with all
our heart to our communities and to our readers at the end of this
panorama, until the next account.
La Redaction
228
LA REDACCIÒN
De nuestras comunidades
¿Cómo hablar de “vida de familia” cuando hermanos y hermanas
están dispersos en los cuatro ángulos del mundo? ¿Es necesario temer
las distancias, las diferencias culturales, los diferentes modos de
encarnar la misma vocación monástica, la misma heredad recibida de
Bernardo Tolomei y de sus compañeros?
Gracias a la unidad que viene del Espíritu Santo, toda diferencia, en
la Iglesia, se convierte en fuente de riqueza, porque una misma caridad abraza y transforma todo en sacrificio espiritual grato a Dios.
Nuestra familia monástica es un lugar privilegiado donde se experimenta la catolicidad de la Iglesia y la unidad que le es propia, en el mismo interior de la variedad. Se trata de una unidad que no es co n s ecuencia de nuestros esfuerzos, sino que fue recibida en don desde el
inicio y que se hace visible sobretodo en eventos privilegiados como
es el Capítulo General que la familia monástica de Mo n te Oliveto
vivió del primero al catorce de octubre 2004.
El capítulo se inauguró con un pequeño Pentecostés que permanecerá en el recuerdo de todos los que lo vivieron. El primer día, en la
capilla del Beato Bernardo, la intercesión y las laúdes de los representantes de las comunidades de los monjes, monjas y hermanas olivetanas se derramó espontáneamente en italiano, en francés, en inglés, en
coreano, en español, en portugués, en danés y, desde luego , en latín
(¡este último, es verdad, menos espontáneo, para muchos!). Se puede
tal vez amargarse porque los trabajos de capítulo muy pronto sobrepasaron este aspecto de oración y de unidad en el Espíritu el cual da
todo el espacio necesario a la diversidad de lenguas y de culturas. Sin
embargo de un capítulo al otro, conforta observar como esta dimensión se desarrolla y se afirma. Por otro lado, el capítulo mismo acogió
esta inspiración e instituyó un grupo de reflexión destinado a reimportar el desarrollo del capítulo de manera que pueda explicar co n
mayor eficacia la dimensión carismática, es decir la experiencia de la
presencia operante del Espíritu. Para una exposiciòn màs detallada de
229
LA REDACCIÒN
los trabajos del capítulo, dejamos la palabra al P. Abad General, d.
Michelangelo Tiribilli, el cual fue reconfirmado a la cabeza de la familia monástica de Monte Oliveto por la tercera vez.
Esta misma unidad que el Espíritu donó a nuestra Congregación se
percibe también en los acontecimientos de la vida de nuestras comunidades, aquellos extraordinarios, pero también, y tal vez sobretodo,
aquellos de todos los días.
¿Nada de extraordinario?
Cuando se pide a un monje o a una comunidad de transmitir al cronista un evento particularmente significativo de los últimos meses, non
es raro encontrarse con una respuesta similar a aquella del monje Alfonso Serafini, el prior de Rodengo: «Non hubo nada de extraordinario;
somos una pequeña comunidad, en la cual la edad media crece, empeñada en la fidelidad en el testimonio de la vida monástica y que representa, en su diócesis, un punto de referencia y un lugar de abas tecimiento espiritual y sacramental». Y aún de aquell as palabras que nos vienen
de los hermanos de San Miniato: «Non hubo, en serio, ningún aconte c imiento, si no la celebración litúrgica de la Historia salutis, gracias a la
cual, el recuerdo llega a todos…». ¿ No es bello, para una familia monástica, resplandecer ante todo no en un tal u otro aco n tecimiento aparentemente brill a n te, sino y antes que todo en la humilde fidelidad al
«deber cotidiano de nuestro servicio», cómo dice la Regla de San Benito? Y todavía, muchos advenimientos extraordinarios se implantan en
esta humilde fidelidad para extraer de la misma todo su profundo significado.
Un ejemplo a tal propósito, entre los más significativos nos lo ofr e ce
la comunidad de los hermanos estudiantes de Santa Francisca Romana en
Roma. El 29 de octubre, en el capitolio, situado a escasos metros del
monasterio, se realizò un evento histórico, la firma de la nueva Constitución Europea por parte de 25 jefes de estado de los países de la Unión
Europea. En el mismo momento, los hermanos se reunieron para ce l e-
230
DE NUESTRAS COMUNIDADES
brar el Oficio Divino y la Misa votiva del Patrón de Europa, san Benito ,
como testimonio de aquell as raíces cristianas y monásticas de Europa,
que el nuevo te x to constitucional decidió desgraciadamente ignorar.
El 3 de octubre, entre numerosos fieles venidos para conmemorar
el aniversario de la coronación del icono de la Virgen venerada en el
santuario de Picciano, asistió Umberto Copertino, uno de los cuatro
italianos secuestrados en Irak durante el curso del año. Vino con su
familia, a dar gracias por su liberación y para unirse en la oración de
esta comunidad para obtener la paz.
En el preciso momento en el cual culminaba en Capítulo General
en Monte Oliveto, al inicio del mes de octubre, otro acontecimiento
escondido, pero sin dejar de ser “extraordinario”, tenía lugar a Roma.
El Santo Padre, desde el inicio de su pontificado, ha querido que los
monas terios de monjas del mundo entero contribuyan en la animación de una comunidad contemplativa en el mismo interno del Vaticano, llamada Mater Ecclesiae, en la cual, sus miembros cambien cada
cinco años. Para los próximos cinco años, este rol fue confiado a un
pequeño grupo de monjas benedictinas, entre las cuales se encuentra
una hermana de nuestra familia monástica, sor Sr. Mary Frances Mure
de Pe cos. Por este motivo, este grupo de monjas visitó la abadía de
Mo n te Oliveto el 9 de septiembre, en su visita las acompañó co m o
guía, el monje Ro b e rto Nardin. No asombra, por lo tanto, que este
último fue invitado por la priora, Madre María Sofía, para predicar los
ejercicios espirituales en el monasterio Mater Ecclesiae, que se llebaran
a cabo del 23 al 29 de octubre.
Una vocación monástica que se renueva continuamente
Muchos cambios han consolidado la vocación monástica y la vida
fr a te rna de nuestras comunidades que podrían pasar inobservados,
con el pretexto de no ser «nada extraordinario».
Tenemos que agradecer la simplicidad con la cual nuestras hermanas de Eyres-Moncube, por ejemplo, nos comunican su evolución en el
231
LA REDACCIÒN
modo de vivir el canto coral desde hace dos años al presente. Algo
también de alabar es el esfuerzo por mejorar la impostación de la voz
y la práctica del gregoriano que ellas mismas describen como «un concierto donde las voces más brillantes empujan las demás y donde los
menos dotados quedan al margen». De aquí la elección de una mayor
sobriedad y simplicidad que mas correspondan a sus fuerzas y al
número de miembros; uno de los más bellos resultados es que ahora
todas pueden cantar y que la oración ganó considerablemente.
Con la misma simplicidad, nuestros hermanos estudiantes de San ta Francisca Romana en Roma nos hacen partícipes de su alegría por el
crecimiento en la observancia monástica en dicha casa, con la lectura
en el comedor durante todos los tiempos de comida, la Misa cantada
en gregoriano todos los días, y los encuentros de Lectio Divina, abierto a laicos, desarrollados durante el Adviento, bajo la guía del monje
Roberto Nardin.
«Un monas terio sin una biblioteca es como una fortaleza sin
a r m as». Nuestros hermanos de Holy Cross Monastery a Rostrevor, en
Irlanda, muestran como se dieron cuenta de este hecho y en los últimos tiempos han enriquecido la biblioteca de su nuevo monasterio.
El monje Thierry se hospedó, donde nuestros hermanos de Turvey, en
Inglaterra, el 3 y el 4 de septiembre, para aprovechar de la clausura de
una librería religiosa y hacer llegar de libros para sus biblioteca. Dos
meses después, el 8 y el 9 de noviembre, el monje Thierry y el monje
Benoît, estubieron en la Abadía de Glenstal, en Irlanda, para tomar las
cajas de libros y de revistas generosamente regaladas por nuestros
hermanos benedictinos.
La lista de hechos “no extraordinarios” podría alargarse… Recordamos la alegría y el profundo reco n o c i m i e n to al Señor con el que
muchas de nuestras comunidades quieren compartir con nosotros su
regocijo por el ingreso de jóvenes a veces después de esperas demasiado largas. Nuestros hermanos de San Nicola di Rodengo esperaron 35
años! Por la primera vez después del regreso de los monjes de nuestra
Congregación a este monasterio en 1969, sobre el explìcito pedido del
232
DE NUESTRAS COMUNIDADES
Papa Pablo VI, dos jóvenes, Emilio y Eusebio, tocaron la puerta del
monasterio y fueron recibidos. Uno de ellos, Emilio, que vistió nuestro hábito el 12 de diciembre, inició su noviciado, en la abadía madre
de Monte Oliveto, ahora de llama Pablo – desde luego en recuerdo del
Papa Pablo VI.
Algunos jóvenes entraron también en nuestro monasterio de Holy
Cross en Irlanda – primera vocación autóctona entre otras co s as,
hablamos de Mark-Ephrem; entre nuestras hermanas de Abu Gosh, en
la abadía madre de Monte Oliveto, a Maylis y en gran número en nuestro monasterio de hermanos de Gosung en Corea y de Boca del Monte
en Gu a temala. ¿Cómo comentar esta primavera vocacional que la
familia monástica experimenta en el año 2000, si no con la pequeña
pregunta con la cual el monje Alfonso concluye la crónica de su comunidad: «¿És acaso el avecinarse tanto esperado de la canonización de
nuestro santo fundador que está despertado algo?».
También algunas pruebas
«¿Cómo dar gracias por una desgracia?», se preguntan los hermanos y
hermanas de Abu Gosh, cuando el P. Abad Obispo Jean-Baptiste Gourion, de regreso del Capítulo General, cae gravemente enfermo y tiene
que quedarse en la cama por tres meses. Una enfermedad que se manifiesta en el momento cuando el Papa Juan Pablo II le acaba de confiar
una misión sumamente delicada y la comunidad monástica se encuentra
con la dificultad de deber co m p a rtir su P. Abad con la diócesis de los
católicos de habla hebrea de Jerusalén, de los cuales es también pastor.
La respuesta para ellos la da la fe en si misma: «¿De que obra se trata? De
aquella de Dios […]. Este pasaje a través de la prueba que dejó su huella
en Abu Gosh en estos últimos meses es un don de Dios, el lugar en el cual
Dios mismo se dona y concede leer su obra. Es acaso una participación
de los sufrimientos y a la esperanza de aquellos que quieren la paz para
este país». Gracias a Dios, las últimas noticias son confortantes: pasado
el momento crítico, el P. Jean-Baptiste se recupera y los hermanos nos
233
LA REDACCIÒN
comunican «como la paz no lo dejó en ningún momento».*
La prueba toca también nuestra comunidad de Cockfosters, en Londres, el P. Costanzo quiere compartir con nosotros las dificultades de una
comunidad que, en dos años, perdió dos de sus columnas, el P. Prior, el
monje Placido Meylink y el P. Abad Vittorino Aldinucci. Poco después,
el monje Willibrord, más que nunca anziano, regresó a su país, Holanda,
para terminar sus días en el monasterio benedictino en el cual uno de sus
hermanos es monje. En fin, los monjes Benedict y Paschal tienen problem as de salud. Las numerosas ocupaciones de la comunidad y la importante parroquia que se le une, pesan ento n ces únicamente sobre el P.
Costanzo y sobre otros dos hermanos.
Esperando una próxima visita del P. Abad General tanto a Abu
Gosh como a Cockforters, estas dos comunidades confían en nuestra
oración y de todo corazón sienten nuestra cercanía en las pruebas de
este momento.
La prueba tocó aún nuestra comunidad de Riberao Preto, su prior, P.
Fortunato Capodilupo, moría improvisamente el 2 octubre 2004. Un
recuerdo del P. Fortunato que nos enviaron los hermanos de Riberao
Preto lo publicamos al final de esta crónica.
Hermano que va, hermano que viene: nóminasy transferencias
La comunidad de Riberao Preto nos brinda la noticia más significativa a propósito de las nuev as nóminas de este último periodo. Por
primera vez después de su fundación, en 1919, el 19 de enero, dicha
comunidad eligió un prior brasileño, el monje Anselmo Sidinei
C o d i n h o to, signo de su madurez y de su crecimiento, después de la
entrada en estos últimos años de un nutrido grupo de jóvenes.
El Capítulo General trajó consigo la consolidada serie de tras f e r e n_______________
El Olivo està ya cerrando su edición cuando recibimos la notizia de el tránsito del Abad-Obispo P. Jean-Baptiste. Una remenbranza de esta gran figura
de nuestra famiglia monástica será publicada ed el próximo número.
234
DE NUESTRAS COMUNIDADES
c i as y de nominaciones. Re cordemos ante todo la elección del monje
Jean-Gabriel Pe r s o n as, hasta hoy maestro de formación en la abadía de
m a y l i s, a vicario del abad general. Se reto rna así a la tradición de la presencia de un monje de Maylis en la abadía madre, después de apenas tres
años de la muerte del monje Bernard Dumartin. Este último fue uno de
los fundadores de nuestra abadía francesa, vivió en al abadía madre, sin
interrupción, desde 1952 hasta su muerte, para ejercer las funciones de
canciller, de vicario del abad general y, sobre todo, de prior claustral.
El vacío que el monje Jean-Gabriel dejó a Maylis se colmó, entre
otras cosas, por los numerosos cambios provocados por su traslado.
Jean-Gabriel unía a la tarea de formador, tarea de no poca importancia, a aquella de profesor de teología dogmática, de responsable del
negocio y del laboratorio de cera, de consejero del P. Abad y de confesor de numerosos monasterios de monjas (¡se necesita un verdadero
don, para esto!). En una carta a la comunidad de Monte Oliveto, los
hermanos de Maylis han querido expresar, al mismo tiempo, todo el
sacrificio que una tal transferencia representaba para ellos y la alegría
de poder de esa manera reforzar aún mas los lazos con la casa madre.
Después del traslado de Jean-Gabriel, el P. Abad You de Ma y l i s
nominó al monje Rápale Chaperlard como prior claustral y al monje
Luigi Gioia como maestro de formación. Subrayamos una novedad en
estas nóminas: por primera vez desde el renacimiento de nuestra congregación en el siglo XIX, a dos hermanos no sacerdotes, se les confían tales cargos, signo elocuente del nuevo rostro menos clerical, que
cada vez más nuestra familia monástica está dando.
Seguido al Capítulo General, se dio en Monte Oliveto, la nómina del
nuevo prior claustral, el monje Roberto Donghi, el cual fue nombrado también como maestro de formación en sustitución del monje Stanislao Avanzo. Este último, terminado su servicio como vicario del
abad general, fue transferido a la abadía de Lendinara, mientras el
generosísimo hermano enfermero, el monje Vito Latorre fue designado para la comunidad de Picciano.
Otro nombramiento importante que recordar es aquel de capellán
235
LA REDACCIÒN
de la casa principal de nuestras hermanas olivetanas de Corea a Busan.
Cuando nuestras hermanas se establecieron en Corea, este rol lo ejerció un monje de Saint Ottilien. Naturalmente desde que la comunidad de nuestros hermanos olivetanos de Corea estuvo en grado de
tomar el cargo, las hermanas han querido recurrir a ellos, para tener
un capellán de la misma familia monástica. El primer capellán fue el
monje Silouane Kim; al final de su mandato, el P. Prior de Gesung,
Giona Lee, nombró como su sucesor el monje Pio Park. Asimismo,
desde hace ya 5 años, P. Giona predica cada año el retiro comunitario
a las hermanas. Dichas hermanas nos manifiestan cuanto apreciàn
e s te don de la Pr ovidencia, mientras continúan beneficiándose co n
una expansión de verdad prodigiosa, con el reto que ello co m p o rt a .
Con más de 450 hermanas, fue necesario crear tres provincias: Busa,
Daegu y Seul, con el fin de continuar asegurando un camino verdader a m e n te personalizado para cada hermana. Por otro lado, nuestras
hermanas nos muestran un modelo impresionante de formación permanente, para sostener su vida espiritual y comunitaria. Once veces al
año, encuentros de cuatro días cada uno, se organizan a Busan, en este
tiempo las hermanas pueden beneficiarse de un aco m p a ñ a m i e n to ,
centrarse en si mismas y sobre su vida de comunidad.
Advenimientos de familia
Entre los advenimientos de familia más gozosos de la vida de nuest r ascomunidades, se entiende, la profesión perpetua, con la cual hermanos y hermanas confirman para toda la vida su elección por nuestra
familia monástica con la estabilidad en una determinada comunidad.
Este es el caso, el 19 agosto, solemnidad del Beato Bernardo, de Thomas
Ward del monasterio de Turvey y, el 5 diciembre, para Angelo Jeong del
monasterio de Gosung, en Corea. Entrambos han podido prepararse a
asumir la doble dimensión de pertenencia a sus respectivas comunidades y a la Congregación gracias a la participación al encuentro de los
jóvenes monjes y monjas olivetanos del mes de julio en Monte Oliveto
Después, si nuestra familia monástica se da un rostro menos cle236
DE NUESTRAS COMUNIDADES
rical, esto no quiere decir que no tengamos necesidad de hermanos
que, en nuestras comunidades, asuman humildemente el ministe r i o
s a cerdotal. Cada ordenación sacerdotal nos recuerda que la iniciativa de nuestra salvación viene de lo alto, que la misma es un don y que
sin vida sacramental no existe vida cristiana. Cuatro hermanos recibieron este don y la misión en los últimos meses: el monje Anselmo
Barbieris, en Monte Ol i v e t o, el 10 de octubre, en pleno capítulo general; el monje Bernard Buchoud, el 30 de octubre, en Mesnil Sa i n t
Lo u p; el monje André Aparecido Bernardino, el 14 de enero, en Brasil y en fin, los monjes Paolo Baek y Agostino Ri, el 18 de enero, en
Corea. Por lo que respecta a la ordenación en Corea, mandò a la crónica la parte que viene propuesta en este número del Ulivo el monje
Colomban Benderitter y el P. Abad You.de Maylis, los quales part i c iparon a dicha ordenación.
Para la ordenación de Bernard Buchoud, los hermanos de Mesnil
Saint Lo u p nos ofr e cen una pequeña recapitulación: «Sabado 30 de
octubre 2004, alrededor de las dos comunidades de monjes y monjas oblatas de Mesnil se encontraron en la catedral de Troyes el Padre
Abad de Meylis, P. Fr a n cois You, amigo de familia de frère Bernard, y
muchos hermanos y hermanas venidos de Bec y de Abu-Gosh. En el
saludo a los presentes, el obispo de la diócesis, Moseñor Marc Ste n g e r
subrayó con fuerza la dimensión gratuita del sacerdocio monástico ;
también su homilía sobre el misterio de Cristo, misterio del sacerdote,
tubo fuerte resonancia. Nuestra oracion llena de confianza, después de
la ordenación, después sobre todo, de la profesion solemne de frère
Gu i llaume, es que nuestras dos comunidades de hermanos y hermanas, unidas en una misma alabanza, puedan recibir nuev as vocaciones».
Para todos estos hermanos y sus comunidades van nuestros mejores deseos, de la redaccion del Ulivo y de todos nuestros lectores.
Visitas fraternas
Las hermanas de Busan se unen a nuestros hermanos del monasterio Blessed BernardTolomei de Gosung, como testimonio a la alegría pro-
237
LA REDACCIÒN
vada por la visita del P. Abad Francois You y de Colomban Benderitter de Maylis, al inicio del mes de febrero. La ocación se dio con motivo de la ordenación sacerdotal de los monjes Agostino Ri y Paul Baek
(este último recibió una parte de su formación en la abadía de Maylis).
La riqueza de dicha visita merece una narración aparte, que viene
publicada en este número del Ulivo.
Los lagos de unidad entre nuestras comunidades recibieron el beneficio de muchas visitas o jorn a d as en fr a te rnidad, entre las cuales señalamos: la madre Priora de Sainte Francoise Romaine de Bec, M. Placide
Cazenave, transcurrió los meses de diciembre y enero con nuestra herm a n as de Turvey, en Inglaterra; por cuatro veces las hermanas de Turvey
visitaron a las hermanas de Schotenhof, luego aquell as del monas te r i o
Regina Pacis del Brasil; sumamente apreciado por los hermanos de May lis fue la visita del monje Silouane Kim, que antes había vivido en ese
monasterio durante muchos años al inicio de su formación monástica.
«África lejana, se convierte en cercana». Exclaman nuestras hermanas de Palo del Colle, ellas hace poco acogieron en su comunidad a una
hermana del Ghana, Sr. Maria-Nazaria, y se alegran por el comienzo
que representa para su comunidad la presencia de una hermana de
otro continente.
Similar experiencia vivieron las hermanas de Eyres-Mo n c u b e, el su
predicador de retiro, el P. Dominique Catta, uno de los seis monjes
que, hace 40 años, fundaron el monasterio benedictino de Keur Mousa, en Senegal. Las hermanas apreciaron sobre todo la inculturación
litúrgica, representada por esta comunidad, resultado entre otras
cosas, de un paciente escuchar de los cantos africanos tradicionales.
También para muchos de nuestros monas terios este valor fundamental de la espiritualidad benedictina que es la hospitalidad, fue ocasión de acontecimientos significativos.
Nu e s t r ashermanas del monas terio Sainte Francoise Romaine del Bec
recibieron el septiembre Pamela Porter Snare, sace r d o tede la Comuni dad episcopal de los Estados Unidos. Ordenada en 1984, obtuvo del In s t ituto de Louisville una beca para ll evar a término un proyecto centrado
238
DE NUESTRAS COMUNIDADES
sobre la Regla de san Benito. Su objetivo era acercarse a la intimidad
de una comunidad que viviera de esta Regla, para adaptar el dinamismo de esta “escuela del servicio del Señor” a su vida de familia (de
hecho es casada) y su ministerio parroquial (Christ Church, a Cov i n gton, in Luisiana). Nació ento n ces una amistad profunda entre las herm a n as y ella, gracias a esta Regla de hace 14 siglos, pero llena de experiencia humana y espiritual capaz de tras cender barreras confesionales.
Los hermanos y las hermanas de B e c hospedaron , desde el 3 hasta el
9 de septiembre, una sección de canto gregoriano para maestros y maestras de coros monásticos animada por P. Daniel Saulnier de Solesmes,
asistido por Jaan-Eik Tulve. Participaron aproximadamente treinta hermanos y hermanas venidos de los monas terios de Francia, Suecia, España y Argentina, entre los cuales el hermano Vianney y Benoît de Maylis.
Los hermanos de Notre Dame des près y las hermanas del priorato de
Saint Dodon, en Moustier-en-Fa gn e, recibieron en junio a tres monjes
británicos de Doway, monas terio benedictino cercano a Londres,
vinieron de visita a Douai, en la diócesis de Cambrai, lugar de refugio
para los intelectuales católicos británicos escapados de Oxford as í
como de su comunidad desde 1558 cuando, bajo el reinado de Elizabeth, los últimos monjes fueron expulsados de Inglaterra.
Nuestros hermanos de Boca del Monte, en Guatemala, en ocas i ó n
de la solemne coronación de la imagen de la Virgen venerada en su iglesia, recibieron al Card. Rodolfo Quezada Toruño, arzobispo metropolita de Santiago de Guatemala; ellos mantienen además, estrecha relación con el nuncio apostólico; Mons. Bruno Musaro, el cual ha visitado la comunidad en estos últimos meses, en dos ocas i o n e s .
Construcciones
Los trabajos, a decir verdad, son el pan cotidiano de casi to d as nuest r as comunidades; existen desde luego, etapas con mayor significado.
En particular, nuestros hermanos de Gosung, formalizaron con decisión
del capítulo, su decisión de transferirse a otro lugar y de fundar un nue-
239
LA REDACCIÒN
vo monas terio, para mejor responder a las exigencias de esta comunidad
en plena expansión. La Pr ovidencia como ayuda se está manifestando
de manera tocante e invita a nuestros hermanos a acoger esta etapa
importante de su historia como una renovación, un lanzamiento nuevo,
una “reconstrucción” espiritual y comunitaria.
También los tres monasterios de nuestra hermanas oblatas de Sain te Francoise Romaine, están activamente empeñadas en numerosos trabajos. En Bec, ellos mejoran su edificio con la remodelación del negocio, una grande sala para el recibimiento y amplían muchas habitaciones, con sus servicios: lava manos y ducha. También en Abu Gosh, las
monjas emprendieron la construcción de un atelier para las diversas
artesanías de las cuales viven (cerámica, iconografía, cartas) y la creación de un espacio con más comodidad en el cual esté el fax, la fotocopiadora y la computadora. Por último en Mesnil-saint-Loup, confían
a nuestras oraciones su proyecto de co n s t ruir un pequeño oratorio
cercano al local que sirve actualmente para la oración.
Nuestros monas terios se enriquecen también del punto de vista
artístico. En el mes de noviembre, en Holy Cross, en Irlanda, se instalaron los ventanales de la capilla de la Virgen en el lado sur de su iglesia, que se consagró el año pasado. Al mismo tiempo en Maylis, en la
sala del capítulo, se colocó la escultura en hierro forjado de Mr. Poustetto, que representa la escena del lavad0 de los pies (una foto de esta
obra se encuentra en este número del Ulivo). La comunidad aprovechó la coincidencia de este advenimiento, con la proclamación del
año Eucarístico por parte del Papa Juan Pablo II, para establecer la
relaciòn entre Eucaristía y vida, bajo el signo, justamente, del lavado
de los pies, a la luz de Evangelio de San Juan. Este gesto se vivió los
jueves de Cuaresma y un resumen de esta experiencia comunitaria se
encuentra más adelante en este número del Ulivo.
Algunos advenimientos extraordinarios, de todos modos…
No aco n tece todos los días encender la te l evisión y ver a nuestras her-
240
DE NUESTRAS COMUNIDADES
m a n as del Priorato Regina Pacis de Schotenhof. Aconteció el 25 de julio,
día en el cual su solemne misa se transmitió por la te l evisión belga.
El 29 de enero, más de 200 personas se reunieron en nuestra comunidad de Ma ry, spouse of the Holy Spirit de Hawai para la celebración del
XX aniversario de la Basic Christian, Community ot Ha w a i, sus guías espirituales son el monje Michael sawyer y Sr. Mary Jo McEnany. Se trata de
un mov i m i e n tode laicos que reúne pequeños grupos de fieles que desean vivir plenamente su vida cristiana. La vitalidad del trabajo presentado por este grupo se demuestra, en el curso de los años, con el hecho
considerable del nùmero, cerca 3600 personas. Un buen resultado en su
porvenir lo confían a nuestras oraciones.
Señalamos también la insólita propuesta hecha a nuestras hermanas
de Saint Francoise Romaine de Bec: preparar un libro de “sente n c i as” de
Juan Pablo II destinado a los jóvenes. Propuesta aceptada con entusiasmo por nuestras hermanas y ll evada a término por Sr. Joële Marie con el
título A vous les jeunes, Éditions Saint Augustin.
En fin, para concluir este panorama, recordamos dos acontecimientos de relevancia.
A finales del año pasado, una nota emitida por el Ministerio de
Cultura francés, recordaba a nuestros hermanos de Bec Hollovin que
e s te año se celebra el primer milenio del nacimiento de Lanfr a n co .
Lanfranco fue el fundador de las escuelas de Bec, hacia el 1045, para
después ser el primer abad de Saint Etiene de Caen, y al final arzobispo de Canterbury, en el 1070. Esta importante figura de monje contribuyó también en la evolución del pensamiento de la Iglesia sobre la
Eucaristía. Nuestros hermanos se preparan ento n ces a celebrar y a
ayudar a co n o cer mejor este gran monje, hombre de servicio de la
Iglesia y de la sociedad de su tiempo y para aprovechar de esta ocasión
para nutrir y profundizar los lagos con la Iglesia de Inglaterra, que tanto debe a este arzobispo reformador, en el tiempo de Guillermo, cuando ya nacía Europa.
Terminemos con un acontecimiento que se refiere a nuestra querida casa madre Monte Oliveto, los cuales numerosos tesoros artísticos
241
LA REDACCIÒN
vienen siempre mejor valorados, desde este año, gracias a importantes trabajos de restauro. El 8 de enero, la comunidad recibió al profesor Antonio Paolucci, responsable de la Región Toscana con el profesor Bruno Santi y la Señora Alessi de la Súper Intendencia de Siena, el
sindico de Asciano y otras personalidades con motivo de la inauguración del comedor, del coro y de la sala llamada del Tribunal. El P. Abad
General aprovechò la ocasión para subrayar que la Abadía no es un
museo y que la presencia de los monjes la hace un organismo viviente. En su respuesta, el profesor Paolucci, retornó la idea de “organismo viviente” e hizo enlace con los fr e s cos de Novelli que hacen del
comedor de Monte Oliveto un espacio único en su género, sobre todo
a causa del humoria, el humorismo representado sobre todo en los rostros de los personajes representados.
Para terminar
De manera que nuestros padres estaban convencidos de la importancia del humorismo para el equilibrio humano y espiritual de nuestras comunidades. Lo testimonian no sólo los frescos del comedor de
Monte Ol i v e t o, sino también y sobre todo, aquellos que poseen una
familiaridad con todos nosotros, del Sodoma y de Signorelli en el gran
claustro. ¿Quién no recuerda la escena que figura el alimento de los
monjes, en la cual un monje esconde un pedazo de pan de uno de sus
hermanos, mientras el servidor sonríe divirtiéndose? El humorismo,
como enseña el monje Alain Delbos – que por 40 años ejerció el rol
de maestro de novicios en Maylis – es expresión de humildad y de
amor. Es cuanto deseamos de todo corazón a nuestras comunidades y
a nuestros lectores, en el final de este panorama, hasta el próximo
compendio.
La Redacciòn
242
IL CAPITOLO GENERALE DELLA CONGREGAZIONE
DI MONTE OLIVETO 1-14 OTTOBRE 2004
Michelangelo Tiribilli
IL CAPITOLO GENERALE DELLA
CONGREGAZIONE DI MONTE OLIVETO
1-14 OTTOBRE 2004
I monaci benedettini della Congregazione di Santa Maria di
Monte Oliveto hanno celebrato il loro capitolo generale nei primi
q u a t tordici giorni di Ottobre scorso. Erano 49 padri capitolari
provenienti dai quattro continenti dov'è presente la Congregazione di Monte Oliveto: Europa, Americhe, Asia, Africa.
La prima fase capitolare è stata dedicata alla verifica della situazione attuale della Congregazione, dando una descrizione della
forma di vita monastica che è concretamente vissuta nei monasteri che si riferiscono al carisma monas t i co di Mo n te Oliveto. La
seconda fase si è co n centrata sul momento elettivo dell ’ a b a te
generale e dei suoi nuovi consiglieri.
La terza fase, attraverso le delibere capitolari, ha indicato le
piste ed i percorsi su cui vuole incamminarsi la Congregazione di
Monte Oliveto, all’inizio di questo terzo millennio.
Una Congregazione monastica meno clericale
Un giorno part i co l a r m e n te significativo è stato il 13 otto b r e ,
con alcune delibere di notevole portata. Il capitolo generale ha
voluto dare una fisionomia meno clericale alla Congregazione: ha
infatti tolto la condizione di essere sacerdote – che veniva richiesta precedentemente – per essere eletti, sia consigliere dell’abate
Generale, sia per esercitare le varie cariche monastiche all’interno
della Comunità.
Viene così attualizzata co n c r e t a m e n te, almeno in parte, quell’indicazione che sapientemente il Concilio Vaticano II aveva dato
già ormai quarant’anni fa: «I monasteri e gli istituti maschili non
243
MICHELANGELO TIRIBILLI
del tutto laicali possono accettare… chierici e laici, in pari misura
e con uguali diritti e obblighi, eccettuati quelli che scaturisco n o
dall’ordine sacro»1. Si rafforza così l’indole propriamente monastica – che di per sé non è clericale – nella Congregazione; in essa
infatti il confratello sacerdote non è un monaco di serie A, ma serve il Signore insieme ai monaci non sacerdoti: «Tutti siamo una
cosa sola in Cristo e sotto un unico Signore prestiamo un uguale
servizio»2, e il monaco sacerdote «si guardi dalla vanagloria e dalla
superbia e mantenga il posto che gli è toccato quando è entrato in
monastero»3.
Una Congregazione sempre più comunionale
Uno degli aspetti del carisma monas t i co dei Benedettini di
Monte Oliveto è questo: i monaci pur vivendo in luoghi diversi e
in monasteri distinti, sentono forte l’impegno e il desiderio di continuare a formare una sola famiglia monastica, legati tutti, anche
per vincolo di Professione monastica, all’abate di Monte Oliveto.
In questo Capitolo Generale, tutto questo ha avuto anche un’efficace manifestazione giuridica, nell’evento che dopo tanti secoli –
e precisamente dal 1372 – i monaci della Comunità di Monte Oliveto hanno partecipato insieme con tutti i Padri Capitolari all’elezione dell ’ a b a te Generale, che è tale proprio poiché è Ab a te di
Monte Oliveto.
Questo legame fra tutte le Comunità e l’Abbazia di Monte Oliveto, quale centro spirituale della famiglia Olivetana, è stato ancora una volta affermato dal fatto che allorché era stato proposto che
i due primi Consiglieri dell’Abate Generale – il Vicario e l’Economo Generale – potessero risiedere anche in altri monas teri, l’as_______________
1
Perfectae Caritatis, 15.
RB 2, 20.
3 RB 62, 5.
_______________
2
244
IL CAPITOLO GENERALE DELLA CONGREGAZIONE
DI MONTE OLIVETO 1-14 OTTOBRE 2004
semblea capitolare a maggioranza qualificata ha invece confermato che essi debbano stare nella Casa Madre, vicini all’Abate, non
solo per as s i s terlo quotidianamente nel gov e rno della Congregazione, ma perché anch’essi – membri a pieno diritto della Comunità di Monte Oliveto – tengono collegata questa Comunità a tutte le Comunità della Congregazione.
È una forte presa di coscienza dell’intima unione fra la vita della Comunità Madre e quella delle altre Comunità. Il vincolo di
relazione fra l’Abbazia di Monte Oliveto e gli altri monasteri viene descritto nei testi Olivetani (anche antichi) in termini di relazione fra capo e membra. La vita della Comunità di Monte Oliveto ha una ricaduta positiva o negativa sugli altri monasteri, con i
quali c’è un’intima connessione.
Un modo di coinvolgere tutti nel Capitolo Generale
Il Ca p i tolo Generale Straordinario del 2001 volle rinnovare
molti punti costituzionali essenziali alla luce dell’Ecclesiologia di
Comunione, in modo che tutti i monaci si sentissero responsabili
della vita e della vitalità della Congregazione.
Una struttura di attuazione di questa partecipazione comunionale è quella che viene chiamata Consultazione previa: un istituto
giuridico tramite il quale tutti i monaci sono coinvolti nell’indicare quali possano essere i migliori candidati alla carica di Ab a te
Generale e dei suoi Consiglieri. Sappiamo bene che per ogni Istituto Religioso queste elezioni sono un evento decisivo e di importanza fondamentale.
Ora, qualche monaco voleva abolire questa procedura co m e
anticaglia ‘sessantottina’ (essa era emersa praticamente nel Capitolo Generale Speciale degli anni ’68-69 ed è entrata nel nostro
o r d i n a m e n to con la riforma costituzionale del 1981-82), qualche
altro voleva limitarla solo all’indicazione per l’Abate Generale. I
Padri Ca p i tolari, con varie votazioni hanno voluto co n s e rvare la
245
MICHELANGELO TIRIBILLI
consultazione previa quale indovinata opportunità di attuazione
pratica della communio Olivetana. La consultazione previa è un gran
servizio per tutte le comunità; è apprezzabile come mezzo per
ascoltare tutti i monaci e conoscere l’orientamento della base della Congregazione; risulta perciò come mezzo opportuno per illuminare il disce rn i m e n to dei Padri Capitolari; anche se i votanti
non sono obbligati a seguirne i risultati, essa può indicare una certa tipologia del futuro Abate Generale e del suo Consiglio, corris p o n d e n te alle aspettative. È stata dunque reputata molto utile
per contribuire alla crescita della koinonia congregazionale e alla
corresponsabilità di tutti.
Un possibile percorso per il monaco già addestrato con l’aiuto di molti
La tradizione Benedettina pone l’acce n to sulla vita co m u n i t aria, ma essa non annulla la singolarità del rapporto fra il monaco e
Dio ed è aperta all’esperienza radicale della vita con Dio in Dio.
Anche nella Congregazione di Mo n te Oliveto l’asse port a n te è
quello ce n o b i t i co, ma nel corso della sua storia secolare è stata
data la possibilità di vivere momenti di esperienza eremitica che
facilitino la personale vita di comunione con Dio.
Il Ca p i tolo Generale, tenendo presente tutto questo, e prendendo in seria considerazione l’orientamento eremitico emerso in
alcuni confratelli, ha deliberato che il carisma dell’eremitismo non
pare si possa escludere a priori dalla nostra vita monastica, tenuto
co n to anche della vita solitaria che ha animato nei primi anni la
vita degli asceti di Monte Oliveto. Tuttavia la forma più consona
all’esperienza eremitica all ’ i n te rno della nostra Congregazione
oggi, sembra essere una scelta eremitica, ove opportuna, in pieno
a c cordo con l’Ab a te, e informata anche la Comunità, in stretta
unione e dipendenza dal monastero, ma anche con responsabilità
personali circa il sostentamento. Anche la durata dell’esperienza
eremitica, come già la scelta del luogo, dipenderà dalla decisione
246
IL CAPITOLO GENERALE DELLA CONGREGAZIONE
DI MONTE OLIVETO 1-14 OTTOBRE 2004
dell’Abate in accordo con l’interessato. All’interno del monastero
si possono concedere dei momenti di eremitismo in armonia con
le esigenze della Comunità, a giudizio dell’Abate e con il consiglio
della comunità.
Il percorso del dialogo con tutti
La Congregazione di Monte Oliveto non solo si è posta ormai
da vari Capitoli la questione su come attuare in forma più incisiva
il dialogo ecumenico, ma anche ha risposto agli inviti della Chiesa
ad essere presente «là dove vivono comunità cristiane di varie confessioni»4, con la fondazione di un nuovo monas tero nell’Irlanda
del Nord.
Questo capitolo ha sviluppato la sua attenzione dialogica soffermandosi sul dialogo interreligioso. Già all’inizio del Capitolo, l’Abate di Abu-Gosh in Israele, Vescovo ausiliare per i cristiani ebrei
del Patriarca di Gerusalemme, ha stimolato tutta la Congregazione a prendere coscienza del gesto profetico fatto dal Santo Padre
con la sua nomina episcopale, e a percepire la sintonia fra vita
monastica e dialogo con i fratelli maggiori
Così egli si è rivolto a tutta l’assemblea capitolare:
«Se dovessi infatti definire da una parte la vocazione del
Popolo d’Israele così come appare lungo tutta la Bibbia, e
d’altra parte, la vocazione dei monaci e delle monache nella
Chiesa come icona della santità cristiana, impiegherei la
stessa formula: una comunità di esseri, chiamati da Dio, ad
ascoltare la Sua Parola, a meditarla giorno e notte, a metterla in pratica nella vita quotidiana, a radunarla nel rendimento di grazie, e tutto ciò come una vivente testimonianza del_______________
4
Vita Consecrata, 101
247
MICHELANGELO TIRIBILLI
la speranza nel Regno che viene. Non si può non essere colpiti da questa similitudine! L’ascolto della parola, la memoria,
la comunità, la regola, il rendimento di grazie, la speranza del
Regno. In questa prospettiva i monaci e le monache appaiono nella Chiesa come i co n t i n u a tori della vocazione del
Popolo di Dio. Semplice presenza nel silenzio, nell’ascolto e
nella lode, la vita dei monaci e delle monache in Israele è certamente la testimonianza maggiormente irradiante dell’amore del Signore per il Suo Popolo e per il mondo [...] Ve l’ho
d e t to, con la mia nomina il Papa ci trascina al cuore ste s s o
della Chiesa, alla sua sorgente, alla sua origine e ci chiama al
rinnovamento del nostro sguardo, in particolare verso gli
Ebrei: questo è stato reso possibile, per via della sua bontà,
d e lla sua straordinaria umiltà e dalla sua volontà di fare del
perdono un valore essenziale della nostra vita, un valore centrale. Gli Ebrei e la loro tradizione devono ritrovare il loro
posto fraterno nelle nostre vite».
Tutti i Padri Capitolari si sono trovati in piena sintonia con queste suggestioni.
Il Capitolo si è pure soffermato sul dialogo con i credenti delle
altre religioni: il dovere di un’accoglienza spirituale di ogni monastero – comunità che cerca Dio – si concretizza nella disponibilità
per dialogare insieme a quelli che non ci sono “familiari secondo la
fede”, per parlare insieme della nostra ricerca di Dio, ed eventualm e n te aiutarci, gli uni gli altri, col necessario approfondimento
delle vie che rafforzano in quest’impegno. L’essenziale infatti
rimane anche in questo dialogo quel si revera Deum quærit s co p o
specifico e anelito – in fondo – di ogni persona. Tale dialogo non
può essere solo un hobby o un interesse specifico di qualche monaco più sensibile degli altri, ma si è preso atto che come ha scritto
Giovanni Paolo II: «Dal momento che il dialogo inter-religioso fa
parte della missione evangelizzatrice della Chiesa, gli Istituti di
248
IL CAPITOLO GENERALE DELLA CONGREGAZIONE
DI MONTE OLIVETO 1-14 OTTOBRE 2004
Vita Consacrata (e tanto più i monaci) non possono esimersi dall’impegnarsi anche in questo campo… coltivando opportune forme di dialogo, improntate a cordiale amicizia e reciproca sincerità, con gli ambienti monastici di altre religioni»5.
Un percorso complesso e stimolante: l’economia monastica
Il processo di rivitalizzazione di una Congregazione non può prescindere dal prestare una part i colare attenzione all’aspetto finanziario, alle varie attività lavorative e soprattutto all’uso evangelico dei
beni; anche rispetto ad essi bisogna esprimersi con fedeltà creativa.
I progetti di rifondazione e di ripresa spirituale rimarranno teorici
se non si rifletteranno sull’uso che facciamo delle nostre risorse
finanziarie, sulla gestione economica dei frutti del lavoro.
Riuscire ad utilizzare le nostre risorse economiche nel rispetto dei
valori evangelici e nella ricerca dell’autenticità monastica è stata una
preoccupazione importante già inizialmente affrontata nei due precedenti Capitoli Generali, poiche riguarda l’identità monastica e la credibilità della testimonianza che si dà. Certamente la gestione dei beni
di una Congregazione richiede cautela, trasparenza, onestà e oggi
anche molta professionalità e competenza.
Proprio per questo la Commissione Economica della Congregazione av eva preparato su queste tematiche un corposo, denso e sviluppato Instrumentum laboris sulla dimensione istituzionale dei beni della
Congregazione e dei monasteri, sul modo di gestire e condividere i
beni e le risorse finanziarie, frutto delle attività lavorative dei monaci
e delle Comunità in rapporto all’attuazione del voto di pov e rtà in una
società che cambia e all’organizzazione del lavoro monastico.
Al Ca p i tolo Generale due esperti di economia hanno te n u to
due approfondite relazioni. I Padri Capitolari si sono resi consa_______________
5
Vita consecrata, 102.
249
MICHELANGELO TIRIBILLI
pevoli che il tema economico ha molte ripercussioni sulla vita delle Comunità anche riguardo all’aspetto spirituale.
È stata percepita la necessità di dare degli orientamenti per far sì
che la gestione economica sia consentanea, coerente con la missione
specifica di un monastero, indicando alcuni criteri sani ed evangelici
per disce rnere cosa si debba fare al momento di acquistare, usare
beni, gestire e condividere le risorse finanziarie; però hanno costatato che le tematiche in questione sono complesse e anche ardue, tali
da non poterle affrontare ed approfondire in pochi giorni.
Consapevoli però che l’economia si pone all’interno della terza
struttura portante della vita monastica – dopo l’Opus Dei e la Lec tio divina – cioè il lavoro, hanno deliberato perciò di eleggere una
apposita commissione capitolare.
Perché e a quale scopo? Sono molte le situazioni nuove nel contesto economico della società nella quale siamo immersi, in merito all’amministrazione dei beni; non solo, ma ancora non sono del
tutto assimilate le nuove norme del diritto canonico (1983) relative all’amministrazione dei beni: il fatto stesso che i monas teri si
trovino inseriti in diversi contesti e nazioni, fa sì che la realtà economica dei monasteri presenti grandi differenze da un posto ad un
altro. La condizione lavorativa dei monaci, la loro copertura sanitaria, e altre questioni attinenti hanno una ricaduta sulla testimonianza monastica di una Comunità.
Non risulta sempre facile coniugare le esigenze evangeliche con la
legislazione fiscale ed economica; è dunque importante precisare il
senso e la portata della povertà comunitaria; la stessa pov e rtà personale si trasforma in una realtà molto difficile da vivere in mancanza
di una sana amministrazione dei beni; questa amministrazione chiara e trasparente aiuta a vivere bene la pov e rtà personale e comunitaria nel contesto della società consumistica in cui viviamo, aperti all a
solidarietà; non solo, un’economia professionalmente ben gestita
può permettere di avere per dare e di avere per rendere possibile una
solidarietà accurata e operativa. Nel vangelo troviamo import a n t i
250
IL CAPITOLO GENERALE DELLA CONGREGAZIONE
DI MONTE OLIVETO 1-14 OTTOBRE 2004
c r i teri che non sono affatto contrari ad una buona amministrazione
ma bensì offrono alla stessa orizzonti sempre nuovi.
È opportuno ricordare anche che la gestione economica non
riguarda solo la povertà ma ha a che vedere anche con l’obbedienza, dal momento che vi sono leggi della Chiesa, della Congregazione, e anche degli Stati che vanno messe in pratica e rispettate;
riguarda anche la castità, dal momento che la libertà del cuore è
imprescindibile, perché i beni siano messi al servizio della persona umana.
O c corre poi tenere co n to che si rende sempre più necessario
specificare meglio il profilo e le competenze dell’Economo Generale, e l’organizzazione dell’amministrazione nei singoli monasteri; si rende necessario l’aiuto di equipes di consulenti. Prima il lavoro degli economi era orientato ad aiutare una Comunità a vivere
nell’austerità; adesso essi devono aiutare a vivere anche la solidarietà.
La commissione economica – mediante incontri con le varie realtà
nazionali attraverso i Superiori e i cellerari – avrà otto mesi di tempo per elaborare un te s to che verrà co n s e g n a to al Definitorio il
quale potrà approvarlo ad experimentum e presentarlo al prossimo
Capitolo Generale.
Un percorso già iniziato e sempre più necessario
La discussione capitolare in vista dell ’ a p p r ovazione dell a
ratio formationis giunta alla terza elaborazione, ha dato l’opportunità di af frontare ancora una volta e di approfondire le te m atiche riguardanti la formazione iniziale e permanente. È la preoccupazione che acco m p agna co s t a n te m e n te la Congregazione da
diversi anni.
Ci si è resi co n s a p evoli che dalla formazione permanente
dipende la sensibilità personale e comunitaria ai segni dei te mpi, volontà di Dio per l’oggi, e la possibilità di trovarci di più al
251
MICHELANGELO TIRIBILLI
p asso con i cammini formativi iniziali dei candidati; inoltre
riduce il divario tra le nostre Comunità e le nuove generazioni
di monaci. Proprio per questo nel Messaggio a tutte le comunità6 i
Padri Ca p i tolari hanno soll e c i t a to i monaci a percepire una
chiamata urgente ad essere loro stessi i primi a lasciarsi accompagnare, formare. In questo campo è stata riscontrata una mancanza piutto s to generalizzata; per questo è stato reputato indispensabile ritrovare quel senso dell’apertura del cuore e dell’obbedienza al padre spirituale che la tradizione monastica ha
trasmesso. È certo che una Comunità rivitalizzata ogni giorno
da una continua ed adeguata formazione, che la co n s e rva atte nta e spinta alla quotidiana novità della fede, della speranza e dell’amore co s t i t u i s ce l’habitat più idoneo e l’humus più nutriente
per coloro che vi entrano, allo scopo di vivere la dimensione
teologale e co n templativa dell’esistenza.
È stato ribadito che la formazione iniziale trovi inte g r a z i o n e
e continuità nella formazione permanente, e viceversa, altrimenti la Comunità non potrebbe essere formante, ma rischierebbe di essere deformante o ‘disformante’; ciò implica che i
monaci siano in un continuo cammino di r e f o r m a t i o, o conforma tio, o meglio ancora transformatio, usando lo stesso gioco di
parole di San Bernardo di Chiarav a lle. Sappiamo che un tale
cammino veniva descritto nell’antica tradizione monastica più
spesso con la parola conversio. Dunque, solo una Comunità in
cui i fratelli si sforzano di co n v e rtirsi co n t i n u a m e n te al Signore
nel cammino della Sequela, può essere formante. Non bas t a
aver introdotto la cosiddetta ecclesiologia di comunione nell’ambito del corpus costituzionale, ora è necessario andare più a fondo:
bisogna calarla nelle nostre relazioni interpersonali quotidiane,
nel nostro modo di pensare e di sentire, nel fare sce l te concre_______________
6
Vedi l’Ulivo 34 (2004) 398-410.
252
IL CAPITOLO GENERALE DELLA CONGREGAZIONE
DI MONTE OLIVETO 1-14 OTTOBRE 2004
te personali e comunitarie. Ed è davvero la koinonia che forma i
monaci autentici seguaci di Cristo: communio formans.
Un percorso antico e sempre nuovo
Come renderla possibile? Quale percorso privilegiare? I
Padri Ca p i tolari non hanno esitato ad indicare per tutta la Congregazione una via tradizionale ma sempre da riscoprire: la pratica quotidiana della lectio divina:
« Rendiamoci co n to dell ’ i m p o rtanza del tempo quotidiano
della lectio; diamogli un tempo definito co m u n i t a r i a m e n te per
non rischiare di dimenticarla o di farne un’attività facoltativa
aggiunta alle altre; la specificità della vita monastica è quest’as co l to e questa ruminazione della Parola che culminano nell’Ufficio divino».
Così hanno scritto nel loro Messaggio a tutte le Comunità.
Il Ca p i tolo ha voluto rafforzare il primato as s o l u to dell a
Parola, la sua ‘egemonia’, non solo per la vita interiore dei
monaci, ma anche per la loro vita comunitaria, consapevole che
la vera Comunità può nas cere soltanto dalla Parola di Dio. Soltanto così lo spirito della santa koinonia può essere incarn a to
nella vita concreta, favorendo così l’humus indispensabile per la
formazione sia iniziale che permanente.
«Anche se ognuno è solo quando scruta la Parola di Dio, è
essa che pur tuttavia ci raduna; è da essa che sgorgherà il fuoco
della carità frate rna» (Messaggio Capitolare)
Ogni capitolo Generale rappresenta una tappa nel corso del
lungo pellegrinaggio di una Congregazione verso la Città Santa:
la tappa del 2004 per i monaci Benedettini di Monte Oliveto ha
co s t i t u i to un’ u l teriore opportunità di amare e scegliere di nuovo la loro vocazione monastica secondo il carisma del Fo n d a tore Beato Bernardo, privilegiando alcuni percorsi per il prossimo
sessennio per meglio realizzare il voto di Gi ovanni Paolo II:
«Voi non av e te solo una storia gloriosa di cui rico r d a rvi e da rac-
253
MICHELANGELO TIRIBILLI
contare, ma una grande storia che resta da co s t ruire7». In questi
p e r corsi che il Ca p i tolo Generale ha proposto di af fr o n t a r e ,
come dice S.Agostino, «dobbiamo camminare, progredire, cres cere, affinché i nostri cuori diventino capaci di co n tenere quelle cose che adesso non siamo in grado di accogliere. E se l’ultimo giorno ci troverà in cammino, conosceremo lassù ciò che
prima non siamo riusciti a co n o s ce r e »8.
In sintesi: percorsi indicati dal Capitolo generale 2004;
1) Una Congregazione monastica meno clerica l e;
2) Una Congregazione sempre più comunionale, quale comunione di Comunità;
3) Una Congregazione che rafforza il coinvolgimento di tutti i
monaci nel Capitolo Genera l e;
4) Una Congregazione che dà spazio anche al carisma dell’ere m i t i s m o;
5) Una Congregazione impegnata nel dialogo ecumenico e nel
dialogo inter-religioso;
6) Una Congregazione che vuole saper af frontare la co m p l e ssa realtà economica, per meglio vivere il voto di povertà, anche
attraverso il lavoro monas t i co, per renderla aperta alla solidarietà;
7) Una Congregazione che è soprattutto consapevole che la
propria rivitalizzazione passa nece s s a r i a m e n te, oltre che attraverso una seria Formazione iniziale adeguata ai tempi, anche
attraverso una rinnovata, forte, continua “conversio moru m”, cioè
attraverso la Formazione permanente, per completare la gestazio_______________
7 Vita
8
consecrata, 101.
Agostino, In Johannis evangelium tractatus 53, 7.
254
IL CAPITOLO GENERALE DELLA CONGREGAZIONE
DI MONTE OLIVETO 1-14 OTTOBRE 2004
ne dell’uomo nuovo, rinnov a to nella giustizia e nella santità, per
approfondire in tutte le dimensioni e possibilità umane: co n oscitive, psicologiche, spirituali, il rapporto personale con il
Signore, in modo da poter dire: “per me vivere è Cr i s to ”;
8) Una Congregazione che vuole riscoprire sempre di più un
mezzo antico e sempre nuovo: la Lectio divina, as coltando e
ruminando la Pa r o l a .
Michelangelo Tiribilli
Abate Generale
Abbazia di Mo n te Oliveto Maggiore
255
COLOMBAN BENDERITTER
Colomban Benderitter
UNE VISITE FRATERNELLE À NOS
FRÈRES DE GOSUNG
ET À NOS SŒURS OLIVÉTAINES EN CORÉE
Ces quelques lignes ont pour base les courriers envoyés aux frères de
Maylis lors de notre voyage chez nos frères du monastère Blessed Bernard
Tolomei de Gosung, en Corée, avec le P.Abbé François You, du 10 au 25 jan vier. L’occasion de cette visite fraternelle nous a été offerte par l’ordination
presbytérale du Fr. Paul Baek, qui avait fait une partie de sa formation
monastique à Maylis. Tout au long de notre séjour en Corée, nous avons
essayé de faire partager aux frères en France ce que nous vivions, de les fai re vibrer à ce pour quoi nous vibrions. Ces extraits de nos courriers ont un
caractère partiel et personnel que nous avons voulu garder pour permettre
aux lecteurs de l’Ulivo de partager quelque chose de l’expérience extraordi naire que nous avons vécue à cette occasion.
Le voyage et l’accueil
«Lundi 10 janvier, départ de l'aéroport de Bordeaux en fin de
matinée. Un petit avion d'environ 50 places, via Amsterdam où
nous attend un Boeing de KLM direction Séoul. Dés le départ, le
temps superbe nous permet de profiter du paysage et cela durera
tout le voyage. A l'approche d'Amsterdam, survol de la Hollande
des polders et des canaux avec, ici ou là, quelque moulin à vent aux
grandes ailes comme immobilisées par le froid. Assez fr é q u e mment aussi des éoliennes alignées comme à la parade et qui semblent des jouets mais en réalité doivent être gigantesques. Il est à
peu prés 13 h à notre arrivée et n'ayant pas à nous soucier des
bagages, l'avion pour Séoul étant à 17h, nous nous mettons en quête de refaire nos forces durement éprouvées malgré l'encas servi
dans le folker d'Air France.
256
UNE VISITE FRATERNELLE À NOS FRÈRES DE GOSUNG
ET À NOS SŒURS OLIVÉTAINES EN CORÉE
Et à 17h c'est l'envol ‘pour de bon’. Un Boeing 747, 10 sièges par
rangée, mais nous avons la chance d'être aux hublots et les 400 et
quelques places sont loin d'être toutes occupées. Une bonne moitié des pas s agers nous laisserait deviner que nous nous dirigeons
vers l'Asie. La compagnie KLM, elle, est bien hollandaise, blondes
hôtesses aux yeux bleus et stewards plus galonnés qu'un colonel !
Voyage sans histoire sauf que 10 heures c'est un peu longuet. Surtout que pour ma part, impossible de dormir et le P. Abbé je crois,
pas beaucoup plus. Heureusement la co m p agnie et le personnel
sont aux petits soins et les repas …Coréens : 1° soupe aux baguettes
quelque part dans une mer de nuage à plus de 10000m.
Après de longues heures nocturnes, les premières lueurs de l'aube nous permettent d'admirer très loin en bas les dernières dunes
du désert de Gobi….impressionnant. Plus loin c'est la Mandchourie avec des champs et des maisons alignées au cordeau. On pense
aux millions d'hommes et de femmes qui s'agitent là dessous sans
connaître le Christ. Enfin après le survol de la Mer Jaune, apparaît
la terre de Corée. En fait ce sont des îles, très nombreuses sur cette côte et apparemment habitées. L'aéroport lui-même est
d'ailleurs sur une île à 15 ou 20 km de Séoul. Dans l'avion le Père
Abbé s'est changé et a revêtu le costume coréen traditionnel, du
coup il sera bien le seul ‘autochtone’ de l'aéroport !
En principe c'est Dom Giona lui-même qui doit venir nous
chercher. En fait il y a tout un comité d'accueil avec pratiquement
toutes les oblates qui sont venues à Maylis, Lucia en tête (avec son
fils qui est venu cet automne, Giovanni), avec bouquets de fleurs
et pancartes de bienvenue. Effusions, co u r b e t tes et ô stupeur,
embrassades dans l'élan !
Un tel accueil et la joie d'être arrivés ont fait s'envoler to u te
fatigue, il est pratiquement midi heure locale et le petit déjeuner
de KLM est déjà loin. Giona s'enquiert si nous voulons manger
‘occidental’ ou Coréen ? Heureusement nous choisissons la Corée
parce que, manifestement, tout était prévu dans un restaurant
257
COLOMBAN BENDERITTER
haut de gamme. Ça commence très bien ! Tout est servi en même
temps avec une multitude de petits plats et sauces et selon le principe de la fondue, on trempe son morceau, viande ou légume, dans
une bassine bouill a n te avant de le récupérer mais …avec des
baguettes !
Après cet intermède fort bienvenu et qui nous laissera un bon
souvenir de l'accueil Coréen, envol avec Giona pour Chinju. A
l'aéroport nous attendent Gi a como et Salesio, toujours chaleureux, fr a te rnel et jovial. Avec tous ces frères qui sont passés par
l'Italie – et la plupart à Maylis-, les retrouvailles sont chaleureuses
avec ‘abbraccio à l'italienne’.
De Chinju à Kosung, c'est la plongée dans l'Asie profonde (et
non plus dans celle des aéroports !), telle qu'on l'imagine ou qu'on
la rêve. Dans les villes ou grosses bourgades, foisonnement des
enseignes multicolores, enchevêtrement d'innombrables réseaux
électriques et téléphoniques, voisinage immédiat d'habitat traditionnel – petites maisons à toits aux 4 coins relevés et aux tuiles
v e rnissées (beaucoup de bleu, même pour les toits en tôle), avec
des immeubles flambants neufs ou des maisons décrépies et sans
style, sinon les enseignes qui les couvrent.
Dans la campagne, des hameaux regroupent des petites maisons, dans le plus grand désordre pour un fils de Descartes, mais
selon sans doute des lois millénaires impénétrables au simple passant, occidental qui plus est. Le moindre espace est co n v e rti en
rizière ou en serre. Actuellement (mi-janvier), tout est grillé, pire
que chez nous pendant la canicule mais parait-il c'est normal. Il ne
pleut pas beaucoup et il fait froid : -7° à notre arrivée à Séoul ! A
flanc de montagne, de nombreux petits cimetières –quelque fois 2
ou 3 tombes, rarement plus d'une dizaine- qui doivent avoir une
allure très paisible et sereine au milieu des bois de pins quand les
tumulus circulaires sont recouverts de gazon (mais là aussi pour le
moment, tout est grillé). »
258
UNE VISITE FRATERNELLE À NOS FRÈRES DE GOSUNG
ET À NOS SŒURS OLIVÉTAINES EN CORÉE
Le monastère Blessed Bernard Tolomei de Gosung
«Le monastère est situé dans une petite vallée assez étroite, à
flanc de coteau mais avec un habitat très dispersé : la maison d'origine ou logent les profès est au moins à 100 ou 150 mètres de la
Chapelle et du Réfectoire et le dénivelé est important !
Le logement des novices est également séparé quoique plus
prés. Et chaque fois que l'on passe d'un bâtiment à l'autre, il faut
se chausser….et se déchausser pour entrer.
Plus haut encore, à 200 mètres environ, il y a la maison de
retraite tenue par les sœurs où le matin à 6h30 ont lieu Laudes et
messe en commun avec les sœurs. Et plus haut encore la maison de
la communauté de sœurs co n templatives. Plus loin encore, une
p e t i te maison, Béthanie, où vivent 2 sœurs qui ont un don d'acco m p agnement et de guérison par la prière. Un peu plus bas un
petit village. De l'autre coté de la vallée, vers le bas de la montagne,
une autoroute est en construction. Un peu plus haut, abrités sous
les pins, des petits cimetières où les tombes sont toutes orientées
de la même façon.
Frère Paul était en retraite quand nous sommes arrivés mais il
l'a interrompue le temps de nous saluer. Il a l'air très bien et il est
très heureux de nous voir. Apparemment il n'a pas trop changé et
nous étions, nous aussi, très émus de le retrouver.
La communauté semble bien, elle vit un temps de profonde
maturation avec des choses fortes. Il n'y a que 12 ans qu'ils ont
commencé ici la vie conventuelle et ils sont déjà 23 !
Les locaux deviennent vraiment trop petits, les postulants et les
nov i ces dorment en dortoir et le manque de place se fait enco r e
plus sentir que chez nous…. Il y a des projets de déménagement
mais rien n'est encore concrétisé.
La liturgie est assez simple mais digne et très belle quand ils
chantent.
Il semble qu'ils aient l'Office Romain mais avec les 3 petite s
259
COLOMBAN BENDERITTER
heures, sexte étant encadré par l'angélus et le chapelet. Les
psaumes sont simplement cantillés recto - tono mais les hymnes
sont chantés sur des mélodies sobres mais belles, de style coréen
apparemment. A la messe ils chantent beaucoup de chorales, il
semble que la langue s'y prête très bien, en tous cas c'est beau et
priant, le chant à voix mixte devant être un plus. La chapelle de la
maison de retraite est très belle, beaucoup de bois qui rend l'ensemble chaleureux, mais je ne pense pas que ce soit typiquement
coréen, sauf que l'on est en chaussettes….
Au réfectoire par contre, c'est tout à fait coréen : du riz, matin,
midi et soir, presque toujours une soupe plus ou moins épaisse et
toute une série de plats variés, au moins 5 ou 6, comportant souvent beaucoup de légumes et toujours l'inévitable ‘kimchi’, espèce
de choux saumuré très piquant. L'ensemble est très épicé mais il y
a toujours un frère ou l'autre pour nous signaler les plats particulièrement relevés. Mais dans l'ensemble c'est bon. Comme tout est
mangé avec des baguettes, tout est découpé à l'avance, souvent en
lamelles pour les légumes, en petits morceaux pour les poissons,
la viande ou les omelettes.
Pendant notre séjour Sr Héléna, la sœur de Salesio est venue
prêter main forte au frère Benedetto, le cuisinier. Avec beaucoup
de délicatesse, nous avons droit, P. Abbé et moi, à une corbeille de
pain, une bouteille de vin (coréen), du fromage…et une fourchette! Les premiers jours nous avions droit à des suppléments,
pommes de terre, nouilles ‘italiennes’, pâtés ou autres, ce qui faisait la joie et le profit de Salesio notre voisin, mais nous avons
demandé grâce parce que nous ne pouvions pas tout manger! »
Visites à Waegan et aux oblats de la communauté de Gosung
«Hier, jeudi, j'ai profité d'un voyage à Waegen où se trouve un
monastère fondé par St Ottilien en 1909. 140 moines dont 80 sur
place, (les autres répartis dans des paroisses), une moyenne d'age à
260
UNE VISITE FRATERNELLE À NOS FRÈRES DE GOSUNG
ET À NOS SŒURS OLIVÉTAINES EN CORÉE
faire rêver bien des communautés européennes et une multitude
d'ateliers d'une ampleur impressionnante : imprimerie, ébénisterie, orfèvrerie, vitraux, charcuterie, etc….Avec, outre les moines,
un nombre important d'employés laïcs»
«Ce samedi matin, Père Abbé ayant terminé de rencontrer les
frères, départ pour Kyong-Ju, (ancienne capitale historique), afin
de rencontrer plusieurs familles d'oblats et de faire un peu de tourisme. Nos deux guides sont fr. Salesio et Sebastiano, la fine équipe qui n'engendre pas la mélancolie. Et tous deux parlent italien.
Au passage un détour pour voir le lieu où la communauté espère déménager. Un coin de montagne, au fond d'une vallée désertique, au milieu des bois. Il y a une petite ville pas très loin (20
minutes), mais le terrain est partout très pentu et il faudra de très
gros travaux pour construire là. Cela n'a pas l'air d'impressionner
les frères et peut être est ce pour eux la seule façon d'avoir un minimum d'isolement. Il est vrai que dans le pays le terrain plat est une
denrée rare.
Après une halte roborative dans un petit restaurant qui ne paye
pas de mine mais où l'on nous sert une exce llente viande grillée
–sur des tables basses et assis en tailleur et nu-pieds bien sûr, -,
nous arrivons chez une tante de Dom Giona, Gemma, oblate avec
son mari Rigoberto, qui vont nous héberger chez eux 48 heures.
Ce seront 48 heures fortes et belles qui resteront un des plus beaux
souvenirs de ce voyage. 48 heures riches et pleines à tous les
niveaux, humain, spirituel, émotionnel… et gastronomique ! Déjà
le fait d'entrer vraiment ‘chez l'habitant’ est une expérience riche
et dépaysante.
Et puis en fait, à travers ce couple de Gemma et Rigoberto, c'est
to u te une petite communauté que nous avons rencontrée : 4
couples d'oblats et oblates, maris et femmes, en forment le noyau.
Le Dimanche, une famille et quelques personnes nous rejoindront
pour la journée. Tous prennent ce t te oblature avec le plus grand
sérieux et ils nous ont livré quelques très beaux témoignages, ne
261
COLOMBAN BENDERITTER
serait-ce que celui de leur soif de Dieu et d'une vie vraiment chrétienne. Et l'insistance sur le fait que l'oblature les aidait puissamment pour cette exigence de vie.
Le samedi soir après une petite séance de tourisme, (nous allons
sur le site d'un ancien temple et surtout au bord de la mer pour
admirer le tombeau sous-marin d'un ancien roi), nous sommes
invités au restaurant pour un repas de poisson crû. Il parait que
c'est ce qui se fait de mieux pour quelqu'un que l'on veut honorer.
Il n'y aura d'ailleurs pas que du poisson cru : des huîtres, des algues
variées, du poisson séché et du poisson caramélisé, des œufs de
caille, des racines de ginseng, j'en passe et des meilleurs…!
Le lendemain en sortant de nos chambres (P. Abbé a été installé dans la chambre du ménage et moi dans celle d'un des fils de la
maison), nous trouvons oblats et oblates revêtus d'une belle aube
blanche qu'ils mettent pour les offices avec visiblement beaucoup
de plaisir et nous célébrons les laudes tous ensemble. Après quoi
une ‘petite collation’, thé vert ou au ginseng, soupe de vermicelle
au soja ou autre, etc….
La messe a lieu un peu plus tard sur place dans la salle de séjour,
sur une table basse et assis par terre bien sûr. Ce qui n'empêche pas
b e a u coup de dignité, de piété et de vraie ferveur, avec quelques
très beaux chants. C'est vraiment une ‘eucharistie domestique’ et
comme l'a dit P. Abbé dans son homélie, on ne pouvait s'empêcher
d'évoquer la communauté des premiers chrétiens.
Après la messe, un bon moment d'entretien spirituel où ce u x
qui parleront se livreront avec beaucoup de simplicité. Là encore
nous sentons une vraie soif et un vrai désir.
Pendant la nuit il a neigé. Les visites touristiques sont donc
compromises mais nous ne regretterons rien parce que nous ne
perdons pas au change : un après midi en famille où nous irons faire une petite balade dans un parc de la ville. Bonhommes de neige- ici on dit ‘poupées de neige’- batailles de boules de neige…
Nous sommes frappés, P. Abbé et moi, par l'atmosphère ‘bon
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UNE VISITE FRATERNELLE À NOS FRÈRES DE GOSUNG
ET À NOS SŒURS OLIVÉTAINES EN CORÉE
enfant’ et simple qui semblait régner partout dans ce parc. Les
petits enfants ont des frimousses délicieuses avec leurs cheveux
noirs de jais, leurs yeux rieurs et leurs dents éclatantes.
Le soir après les vêpres, -toujours assis en tailleur par terre et
tout le monde en coule-, nouveau repas mais cette fois-ci avec couteaux et fourchettes : c'est un repas ‘occidental’ en notre honneur,
en fait un superbe beefsteak. Nous sentons que tout est fait pour
nous faire plaisir.
Puis le soir tout le monde se retrouve autour d'un grand tapis
par terre pour un jeu traditionnel où il s'agit de lancer en l'air des
bâtonnets et selon la façon dont ils retombent, on fait gagner ou
perdre des points à son équipe. Encore un grand moment où l'on
sent la passion asiatique pour les jeux de hasard et où P. Abbé dont
l'équipe a perdu, montrera lors de l'exécution du gage qu'il a de
beaux restes de ses jeunes années ! Bien sûr la journée finit par les
complies communes.
Le lendemain matin, à part un ou deux oblats qui devaient être
au travail, tout le monde se retrouve de nouveau pour la messe et
un long moment d'adieu avec prostrations et bénédictions (au
petit déjeuner, encore une attention délicate il y avait un gâte a u
avec 7 bougies pour l'anniversaire de la bénédiction abbatiale de
Père François).
Au moment de quitter ces couples d'oblats et oblates, règne une
émotion certaine de part et d'autre : malgré tout ce qui nous séparait à vues humaines, quelque chose s'est passé de fort durant ces
48 heures que nous n'oublierons pas, quelque chose qui a à voir
avec la grâce et sans doute la communion des saints ».
L’ordination
«Mardi. C'est le grand jour, celui de l'ordination du frère Paul et
de frère Agostino. Elle aura lieu à Masan en même temps que les
ordinations du diocèse dont cette ville est le siège épiscopal.
263
COLOMBAN BENDERITTER
Outre nos 2 frères il y a 5 prêtres diocésains et autant de diacres.
Comme la cathédrale est trop petite pour accueillir tout le monde
la célébration a lieu dans un immense gymnase couvert, d'au moins
8000 places.
A l'arrivée on sent l'excitation joyeuse de tous les gens qui viennent pour vivre ce moment. Un comité d'accueil est constitué de
nombreuses jeunes filles et jeunes femmes en costumes traditionnels éclatants de couleur, qui donnent une note festive et joyeuse. A
la sacristie installée dans les vestiaires, nous pourrions presque nous
croire dans une sacristie du Sud Ouest de la France, le jour d'un
grand rassemblement diocésain, quand les prêtres se retrouvent, si
ce n'est qu'il y a très peu de cheveux blancs, la moyenne d'age devant
être de 40 à 45 ans. Et puis il y aura beaucoup plus de discipline
quand on demandera de se mettre en ordre de procession!
La célébration a été préparée de façon étonnante, tout semble
se dérouler tout seul sans la moindre hésitation, le cérémoniaire se
contentant de suivre les opérations depuis le bord d'un immense
podium où seuls ont pris place l'évêque et les ordinands ainsi
qu'une dizaine de grands séminaristes qui font office de servants,
revêtus de soutanes noires et surplis blancs. Les chants sont beaux
et classiques : nous reconnaissons pas mal de musiques qui sont
chantées aussi en France et dans l'ensemble hormis la langue qui
nous reste hermétique, la célébration pourrait presque avoir lieu
‘chez nous’ ! Au moment des annonces de nomination à la fin de la
cérémonie, les manifestations bruyantes des différentes paroisses
quand leur ‘poulain’ est sur la sellette nous rappellent des choses
déjà vues et entendues sous d'autres latitudes…
Après l'ordination, retour au monastère où tout le monde,
moines, sœurs, familles, oblats et oblates se retrouvent pour un
moment heureux de convivialité. Nous retrouvons avec joie les
oblats et oblates déjà rencontrés à Séoul et Kiong-ju, et la famille
de fr Paul qui nous accueillent comme étant vraiment des leurs.
Le lendemain première messe à la Chapelle de la maison de
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UNE VISITE FRATERNELLE À NOS FRÈRES DE GOSUNG
ET À NOS SŒURS OLIVÉTAINES EN CORÉE
r e t r a i te le matin, et l'après midi départ vers Pusan où nous
sommes attendus chez les sœurs à la maison mère, avec les 2 nouveaux prêtres qui sont attendus pour une première messe. Là
e n core accueil avec ‘petits plats dans les grands’, beaucoup d'attentions délicates. Père Abbé est déjà un vieux routier de ce genre
de réception, mais pour ma part c'est la première fois que je suis
applaudi par une centaine de sœurs quand j'entre dans le réfectoire et je mesure comme on peut vite se croire un grand personnage!
Heureusement frère Agostino et fr Paul qui nous précédaient ont
eu droit à une salve nourrie qui nous a préparés. Repas de fête bien
sûr, avec poisson cru et vin français, et à la fin la surprise qui n'est
pas celle du chef mais celle de voir arriver une vingtaine de postul a n tes en habit traditionnel qui exécutent en notre honneur et
celui des nouveaux prêtres des danses, traditionnelles elles aussi.
Ce sont des danses pleines de grâce et l'on se dit que le peuple qui
a de telles richesses dans sa culture est bien aimé du Seigneur. Ces
jeunes filles que nous avions aperçues à la chapelle dans un austère
et strict petit costume noir, sont éclatantes de beauté et en même
temps pleines de simplicité et de modestie et on les sent heureuses
de ce qu'elles font. C'est très émouvant de penser qu'elles se préparent à faire le don total d'elles mêmes au Seigneur: on dirait un parterre de fleurs multicolores ondulant au vent de l'Esprit !
Jeudi sera une journée détente, avec des amis de la communauté des frères, puis, le soir au restaurant, une rencontre avec une
trentaine d'oblats et oblates qui se termine bien sûr par des entretiens spirituels prolongés où, encore une fois, nous touchons du
doigt la soif de Dieu de ces personnes et le rayonnement de la
communauté des frères. »
Visite à un ermite bouddhiste
«Vendredi départ à l'aube pour la montagne : nous avons rendez
vous avec un ermite bouddhiste très réputé. En fait le maître est
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COLOMBAN BENDERITTER
parti plus loin dans la montagne et nous sommes reçus par son disciple, mais cette rencontre sera suffisamment riche pour que nous
ne regrettions rien. Bien plus ce sera certainement un des souvenirs les plus forts de ce voyage.
Après un bon petit moment de marche, au sortir d'une forêt de
bambous nous débouchons dans une clairière : sur une pente ensoleillée, 2 ou 3 petits bâtiments de style traditionnels entourent un
petit potager: 25 m? de plate bande de légumes assez dégarnies en
cette saison hivernale.
Le moine bouddhiste qui nous accueille est jeune (en fait il doit
avoir à peu prés 40 ans), revêtu d'une sorte de kimono gris qui
semble l'habit monastique puisque plus tard, au monastère en bas
de la vallée, nous verrons d'autres moines habillés ainsi. Il nous fait
entrer dans une to u te petite pièce très dépouillée, murs blancs,
aucun meuble juste un petit placard encastré dans le mur et fermé
par ces belles portes coréennes faites d'une légère armature à claire voie sur laquelle est collé du papier de riz.
Nous sommes très impressionnés, P. Abbé et moi, par la beauté
sereine qui émane de cet homme, son sourire bienveillant, son
accueil plein d'humanité. A midi nous partageons son repas, repas
de fête sans doute ce jour-là, préparé par 2 dames bouddhistes qui
nous ont accompagnés et qui viennent le rencontrer régulièrement. A nos questions elles répondent d'ailleurs que le seul fait de
venir et de passer un petit moment à l'ermitage les remplit de force et que de retour chez elles, un désir plus fort d'être meilleures
et d'aimer leur ento u r age les habite. Ce témoignage confirme le
rayonnement du moine. Nous échangeons longuement et il nous
parle volontiers de ce qu'il vit. Par beaucoup de points on a pu sentir que nous étions proches, un frère moine vraiment. Et pourtant.
Je n'ai certainement pas tout compris, mais il est assez troublant
de voir que l'essentiel de ses efforts, s'il vise à faire remonter son
moi profond et réel (qui pour nous est l'image de Dieu) a pour
moyen principal une ascèse qui cherche à faire le vide en soi. Et
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UNE VISITE FRATERNELLE À NOS FRÈRES DE GOSUNG
ET À NOS SŒURS OLIVÉTAINES EN CORÉE
pour ce qui est de l'ascèse je ne suis certainement pas capable du
dixième de ce qu'il vit. Mais nous mesurons mieux le prix de la grâce, le privilège de pouvoir parler à Dieu ‘comme un ami à son ami’
Quand je pense à lui maintenant, me revient cette phrase bouleversante d'Ignace d'Antioche à la veille de sa mort, dans la lettre
aux Romains: ’je sens en moi comme une eau vive qui murmure :
Viens vers le Père’. Il me semble que c'est comme si ce frère bouddhiste ne pouvait dire que la première partie de la phrase ‘ je sens
en moi une eau vive qui murmure…’ Et c'est d'autant plus douloureux qu'il ne puisse dire la suite, qu'on a justement le sentiment
que cette eau coule en lui vive, fraîche et pure. Et qu'il fait tout ce
qu'il peut pour creuser et dégager la source.
En fin d'après midi, en redescendant de la montagne, une brève
visite au monastère bouddhiste nous transporte un peu dans ‘Tintin au Tibet’! »
Tout à une fin…
«Le séjour arrive à sa fin, samedi et dimanche il y aura encore des
rencontres très belles et enrichissantes avec des oblats et oblates,
à Séoul cette fois, et la journée du dimanche détente dans un village genre parc naturel, très bien fait, où l'on peut voir l'habitat traditionnel ainsi que des vieux métiers artisanaux et des démonstrations folkloriques.
Sur tout ce que nous avons vu durant ces 15 jours, il y a un seul
point sur lequel je n’ai pas pu m’empêcher d’éprouver une réserve
: l'art sacré. Et cela d'autant plus que c'est un pays dont la culture
est riche. Les églises que nous avons pu voir (mais nous n'avons pas
tout vu, loin de la !), la statuaire, l'iconographie, la musique religieuse dans la majeure partie de ce que nous avons entendu, que ce
soit dans la communauté ( qui chantent cependant des hymnes
sobres et belles de facture coréenne aux offices), ou à l'occasion de
l'ordination, semblait ‘d'importation’. Un exemple typique a été la
267
COLOMBAN BENDERITTER
v i s i te d'un atelier d'orfèvrerie où l'on fabriquait selon une te c hnique parfaite, des objets qui auraient pu venir directement de
Rome ou de Lourdes, se co n tentant de reproduire quelques
modèles sans un vrai souci de créativité. La visite d'un sanctuaire
marial prés de Séoul, le dernier jour, nous a prouvé qu'il était possible cependant de faire de très belles choses plus inculturées :
mais c'est la seule représentation de Marie que nous ayons vue qui
n'était pas de style St Sulpicien ou piétiste, dans ce qu'il a de moins
bon. Mais c'est sans doute que l'Eglise de Corée est comme un
adolescent qui grandit trop vite : il n'arrive jamais à avoir des vêtements corrects à sa taille. Son expansion l'oblige à parer au plus
pressé. Nul doute que les frères aient là un chantier qui correspond
bien à leur vocation monastique, auquel ils pourront s'atte l e r
quand le moment sera venu.
Une autre crainte serait que les coréens – et les jeunes en particulier - ne se laissent fasciner par la ‘culture ‘ occidentale. C'est
m a n i f e s tement un pays où tout bouge très vite, mais qui a des
valeurs précieuses à conserver. Ainsi nous n'avons pas vu une seule de ces publicités, si tristement banales en France, qui utilisent
l'image de la femme en la dégradant pour faire vendre n'importe
quoi. (En fait s'il y a une multitude d'enseignes dans les villes, il y
a très peu d'affiches publicitaires, quelques unes, immenses, au
bord des autoroutes, nous en avons même vu une qui faisait de la
pub pour….Jésus !) »
Pour finir, je voudrais vous dire un mot de frère Bernardo. Frère Bernardo est un oblat régulier qui doit avoir à peu prés 70 ans.
On le remarque puisque, après lui, il y a 2 ou 3 frères qui doivent
avoir entre 55 et 50 ans, et tout les autres moins de 50! Le lendemain de notre arrivée, à la sortie du réfectoire, frère Bernardo s'est
approché de moi et avec son sourire illuminé de 1000 petites rides
aux coins de ses yeux en amande, il me dit en me montrant du
doigt ‘Colombano’, puis se désignant lui-même ‘Bernardo’. Ce
n'est rien et c'est tout ! Mais c'est révélateur de ce que nous avons
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UNE VISITE FRATERNELLE À NOS FRÈRES DE GOSUNG
ET À NOS SŒURS OLIVÉTAINES EN CORÉE
vécu pendant 15 jours: un apprivoisement mutuel, un lien qui s'établit au-delà de toute communication, d'autant plus fort qu'il est
gratuit et basé sur la simple joie d'être les enfants d'un même Père.
Quand nous sommes partis frère Bernardo était à l'hôpital. J'espère qu'il en est sorti et qu'il va bien maintenant. Et si un frère
Coréen lit ces lignes j'aimerais qu'il dise à frère Bernardo que je ne
l'ai pas oublié et que je compte sur sa prière.»
Colomban Benderitter
Moine bénédictine de Monte Oliveto
Abbaye de Maylis
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MONASTEIRO SÃO BENTO DE RIBEIRÃO PRETO – BRASIL «A ESCOLA DA VIDA»
MONASTEIRO SÃO BENTO DE RIBEIRÃO
PRETO – BRASIL «A ESCOLA DAVIDA»
Il 2 ottobre 2004 si spegneva d. Fortunato Capodilupo, priore
dell’Ab bazia di Santa Maria do Monte Oliveto di Riberao Preto, in
Bra s i l e. I fratelli della sua comunità ci inviano un ricordo del loro
fratello e priore.
Valorizamos a “e s cola da vida”, porém nem sempre valorizamos a “escola da morte”. Sim, porque a morte tem sempre algo
de muito profundo a nos ensinar, exorta-nos ao essencial da
vida, àquilo que realmente import a . D i a n te do mistério da morte somos todos crianças desejosas de aprendizado, somos todos
admiradores estupefatos de uma vida que passa rápido e que,
ainda assim, é consumida, em grande parte, em dispendiosas
resoluções de mediocridades.
Re ce n te m e n te a Irmã Mo rte, como a chamava São
Fr a n c i s co, visitou a comunidade Olivetana do Brasil e levou o
nosso Prior Dom Fo rt u n a to. Agora fazemos muito gosto em
co m p a rtilhar com todos os co n frades e co-irmãs da família
olivetana o quanto aprendemos tanto com a sua vida quanto
com sua enfermidade e morte .
Dom Fo rt u n a to foi para a nossa Comgregação e para o
m o s teiro do Brasil, de modo particular, um te rno gesto de Deus
Pai. Á primeira vista, aquele homem pequeno e sisudo, não
prometia grandes expectativas;além disso, sua típica
gesticulidade napolitana quando falava, as s u s t ava-nos e
a te m o r i z ava-nos... A primeira reação era de repulsa, para bem
da verdade.
Como é verdadeiro que ‘ quem vê cara não vê coração’! Por
detrás daquela aparencia austera e grava um co r a ç ã o
p r o f u n d a m e n te moderado e amável se escondia. Possuidor de
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MONASTEIRO SÃO BENTO DE RIBEIRÃO PRETO – BRASIL «A ESCOLA DA VIDA»
uma inteligência clara e aguda, conhecia muito bem a mente e o
coração das pessoas e por isso preferia julga-las – quando esta
missão forçosamente lhe cabia, por força de seu ofício de
superior- com prudência e caridade, sem se deixar levar pelos
costumeiros impulsos de perfeição de quantos consideram-se
por demais avançados no caminho da mesma...
S i l e n c i o s a m e n te e com admirável discrição, co m o
ce rt a m e n te convém a um filho de São Bento, procurou
“a b r asileirar-se” logo que enviado, pela santa obediência para o
trabalho nesta terra de Santa Cruz. Interesso-se em conhecer
nossa realidade quando estudou Ciências Sociais e, por anos a
fio, serviu à comunidade da Capela de Nossa Senhora Aparecida
(do Lar Padre Euclides para idosos) onde, enquanto corria o
tempo, foi estabelecendo um vínculo de tão forte amizade que
só nos foi possível constatá-la em toda a sua profundidade, em
sua Missa exequial quando recebe abundantes manifestações de
carinho de seus fiéis.
Se de um lado, o nosso relacionamento com ele custava-nos
d evido a toda impetuosidade de seu caráte r, de outro,
a p r oveitávamos com bom gosto dos bons momentos que ele
proporcionara-nos quando, por exemplo, nos imformava de
tantas histórias, de tantos lugares, de tantos feitos e fatos que
p u l u l avam fert i l m e n te em sua brilhante memoória... E co m o
nos esqueceríamos, ainda, dos seus dotes culinários? E quase
todas as quintas-feiras presente ava-nos com diversos e criativos
pratos-quase sempre da famosa cozinha italiana-que, às vezes,
com bas t a n te ante cedência eram preparados com sag r a d a
dedicação.
D i a n te da morte, que muito progressivamente começara a
avizinhar-se, mostrou-se tranquilo e numa postura muito
silenciosa, de certo modo, acolhedor.Enquanto passava pelas
m u i t as co n s u l t as médicas que ante cederam a cirurgia que
desencadearia os seus últimos dias, embora muito co n s c i e n te
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MONASTEIRO SÃO BENTO DE RIBEIRÃO PRETO – BRASIL «A ESCOLA DA VIDA»
dos riscos que corria, guardou uma corajosa naturalidade.
In te rnado para um séria cirurgia de desobstrução venosa
surpreendeu-nos a todos, aos seus médicos, inclusive, co m
co n s e q u ê n c i as muito negativas. Em consequência de outros
problemas de saúde teve que amputar parte da perna esquerda
e, afetado por uma pneumonia, careceu de uma traqueostomia
que o impediria de falar, com uma pequena exceção de um dia,
até a morte. Por meio de sinais e com muito esforço para liberar
som para sua voz mostrou-se, surpreendente m e n te, paciente e
resignado com a decisão médica de amputar-lhe o pé e parte da
perna, e neste dia em que pode falar porque tivera diminuída o
tamanho da cânula que, inserida em seu pescoço facilitava-lhe a
respiração, reclamou de um cansaço generalizado, pediu ser
informado dos últimos aco n te c i m e n tos dos jogos olímpicos que
na Grécia acabavam de serem concluídos, porém, nenhuma
palavra de amargura ou de rev o l tosa impaciência...
Como não serão insondáveis os desígnios Daquele que
p e r s c ruta os corações dos homens, que co n h e ce aqueles que
chamara “ao seu divino serviço” e que governa os caminhos da
nossa história? Dom Fort u n a to nos ensinou, com sua doença e
morte, talvez muito mais que logrou ensinar-nos ao longo de
t a n tos anos de convivência co n o s co: é que os momento s
extremos carregam consigo a prerrogativa de ensinar-nos o
q u a n to urge educarmo-nos no amor...
E n q u a n to nos revezávamos para lhe fazer co m p a n h i a
d u r a n te os seus três meses de inte rnação hospitalar, muito
ce rtamente, concretizamos uma aprendizagem dos verdadeiros
valores que tanto enobrecem a vida religiosa: paciência,
humildade, oração, consolo mútuo, experançosa expectativa,
s á b i as sínteses do que significa a vida humana, indagações à
cerca de nossa destinação enquanto comunidade monástica
nesse nosso preciso co n te x to, exercício do sereviço, exercício
do diálogo, escuta e rev e r e n te silêncio...
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MONASTEIRO SÃO BENTO DE RIBEIRÃO PRETO – BRASIL «A ESCOLA DA VIDA»
A gente leva da vida a vida que a gente leva. Is to significa-nos
que, ce rt a m e n te com muita luta, com muitos altos e baixos,
Dom Fort u n a to vencera a corrida e mantivera salvaguardada a
fé: Jó nos ensina que o pó volta ao pó e o Au tor do pó deve ser
bendito! Mas em Cr i s to Ressuscitado, garante-nos a nossa fé, o
pó se ergue pela misericórdia do Pai para o louvor sem fim que
já na terra lutara poe ento a r...É ce rt a m a n te pena que- co m o
e s c r evera um grande poeta brasileiro, “...amor é o que se
aprende no limite, depois de se arquivar toda ciência herdada,
ouvida.Amor começa tarde”.
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RECENSIONI
RECENSIONI
AA.VV., Le ricchezze dell’Oriente cristiano.Teologia, spiritualità, arte,
a cura di P. Baud - M. Egger, Paoline, Milano 2004, 161 p. (Saggistica Paoline, 22).
Un volume a più voci per far conoscere anche al mondo seco l a r i zzato di oggi le risorse offerte dalle Chiese d’Oriente è ce rt a m e n te
una sfida impegnativa. Ma se a comporlo co n t r i b u i s cono alcune delle più note personalità nell ’ a m b i to degli studi monastici e orientali,
il risultato non può che essere import a n te. Soprattutto, si tratta di
uno strumento prezioso per conoscere realtà poco note al grande
pubblico, quali le Chiese maronita e copta (quella ortodossa è, relativamente, più “percepita” anche in ambito non specialistico).
Motivi storiografici e approfondimenti teologici assicurano una
“copertura” completa dei più rilevanti punti di incontro dell’ecumenismo contemporaneo.
Philippe Baud - Maxime Egger (Introduzione) tracciano un riassunto dei principali avvenimenti intercorsi tra le Chiese d’Oriente e d’Occidente, certamente segnati da dolorose incomprensioni
e da inopportune rotture.
Enzo Bianchi (La spiritualità del deserto) delinea in maniera magistrale la complessa vicenda del monachesimo delle origini, attingendo soprattutto ai detti dei Padri (e delle Madri: accanto all’ab bà nel deserto vi fu anche l’ammà). I temi sottolineati sono la paternità dell’abbà (con riferimenti soprattutto ad Antonio), il rapporto
tra il monaco e la Parola, la preghiera continua.
Claude Bérard (La tenebra abbagliante. Le icone, via della conoscen za di Dio) presenta un “classico” del pensiero delle Chiese d’Oriente: il fecondo incontro tra iconografia e “teologia negativa” dionisiana. Di spiritualità e di icone oggi si parla molto, troppo e qualche volta a sproposito. L’Au tore traccia invece una sto r i a
scientifica dell’icona, che, ormai è accertato, attinge, in origine, al
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RECENSIONI
genere della ritrattistica antica. L’iconologia però si evolve, perché
è “espressione di una visione spirituale della bellezza di Dio” (p.
44). Dunque, postilla l’Autore, considerare insuperabile l’arte russa (la più famosa) delle icone, è un errore di prospettiva. Un altro
tema molto presente è quello dell’icona come “matrice spirituale”.
Lo stesso problema della irrappresentabilità di determinati Misteri (si pensi alla Trinità) si basa su di un presupposto sbag l i a to se
non lo si affronta secondo una prospettiva teologica. Sulla scorta
di Dionigi l’Areopagita, il pittore di icone deve infatti rappresentare l’ossimoro della tenebra e della luce.
Michel Stavrou (Le energie divine. La trasfigurazione del corpo e del
cosmo nella teologia bizantina), più tecnico, forse più difficile, affronta temi dell’esicasmo e della tradizione palamita. Si sofferma, in
part i colare, sulle critiche “razionaliste” mosse dal filosofo greco
Barlaam contro gli esicasti. Il co n f l i t to si risolverà con l’acce t t azione, da parte della Chiesa bizantina, delle posizioni palamite. La
principale obiezione contro l’esicasmo (non si può vedere direttamente la Luce, una realtà divina), è superata con la nota dottrina
della distinzione di essenza ed energie. Dio è conoscibile, perché
l’energia divina è la modalità esistenziale di Dio, in cui si comunica. L’Incarnazione, poi, ha come fine il far partecipi della vita trinitaria, e non solo la Redenzione. L’unione con Dio avviene tramite la grazia, quindi secondo l’energia. La duttilità di questa posizione co n s e n te di co llegare all’antropologia anche la cosmologia: il
mondo, infatti, si regge grazie alle energie divine, il che permette
all’Au tore ardite teorizzazioni di attualità della visione palamita
alla luce dell’odierno problema ecologico.
Georges Khodr, nel contributo forse più originale, offre spunti
per la comprensione di un problema molto arduo (Il dinamismo cri stiano nel Vicino Oriente: ieri e oggi. Chiese, civiltà araba e dialogo con l’is lam). Partendo soprattutto dalla realtà libanese, esamina in particolare il dramma delle Chiese d’Oriente (copti, maroniti, ortodossi), i cui membri, etnicamente arabi come i musulmani (e, anzi,
275
RECENSIONI
forse molto più arabi, per così dire, dal momento che si tratta di
popolazioni presenti in loco da più tempo) sono visti con sospetto
perché cristiani. Ma non mancano elementi poco noti, eppure
estremamente significativi. Ad esempio, è accertato che il sufismo,
il mov i m e n to “mistico” dell ’ Islam, è debitore ai cristiani. Anche la
lingua delle nazioni dell’Oriente è stata formata dalla lette r a t u r a
cristiana, e ancora i cristiani hanno forn i to per secoli i quadri della
cultura e dell’amministrazione in queste zone. No n o s t a n te tutto,
oggi si assiste al drammatico fenomeno della scomparsa dei cristiani d’Oriente, ridotti di numero da un continuo stillicidio migratorio, ma senza dimenticare i veri e propri genocidi (come quello degli
armeni da parte degli ottomani) nel secolo scorso. Le inco m p r e nsioni non sono però solo dalla parte musulmana. Viene infatti rimproverato all’Occidente, oltre che il disinteresse in genere per le
questioni dei cristiani orientali, anche un ritorno, di fatto, all’arianesimo (con una eccessiva enfatizzazione, nella teologia occidentale, della umanità di Gesù), ma soprattutto, e questo è meno “visibile” dal nostro punto di vista, ad una sorta di “neo-marcionismo”, in
cui la specificità del cristianesimo viene annullata da un non equilibrato rito rno alle radici ebraiche, quasi che il Nuovo Testamento
fosse solo un’appendice del Vecchio Testamento. Viene però precisato che, attualmente, il dialogo è più sviluppato.
Più storiografico, ma non per questo meno stimolante, è il saggio di Christine Chaillot (Fedeltà e vulnerabilità delle più antiche Chie se d’Oriente), in cui vengono ripercorse le vicende delle Chiese che
hanno avuto origine dal monofisismo. Si precisa anzi che la dizione corretta è quella di “ortodossi orientali”, non di monofisiti, dal
momento che si è chiarito come le divergenze emerse da Calcedonia in poi non fossero dottrinali, ma terminologiche. Il contenuto
delle rispettive professioni di fede, se ben spiegato, è infatti accettabile per entrambe le parti. Queste Chiese sono dunque quelle
siro antiochena ortodossa (in Siria e India), armena, copta, etiopica. Oltre a precise indicazioni di carattere storico-liturgico, viene
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RECENSIONI
particolarmente sottolineato il valore della vita monastica.
Come conclusione, Kallistos Ware (Oriente e Occidente, fonti e
speranze della Chiesa indivisa) segnala punti di divergenza, ma anche
alcune possibili sinergie fra Chiese d’Oriente e d’Occidente. Precisato che la tradizione orientale non è immobile (come viene rimproverato dall’Occidente), ma viva, si sottolinea, in primo luogo, la
scarsa attenzione prestata dagli occidentali alla Trinità, mentre sul
Filioque, il principale punto di dissenso dottrinale, come noto, non
vi sono grosse difficoltà: si tratta solo di differenze di accento. Una
questione più seria è quella dell’ecclesiologia: per gli occidentali il
Papa è capo della Chiesa, per gli orientali è solo un “fratello maggiore”, alla pari con altri patriarchi. Fecondi sviluppi possono invece maturare nella dottrina trinitaria. I temi della koinonia-comunione vengono affrontati tramite un approccio “sociale o personale”, proprio dei Cappadoci, e non essenzialista, razionale e
filosofico tipico dell ’ O c c i d e n te. In part i colare, si evidenzia l’aspetto dialogico di Dio, e quindi la Trinità è vista come modello
per le relazioni interpersonali. Infine, non poteva mancare un
accenno alla liturgia orientale, vista come “il cielo in terra”.
Il volume si caratterizza quindi come uno stimolo supplementare alla riflessione sull’ecumenismo.
Enrico Mariani
Economia monastica. Dalla disciplina del desiderio all’amministrazio ne razionale prefazione di Gi a como Todeschini, Fondazione Centro Italiano di Studi sull ’ A l to Medioevo, Spoleto 2004, p. 277
(Quaderni di cultura mediolatina 4).
I saggi che compongono questo volume intendono affrontare,
a n cor prima delle molteplici vicende economiche di cui furono
protagoniste le “aziende” benedettine, cluniacensi e cisterciensi, il
277
RECENSIONI
problema del formarsi di un linguaggio tipicamente monas t i co
dell’economia cristiana occidentale. Essi vogliono dunque contribuire ad individuare ed analizzare il significato dei lessici della
disciplina monastica per la co s t ruzione di una normativa eco n omica che la società europea successiva al secolo IX assunse come
propria «traducendo assunti teologici ed ecclesiologici, spesso se
non sempre di origine monastica, in categorie del pensare economico latamente sociali» (p. VII). Gli autori dei tre saggi provengono tutti dalla prestigiosa scuola storica dell’Università di Trieste.
Apre il volume lo studio di Valentina Toneatto intitolato I linguag gi della ricchezza nella testualità omiletica e monastica dal III al IV seco lo (pp. 1-83). Vi è possibile reperire un esame di quella stratificazione lessicale che, fra III e V secolo, impostò per il monachesimo
occidentale tutto un linguaggio della perfezione cristiana, e di
quella monastica soprattutto, a sua volta riconducibile tanto a
scelte economiche ben individuate, quanto a un modo di parlarne
idoneo a sottolineare il senso metafisico e spirituale. L’attenzione
della studiosa si appunta specialmente sui testi di Clemente Alessandrino, Giovanni Cr i s o s tomo, Basilio di Cesarea, Ambrogio,
Cassiano e Salviano di Marsiglia. È infatti solo nella te s t u a l i t à
ecclesiastica, e in particolare in quegli autori che escono da
ambienti monastici, che troviamo il linguaggio adatto a catalogare i comportamenti economico-amministrativi dei laici: attraverso questa verbalizzazione si interpretano i co m p o rtamenti e si
individuano i percorsi più corretti per rapportarsi alla realtà, suggerendo co n te m p o r a n e a m e n te quei modelli di riferimento che
conducono alla salus animarum. Sarà possibile verificare all’interno
del mondo monastico occidentale una sorta di identificazione fra
lessici della perfezione monastica e lessici della ordinata amministrazione, identificazione che si potrà verificare su altri piani nelle fortune economiche e spirituali di molte famiglie benedettine.
L’articolo è corredato da una bibliografia ripartita in testi e studi.
Pe ter Cernic nel saggio Discorso economico monastico. La polemica
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RECENSIONI
antisimoniaca come tentativo di razionalizzazione dei meccanismi econo mico-monetari (pp. 89-188) per l’arco cronologico relativo alla riforma gregoriana dell’XI secolo esamina, con particolare riferimento
ai testi di Pier Damiani e di Umberto di Silvacandida, il maturarsi
dei lessici e delle sintassi capaci di connettere il vocabolario monastico della salus animarum e della legittimità del clero non simoniaco a quello della legalità economica di cui questi e molti altri
monaci riformatori si proponevano di essere garanti e custodi in
quanto rappresentanti delle istituzioni ecclesiastiche sostenitrici
della riforma stessa. In questo periodo la formazione di uno stile
monastico in grado di verbalizzare le regole della ricchezza cristiana, se da un lato è in diretto e vistoso rapporto con fenomeni polit i c a m e n te ed ecclesiologicamente databili come l’af f e r m a z i o n e
del primato romano o l’emersione delle dinamiche dello spossess a m e n to canonicale, dall’altro è però ormai perce p i b i l m e n te in
funzione di una rivendicazione, iniziatasi del resto da almeno due
secoli, del controllo da parte ecclesiastica, ed episcopale in particolare, delle strategie dell ’ a r r i c c h i m e n to laicale. Il risanamento
dei costumi del clero e la lotta per la libertas ecclesiae implicano
infatti anche una percezione profondamente diversa dell ’ o r d i n amento economico generale, una nuova visione di un ordinamento
sociale cioè, in cui le singole istituzioni ecclesiastiche si fanno
garanti di un preciso modello di ridistribuzione delle ricchezze.
Tale progetto politico ed economico deve essere perciò difeso
anche con prese di posizione politiche ferme e decise, come del
r e s to succederà nella complessa ed art i colata questione co n ce rnente la riforma ecclesiastica di Gregorio VII. Correda il saggio
una ricca bibliografia. Susi Paulitti ne Il vocabolario economico cister ciense: Bernardo di Clairvaux ed Aelredo di Rievaulx (pp. 189-273), esaminando svariati testi e documenti provenienti dall’ambito cisterciense del sec. XII, dimostra non solo la ben nota capacità
imprenditoriale dei monaci bianchi e l’ampiezza della loro espansione economica, ma anche la tipica consuetudine monastica nel
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RECENSIONI
voler teorizzare una integrazione efficace fra lessici monastici tipici della salus animarum e sistematica costruzione di una prosperità
patrimoniale. Il contributo è diviso in tre parti: nella prima viene
affr o n t a to il problema della gestione economica della ricchezza
(pecunia) e la sua importanza all’interno del discorso di perfezionamento morale-spirituale dell’uomo; la seconda parte analizza il
recupero e la rielaborazione da parte di Aelredo e di Bernardo di
alcuni passaggi delle Sacre Scritture che fanno riferimento a temi
per così dire ‘economici’; infine un terzo paragrafo esamina alcune
metafore economiche elaborate dai due abati cisterciensi in contesti discorsivi estranei alla sfera economica, ma ad essa legati
attraverso il filo dell’esperienza economica concretamente vissuta
da essi. L’attenzione della studiosa si concentra soprattutto sul De
consideratione di Bernardo e sul De institutione inclusarum e l’Oratio
pastoralis di Aelredo. Il saggio è corredato dalla bibliografia.
Bernardo Francesco Gianni
F. GIOIA, Me n d i canti del cielo nel turismo, nei pellegrinaggi, nei san tuari, Presentazione di Monsignor Carlo Mazza, Centro Editoriale Cattolico, Vigodarzere 2004, 242 p.
Il presente volume intende proporre linee per l’azione pastorale negli ambiti del turismo, del pellegrinaggio e della funzione dei
santuari.
Il punto di partenza non può che essere antropologico (L’uomo,
nomade per natura). La costante del volume è, infatti, la visione del
pellegrinaggio come simbolo della precarietà dell’uomo. Attraverso meditazioni di filosofi e letterati sullo scorrere e sul senso del
tempo, si fa notare come si sia passati da una antropologia “stanziale” ad una “nomade”. A lungo il desiderio umano è sempre stato volto ad entità quali la patria, la nazione. Oggi il mondo è diven-
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RECENSIONI
tato sovranazionale. Si viaggia moltissimo e in continuazione. Da
un lato si ha il movimento dai paesi ricchi per lavoro o per turismo,
dall’altro si hanno imponenti migrazioni dai paesi poveri. Ma è
soprattutto il primo il più rilevante. Spostamenti di popolazioni si
sono sempre verificati, ma il turismo di massa è una novità, resa
possibile dall’aumento del tempo libero.
Appunto il secondo capitolo (Il tempo liberato e da liberare) ev i d e nzia le ricadute delle nuove strutture antropologiche indag a te nel
capitolo prece d e n te. Ora, per secoli, si può dire, l’uomo ha lottato
contro l’asservimento del lavoro, ma il tempo libero deve avere un
senso, non nella dissipazione, nell ’ ev asione fine a se stessa, ma nel
recupero della persona. Non sembri fuori luogo rapportare un fatto
come il turismo con le categorie di analisi del mondo d’oggi. Il problema del XXI secolo (nell’Occidente globalizzato) non è più il lav oro, ma il tempo libero, ed è logico che la riflessione teologica si
appunti su di un settore della vita umana che, di fatto demonizzato
al suo sorgere, deve oggi diventare ogg e t to di “opzione preferenziale” della evangelizzazione. Dall’altro lato, se, fino a tempi abbas t a nza recenti, l’“uomo stanziale” era l’idealtypus incontrastato (dall ’ a mb i to familiare fino al nazionalismo esasperato), ora è la rete di tras p o rti su base planetaria, l’economia globalizzata, unita a fenomeni
migratori senza precedenti, a caratterizzare, con la categoria dell o
sradicamento, la nostra società. L’esempio migliore di utilizzo sensato del tempo, è allora quello dei contemplativi, che “vedono meglio
degli altri”, proprio perché nel tempo hanno sco p e rto se stessi.
Il turismo, tempo libero per ecce llenza, deve essere allora valorizzato come una “occasione di fr a ternità planetaria”. Non solo quello
dei turisti è un popolo cui rivolgere una specifica pas torale, ma ha
un’etica che vale per gli addetti al settore. Occorrono, ad esempio,
guide qualifi c a te per spiegare i simboli religiosi lasciatici dalle
nostre radici cristiane.
E quale riferimento migliore, per una vittoria del kairòs (il tempo “sensato”) sul cronos (il puro scorrere degli istanti), del più “teo-
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RECENSIONI
logico” dei percorsi, quello dei pellegrinaggi? Il terzo capitolo (In
principio era la via) ha appunto il compito di aprire una speranza di
redenzione per la rete di comunicazioni che permea il villaggio
globale. Dovunque troviamo luoghi di culto, meta di pellegrinaggi. Anche i pagani li avevano, ma vi si recavano per ascoltare principalmente oracoli, e poco per fare esperienza del sacro. Il pellegrinaggio cristiano, al contrario, si caratterizza principalmente per
l’esperienza del sacro. La rete dei pellegrini si può dire che abbia
unificato l’Europa nel medioevo. L’Autore fa anche esempi, a partire dal notissimo diario della pellegrina Egeria, per osservare
come, a lato degli aspetti cultuali e spirituali, vi siano sempre stati
anche degli elementi di “turismo” a margine dei pellegrinaggi,
legati, ad esempio, alla conoscenza dei Luoghi Santi. Questo può
costituire un aggancio con una pas torale del turismo religioso.
Tuttavia, oggi il pellegrinaggio non dice più quello che diceva ai
medioevali. A partire dalla controriforma, è prevalso un atteggiamento più devozionale, forse anche utilitaristico (l’ex-voto), mettendo un po’ in ombra la testimonianza di fede. Occorre invece
riprendere la “gratuità” del pellegrinaggio come manifestazione
del proprio credo.
L’ultimo capitolo è dedicato al santuario, in triplice valenza (Il
santuario: memoria, presenza e profezia), sottolineando anche gli
aspetti di continuità (ov v i a m e n te reinterpretata) con i santuari
pagani o di altre religioni, a testimonianza della radice strutturale,
antropologica, dell’approccio al sacro.
Si tratta, come si vede, al tempo stesso di un testo di pastorale,
di catechesi, di antropologia e di fenomenologia del sacro, nutrito
a solide basi teoretiche, ma sempre attento al momento pratico e
concreto. Non se ne può che consigliare l’attenta meditazione, da
parte di operatori del settore e non, per una migliore comprensione di alcune tra le più attuali dinamiche del nostro tempo.
Enrico Mariani
282
RECENSIONI
Le origini cisterciensi. Documenti (Fonti cisterciensi, 2), a cura di C.
Stercal e M. Fioroni, Jaca Book, Milano 2004, 361 p. (Di fronte e
attraverso, 394).
Il sorgere di Cîteaux, almeno per il grande pubblico, non è un
d a to sco n t a to. Tutti co n o s cono Bernardo di Chiaravalle e lo
straordinario impulso da lui dato allo sviluppo dei “monaci bianchi”, ma le origini cisterciensi sono in realtà ben più complesse. Ne
dà un’idea l’art i colazione dei primi documenti dell’Ordine, qui
pubblicati tutti insieme. Negli anni Trenta del Novece n to sono
stati infatti scoperti testi che hanno messo in luce una situazione
più articolata di quanto tradizionalmente pensato.
Il primo atto presentato è la Conventio inter molismenses et alpen ses monachos del 1097. Ora, Cîteaux nas ce nel 1098 da monaci di
Molesmes (abbazia fondata nel 1075), ma questa aveva già prodotto una filiazione l’anno precedente, appunto con Aulps, e il documento che fissa i rapporti con la casa madre è significativo anche
per comprendere le dinamiche sottese alla ben più feconda fondazione di Cîteaux. E ancora, i sotto s c r i t tori di questo atto sono
Roberto, Alberico e Stefano, i futuri primi abati cisterciensi. L’atto è tanto più inte r e s s a n te, in quanto la comunità monastica di
Aulps appare denominata con il titolo di ecclesia, ma soprattutto
perché, ante litteram, si trovano già, in questa filiazione di Mo l esme, alcuni caratteri tipici del rapporto con le abbazie-figlie in
ambito cisterciense. Ad esempio, si possono ricordare le relazioni
tra abate della casa madre e abate locale. Analogo è il successivo
documento presentato, la Concordia alpensium et balernensium mona chorum (Aulps ebbe una sub-filiazione a Balerne nel 1107), caratterizzato da elementi simili al precedente.
Gli altri testi sono invece tutti inerenti ai mov i m e n to ciste rciense. Non stupisca poi il fatto di vedere più volte lo stesso docum e n to in differenti redazioni. Si hanno infatti due Exordia e tre
Cartae caritatis. La ricerca sto r i o g r afica, soprattutto dagli anni
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RECENSIONI
Trenta del secolo scorso, ha infatti messo in luce differenti stratificazioni rispettivamente della principale fonte narrativa e giuridica sulle origini di Cîteaux. Tuttora irrisolta risulta invece la vexata
quaestio della corretta scansione cronologica degli atti. Gli Editori
propongono le ipotesi più valide av a n z a te dalla sto r i o g r afia, pur
avvertendo che i risultati raggiunti non sono definitivi, sia a livello di attribuzione a determinati Autori, sia a livello di occasione di
realizzazione dei testi.
S o s t a n z i a l m e n te, i documenti si possono riunire in tre gruppi
(tra parentesi il numero progressivo dell’atto nel volume in esame).
Si hanno dunque l’Exordium Cistercii (3) e il clas s i co Exordium
parvum (6), in cui vengono narrate le origini di Cîteaux. Importante ai fini della datazione e della identificazione dei compilatori è la
valutazione data all’operato di Roberto di Molesme, vero fondatore, ma oggetto di interminabili querelles nella tradizione cisterciense per aver abbandonato il Nuovo monastero (questa è la denominazione iniziale di Cîteaux) per tornare al suo abbaziato di Molesme.
Seguono la Summa cartae caritatis (con le disposizioni per lo svolgimento del capitolo generale) (4), la Carta caritatis prior (7), con la
sua Praefatiuncula (8) e la bolla di approvazione papale «Ad hoc in
apostolicae (9), e la Carta caritatis posterior (11), ritenuta l’unica fino
agli anni Trenta del Novecento, con la relativa bolla di approvazione «Sacrosancta Romana Ecclesia» (12).
Più dettagliati sono i testi di “consuetudini”: i Capitula (5) e gli
Instituta generalis capituli apud Cistercium (10).
Nei vari documenti sono minutamente descritte le relazioni
che devono sussistere tra Cîteaux e i proto-abati di La Ferté, Clairvaux e Pontigny (Morimond entrerà nel gruppo delle abbazie
madri solo dal 1163), ma anche note sulle grange e sui conversi, vera
novità del monachesimo bianco, oppure sulla vita quotidiana dei
monaci, con informazioni sulle razioni alimentari, sulla sacra suppellettile, che deve essere in materiali non pregiati, sulle vesti.
284
RECENSIONI
Di ogni te s to viene fornita una scheda di presentazione, e
soprattutto una descrizione dei codici, delle eventuali varianti
testuali e della bibliografia.
Chiudono il volume la bibliografia generale (importantissima,
con l’elenco di tutti codici) e l’Indice dei nomi.
Enrico Mariani
L’Histoire des moines, chanoines et religieux au Moyen Âge. Guide de
recherche et documents, Sous la direction de André Vauchez et Cécile Caby, Brepols, Turnhout 2003, 372 p., ill. (L’atelier du médiéviste, 9).
Uno strumento di lavoro pensato espressamente per la ricerca.
Questo il maggiore dei (tanti) pregi di questa iniziativa della Ecole Française di Rome, con una équipe di altissimo profilo scientifico, coordinata da André Vauchez (per dare un’idea dello spessore del personaggio, basterà citare un solo titolo, famosissimo, della sua produzione: La santità nel Medioevo) e Cécile Caby (studiosa
già nota al pubblico olivetano per le sue ricerche sui rapporti tra il
papato avignonese e il monachesimo olivetano, presentate al Convegno di Monte Oliveto del 1998, di cui sono recentemente usciti
gli atti a cura di Giorgio Picasso e Mauro Tagliabue).
Due ulteriori fattori sono degni di nota. Accanto al monachesimo benedettino e agli Ordini Mendicanti, sono presi in considerazione anche gli Ordini Militari (come Templari, Ospitalieri e
Teutonici), e la vita canonicale.
Lo schema di ogni capitolo (ma qualsiasi tentativo di sinte s i
non può che apparire riduttivo) prevede dapprima una parte storiografica, che propone un bilancio sui più recenti studi in materia. Segue un’ampia sezione bibliografica, suddivisa per aree tematiche e geografiche (ov v i a m e n te la parte preponderante va alla
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RECENSIONI
produzione di lingua francese). Infine, si hanno delle esemplificazioni, attraverso brani di diversi tipologie letterarie, che chiariscono l’uso storiografico che si può fare delle varie fonti.
Qualche dettaglio sui co n tenuti potrà contribuire a chiarire
questo metodo di lavoro.
Il primo capitolo è una Introduzione generale. Si fa innanzitutto il
punto sulla storiografia monastica, prendendo le mosse da Mabillon. Si evidenzia, in particolare, come ogni epoca abbia avuto una
prospettiva diversa in funzione delle proprie esigenze. Da Solesmes, ad esempio, parte una storiografia prevalentemente apologetica e attenta a giustificare l’utilità del monachesimo in periodi
in cui, dopo le soppressioni, questo era maggiormente ostegg i ato.La grande svolta sto r i o g r afica, dopo gli anni Cinquanta del
secolo scorso, è data dal fatto che a fare storia monastica non sono
più solo gli “addetti ai lavori” (i monaci), ma, in misura sempre più
massiccia, proprio le istituzioni accademiche.
Il secondo capitolo è dedicato ai Repertori. Vengono presentati prima quelli generali, poi quelli specifici per ogni famiglia monastica. Per gli Olivetani, in particolare (cfr. p. 25), si citano il periodico L’ulivo e la collana Studia Olivetana. Se è permessa una piccola osservazione critica, il giudizio espresso dagli Au tori fr a n ce s i
(«l’ulivo [...] est rare dans les bibliothèques et d’un niveau très inégal») dovrà forse essere rivisto, in meglio, alla luce del rinnovamento completo e del salto di qualità cui è andata soggetta la Rivista
nell’ultimo anno. Altri riferimenti olivetani sono contenuti nel
settimo capitolo sugli Autori monastici, con cenni soprattutto ad
Antonio da Barga (cfr. pp. 237-238).
Anche il terzo capitolo (su Regole, Consuetudini e testi liturgici) offre non solo un dettagliato repertorio (peraltro esauriente),
ma anche prospettive storiografiche. Si veda ad esempio il trattamento seriale applicato alla ripartizione dei testi di consuetudini
in normative, descrittive, precettive (cfr. p. 73).
Il quarto capitolo contiene utili indicazioni circa atti capitolari,
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RECENSIONI
statuti e atti visitali, ma anche altre tipologie di documenti prodotti nelle abbazie, come i necrologi. Qui si trova ampia informazione circa le visite canoniche, i cartulari (raccolte di atti compilate dall’ente stesso), cartari (edizioni di atti). Non mancano indicazioni di natura critica e bilanci storiografici.
Il quinto capitolo è dedicato agli Ordini Mendicanti, non solo
Domenicani e Francescani, ma anche Carmelitani, Agostiniani e
altri ancora. Le raccolte di fonti seguono una scansione analoga a
quella vista per i monasteri. Di molti testi vengono forniti anche
commenti e osservazioni critiche.
Il sesto capitolo è incentrato sui rapporti con le autorità ecclesiastiche e laiche. La parte principale è naturalmente dedicata
all’Archivio Vaticano, con una accurata descrizione delle tipologie
di documenti prodotti dai vari Uffici della Curia, che costituiscono di gran lunga la documentazione più abbondante disponibile.
Solo le lettere papali si contano a milioni, e non è un eufemismo
(cfr. p. 186).
Del capitolo settimo, su Autori e generi letterari, degni di nota
sono, ad esempio, i riferimenti al settore degli scritti di medicina
monastica (cfr. 255) e al genere letterario dei “Parabolari”. Noto è
quello di Galand di Reigny pubblicato nelle Sources Chrétiennes, ma
ve ne sono anche altri (cfr. pp. 277-278). Questo conferma il livello
di analiticità raggiunto nel volume in esame.
L’ultimo capitolo è dedicato a Scriptoria e biblioteca, ma co mprende preziose informazioni anche di codicologia.
Si tratta dunque di un lavoro monumentale, se non proprio per
la mole (che comunque è rispettabile), almeno per la “densità” dell’informazione presente. Utilissimo per orientarsi nella vasta
bibliografia fornita è allora il prezioso, e non comune, indice degli
autori citati.
Si può ben dire che, nel campo cartaceo, sia quanto di meglio si
potesse realizzare. L’unico, paradossale appunto che si può muovere a quest’opera è il fatto che non possa aggiornarsi “in tempo rea-
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RECENSIONI
le” (dati i ritmi della sterminata produzione bibliografica odierna),
ma il medievista potrà sfruttare ampiamente i numerosi siti internet segnalati dal volume per colmare questa “lacuna”.
Enrico Mariani
L’Ordine Certosino e il Papato dalla fondazione allo scisma d ’Occiden te a cura di Pietro De Leo, prefazione di Giuseppe Chiaravalloti,
Rubbettino, Soveria Mannelli 2003, XVI-409 p. tavv.
Il volume raccoglie gli atti del primo Convegno internazionale
organizzato dal Comitato Nazionale Celebrazioni IX Centenario
della morte di San Bruno di Colonia e svoltosi a Roma, presso il
Palazzo della Ca n celleria Apostolica e la Biblioteca Cas a n a tense
dal 16 al 18 maggio del 2002. La miscellanea si apre con il testo dell’omelia del Cardinale Carlo Maria Martini pronunciata il 6 ottobre 2001 a Santa Maria della Torre presso Serra San Bruno e con
una cronaca del convegno compilata da Elisabetta Angelucci. Il
d i s corso di apertura af f i d a to a Cosimo Damiano Fonseca ha qui
trov a to una rielaborazione in un saggio intito l a to Dal vecchio al
nuovo monachesimo: l’esperienza certosina (pp. 3-18). Il noto studioso
inserisce la nascita del monachesimo certosino e la testimonianza
carismatica di San Bruno nella vivace dialettica non sempre necessariamente antitetica fra eremitismo e cenobitismo propria dei
secc. XI-XII e della grande stagione di riforma della Chiesa. Dopo
una sintesi delle diverse espressioni di vita eremitica reperibili in
quei secoli, è ricostruita l’evoluzione della riflessione storiografica
in proposito, con particolare attenzione ai contributi maturati
negli annuali incontri della Mendola organizzati dall’Università
Ca t tolica di Milano e agli interventi di Dom Jean Leclercq e di
Giles Constable. Proprio a quest’ultimo storico si deve la coniazione di una definizione vagamente ossimorica, «cenobismo eremitico», che per molti versi pare pertinente al fenomeno certosino. Il
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RECENSIONI
saggio si conclude ricordando come almeno tre problemi abbiano
trovato insistita attenzione nel più recente dibattito storiografico:
se l’ideale eremitico perseguito da Bruno e dai suoi discepoli debba essere inquadrato all ’ i n te rno del mov i m e n to di riforma che
doveva attestare il nuovo monachesimo su livelli di più alta spiritualità e as cesi, se tale ideale trovasse come suo punto di riferimento la regola di San Benedetto e, infine, se all’interno delle pur
numerose correnti eremitiche dei secoli XI e XII i certosini si
presentassero con una loro originale impronta. Fonseca sottolinea
a proposito i caratteri di forte specificità del monachesimo certosino e di indipendenza rispetto alla tradizione benedettina e alle
testimonianze eremitiche che pure s’irradiavano dai centri avellaniti e camaldolesi. Alfons Becker nel saggio Saint Bruno et Urbain II
(pp. 23-38) ricorda come grande sia stato il ruolo giocato da Urbano II nel cercare di integrare nel corpo ecclesiale i diversi movimenti religiosi sorti al suo tempo e di orientare le loro istanze
riformistiche al più generale mov i m e n to di renovatio dell’intera
Chiesa. Il papa dimostrò part i colare sollecitudine nei co n fronti
del fondatore della famiglia certosina di cui era stato allievo. Il saggio presenta una puntuale ricostruzione cronologica dei rapporti
del papa francese con san Bruno che si mostrò tanto risoluto nella sua scelta eremitica quanto nel richiedere al papa espressioni
ufficiali di approvazione per la sua comunità eremitica. Le divergenze di visioni fra questi due protagonisti della riforma ecclesiale del sec. XI e i temperamenti assai diversi si mostrano ricomposte nel riconoscere da parte del pontefice lo specifico carisma eremitico e puramente co n templativo del fondatore dell’ordine
certosino. Pietro De Leo con la sua Analisi della fondazione dell’ere mo di Santa Maria della Torre (pp. 49-69) dopo aver tratteggiato un
ritratto di san Bruno, ricostruisce vicende storiche e motivazioni
spirituali relative alla fondazione dell’eremo di Santa Maria della
Torre in Calabria, fondazione cui ha senz’altro pesato la volontà in
Bruno di «riprodurre quelle consuetudini di vita eremitica già spe-
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RECENSIONI
rimentate alla Chartreuse, adeguandole al te r r i torio calabrese» e
altresì di creare un luogo adatto per la «direzione spirituale dei
conti e feudatari normanni e regnicoli, estremamente attaccati
alle vicende temporali» (pp. 60). L’articolo ricostruisce dunque su
di una precisa base documentaria l’iter di fondazione. Sono poi
chiarite le varie tappe di edificazione, culminate con la consacrazione della chiesa conventuale avvenuta nel 1094, le provenienze
sociali e geografiche dei primi eremiti e la loro incidenza pastorale nel tessuto sociale circumvicino. Tale irradiazione dimostra una
ce rta modulazione del te m p e r a m e n to eremitico che sarà invece
assai più rigido e dete r m i n a n te nella successiva vicenda storica e
spirituale delle altre comunità certosine sparse per l’Europa. Con
il saggio Carthusians at San Bartolomeo di Trisulti: Innocent III’s trou blesome gift (pp. 71-94) Brenda Bolton rico s t ruisce, con ampia
documentazione, la complessa vicenda dell’inserimento, avvenuto
nel 1204 da parte di papa Innocenzo III, di una comunità certosina nell ’ a n t i co monas tero già benedettino di San Bartolomeo di
Trisulti. L’articolo documenta le tormentate relazioni della comunità con le isituzioni religiose e civili delle zone circumvicine. A
Giancarlo Andenna il compito di esaminare i dati relativi a I certo sini e il papato da Onorio III a Bonifacio VIII (pp. 95-147). L’ampio
saggio, co r r e d a to da un’appendice documentaria, rico s t ru i s ce i
rapporti fra papato e ordine certosino lungo il XIII secolo. Andrà
notato come nei primi anni del Duecento i certosini, che possedevano un totale di 47 certose, dal punto di vista istituzionale risultavano come ordo Cartusiensis, parte importante dell’eremiticus ordo,
v i v e n te secondo l’Istitutio Cartusiensis. Sono queste le espressioni
usate da Innocenzo III nel privilegio del 1211 per la certosa di San
Bartolomeo di Trisulti di sua fondazione: nella mens di questo papa
tali parole dovevano sembrargli appropriate per esprimere la definitiva sistemazione istituzionale degli eremiti certosini. Il saggio
esamina analiticamente co n te n u to e co n testo degli inte rventi di
Onorio III, dei privilegi di Gregorio IX, delle lettere di Innocen-
290
RECENSIONI
zo IV, degli interventi istituzionali di Alessandro IV, di Clemente
IV e dei loro successori per tutto il sec. XIII. Tali documenti consentono di ricostruire dinamiche e contenuti dell’evoluzione delle
strutture istituzionali della famiglia ce rtosina, della loro auto coscienza ecclesiale e carismatica e, ancora, della loro vita economica. La papauté d’Avignon et l’ordre des chartreux è il saggio di Daniel
Le Blévec (pp. 149-156) relativo al periodo che corrisponde alla
permanenza del papato ad Avignone allorquando l’ordine certosino si caratterizzò tanto per una sua vigorosa espansione - dimostrazione della stima e della considerazione otte n u te nel corso
degli anni -, quanto, al contempo, per la presenza di alcune problematiche in seno all’ordine stesso, affrontate e risolte sovente grazie ai legami stabiliti col papato. Il saggio rico s t ru i s ce a grandi
linee in quali forme si espresse l’interesse dei papi di Avignone per
l’ordine dei certosini e come si siano caratterizzate tali relazioni,
spesso differenti da un pontificato all’altro, ma sempre animate da
mutue e reciproche attestazioni di stima e cordialità. Un amplissimo studio, con puntuali e analitici riferimenti documentari, è
quello confezionato da uno dei massimi studiosi dell’ordine certosino, James Hogg (pp. 157-338). Nonostante il titolo in italiano il
suo saggio L’ordine certosino nel periodo dello Scisma è in lingua inglese ed è dedicato alle vicende dell’ordine certosino durante il periodo dello scisma d’Occidente (1378-1419). Come accadeva per la
chiesa universale anche la famiglia certosina conobbe una sofferta
divisione fra l’obbedienza avignonese, fedele cioè a Clemente VII,
alla quale apparte n evano le certose di Francia, Spagna e parte di
quelle dei Paesi Bassi, e l’obbedienza fedele a papa Urbano VI
(1378-1389), nella quale si annovera la presenza, salvo qualche eccezione, delle ce rtose presenti in Germania, Italia, In g h i l terra. Il
saggio, costantemente ritmato da ampie citazioni documentarie,
ci ricostruisce assai puntualmente le diverse posizioni emerse nei
capitoli generali e nelle singole certose in quegli anni tormentati.
Esso è inoltre corredato da un’appendice documentaria che racco-
291
RECENSIONI
glie i testi relativi alla conclusione dello scisma delle certose spagnole. Adelindo Giuliani ha arricchito questa miscellanea col saggio Monachus fit et hinc eremita. Monaci, eremiti, certosini (pp. 339-50).
L’espressione «monachus fit et hinc eremita», impiegata nel titolo
funebre della cattedrale di Troyes e in altri che ne riprendono la
formulazione, in epoca moderna ha alimentato una lunga contesa
fra gli studiosi che sostenevano l’originalità assoluta dell’esperienza monastica che prese le mosse dall’eremo di Certosa e quelli che
invece cercavano di ritrovare nella vita certosina gli influssi della
tradizione monastica cenobitica per ricondurla dunque nell’alveo
della Regula benedettina. L’incertezza terminologica può indicare
«la difficoltà dei contemporanei a inquadrare in schemi interpretativi consolidati e certi la stessa intuizione di Bruno di una comunità di solitari organizzata secondo un programma che mescolava
con prudenza elementi della tradizione eremitica e di quella cenobitica» (p. 340). È necessario enucleare i caratteri propri dell’esperienza di Bruno e delle sue fondazioni in Francia e in Calabria e le
specifiche strutture istituzionali e consuetudinarie elaborate nella
prima Certosa dai primi legislatori certosini. La Certosa, col passare del tempo e dopo la scomparsa del fondatore, fu costretta a
ripensare e a ridefinire le caratteristiche qualificanti della sua
fisionomia. «In conclusione si può osservare che la Certosa si presenta al mov i m e n to monas t i co come un’esperienza sostanzialmente non concorrenziale con il grande cenobio, sia per l’alto profilo spirituale dei suoi primi membri, sia per il legame forte avuto
fin dagli inizi con i referenti ecclesiastici istituzionali (in primo
luogo il vescovo), sia, infine, perché il suo essere una comunità di
eremiti in cui il numero dei membri è programmaticamente piccolo e le risorse materiali sono proporzionate e co e r e n te m e n te
disposte, almeno nelle intenzioni dei legislatori: elementi, questi,
che disinnescano molte possibili occasioni di conflitto materiale»
(p. 350). Col saggio Certose e certosini a Roma: da S. Croce in Gerusa lemme a S. Maria degli Angeli Lidia Cangemi ha studiato la presenza
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RECENSIONI
certosina nell’Urbe con le sue vicende storiche, architettoniche e
disciplinari (pp. 351-377). Fu papa Urbano II (1088-1099) ad invitare san Bruno a Roma con la precisa volontà di fargli fondare un
monastero presso l’antica chiesa di San Ciriaco sita fra le terme di
Diocleziano. Nel Trecento l’ordine si era intanto notev o l m e n te
ingrandito e già possedeva nel Lazio la certosa di Trisulti: vi erano
le condizioni per una fondazione nell’Urbe che fu resa possibile
grazie ad una Bolla del 1363 di Urbano V, che, animato da grande
stima nei confronti dei certosini, autorizzava l’installazione di una
certosa ancora una volta da edificarsi presso i ruderi delle terme di
Diocleziano. I monaci, dopo aver escluso per ragioni finanziarie
tale ubicazione, con l’aiuto di alcune famiglie della nobiltà romana, nel 1370 furono autorizzati dal pontefice a spostarsi nel monas tero di Santa Cr o ce, una fatisce n te chiesa lasciata dai canonici
regolari di San Frediano. Affrontanti i restauri vi si insediò una
comunità che già nel 1382, durante il grande scisma d’Occidente,
poté accogliere il capitolo generale dei certosini d’ubbidienza
urbanista. In te n to dell’art. non è tanto una rico s t ruzione delle
vicende architettoniche delle certose romane, ma di esaminare il
rapporto fra vita e liturgia certosina «soprattutto in merito ad alcune soluzioni che, spesso in deroga alla Regola, furono imposte dalla presenza del titolo cardinalizio e della corte pontificia e dall’apertura della chiesa ai fedeli, condizioni queste che avranno la loro
influenza anche sulla successiva certosa romana, che verrà realizzata due secoli dopo presso le terme di Diocleziano». Sono pertanto ipotizzate quelle che dovevano essere le soluzioni adottate nel
complesso di Santa Croce per salvaguardare le rigorose e peculiari
esigenze claustrali e liturgiche dei certosini nell’anomalo contesto
urbano. Significativamente i documenti testimonieranno sovente
gravi difformità disciplinari, soprattutto in ordine al rispetto della clausura. Non è dunque da escludere l’ipotesi che il trasferimento a Santa Maria degli Angeli avvenuto ufficialmente a causa dell’insalubrità della zona di Santa Croce, sia da attribuirsi piuttosto
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RECENSIONI
allo scarso numero dei monaci di quella comunità e alla loro scarsa disciplina. Senza dubbio tale decisione, ratificata da papa Pio
IV nel 1561, è comunque da collocare nel quadro riformistico
emerso dopo il Concilio tridentino non senza peraltro la diretta
regia dello stesso San Carlo Borromeo, grande estimatore del
monachesimo certosino. Nel grande monas tero progettato da
Michelangelo, anch’esso caratte r i z z a to dalla necessaria armonizzazione delle severe consuetudini liturgiche e architettoniche della legislazione certosina con la sua inconsueta collocazione urbana, si chiuderà a fine Ottocento, con le soppressioni post-unitarie,
la presenza dei seguaci di san Bruno a Roma, presenza durata per
cinquecento anni. Claudio Leonardi nelle sue Conclusioni (pp. 37983) traccia un breve bilancio sto r i o g r af i co e spirituale dell ’ e s p erienza ce rtosina e di quella, eccezionale, del suo fondatore san
Bruno di Colonia. Particolare attenzione è data ai diversi contesti
socio-politici ed ecclesiali (in rapida successione: riforma gregoriana, affermazione dei mendicanti, centralità dell’esperienza e del
potere cittadino) entro cui si evolvono le strutture istituzionali e
le prospettive spirituali del monachesimo certosino. Esso non sarà
esente da difficoltà e da talune contraddizioni come testimonia in
modo esemplare la sempre più fr e q u e n te co llocazione urbana,
soprattutto lungo il secolo XIV, delle varie comunità che dimoreranno in edifici architettonici spesso piuttosto difformi dagli iniziali propositi di rigore e povertà.
Bernardo Francesco Gianni
A. NGUYEN VAN CHAU, Il miracolo della speranza. Il cardinale Fran çois Xavier Nguyen Van Thuan apostolo di pace, San Paolo, Cinisello
Balsamo 2004, 318 p. (I protagonisti, 59).
Il volume in esame rappresenta una testimonianza quanto mai
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RECENSIONI
attuale delle sofferenze patite dalla Chiesa ad opera dei regimi atei
e materialisti. In questo caso, si tratta della vita di un cardinale
vietnamita, vittima della persecuzione comunista. Ma questo libro
è anche una lucida analisi della situazione politica del Vietnam, al
di là di tutta la mistificatoria semplificazione che ne è stata fatta.
Ad esempio, a giudizio dei vietnamiti stessi, i colonizzatori francesi non vengono demonizzati, e si riconosce che hanno fatto cose
buone per il paese.
La vicenda è resa piuttosto complessa anche dalle parentele del
cardinale Van Thuan. La sua famiglia apparteneva ad una stirpe di
alti funzionari imperiali, cattolici, dalle alterne fortune, ma certamente molto abili nelle complesse vicende del tempo, in grado di
destreggiarsi tra sovrani imbelli e (inizialmente) aggressivo co l onialismo fr a n cese. Il cardinale, in particolare, era nipote di un
vescovo e del presidente Diem, in carica nei primi anni Sessanta,
poi assassinato. Una lunga parte iniziale è dedicata proprio a delineare questi intricati rapporti, anche per fugare qualsiasi ipotesi di
nepotismi o connivenze (inesistenti, alla luce di inoppugnabili
prove documentarie) con un governo che, del tutto a torto secondo il biografo del cardinale, era oggetto di critiche anche aspre. A
parte questa inevitabile premessa in senso lato apologetica, il volume espone contemporaneamente le tappe della vita del cardinale
e le vicende del paese. Particolarmente viva è la descrizione degli
studi seminaristici, avendo come professori missionari francesi
perfettamente integrati nella cultura vietnamita, ma con programmi didattici che (e non poteva essere diversamente, dati i tempi),
si limitavano talvolta al puro apprendimento mnemonico (i seminaristi imparavano a memoria, un versetto al giorno, interi libri
biblici). Questo punto è particolarmente delicato: i missionari non
sono visti come «stranieri», ma sono considerati in un rapporto di
co llaborazione con la popolazione. Di pari passo, procedono gli
eventi politici, con una particolare sottolineatura del biografo per
la sottovalutazione, da parte delle autorità di governo, della capa-
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RECENSIONI
cità dei comunisti di infiltrarsi lentamente, quasi inosservati nei
gangli vitali del paese per controllarlo. Intanto, il cardinale Thuan
riceve l’ordinazione sacerdotale e viene assegnato ad una parrocchia. Qui si verifica un episodio miracoloso: ammalatosi grav emente, passa da un ospedale all’altro, si decide di sottoporlo ad un
delicatissimo inte rv e n to senza speranza di riuscita, ma, appunto
prodigiosamente, gli ultimi esami dimostrano la scomparsa del suo
male. Poi, la sua carriera procede spedita fino all’ordinazione episcopale. Ma intanto si è avuta la presa di potere dei comunisti. Da
qui all’imprigionamento, il passo è breve, soprattutto per la sua
parentela con il presidente Diem. Ovviamente, le motivazioni di
questo procedimento arbitrario sono assolutamente false: “propaganda sovversiva” (per un ecclesiastico che non aveva fatto che del
bene!) e tutto il repertorio classico in questi casi.
La prigionia è molto dura, caratterizzata soprattutto da torture
psicologiche. Grava sempre un’atmosfera di sospetto, e ovunque si
annidano spie e delatori. Ma emergono anche la forza di sopportazione del prelato, basata sulla fede, e l’aiuto di persone buone. Il
racconto non è per nulla edulcorato. Le sofferenze pesano, e non
manca l’ammissione della difficoltà a perdonare. Finalmente giunge la sospirata liberazione, in modo assolutamente imprevisto. Ma
rimane la testimonianza di un martire della fede.
Enrico Mariani
Papato e monachesimo “esente” nei secoli centrali del Medioevo a cura di
Nicolangelo D’Acunto, Firenze University Press, Firenze 2003, p.
236 (Reti Medievali. E-book, Reading 2).
La miscellanea comprende una serie di saggi, alcuni già pubblicati, che hanno per oggetto l’esame di una serie di fenomeni legati alla dimensione religiosa e giuridica in ordine al delicato rappor-
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RECENSIONI
to fra monachesimo e episcopato in un’epoca particolarmente ricca di testimonianze storiche e documentarie a riguardo e cioè i
secc. XI-XIII. In tale periodo, come si desume dalle considerazioni introduttive di Nicolangelo D’Acunto, la libertà dalle ingerenze
delle autorità diocesane consentì ai monasteri che godevano dell’esenzione di interagire con i ceti dominanti locali così da incidere in modo del tutto particolare sulle trasformazioni non solo delle strutture ecclesiastiche ma anche degli assetti politici ed economici del te r r i torio. In tale co n te s to l’inte rv e n to del papato
influisce sulla configurazione istituzionale di ordini e congregazioni come ben illustrano le pagine del volume dedicate ai documenti emanati a tale scopo dalla cancelleria pontificia. Essi si pongono
all’incrocio tra le aspirazioni autonomistiche dei destinatari
monastici e le istanze "romane" tese invece a uniformare e omogeneizzare le forme della vita religiosa entro gli schemi consueti del
diritto canonico. Giancarlo Andenna ne I priorati cluniacensi in Ita lia durante l’età comunale (secoli XI-XIII) (pp. 7-39) esamina i caratteri della presenza cluniacense in Lombardia. In poco tempo, basandosi sulle forze della nobiltà, l’abbazia borgognona riportò numerose chiese private con diritti di natura pas torale e conseguente
godimento delle decime. Nello stesso tempo essa permise ai casati nobiliari e feudali di ottenere cospicue contropartite economiche e di mantenere un durevole controllo sull’amministrazione dei
beni immobiliari e giuridici ceduti dai monaci attraverso l’esercizio dell’avvocazia. Si conferma così in Lombardia un caratte r e
comune dell’espansione cluniacense: promozione sistematica del
suo monachesimo, una certa distanza dalla Chiesa romana, collaborazione con le forze laiche dominanti nel sec. XI, soprattutto
con quelle che possedevano chiese e monasteri privati. Nel terrritorio lombardo Cluny si inseriva entro il co m p l i c a to processo di
dissoluzione dei poteri comitali territoriali e partecipava alla contemporanea ricostruzione dal basso degli ambiti amministrativi e
giurisdizionali con la creazione di signorie fondiarie te r r i toriali.
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RECENSIONI
L’articolo ripercorre inoltre le vicende economiche e sociali di
molti insediamenti lombardi che grazie all’esenzione pote r o n o
acquisire almeno fino al sec. XII grandi proprietà immobiliari. L’evoluzione sarà però di progressiva crisi e indebolimento anche in
ragione dell’istituto della commenda, ma non per questo le comunità cluniacensi almeno nel corso del sec. XIII perdettero un certo prestigio e loro apprezzato ministero spirituale attraverso la
liturgia e l’esercizio della carità per i bisognosi. Nicolangelo D’Acunto ne I Vallombrosani e l’episcopato nei secoli XII e XIII (pp. 41-64)
esamina, per quel che co n ce rne i secc. XII-XIII, da un lato il
r e c l u t a m e n to vescovile fra i monaci appartenenti alla Congregazione benedettina vallombrosana, dall’altro i rapporti fra monasteri vallombrosani e istituzioni diocesane. Per il primo versante di
ricerca andrà innanzitutto verificata l’effettiva appartenenza all a
famiglia vallombrosana di molti nominativi di vescovi riportati
dalle diverse fonti e tradizioni. L’area dove più frequentemente si
verifica il reclutamento vescovile fra i seguaci di San Gi ovanni
Gualberto è quella corrispondente alla Toscana, la Romagna e la
Lombardia, laddove cioè la presenza vallombrosana era più consistente. Nel corso dei secc. XII e XIII la congregazione di Vallombrosa, non diversamente da altre, esigeva per la sua sopravvivenza
un’opera di centralizzazione che acce n t u asse i vincoli fra la cas a
madre e quelle dipendenti: in tale processo si viene a creare un inevitabile scontro con le autorità ecclesiastiche locali e con gli interessi politici e amministrativi da queste detenuti. Il saggio ripercorre dunque momenti, motivazioni e progressive estensioni dell’esenzione per i cenobi vallombrosani: se ne dovrà individuare
l’origine in un privilegio del 1090 di Urbano II e nella strenua collaborazione all’azione papale di riforma la prima motivazione. Una
ricca e documentata casistica fondata su numerosi esempi individuati in varie aree geografiche illustra la ricca e articolata fenomenologia dell’esenzione per i secoli successivi. Con il saggio Esenzio ne cistercense e formazione del privilegium commune. Osservazioni a
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RECENSIONI
partire dai cenobi dell’Italia settentrionale (pp. 65-107) Guido Cariboni orienta la nostra attenzione al monachesimo cistercense. Nel
corso del sec. XII i singoli cenobi di quella famiglia si trovano nella necessità di rivendicare i diritti ottenuti dalla Sede Apostolica
specialmente in occasione delle annose controversie che frequentemente vedevano le istituzioni esenti contrapposte alle strutture
ordinarie diocesane. Per ovviare a questa esigenza la stessa Sede
Apostolica, già a partire dagli anni trenta del XII secolo, ma ovviamente con maggiore frequenza negli ultimi decenni di quel secolo, con l’evolversi dell’esenzione, co n cesse alle abbazie legate a
C î teaux dei privilegia indirizzati singolarmente, in cui, dopo la
semplice formula di tutela del patrimonio, furono inserite delle
clausole che atte s t av a n o indulta et libertates raggiunti dall’Ordine.
Frutto di un lento processo evolutivo, questa tipologia di documento, conosciuto come Privilegium commune cisterciense, raggiunse all’inizio del Duecento una forma pressoché definitiva e venne
inserito, tra il 1215 e il 1228, nel formulario della cancelleria pontificia. Un’ u l teriore sezione del saggio, con l’analisi dei documenti
papali accordati al monastero cistercense di Morimondo, verifica
il graduale e progressivo aggiornamento del dettato dei privilegi
cistercensi in rapporto allo sviluppo economico e al mutare dello
status g i u r i d i co dei cenobi nella seconda metà del sec. XII. Altri
sondaggi relativi ai monas teri di Chiarav a lle della Colomba e di
Fontevivo in una più ampia trattazione dedicata alla relazione fra
diritti episcopali e ius proprium cisterciense chiudono il saggio. Lo
correda un’appendice documentaria. Maria Pia Alberzoni ci riporta al monachesimo vallombrosano con il saggio Innocenzo III, il IV
concilio lateranense e Vallombrosa (pp. 109-78). Al passaggio dal XII
al XIII secolo il papato si impegnò in un processo di revisione giuridica e di riorganizzazione della vita regolare che trovò la sua più
efficace espressione nel canone 12 In singulis regnis del IV concilio
lateranense. Nel corso del pontificato di Innocenzo III tale evoluzione emerse in modo evidente, così che la storiografia ha parlato
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RECENSIONI
di una riorganizzazione dei monasteri benedettini attuata da questo papa in collaborazione con la sua curia. L’esame delle vicende
relative alla congregazione vallombrosana dalla seconda metà del
XII secolo fino al pontificato di Innocenzo III conferma l’importanza di questo cruciale periodo durante il quale, oltre alle generali direttive per una riforma dell’intera Chiesa su basi giuridiche,
all’interno della medesima congregazione fondata da san Giovanni Gualberto agirono nuove sollecitazioni che favorirono un forte
sviluppo istituzionale attuate e sancite dalle nuove costituzioni del
1258. Riveste altresì grande importanza il capitolo ce l e b r a to nel
1216 nel corso del quale venne composta la più ampia silloge normativa della congregazione, elaborata sotto il dichiarato influsso
del Lateranense IV. Esito di tale sviluppo istituzionale sarà la
costituzione di una struttura raggruppata intorno a Vallombrosa,
dotata di più salde basi giuridiche e modellata, con peculiarità proprie, sull’affermato paradigma cisterciense. L’art. dedica molta
attenzione al ruolo giocato in questa evoluzione dall’abate Benigno e all’applicazione di tali evoluzioni istituzionali nelle diverse
case vallombrosane. Correda anche questo saggio un’appendice
documentaria. È ancora Guido Cariboni a fornirci ulteriori notizie relative ai rapporti fra Sede Apostolica e monachesimo cisterciense con un saggio intitolato Il papato di fronte alla crisi istituziona le dell’Ordensverfassung cistercense nei primi decenni del XIII secolo
(pp. 179-214). Fin dai primi decenni dalla nascita dell’ordine i
Cisterciensi avvertirono il rischio di una loro dissoluzione. Negli
anni a cavallo del 1200, coincidenti peraltro con il momento di
massima espansione di Cîteaux, la possibilità di una dissolutio ordi nis venne paventata con sempre maggiore insistenza sia all’interno
che all ’ e s te rno dell’ordine. Col pontificato di In n o cenzo III il
minacciato crollo della famiglia cistercense fu spesso posto in relazione con i frequenti interventi che Roma promosse nei suoi confronti. A partire dalla documentazione pontificia è possibile
distinguere quattro problematiche che interessarono il rapporto
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RECENSIONI
tra Cisterciensi e Sede Apostolica durante il periodo innocenziano: l’inosservanza nelle abbazie ciste r censi inglesi dell’interdetto
contro il re Giovanni d’In g h i l terra, la sovvenzione della crociata
da parte dell’ordine, l’impiego dei Cisterciensi in campagne di predicazione fra gli eretici e gli infedeli e, infine, i problemi istituzionali che afflissero Cîteaux. Soprattutto su questo ultimo aspetto si
appunta l’esame del saggio: si tratta infatti di un ambito privilegiato per cogliere le relazioni tra ordine e Sede Apostolica e per valutare l’evoluzione della struttura giuridica cisterciense e al contempo l’attuazione della nuova co n cezione del diritto pontificio sui
religiosi. In dettaglio sono esaminati gli interventi a questo riguardo tanto di Innocenzo III quanto di Onorio III, così come le conseguenze delle decisioni del Lateranense IV. Con l’ultimo saggio
della miscellanea Nicolangelo D’Acunto ci informa a proposito del
monachesimo silvestrino con un ben documentato saggio intitolato I documenti per la storia dell’esenzione monastica in area umbro mar chigiana: aspetti istituzionali e osservazioni diplomatistiche (pp. 215236). Scopo della sua ricerca è verificare i rapporti dell’eremo di
Montefano con i vescovi, al fine di individuare le consonanze e le
differenze che intercorrevano tra i diritti, le esenzioni e le immunità concesse da Innocenzo IV a Silvestro Guzzolini e i regimi di
eccettuazione dall’autorità degli ordinari diocesani allora in vigore nell’area dove la congregazione silvestrina si sarebbe diffusa,
ovvero Umbria e Marche. L’articolo ospita pertanto anche un cont r i b u to alla discussione circa l’autenticità del privilegio di Innocenzo IV emanato nel 1248 per i Silvestrini. Infine in appendice
l’autore conduce sul medesimo privilegio un’analisi di taglio strettamente diplomatistico.
Bernardo Francesco Gianni
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RECENSIONI
J. RATZINGER, In cammino verso Gesù Cristo, San Paolo, Cinisello
Balsamo 2004, 144 p. (Attualità e storia, 43).
In questa raccolta di articoli, l’allora Cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede,
attuale Pontefice Benedetto XVI,propone alcuni temi cristologici ed ecclesiologici, ma soprattutto mette in guardia da insidiose
ipotesi, accomodanti verso la cultura odierna, forse apparentemente più accettabili, ma in realtà riduttive e sostanzialmente sterili.
La Parte prima (In cammino verso Gesù) traccia un ideale percorso di avvicinamento alla figura di Gesù, fondato sulla solida dottrina della Chiesa.
Il primo saggio («Chi ha visto me, ha visto il Padre») ha come sottotitolo Il volto di Cristo nella sacra Scrittura. Il punto di partenza è
il tema del “vedere Gesù”, a partire da Gv 12,21: “Vogliamo vedere
Gesù”. E per esplicitare questo tema, inizia una ricognizione dei
differenti modi di “vedere”, nella Bibbia, il volto di una persona.
Occorre anzi precisare che il concetto stesso di “persona” è tipicamente biblico, a differenza, ad esempio, della speculazione greca,
che vede l’individuo come semplice espressione accidentale di una
natura comune. La ricerca del volto di Dio, nell’Antico Testamento, si manifesta ad esempio nel culto (si pensi ai salmi), ma è
soprattutto in Es 33 che si vede all’opera una dinamica poi ripresa
dai Padri. L’episodio è quello di Mosè che può vedere Dio solo di
spalle. Tra le molteplici interpretazioni che ne ha dato la patristica, veramente pregnante è quella di Gregorio di Nissa: Dio si può
vedere solo di spalle, ossia seguendo Gesù che ci co n d u ce nel
m i s tero pasquale. Ecco allora che il “vedere Dio” si attua nella
sequela e nella Eucaristia. Dunque si tratta di un volto di Dio concreto, non l’Uno ineffabile dei platonici o il Nulla del buddismo.
Nel secondo contributo (Ferito dal dardo della bellezza. La croce e
la nuova “estetica” della fede), il Santo Padre prende le mosse da un
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RECENSIONI
testo liturgico: due antifone “opposte” del salmo 44 (il salmo del
rapporto sponsale tra Cristo e la Chiesa): l’una celebra “il più bello tra i figli dell’uomo”, l’altra presenta il Servo di Jahvé, che “Non
ha apparenza né bellezza” (Is 53,2). Questo per dire che la bellezza
di Cristo rifulge proprio nella passione. Occorre superare il conce t to di bellezza del nostro tempo, superficiale e illusorio, per
giungere alla vera bellezza, che può essere colta solo andando oltre
il sensibile (gli esempi sono quelli della musica bachiana e delle
i cone, che co n s e n tono di cogliere l’Assoluto nell ’ i n teriorità). La
vera bellezza è quella del crocifisso sofferente.
Con il terzo testo (Comunicazione e cultura. Nuovi percorsi per l’e vangelizzazione nel terzo millennio) si passa ad un tema quanto mai
attuale: quello dell’inculturazione. Con buona pace di coloro che
ritengono il messaggio cristiano come non legato ad una specifica
cultura e dunque “adattabile” un po’ a tutte, si mette in evidenza
come in realtà il cristianesimo si sia sviluppato in una cultura concreta, e dunque la nostra cultura occidentale sia intrinsecamente
cristiana. Riprendendo un passo di Basilio, si mostra come non sia
possibile una dico tomia tra Vangelo e cultura. Il Vangelo è una
inserzione efficace (un “taglio”, dice il Papa commentando Bas ilio), che non assume superficialmente, ma modifica in profondità
ciò che va a toccare.
La Pa rte seconda (La figura del Sa l v a t o r e) risulta ce rtamente la
più “scomoda”, in un momento culturale in cui è forte la tentazione del relativismo, e in cui, tutto sommato, si pensa che tutte le
religioni si equivalgano.
In realtà, già il primo co n t r i b u to (Cristo, Salvatore di tutti gli
uomini. Unicità e universalità di Cristo e della sua Chiesa) smentisce i
falsi presupposti del relativismo contemporaneo, ridimensionando alcuni “miti” teologici e filosofici che passano per dogmi intoccabili. Ad esempio, la interminabile questione del “Gesù storico”,
come se fosse possibile separare la divinità dall’umanità di Gesù.
Con gli esiti arbitrari (e aberranti) che tutti conoscono: dal Gesù
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RECENSIONI
“maestro di morale” degli illuministi, al Gesù “liberatore” della
teologia latino-americana. E tutto partendo dal presupposto ,
apparentemente demolitore di tutti i dogmi, ma in realtà quanto
di più dogmatico possa esistere, secondo cui il soprannaturale
“deve” essere impossibile. È la posizione espressa ad esempio da
Monod: dal momento che è impossibile provare che non esiste
alcun progetto finalistico della realtà, occorre rifiutare tutto ciò
che non è percepibile sensibilmente. Chi la pensa così, non si
accorge che non è possibile dimostrare che “Dio non esiste”. Perché l’uomo può pur sempre decidere, può ammettere che il mondo e la realtà abbiano un senso “altro”. E se è vero che “Dio nessuno l’ha mai visto” (Gv 1,18), è anche vero che il Figlio ce lo ha rivelato, Lui che è la Verità. E a questo punto il Pontefice inserisce un
u l teriore punto di attrito con il p o l i t i cally correct odierno. Dire di
possedere la verità non è forse ingenuità, o, peggio, presunzione?
Niente affatto, perché la Verità non è “nostra”, è dono di Dio. E
allora l’attività missionaria, proporre Gesù come “unico mediatore di salvezza” non è disprezzo per le religioni, ma appello a raggiungere la Verità che ci è offerta in Cr i s to. E Cr i s to è presente
nella Chiesa.
Il successivo saggio (Volgere lo sguardo a Cristo. La figura di Cristo
alla luce del racconto delle tentazioni) rappresenta una salutare messa
in guardia contro le sempre ricorrenti insidie della mentalità
dominante. L’avvio è dato dalla sottolineatura del perenne valore
della ricorrenza giubilare del 2000. Il significato di questa celebrazione è l’affermazione del fatto che l’Ev e n to di 2000 anni fa ha
realmente cambiato la storia, le ha dato una nuova direzione. E la
direzione è quella del primato di Dio, del superamento del mettere al centro noi stessi. La prima tentazione, sempre ricorrente, è
quella che pone al primo posto i valori materiali, ma in realtà ogni
tentativo di cambiare la società prescindendo da Dio trasforma il
mondo in un inferno (l’effetto nefasto del marxismo ne è la più evid e n te dimostrazione). Questo non vuol dire trascurare l’aiuto
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RECENSIONI
materiale (il discorso vale soprattutto per le missioni), ma è prioritaria l’evangelizzazione. Anche della seconda tentazione viene
messa in luce l’attualità, attingendo al Racconto dell’Anticristo di
Solov’ëv. In sostanza, non si può tentare Dio, imponendogli quello che “dovrebbe fare”, ossia a quali condizioni “saremmo disposti
a credergli”. È Lui a prendere invece l’iniziativa, e nel modo più
sorprendente, amandoci fino a dare il Suo Figlio. La terza tentazione, infine, riguarda il cedimento all’uso del potere per sostenere la
fede, illusione che si risolve sempre nell’asservimento della seconda al primo. È l’inganno dell’Anticristo di Solov’ëv: credere di
poter realizzare un mondo razionale, una felicità puramente umana, in cui Dio sia co n f i n a to nella sfera privata. Invece, Dio non
i n te rviene in modo apparisce n te, pote n te, ma mentre i “grandi
imperi” crollano, la vittoria è di Cristo.
Con la successiva riflessione (Pane eucaristico e pane quotidiano.
Una meditazione sul “Corpus Domini”) si passa ad un tema quanto mai
attuale in questo anno Eucaristico. La festa del Corpus Domini, in
particolare, ci ricorda che quello che dobbiamo chiedere a Dio è sì
il pane materiale, ma soprattutto quello epioúsios, il Regno di Dio
già presente in mezzo a noi.
Più serrato nel dibattito con certe derive della teologia contemporanea è il contributo su Eucaristia, comunione, solidarietà. Cristo
presente e operante nel sacramento. È necessario infatti chiarire la specificità della posizione cattolica, attraverso la spiegazione di tre
termini: Eucaristia, comunione e solidarietà. Eucaristia, rendimento di grazie, è il significato dell’atto compiuto da Gesù: la cena
pasquale ne è solo la cornice. L’essenziale non è il pasto comunitario, ma il dono di sé fatto da Gesù. Anche “comunione” è una parola al centro di importanti discussioni. Come già “popolo di Dio”,
il concetto di “ecclesiologia di comunione” ha subito involuzioni
ed usi riduttivi. Oggi questo termine viene impiegato per contrapporre una sorta di “concezione federativa” della Chiesa ad un presunto centralismo. Invece la comunione deve essere cristologica:
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RECENSIONI
non è un tessuto di relazioni orizzontali, ma un partecipare dello
stesso Pane e dello stesso Calice.
Propositivi, ma anche “difensivi” sono i due ultimi saggi dell’E pilogo.
Il primo (Universalità e cattolicità), prende le mosse da un testo
di sant’Ignazio di Antiochia alla comunità di Smirne (in cui si
afferma che la comunità è dove si trova il vescovo, così come la
Chiesa cattolica è dove si trova Cristo), per approdare ad una esegesi del racconto della Pentecoste. Qui appare in pieno l’unità nella diversità: tutti i popoli convenuti a Gerusalemme sentono parlare gli Apostoli “nelle loro lingue”. Ed è proprio questa l’unica
alternativa alle contrapposizioni fra culture che tanto funestano il
mondo d’oggi.
Anche l’ultimo saggio (È ancora attuale il Catechismo della Chiesa Cattolica? Riflessioni a dieci anni dalla sua pubblica z i o n e), prende
a t to della ostilità manifestata verso il Magistero da ce rte frange
della teologia. Senza contare che il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) veniva di fatto a sanare un settore, quello del rinnovamento della catechesi, in cui improvvide e superficiali sperimentazioni postconciliari avevano creato non poca confusione. Anzi,
un intervento così autorevole del Magistero era visto con diffidenza, quasi volesse minacciare la “libertà di ricerca”. Come se, postilla il Papa, la fede non fosse un solido deposito di contenuti, ma un
cantiere per sperimentazioni. Ma le critiche e le polemiche sono
s terili. Il Catechismo, per natura stessa del suo genere letterario,
non è teologia, è dottrina. È sulla dottrina che si attua la riflessione teologica, non è questa che crea contenuti. Tra l’altro, essendo
offerto a tutti, il Catechismo deve essere il più possibile “generale”.
Verrà poi mediato nei singoli ambiti. Successivamente, il Pontefice considera alcuni temi specifici di dibattito. In primo luogo, vi è
il ruolo della Scrittura nella redazione del CCC. Le accuse di scarsa sensibilità esegetica non hanno fondamento alla luce dell’asserto iniziale: il Catechismo non presenta ipotesi, ma certezze. Per
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RECENSIONI
quanto riguarda la parte sui Sacramenti, viene evidenziata la
feconda ricomposizione fra teologia e liturgia, perduta dai tempi
della Scolastica, dopo un lungo periodo di riduzione della scienza
celebrativa a puro rubricismo. Infine, circa la morale, si sottolinea
in part i colare l’importanza della morale oggettiva, contrapposta
alle varie “autonomie morali” postconciliari.
Enrico Mariani
J. RATZINGER, La Comunione nella Chiesa, San Paolo, Cinisello
Balsamo 2004, 191 p. (Il pozzo. 2a serie, 27).
Una raccolta di saggi già pubblicati è sempre una occasione preziosa per avere una “visione sinottica” sul pensiero di un auto r e ,
ma anche per verificarne l’“attualità”. Se, come in questo cas o ,
l’Autore in questione è il già Cardinale Joseph Ratzinger, il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (e dunque il
“custode dell’ortodossia” nella Chiesa Ca t tolica) e ora Sommo
Pontefice Benedetto XVI, la citata “visione sinottica” diventa una
panoramica sul contenuto del pensiero credente, e, per definizione prima ancora che per spessore te o r e t i co (che comunque non
manca), sempre “attuale”.
Si tratta, in effetti, di una raccolta di scritti offerta all’allora
Cardinale Ratzinger dagli allievi per il 75° compleanno. Ed è bene
sottolineare “gli allievi”, per non dimenticare che colui che, prima
di ascendere al soglio pontificio, per lunghi anni è stato il garante
di quello che, da parte di ce rti settori della teologia, si taccia di
“oscurantismo”, o, peggio ancora, di “mortificazione della ragione”, è in realtà un accademico che da decenni pratica una fecondo
connubio tra scienza e fede, e che sa che questo è possibile per
averlo sperimentato in prima persona.
Il primo saggio non potrebbe essere, appunto, più attuale: Fede
307
RECENSIONI
e teologia. Una semplice precisazione terminologica spiazza subito
i più superficiali contestatori. “Credere”, in teologia, non è sinonimo di “opinare” (cui si contrapporrebbe l’apoditticità della scienza), ma rappresenta una certezza di tipo particolare. È una certezza,
anche se non assimilabile a quella del pensiero oggettivo. Questo
preclude l’azione della filosofia? La risposta viene da Tommaso: la
fede è assenso, è decisione. Secondo la definizione classica: un
assenso che viene da un atto di volontà, mossa dalla grazia.
Chiarito il suo contenuto, occorre passare allo statuto epistemico della teologia (Che cos’è la teologia). La teologia ha per oggetto un
contenuto che non ci siamo dati da soli. Studia qualcosa che non
viene dall’uomo. È dono prev e n i e n te, è la Parola. E, con buona
pace di certe semplificazioni, il cattolicesimo non è una religione
“del Libro”, o almeno non solo. E questa è una costante nel pensiero del Papa: la Parola eccede il Libro. Ci proviene tramite un percorso pur sempre storico, per quanto “autenticato” da Dio. Occorre dunque superare il puro scritto, dal momento che questo non ci
è più sincronico. Senza per questo invocare il ritorno al partim par tim d e lla Rivelazione (ed essere tacciati di integralismo), bisogna
avere il coraggio di riproporre (e il Pontefice non si stanca di farlo) il valore della Sacra Tradizione.
Con il terzo saggio (Lo Spirito Santo come comunione) si passa ad
un ambito più specifico, quello della pneumatologia. Il referente,
in questo caso, è Agostino. Al centro vi è la definizione dello Spirito come communio, in senso ecclesiologico. Il dono dello Spirito,
che è amore, carità, ha una ricaduta ecclesiale: lo scisma, propriamente, come mancanza contro la carità fr a te rna nella Chiesa, è
un’eresia pneumatologica. Erronea è anche l’opposizione Chiesa
/Spirito, o carisma/istituzione. Non può esistere libertà se non in
rapporto con la verità.
Un ulteriore approfondimento del tema, ma in chiave ecclesiologica, è al centro del successivo e più ampio contributo (Commu nio). Il punto di partenza è dato da quella che si potrebbe definire
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RECENSIONI
la “ecclesiologia” lucana di At 2,42: ascolto, unione fraterna, frazione del pane, preghiere. Comunione con gli Apostoli vuol dire proprio as coltare il loro insegnamento. Restare in unità significa
seguire una stessa dottrina. La communio consiste infatti di comunione-eucaristia e comunione-istituzione. D’altra parte, co m u n icare non è solo di pochi, implica la missione. Di comunione si parlerà allora in rapporto all’insegnamento degli Apostoli e allo spezzare il pane. Il tema, nel Nuovo Testamento, è ben espresso in Gal
2,9-10, quando Paolo parla del “dare la destra” come segno visibile
di comunione con gli Apostoli autorevoli. E dalla comunione scaturisce la missione verso il prossimo. Poi, la parola k o i n o n i a, in
ambito profano, dice riferimento a qualcosa che si fa in comune.
Sono, ad esempio, i “soci” di Simone che fanno una società-koino nia per la pesca sul Lago, quando Gesù li chiama. Nell ’ A n t i co
Testamento, d’altra parte, il termine co r r i s p o n d e n te , khaburah,
esprimeva solo i rapporti di associazione tra gli uomini, ed indicava, tra l’altro, anche il gruppo di persone riunite per la ce n a
pasquale, mentre per la relazione con Dio si ha berith, ossia alleanza. Dunque non vi era comunione tra Dio e l’uomo. La comunione eucaristica, invece, è trasformazione della creatura. La commu nio cristiana non è solo un rapporto tra pari, è una mutazione
sostanziale. Questo è possibile perché Gesù stesso è comunione
tra Dio e uomo.
Eucaristia e missione è il titolo del quinto saggio. Il punto di partenza è paradossale. Come racconta la C r o n a ca dei tempi passati a
proposito della conversione delle popolazioni russe al cristianesimo, si vede come gli ambasciatori, inviati a studiare le varie rchiese per trovare la migliore, rimangano estasiati dalla contemplazione del Mistero in quella che è ce rt a m e n te la meno “missionaria”
delle liturgie, quella bizantina. Non un modo part i co l a r m e n te
accattivante di presentare una dottrina (come pretende oggi certa
pastorale), ma il mistero presentato in se stesso è la chiave di tutto. L’eucaristia non è missionaria (quindi non può subire adatta-
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RECENSIONI
menti o ammodernamenti “creativi”), dice il Papa, è solo per chi è
già nella fede. La fissità nei riti non sarà allora un ostacolo pastorale, ma una garanzia. Una celebrazione uguale per tutti non è
mortificante uniformità, ma sicurezza di comunione. È qui ev idente la reazione contro l’improvvisazione liturgica, ancora oggi
insidiosa.
Un altro tema difficile è quello del rinnovamento conciliare in
a m b i to ecclesiologico (L’ecclesiologia della costituzione Lumen gentium). Al di là della comune vulgata corrente, viene ribadito che la
“crisi della Chiesa” è in realtà “crisi di Dio”. Non sono le strutture
esterne che devono essere riformate, ma le coscienze. Sommamente deleteria è poi la speciosa contrapposizione tra “popolo” e
“gerarchia”. Sono problemi connessi con la nuova (nuova in rapporto alla Tradizione precedente, anche se con base biblica, ancorché limitata) espressione di “popolo di Dio”, per la quale il Papa
non nasconde qualche riserva, non certo campata in aria, del resto,
alla luce degli abusi che ne sono stati fatti. Altro concetto introd o t to dal Concilio con le migliori intenzioni, e vittima di una
ennesima eterogenesi dei fini, è quello di communio, valido, fondato, ma che, come altri, è stato travisato da certe correnti teologiche. Analogo discorso viene fatto per il rapporto fra Chiesa universale e particolare, oppure per il noto asserto sulla pienezza dei
mezzi di salvezza , che “sussiste” nella Chiesa cattolica (contro il
relativismo ecclesiologico). Con una punta di ironia, l’allora Cardinale evidenzia come, in rapporto a tutti questi temi, ogni intervento della sua Congregazione (si badi, in difesa della autentica dottrina cattolica) sollevi sempre, quasi per “abitudine”, polemiche da
parte di certa teologia.
L’ultimo saggio af fronta un tema part i co l a r m e n te dibattuto :
Ministero e vita dei sacerdoti. Ancora una volta, a costo di essere scomoda, la posizione è quella vera, autentica del Magistero. Contro
troppo facili pseudo-aperture ecumeniche, è necessario riaffermare che il sacerdozio cattolico non è essenzialmente un servizio o
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RECENSIONI
un ministero. Tutto questo esiste, indubbiamente, ma in subordine ad una base ontologica. Il carattere del sacramento dell’Ordine
comporta una effettiva trasformazione ontologica. E, oltre al problema di principio, il Papa precisa anche un problema di fatto: la
crisi nel sacerdozio deriva da una eccessiva dispersione nelle attività esterne. Una profonda riconversione all’interiorità ne co s t ituisce il miglior correttivo.
La costante di questi saggi è dunque la difesa dell’ortodossia e
della sana dottrina, contro le estemporanee pretese di certi innovatori, che appaiono più graditi solo per un sostanziale fraintendimento, a livello cristologico o ecclesiologico, di quali problemi siano in gioco sui singoli punti dottrinali.
Enrico Mariani
C. SCHÖNBORN, Seguire Gesù ogni giorno. Stimoli per un approfondi mento della fede, Cantagalli, Siena 2004, 171 p.
Davvero preziose risultano queste catechesi dell’arcivescovo di
Vienna.
In tempi di confusione, anche teologica, sul tema, tra “morali
a u tonome in co n te s to di fede” e altri improbabili esperimenti,
r i as coltare la “verità morale” della Chiesa non può che essere utile.
Una catechesi piana, di “buon senso” (teologale), se si vuole, ma
quanto mai concreta, e lontana da ce rte elucubrazioni che vogliono
solo mascherare un cedimento al “mondo”.
Il punto di partenza è dato dalla ricerca della felicità, che può
essere raggiunta solo osservando i comandamenti, e as coltando i
dettami della retta coscienza, come afferma la prima catechesi ("Cri stiano, riconosci la tua dign i t à ! ". Il fondamento della morale cristiana)
Connesso a questo è il discorso sulla libertà (La vera libertà in
C r i s t o). Oggi la libertà tende ad essere sottovalutata (in base alla
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RECENSIONI
genetica, tutto è predete r m i n a to) o sopravvalutata (si è liberi di
fare tutto). Invece la libertà non è “nostra”, è un dono.
Da non trascurare è anche la coscienza (La coscienza, la voce inte riore che chiama al bene), da non ridurre a mera sociologia, o peggio,
al super-io freudiano. La coscienza non è deterministica: si può
educare.
La quarta catechesi (Agire in modo umano, agire con responsabilità)
invita a non considerare la morale con superficialità. Esiste una
attenzione da porre al contenuto dell’azione: l’intenzione migliore non fa l’azione buona. Lo schema proposto è il seguente: nell’azione concorrono l’atto umano, l’intenzione, la personalità morale, le circostanze.
Un ritorno alla dottrina tradizionale delle passioni (Senza passio ni non c’è vita morale), intese come affezioni dell’anima, è pure sotto l i n e a to. Per noi oggi il termine “passione” ha acquisito una
valenza negativa: la passione è, per definizione, irrazionale. Ma
n e lla Sco l astica non era così. Perfino per san Tommaso la parte
emozionale dell’uomo è ogg e t to di studio. La dottrina catto l i c a
non nega le passioni (come fa, ad esempio, il buddismo), ma insegna a controllarle con moralità e ragione.
Un altro tema decisamente negletto è quello, tommasiano, della “co n o s cenza per connaturalità («La virtù rende l’uomo buono»).
Buono è l’uomo virtuoso, e la virtù si acquista con la pratica. Chi
p r o d u ce frequentemente atti buoni, acquisisce l’habitus a porre
g i u s te sce l te in tutte le situazioni. Questo per le virtù naturali.
Quanto alle virtù teologali, esse sono dono e grazia.
Proprio in tema di dono, la catechesi successiva («Farsi guidare
dallo Spirito...». I doni dello Spirito) è un rapido excursus sulla pneumatologia. Lo Spirito, che passa inosservato, è invece sempre all’opera. La guida dello Spirito conduce alla vera libertà.
La libertà, però, può anche portare al rifiuto della grazia (Il pec cato: distacco da Dio). Il peccato è, come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica, mancanza contro la ragione e offesa a Dio. La
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RECENSIONI
gravità del peccato è tanto più evidente, se si considera il sacrificio compiuto da Gesù per ripararlo. Proprio perché Dio ci ama,
non perché ci rimprovera, capiamo quanto siamo peccatori.
Il peccato non può essere superato con le sole forze umane:
occorre la grazia (La grazia: dono di Dio all’uomo). Questa non può
essere meritata, si può solo liberamente rispondervi. L’Autore poi
opera distinzioni a partire dalla dottrina tradizionale: grazia santificante, grazia attuale, doni di grazia, grazia battesimale.
Un apposito capitolo («Giustificati da Dio»: vocazione alla santità)
è dedicato alla universale vocazione alla santità. Contro tanta
superficialità odierna, anche teologica, che passa sotto silenzio la
gravità del peccato e la serietà del giudizio, l’Autore precisa come
l’importante non sia che Dio “dimentichi” semplice m e n te i miei
peccati (quasi fossero nulla), ma che li rimetta nella sua misericordia. Resta comunque vero che l’iniziativa del perdono è di Dio, e
che noi non possiamo attirarci la sua benevolenza a forza di sacrifici, questa sarebbe una posizione propria del paganesimo.
Comunque, la meta cui tendere è la santità, intesa come attuazione del nostro fine esistenziale, realizzata tramite la sequela della
croce, la preghiera, l’amore del prossimo.
Si tratta, in sostanza, di una ripresa di temi tradizionali, propri
da sempre del patrimonio dottrinale della Chiesa, ma troppo spesso negletti in nome di improvvidi “adattamenti al mondo” (forse in
buona fede, ma sterili).
Enrico Mariani
313
SEGNALAZIONI
SEGNALAZIONI
A mille anni dal martirio: l’eredità di san Romualdo e dei Quinque
fratres. Atti del Convegno. Ferrara, Istituto di Scienze Religiose,
15 novembre 2003, Seminario Diocesano di Ferrara - Comacchio,
Ferrara 2004, 155 p., tavv.
Se le vicende dei camaldolesi sono ben note (si pensi ad esempio a
un San Pier Damiani), forse meno conosciuti sono i primi tempi dell’esperienza romualdina. Giungono dunque quanto mai opportuni gli
atti di questo convegno promosso dall’Istituto di Scienze Religiose di
Ferrara.
Andrea Turazzi (Nel millenario del martirio dei primi evangelizzatori del la Polonia. La vicenda dei Quinque fratres) spiega gli avvenimenti relativi a
cinque co m p agni di Romualdo, martirizzati in Polonia, trasmessici nel
racconto di Bruno di Querfurt. I cinque missionari dell’Est europeo,
ancora semipagano, erano Benedetto e Gi ovanni (latini), Matteo, Isacco e Cristiano (slavi). Morirono, uccisi dai pagani, nel 1003.
Stefania Calzolari (La conversione dell’Europa orientale. Il ruolo del
papato), precisa l’iniziativa della Sede apostolica nella promozione della missione orientale, in un contesto che fa ampio riferimento a Cluny
e, in generale, al ruolo apostolico del monachesimo. Lo stesso re Boleslao di Polonia, infatti, av eva chiesto monaci a Ottone III per impiantare una comunità che fosse centro di irradiazione del cristianesimo.
Andrea Zerbini (Coenobium, eremus, evangelium paganorum: tre
doni, una via per vivere oggi nel cuore della missione) propone una rilettura attualizzante della vicenda dei Quinque fratres. In loro l’anelito missionario e la prontezza al martirio nascevano da una intensa vita contemplativa. È questo un ottimo esempio di missiologia monastica. Al
di là di sterili polemiche sulla apostolicità o meno del monachesimo,
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SEGNALAZIONI
r e t aggio di decenni di prassi pastorale scaturita da necessità co n t i ngenti di sopravvivenza al tempo delle soppressioni ottocentesche (e
forse non ancora superata, anche dopo l’accommodata renovatio voluta
dal Concilio Vaticano II), viene ribadita la sostanziale fecondità dell a
vita monastica contemplativa.
Paolo Cavallari (L’eredità della Chiesa del primo millennio: Europa con temporanea e nuova generazione), da parte sua, opera un collegamento tra
primo e secondo millennio cristiano, accomunati dalla sfida della (rievangelizzazione).
Forse il più originale (almeno quanto alla metodologia di ricerca) è
però il contributo di Marcello Simoni (Pe l l e grinaggi attraverso le terre del
Delta intorno all’anno Mille: s. Romualdo, Ottone III e la vicenda dei Q u i nque fratres). At t r averso una puntuale indagine dei toponimi presenti
nei testi agiografici della prima tradizione romualdina, l’Autore ricostruisce l’evangelizzazione e l’antropizzazione del territorio attorno a
Comacchio.
In appendice, si fornisce l’edizione, con traduzione, di un Frammen to dell’analisi e del commento del Salmo LXVIII, attribuita a san Romualdo.
Chiudono il volume l’Indice dei luoghi, l’Indice dei nomi, e una Ico nografia, con un ricco repertorio illustrato.
Enrico Mariani
L. ARTUSO, Liturgia e spiritualità. Profilo storico, Messaggero –
Abbazia Santa Giustina, Padova 2002, 174 p. (‘Caro Salutis Cardo’.
Sussidi, 4).
Il libro che segnaliamo si pone come un lavoro di sintesi storica in
cui presentare il lungo cammino del rapporto tra liturgia e spiritualità.
Il volume si apre con un’ampia presentazione del prof. Alceste
Catella (pp. 9-20) noto docente dell’Istituto di Liturgia Pastorale dell ’ Abbazia di santa Giustina di Pa d ova – a cui segue un elenco
315
SEGNALAZIONI
bibliografico (pp. 21-22). Il libro affronta la tematica in due parti:
«I preludi della spiritualità liturgica» (pp. 23-116) e «L’affermazione
della spiritualità liturgica» (pp. 117-169). Nella prima parte, in quattro capitoli, l’Autore presenta il rapporto tra liturgia e spiritualità
attraverso uno sviluppo sto r i co che affonda le radici nel Nuovo
Testamento e nei primi secoli della Chiesa (cap. I), esamina l’epoca che dai Padri giunge al monachesimo benedettino (cap. II),
coglie la valenza liturgico-spirituale nel basso Medioevo e negli
Ordini mendicanti (cap. III), e infine esamina il periodo precedente e susseguente al concilio di Trento con la devotio moderna e il
giansenismo (cap. IV). Nella seconda parte la tematica della spiritualità liturgica è affrontata nel co n te s to della modernità, della
secolarizzazione e della postmodernità.
Il libro si pone come utile introduzione al vitale rapporto tra
liturgia e spiritualità, e in questo senso se ne segnala la grande
i m p o rtanza sia per la liturgia, come per la spiritualità co l te come
binomio inscindibile. Lungo il percorso del volume, però, mi sembra che, per l’Autore, solo in tempi recenti nella vita della Chiesa
venga riconosciuta la liturgia quale luogo privilegiato dell’esperienza di Dio. Non entro nel merito della questione, mi risulta difficile, però, pensare all’esperienza cristiana della comunità apostolica,
dei Padri e a tutto il Medioevo senza un forte riferimento alla spiritualità liturgica. Tr ovo, inoltre, opinabile la fr ase: «in Occidente la
rottura tra spiritualità e liturgia cominciò al tempo della Scolastica,
quando la teologia si allontanò dalla Bibbia e si fece sempre più
attenta al pensiero siste m a t i co» (p. 172). Forse, anziché alla Sco l as t ica, il riferimento dovrebbe andare ai suoi interpreti. Al di là di queste brevi annotazioni critiche, l’opera di Artuso si segnala ce rt amente per la sintesi delle importanti argomentazioni trattate che
ne fanno un contributo utile e significativo alla storia della te m a t ica. Termina il libro un opportuno riferimento bibliografico.
Roberto Nardin
316
SEGNALAZIONI
I. B IFFI, Tutta la dolcezza della terra. Cristo e i monaci medievali.
Bernardo di Clairvaux, Aelredo di Rievaulx, Gertrude di Helfta e
Gi ovanni di Ford, Jaca Book, Milano 2004, 143 p. (Di fr o n te e
attraverso 654. Biblioteca di Cultura Medievale).
Il volume, ennesimo ecce llente fru t to della passione e dell’inte lligenza di un benemerito studioso che non ha bisogno di presentazione alcuna, intende contribuire a delineare i caratteri della cristologia monastica medioevale attraverso un sondaggio
co n d o t to sui testi di Bernardo di Clairvaux, Aelredo di Rievaulx,
Gertrude di Helfta e Giovanni di Ford. Nell’introduzione l’autore analizza le differenze fra la cristologia elaborata nel conte s to
delle scholae urbane e quella elaborata nei co n testi claustrali. La
prima è co n t r assegnata dalla q u a e s t i o, dalla disputatio e dagli strumenti di comprensione e di esposizione forniti dalla scienza
logica e dalla risco p e rta aristo telica. Nelle scuole cittadine prevalgono l’analisi e l’esposizione dei dati oggettivi, storici e strutturali della fede. Viceversa la teologia elaborata nei monas te r i
non perderà mai di vista il primato dell’esperienza perseguita
attraverso un senso sinte t i co della storia della salvezza e dell’umanità di Gesù Cr i s to, quest’ultima esplorata nella sua sto r i c i t à
e nei suoi misteri rivissuti e interiorizzati attraverso la Scrittura,
i Padri e la liturgia. La centralità dell’esperienza della lectio divi na nella vita monastica sugg e r i s ce a Inos Biffi di dedicare il primo capitolo del suo saggio alla significativa metafora di Cr i s to
come libro vivente che rende possibile l’inte lligenza del disegno
di Dio. Nel secondo capitolo, dopo aver motivato l'effettivo
c a r a t tere te o l o g i co delle opere dell ’ a b a te di Clairvaux, l’auto r e
coglie il nesso stretto fra antropologia e cristologia come peculiare del suo pensiero. La teologia della cristologia di Bernardo è
la teologia dell’esperienza del Verbo: la visibilità umana as s u n t a
dal Verbo è il segno che Dio in un certo senso imita l’uomo e
questa imitazione offre a questi la salvezza, comunicata nella
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SEGNALAZIONI
liturgia. È questa divina condiscendenza a rendere imitabile il
Cr i s to, as s i m i l a to infatti nella lettura della Scrittura e nella ce l ebrazione liturgica ove si dà la repraesentatio dei m ysteria Christi.
Ac c a n to alla liturgia sono fondamentali altri due luoghi dell’imitazione: la mente (mediante la recordatio-devotio) e la vita,
m e d i a n te la nostra piena conformazione alla santità di Cr i s to .
Un terzo capitolo è dedicato al De Iesu puero duodenni e alla parte
III del De institutione inclusarum di Aelredo, due opere che co s t it u i s cono altrettante meditazioni sui misteri del Signore co n s i d er a to sicut pra e s e n s, con l'applicazione a essi di tutte le facoltà dell’uomo: la vita di Cristo è come meditata dai sensi che se ne
lasciano assimilare. Il penultimo capitolo attraverso un esame
delle Revelationes e più ancora degli Exercitia spiritualia mostra
come nell’esperienza mistica di Gertrude di Helfta il caratte r e
cristo l o g i co sia centrale: «il mistero di Cr i s to è una relazione personale che sta al centro della letteratura e dell’esperienza di santa Gertrude» (p. 110). Quella di Gertrude è infatti una spiritualità cristo centrica, unificata dall’Eucaristia e suscitata da una profonda attenzione ai misteri di Cr i s to, dalla sua In c a rnazione e
Natività fino all’Ascensione: «svolgendosi davanti a lei da un lato
le rivelano la storia del Verbo incarnato, dall'altro le danno il ritmo della vita, le segnano le tappe dell’esperienza... Attraverso il
Verbo incarnato Gertrude sa di entrare nella Trinità, di parte c ipare alla bellezza della “Trinità fulgida e sempre tranquilla”» (p.
111). L’ a u tore non manca di sottolineare il carattere liturgico della cristologia di Geltrude, una cristologia cioè disposta e sperimentata essenzialmente nella forma liturgica. Il volume si co nclude con la pubblicazione del te s to latino e della traduzione di
uno dei Sermoni sul Cantico dei Cantici di Gi ovanni di Ford, uno
dei più vibranti esempi di amorosa contemplazione e di preghiera cristologica sgorgati nel conte s to dei chiostri ciste r ce n s i .
Bernardo Francesco Gianni
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SEGNALAZIONI
A. COMASTRI, Dov’è il tuo Dio? Storie di conversioni nel XX secolo,
San Paolo, Cinisello Balsamo 2003, 144 p. (Attualità e storia, 40).
In questo piccolo volume l’arcivescovo di Loreto raccoglie sette vicende emblematiche di conversione (Adolfo Retté, André
Frossard, Giovanni Papini, Edith Stein, Eugenio Zolli, Sergei
Kourdakov, Pietro Cavallero).
Ogni scheda si compone di note biografiche e spunti per la preghiera con i salmi.
Si tratta di personaggi molto diversi (tre scrittori, una filosofa, un
rabbino, un poliziotto russo, un malvivente italiano), che non hanno
n u lla in comune, se non l’essere stati “folgorati sulla via di Damasco”.
Alcuni, tormentati come Agostino, approdano al Cristianesimo
dopo un lungo trav aglio, altri invece afferrati all’improvviso dal
Totalmente Altro. Misteri della Grazia, che agisce repentinamente,
cambiando integralmente esistenze che prima erano agli antipodi
della fede. E se per alcuni di essi il cambiamento avviene a partire da
q u e lla che si potrebbe definire una esistenza normale, per quanto in
un’altra fede (gli ebrei Edith Stein ed Eugenio Zolli), o nella vita professionale (Frossard), per gli “scrittori blasfemi” (Retté o Papini), per
il criminale pericoloso (Cav a llero) e addirittura per il feroce persecutore sovietico (Kourdakov), il fatto è ancora più impressionante.
L’ e l e m e n to decisivo può essere una lettura, un incontro con
convinti testimoni della fede, e può avvenire in una chiesa o in un
ambiente di lavoro. Certamente è radicale, e, lo si deve ammettere, non manca nei “grandi convertiti” una buona dose di “zelo da
neofita”, cui non stonerebbero le parole rivolte un tempo al re dei
franchi Clodoveo: Adora quod incendisti, incende quod adorasti.
Retté, ad esempio, dapprima è colpito da una domanda che gli
viene posta su come la scienza (la sua “religione”) possa spiegare
come il mondo ha avuto inizio. Poi riflette sul Purgatorio di Dante e sulla salvezza offerta ai peccatori pentiti. Infine, considerando che la Chiesa Cattolica è l’unica che, nei dogmi, ha mantenuto
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SEGNALAZIONI
inalterate le risposte ai grandi perché dell’umanità (mentre le altre
religioni e confessioni si “adattano” ai tempi), vede in questo un
“segno” divino. Ma ancora non “cede”, non vuole rinunciare al suo
orgoglio di ateo. Finché, visitando alcune chiese, una “voce” (ne parla nel suo diario) non lo spinge al passo decisivo. Percorsi diversi, ma
un approdo identico, caratterizzano gli altri “grandi convertiti”.
E davvero sono infiammati dalla sco p e rta di una fede che dà
senso a tutta la loro vita, ciascuno nel proprio campo (poesia, letteratura, volontariato, Kourdakov non ne ebbe il tempo, perché fu
ucciso dai suoi ex-colleghi sovietici poco dopo la conversione).
Un libro sui “grandi co n v e rtiti”, dunque, che speriamo possa
suscitare altre “conversioni”, ma che comunque co s t i t u i s ce un
insegnamento e un ottimo strumento di meditazione per tutti.
Enrico Mariani
R. DI CEGLIE - N. VALENTINI (edd.), La spiritualità monastica tra
memoria e profezia, Pazzini Editore, Villa Verucchio (RN) 2003, 91
p. (‘Monastica’, 9).
Il Centro culturale di spiritualità monastica “Benedetto e Sco l astica” ospitato nell ’ Abbazia di Santa Maria Annunziata Nu ova di
Scolca di Rimini, un’Abbazia che fu dei Benedettini di Mo n te Oliveto, con regolarità organizza incontri di ricerca e stimolanti co ll oqui sul monachesimo. Il volumetto che presentiamo costituisce il
frutto di una serie di questi fecondi appuntamenti svoltisi nel Ce ntro sopra rico r d a tonel corso del 2002. La finalità della pubblicazione di questa raccolta si co lloca nel tentativo di un co n fronto del
monachesimo, nelle sue forme storiche e nelle sue valenze antropologiche, culturali e spirituali, con la cultura contemporanea.
Il libro si articola in due parti. Ne lla prima, dopo la prefazione e
l’introduzione dei due curatori, prendono posto tre contributi in
320
SEGNALAZIONI
cui vengono trattati, rispettivamente, le radici patristiche della spiri tualità monastica (Domenico Pazzini), i fondamenti della spiritualità
olivetana (Sergio Livi) e l’attualità della spiritualità monastica (Alessandro Barban). Ne lla seconda parte viene pubblicato uno scritto inedito di Étienne Gilson «La mistica ciste r cense e lo Iesu dulcis memo r i a» prece d u to da una breve introduzione di Ro b e rto Di Ceglie.
Segnalo solo alcuni spunti meritevoli di attenzione, tra i tanti che
il libro ne evidenzia, e che potrebbero essere ulteriormente approfonditi in altri incontri dello stesso centro culturale. Mi riferisco, per
esempio, al co n t r i b u tosulla fondazione della spiritualità monastica
nei padri, in cui Antonio, come giustamente è sottolineato, diventa
un punto di riferimento. Ne lla descrizione che viene fornita da At an asio, Pazzini (cf. p. 32) rileva con lucidità il passaggio da quello che
potremo chiamare, con altre parole, dalla conversio a lla conversatio ed
è quest’ultima ad avere valore nella vita monastica, quale disposizione permanente, un habitus, alla conversione. La conversio, invece, si
pone sul piano del fatto particolare di conversione, è la conversatio
in un atto, non uno stato di conversio. In questo orizzonte si aprirebbero tutta una serie di implicazioni quanto mai attuali e che
vanno sotto il nome di formazione permanente.
Un’altra suggestione ci viene fornita dal contributo sulla spiritualità olivetana, soprattutto dove l’autore (cf. pp. 56-57) sottolinea
l’importanza della bellezza come momento qualificante dell ’ e s p erienza monastica. A mio avviso qui si tocca un punto che meriterebbe di essere approfondito. Infatti, nell’auto coscienza del cammino della Chiesa contemporanea la dimensione estetica esprime
una valenza ecclesiale ricca di implicazioni spirituali e pastorali. Il
monachesimo dovrebbe fare proprie queste istanze e stimolare
proficuamente la vita ecclesiae cogliendo nella vita monastica una
particolare via pulchritudinis valida sia ad intra (per il monaco) sia ad
extra per coloro che, a diverso titolo, si affacciano ai monasteri.
Roberto Nardin
321
SEGNALAZIONI
J. PHILLIPS, Le prime crociate, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004,
361 p., ill. (Vie della storia, 7).
Quello delle crociate è un tema di grande attualità, che riemerge puntualmente quando il confronto tra Occidente e Islam si fa
più serrato. Ma molto spesso se ne ha una visione convenzionale,
eccessivamente semplificata quando non addirittura falsa.
Giunge dunque opportuna questa messa a punto sul problema,
che fa il bilancio dei risultati della più recente produzione accademica in materia, mantenendosi comunque su un piano di divulgazione scientifica.
Pr o g r a m m a t i c a m e n te, il limite cronologico fissato è la fine
del XII secolo, proprio perché con la Quarta crociata (1204) e
la scomparsa (temporanea) del pur sempre cristiano Im p e r o
d’Oriente ad opera di altri cristiani, si ha una svolta decisiva,
con il co m p l e to superamento e travisamento di quelli che erano i motivi ispiratori delle prime spedizioni in Terrasanta.
I motivi che spinsero l’Occidente ad intraprendere questa
iniziativa senza precedenti, la “crociata” (ma il termine “crociata” è posteriore), sono riscontrati dall ’ Au tore ce rt a m e n te in
a m b i to socio-eco n o m i co (necessità di tenere a freno la violenza interna al mondo cristiano proiettandola verso un nemico
esterno, utilità di trovare sbocchi per un surplus di popolazione
dov u to all ’ i n c r e m e n to demograf i co). Tuttavia, si insiste molto
nel sottolineare quanto il fattore religioso debba essere “preso
sul serio”. Per i medievali, le possibilità penitenziali offerte dal
“ p e ll e g r i n aggio armato” in Te r r asanta (questo sembra essere
ciò che intendeva bandire Urbano II, quando a Clermont, nel
1095, diede di fatto inizio a quella che noi chiamiamo “Pr i m a
crociata”), con la remissione delle pene dov u te per i propri
peccati, erano un elemento decisivo.
Non si pensi poi di trovare nel volume una arida successione
di date, eventi, battaglie. Na t u r a l m e n te l’histoire evenementielle
322
SEGNALAZIONI
ha il giusto spazio, ma il grosso pregio di questo lavoro è dato
dall’analisi dei caratteri dell’insediamento “franco” (“franchi”
erano globalmente definiti dai musulmani i crociati) in Oriente. Un insediamento che non fu né semplice né indolore. Si
pensa sempre alle “canoniche” otto crociate come ad episodi
“puntuali”: si fa una spedizione, che riesce o meno, si conquista (o si perde) Gerusalemme, e nulla più. La realtà è ben altra.
La presa di Gerusalemme nel 1099 non fu che un primo
m o m e n to. Mo l te altre furono le spedizioni armate co m p i u te
dai “franchi” contro i vari Stati musulmani della zona, sia per
assicurare una più accurata difesa della Città Santa, sia per
estendere il te r r i torio cristiano. Numerosi furono i co n t i n g e nti che rinforzavano i Latini d’Oriente. La “Seconda” (1147-1148)
e la “Terza” crociata (1190-1191) sono entrate nella “numerazione”, ma solo per l’entità delle forze co i n v o l te e per la parte c ipazione dei sovrani dell ’ O c c i d e n te. Per inciso, l’Au tore precisa che alla Prima crociata non presero parte monarchi, e questo è abbastanza noto, ma lo è molto meno il fatto che il primo
re a farsi “c r o c i a to” sia stato addirittura un norvegese, Sigurd,
nel 1110. Il volume esamina accuratamente queste spedizioni,
l’afflusso di rinforzi dall’Europa, i rapporti a volte tesi fra gli
Stati latini sorti dopo la Prima crociata (Contea di Edessa,
Contea di Tripoli, Pr i n c i p a to di Antiochia, oltre naturalmente
al Regno di Gerusalemme), le relazioni con gli Stati musulmani della zona, a loro volta frazionati inte rn a m e n te, spesso in
lotta, in alcuni casi perfino alleati dei cristiani contro i propri
rivali. Fu proprio questa debolezza della co m p agine islamica a
f avorire il successo di una minoranza di cavalieri occidentali
(non furono mai più di un decimo della popolazione complessiva), che, pur “orientalizzandosi”, come non mancavano di
lamentare i cronisti, riuscirono a trasferire in Oriente il modello socio-eco n o m i co della civiltà feudale. Il tutto senza generare un co n f l i t to permanente con le popolazioni auto c tone. Con
323
SEGNALAZIONI
il mondo delle Chiese d’Oriente i rapporti non furono difficili, soprattutto quando le relazioni con Bisanzio si mante n evano buone (si trattava pur sempre di te r r i tori già appartenuti al
ba s i l e u s). Si trovò addirittura un modus vivendi tale che, mentre
infuriavano battaglie e massacri tra eserciti cristiani e potentati islamici, traffici e commerci inte rni dei “franchi” e dei
musulmani co n t i n u avano tranquill a m e n te, mentre nei ce n t r i
abitati i secondi si limitavano a pagare qualche tributo ai primi, mantenendosi in pace, con sommo rammarico dei cronisti
musulmani, che deprecavano questo “tradimento”. Proprio l’utilizzo di fonti dell ’ “altra parte”, del resto, co s t i t u i s ce un pregio non piccolo di questo volume.
Na t u r a l m e n te, non manca una sezione dedicata agli “Ordini
c av a llereschi” (Templari e Ospitalieri), con un lungo excursus
sulle attività propriamente sanitarie dei secondi. Molto inter e s s a n te è anche il riferimento ad altre crociate, parallele a
quelle “classiche”, quali furono le spedizioni contro i mori in
Portogallo e Spagna, o contro i pagani del Baltico. Cr o c i a te a
tutti gli effetti, puntualizza l’Au tore, perché si trattò di spedizioni regolarmente auto r i z z a te dal ponte f i ce e debitamente
“ i n d u l g e n z i a te”. Anche questi aspetti poco conosciuti dal
grande pubblico hanno la loro importanza.
Pr e g evole infine risulta la scelta di includere una appendice
documentaria, soprattutto composta di brani di cronache dell’epoca, e di dotare il volume di una “genealogia dei re di Gerusalemme” (quanto mai utile per districarsi in un groviglio dinastico abbastanza complesso), di una cronologia, di brevi schede sui personaggi più importanti (“Le figure principali”), oltre
alla bibliografia e indice dei nomi.
Enrico Mariani
324
SEGNALAZIONI
E. Z OLLI, Prima dell’a l ba. Autobiografia autorizzata, a cura di A.
Latorre, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004 2 , 284 p. (Attualità
e storia, 42).
Il rabbino capo di Roma Israele Zolli (1881-1956) si convertì al cattolicesimo nel 1945, e prese il nome di Eugenio, in omaggio a Pio XII,
Eugenio Pace lli. Considerando l’importanza del caso, l’evento ebbe
grande risonanza. Ma è proprio la “pubblicità” che l’Autore intende
evitare con questa “autobiografia autorizzata”, come dice il titolo della stessa, redatta per fugare indebite congetture e supposizioni, ma
anche per rendere nota una vicenda che merita di essere conosciuta.
È opportuno anche spiegare brevemente l’origine di questo volume.
L’antologia fu pubblicata per la prima volta in America nel 1954, su
invito (quasi “per obbedienza”) di due sacerdoti, ma l’originale dattiloscritto, anteriore, è in italiano, ed è il testo qui presentato.
L’Autore traccia il percorso spirituale che lo ha avvicinato alla religione cattolica. Ne lla prima parte del volume, intreccia episodi della sua infanzia, legati soprattutto ai rapporti tra ebrei e cattolici
(improntati a to lleranza e stima reciproca nell ’ a llora Impero austroungarico: Zolli era nato nell’attuale Polonia) con riflessioni e pensieri spirituali. Lo stile è, in effetti, forse un po’ arduo, in quanto giustappone racconti di avvenimenti, slanci quasi poetici, riflessioni
teologiche e spunti esegetici, con riferimenti anche alla letteratura
ebraica (ad esempio, talmudica), circostanza che non consente di
r i assumerli o sistematizzarli. Solo la lettura diretta può permettere
di accostarli. Il che ne fa un libro non “difficile”, ma che richiede
pazienza per essere “decodificato”.
Anche la seconda parte, riferita agli anni della guerra e alle persecuzioni, è caratterizzata da una prosa molto rapida, quasi ellittica in
ce rti punti. L’Autore deve tra l’altro produrre documenti che te s t imoniano il suo impegno in favore della comunità ebraica, per sopire talune polemiche che lo av evanoco i n v o l to. Comunque il tono è
sempre molto sereno e pacato.
325
SEGNALAZIONI
Al di là delle speculazioni che ne sono state fatte, la sua conversione non ha nulla di “miracoloso” (a parte il fatto che, ovviamente, ogni conversione è opera della grazia), e l’Autore stesso ci tiene
a presentarla come il logico co r o n a m e n to della sua ince s s a n te
riflessione sulle Scritture. Anzi, sia per la sua attività di rabbino,
sia per il suo lavoro di docente universitario di ebraico e di orientalistica, proprio il continuo confronto con il testo biblico gli ha
co n s e n t i to (per sua esplicita ammissione) di scoprire in Gesù il
compimento delle Scritture. Il messaggio che l’Autore vuole trasmettere è sostanzialmente quello della “normalità”: la sua scelta
riguarda solo il suo rapporto con Dio. La parte più “soprannaturale”, una sorta di esperienza mistica, per così dire, della conversione, non compare nemmeno nell’originale, e fu aggiunta dall’Autore (se ne ignorano i motivi) solo nella pubblicazione del 1954 (si
trova in appendice del volume, alle pp. 269-275), proprio per quella ritrosia al sensazionale che caratterizza il personaggio, che forse dispiace a ce rti amanti del miraco l i s t i co, ma che non può che
tornare ad onore di chi ne fa professione.
In generale, se si può fare un paragone, forse fuorviante, al lettore viene facile il riferimento alle Confessioni di Agostino. Il linguaggio è certamente mistico e poetico, in vari tratti, ma non perde mai in concretezza.
Di grande attualità è la narrazione del ruolo di Pio XII (e in
genera del mondo catto l i co) nella difesa degli ebrei perseguitati,
ma, anche qui, l’Au tore non fa che esporre fatti concreti, e non
cerca né apologie, né strumentalizzazioni.
Enrico Mariani
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BIBLIOGRAFIA OLIVETANA
BIBLIOGRAFIA OLIVETANA
a cura di Roberto Donghi
Nella folta galleria degli italiani meritevoli di particolare attenzione per il contributo recato alla cultura, umanistica e scientifica,
che dal lontano 1960 i volumi del Dizionario biografico degli Italiani
r i compongono con lenta ma pur utile periodicità, proprio con il
vol. 3 (Roma 1961, pp. 538-539) entrò il primo cronista olivetano
Antonio da Barga (+ 1452) con una notizia scritta dal noto medievista Raoul Manselli. A distanza di oltre 40 anni, con il vol. 63
(Roma 2004, pp. 306-311) entra nella medesima galleria il più grande storico olivetano, Secondo Lancellotti (+ 1643) con una pregevole ‘voce’ dedicatagli da Emilio Russo, di Roma. Esponente della
cultura enciclopedica del Seice n to, il giovane monaco studiò nel
monastero di Monte Morcino a Perugia, dove era entrato nel 1594,
all’età di 11 anni. Manifestò ben presto interesse anche per la storia della Congregazione, fav o r i to, come sempre, dall ’ a b a te del
monastero, don Lorenzo Salvi, che poi divenne anche abate generale. Il Russo, bene informato sulla vasta produzione del Lancellotti, anche di quella ancora inedita, non manca di rimarcare le difficoltà che il nostro storico incontrò nell’ambito della Congregazione, anche se la vicenda, allo stato attuale delle ricerche, rimane
complessa e di non facile lettura. Il Russo offre una aggiornata
bibliografia essenziale. Ricorda l’incontro a Monte Oliveto con il
cardinale Federico Borromeo che gli dimostrò stima, e con il quale intrattenne anche una breve corrispondenza (V. Cattana, Corri spondenza dei monaci olivetani con il card. Federico Borromeo, in
“Memorie storiche della diocesi di Milano”, vol. 14, 1967, pp. 194195, 201-205). Ricorda pure Il Mercurio olivetano (1628), una guida
per le strade d’Italia percorse dai monaci olivetani, che rece n te-
327
BIBLIOGRAFIA OLIVETANA
mente, per la parte che interessa l’Italia meridionale è stata edita
da P. De Leo, Viaggi di monaci e pellegrini, Soveria Mannelli 2001, pp.
13-66, ed è stato oggetto di minuziosa ed accurata analisi da A. Serra, Da un monastero olivetano all’altro in una guida seicentesca d’Italia,
in “Benedictina”, 50 (2003), pp. 251-336.
* * *
Sempre nel vol. 63 del Dizionario biografico degli Italiani (Roma
2004), altre notizie si leggono nelle seguenti ‘voci’:
GAETANO BONGIOVANNI, La Bruna, Domenico, pp. 3-5. Di questo
p i t tore siciliano viene segnalata una pala d’altare con S.Fra n c e s ca
Romana in adorazione della Sa c ra Famiglia, eseguita nel 1738 per la
chiesa dell’Angelo Custode ad Alcamo (Trapani).
ROSSELLA FARAGLIA, La m a, Giovan Battista, pp. 107-110. Pittore
napoletano, allievo di Paolo De Matteis, eseguì intorno al 1740 la
Vergine con i Ss. Niccolò e Cataldo e i Santi Benedetto, Bernardo Tolomei
e Francesca Romana, due pale d’altare al centro delle pareti laterali
d e lla chiesa del monas tero olivetano dei Ss. Niccolò e Cataldo a
Lecce, mentre nel 1743 gli veniva pagato un dipinto con S. France sca Romana nella cappella dedicata alla santa nella chiesa di Monteoliveto a Napoli , ispirata a un opera di identico sogg e t to del
Maratta nella chiesa di S. Angelo Magno ad Ascoli Piceno.
ENRICO PARLATO, Lambardi (Lambardo), Carlo Francesco, pp. 145149. L’opera per la quale questo archite t to aretino (1545-1619)
o t tenne i maggiori riconoscimenti fu il restauro della chiesa
medievale di S. Maria Nova al Foro Romano a seguito della canonizzazione di S. Francesca Romana (1608) sepolta in questa chiesa. Negli anni 1612-1615, il corpo longitudinale della chiesa, in origine tripartito, fu trasformato in unica aula con cappelle laterali,
mentre la facciata medievale preceduta dal portico fu costruita ex
novo, come è attualmente.
FRANCESCO LEONE, Lapiccola , Nicola, pp. 715-717. Tra le opere di
328
BIBLIOGRAFIA OLIVETANA
q u e s to pittore di origine calabrese ma operante a Roma, viene
segnalata la pala d’altare con Cristo che appare al beato Bernardo Tolo mei in preghiera, eseguita nel 1776, su commissione del cardinale Scipione Borghese, per la chiesa romana di S. Caterina da Siena in via
Giulia, “uno degli esempi più elevati e precoci del classicismo
riformato, sulla scorta di quanto artisti senza dubbio d’avanguardia, quali Giuseppe Cades e Corvi, venivano elaborando”.
ANDREA BARTOCCI, Lapo da Poggibonsi (Lapus Tuctus), pp. 735-736.
Canonista e monaco a San Miniato al Monte di Firenze a partire dal
1328 e poi abate del monas tero, sovrintese alla realizzazione di diverse opere nella chiesa dell’abbazia, alcune delle quali commissionate
a Taddeo Gaddi (1341), nonché al rifacimento delle pitture del tetto.
FRANCESCA FRANCO, La Regina, Guido, pp. 754-756. Di questo
p i t tore scomparso nel 1995, vengono segnalate due pale d’altare,
e s e g u i te negli anni 1944-1945 per la chiesa olivetana di S. Maria
Annunziata ad Abbazia, vicino a Fiume, nell’Istria, S. Benedetto e S.
Rita. La tavola ad olio con la gloria di S. Benedetto, firmata e datata 1945, è attualmente conservata nel chiostro piccolo dell’abbazia
di Monte Oliveto Maggiore.
* * *
Nel catalogo della mostra Seicento inquieto. Arte e cultura a Rimi n i, Federico Motta Editore, Milano 2004 (già presenato nella
“Bibliografia olivetana”, cf. l’ulivo 2004/I, p. 242-243) nella sezione
Cultura letteraria e scientifica del Seicento riminese, a cura di Enzo
Pruccoli, sono citate (p. 205) le Tabulae Gnomonicae dell’abate olivetano don Ippolito Salò, ristampate a Rimini nel 1626 e descritte da
Paola Delbianco (p. 210-211, scheda n. 9)
* * *
GRAZIANO MANNI, I signori della prospettiva. Le tarsie dei Canozi e
329
BIBLIOGRAFIA OLIVETANA
dei canoziani (1460-1520), I, Cassa di Risparmio di Mirandola, Carpi 2001, delinea brevemente le peculiarità degli intarsiatori olivetani: fra Raffaele da Brescia (p. 82) e fra Giovanni da Verona (p. 83
e pp. 84-87 con le ill. 88-91). Lo stesso autore nel secondo volume,
pubblicato con l’identico titolo, sempre dalla Cassa di Risparmio
di Mirandola, Carpi 2002, propone maggiori approfondimenti in
due sezioni: Il coro di Santa Maria in Organo a Verona (1494-99), pp.
321-330; Fra Raffaele da Brescia: il coro bolognese della chiesa di Sa n
Michele in Bosco (1513-1521). Ora a Bologna, Cappella Malvezzi in San
Petronio, pp. 355-362. I due intarsiatori olivetani sono illustrati,
inoltre, da LUCA BORTOLOTTI, La natura morta. Storia artisti opere,
Giunti Editore, Firenze 2003, p. 28 ill. 1 (fra Raffaele da Brescia,
tarsia del Victoria Albert Museum di Londra); p. 28 ill. 2 (fra Giovanni da Verona, coro di Monte Oliveto Maggiore; p. 30 ill. 1 coro
di Santa Maria in Organo). Altre due tarsie di fra Giovanni, tratte
dal coro di Monte Oliveto e da quello di Verona sono scelte, per
spiegare le tecniche della prospettiva, da STEFANO ZUFFI, Il Quat trocento. Le parole chiavi i luoghi i protagonisti (I secoli dell’Arte),
Electa, Milano 2004, p. 37. Infine la tarsia di fra Raffaele raffigurante San Petronio è analizzata da FRANCESCA GHIGGINI, L’immagine
di San Petronio nelle arti minori, in Petronio e Bologna. Il volto di una sto ria. Arte storia e culto del santo patrono, Ferrara 2001, pp. 225-226.
* * *
Ne lla mostra allestita a Varese, Cas te llo di Masnago, dal 21 aprile
al 14 luglio 2002, era esposto e descritto nel catalogo della medesima
lo straordinario Ritratto di un monaco olivetano della famiglia Pueroni
di Luigi Miradori detto il Genovesino, 1650 circa, olio su tela, 141 x
96 cm., co n s e rvato all’Hispanic Society di New York: FRANCESCO
FRANGI, L’età barocca: Milano, Cremona e Bergamo, in Il ritratto in Lo m bardia. Da Moroni a Ceru t i, Skira Editore, Milano 2002, p. 169 e pp.
194-195 scheda n. 75 a cura di Grazietta Butazzi e Ma r co Tanzi.
330
BIBLIOGRAFIA OLIVETANA
* * *
A Maria Antonietta Spadaro (G.D., Sulle tracce dello Spasimo di
Raffaello, “Il Gi o rnale dell’arte”, n. 237, novembre 2004, p. 53) si
deve il ritrovamento dell’altare marmoreo sco l p i to da Anto n e llo
Gagini intorno al 1519, commissionato dal giureconsulto Giacomo
Basilicò per la chiesa del monastero olivetano di Santa Maria dello Spasimo a Palermo, e destinato ad incorniciare L’andata al Cal vario (Lo Spasimo di Sicilia) che Raffaello aveva dipinto per volere dello stesso giureconsulto. Quando nel 1573 i monaci olivetani
furono costretti ad abbandonare la chiesa dello Spasimo e l’annesso monastero per trasferirsi nella chiesa di Santo Spirito portarono con sé sia l’altare del Gagini che il quadro di Raffaello. L’altare
s m e m b r a to e rico m p o s to più volte nel corso dei secoli, è stato
ritrovato dalla Spadaro, anni fa, nel giardino di Villa San Cataldo a
Bagheria; il dipinto di Raffaello, ceduto dai monaci (dietro ricompensa mai ricevuta) al Vicerè Francesco de Ajala, incaricato di portarlo in Spagna dal re Filippo III, si trova nel Museo del Prado a
Madrid.
* * *
Sicuramente da riferire a Francesca Romana è la celebrazione,
in S. Maria Nova della “festa de una certa beata de la quale hanno
lì il corpo li frati” (Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gongaza,
b. 843, 1. 421), alla quale partecipò nel 1476 anche il cardinale Francesco Gonzaga (1444-1483), peraltro poco propenso in generale a
prendersi cura dei doveri spirituali connessi al suo ufficio di prote t tore della Congregazione Olivetana. La notizia, inedita, è
segnalata nel profilo del Gongaza tracciato da ISABELLA LAZZARINI,
in Dizionario biografico degli Italiani, LVII, Roma 2001, pp. 756-760
(a p. 757).
331
BIBLIOGRAFIA OLIVETANA
* * *
La Historia della gloriosa imagine della Madonna di Lonigo, scritta
nel 1604 da don Domenico Bertani, monaco olivetano di Verona,
è alla base dell’ampio e ben documentato studio di FRANCESCA
LOMASTRO, La leggenda di fondazione del santuario di Santa Maria dei
Miracoli di Lonigo, “Annali dell’Istituto storico-germanico di Trento”, 26 (2000), pp. 615-639, in cui l’a. analizza compiutamente le
vicende che portarono la chiesa di S. Pietro in Lamentese a Lonigo, uno dei più ricchi e popolosi castelli del Vicentino, ai confini
con i territori veronese e padovano, ad assumere le fattezze di un
santuario mariano, nel 1486, allorché un’immagine della Madonna
sfregiata ripetutamente dai colpi, acco m p agnati da orribili
bestemmie, di un malvivente, avrebbe versato sangue e spostato le
mani verso gli occhi e il petto feriti. Nell’analisi, non priva di
addentellati sociologici e antropologici, è messa in risalto anche la
preoccupazione del Bertani di sancire autorevolmente la presenza
degli olivetani quali “depositari e custodi di quella presenza del
sacro” nell’antica chiesa di S. Pietro, dipendente dal loro monastero veronese di S. Maria in Organo e, poco dopo l’evento prodigioso del 1486, da essi eretta a sede di una comunità monastica sotto
il titolo di S. Maria dei Miracoli, attiva dal 1489 al 1771.
* * *
DANIELA CAMURRI, L’arte perd u t a. Le requisizioni di opere d’arte a
Bologna in età napoleonica (1796-1815), M i n e rva Edizioni, San Giorgio di Piano (BO) 2003, ricostruendo le vicende delle opere
as p o rtate dai fr a n cesi ne cita alcune che ornavano la chiesa e il
m o n as tero di San Michele in Bosco a Bologna: la pala d’altare del
Guercino, Il Beato Bernardo Tolomei riceve dalla Vergine la regola del
suo ordine, 1661, olio su tela, cm. 307 x 195, prima tras p o rtata a Pa r igi, Louvre luglio 1797, esposta nel 1798, poi a Bordeaux dal 1801 e
332
BIBLIOGRAFIA OLIVETANA
distrutta nell’incendio del museo del 1871 ( pp. 171, 180, 182, 187);
la pala dell’altare maggiore di In n o cenzo da Imola, La Beata Ver gine in trono col Bambino, San Michele Ar cangelo e i Santi Pietro e Bene detto, 1517, olio su tavola, cm. 397 x 258,5, assegnata a Brera nel
1809, resa nel 1816 alla Pi n a co teca Nazionale di Bologna (p. 178,
195); il dipinto di Denys Ca l v a e rt, San Pietro consegna le chiavi a San
C l e m e n t e, olio su tela, cm. 208 x 135 (che si trov ava nella chiesa sotterranea del monas tero), portato nel magazzino di Mo n t a l to ,
s ce l to per la Pi n a co teca dell’Accademia di Belle Arti di Bologna,
a Brera il 5 giugno 1811, dal 2 luglio 1821 nella chiesa parrocchiale
di Copreno, provincia di Milano (p. 191); la tavola del refetto r i o
monas t i co, L’apparizione dei tre angeli ad Abra m o, di Giorgio Vas a r i ,
portata a Brera il 3 giugno 1809, data in deposito dal 1828 alla
chiesa di S. Maria In coronata di Milano, ma attualmente dispersa e nota solo attraverso un disegno auto g r afo dell’autore co n s e rv a to a Lille, Musée Wicar (p. 177, 197). Nel volume (p. 195) troviamo elencata anche un’opera che interessa l’ico n o g r afia di Fr a n ces co Gessi: La Madonna e i santi Nicola, Lorenzo e Fra n c e s ca Romana,
olio su tela, cm. 238 x 153,5, trasferita dalla chiesa della Confr a te rnita di Santa Maria dei Poveri di Cr ev a l core (Bologna) e custodita, dal 3 giugno 1809, nella Pi n a co teca di Brera, attualmente non
più esposta.
* * *
La pala d’altare di Michele Rocca, Santa Fra n c e s ca Romana rice ve il Bambino dalla Madonna (1696 circa) della cappella dedicata
alla santa nella Basilica di Santa Maria Nova a Roma, è documentata nel catalogo dedicato al pittore da GIANCARLO SESTIERI,
Michele Rocca e la pittura rococò a Roma, Edizioni Antiche Lacche
(Roma?) 2004, pp. 7, 259 scheda 58 A.
333
BIBLIOGRAFIA OLIVETANA
* * *
Al musicista olivetano Crisostomo Rondini (1576-1628) è dedicato un breve contributo di Angelo Mafucci, che ne ricostruisce il
percorso biografico e la produzione musicale: Crisostomo Rondini:
sconosciuto polifonista del sec. XVI, in “Rivista In te rnazionale di
Musica Sacra”, n. s., 23 (2002), pp. 91-94. Sempre del Rondini, il
Centro Ricerca e Documentazione Musicisti Aretini, ha ristampato le Cantiones Sacrae a 2, 3 voci e basso continuo (Anversa 1624), trascrizione e revisione di Fulvio Trapani e Marco Sofianopulo, Pizzicato Edizioni Musicali, Udine 2003. Si tratta di 26 brani a 2 o 3 voci
ripresi dalla Bibbia e dalla Liturgia delle Ore. In copertina è riprod o t to l’af fresco di Lorentino d’Andrea, 1511, La Madonna con il
Bambino e i santi Benedetto e Bernardo, della chiesa del monastero olivetano di San Bernardo di Arezzo dove il Rondini fu abate nel
triennio 1626-1628.
* * *
La ricerca di MARIA TERESA FILIERI, Per una storia della formazio ne delle collezioni museali lucchesi, in Lucca città d'arte e i suoi archivi.
Opere d’arte e testimonianze documentarie dal Medioevo al Novecento, a
cura di M AX SEIDEL e ROMANI SILVA , Marsilio Editori, Venezia
2001, ci informa delle opere d’arte passate dal monastero olivetano di San Ponziano alla chiesa di San Romano ( i due grandi dipinti con Storie del Beato Bernardo Tolomei, pp. 409, 413 nota 28) e nel
Museo di Villa Guinigi (l’altorilievo con L’Annunciazione di Matteo
Civitali, p. 409 e il Martirio di San Bartolomeo di Pompeo Batoni).
Per il monas tero di San Ponziano è da segnalare lo studio di A.
CALDERONI MASETTI, Il convento di San Ponziano a Lu c ca e Matteo
Civitali, in La scultura decorativa del primo rinascimento (Atti del primo convegno internazionale di studi di Pavia 1980), Pavia 1983, pp.
334
BIBLIOGRAFIA OLIVETANA
75-80.
* * *
La documentazione sulle opere dipinte da Dionisio Calvaert a
san Michele in Bosco di Bologna per la chiesa sotterranea e la foresteria, la troviamo nel volume di SIMONE TWIEHAUS, Dionisio Cal vaert (mm 1540-1619) Die altarwerke, Reimer Editore, Berlino 2002,
pp. 70, 81, 99, 122 (nota 67), 135 (nota 196), 136 (nota 204), 175, 242.
* * *
Nel catalogo pubblicato da PIA PALLADINO, Treasures of a Lost
Art. Italian manuscript painting of the Middle Ages an Reanaissance,
Edizioni The Metropolitan Museum of Art (New Jork) 2003,
emergono riferimenti a miniature di manoscritti olivetani decorati da alcuni famosi artisti: il Magister Imperatorum, pp. 107-113
(schede 53, 54, 55 a, 56),114; Girolamo dai Libri, pp. 140-141 (scheda 68), 172 (scheda 86); il Maestro B. F., pp. 142-143 (scheda 70); il
Maestro di Montemorcino, pp. 145-146 (scheda 72); Francesco Morone, p. 171-172 (scheda 86).
* * *
Gli Atti del convegno inte rnazionale te n u tosi dal 4 al 6 ottobre 2001 nel Palazzo Ducale di Camerino per celebrare la signoria dei Da Varano sulla città, sono stati pubblicati rece n te m e nte in una accurata edizione: I Da Varano e le arti, I e II, Gi a n n i
Maroni Editore, Ripatransone (AP) 2003, a cura di Piera Marchi e Pierluigi Falaschi. Nel primo volume MARIO SENSI , Movi menti religiosi nei domini dei Varano e dei Tr i n c i, o f fre agg i o rn a te
notizie sulla presenza olivetana a Camerino, prima a Santa
Maria Nova e, succe s s i v a m e n te a Santa Maria Annunciata di
Coldibò (pp. 160.163). Nel secondo volume ANNA TAMBINI, Una
335
BIBLIOGRAFIA OLIVETANA
congiuntura crivellesca e ca m e rate ad Ascoli Pi c e n o, descrive i quattro
s co m p a rti di un disperso polittico, già nella chiesa olivetana di
Sant’Angelo Magno di Ascoli Pi ceno ora nel locale Museo Diocesano (pp. 823-829, 832-843, fig. 1, 2, 3).
* * *
La mostra dedicata dalla città di Foligno, nel 2002, a Niccolò di
Liberatore detto l’Alunno, il suo più famoso pittore, è stata ill ustrata da un puntuale catalogo: Nicolaus Pictor – Nicolò di Liberatore
detto l’Alunno. Artisti e botteghe a Foligno nel Quattrocento, Associazione Orfini Numeister, Foligno 2004, a cura di Giordana Benazzi e
Elvio Lunghi. Nella sezione IX del volume (ELVIO LUNGHI, La deco razione della chiesa di Santa Maria in Campis, pp.452-474) vengono
esaminati gli affreschi dipinti dall’Alunno e da altri artisti della sua
cerchia nella chiesa abbaziale olivetana che più volte è citata per
raffronti stilistici nelle altre sezioni del catalogo (pp. 96, 148, 150,
164, 176, 184, 202, 206, 208-209, 251-252, 277). Ne lle altre sezioni
sono da ricordare anche le pagine che illustrano due affreschi staccati dalla Loggia del Paradiso (appartamento abbaziale) dell’abbazia di Sassovivo (pp. 140-141) e lo straordinario polittico di Donna
Brigida della chiesa di San Nicolò (pp. 235-240, 488-479): abbazia
e chiesa appartennero ai monaci olivetani.
* * *
Lo studio dei manufatti lignei delle chiese dell’Umbria e dell e
marche hanno co n t r i b u i to, in questi ultimi anni, a co n o s cere la
committenza e gli autori di molti arredi della chiesa del monastero olivetano di San Pietro a Gubbio. I numerosi documenti riguardanti la chiesa, l’altare maggiore, l’organo e la sacrestia sono frutto della ricerca di FABRIZIO CECE, FRANCESCO MARIUCCI, ETTORE
A. SANNIPOLI, Documenti su opere di maestri del legname attivi a Gub -
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BIBLIOGRAFIA OLIVETANA
bio fra XIV e XIX secolo, in Scultura e arredo in legno fra Marche e
Umbria (Documenti I a cura di Grazia Maria Fachechi), Comune
di Pergola, 1999, pp. 60, 62-72. I pregi artistici, nell’ambito dell’arte lignaria eugubina, della porta intarsiata e degli scanni del monumentale refettorio del monastero, sono evidenziati da ETTORE A:
SANNIPOLI, Il coro di San Domenico, Pierangelo di Antonio e alcune rifles sioni sull’arte del legno a Gubbio nel primo Cinquecento, in Scultura e arre do in legno fra Marche e Umbria (Atti del primo Convegno, Pergola
24-25 ottobre 1997), a cura di Gi ovan Battista Fidanza, Quattroemme Edizioni, Ponte San Giovanni (PG) 1999, pp. 89-91, 9697; appendice con il contratto per la realizzazione del coro, del leggio e di due porte della chiesa. La registrazione di uno dei libri contabili di tutte le spese dell’abbazia di San Pietro per realizzare la
monumentale cassa e la bellissima cantoria dell’organo “qual
volemmo con l’aiuto del Signore e Dio principiare e finire”, sono
ill u s t r a te da FRANCESCO MARIUCCI, Contributo alla storia dell’arte
lignaria eugubina del XVI secolo: l’ornamentazione degli organi monu mentali del duomo e di San Pietro in Gubbio, in L’arte del legno tra
Umbria e marche dal Manierismo al Rococò (Atti del Convegno, Foligno 2-3 giugno 2000), a cura di Cristina Grassi, Quattroemme Edizioni, Ponte San Giovanni (PG) 2001, pp. 101-110. Ulteriori documenti che interessano i lavori per la chiesa del monastero di San
Pietro sono editi da FABRIZIO CECE, FRANCESCO MARIUCCI, ETTORE A. SANNIPOLI, Documenti su opere di maestri del legname attivi a
Gubbio fra XIV e XIX secolo: seconda parte, in Scultura e arredo in legno
fra Marche e Umbria (Documenti II), a cura di Grazia Maria Fachechi, Comune di Pergola, 2002, pp. 76-77, 89-91, 93-95, 97, 100, 103105, 108, 114-116, 117, 125, 168-170.
* * *
Diversi riferimenti all’abbazia di Mo n te Oliveto Maggiore si
leggono nello splendido volume Il paesaggio toscano. L’opera dell’uomo
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BIBLIOGRAFIA OLIVETANA
e la nascita di un mito, a cura di Lucia Bonelli Conenna, Attilio Brilli, Giuseppe Cantelli, Siena, Monte dei Paschi di Siena, 2004, pp.
12, 56, 136, 479. In appendice al contributo di ATTILIO BRILLI, Il
paesaggio toscano e lo sguardo del viaggiatore, due brani anto l o g i c i
riguardano direttamente l’abbazia. Il primo di John Addington
Symonds, Le crete verso Monteoliveto Maggiore, 1874, tratto da New
Italian Sketches (Leipzieg 1884) e l’altro di André Suarès, Il convento
della luna, 1932, tratto da Voyage du Condottiere (Parigi 1986).
* * *
Per la storia del monas tero di san Gi a como di Bari, oltre il
recente contributo di ENRICO MARIANI, Un testo costituzionale per il
monastero delle benedettine olivetane di S. Giacomo di Bari nell’archivio
di Monte Oliveto Maggiore, in “Benedictina”, 51/1 (2004), pp. 111-149
(cf. l’ulivo, 2004/1, pp.210-212), altre notizie si leggono nel contributo di SALVATORE PALESE, Vescovi visitatori nelle province pugliesi per
la riforma “tridentina” dei monasteri femminili, in Oltre le grate. Comu nità regolari femminili nel Mezzogiorno Moderno fra vissuto religioso,
gestione economica e potere urbano (Atti del Seminario di Studio. Bari
23-24 maggio 2000), a cura di Mario Spedicato e Angelo D’Ambrosio, Cacucci Editore, Bari 2001, pp. 261, 265, 266, 268, 273. Nel
medesimo volume ANGELO D’AMBROSIO, Organizzazione domestica e
gestione contabile. La struttura di alcuni monasteri pugliesi, presenta lo
stato economico del monastero delle olivetane di san Pietro Nuovo di Bitonto, che negli anni 1744-1745 registrava la presenza di 63
monache guidate dalla badessa Carmela Chiurlia (p. 225-226), e
GIAN LUDOVICO MASETTI ZANNINI, Vivere in monastero. Impiego del
tempo e pratiche quotidiane alla fine del Cinquecento nelle Puglie, segnala l’adozione nel monastero delle benedettine di san Giovanni Battista a Taranto di un Breviarium monachorum Montis Oliveti novissi me impressum cum notationibus numerorum in marginibus Psalmorum,
Hymnorum, Antiphonarum et Responsionum et Capitulorum et Historia -
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BIBLIOGRAFIA OLIVETANA
rum, quo libro Bibie e quot capitulo facillime inveniatur quampluries figu ris ornatum, rilevata dal visitatore apostolico durante la visita a quel
monastero il 26 giugno 1577 (p. 41 e nota 24).
* * *
Nel numero monografico che la rivista “Diocesi di Milano. Terra Ambrosiana”, XLV/luglio-ag o s to 2004, ha dedicato al beato
cardinale Alfredo Ildefonso Schuster O.S.B. a cinquant’anni dalla
morte (1954-2004), il contributo di GIOVANNI SPINELLI, L’arcivesco vo Schuster e il mondo benedettino, pp. 72-80, accenna anche ai “fraterni rapporti con la Congregazione benedettina di Monte Oliveto”, iniziati molto presto a Roma quando don Ildefonso era monaco a San Paolo fuori le mura, con la co llaborazione alla “Rivista
Storica Benedettina”, diretta da don Placido Lugano e continuati
poi durante il suo episcopato milanese, in modo particolare con la
comunità olivetana di san Benedetto in Seregno presente nella sua
diocesi.
* * *
Nel volume Palazzo Sansedoni, a cura di Fabio Gabbrielli, Siena
2004, che ripercorre le vicende storiche, architettoniche e pittoriche dell’antica dimora della famiglia Sansedoni, ora sede della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, il contributo di LAURA BONELLI, L’inventario del 1773 e la collezione d’arte di Ottavio Sa n s e d o n i, pp.
479-486, pubblica la parte dell’inventario dei beni che Ottavio
Sansedoni, dece d u to a Siena il 24 maggio 1773, lasciava ai suoi
nipoti in cui, tra i dipinti, le sculture e le opere di pregio, vengono
segnalati “quattro quadri alti braccia uno circa e larghi a proporzione con cornici rozze esprimenti quattro teste, una di S. Giovanni Evangelista opera del Balassi, l’altro un S. Pietro opera del Cappuccino Genovese, altro il Beato Bernardo Tolomei opera di Gui-
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BIBLIOGRAFIA OLIVETANA
do Reni e l’altra un frate francescano di Rutilio Manetti”. Nell’Appen dice documentaria viene riport a to il seguente brano di una lettera di
Rutilio Sansedoni del 13 ottobre 1758 a Giovanni Sansedoni: “Ordinai
subbito li due Beati Sansedoni e Tolommei (sic!) co lle rispettive armi
al Ceccarelli, che mi promise sarebbero stati fatti dentro il presente
mese, e sicurissimamente al primo del futuro” (p.451).
* * *
L’ingegnere Cesare Formenti (Milano 1852-1928), legato da vincoli di profonda amicizia con i monaci olivetani, ha progettato la
chiesa abbaziale e il monas tero di San Benedetto a Seregno e il
complesso monasteriale con la chiesa di Santa Maria di Monte Oliveto di Ribeirao Preto in Brasile. Il Formenti aveva lasciato la sua
prestigiosa biblioteca al monastero di Seregno che, dal 1998 in poi
per le numerose donazioni dell’archite t to Bartolomeo Cabella
Lattuada, custodisce anche i disegni, i progetti, la documentazione relativa all’attività da lui svolta dal 1880 al 1928. Le notizie circa la co n s i s tenza, lo stato e il luogo di co n s e rvazione, il titolo di
acquisizione, i riferimenti bibliografici del fondo archivistico del
Formenti sono reperibili nella voce Cesare Formenti, in Censimento
delle fonti. Gli archivi di architettura in Lombardia (Centro degli Alti
Studi sulle arti visive) Comune di Milano 2003, p. 84, a cura di Carlo Mariani, archivista della Capitolare di Seregno.
* * *
Il dipinto di dom Ambrogio Fumagalli (+ 1998), Apocalisse (olio
su tela, 230 x 115 cm., opera acquistata dal Comune di Seregno nel
1966 come opera vincitrice del II premio al Concorso Ottavio
Cabiati) è catalogata, con la riproduzione, nel volume Arte a Sere gno. Raccolta delle opere di proprietà comunale, Arti Gr afiche Lupi,
Cinisello Balsamo, 2004, p. 94.
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BIBLIOGRAFIA OLIVETANA
* * *
La tesi di laurea che Monja Faraoni ha dedicato all’ultimo lavoro eseguito da Fra Giovanni da Verona, i 23 pannelli intarsiati per
il coro del monastero olivetano della SS.ma Annunziata a Lodi, già
segnalata in queste note (cf. l’ulivo, 23, 1997, n. 3-4, p. 95), è ora confluita, con alcuni adattamenti, nello splendido volume M ONJA
FARAONI, Le tarsie di fra Giovanni da Verona nel duomo di Lodi, Basilica Cattedrale di Lodi 2004, pp. 126, in cui sono riprodotti a colori gli undici pannelli rimasti, inseriti nel coro della cattedrale lodigiana, con una appendice di documenti e testimonianze su fra
Giovanni da Verona.
* * *
La pala d’altare, San Benedetto dà la regola al beato Bernardo Tolo m e i, di Girolamo da Cotignola (Berlino, Gemaldegalerie) datata
1526, già nella chiesa di S.Michele in Bosco a Bologna, è motivo di
confronto stilistico con l’arte di Francesco Raibolini, detto il Francia. NICOSETTA ROIO, “Sfortuna” del Francia e del Costa, in “Studi di
Storia dell’Arte”, 13, 2002, pp. 45, 57, fig. 17.
* * *
Il chiostro ottagonale di San Michele in Bosco a Bologna, affrescato dai Carracci, era stato impiegato sia da Guido Reni che da
Gi ovanni Andrea Sirani (padre della pittrice Elisabetta Sirani)
come strumento didattico nella formazione artistica dei propri
allievi, tra i quali il grande incisore Gian Battista Zani. ADELINA
MODESTI, Elisabetta Sirani. Una virtuosa del Seicento Bolognese, Editrice Compositori, Bologna 2004, pp. 182-187.
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BIBLIOGRAFIA OLIVETANA
* * *
Nell’opera in due volumi di GIULIO GIACOMETTI e PIERO SESSA,
Sete del Dio vivente. Meditazioni sul Purgatorio negli scritti mistici, Edizioni Segno, Tavagnacco (Udine) 2003, alle pp. 143-165 del primo
volume, con il titolo Il Purgatorio angelico, a cura di Alessandra Bartolomei Romagnoli, viene pubblicata la traduzione italiana del
Trattato del Purgatorio di santa Fr a n cesca Romana, già pubblicato
d a lla stessa curatrice nell’edizione critica latina (Santa Fra n c e s ca
Romana. Edizione critica dei trattati latini di Giovanni Mattiotti, Città
del Vaticano 1994, pp. 873-890). La traduzione è preceduta da
alcuni cenni biografici sulla santa, da una introduzione al trattato
e da una nota bibliografica aggiornata.
* * *
Nella relazione del Magnifico Rettore del Pontificio Ateneo S.
Anselmo di Roma, P. Albert Schmidt, osb, svolta il 13 ottobre 2003
all’inaugurazione dell’anno accademico 2003/2004, si rileva, tra gli
impegni più significativi tenuti dai docenti dell’Ateneo benedettino presso altre istituzioni, il «convegno di studio “la teologia
sapienziale tra medioevo e postmodernità” tenutosi all’Abbazia di
Monte Oliveto Maggiore» (PONTIFICIUM ATHENAEUM S. ANSELMI
DE URBE, Liber Annualis 2003, Romae 2004, p. 11). Lo stesso Rettore, all’inaugurazione dell’anno accademico 2004/2005, svolta il 11
ottobre 2004, ha ricordato come i docenti dell’Ateneo benedettino abbiano partecipato «a un ciclo di conferenze sull’obbedienza
monastica nel corso dei secoli presso il monastero di S. Francesca
Romana» (PONTIFICIUM ATHENAEUM S. ANSELMI DE URBE, Liber
Annualis 2003-2004, Romae 2005, p. 14). Entrambi i riferimenti
sono presenti anche in Sant’Anselmo forum. Notiziario del Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, Roma 2004, p. 6.
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