VITA - VIE - LIFE - VIDA - san rocco di montpellier

Transcription

VITA - VIE - LIFE - VIDA - san rocco di montpellier
ASSOCIAZIONE ITALIANA SAN ROCCO DI MONTPELLIER
CENTRO STUDI ROCCHIANO - COMITATO INTERNAZIONALE
PIERRE BOLLE
PAOLO ASCAGNI
ROCCO DI MONTPELLIER
VOGHERA E IL SUO SANTO
Documenti e testimonianze
sulla nascita del culto di un santo
tra i più amati della cristianità
Prefazione di
DANIELE SALERNO
Versione originale: ottobre 2001
Revisioni: settembre 2005, febbraio 2007, gennaio 2008, settembre 2010
2
Avvertenza
Questo saggio è stato pubblicato, nella sua versione originale, nel mese di ottobre del 2001, con
l’intento di presentare un testo agile, ma rigoroso, sulle principali risultanze degli studi e delle
ricerche sulla vita e la leggenda di san Rocco. Il prof. Bolle ed il dr. Ascagni furono incaricati di
redarre il testo dal prof. Salerno, assessore del Comune di Voghera, che lo fece pubblicare in un libro
corredato da una riuscita veste grafica.
Oggi come oggi questo saggio mantiene una sostanziale attualità, ma soprattutto – e non solo per i
contenuti – presenta caratteristiche che lo rendono perfettamente adatto a fungere da introduzione
sintetica al lavoro notevolmente più ampio sviluppato dal nostro «Centro Studi Rocchiano». Abbiamo
quindi deciso di riproporlo nella sua interezza, apportando ovviamente le opportune correzioni ed
integrazioni; il testo, in definitiva, è stato aggiornato, ma in modo assai discreto, in quanto
sostanzialmente abbiamo preferito non approfondire le molte novità emerse dalla data di
pubblicazione, limitandoci semplicemente ad intervenire, con opportune modifiche, sulle parti già
presenti nell’impianto originario che, alla luce degli ultimi studi, dovevano essere necessariamente
riviste.
In questo modo abbiamo mantenuto pressoché inalterato il testo scritto allora dai due autori, proprio
con un intento – per così dire – «celebrativo», visto che quest’opera fortunata ha incontrato il
gradimento di una vasta platea di lettori; del resto, se avessimo inserito non dei brevi cenni, ma una
descrizione analitica delle principali acquisizioni delle ricerche più recenti, avremmo dovuto alterare
l’equilibrio globale del saggio, determinandone tra l’altro un notevole appesantimento.
In conclusione, abbiamo la possibilità di presentare un testo scorrevole e di facile lettura, ma
rigoroso e preciso nei contenuti, condensato in un numero ridotto di pagine, ma esauriente per un
primo impatto con il vasto mondo degli studi su san Rocco. Naturalmente, chi vorrà poi approfondire
gli argomenti qui accennati, troverà ampio materiale nel portale Internet e nella rivista della nostra
Associazione, nonché nelle altre opere pubblicate dai due autori di questo saggio – il tutto, peraltro,
stilato secondo le più classiche regole accademiche, e cioè corredato da quell’impianto di note e
riferimenti bibliografici che, in questo testo sintetico, abbiamo dovuto tralasciare per ovvie esigenze
di brevità.
Prefazione di Daniele Salerno
Recentemente mi è capitato di osservare una curiosa inchiesta televisiva, dedicata ai santini,
ovvero alle immaginette sacre diventate oggi oggetto di culto non solo devozionale, ma anche
collezionistico. Ebbene, quando ascoltai che l’immagine più riprodotta nel mondo era quella della
Madonna, la cosa non mi stupì di certo; era più che ovvio, considerato il ruolo centrale di Maria
nella vita di ogni cristiano e nel culto secolare della Chiesa cattolica. Mi sorprese invece la
successiva notizia che dava al secondo posto (perdonatemi la brutta espressione) san Rocco di
Montpellier.
Il santo più amato in assoluto è proprio san Rocco. Intendiamoci: non si tratta di fare sciocche
classifiche, la santità è una cosa seria e vive di ben altri contenuti. Però la questione mi aveva
ormai incuriosito, anche perché aveva rispolverato in me alcuni ricordi del passato, vissuti proprio
all’ombra del campanile della chiesa vogherese di San Rocco: l’oratorio, gli amici, la squadra di
calcio vestita con la casacca biancoverde e naturalmente il ruolo centrale svolto da questa
parrocchia, retta sapientemente da monsignor Manlio Achilli, nella forma-zione culturale e religiosa
di tanti ragazzi, dal catechismo alla messa domenicale.
Per qualche tempo ho continuato ad imbattermi in articoli e notizie varie che mi hanno permesso di
farmi un’idea sempre più precisa dello straordinario valore del nostro Santo. Sono infatti ben
sessanta i comuni o le frazioni a lui dedicate in tutta Italia, mentre le chiese, le cappelle e gli oratori
innalzati in suo onore sono circa tremila, di cui quasi trecento elevate al rango di parrocchie. Dati
impressionanti, che diventano ancor più stupefacenti considerando la diffusione del culto in tutto il
mondo, dal Canada al Libano proseguendo per l’Indocina e arrivando, oltre naturalmente a tutta
l’Europa, anche in California e Brasile. Il tutto, peraltro, straordinariamente allargato a testimonianze
che si inseriscono a pieno titolo nel campo dell’arte, della cultura e dell’impegno sociale.
3
E con questo libro arriva infine la sorpresa più grande. Chi poteva immaginare, infatti, che al
centro della devozione più ampia e diffusa di tutta la storia della Chiesa e del popolo cristiano, ci
fosse la nostra Voghera?
Proprio così, Voghera. Da qualche tempo, del resto, abbiamo assistito al fiorire di importanti
iniziative che uniscono san Rocco alla nostra città. Nel giugno del 1999 migliaia di pellegrini nelle
variopinte vesti delle confraternite, si riunirono a Voghera per il primo di una fortunata serie di
Convegni Nazionali. E frequenti comitive di devoti vengono a visitare la nostra chiesa per venerare
la «reliquia del braccio», che peraltro continua a essere richiesta da tutta Italia per onorare
celebrazioni dedicate a san Rocco che richiamano imponenti folle di fedeli.
Questa estate, ho avuto l’onore di rappresentare il Comune di Voghera durante l’esposizione delle
reliquie a Aprigliano, in Calabria. In quella occasione un lunghissimo applauso, prodotto da oltre
tremila persone, accompagnò l’arrivo delle reliquiario vogherese. E tutte le autorità presenti, sia
religiose che laiche, sottolinearono che Voghera è la città di San Rocco.
Ci sono poi altri dati da aggiungere che fanno indiscutibilmente riflettere. Qual è la località più
nominata negli studi storici di tutta Europa dedicati alla vita ed al culto del nostro Santo? Voghera.
Dove si trova la cassa che per prima, e per oltre un secolo, ha conservato le spoglie di san Rocco?
A Voghera.
Ma la cosa ancor più straordinaria è che nel nostro preziosissimo Archivio Storico è tuttora
conservato un documento di inestimabile valore, vale a dire una sorta di editto che attesta con
certezza l’esistenza a Voghera di una festa dedicata a san Rocco già nel 1391. E non è escluso che
il culto locale sia nato anche in precedenza. In tutto il mondo non esiste una testimonianza così
antica: quelle di altre località sono posteriori di oltre cinquant’anni e peraltro sono molto dubbie ed
incerte. Il nostro documento conferma quindi ciò che da varie altre testimonianze è ormai
accettato dai maggiori studiosi europei, e cioè che san Rocco è morto a Voghera nel
quattordicesimo secolo (presumibilmente fra il 1376 e il 1379), che il suo corpo è stato conservato
nella attuale chiesa parrocchiale fino al 1483 o 1485, e che il culto del Santo più popolare del
mondo cristiano è nato e si è sviluppato a partire dalla nostra città.
Il ruolo centrale di Voghera è stato riconosciuto da importantissimi studiosi non italiani, compresi i
francesi (fino a pochi decenni fa il luogo della morte era ancora identificato con Montpellier). E se
all’origine della riscoperta e del rilancio del culto di san Rocco c’è un nostro concittadino, l’amico
Paolo Ascagni, va subito detto che il suo recente libro, distribuito in tutta Italia dalle Edizioni
Paoline, si basava proprio sulle conclusioni dei migliori specialisti del settore, che egli ha
semplicemente compendiato e riesposto in modo accessibile al grande pubblico, con un linguaggio
tecnico ma di scorrevole lettura.
Il successo della sua opera, «San Rocco contro la malattia. Storia di un taumaturgo», uscita per le
Edizioni Paoline nel 1997 1, ha contribuito in modo decisivo a dare la giusta risonanza alle nuove
conclusioni degli storici europei, e nel contempo ha posto Voghera al centro dell’attenzione, non
solo in Italia, di tutti i devoti e gli studiosi di san Rocco. Questo, giustamente, è ciò di cui Ascagni è
più orgoglioso; e tante volte, parlando di questo argomento, ci siamo detti che sarebbe veramente
l’ora di valorizzare al meglio questo grande, straordinario merito storico che spetta alla nostra città.
Lo dobbiamo a Voghera, lo meritano i vogheresi.
A Bruxelles, nel giugno scorso, il professor Pierre Bolle ha presentato l’opera più completa e
documentata sulla vita e sul culto di San Rocco ad oggi esistente, «Saint Roch. Genèse et première
expansion d’un culte au XVeme siècle». Suddivisa in tre ampi volumi e frutto di anni di paziente e
meticoloso lavoro, il suo scritto può essere considerato la ‘bibbia’ degli studiosi del nostro Santo.
Le conclusioni del ricercatore belga sono piuttosto severe sulla consistenza storica delle agiografie
di san Rocco, nonché sulla sua stessa vita (è esistito un Rocco di Montpellier? è stato forse confuso
con Rocco di Autun? chi era davvero il pellegrino Rocco morto a Voghera?); ma in ogni caso,
anch’egli attribuisce a Voghera il ruolo propulsore, il punto di partenza iniziale, e quindi decisivo,
per la propagazione planetaria del suo culto, poi esploso in tutte le sue potenzialità a Venezia. E
posso solo immaginare che effetto sia stato per Ascagni, presente al debutto ufficiale dell’opera,
1
Ricordiamo che questo testo, in molte parti, è ormai ampiamente superato; l’opera più recente di Paolo Ascagni
è «San Rocco Pellegrino», pubblicato dalla Marcianum Press di Venezia nel 2007. Gli aggiornamenti più puntuali e
completi sono disponibili nelle «schede storico-biografiche» del sito (ndr).
4
sentir parlare di Voghera, per quasi cinque ore, da alcuni dei più stimati docenti dell’Università di
Bruxelles.
Nessuno meglio di loro due, quindi, poteva assumersi il compito di preparare questo libro,
realizzato senza alcun compenso economico ma con l’unico scopo di favorire lo studio e la
conoscenza da parte degli studenti e dei cultori della materia, a cui ho necessariamente posto un
solo limite di spazio. Il mio obiettivo è infatti quello di fornire a tutti i vogheresi (e non solo a loro,
ovviamente) uno strumento agile e divulgativo, rigoroso nei contenuti ma di dimensioni adeguate
ad una piacevole lettura. E come potrete notare, i due autori hanno saputo rispondere al meglio a
tali aspettative.
Paolo Ascagni è oggi lo storico italiano di san Rocco, il punto di riferimento di tutte le iniziative
culturali dedicate al nostro grande Santo; per Voghera è un nuovo punto d’onore. Pierre Bolle è il
massimo degli studiosi mondiali di san Rocco, ed è stato spesso per le sue ricerche nella nostra
città, dove è ben conosciuto dai cosiddetti addetti ai lavori. In questo libro, in anteprima mondiale,
ci ha riservato molte delle principali novità emerse dalle sue ricerche. Altro motivo di vanto per
Voghera, di cui lo ringrazio sentitamente.
Tutto ciò premesso, qual è in definitiva lo scopo di questa iniziativa? Molto semplicemente, si tratta
di dare risalto ad un grande merito storico di Voghera, per molti secoli obliato da sfortunate
circostanze, prima fra tutte le clamorose sviste delle antiche agiografie del Santo; in altri termini,
vorrei che alla mia città possa essere riconosciuto il titolo, che le spetta, di prima capitale mondiale
del culto di san Rocco.
Non dobbiamo dimenticare, lo ricordo ancora, che san Rocco è il santo più popolare in tutto il
mondo, e nel suo nome si sono originate non solo grandi manifestazioni di culto e di devozione, di
arte e di folklore, ma anche – soprattutto tramite le confraternite – di impegno sociale, solidarietà,
carità, assistenza e aiuto alle persone più bisognose. Insomma, una grande quantità di bene
destinato a tutti, indipendentemente dal loro credo religioso, dalla loro condizione sociale, dal
colore della loro pelle. Non stiamo dunque rivendicando, ad esempio, i natali di qualche celebre
condottiero, pronto unicamente a seminare guerre e distruzione; stiamo invece parlando
dell’origine di un culto che ha influenzato in positivo la storia del mondo
Ecco perché desidero che questo volume venga messo a disposizione delle scuole e degli studenti.
La storia – non è certo una novità – è una materia fondamentale per la formazione culturale di
qualunque persona; lo diciamo in tanti, ma non sempre alle parole seguono i fatti. Credo però che
nessuno, neppure chi ama poco sfogliare i libri, possa mettere in dubbio una simile verità. In
quest’ambito ritengo che spesso venga ingiustamente sottaciuto il ruolo altrettanto importante
della storia locale, la cui promozione, ovviamente, spetta in primis ai Comuni.
Ritengo quindi che questo libro possa contribuire anche a dare un segnale in questa direzione, e
che costituisca un valido strumento per tutti, stimolandoli ad approfondire ulteriormente uno degli
eventi più significativi e straordinari della storia medioevale vogherese; con la prospettiva, io
spero, di allargare lo sguardo ancora più in là.
Erasmo da Rotterdam, l’umanista olandese vissuto tra il 1466 e il 1536, scriveva nei suoi
«Colloqui»: “Sanctissime coluit divos, quisquis imitatus est”, ovvero: il miglior modo di onorare i
santi è di imitarli. Faccio mio questo illuminante pensiero nella certezza che questo libro aiuti a
procedere nella stessa direzione.
Per questo mi auguro che leggendo le prossime pagine, anche chi sapeva poco o nulla del Santo
pellegrino, si senta altrettanto emozionato, come me, di vivere ed operare a Voghera, la città di
San Rocco. Buona lettura a tutti.
Voghera, ottobre 2001
5
PIANO DELL’OPERA
Capitolo Primo
LA VITA DI SAN ROCCO DI MONTPELLIER
Le fonti scritte
Il nome
La famiglia
La città natale
I dati cronologici
L’adolescenza
La vocazione al pellegrinaggio
La peste
L’arrivo in Italia
L’udienza papale
I fatti di Piacenza
Gli ultimi anni
La morte a Voghera
Capitolo Secondo
LE RELIQUIE E LE TESTIMONIANZE LITURGICHE
IL RUOLO DECISIVO DI VOGHERA
L’importanza delle reliquie e delle testimonianze
liturgiche per la conoscenza del santo
La versione arlesiana
Le versioni veneziane
Il confronto con le fonti vogheresi
Voghera al centro del culto di san Rocco
Capitolo Terzo
IL CULTO E LA DEVOZIONE POPOLARE
La canonizzazione
La diffusione del culto
L’arte e le tradizioni popolari
Il ruolo di Voghera
L’associazionismo rocchiano
6
Capitolo Primo
LA VITA DI SAN ROCCO DI MONTPELLIER
[1] LE FONTI SCRITTE. Le notizie riguardanti la vita di San Rocco, lacunose e spesso
leggendarie, ci sono state tramandate in particolare da alcuni antichi testi, grazie ai quali
possiamo disporre di una serie di dati storici essenziali e fondati. I principali sono i
seguenti.
• La VITA SANCTI ROCHI, scritta in latino dal giurista veneziano Francesco Diedo,
governatore di Brescia. Pubblicata nel 1479, venne più volte ristampata, anche in versione
italiana; fu ampiamente utilizzata dallo scrittore Ercole Albiflorio per un’opera edita ad
Udine nel 1494, lo stesso anno di LA VIE, LÉGENDE, MIRACLES ET ORAISON DE MGR. SAINT ROCH
del domenicano francese Jehan Phelipot.
• La ISTORIA DI SAN ROCCO, opera di un certo Domenico da Vicenza. Scritta in lingua
italiana, è un componimento in versi poetici, databile fra il 1478 ed il 1480, ed è stato
scoperto solo in tempi recenti; è per questo motivo che sono tuttora in corso accurati studi
testuali. Al momento sembrerebbe più plausibile l’ipotesi di una sua derivazione dal testo
del Diedo, ma non si può escludere un rapporto esattamente contrario.
• I cosiddetti ACTA BREVIORA, la cui prima edizione conosciuta si trova in una raccolta di
Vite di santi pubblicata a Colonia nel 1483. Secondo alcuni studiosi, essi non sarebbero
altro che la traduzione latina di un testo italiano più antico, e sarebbero stati composti in
Lombardia fra il 1420 ed il 1430; altri autori, però, ritengono che gli Acta breviora vadano
giustamente datati al 1483 e che pertanto siano posteriori all’opera del Diedo. Questa è
oggi la tesi più accreditata nel mondo accademico.
• Un testo tedesco intitolato DY HISTORY VON SAND ROCCUS (Vienna 1482) o DAS LEBEN DES
HEILEGEN HERRN SANT ROCHUS (Norimberga 1484). Spesso è ricordato come HISTORICA EXITALICA LINGUA REDDITA TEUTONICE AD HONORANDUM SANCTI ROCHI, in altre parole come
un’opera tradotta dall'italiano in tedesco. Nell’ambito degli studi su san Rocco, è
convenzionalmente denominato ANONIMO TEDESCO.
• La VITA SANCTI ROCHI del vescovo francese Jean Pins, ambasciatore del re Francesco I. Il
libro, chiaramente ispirato, in modo particolare, al testo di Jehan Phelipot, venne
pubblicato a Venezia nel 1516.
• Infine, la VITA DEL GLORIOSO CONFESSORE SAN ROCCO di Paolo Fiorentino, stampata a
Brescia nel 1481 o 1482, ed un manoscritto di Bartolomeo dal Bovo, datato 1487. Questi
due testi, piuttosto brevi, presentano alcune novità molto interessanti; è necessario, però,
attendere gli esiti di studi più approfonditi.
Occorre comunque sottolineare che opere di queste tipo (cioè del cosiddetto genere
agiografico) non costituiscono necessariamente il modo migliore per fondare rigorosamente
la biografia di un santo e la nascita del suo culto. Di solito, infatti, esse risalgono a molto
tempo dopo lo svolgimento dei fatti e non sono ispirate da motivazioni precipuamente
storiche, ma bensì religiose, o meglio, di edificazione morale. E’ per questo che gli scrittori
del tempo non si facevano alcun problema a infarcire i propri libri di tradizioni chiaramente
leggendarie, di invenzioni anche di propria mano e di una serie di «luoghi comuni» tratti
dalla Bibbia o da altre Vite di santi. Tutto ciò a noi può sembrare assurdo, ma il fatto è che
l’intento dell’agiografo – lo ripetiamo – era quello di presentare al lettore un modello di
vita cristiana, a cui lo stesso protagonista, cioè il santo, doveva essersi conformato
durante la sua vita.
7
Le antiche agiografie, dunque, non rappresentano per lo studioso moderno il punto di
riferimento più significativo per dare consistenza alla ricostruzione storica della nascita di
un culto locale, mentre lo sono le diverse testimonianze di tipo liturgico ed archeologico.
Nel nostro caso, è scarsamente significativo che molti agiografi, nel corso dei secoli,
abbiano sostenuto la tesi della morte di san Rocco a Montpellier (un fatto, come vedremo,
difficile da conciliare con l’assenza di notizie certe su una antica e persistente tradizione di
culto locale); sono invece infinitamente più importanti gli antichi documenti vogheresi
attestanti la presenza in città delle sue reliquie già nel 1469 e l’esistenza di una festa di
san Rocco al più tardi nel 1391, mentre la prima processione ricordata a Montpellier è del
1505: successiva, quindi, di oltre un secolo.
[2] IL NOME. Potrà sembrare strano, ma la vita di san Rocco è così nebulosa che qualcuno
ha addirittura posto in dubbio il suo stesso nome. Infatti, secondo alcuni studiosi (in
particolare Augustin Fliche), Rocco sarebbe la trasformazione del cognome di una nobile
famiglia della Linguadoca francese, i Rog o Rotch, molto influenti anche a Montpellier, sia
politicamente che economicamente, fra il Duecento ed il Trecento; alcuni di questi
studiosi, per sostenere la propria tesi, affermano che in quel periodo, negli ambienti
aristocratici, sarebbe stato usuale designare il primogenito solo con il cognome.
Ma al di là di questo, l’ipotesi risulta poco convincente, anche perché gli antichi archivi di
Montpellier dimostrano che Roch, Roc, Roca o Roqua erano appellativi piuttosto frequenti
in tutti gli strati sociali. Non è quindi necessario ricorrere all’artificio del cognome diventato
nome per spiegare diversamente un fatto molto più semplice e naturale, e cioè che Rocco
non sia altro che un nome di battesimo (in Italia, peraltro, piuttosto diffuso già agli inizi
del tredicesimo secolo).
[3] LA FAMIGLIA. Molti scrittori si sono sbizzarriti nell’indicare il presunto alto lignaggio
della famiglia di san Rocco. Alcuni parlano della Casa Reale di Francia, altri della schiatta
d'Aragona o di Maiorca, altri ancora di una discendenza in linea materna da santa
Elisabetta d'Ungheria ed in linea paterna, tramite gli Angiò, dai monarchi francesi.
Se dovessimo indicare la tradizione che ha avuto maggior fortuna, tutto sommato
potremmo segnalare quella ricordata dal bollandista Jean Pinius, che negli Acta Sanctorum
nomina la famiglia dei De La Croix. In effetti, nel Registro dei consoli e curiali di
Montpellier risulta che un certo Jean De La Croix abbia ricoperto molte importanti cariche
tra il 1356 ed il 1360, per poi diventare nel 1363 il console maggiore della città; questo
personaggio, dunque, potrebbe essere identificato con il padre di san Rocco. Infatti,
secondo diverse fonti, i suoi genitori si chiamavano Jean (Giovanni) e Libère (Libera) ed
appartenevano ad una famiglia agiata, nobile o quantomeno legata alla grande borghesia
mercantile; qualcuno, infine, indica nella madre una donna italiana, venuta dalla
Lombardia per sposarsi a Montpellier. Ma come nel caso della famiglia Rog, anche l’ipotesi
Delacroix è poco fondata, ed anzi, alcuni documenti ci inducono a respingerla con ben
motivate argomentazioni.
Peraltro il vescovo Jean de Pins tramanda un nome diverso per la madre di San Rocco
(non Libera, ma Franca!) e più in generale, resta il fatto che il rango nobiliare dei santi è
soprattutto un «luogo comune» tipico di moltissime opere agiografiche. Non possiamo
quindi attribuire troppo valore a tale presunta attestazione, anche se, ovviamente, la cosa
non è da escludere; è però significativo il fatto che il riferimento al presunto sangue reale
del nostro Santo si trovi solo in alcune delle antiche fonti (in particolare negli Acta
breviora).
8
[4] LA CITTÀ NATALE. Uno dei dati segnalati concordemente da tutte le agiografie di san
Rocco è la nascita a Montpellier, una località della Linguadoca (Francia meridionale), a
dieci chilometri dal Golfo del Leone. Si tratta del capoluogo del dipartimento dell'Hérault,
dal 1536 sede vescovile (nel Medioevo dipendeva invece da Maguelonne); il suo antico
nome era Mons Pessulanus ed è tuttora un importante centro culturale e commerciale.
Nel 1204 Montpellier fu ceduta da Pietro d'Aragona al vescovo di Maguelonne, ma nel
1214 essa si costituì in repubblica. Nel 1258 Giacomo d'Aragona divenne signore della
città, la quale nel 1276 fu associata al Regno di Maiorca; nel 1349 essa passò sotto il
controllo diretto della monarchia francese, ma a causa dei continui sconvolgimenti politici
e sociali di quegli anni, il definitivo assorbimento nel regno di Francia divenne un fatto
compiuto solo nel 1383, ad opera di Carlo VI. La città visse una fase particolare della sua
storia tra il 1567 ed il 1622, quando cadde sotto l'influenza degli ugonotti, i protestanti
francesi.
Nel Medioevo Montpellier era governata da un signore, che esercitava il potere giudiziario
e la sovranità militare, e da un'assemblea di dodici consoli, che sovrintendeva l'attività
legislativa, amministrativa e fiscale. La città era molto rinomata, tra le altre cose, per la
sua celebre ed antica università, in particolare per gli studi di medicina e di diritto;
oltretutto essa si trovava (e si trova) lungo la strada dei pellegrini che si recavano verso
Santiago di Compostela, e ciò ne accresceva notevolmente il prestigio e l'importanza.
[5] I DATI CRONOLOGICI. Per diversi secoli è stata tramandata una datazione della vita di
san Rocco che solo di recente è stata posta in discussione, in particolare da studiosi di
valore come Antonio Maurino, Augustin Fliche e François Pitangue.
La cronologia, per così dire, tradizionale, risale alla antica Vita Sancti Rochi di Francesco
Diedo, che segnalava come anno di nascita il 1295 e come anno della morte il 1327; ancor
oggi, per la verità, in alcune località i relativi anniversari continuano ad essere calcolati
sulla base di tali date.
Le nuove cronologie, invece, possono prendere spunto dagli Acta breviora in quanto privi
di datazione, per poi fare perno, soprattutto, sul celebre episodio dell’udienza papale, nel
tentativo di conciliare tale episodio con la realtà storica. A questo proposito, però,
entreremo nei dettagli più avanti; per ora basti dire che, riassumendo le diverse varianti,
san Rocco sarebbe nato fra il 1345 ed il 1350 e sarebbe morto fra il 1376 ed il 1379;
giunto a Roma nel 1367-1368, sarebbe arrivato a Piacenza nel 1371, per essere arrestato
o poco dopo, o verso il 1374.
Le relative ricostruzioni presentano certamente alcuni elementi solidi ed interessanti, ma
non si può negare che l’incertezza rimane, ad esempio anche rispetto ad uno degli
elementi di ‘prova’ ritenuto fra i più importanti. E’ infatti vero che fra il 1295 ed il 1327
non furono segnalate epidemie di peste bubbonica, ma è altrettanto vero che nel
Medioevo la parola peste era utilizzata con estrema disinvoltura, cioè con generico
riferimento ad una miriade di malattie epidemiche. In definitiva, le due cronologie
presentano entrambe elementi a proprio favore, anche se, in effetti, negli ultimi tempi la
maggior parte degli studiosi sembra propendere per la seconda, quella cioè del 1345-50 /
1376-79.
[6] L'ADOLESCENZA. Secondo le antiche fonti, i genitori di san Rocco non potevano avere
figli, e solo dopo un periodo di intense preghiere la Grazia divina concesse l'atteso dono
(ma è quasi superfluo sottolineare che anche questo era uno dei «luoghi comuni» più
9
frequenti delle antiche vite dei santi). Il neonato recava sul petto la figura vermiglia della
croce ed ogni mercoledì e sabato, poiché la madre digiunava, ricusava anche lui il
nutrimento. San Rocco crebbe in un clima di profonda religiosità e mostrò una precoce
vocazione alla carità cristiana.
Siccome Montpellier fu investita dalla peste sia nel 1348 che nel 1361 (più di
centocinquanta morti al mese!), è probabile che egli abbia subito maturato una forte
attenzione e sensibilità sia verso gli appestati che, più in generale, i malati ed i sofferenti –
a patto, ovviamente, di accettare l’ipotesi cronologica più recente.
Anche la sua infanzia fu contrassegnata da uno periodi più oscuri di tutta la storia della
Chiesa. A partire dall’anno 1309, il papato si era infatti trasferito dalla secolare sede di
Roma a quella di Avignone, e nonostante la forte e dignitosa personalità di alcuni
pontefici, è indubbio che l'eccessiva interferenza dei re di Francia si fece sentire oltre il
lecito. D'altro canto, però, divenne sempre più importante ed incisiva l'azione riformatrice
dei cosiddetti Ordini mendicanti, in particolare i francescani ed i domenicani, ben
conosciuti anche a Montpellier.
A questo proposito, ricordiamo che secondo alcuni scrittori san Rocco avrebbe studiato
proprio nella locale scuola dei domenicani, mentre si sarebbe poi affiliato al Terz'Ordine
francescano; ma si tratta di notizie storicamente non riscontrabili, o addirittura, a parere di
altri studiosi, di pure e semplici fantasie.
[7] LA VOCAZIONE AL PELLEGRINAGGIO. La svolta decisiva nella vita di san Rocco coincise
con la dolorosa perdita dei genitori, a breve distanza uno dall'altro, presumibilmente verso
i vent'anni di età. A quel punto egli era l'unico erede delle notevoli ricchezze della sua
famiglia, ma tuttavia, dopo aver maturato definitivamente una radicale scelta di fede
cristiana, decise di vendere ogni sostanza, di distribuire il ricavato ai poveri (chiostri,
ospedali, ricoveri per donne) e di indossare l'abito del pellegrino.
Il pellegrinaggio è un fenomeno plurisecolare, comune alle varie forme di religiosità
succedutesi nel corso della storia, che hanno sempre cercato di valorizzarne gli aspetti di
purificazione interiore, anelito al sacro, devozione spirituale e rafforzamento morale, al di
là dell'elemento più immediato della richiesta di una grazia particolare, soprattutto
guarigioni. Nell'ambito cristiano, i pellegrini hanno sempre prediletto i luoghi sacri della
Terra Santa, nonché le tombe e le reliquie dei santi e dei martiri; i nomi di Gerusalemme,
Roma e Compostela sono certamente fra i più noti.
Nel Medioevo l'Europa disponeva di una capillare rete di ospedali e centri di accoglienza,
gestiti da apposite confraternite oppure da ecclesiastici o religiosi conventuali, in alcuni
casi da laici, specializzati appunto nell'assistenza ai pellegrini. Ma anche la generosità dei
singoli costituiva spesso un sicuro punto di riferimento per chi decideva di incamminarsi
lungo le strade del pellegrinaggio; non a caso, in quegli anni, la disinteressata "accoglienza
del pellegrino" era raccomandata come una delle cosiddette opere di misericordia, tra le
più gradite a Dio.
Il nostro Santo, dunque, decise di intraprendere un pellegrinaggio di penitenza alla volta di
Roma, per venerarvi le tombe dei santi apostoli e martiri. Naturalmente si acconciò
secondo il tradizionale abbigliamento dei pellegrini: un cappello a larghe falde, per
proteggersi dalla pioggia; un bastone (il cosiddetto bordone) con appesa la zucca a mo' di
borraccia; un mantello lungo fino ai fianchi, poi detto, appunto, sanrocchino; una o più
conchiglie, per attingere l'acqua dei fiumi; una bisaccia, portata a tracolla.
10
Di solito la partenza dei pellegrini era salutata da una cerimonia religiosa di consacrazione
e benedizione. "Nel nome di nostro Signore Gesù Cristo, ricevi questa bisaccia, simbolo
della tua peregrinazione alle tombe dei santi apostoli Pietro e Paolo, ove tu ti stai recando"
e "ricevi questo bastone, conforto alla fatica del cammino lungo il tuo pellegrinaggio,
affinché tu possa vincere tutte le insidie del Nemico (..) E che, raggiunto lo scopo, tu
ritorni a noi nella gioia, per la Grazia di Dio".
[8] LA PESTE. Il percorso seguito da san Rocco e le località da lui attraversate
costituiscono un ulteriore elemento di incertezza, ma esistono alcuni punti fermi sui quali
ricostruire in modo accettabile i pochi anni cruciali della sua intensa vita terrena. La
permanenza in Italia fu comunque totalmente condizionata dalla presenza del terrificante
flagello della peste, che nel Medioevo causò un'immensa carneficina.
La peste è una malattia infettiva che colpisce uomini ed animali, trasmettendosi per
contagio tra le persone o, più di frequente, mediante le pulci dei topi e di altri roditori. Il
primo caso storicamente accertato fu la cosiddetta peste di Giustiniano, che colpì il bacino
del Mediterraneo nel settimo secolo; l'ultima epidemia sembrò quella del 1894-1920, ma
alcune segnalazioni risalgono al 1994, in particolare in India.
Il più tremendo contagio di questa malattia si verificò però nel Medioevo, nel periodo
compreso tra il 1346 ed il 1353, gli anni della cosiddetta peste nera, che dagli altopiani
dell'Asia centrale investì gradatamente tutto il mondo conosciuto. Secondo i calcoli degli
storici, nella sola Europa i morti furono almeno venti milioni, pari ad un terzo di tutta la
popolazione del tempo. E' inutile rimarcare quali effetti, non solo materiali ma anche
psicologici, sociali e morali, possa aver avuto un flagello del genere. La storia e la civiltà di
tutto il Medioevo ne furono sconvolti fin dalle fondamenta, ed è evidente che, in assenza
della peste, le vicende dell'umanità avrebbero assunto uno sviluppo completamente diverso.
Val la pena di sottolineare che Francesco Diedo decise di redigere la sua celebre Vita
Sancti Rochi (1479) proprio durante un’epidemia, anche se non si trattava della peste;
abbiamo già ricordato che nel Medioevo, a causa delle scarse conoscenze scientifiche, il
termine peste era usato per designare le più disparate malattie epidemiche, e giova
precisare che quelle che per noi, oggi, sono solo delle semplici e fastidiose forme
influenzali, a quei tempi costituivano invece delle patologie molto gravi, spesso dagli effetti
mortali. Del resto la ricorrente presenza della peste o di malattie di tipo contagioso, in
tutta Europa, fino al diciottesimo secolo, fu uno dei motivi principali della diffusione del
culto di san Rocco, che conobbe uno sviluppo a dir poco prodigioso: nello spazio di soli
quindici anni, infatti, allargò la sua sfera d’influenza in Italia settentrionale, Austria,
Germania (fino a Lubecca), Belgio e Francia, compresa Parigi.
[9] L'ARRIVO IN ITALIA. Come abbiamo già detto, è assai difficile individuare il tragitto
seguìto in Italia da san Rocco, nonostante che molte località ne vantino la presenza o il
soggiorno. Comunque, secondo la suggestiva ipotesi di alcuni studiosi, la prima tappa
accertata sarebbe da identificare in Acquapendente, una cittadina del Lazio in provincia di
Viterbo. Qui, facendosi largo tra la fuga della gente in preda la panico, san Rocco chiese di
essere accolto nel locale ospedale; un uomo di nome Vincenzo, intenerito dalla sua
giovane età, cercò di dissuaderlo, in quanto vi erano ricoverati molti malati di peste. Ma
era proprio questo il motivo per cui il Santo voleva entrare: egli intendeva mettersi al
servizio dei sofferenti, per vivere fino in fondo l'esempio di Cristo.
Secondo una storia della vita del beato Giovanni Colombini, vissuto proprio nel Trecento,
fra i suoi seguaci più convinti c’era appunto un uomo di nome Vincenzo; inoltre il
11
fondatore dei Gesuati (da non confondere con i Gesuiti), dopo aver presentato al papa gli
statuti del suo ordine, contrasse la peste lungo la strada del ritorno a Siena. Combinando
insieme le varie notizie, alcuni storici asseriscono dunque che san Rocco sarebbe giunto ad
Acquapendente tra il 25 ed il 26 luglio 1367. Ma come si può notare, l’ipotesi si basa su
elementi indiretti, peraltro piuttosto ‘forzati’, e non bisogna dimenticare che la biografia
dedicata al Colombini risale al diciassettesimo secolo.
Comunque sia, san Rocco rinviò temporaneamente l'ingresso a Roma e cominciò a
peregrinare per l'Italia centrale, in particolare l’Emilia Romagna, seguendo coraggiosamente
(o follemente, da un altro punto di vista!) lo sviluppo del contagio. Egli, infatti, aveva
preso l'abitudine di tracciare il segno della croce sulla fronte dei malati ed invocare la
Trinità di Dio per la loro guarigione, pronunciando un formula di scongiuro diventata
tradizionale. "Dio ti distrugga fin dalle radici, ti strappi, ti faccia allontanare dalle case che
possiedi e ti cancelli dalla terra dei viventi nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo". E proprio per questa sua straordinaria dimostrazione di fede cristiana, Dio decise
di fare di lui uno strumento della sua Grazia, concedendogli la facoltà di guarire
miracolosamente molti appestati.
[10] L'UDIENZA PAPALE. Uno degli episodi più noti della vita di san Rocco è l'incontro con il
pontefice, ed è proprio tale evento a costituire una delle testimonianze di maggior rilievo a
favore della nuova cronologia della sua vita. Infatti, dal 1309 al 1377, i papi si trovavano
ad Avignone, ed in quel periodo si registrò il breve soggiorno a Roma di un solo pontefice,
fra il 16 ottobre 1367 ed il 5 settembre 1370. Il papa in questione era Urbano V, un
francese che, tra l'altro, era stato insegnante anche all'università di Montpellier. Ad un
certo punto egli decise di ripristinare la sede del papato a Roma, nonostante le forti
opposizioni interne; successivamente, però, dovette ritornare ad Avignone, per morirvi
poco dopo. Sarebbe stato il suo successore, Gregorio XI, a chiudere definitivamente il
lungo esilio in terra francese, soprattutto grazie all’impegno di santa Caterina da Siena.
Ammettendo dunque che sia stato Urbano V il papa incontrato da san Rocco, si potrebbe
presumere che il nostro Santo sia giunto a Roma proprio tra la fine del 1367 e l'inizio del
1368. Anche nella capitale della cristianità egli si prodigò generosamente a favore dei
malati e dei sofferenti; e fu in un ospedale che si verificò il suo miracolo più famoso, cioè
la guarigione di un cardinale, colui che, per riconoscenza, lo avrebbe poi condotto al
cospetto del papa. Per quanto riguarda l’identificazione dell’ospedale con quello di Santo
Spirito, l’unico elemento portato a sostegno è che tale istituzione era stata fondata dal
beato Guy, figlio di Guglielmo VII di Montpellier: francamente troppo poco, per non
definire tale proposta come non molto di più che un’ipotesi fra le tante.
Sull'identità del prelato, invece, di congetture sufficientemente fondate se ne sono
sprecate a iosa, anche per le innumerevoli ipotesi prospettate dalle varie opere. Una
proposta molto suggestiva chiama in causa Anglico Grimoard, il fratello di papa Urbano V,
ma per la verità non è possibile ritenerla più plausibile di tante altre; oltretutto non è
neppure detto che si trattasse di un cardinale, perchè secondo Pitangue il personaggio in
questione potrebbe essere identificato con Gaillard de Boisvert, il reggente pro-tempore
della Sacra Penitenzieria.
Comunque sia, questo misterioso «cardinale» poteva facilmente accedere ai massimi livelli
della curia romana, e quindi poté agevolmente organizzare per il suo guaritore un'udienza
papale. San Rocco, umilmente, si inginocchiò di fronte ad Urbano V, ma neppure il
pontefice seppe resistere al suo fascino, e gli si rivolse con un ispirato "mi sembra che tu
venga dal Paradiso!".
12
Il soggiorno a Roma di san Rocco, sempre in base alla nuova cronologia, si sarebbe
concluso fra il 1370 ed il 1371, ma anche in questo caso ci troviamo di fronte a tentativi di
ricostruzione storica che, al momento, non possono essere accettati secondo criteri di
certezza assoluta.
[11] I FATTI DI PIACENZA. La situazione sembra invece diventare più chiara quando san
Rocco entra in Piacenza e vive una serie di episodi che, così come sono narrati nei vari
resoconti, dànno l’idea di essere storicamente più attendibili. Se ci basiamo sulla nuova
cronologia, l’ingresso in città potrebbe risalire al mese di luglio del 1371.
Il nostro Santo si recò in un ospedale a proseguire la sua opera di conforto e di assistenza
ai malati. Ma secondo la tradizione, una notte egli udì in sogno una voce che gli disse:
"Rocco, alzati, sei guarito dalla tua malattia". Egli capì subito di essere stato colpito dalla
peste; sanato nell'anima dal peccato, doveva subire la malattia del corpo, come prova di
purificazione. Tormentato da un doloroso bubbone all'inguine, venne cacciato fuori
dall'ospedale e si trascinò penosamente fino ad un bosco vicino, per isolarsi dagli altri e
per morire in pace.
La località del suo rifugio, secondo una tradizione locale, è stata identificata in Sarmato, a
circa diciassette chilometri da Piacenza; qui riuscì a vincere la sete (ed a rinfrescare la
ferita) grazie ad una sorgente d'acqua, sgorgata più o meno miracolosamente. Ancor oggi si
possono visitare la fontana e la grotta di san Rocco.
Ma il problema più grosso era la fame, che fu risolto dalla comparsa in scena del più
celebre ed inseparabile compagno del nostro Santo, destinato ad essere immortalato, nel
corso dei secoli, in innumerevoli raffigurazioni artistiche ed artigianali. Stiamo parlando,
ovviamente, del cane di san Rocco, una bestiolina che gli si affezionò e che tutti i giorni gli
portava un tozzo di pane, prendendolo dalla mensa del suo padrone.
Questo personaggio, di famiglia agiata e di nome Gottardo, aveva lasciato Piacenza per
recarsi in una residenza estiva e sfuggire al contagio. Insospettito dall'andirivieni del cane,
un giorno decise di seguirlo e fu così che incontrò san Rocco; incurante dei suoi pressanti
inviti ad allontanarsi dal pericolo, egli insistette ad aiutarlo, e giorno dopo giorno apprese
da lui una più profonda conoscenza della fede cristiana.
Gottardo finì col diventare un suo discepolo, maturò la decisione di vendere tutti i propri
beni per abbracciare la povertà di Cristo e giunse al punto di indossare un ruvido sacco,
mendicando il pane a Piacenza, tra lo stupore e lo scandalo dei suoi conoscenti. Egli
conobbe il nome di san Rocco solo nel momento della sua completa guarigione, quindi
poco prima di doversi separare da lui, in un clima di intensa commozione. I due grandi
amici non si sarebbero mai più rivisti.
Gottardo è tradizionalmente ricordato come un nobile appartenente alla famiglia dei
Pallastrelli, ed il suo nome è associato ad un celebre affresco che si trova tuttora nella
chiesa piacentina di Sant'Anna, a cui era anticamente adiacente l'ospedale di Nostra
Signora di Betlemme. L'affresco raffigurava, in origine, la Vergine Maria con San Giuseppe,
ma successivamente vi venne aggiunta l'immagine di san Rocco; è stata quindi avanzata
l'ipotesi che in realtà essa rappresenti addirittura il suo vero ritratto, in quanto eseguito
proprio da Gottardo (il quale, peraltro, sarebbe stato inserito pure lui nell'affresco da un
pittore anonimo, ma a distanza di molto tempo). Diversi esperti, però, hanno decisamente
rigettato tale attestazione, in quanto l’affresco risulta troppo recente per poterlo definire
autentico.
13
Oltretutto Gottardo è considerato anche l'autore della presunta prima agiografia di san
Rocco, quella (perduta) a cui avrebbero attinto i successivi scrittori. Ma anche tutte queste
notizie sono difficilmente verificabili, per cui rimaniamo per l’ennesima volta nel campo
delle congetture, visto e considerato che, dopo la separazione da san Rocco, di Gottardo si
perde ogni traccia. In alcuni testi si dice solo che egli morì, «consumato dall'esercizio di
ogni virtù, in un luogo solitario ed in un paese lontano».
[12] GLI ULTIMI ANNI. Dopo la partenza da Piacenza, le notizie su san Rocco, manco a
dirlo, ridiventano incerte e le antiche fonti scritte dimostrano chiaramente di essere
ritornate a basarsi, in modo molto più marcato, su fonti indirette, tradizioni leggendarie e
notizie confuse. Lo schema finale, tuttavia, è pressoché identico, a parte l'indicazione del
luogo della morte, che come vedremo è stato tramandato in modo inesatto.
San Rocco, nel suo cammino, si trovò implicato nella precaria situazione politica del
tempo, cioè in un pericoloso stato di guerra; guardato con sospetto per le sue miserevoli
condizioni, fu scambiato per una spia, e quindi venne arrestato e condotto al cospetto del
governatore del luogo. Interrogato, rifiutò di rivelare il proprio nome, per non infrangere il
voto solenne con il quale si era impegnato di fronte a Dio a rinunciare ad ogni privilegio
nobiliare, per presentarsi dovunque solo ed esclusivamente come uno sconosciuto ed
«umile pellegrino e servitore di Gesù Cristo». Tale atteggiamento, in quel clima di
tensione, ovviamente accentuò i sospetti delle autorità, che decisero di farlo gettare in uno
squallido carcere.
San Rocco vi trascorse ben cinque anni, che egli visse come una sorta di purgatorio per
l'espiazione dei peccati. Quando la morte si stava approssimando, si verificarono diversi
prodigi, tipici di ogni agiografia dei santi; decisamente più probabile è che egli abbia
chiesto a Dio di concedergli una grazia, e cioè di donare la guarigione ai malati che
avessero invocato la sua memoria nel nome di Cristo. La morte sopraggiunse, secondo la
tradizione, il 16 di agosto, l'indomani della festa dell'Assunzione di Maria, in un anno
compreso - sempre secondo la nuova cronologia - fra il 1376 ed il 1379.
Il colpo di scena finale è uno degli episodi più noti delle agiografie del Santo. Osservando
la croce vermiglia sul petto, lì impressa fin dalla nascita, la madre del governatore ne intuì
immediatamente l'identità: "era il figlio di messer Giovanni di Montpellier". In definitiva, il
governatore stesso era nientemeno che lo zio di san Rocco – a seconda delle diverse fonti,
per parte di padre o di madre.
Tuttavia, anche in questo caso dobbiamo segnalare che la scena del riconoscimento è un
altro «luogo comune» tipico non solo delle opere dedicate alla vita dei santi, ma anche
della Bibbia e perfino della mitologia antica. Inoltre fu proprio Jean de Pins a modificare la
tradizione dello zio paterno in zio materno ed a parlare dell’origine lombarda della madre
di San Rocco; queste sue attestazioni, per la verità, rimangono indimostrabili, ma sono
state utilizzate da altri autori per sostenere la tesi dell’arresto e della morte del Santo in
Lombardia. Ma come vedremo, le congetture in tal senso possono invece esser basate su
ben altre fondamenta.
[13] LA MORTE A VOGHERA. Per diversi secoli il luogo della morte di san Rocco è stato
individuato nella natìa Montpellier, mentre alcuni storici (in particolare il Fliche) hanno
identificato l’Angleria ricordata dagli Acta breviora con la città di Angera, sul lago
Maggiore. Scartata subito l’ulteriore ipotesi di non meglio precisati territori tedeschi
(assolutamente fantasiosa), è comunque da respingere anche quella di Montpellier, per
una lunga serie di motivi, a cominciare dal fatto che la prima testimonianza in loco del
14
culto del Santo risale addirittura al 1505; si tratta, per la precisione, dell’attestazione di
una processione dedicata a san Rocco ed a san Sebastiano. Le altre presunte
testimonianze, che potrebbero essere datate al 1415-1420, sono piuttosto discutibili, e
comunque, pur prendendole per buone, sarebbero comunque assai posteriori ad uno dei
documenti vogheresi, di cui parleremo a suo tempo. Del resto, in quegli anni l'Università di
diritto di Montpellier invocava ancora contro la peste i suoi protettori abituali, i santi
Fabiano e Sebastiano. Poteva succedere una cosa del genere nella città che avrebbe
dovuto possedere la tomba, una chiesa ed il corpo del santo più invocato da tutta la
cristianità, per impetrare la protezione divina dal flagello della peste?
Per quanto riguarda Angera, siamo veramente fuori pista, perché non esiste alcuna
testimonianza, seppur minima, a proposito di eventuali spostamenti del Santo neanche
nelle zone limitrofe, e meno che mai su eventuali reliquie. E' dunque probabile che si sia
verificata una confusione tra Angleria-Agera/Angera e Viqueria/Voghera, ben spiegata
dalle puntuali e convincenti considerazioni di monsignor Antonio Niero, uno dei migliori
studiosi della vita di san Rocco. "Il passaggio (..) da Ugera, variante popolare di Agera o,
alla tedesca, Ughera, a Voghera, non [è] improbabile, a mezzo delle fasi Ughera-Vughera,
(..) tenendo in debito conto lo scambio tra «U» e «V», comunissimo nella fonetica latina".
Le antiche fonti, peraltro, ricordano che san Rocco si venne a trovare in un territorio «ove
regnava la discordia», e certamente tale descrizione si adatta senza problemi anche alla
zona compresa fra Piacenza e Voghera, in quanto il Ducato di Milano – i cui confini erano
sempre in ‘movimento’ a causa di guerre, annessioni o arretramenti – aveva proprio in
quell'area uno dei suoi punti caldi. Dal 1371 al 1375, in particolare, Bernabò Visconti
condusse una guerra aperta contro la lega costituita dal papa Urbano V e coordinata da
Amedeo VI di Savoia, per difendere i possedimenti pontifici dalle ambizioni milanesi.
Nei territori dei Visconti, dunque, e specialmente nelle zone di confine o nei luoghi di
grande passaggio, i pellegrini devoti al pontefice non erano certo ben visti, meno che mai
se si mostravano reticenti, come aveva fatto san Rocco; il timore delle spie era molto vivo,
e bastava un minimo sospetto per aprire le porte delle carceri. E quindi, se non si può
certo escludere che san Rocco sia riuscito ad arrivare fino al lago Maggiore o addirittura in
Francia, è assai più probabile che egli sia stato arrestato molto prima.
In quel periodo, del resto, Galeazzo II, fratello di Bernabò, aveva fatto rinforzare le
fortificazioni di Broni, Casteggio e soprattutto Voghera, punto strategico di notevole
importanza; Parma era entrata da poco nei domini milanesi, Piacenza era l'epicentro della
contesa, alti prelati emiliani erano stati incarcerati, per cui lo scontro con la Santa Sede
era giunto ai livelli della massima tensione.
Si può dunque ragionevolmente supporre che san Rocco sia stato arrestato nei dintorni di
Broni, come sostiene Pitangue, per poi essere portato al cospetto di Castellino Beccaria, il
sovrintendente militare dei Visconti; e potrebbe darsi che uno dei suoi più stretti
collaboratori sia stato il carceriere del Santo, colui che più tardi venne a scoprire, secondo
gli agiografi, di esserne lo zio.
Ma gli elementi di maggior rilievo, quelli che rendono ancor più verosimile l'ipotesi della
morte di San Rocco a Voghera, sono sostanzialmente due: la presenza del suo corpo e
delle sue reliquie, documentate nel 1469 e trafugate nel 1483, e l'importantissimo
documento conservato nel locale Archivio Storico, inserito nella raccolta degli Statuta
civilia et criminalia e databile al 1391. Di ciò si parlerà approfonditamente nel prossimo
capitolo.
15
Capitolo Secondo
LE RELIQUIE E LE TESTIMONIANZE LITURGICHE.
IL RUOLO DECISIVO DI VOGHERA.
[1] L’IMPORTANZA DELLE RELIQUIE E DELLE TESTIMONIANZE LITURGICHE PER LA CONOSCENZA
SANTO. Il problema delle reliquie di san Rocco è ancor più complesso di quello delle
sue agiografie. Come avrete notato, gli studi degli storici, fino ad oggi, si sono incentrati
soprattutto su queste ultime, che in definitiva si collegano a due grandi tradizioni: quella
della Vita Sancti Rochi di Francesco Diedo e quella degli Acta breviora. La prima fissa la
vita del Santo tra il 1295 ed il 1327, mentre la seconda è priva di cronologie. Questi autori
se ne sono serviti per tentare di discernere, all’interno delle narrazioni, ciò che poteva
permetter loro di delineare «i fatti e le gesta» del Santo nel quadro della loro cronologia,
un metodo sempre molto azzardato, in quanto i resoconti agiografici spesso sono stati
redatti molto tempo dopo gli avvenimenti e quindi hanno subìto, inevitabilmente, un
processo di stilizzazione tutto proprio. Come abbiamo già ricordato, si tratta innanzitutto di
un genere letterario finalizzato ad edificare i fedeli, piuttosto che di ricostruzioni storiche
affidabili. All’agiografo interessa non tanto di redigere un’opera storica, quanto di
dimostrare come il suo personaggio si sia conformato al modello esemplare della santità.
DEL
In tal senso, spesso è difficile poter distinguere con sicurezza un fatto attendibile da un
luogo comune preso a prestito, per così dire, da altre Vite di santi o dalle Sacre Scritture.
Concentrando tutta la loro attenzione su opere di questo genere, molti studiosi hanno
troppo trascurato altri tipi di fonti altrettanto interessanti e spesso assai più affidabili. E’ il
caso dei reperti archeologici – principalmente le reliquie – e delle testimonianze liturgiche,
che hanno il vantaggio di aiutarci a capire dove e quando è nato un culto, indipendentemente da ciò che dicono gli agiografi.
Come hanno dimostrato i Bollandisti (un celebre collegio di dotti gesuiti belgi, da secoli
curatori dell’edizione critica delle vite di tutti i santi secondo accurati criteri scientifici), per
stabilire con la massima certezza possibile dove e quando è morto un santo, piuttosto che
affidarsi agli agiografi, è molto più importante tentare di identificare il luogo ove si è
manifestata, prima che in ogni altra località, una tradizione liturgica e di venerazione delle
reliquie ben radicata e continua nel tempo.
Del pari il giorno di calendario dedicato alla celebrazione del santo è un’indicazione ben più
preziosa che non il presunto anno della morte (frutto spesso dell’immaginazione
dell’agiografo), perché esso costituisce il marchio, la ‘firma’, per così dire, del santo, ciò
che permette di distinguerlo veramente da tutti gli altri. Ebbene, noi vedremo che è
proprio a riguardo di queste «coordinate agiografiche» nel tempo liturgico e nello spazio –
come le chiamano tecnicamente i Bollandisti – che le ricerche a Voghera acquistano tutto il
loro significato ed il loro valore.
E’ dunque per mancanza di interesse e di competenza metodologica, o perché trovatasi di
fronte all’eccessiva complessità del lavoro, che la maggior parte degli scrittori si è limitata
a ricordare due tradizioni riguardanti l’esistenza delle reliquie, una di Arles e l’altra di
Venezia, mentre la realtà dei fatti è molto più complessa e spesso oscura.
Ma prima di entrare nel vivo di questa materia, irta di difficoltà, è assolutamente
indispensabile segnalare che alcune delle agiografie più antiche, cioè l’edizione originaria
della Vita Sancti Rochi di Francesco Diedo (1479) e gli Acta breviora (1483), non
menzionano affatto la presenza od il trasferimento di alcuna reliquia. Ciò sembra
16
testimoniare, quantomeno, l’imbarazzo degli antichi scrittori ad identificare con precisione
ove si è radicata localmente, agli inizi, un’antica tradizione di culto.
A questo proposito, solo Diedo cercò di descrivere l’espansione del culto, facendola
originare dal Concilio di Costanza del 1414. Noi però vedremo più avanti che tale
attestazione è smentita non solo dai fatti ma anche da ciò che noi oggi sappiamo sulla
propagazione del culto. Una cosa, comunque, è certa: quando nel 1479 il Diedo, riparato a
Salò per sfuggire all’epidemia che stava infuriando a Brescia, redasse la sua Vita Sancti
Rochi, non sapeva che a Voghera si veneravano le reliquie del Santo già almeno dal 1469,
né che il suo nome vi era noto a partire dalla fine del Trecento.
[2] LA VERSIONE ARLESIANA. Questa versione, all’origine della quale si trova il Martirologio
francescano di Arturo del Monastero (1638), afferma che le reliquie furono trasportate da
Montpellier ad Arles nel 1372 da Jean le Meingre de Boucicault, Maresciallo di Francia. Si
tratta però di una attestazione assolutamente insostenibile in quanto – come già rilevato
da altri studi storici precedenti al nostro – Jean le Meingre, nato nel 1365 e morto nel
1421, in quel momento aveva solo sette anni…
Nonostante gli sforzi di varie generazioni di studiosi francesi (e non solo), tutti gli ulteriori
tentativi di riconciliare ad ogni costo questa cronologia con la genealogia del casato dei
Boucicault, conducono semplicemente a delle assurdità. Tutt’al più si può affermare con
certezza che, agli inizi del Cinquecento, esistevano ad Arles delle reliquie, visto che lo
stesso Arturo del Monastero cita un atto di donazione di diverse reliquie, datato 2 giugno
1501, da parte dei Trinitari di Arles a favore di vari monasteri dello stesso ordine, presenti
nel Regno di Grenada. L’atto faceva seguito ad un Breve di papa Alessandro VI del 4
febbraio dello stesso anno, che raccomandava il pio dono in nome della ricostruzione della
fede cattolica in quella regione, riconquistata di recente ai mussulmani.
E’ interessante notare che in questo atto si ritrova l’attestazione del dono del maresciallo
di Boucicault, ma come luogo d’origine delle diverse reliquie – tra le quali figurano quelle
di san Rocco – non è affatto citata Montpellier, ma bensì Gerusalemme! Peraltro gli studi
del Bolle hanno dimostrato che la data del presunto trasferimento (1372) è stata
goffamente falsificata, per cui la versione arlesiana delle reliquie è da respingere in quanto
basata su di un documento artefatto.
[3] LE VERSIONI VENEZIANE. E’ dunque a Venezia che dobbiamo cercare notizie certe, e ciò
è possibile a far tempo dal 1485, quando il patriarca Maffeo Girardi informò i Capi del
celebre Consiglio dei Dieci che la Scuola Grande di San Rocco aveva acquisito le famose
reliquie da un luogo che egli denominò «Ugeria». Questa fonte non può essere messa in
discussione, poiché una copia della lettera del 13 maggio 1485 si trova nel registro stesso
del Consiglio dei Dieci, come pure la relativa e conseguente delibera.
Assodato questo, è sulla provenienza e sul modo di ‘acquisto’ dei preziosi resti che questa
attestazione di base deve essere ulteriormente chiarita. Ma a questo proposito, le versioni
sono molte e piuttosto diversificate.
• Per Marcantonio Sabellico, contemporaneo dei fatti, autore del De situ urbis Venetae
(1490), le reliquie provenivano dalla «Gallia», cioè dalla Francia. E’ evidente la derivazione
dall’antica agiografia del Diedo, che ambientava appunto in Francia la morte di san Rocco.
• Nella edizione del 1485 del Supplementum chronicarum, Giacomo-Filippo di Bergamo
(detto anche Foresti) non ne indicò la provenienza, ma parlò del loro trasferimento nella
chiesa di San Giobbe di Venezia, alla punta estrema di Cannaregio, una localizzazione
17
curiosa ed unica che scomparve da tutte le edizioni successive. Fu invece nell’edizione
riveduta e corretta del 1513 che, per la prima volta, la provenienza delle reliquie venne
attribuita alla «diocesi di Tortona».
• Tra il sedicesimo ed il diciassettesimo secolo, un certo numero di cronisti veneziani, o
dell’area veneziana, lasciò intendere che le reliquie fossero state acquisite tramite una
compravendita intavolata con dei mercanti, da alcuni definiti «tedeschi». E’ il caso dello
stesso Giacomo-Filippo di Bergamo, ma in un’altra edizione veneziana e postuma del suo
Supplementum (1535), e di quelle che noi oggi chiameremmo guide turistiche, come
Venetia città nobilissima et singolare di Francesco Sansovino (1581), Mercurius Italicus di
Ioannis Henrici (1628), Ritratto di Venezia di Domenico Martinelli (1684).
• E’ a partire dal 1674, per mano di Francesco Ciapetti – poi ripreso da Giorgio Fossati
(1751) e Flaminio Corner (1761) – che appare per la prima volta a stampa (e dunque
destinata ad una grande diffusione) il resoconto ormai classico di Frate Mauro. Si trattava
di un monaco camaldolese di San Michele di Murano, che in carcere aveva fatto voto di
andare a Voghera per cercarvi le reliquie; da qui egli le avrebbe poi trasportate a Venezia
nel marzo del 1485, dopo un primo tentativo fallito a causa della vigilanza dei guardiani.
Questa versione si basa su di un processo di autenticazione delle reliquie presieduto dallo
stesso Patriarca veneziano nel 1485, registrato in un lungo atto su pergamena che ancor
oggi è conservato negli Archivi della Scuola Grande di Venezia. Esso è composto da diversi
documenti, alcuni molto dubbi ed in certi casi chiaramente artefatti; una parte di essi è
però del tutto attendibile, e ci permette pertanto di risalire ad una serie di atti che
costituiscono elementi di prova certi e rilevanti.
[4] IL CONFRONTO CON LE FONTI VOGHERESI. Peraltro occorre precisare che il problema
principale risiede proprio nel confronto di tali versioni con le stesse fonti ufficiali di
Voghera. In effetti, è nel maggio del 1483 che i registri del Consiglio Generale del Comune
(Liber provisionum) attestano il timore di un furto delle reliquie dalla chiesa di Sant’Enrico
– l’attuale parrocchia di San Rocco –, il rafforzamento della sorveglianza, il furto stesso ed
infine l’arresto del sospetto autore, un certo «frate Giovanni Teutonico».
La vicenda, piuttosto oscura, terminò qualche giorno più tardi con la constatazione che le
reliquie erano a posto, un po’ come se tutto fosse stato arrangiato alla benemeglio, o non
si fosse voluto allarmare la popolazione, o nuocere alla reputazione dell’Ospedale di
Sant’Enrico (che si trovava negli attuali locali dell’oratorio di san Rocco). Ed alla data del
1485, cosa troviamo nei famosi registri? Assolutamente nulla.
Esistono poi delle versioni più recenti (ma poco credibili) attestanti un furto di reliquie per
mano di dodici monaci a Montpellier, o ancora un mercanteggiamento - camuffato da furto
– fra un certo Alvise Dal Verme, legato ai signori di Voghera, il frate Mauro e la Scuola di
Venezia. Quest’ultima ipotesi, opportunamente integrata e rettificata dai documenti sopra
ricordati, è probabilmente la più plausibile. In ogni caso, come potete notare, le difficoltà
per districarsi in questa vicenda sono davvero tante…
E tuttavia, sembra davvero azzardato contestare il fatto che Voghera abbia svolto un ruolo
fondamentale nella storia delle reliquie di san Rocco. In effetti, come dimostrano i registri
del Consiglio Generale, è indubbio che in città si veneravano già delle reliquie, nell’anno
1483. Ma ancor di più, è difficile mettere in discussione una delibera dello stesso Consiglio
Generale che attestava la presenza delle reliquie del Santo, il 28 febbraio 1469, nella
chiesa di Sant’Enrico; il registro del Consiglio è andato perduto, ma noi possediamo una
copia del testo originale trascritta nel 1788.
18
E tutto sommato sta proprio in questo, l’elemento più importante: quali che siano le
divergenze fra le varie versioni, la loro localizzazione, le loro fantasie, le loro
inverosimiglianze, il ruolo di Venezia o quello di Arles, l’ipotesi della vendita piuttosto che
del furto… quel che è certo è che la città di Voghera può pregiarsi invece di possedere due
fonti dirette ed ufficiali. Si tratta infatti di veri e propri «processi verbali», che non hanno
subìto trasformazioni o rielaborazioni narrative e che per di più collimano.
Un documento è del 1469, l’altro del 1483, ed entrambi attestano l’esistenza, al di là della
presenza delle reliquie, di un culto dedicato a san Rocco. Ad oggi, si tratta di
testimonianze tra le più antiche conosciute in tutta Italia ed in tutta Europa, le prime a
proposito delle reliquie!
Se si considera, inoltre, che Voghera si trova al centro di una regione in cui la devozione a
san Rocco è estremamente radicata (come hanno ben spiegato i lavori di Antonio Niero, di
cui parleremo più avanti), si può davvero dubitare molto dell’origine francese del culto,
cioè a partire dalla Linguadoca. Del resto una fonte di carattere liturgico sembra
confermare ulteriormente questi dati. Si tratta della menzione di una festa di san Rocco
contenuta nel capitolo dei giorni festivi da commemorare, all’interno dei cosiddetti «Statuti
civili e criminali» di Voghera, approvati ufficialmente da Gian Galeazzo Visconti nel 1391.
Gli Archivi comunali ne conservano tuttora due copie manoscritte: una incontestabilmente
contemporanea e l’altra che contiene alcune parti redatte dopo il 1480.
E’ evidente che un documento del genere, datato 1391, costituisce una testimonianza
veramente straordinaria, essendo precedente agli altri due (già di eccezionale valore) di
quasi ottant’anni!
[5] VOGHERA AL CENTRO DEL CULTO DI SAN ROCCO. In definitiva, il solo problema posto da
questa menzione sta proprio nella sua precocità, al punto che ci si può domandare se si
tratti davvero dello stesso santo. Esiste infatti un santo praticamente omonimo, di nome
Roch o Racho o ancora Rochon (in latino Ragnobertus), vescovo e martire d’Autun; e noi
conosciamo, d’altronde, il fascino particolare che i santi francesi hanno sempre esercitato
nella regione vogherese – come nel caso di San Bovo, solo per fare un esempio.
Due indizi ci permettono di ritenere che la menzione del calendario vogherese del 1391
riguardi proprio il nostro Rocco di Montpellier, il santo del 16 di agosto. In primo luogo,
tutti i nomi dei santi vi sono citati nel genitivo latino, e quello del nostro Santo è proprio
«sancti Rochi» e non «sancti Rochonis», come sarebbe invece nel caso del vescovo di
Autun. Inoltre la ‘collocazione’ della festa all’interno dell’elenco in questione sembra cadere
giusto nel bel mezzo dell’estate; ebbene, com’è noto il nostro san Rocco viene celebrato il
16 di agosto, mentre la festa di Rochon d’Autun è tra quelle del mese di gennaio.
D’altro canto, le nostre più recenti ricerche hanno anche messo in evidenza un numero
tutt’altro che trascurabile di coincidenze (e confusioni) liturgiche tra i due santi; si tratta
però di un argomento molto tecnico, che non possiamo affrontare in un testo come
questo. Diciamo solo che se le ipotesi degli studiosi sulla storicità o meno di san Rocco
rimangono contrapposte, esiste un consenso più allargato sull’individuazione della zona
compresa tra Voghera e Piacenza come punto di partenza del culto, esploso poi a Venezia
e giunto in Francia solo in un secondo momento.
Comunque sia, tanto per cominciare, per essere assolutamente certi che si tratti del nostro
pellegrino, il guaritore dei malati di peste, bisognerebbe trovare un nesso, una menzione
tra questi due fatti, cioè il calendario delle feste del 1391 e la presenza delle reliquie, nel
1469, nella chiesa dell’Ospedale di Sant’Enrico.
19
E’ ciò che si è cercato di fare recentemente, ripercorrendo sistematicamente i «processi
verbali» di tutti i Consigli Generali del Comune, dal 1378 al 1500. Ma nonostante un
meticoloso ed accurato lavoro, non è stato possibile trovarvi alcuna menzione particolare,
tale da permetterci di poter affermare in modo inoppugnabile che vi sia stata, in questi
paraggi, la presenza e la continuità nel tempo di un culto di san Rocco.
Tuttavia, nella parrocchia di San Rocco esiste un documento più tardo ma assai interessante. Si tratta del «processo verbale» relativo alla composizione di una controversia, nel
1584, fra i canonici del Capitolo di San Lorenzo ed i Domenicani di Santa Maria della Pietà,
finalizzato a stabilire a chi spettasse la Cappella di San Rocco e se era possibile effettuarvi
le sepolture, nonché il relativo statuto (per potervi celebrare gli uffici sacri).
A tal riguardo, le dichiarazioni dei diversi testimoni, sovente di età avanzata, sono molto
interessanti. Tutti affermano che si era sempre detto che nella chiesa si trovavano le
reliquie del Santo, ma nessuno dice che esse siano mai state trafugate, sebbene sia
passato un secolo dal presunto furto dei Veneziani… e nonostante che il testimone più
anziano non abbia meno di 81 anni. Ciò confermerebbe quantomeno come l’affare del
1483 sia stato abilmente insabbiato.
Come si può notare, la vicenda delle reliquie e degli inizi del culto è ancora lontana
dall’essere veramente chiarita, per cui sembra proprio che solo la scoperta e l’analisi critica
di nuovi documenti potrà permetterci, un giorno, di proporre una soluzione adeguata. A tal
proposito, la ripartizione topografica delle differenti fonti e la frammentazione dei centri di
documentazione evidentemente non facilita le cose. Bisogna infatti coordinare le ricerche
in luoghi diversi e lontani: a Voghera gli Archivi Comunali, la Parrocchia di San Rocco e la
Chiesa del Duomo; a Tortona la Curia vescovile; a Venezia gli Archivi di Stato, quelli della
Scuola Grande di San Rocco, quelli del Patriarcato e perfino delle chiese e delle piccole
parrocchie limitrofe legate alla storia della Confraternita, come Santa Maria dei Frari, San
Pantaleone o San Tomà.
Tuttavia, ancora una volta, questa serie di indizi geografici e cronologici così precoce, ci
mostra che Voghera potrebbe ragionevolmente essere all’origine del culto di san Rocco. E
questa impressione è considerevolmente rafforzata dall’attento esame degli altri potenziali
luoghi di irraggiamento, segnatamente quelli a cui ci condurrebbero inevitabilmente le
varie agiografie, come ad esempio Montpellier. Ebbene, non si può non essere colpiti, nel
fare i dovuti paragoni, dall’estrema fragilità, in ogni caso, delle testimonianze scritte ed
archeologiche di Montpellier, come pure dal fatto che il culto locale è incontestabilmente
più recente e geograficamente assai meno diffuso ed esteso.
Un altro fenomeno ci incoraggia a proseguire nelle ricerche in tal senso. Si tratta del ruolo
decisamente particolare che Voghera ha svolto lungo le strade dei pellegrinaggi. Noi ci
troviamo, infatti, nel crocevia di due percorsi per i pellegrini estremamente frequentati nel
Medioevo: da una parte quello che scende da Milano e va a raggiungere Roma, passando
per Genova e la Liguria e poi per la Toscana; dall’altra parte, quello che inizia dal Piemonte
e, via Torino ed Alessandria, passa da Voghera e Piacenza e poi prosegue per Rimini, dove
i pellegrini s’imbarcavano per la Terra Santa (a meno che non facessero una deviazione
verso Venezia, per visitarvi i suoi sfarzosi santuari). Voghera era dunque uno dei punti di
incrocio fra i Palmieri – i pellegrini di Gerusalemme – ed i Romei, senza contare gli italiani
in partenza per San Giacomo di Compostela, che imboccavano le medesime strade, ormai
tradizionali.
A Voghera, nel Trecento, esistevano almeno una decina di hospites per i pellegrini. I più
antichi erano quelli di San Pietro, presso il ponte dello Staffora (risalente addirittura
20
all'anno 714) e quello di Sant'Enrico, così chiamato in onore dell'imperatore tedesco Enrico
II il Santo, che l'avrebbe fondato lui stesso durante la sua venuta in Italia, quindi fra il
1004 ed il 1014. Nel 1497 tale ospedale e l'annessa chiesa vennero incorporati dai
domenicani; nel 1525 furono programmati i lavori di riedificazione, da cui si originò
l'attuale chiesa di San Rocco.
L’Ospitale per i pellegrini di Sant’Enrico si trovava proprio esattamente a lato di questa
importante via di comunicazione, che non è altro che l’antica Via Emilia, coincidente in
gran parte con la cosiddetta via Francigena. Essa era sulla strada per Tortona, vicino
all’ingresso di sud-ovest della città, detta Porta Rossella. In direzione est, le tappe
successive erano Broni e Piacenza, distanti fra di loro di poco più di una giornata di
cammino. Oltre ai numerosi alberghi ed ospedali, la vocazione di questi centri di
pellegrinaggio si esprimeva anche tramite il fervente culto reso ad un pellegrino, morto
lungo il percorso. E’ il caso, in particolare, di San Contardo, a Broni ma anche a Piacenza.
Insomma, non possiamo escludere che la fioritura di nuovi studi rigorosi ed attenti finisca
col dimostrare che questo sia stato il caso di Voghera con san Rocco. Se la continuità e la
localizzazione del culto fra il 1391 ed il 1469 fossero dimostrate, si potrebbe pensare ad
una devozione locale, avente come origine la sepoltura di un pellegrino, culto di cui si
sarebbero impadroniti gli agiografi del quindicesimo secolo, stilizzandola considerevolmente,
secondo le caratteristiche di questo genere letterario.
Così facendo, al di sotto della vernice della leggenda, noi potremmo forse sperare di
rintracciare le vere origini del culto e - chi può dirlo? - di avvicinarci con maggiori certezze
alla dimensione di un Santo che presenta la particolarità di essere il più popolare al
mondo… ma nello stesso tempo uno fra i più avvolti nel mistero.
21
Capitolo Terzo
IL CULTO E LA DEVOZIONE POPOLARE
[1] LA CANONIZZAZIONE. La propagazione del culto di san Rocco fu pressoché immediata e
ha assunto nel tempo dimensioni vastissime. Eppure, anche per quanto riguarda la sua
canonizzazione, ci si deve muovere nelle ombre dell'incertezza, al punto che non si
conosce con precisione neppure la data ufficiale dell'elevazione di san Rocco alla gloria
degli altari. Delle antiche agiografie, è solo quella di Diedo ad affermare che l'iniziativa fu
presa nel 1414 dal concilio di Costanza, in quanto salvato dalla peste, a suo dire, per
intercessione di san Rocco; alcuni scrittori successivamente sostennero che si fosse
verificata una confusione con il concilio di Ferrara del 1437-1439, ma gli atti ed i
documenti del tempo non dicono nulla in proposito.
Non stupisce, quindi, che alcuni studiosi abbiano addirittura dubitato della storicità della
sua canonizzazione, ma l'enorme diffusione del culto lascia ritenere che Rocco sia
diventato santo a «furor di popolo», secondo una prassi certamente non inusuale in epoca
medievale. In qualche caso sono stati indicati i nomi di alcuni pontefici che ne avrebbero
ratificato ufficialmente la devozione, compresi alcuni dei cosiddetti antipapi, cioè quelli non
riconosciuti dalla Chiesa; tra i primi figurerebbe Martino V (morto nel 1431), fra i secondi
Clemente VII (morto nel 1394), Benedetto XIII (deposto nel 1409) e Giovanni XXIII
(morto nel 1419). Ma queste sono solo ipotesi francamente prive di ogni fondamento.
Quel che è certo, invece, è che la situazione si fece più chiara verso il Cinquecento. Nel
1499 Alessandro VI diede il suo beneplacito ad una confraternita romana intitolata a San
Rocco, mentre nel 1547 Paolo III lo fece inserire nel Martirologio francescano. Ma “la
devozione delli populi già accettata per tutto il mondo” era ormai talmente diffusa che,
nel 1590, Sisto V chiese all’ambasciatore veneziano a Roma di fargli avere una “particolare
informatione authentica della vita, e miracoli suoi,” per poterlo canonizzare ufficialmente,
essendo impensabile di “levar San Rocco dal numero illustri di altri santi” a causa dello
“scandalo che nasceria per tanta novitate!”.
Il Messale romano, del resto, comprendeva già fra i suoi rituali una messa del nostro
Santo, mentre Gregorio XIV (morto nel 1591) fece iscrivere il suo nome nel Martirologio
romano. Infine, in un testo datato 16 luglio 1629, Urbano VIII invocava, per sé e per tutto
il popolo romano, la protezione di san Rocco contro le epidemie, per poi esaltare le grandi
virtù del santo taumaturgo in un cosiddetto Breve del successivo 26 ottobre. In definitiva,
come scrisse nel sedicesimo secolo Odo de Cissey, "la pietà e l'affetto del popolo cristiano
verso di lui sono stati talmente forti che, senza altre indagini sulla sua santità, la Chiesa ed
il suo capo hanno tacitamente riconosciuto la sua devozione".
[2] LA DIFFUSIONE DEL CULTO. La rapida e vastissima affermazione del culto di san Rocco è
attestata da innumerevoli testimonianze artistiche, culturali, caritative e devozionali. E'
fuori dubbio che egli sia il santo più popolare al mondo, lungo tutta la storia della Chiesa.
Partito dall'Italia e penetrato in Germania, poi nei Paesi Bassi ed infine in Francia, il culto è
straboccato anche fuori dell'Europa; tra gli innumerevoli esempi potremmo citare Punta S.
Roque (California) e Boston negli Stati Uniti, Buenos Aires in Argentina, Cabo Sao Roque in
Brasile, Dekwané in Libano, ma anche Haiti, Madagascar, l’Indocina…
In Italia, sulla base di dati che dovrebbero essere integrati, si parla di oltre sessanta
comuni o frazioni a lui dedicati, mentre le chiese, le cappelle e gli oratori innalzati in suo
22
onore sono circa tremila; le parrocchie intitolate a San Rocco (da solo o insieme ad altri
santi) sono almeno duecentosessanta.
Le testimonianze più antiche sembrerebbero risalire al Quattrocento. Tuttavia, sebbene fra
gli edifici sacri vengano spesso ricordati Lodi e Limone, fra le raffigurazioni pittoriche o
scultoree Bruxelles ed Avignone, e fra i calendari liturgici Maguelonne, le relative datazioni
(ed in qualche caso anche l’attribuzione a san Rocco) sono tutt’altro che certe. Anche le
notizie sul presunto altare dedicato al Santo nella natìa Montpellier, in una cappella
domenicana, sono poco attendibili, e peraltro la prima confraternita fu costituita nella
chiesa di Notre-Dame des Tables solo nel 1661 (mentre in Italia ne esistevano già agli inizi
del Quattrocento); la città ebbe una chiesa di San Rocco ancor più tardi, cioè nel 1830, a
seguito della modifica del titolo precedente, dedicato a San Paolo.
In definitiva, a parte il caso della cappella di Brescia (1469), possiamo solo affermare che
la devozione a san Rocco era già radicata nell’Italia settentrionale nell’ultimo quarto del
quindicesimo secolo, in particolare in Lombardia ed a Venezia, ma come abbiamo visto, il
culto a Voghera è già attestato nel 1391; peraltro, sembrerebbe che il nome del nostro
Santo sia stato associato a quello di santa Lucia, nel 1394, in una confraternita di Padova,
ma la relativa documentazione è piuttosto tarda.
Lo straordinario successo del culto del Santo è facilmente spiegabile, tenuto conto che egli
fu subito venerato come il più efficace protettore dal terribile flagello della peste; un po'
ovunque, quindi, vennero costruiti luoghi sacri intitolati al suo nome, e basti pensare che
addirittura il re francese Luigi XIV, nel 1653, fece riedificare la chiesa parigina poco
distante dal Louvre.
Ma oltre alla peste, ciò che indubbiamente ha influenzato, a partire dalla fine del
Quattrocento, la straordinaria diffusione del suo culto in tutta Europa fu il notevole ruolo
sia commerciale che religioso (in quanto punto di partenza per i pellegrinaggi in Terra
Santa) di Venezia, dove, verso il 1480, si trovava la Scuola di San Rocco, tanto prestigiosa
quanto visitata. Anche le più antiche edizioni delle agiografie risalgono a questo periodo:
Das leben des heilegen herrn Sant Rochus a Vienna nel 1482 ed a Norimberga nel 1484,
gli Acta breviora a Colonia nel 1483 ed a Lovanio nel 1485, la traduzione olandese degli
Acta ad Hasselt verso il 1488 e quella francese di Jehan Phelipot, a Parigi, nel 1494.
Dopo Venezia, il più importante centro devozionale, dalla fine del quindicesimo secolo, fu
la città di Norimberga. A questo riguardo, val la pena di ricordare che fu una famiglia di
mercanti della comunità tedesca di Venezia, gli Imhoff, attivi all’interno del celebre
Fondaco dei Tedeschi e della Scuola Grande, ad esportare il culto di san Rocco nella città
bavarese, imprimendovi un impulso ineguagliabile e facendolo diventare, né più né meno,
un vero e proprio emblema di famiglia. I validi lavori di Heinrich Dormeier hanno
dimostrato che nello spazio di dieci anni essi innalzarono un altare nella chiesa di San
Lorenzo, costituirono una confraternita, diedero vita all’usanza della processione… e
costruirono anche una cappella cimiteriale, davvero imponente e visibile ancor oggi.
Inizialmente san Rocco fu associato, sia nelle pratiche devozionali che nelle raffigurazioni,
ad altri santi molto venerati per la loro protezione dalle malattie, come san Sebastiano,
san Biagio, i santi Cosma e Damiano. Ma tra il quindicesimo ed il sedicesimo secolo egli
acquisì un ruolo pressoché dominante, non solo come protettore dalla peste, ma anche da
ogni tipo di malattia epidemica, dalle più gravi alle meno pericolose, da quelle degli uomini
a quelle degli animali. Per estensione, dunque, egli divenne ben presto il patrono, in
generale, degli animali, dei campi e della vita contadina, il che portò la devozione popolare
a livelli di diffusione incontenibile.
23
Bisogna poi considerare che san Rocco era tradizionalmente considerato come un affiliato
al Terz'Ordine francescano, con tanto di attestazione papale datata 1547; ovviamente i
frati di san Francesco fecero molto per incentivarne il culto, e peraltro nel 1694 papa
Innocenzo XII attribuì loro il compito specifico di celebrare solennemente la festa del
Santo. Infine, particolare curioso, anche i cavapietre, i lastricatori e gli addetti
all'estrazione delle rocce lo considerarono il loro patrono, per il facile (e semplicistico)
gioco di parole costruito sul suo nome.
[3] L'ARTE E LE TRADIZIONI POPOLARI. Anche le raffigurazioni di san Rocco – e non poteva
essere altrimenti – sono numerosissime, e pur nella loro varietà presentano alcuni tratti
comuni. San Rocco viene quasi sempre ritratto come un uomo nella piena maturità,
generalmente con la barba e con l'abbigliamento tipico del pellegrino. A volte viene
raffigurata la croce rossa incisa sul petto, ma molto più spesso il bubbone della peste, di
solito a metà coscia e preferibilmente nella gamba sinistra; questo particolare, dapprima
reso realisticamente (ed anche in modo un po' crudo), diventò via via meno evidente, fino
ad essere coperto da una fasciatura.
Il famoso cane di Gottardo cominciò a comparire fra il Quattrocento ed il Cinquecento, di
solito accucciato ai piedi del Santo e con la pagnotta in bocca; piuttosto usuali sono anche
le raffigurazioni di san Rocco insieme ad un angelo.
Con il nostro Santo si sono cimentati artisti di altissimo livello, come il Ghirlandaio, il
Correggio, Tiziano, Rubens, Van Dyck, Strozzi, Reni, il Veronese e Botticelli. Il Tiepolo è
l'autore di uno dei quadri più suggestivi, quel san Rocco di fronte alla luce divina che è
possibile riscontrare in molteplici riproduzioni. Ma l'opera più grandiosa è senza dubbio
quella del Tintoretto: una serie di tele che descrivono gli episodi più salienti della vita del
Santo, conservati nell’omonima chiesa di Venezia (molti altri soggetti si trovano invece
nella vicina, splendida Scuola di San Rocco). Una menzione particolare meritano le
magnifiche vetrate della chiesa di Saint-Etienne d'Elbeuf, uno dei migliori esempi delle
raffigurazioni diverse dalle tradizionali pitture e sculture.
Sulle tradizioni folcloristiche è veramente impossibile soffermarsi, perché la diffusione della
devozione popolare, come abbiamo più volte ricordato, si è espressa nelle maniere più
diversificate e fantasiose. Il culto si manifesta ancor oggi in innumerevoli modi: si va dalla
solennità con cui in molte città si celebra la sua festa, fino alla particolare devozione
riservata alle reliquie. In alcuni paesi si premiano i cani che, come quello di san Rocco, si
sono segnalati per la loro fedeltà al padrone, in altri si benedicono il pane o l'acqua a
ricordo del miracoloso aiuto divino di Sarmato, o con riferimento alla fonte di Montpellier;
non si contano gli oggetti artigianali o le immaginette sacre destinate alle processioni, agli
ex voto, a particolari benedizioni, a tradizioni locali.
Infine, un'ultima curiosità. Il nome Rocco risulta piuttosto frequente fra i battezzati italiani.
Pur non essendo paragonabile a nomi come Giuseppe, Giovanni, Antonio o Maria, esso è
molto diffuso specialmente nel Sud, in particolare nelle Puglie, in alcune zone della
Campania ed a Potenza; basti dire che secondo alcuni studi Rocco è il quinto nome più
frequente nell'intero meridione. Nel Veneto, invece, la sua radice compare in molti
cognomi (un esempio fra tutti: Roccato).
[4] IL RUOLO DI VOGHERA. Come abbiamo già detto, la prima attestazione di culto locale
potrebbe risalire addirittura al 1391, quindi a poco più di un decennio dalla morte di san
Rocco (ovviamente con riferimento alla nuova cronologia, quella che circoscrive la sua vita
nel periodo 1345/50 - 1376/79). Del resto la presenza in città, per oltre un secolo, delle
24
sue reliquie, lascia facilmente supporre che si sia sviluppata una devozione popolare molto
sentita, suscettibile di ampia diffusione anche oltre i confini del circondario.
Un forte indizio in tal senso è costituito dalla distribuzione geografica delle parrocchie
dedicate a san Rocco, presenti in tutte le regioni ad eccezione della Val d'Aosta, del Molise
e della Sardegna (stiamo parlando, si badi bene, di parrocchie, non di chiese in genere).
Ebbene, nell'alta Italia ce ne sono 152, nelle zone centrali 60 e nel meridione 48. Per quel
che serve al nostro ragionamento, è importante segnalare le statistiche riguardanti quelle
presenti nelle regioni più vicine; per la precisione, dunque, ce ne sono 27 in Liguria, 40 in
Piemonte, 41 in Lombardia, 30 in Veneto ed infine 25 in Emilia Romagna.
L’importanza di questi numeri, sottolinea monsignor Niero, sta nel fatto che, se "da un
profilo geografico sorprende l'addensamento delle parrocchie rocchiane nella valle
padana", occorre tenere ben presente che "un influsso non secondario [è] stato esercitato
dai centri devozionali rocchiani di Voghera e Venezia. Voghera sorge al confine sudoccidentale della Lombardia col Piemonte, sulla via di Alessandria e Genova, alla base di
un triangolo ideale con Piacenza e al cui vertice sta Bobbio. Voghera è un nodo geografico
cultuale di primaria importanza. Se si riflette che le parrocchie rocchiane del Piemonte,
Liguria, Lombardia, le tre regioni che si imperniano su Voghera, sono 108, cioè ben oltre la
metà delle parrocchie rocchiane padane, non si può escludere che tale intensità dipenda
dalla tradizione del culto vogherese del santo".
Fondamentale è stata certamente l'influenza delle arterie commerciali, lungo le quali,
infatti, si trovano i maggiori addensamenti: la via Emilia, da Milano a Piacenza a Rimini; la
fascia costiera ligure (Genova, Chiavari, La Spezia), con le diramazioni a sud-est verso la
Toscana (Lucca) ed a nord-est verso la diocesi di Tortona (sei parrocchie); le strade verso
i paesi nordici, da Novara a Bergamo, da Brescia a Trento, da Udine a Gorizia; la costa
campana, con Napoli ed Aversa, e quella abruzzese, con Chieti e Vasto; la Sicilia orientale,
lungo la via dello stretto.
Voghera, dunque, ha svolto un ruolo di primo piano nella diffusione del culto del santo più
popolare di tutta la storia della cristianità; ed il fulcro della devozione locale ovviamente si
identifica nella chiesa parrocchiale di San Rocco. In origine essa venne edificata in onore
di Enrico II il Santo, probabilmente dopo la canonizzazione (1146); l'imperatore tedesco,
infatti, era stato in Italia fra il 1004 ed il 1014, ed a Voghera aveva fatto costruire un
ospedale, detto del Salvatore. Gestita, presumibilmente, dai monaci benedettini del
convento di San Salvatore in Pavia, la chiesa passò ai domenicani nel 1497,
successivamente, quindi, al cosiddetto ‘furto’ delle reliquie (1483 secondo le fonti ufficiali
vogheresi, 1485 secondo la fantasiosa versione veneziana di Frate Mauro). Fu dopo la
peste del 1524 che i titolari della chiesa decisero di riedificarla e di dedicarla a san Rocco; i
lavori cominciarono nel 1525, procedettero a singhiozzo per diversi anni e furono ultimati
solo grazie all'intervento della «Confraternita del Santissimo Nome di Gesù», quasi sempre
indicata come Confraternita di San Rocco.
La consacrazione avvenne verso il 1577, ma ulteriori lavori si protrassero ancora per molti
anni. Nella nuova chiesa furono depositati due piccoli frammenti del braccio del Santo, che
sarebbero sfuggiti al trafugamento poiché, seguendo un’accorta usanza comune, essi
sarebbero stati conservati, proprio per precauzione, in un luogo separato; secondo una
tradizione locale, la cui origine non è però documentabile con certezza, il ritrovamento di
tali reliquie risalirebbe al 1497.
Quel che possiamo dire è che la parrocchia conserva tuttora, oltre al reliquiario d’argento
contenente i suddetti frammenti, una piccola cassa nella quale fu rinvenuto un cartoncino
25
recante la dicitura «Hic jacuit corpus Sancti Rochi» (qui giacque il corpo di San Rocco) ed
un foglietto sul quale sta scritto: “Questa è la cassetta che fu ritrovata nelle mura della
Chiesa di S. Rocco qual era di noce foderata di fustagno con due fortissime chiavi serrata,
dentro la quale vi è stato il corpo di detto S. Rocco et questo per scritture del 1497”. Come
abbiamo detto, però, purtroppo non esiste alcuna traccia né di queste scritture né di altri
documenti del genere.
Ritornando alle vicende storiche della chiesa di San Rocco, ricordiamo ancora che il 22
marzo 1814 papa Pio VII vi sostò un'ora durante il trionfale ritorno in Italia, dopo la
persecuzione napoleonica; a metà Ottocento, l’edificio sacro – in pieno furore anticlericale
– venne adibito sprezzantemente a luogo di bivacco per i soldati, mentre nel 1924 fu
ufficialmente dichiarato monumento nazionale. La chiesa, prima di assumere l’attuale
aspetto, fu gravemente danneggiata, durante la seconda guerra mondiale, nel corso del
drammatico bombardamento aereo del 23 agosto 1944.
Della Confraternita vogherese di San Rocco si hanno le prime notizie, come abbiamo
detto, proprio in occasione dei lavori di riedificazione della chiesa, ma dai relativi
documenti si evince che essa era attiva già prima del 1577. Essa si estinse dopo quattro
secoli di vita, nell’anno 1912.
Infine, val la pena di ricordare che secondo un'antica tradizione risalente, a detta di alcuni
storici locali, al tardo medioevo, san Rocco dovrebbe essere considerato co-patrono di
Voghera, insieme a san Bovo. Non esistono, ad oggi, prove certe che confermino tale
attribuzione, ma non è da escludere che tra le molte carte dell'Archivio Storico si trovino
gli antichi documenti relativi a questo ennesimo dilemma, uno dei tanti, come abbiamo
visto, ad avere come protagonista il nostro Santo. Recenti scoperte, comunque, sembrano
proprio avvalorare la tesi in modo ben fondato; nel 2005 Fabrizio Bernini ha pubblicato il
testo di un documento del 1553 che, a proposito di una sentenza del conte Francesco Dal
Verme, indica, come santi patroni, Lorenzo, Rocco e Bovo.
[5] L’ASSOCIAZIONISMO ROCCHIANO. Abbiamo parlato di culto, di arte, di tradizioni
popolari, di religiosità. Ma spesso il nome di san Rocco è soprattutto legato ad iniziative di
grande rilievo sociale, ad attività di tipo assistenziale e caritativo, ad opere benefiche e
culturali, anch'esse sparse per tutto il mondo; del resto, il grande esempio di questo Santo
è proprio quello di essere stato un campione della solidarietà e, come diremmo oggi, del
volontariato, nella più coerente e genuina ottica di fede.
A questo proposito, dal 26 al 27 giugno 1999, venne organizzato proprio a Voghera un
«Convegno Nazionale delle Confraternite, delle Chiese e delle Parrocchie di San Rocco»,
alla presenza delle massime autorità civili e religiose. Superando ogni aspettativa,
convennero a Voghera un migliaio devoti di san Rocco, dando vita, in particolare, ad una
suggestiva processione per le vie cittadine; notevole fu la presenza di molti sindaci e di
tanti sacerdoti e religiosi di diverse città d’Italia.
Grande fu lo stupore dei vogheresi (ma anche l’immediata partecipazione), nel veder
sfilare un così alto numero di persone, peraltro in larga parte presentatisi con le
pittoresche ed antiche vesti delle confraternite; molto suggestivo, poi, fu il colpo d’occhio
sui moltissimi labari, stendardi e grandi crocifissi che punteggiavano il lungo corteo. La
due giorni fu contrassegnata anche da due messe particolarmente solenni e da una
stimolante conferenza-dibattito, di alto spessore culturale; suscitò peraltro molta simpatia
anche una cerimonia un po’ particolare, cioè la benedizione dei cani (come dimenticare il
cane di San Rocco?), che venne impartita sul sagrato del Duomo.
26
Dopo quella straordinaria esperienza, un altro momento di grande impatto si concretizzò
nel mese di dicembre del 2001, in occasione della presentazione ufficiale proprio di questo
saggio, nell’ambito di un convegno di studi che diede il la ad una profonda revisione degli
iniziali progetti associativi. Sono così maturate le condizioni che hanno portato alla nascita,
nel tempo, di vari enti che hanno coinvolto tutte le principali località legate all’affascinante
figura di Rocco di Montpellier, con Voghera ad occupare un ruolo centrale: nel giugno
2005 l’Associazione San Rocco Italia ed il suo comitato internazionale di ricerca, e
nell’ottobre 2010 il «Centro-Studi Rocchiano», promosso dalla Associazione Italiana San
Rocco di Montpellier per coordinare le ricerche sulla vita e la leggenda del Santo, con la
collaborazione dei migliori esperti del settore, non solo europei.
Gli autori vogliono segnalare l’importanza del ruolo svolto da mons. Manlio Achilli, parroco della
chiesa di San Rocco, per aver costantemente stimolato ed incoraggiato, per decenni, le ricerche
sulla vita del santo, nonché la collaborazione di Cesare Scrollini, già responsabile dell’Archivio
Storico di Voghera. Un ringraziamento particolare va inoltre a Fabrizio Bernini, storico locale, più
volte interpellato per chiarimenti e richieste di documentazione, a cui ha sempre risposto con la
consueta puntualità, competenza e gentilezza.
Il libro Rocco di Montpellier. Voghera e il suo santo è stato stampato nel mese di ottobre del 2001
dalla «Tipografia Stella di Franco Caputo» di Voghera, per conto dell’Assessorato all’Istruzione del
Comune di Voghera. I due autori, Paolo Ascagni e Pierre Bolle, hanno ceduto gratuitamente i diritti
alla Amministrazione Comunale di Voghera, con l’impegno da parte del Comune di distribuire
liberamente l’opuscolo, senza alcun prezzo di copertina. Le copie del libro, fino ad esaurimento
delle scorte, sono a disposizione degli uffici comunali. Anche la distribuzione telematica è stata
autorizzata dagli autori, alle seguenti condizioni:
• La riproduzione, anche parziale, dell’opera è possibile solo ed esclusivamente per motivi
culturali e/o devozionali.
• La diffusione deve avvenire in modo gratuito, escludendo tassativamente ogni scopo di lucro,
diretto o indiretto.
• Le copie distribuite al pubblico devono recare l’indicazione del nome degli autori e la titolarità
dei diritti da parte del Comune; la dizione da utilizzare è «© Comune di Voghera. Opera pubblicata
nell’ottobre 2001 (e successivamente rivista e aggiornata) a cura dell’Assessorato all’Istruzione
dell’Amministrazione Comunale di Voghera. La riproduzione anche parziale è possibile solo per
motivi devozionali e culturali, escludendo ogni fine di lucro, previa autorizzazione degli autori».
Quanto esposto si rende necessario non solo per preservare il carattere dell’opera e gli intenti degli
autori, ma anche per sollevare da ogni responsabilità le persone che si faranno carico della
ulteriore diffusione del libro. L’intento degli autori è infatti di contribuire alla migliore conoscenza
della vita di San Rocco e di stimolare ulteriori studi sulla sua figura; saranno quindi molto grati a
tutti coloro che vorranno non solo diffondere la loro opera, ma contattarli per apporti anche critici,
per scambi di opinioni ed informazioni, per eventuali iniziative culturali.
A tal proposito, Paolo Ascagni è reperibile al numero telefonico +39.333.2341591 o tramite
l’indirizzo di posta elettronica [email protected]
© Pierre Bolle e Paolo Ascagni 2001-2010. Tutti i diritti riservati. La riproduzione, anche parziale, dei contenuti di questa
sezione è soggetta alle leggi a tutela dei diritti d’autore. Ogni violazione sarà perseguita ai sensi delle vigenti leggi civili e
penali. Il «Centro Studi Rocchiano», tramite l’Ufficio Legale della «Associazione Italiana San Rocco di Montpellier», si
riserva di intraprendere ogni azione in tal senso. Chi volesse utilizzare questo testo si deve attenere scrupolosamente alle
prescrizioni indicate nell’apposita sezione del sito (Æ Note legali).
27
28
ASSOCIATION ITALIENNE SAINT ROCH DE MONTPELLIER
CENTRE D’ÉTUDES SUR SAINT ROCH - COMITÉ INTERNATIONAL
PIERRE BOLLE
PAOLO ASCAGNI
ROCH DE MONTPELLIER
VOGHERA ET SON SAINT
Documents et témoignages
sur la naissance du culte d’un saint
parmi les plus aimés de la chrétienté
Traduction par
MARTINE GASSIER
Version originale: octobre 2001
Révisions: septembre 2005, avril 2007, janvier 2008, septembre 2010
30
Présentation
Cet essai a été publié dans sa version originale en octobre 2001 dans le but de présenter un texte
rigoureux et facile à consulter. Il a fait l’objet d’un travail de mise à jour, de consultation des
études et recherches disponibles à ce jour sur la vie et la légende de saint Roch. Pierre Bolle et
Paolo Ascagni ont été chargés par l’adjoint au maire de la Commune de Voghera, Daniele Salerno,
de rédiger ce texte.
Cette publication a remporté un vif succès, et aujourd'hui elle est encore d’actualité; l’essai
présente en outre des caractéristiques qui en font un document d’introduction parfait au site de
notre Association et à ses «fiches historiques et biographiques». Nous avons ainsi décidé de
présenter de nouveau cet essai dans son intégralité, en apportant uniquement les corrections et
intégrations les plus significatives. Nous avons opté pour une mise à jour légère plus qu’un
remaniement complet, en limitant l’intervention aux études les plus récentes: trop de changements
auraient risqué de dénaturer ce texte.
Nous invitons donc nos lecteurs à entrer dans le monde des études sur Saint Roch avec un texte
d’introduction facile à lire, exhaustif, qui garde toute sa rigueur et sa richesse de détails même si
nous avons cherché à en diminuer le nombre de pages. Il est possible par ailleurs d’approfondir les
sujets abordés grâce aux «fiches historiques et biographiques», qui ont été rédigées selon les
critères classiques d’étude et contiennent les notes et références bibliographiques. Elles sont à
l’intérieur de la version italienne du site www.sanroccodimontpellier.it
31
TABLE DES MATIERES
Chapitre Premier
LA VIE DE SAINT ROCH DE MONTPELLIER
Les sources écrites.
Le nom.
La famille.
La ville natale.
Les dates chronologiques.
L’adolescence.
La vocation au pèlerinage.
La peste.
L’arrivée en Italie.
L’audience papale.
Les évènements de Plaisance.
Les dernières années.
La mort à Voghera.
Chapitre Deuxième
LES RELIQUES ET TÉMOIGNAGES LITURGIQUES
LE RÔLE DÉCISIF DE VOGHERA
L’importance des reliques et des témoignages
liturgiques pour la connaissance du saint.
La version arlésienne.
Les versions vénitiennes.
La comparaison avec les sources de Voghera.
Voghera au centre du culte de Saint Roch.
Chapitre Troisième
LE CULTE ET LA DÉVOTION POPULAIRE
La canonisation.
La diffusion du culte.
L’art et les traditions populaires.
Le rôle de Voghera.
Les associations de Saint Roch.
32
Chapitre Premier
LA VIE DE SAINT ROCH DE MONTPELLIER
[1] LES SOURCES ECRITES. Les informations concernant la vie de Saint Roch, incomplètes
et souvent légendaires, nous ont été transmises grâce à un certain nombre de textes qui
nous permettent de disposer en particulier d’une série de données historiques essentielles.
Les principales hagiographies sont les suivantes:
• La VITA SANCTI ROCHI, écrite en latin par le juriste vénitien Francesco Diedo, gouverneur
de Brescia. Publiée en 1479, elle fut réimprimée plusieurs fois, aussi en version italienne;
elle fut amplement utilisée par Ercole Albiflorio dans une hagiographie éditée à Udine en
1494, la même année de LA VIE, LÉGENDE, MIRACLES ET ORAISON DE MGR. SAINT ROCH du
dominicain Jehan Phelipot.
• La ISTORIA DI SAN ROCCO, oeuvre d’un certain Domenico da Vicenza. Écrite en langue
italienne, c’est une composition en vers, datée entre 1478 et 1480. Elle a été découverte
seulement récemment. Aujourd’hui, l’hypothèse d’une dérivation du texte de Diedo semble
plausible mais on ne peut encore l’affirmer; pour cette raison cette hagiographie fait
l’objet d’une analyse plus approfondie.
• Les ACTA BREVIORA, dont la première édition connue se trouve dans un recueil de Vitae
de saints publié à Cologne en 1483. Selon certains chercheurs, il s’agirait de la traduction
latine d’un texte italien plus ancien, et ils auraient été composés en Lombardie entre 1420
et 1430. D’autres auteurs cependant pensent plutôt que la datation exacte des Acta
breviora est vraiment 1483 et que donc ils sont postérieurs au livre de Diedo. C’est
aujourd’hui cette théorie qui prédomine.
• Un texte allemand intitulé DY HISTORY VON SAND ROCCUS (Vienne 1482) ou DAS LEBEN DES
HEILEGEN HERRN SANT ROCHUS (Nuremberg 1484). Souvent il est cité comme HISTORICA EXITALICA LINGUA REDDITA TEUTONICE AD HONORANDUM SANCTI ROCHI, c’est-à-dire traduit de
l’italien en allemand. Dans le cadre des études sur saint Roch, ce texte est conventionnellement appelé ANONYME ALLEMAND.
• La VITA SANCTI ROCHI de l’évêque français Jean de Pins, ambassadeur à Venise du roi
François Ier. Ce livre, clairement inspiré au texte de Jehan Phelipot en particulier, fut publié
à Venise en 1516.
• Enfin, la VITA DEL GLORIOSO CONFESSORE SAN ROCCO de Paolo Fiorentino, imprimée à
Brescia (1481-1482), et un manuscrit de Bartolomeo dal Bovo (1487). Ces deux textes,
plutôt brefs, présentent quelques nouveautés très intéressantes. Cependant on doit
attendre les résultats d'études plus approfondis.
Il faut de toutes façons souligner que des oeuvres hagiographiques ne constituent pas
nécessairement la meilleure façon de créer une biographie rigoureuse des saints et de la
naissance de leur culte. En général, elles sont écrites longtemps après les faits et se
justifient plus pour des raisons religieuses ou d’ordre moral que pour des raisons
historiques. C’est pour cela que les écrivains de l’époque n’avaient aucun scrupule à
agrémenter leurs livres de légendes ou tout simplement d’histoires inventées
accompagnées d’une série de «lieux communs» tirés de la Bible ou de la vie d’autres
saints. Tout ceci peut nous sembler absurde mais l’hagiographe devait présenter au
lecteur un modèle de vie chrétienne à suivre.
De ce fait, les anciennes hagiographies ne sont pas des documents fondamentaux pour les
chercheurs modernes dans le cadre de la reconstruction historique de la naissance d’un
33
culte local à l’inverse des témoignages liturgiques et archéologiques. En ce qui nous
concerne, le fait que beaucoup d’hagiographes aient soutenu au fil des siècles la thèse de
la mort de St Roch à Montpellier n’a pas de grande valeur. C’est un fait, nous le verrons,
difficile à concilier avec le manque d’informations concernant la tradition cultuelle locale.
En revanche, les anciens documents de Voghera qui attestent la présence en ville de ses
reliques déjà en 1469 et l’existence d’une fête de St Roch en 1391 sont infiniment plus
importants alors que la première procession décrite à Montpellier date de 1505 – et donc
près d’un siècle après.
[2] LE NOM. Cela pourra sembler étrange mais la vie de St Roch est tellement nébuleuse
que d’aucun a même mis en doute son nom. En effet, selon certains chercheurs (en
particulier Augustin Fliche), Roch serait la transformation du nom de famille d’une noble
lignée du Languedoc français, les Rog ou Rotch, très influents à Montpellier politiquement
et économiquement, entre le XIII et le XIV siècle. Certains de ces chercheurs affirment,
pour soutenir leur thèse, qu’à cette époque on avait coutume d’appeler par le nom propre
l’aîné de la famille.
Quoi qu’il en soit, cette hypothèse semble peu convaincante parce que les archives de
Montpellier démontrent que Roch, Roc, Roca ou Roqua étaient des noms plutôt fréquents
dans tous les milieux sociaux. Il n’est donc pas nécessaire de recourir à l’artifice du nom
de famille devenu nom pour expliquer tout simplement que Roch était un prénom, par
ailleurs très courant en Italie au début du XIII siècle.
[3] LA FAMILLE. Beaucoup d’écrivains ont donné libre cours à leur fantaisie en suggérant le
haut lignage de la famille de St Roch. D’autres parlent d’une filiation avec la Maison Royale
de France; certains parlent d’une filiation avec la lignée d’Aragon ou de Majorque; d’autres
encore parlent d’une descendance côté maternel de sainte Elisabeth de Hongrie et côté
paternel des Angevins, monarques français.
Si nous devions faire référence à d’autres hypothèses, nous citerions celle du bollandiste
Jean Pinius qui fait référence à la famille De La Croix dans les «Acta Sanctorum». Dans le
«Registre des consuls et curiaux» de Montpellier, on signale en effet un certain Jean De La
Croix qui occupa entre 1356 et 1360 des charges importantes et qui fut en 1363 le Consul
général de la ville. C’est un personnage que l’on pourrait identifier comme étant le père de
St Roch… mais toute la thèse De La Croix est très faible.
Selon d’autres sources, ses parents s’appelaient Jean et Libère et appartenaient à une
famille noble et aisée et liée à la grande bourgeoisie commerciale. On parle aussi des
origines italiennes de la mère de St Roch, venue de la Lombardie pour se marier à
Montpellier. Toutefois l’évêque Jean de Pins donne un nom différent à la mère de St Roch:
ce n’est pas Libère mais Franca!
Le rang nobiliaire des saints est très souvent utilisé dans les biographies hagiographiques
et nous ne pouvons donner trop de poids à ces versions même si nous ne pouvons pas les
exclure. On les retrouve en particulier dans quelques textes anciens et en particulier dans
les Acta breviora.
[4] LA VILLE NATALE. Une des informations que tous les experts s’accordent à valider est
sa naissance à Montpellier, une localité du Languedoc dans le sud de la France à dix
kilomètres du Golfe du Lion. Chef-lieu du département de l’Hérault et siège épiscopal depuis
1536, Montpellier dépendait au Moyen-âge de Maguelonne. Son ancien nom était Mons
Pessulanus et la ville est encore aujourd’hui un important centre culturel et commercial.
34
En 1204 Montpellier fut cédée par Pierre d’Aragon à l’évêque de Maguelonne. En 1214
Montpellier devint une république. En 1258 Jacques d’Aragon devint seigneur de la ville.
En 1276 la ville fut associée au Royaume de Majorque. En 1349 elle passa sous le contrôle
direct de la monarchie française, mais son intégration définitive au royaume de France fut
achevée seulement en 1383 par Charles VI, en raison des agitations politiques et sociales
de l’époque. La ville vécut une période difficile lorsqu’elle tomba sous l’influence des
Huguenots, les protestants français, entre 1567 et 1622.
Au Moyen-âge, Montpellier était gouvernée par un seigneur qui exerçait pleins pouvoirs
sur la justice et sur la gente militaire. Une assemblée de douze consuls gérait le pouvoir
législatif, administratif et fiscal. La ville était très renommée pour son université de
médecine et de droit. Elle se situait sur la route des pèlerins qui se dirigeaient vers St
Jacques de Compostelle ce qui accrut considérablement son prestige.
[5] LES DATES CHRONOLOGIQUES. Pendant plusieurs siècles, on a parlé de dates concernant
la vie de St Roch qui ont seulement récemment été remises en cause par des chercheurs
renommés comme Antonio Maurino, Augustin Fliche et François Pitangue.
La chronologie dite traditionnelle remonte à l’ancienne hagiographie de Francesco Diedo. Il
donnait 1295 comme année de naissance de St Roch et 1327 comme année de sa mort.
Encore aujourd’hui ces dates sont utilisées comme référence.
En revanche les nouvelles chronologies se basent sur les Acta breviora qui sont dépourvus
de date mais qui peuvent servir de point de départ grâce au célèbre épisode de l’audience
papale pour tenter de concilier cet événement dans un contexte historique. Nous
entrerons dans les détails plus tard. Pour le moment, il suffit de rappeler que, tenant
compte des différentes versions à disposition, St Roch serait né entre 1345 et 1350 et il
serait mort entre 1376 et 1379. Arrivé à Rome en 1367-1368, il se serait rendu à Plaisance
en 1371 où il aurait été arrêté entre 1371 et 1374.
Ces différentes reconstructions présentent certainement quelques éléments solides et
intéressants, mais l’incertitude reste si l’on considère en particulier un élément jugé très
important. On ne signale pas d’épidémies de peste bubonique entre 1295 et 1327 mais il
est vrai qu’au Moyen-âge le mot peste était utilisé avec extrême désinvolture et que ce
terme décrivait généralement toutes les formes d’épidémie. En fin de compte, les deux
chronologies présentent l’une et l’autre des éléments en leur faveur même si récemment
de plus en plus de chercheurs semblent pencher pour la seconde, c’est-à-dire celle qui
avance les dates de sa naissance aux alentours de 1345-50 et de sa mort vers 1376-79.
[6] L’ADOLESCENCE. Selon les anciennes sources, les parents de St Roch ne pouvaient pas
avoir d’enfant et c’est seulement après une intense période de prières que la Grâce divine
accorda cet événement tant attendu. Il est superflu de souligner la légende qui se greffe
sur l’histoire. On dit que le nouveau-né portait sur la poitrine la marque vermeille de la
croix et que tous les mercredi et samedi, alors que sa mère jeûnait, l’enfant aussi refusait
de manger. St Roch grandit dans un climat de profonde religiosité et révéla très tôt sa
vocation.
Lorsque Montpellier fut investie par la peste en 1348 et en 1361 (avec plus de 150 morts
par mois!), il est probable que St Roch ait développé une sensibilité particulière vis à vis
des malades – si les hypothèses chronologiques les plus récentes sont acceptées.
Même son enfance fut marquée par une des époques les plus obscures de toute l’histoire
de l’Église. Le siège séculaire de Rome fut transféré dès l’année 1309 à Avignon et malgré
35
le pouvoir exercé par certains pontifes, les rois de France intervinrent pesamment dans les
affaires de l‘Eglise. La réforme des Ordres mendiants devint toujours plus pressante, en
particulier pour les Franciscains et les Dominicains, très présents à Montpellier.
Certains écrivains rapportent que St Roch aurait étudié à l’école des Dominicains et qu’il
aurait fait partie du «Tiers Ordre» franciscain. Il s’agit là encore d’informations non
vérifiables ou de libre interprétation.
[7] LA VOCATION AU PÈLERINAGE. Un tournant important dans la vie de saint Roch coïncida
avec la perte rapprochée de ses parents. Il avait alors probablement vingt ans. Unique
héritier des considérables richesses de sa famille, épris de foi chrétienne, il vendit ses
biens dont il fit donation aux pauvres en les remettant à des cloîtres, des hôpitaux et aux
institutions réservées aux femmes. Il revêtit enfin l’habit de pèlerin.
Le pèlerinage est un phénomène millénaire commun aux différentes religions au cours
duquel étaient valorisées la purification intérieure, la recherche du sacré, la dévotion
spirituelle, la quête morale, la quête d’une grâce spéciale mais surtout la guérison. Dans le
monde chrétien, les pèlerins ont toujours préféré les lieux sacrés de la Terre Sainte, ainsi
que les tombes et les reliques des saints et des martyrs; les noms de Jérusalem, Rome et
Compostelle sont certainement les plus connus.
Au Moyen-âge, l’Europe disposait d’un réseau capillaire d’hôpitaux et de centres d’accueil
gérés par des confréries ou des ecclésiastiques, ou par des religieux et parfois même par
des laïcs qui assistaient les pèlerins. La générosité populaire était encouragée et vertueuse
et elle apportait souvent un grand soulagement à ceux qui s’aventuraient sur les routes.
St Roch décida donc d’entreprendre un pèlerinage de pénitence en direction de Rome pour
y vénérer les tombes des saints apôtres et martyrs. Il revêtit l’habit de bure du pèlerin: un
chapeau à larges bords pour se protéger de la pluie; un bourdon et une courge utilisée
comme gourde; un manteau de pèlerin qui arrivait aux hanches; une ou plusieurs coquilles
pour puiser l’eau des rivières; et enfin d’une besace portée en bandoulière.
La coutume voulait que le départ des pèlerins soit salué au cours d’une cérémonie
religieuse de consécration et de bénédiction. «Au nom de notre Seigneur Jésus Christ,
reçois cette besace, symbole de ton pèlerinage sur la tombe des saints apôtres Pierre et
Paul, où tu te diriges. Reçois ce bâton, réconfort de la fatigue sur ta route afin que tu
puisses éviter les pièges de l’Ennemi (..) Et que, le but atteint, tu reviennes chez nous
dans la joie, par la Grâce de Dieu».
[8] LA PESTE. Le parcours suivi par St Roch et les localités qu’il traverse font l’objet de
controverse mais nous disposons de quelques éléments qui nous permettent de
reconstruire d’une manière acceptable les années les plus importantes de son intense vie
terrestre. Le séjour en Italie fut marqué par la présence du terrible fléau de la peste qui
fut au Moyen-âge une véritable catastrophe.
La peste est une maladie infectieuse qui frappe les hommes et les animaux et se transmet
par contamination ou plus fréquemment par les puces des rats et d’autres rongeurs. Le
premier cas historiquement documenté fut la «peste de Justinien» qui se répandit en
Méditerranée au VII siècle. La dernière épidémie recensée semble avoir eu lieu en 18941920. On a signalé quelques cas de peste en 1994, en particulier en Inde.
Les effets les plus dévastateurs de l’épidémie cependant se sont vérifiés au Moyen-âge
entre 1346 et 1353, les années dites de la «peste noire», en provenance des hauts plateaux
36
de l’Asie centrale. Selon les estimations des historiens, on recense en Europe plus de vingt
millions de morts c’est-à-dire un tiers de la population de cette époque. Il est inutile de
souligner les conséquences matérielles mais aussi psychologiques, sociales et morales qu’a
pu provoquer un tel fléau. L’histoire et la civilisation de tout le Moyen-âge furent
profondément modifiées. Si la peste ne s’était pas manifestée, l’histoire aurait pris un
autre cours.
Il faut souligner que Francesco Diedo a rédigé sa célèbre Vita Sancti Rochi en 1479 lors de
l’une de ces épidémies, même s’il ne s’agissait pas de peste. Au Moyen-âge, on n’avait pas
de connaissances spécifiques des maladies et pour désigner les maladies les plus variées,
comme la grippe de nos jours, on lui donnait souvent le nom de peste. A cette époque,
même une grippe était prise très au sérieux; c’était une pathologie grave qui pouvait avec
des conséquences parfois mortelles.
La présence réitérée de la peste ou de maladies de type contagieux en Europe fut
jusqu’au XVIII siècle un des motifs principaux de la diffusion du culte de St Roch. Ce culte
connut un développement prodigieux et se répandit en moins de quinze ans en Italie du
nord, Autriche, Allemagne (jusqu’à Lubeck), Belgique et France, y compris Paris.
[9] L’ARRIVÉE EN ITALIE. Comme nous l’avons dit précédemment, il est très difficile de
déterminer le parcours de St Roch sur le territoire italien même si de nombreuses villes
vantent sa présence ou le fait qu’il y ait séjourné.
Selon François Pitangue, la première étape connue serait Acquapendente, une petite ville
du Lazio dans le département de Viterbe. Là, Roch demanda à être accueilli par l’hôpital
local. Un homme du nom de Vincent, attendri par son jeune âge, chercha à l’en dissuader
en lui expliquant qu’il y avait beaucoup de malades de peste. Mais c’était exactement le
motif pour lequel Roch voulait rester: pour se mettre au service des souffrants et vivre
l’exemple de Christ.
Selon la biographie du bienheureux Giovanni Colombini – qui vécut au XIV siècle – un des
fidèles les plus sincères se nommait Vincent. Par ailleurs le fondateur des «Gesuati» (à ne
pas confondre avec «Gesuiti», Jésuites) aurait contracté la peste alors qu’il était sur le
chemin du retour pour Sienne et qu’il venait de présenter au Pape à Rome les statuts de
son ordre. En confrontant ces informations, Pitangue affirme que St Roch serait arrivé à
Acquapendente le 25 ou le 26 juillet 1367. Cette hypothèse toutefois se base sur des
informations de source indirecte et probablement imaginaires; nous rappelons que la
biographie de Colombini a été écrite au XVII siècle…
Il est possible que St Roch ait retardé son arrivée à Rome. Il suivait pas à pas les méfaits
de l’épidémie et soignait les gens sur son passage; il traversa l’Italie centrale et s’arrêta en
Émilie Romagne. Il avait pris l’habitude de tracer le signe de la croix sur le front des
malades et d’invoquer la Trinité de Dieu pour leur guérison, en prononçant la phrase
suivante: «que Dieu détruise tes racines, t’éloigne des maisons que tu possèdes et te
fasse renoncer à la terre des vivants, au nom du Père, du Fils et du l’Esprit Saint». Face à
cette démonstration exemplaire de sa foi, on rapporta que c’était Dieu lui-même qui l’avait
envoyé pour en faire un instrument de sa Grâce en lui accordant le don de guérir
miraculeusement les pestiférés.
[10] L’AUDIENCE PAPALE. Un des épisodes les plus connus de la vie de saint Roch est sa
rencontre avec le souverain pontife. C’est un témoignage de grande valeur pour attester
de la nouvelle chronologie de sa vie. De 1309 à 1377, les papes se trouvaient en Avignon,
37
et l’on enregistra à cette époque, entre le 16 octobre 1367 et le 5 septembre 1370, le
séjour à Rome bien que bref d’un seul pontife. Le pape en question était Urbain V, un
Français qui avait été professeur à l’université de Montpellier.
Il avait décidé de rétablir le siège de la papauté à Rome, malgré les fortes oppositions
internes. Il échoua et retourna en Avignon où il mourut quelques mois plus tard. Son
successeur Grégoire XI réussit dans cette entreprise et mit définitivement un terme à la
longue période d’exil en terre de France, en grande partie grâce à la détermination de
Sainte Catherine de Sienne.
En admettant donc que le pape que St Roch a rencontré soit Urbain V, il devait être à
Rome fin 1367 début 1368. Comme partout ailleurs, St Roch se mit au service des
malades et des souffrants dans un hôpital de Rome. C’est là que se produisit une guérison
très remarquée car le malade était un cardinal; c’est ce prélat qui aurait organisé
l’audience papale, en signe de reconnaissance. L’hôpital serait l’hôpital du St Esprit; son
fondateur était Guy le Bienheureux, fils de Guillaume VII de Montpellier, et c’est ce lien
ténu avec Montpellier qui servirait de preuve… mais c’est bien peu de chose pour étayer
cette hypothèse.
Beaucoup de conjectures ont été faites en revanche sur l’identité du prélat. On a parlé du
frère du pape Urbain V mais c’est une suggestion comme tant d’autres. Selon Pitangue il
ne s’agissait pas d’un cardinal mais plutôt du régent «pro tempore» de la Pénitence du
Vatican, Gaillard de Boisvert.
Ce mystérieux «cardinal» avait sans aucun doute accès aux plus hauts niveaux de la
hiérarchie de la Curie romaine car il organisa l’audience papale pour son guérisseur. Saint
Roch s’agenouilla humblement devant Urbain V. Le souverain pontife semble avoir été
profondément touché par le charisme de St Roch et aurait déclaré «il me semble que tu
viens du Paradis!».
Le séjour de St Roch à Rome, selon la nouvelle chronologie, se serait terminé en 1370 ou
1371. Là encore nos informations ne sont pas assurées.
[11] LES EVÈNEMENTS DE PLAISANCE. La situation semble devenir plus claire quand St Roch
se présente à Plaisance. Il vit une série d’évènements qui semblent plus dignes de foi tels
qu’ils sont racontés dans les différentes hagiographies. Si nous nous basons sur la nouvelle
chronologie, l’entrée en ville remonte au mois de juillet 1371.
St Roch se rendit dans un hôpital pour continuer son oeuvre de réconfort et d’assistance
auprès des malades. La tradition veut qu’une nuit il entendit en rêve une voix qui lui dit:
«Roch lève-toi, tu es guéri de ta maladie». Il comprit alors qu’il venait d’être frappé de la
peste: guéri dans l’âme du péché, il devait subir l’épreuve de la maladie dans son corps et
se purifier. Il fut chassé de l’hôpital et se traîna péniblement jusqu’à la forêt voisine pour
s’isoler et mourir en paix.
La localité où il se réfugia selon la tradition locale est la ville de Sarmato, à environ dixsept kilomètres de Plaisance. Là il réussit à se désaltérer et nettoyer sa blessure grâce à
une source proche. On peut encore aujourd’hui visiter la «fontaine» et la «grotte» où St
Roch s’est réfugié.
Mais St Roch n’avait pas de quoi manger et c’est un chien qui lui apporta tous les jours un
morceau de pain qu’il chapardait dans la cuisine de son maître. Cet animal est représenté
depuis lors comme le compagnon inséparable de St Roch et a été immortalisé au cours
des siècles en d’innombrables représentations artistiques et artisanales.
38
Gothard était le nom du maître du chien. C’était un homme d’une famille aisée qui s’était
rendu dans sa résidence d’été pour se protéger de la contagion. Intrigué par les allées et
venues de son chien, il le suivit et c’est ainsi qu’il rencontra St Roch. Ne tenant pas
compte des invitations répétées de St Roch à s’éloigner du danger, Gothard au contraire
l’aida et se lia très vite d’amitié pour lui dans un même élan de profonde reconnaissance
de la foi chrétienne.
Gothard devint le disciple de St Roch. Il entreprit de vendre ses biens pour se rapprocher
du Christ et de ses commandements et revêtit l’habit de bure, à la stupeur de ses proches.
La découverte de l’identité de St Roch avait eu lieu au moment de sa guérison. Quand ils
se séparèrent, ce fut avec beaucoup d’émotion: les deux amis ne se revirent jamais.
Gothard est traditionnellement associé à une famille noble de Plaisance, les Pallastrelli. Il
serait l’un de ses membres. Son nom est aussi associé à une célèbre fresque qui se trouve
encore dans l’église de Sainte Anne à Plaisance, attenante à l’origine à l’«Hôpital de Notre
Dame de Bethléem». On a écrit que la fresque représentait à l’origine la Vierge Marie avec
Saint Joseph, que l’image de St Roch a été peinte par Gothard et qu’un peintre anonyme
aurait bien plus tard représenté Gothard. Ces hypothèses ont toutes été rejetées par les
experts qui ont jugé bien trop récente la fresque pour qu’elle soit authentique.
Gothard est de plus considéré l’auteur de la première hagiographie présumée de St Roch,
qui aurait servi de base aux écrivains successivement. Ce texte est perdu. Toutefois toutes
ces informations sont difficilement vérifiables et une fois de plus nous devons nous
cantonner à des hypothèses car nous perdons toute trace après que les deux amis se sont
quittés. On parle dans certains textes de la mort de Gothard, seul, dans un pays lointain,
en état extrême de pauvreté.
[12] SES DERNIÈRES ANNÉES. Après le départ de Plaisance, les informations concernant St
Roch sont de nouveau vagues et peu fiables. Elles proviennent de sources indirectes, sont
reprises de textes anciens et de légendes. L’histoire reste cependant la même à la
exception du lieu de sa mort qui, comme nous le verrons, a été colporté de façon erronée.
St Roch va rencontrer chemin faisant de nombreuses difficultés, une région en guerre et
va se trouver ainsi confronté à une situation politique fragilisée, qui va mettre sa vie en
danger. Ses vêtements de pèlerin sont en mauvais état et vont attirer l’attention des
autorités, qui le soupçonneront d’être un espion de l’ennemi. Il sera arrêté et interrogé et
refusera de donner son identité pour rester fidèle à son vœu de pauvreté.
Il sera alors jeté en prison et y restera pendant cinq ans; il vivra cette épreuve comme
une forme de «purgatoire» pour l’expiation de ses péchés. Alors que sa mort approche, de
nombreux prodiges se seraient produits, typiques des hagiographies de saints. L’un de ces
prodiges, le plus plausible, est l’invocation qu’il fit à Dieu pour qu’il lui accordât la grâce de
guérir les malades de manière à ce qu’ils puissent à leur tour prier Dieu en se souvenant
de lui. Il mourût le 16 août, le lendemain de la fête de l’assomption de la vierge Marie, en
1376 ou en 1379 selon la nouvelle chronologie, comme le veut la tradition.
Le coup de théâtre final est l’un des épisodes les plus connus des hagiographies du Saint.
En observant la marque de naissance sur sa poitrine en forme de croix vermeille, la mère
du gouverneur comprit enfin son identité et déclara qu’«il était le fils de messer Jean de
Montpellier». De fait, le gouverneur lui-même n’était autre que l’oncle de St Roch: certains
textes disent du côté paternel, d’autres du côté maternel.
La reconnaissance est un autre «lieu commun» classique aussi bien des ouvrages qui ont
trait à la vie des saints, qu’à la Bible ou même à la mythologie ancienne. Seul Jean de Pins
39
voulut changer la tradition de l’oncle paternel et parla de l’oncle maternel et de l’origine
lombarde de la mère de St Roch. Ses affirmations, à vrai dire, sont indémontrables, mais
elles ont été utilisées par d’autres auteurs pour soutenir la thèse de l’arrestation et de la
mort du Saint en Lombardie. Mais comme nous le verrons, nous avons d’autres éléments
pour alimenter nos réflexions.
[13] SA MORT À VOGHERA. Durant des siècles, on a déclaré que St Roch était mort dans sa
ville natale de Montpellier («sa patrie» selon Diedo); quelques historiens, en particulier
Augustin Fliche, l’ont située à Angera sur le lac majeur («Angleria» dans les Acta breviora).
Une autre hypothèse, jugée totalement fantasque, parle vaguement de terres allemandes.
Cette dernière a très tôt été écartée.
L’hypothèse de la ville natale doit aussi être écartée pour une longue série de raisons, à
commencer par le fait que le premier témoignage sur place du culte du Saint remonte à
1505; ce témoignage parle d’une procession dédiée à St Roch et à St Sébastien. D’autres
témoignages qui seraient datés de 1415-1420, ont été contestés et écartés. Même s’ils
étaient pris en considération, ils seraient postérieurs à l’un des documents de Voghera
dont nous parlerons plus tard. Du reste, pendant tout ce temps, l’Université de Droit de
Montpellier invoquait ses habituels protecteurs contre la peste: St Fabien et St Sébastien.
Peut-on imaginer pareille chose dans la ville qui aurait dû posséder la tombe, l’église et le
corps du saint le plus vénéré de la chrétienté de l’époque, pour implorer la protection
divine contre le fléau de la peste?
En ce qui concerne Angera, il n’existe aucun témoignage qui parle de la présence du saint
dans cette ville et dans les villes limitrophes et encore moins de la présence de ses
reliques. Il est donc probable qu’il y ait eu confusion entre Angleria-Agera/Angera et
Viqueria/Voghera, comme l’a expliqué l’un des plus grands spécialistes de la vie de saint
Roch, Monseigneur Antonio Niero: "Le passage (..) d’Ugera, variante populaire d’Agera ou,
de l’allemand Ughera à Voghera, [n’est] pas improbable, par les phases Ughera-Vughera,
(..) si l’on prend en considération la possibilité de modifier le «U» et «V», très commun
dans la phonétique latine".
Par ailleurs, des sources plus anciennes rappellent que St Roch se trouvait dans un territoire «où régnait la discorde». Une telle description se prête aisément à la zone comprise
entre Plaisance et Voghera, qui était une zone critique de frontière des territoires du
Duché de Milan, lequel, pour les protéger et les faire respecter, était toujours en guerre.
Entre 1371 et 1375 Bernabò Visconti conduit une guerre ouverte contre la ligue papale de
Urbain V, dirigée par Amédée VI de Savoie et occupée à défendre les possessions
pontificales des ambitions milanaises.
Sur les territoires des Visconti, dans les zones frontalières en particulier ou dans les zones
de grand passage, les pèlerins étaient mal vus et d’autant plus s’ils se montraient réticents
à répondre aux questions comme l’avait fait St Roch. La crainte des espions était très vive,
et il suffisait du plus petit soupçon pour jeter quelqu’un en prison. On ne peut pas affirmer
que St Roch n’ait atteint le Lac Majeur ou même le territoire français mais il est plus
probable qu’il ait été arrêté bien avant.
A cette époque, Galeazzo II, frère de Bernabò, avait fait renforcer les fortifications de
Broni, Casteggio et surtout de Voghera, point stratégique de la défense militaire; Parme
faisait partie depuis peu des terres du duché de Milan, Plaisance était au cœur de la
querelle, de hauts prélats de l’Émilie Romagne avaient été emprisonnés, et le conflit avec
le Saint Siège avait atteint son paroxysme.
40
On peut raisonnablement supposer que St Roch a été arrêté dans les environs de Broni,
comme le soutient François Pitangue, et qu’il a été conduit devant Castellino Beccaria, le
surintendant militaire des Visconti. Il est possible que l’un de ses proches collaborateurs
ait été le gardien de prison du Saint, celui-là même qui, selon les hagiographes, découvrit
plus tard être son oncle.
Mais les éléments les plus marquants qui confortent en substance l’hypothèse de sa mort
à Voghera sont les suivants: la documentation qui atteste de la présence de son corps et
de ses reliques en 1469 et de leur vol en 1483, ainsi que le document conservé dans les
Archives Historiques, qui fait actuellement partie des registres des «Statuta civilia et
criminalia» (lois civiles et pénales) datées de 1391. Nous reparlerons de tout cela plus en
détail au chapitre suivant.
41
Chapitre deuxième
LES RELIQUES ET LES TÉMOIGNAGES LITURGIQUES
LE RÔLE DÉCISIF DE VOGHERA
[1] L’IMPORTANCE DES RELIQUES ET DES TÉMOIGNAGES LITURGIQUES POUR LA CONNAISSANCE
SAINT. Le problème des reliques de saint Roch est encore plus complexe que celui de
ses hagiographies. Comme on l’a vu, les études des historiens se sont jusqu’ici focalisées
surtout sur ces dernières, qui se regroupent en deux grandes traditions: celle de la Vita
Sancti Rochi de Francesco Diedo et celle des Acta breviora. La première fixe la vie du Saint
entre 1295 et 1327, alors que la seconde est dépourvue de chronologie.
DU
Ces auteurs s’en sont servi pour tenter de discerner ce qui pouvait leur permettre de classer
«les faits et les gestes» du Saint dans leur chronologie. C’est une méthode toujours très
risquée dans la mesure où les récits hagiographiques ont souvent été rédigés longtemps
après les évènements et ont été inévitablement l’objet d’un remaniement de style. Comme
nous l’avons déjà dit, il s’agit avant tout d’un genre littéraire finalisé à donner un guide aux
fidèles plutôt qu’une reconstruction historique fidèle. L’hagiographe est plus orienté vers une
représentation du saint en tant que modèle de sainteté exemplaire à suivre.
En ce sens, il est souvent difficile de distinguer avec certitude si tel fait est digne de foi ou
s’il s’agit d’un lieu commun emprunté à d’autres vies de saints ou à l’Ecriture Sainte. En
concentrant toute leur attention sur des oeuvres de ce genre, beaucoup de chercheurs ont
trop souvent négligé d’autres sources tout aussi intéressantes et bien souvent plus fiables.
C’est le cas des pièces archéologiques – principalement les reliques – et des témoignages
liturgiques, qui ont l’avantage de nous aider à comprendre où et quand est né un culte,
indépendamment de ce qu’en disent les hagiographes.
Comme nous l’ont montré les «Bollandistes» – le célèbre collège de savants jésuites belges
qui gère depuis des siècles, avec beaucoup de scrupule, l’édition critique de la vie des
saints – il est plus important de chercher à identifier le lieu où s’est manifestée de façon
régulière la première tradition liturgique et la première vénération des reliques. De cette
façon, on peut espérer établir avec plus de précision le lieu et la date de la mort d’un saint
plutôt qu’en prenant ces informations dans les livres des hagiographes. De plus le jour de
l’année qui marque la célébration du saint est une indication bien plus précieuse que
l’année supposée de sa mort. Cette information est souvent le fruit de l’imagination de
l’hagiographe et lui permet de se distinguer des autres écrivains en donnant une grande
crédibilité à son histoire et en la valorisant. Dans cet esprit, nous verrons comment les
recherches effectuées à Voghera acquièrent tout leur poids par rapport aux données
hagiographiques en termes de liturgie et de temps.
C’est souvent par manque d’intérêt et par manque de compétences méthodologiques ou
simplement devant la complexité du travail de recherche que la plupart des écrivains se
sont limités à rappeler les deux grandes traditions qui parlent des reliques, l’une en
provenance d’Arles et l’autre de Venise, alors que la réalité des faits est beaucoup plus
complexe et souvent obscure.
Avant d’entrer dans le vif du sujet, il est indispensable de signaler que certaines des
hagiographies parmi les plus anciennes ne mentionnent ni la présence ni le transport des
reliques. Il s’agit encore de la Vie Sancti Rochi de Francesco Diedo (1479, première
édition) et des Acta breviora (1483). Cette observation peut expliquer la difficulté des
anciens hagiographes à identifier les premiers lieux de culte.
42
À ce sujet, seul Diedo fit une tentative de reconnaissance de la tradition cultuelle en se
rapportant au Concile de Constance de 1414. Nous verrons toutefois que ses théories sont
réfutées non seulement par les faits, dont nous avons des traces écrites, mais aussi parce
qu’aujourd’hui nous pouvons nous expliquer comment s’est propagé le culte de saint Roch.
Une chose est certaine: lorsqu’en 1479 Francesco Diedo se réfugia à Salò pour fuir
l’épidémie qui sévissait à Brescia et rédigea sa Vita Sancti Rochi, il ne connaissait pas
l’existence du culte à Voghera, ni la présence des reliques du saint que l’on vénérait
depuis 1469, ni que son nom était déjà connu à la fin du XIV siècle.
[2] LA VERSION ARLÉSIENNE. Cette version qui a pour origine le «Martyrologe franciscain»
(1638) d’Arturo del Monastero (Arthur du Monastère) raconte que les reliques furent
transportées de Montpellier à Arles en 1372, par Jean le Meingre de Boucicault, Maréchal
de France. Mais Jean le Meingre, né en 1365 et mort en 1421, avait seulement sept ans à
ce moment-là…
Comme d’autres historiens avant nous, cette affirmation n’a pas été retenue. Plusieurs
générations d’historiens français et d’autres nationalités ont tenté de concilier cette
chronologie avec la généalogie des Boucicault sans succès. On peut tout au plus dire avec
certitude qu’au début du XVI siècle, il existait à Arles des reliques puisque Arturo del
Monastero mentionne un acte de donation du 2 juin 1501 qui se réfère à plusieurs
reliques. La donation est faite par les Trinitaires d’Arles en faveur de monastères du même
ordre du Royaume de Grenade. L’acte fait suite à une bulle du 4 février signée par le pape
Alexandre VI, qui demande que soit fait un don pieux dans cette région afin de propager
la foi catholique, puisque la région vient récemment d’être reconquise aux Musulmans.
Il est intéressant de noter que l’on retrouve dans cet acte l’attestation du don du maréchal
de Boucicault, et on y fait mention du lieu d’origine des reliques, parmi lesquelles se
trouvent celles de saint Roch; mais c’est Jérusalem qui est citée et non pas Montpellier.
Pierre Bolle a en outre montré que la date du déplacement présumé (1372) est fausse! En
conclusion, nous pouvons affirmer que cette version relève de la plus pure fantaisie,
puisqu’elle est née sur la base d'un document contrefait.
[3] LES VERSIONS VÉNITIENNES. Il existe des reliques à Venise mais à la différence d’Arles,
cette information est documentée. Dès 1485, le patriarche Maffeo Girardi informa les
«Capi» du célèbre Conseil de Dix que la «Scuola Grande di San Rocco» (la confrérie de St
Roch) avait acheté d’importantes reliques provenant d’une ville qu’il dénomma «Ugeria»
(c’est-à-dire Voghera). Cette information est bien documentée: une copie de la lettre de
13 mai 1485 se trouve encore dans le registre du Conseil des Dix ainsi que la délibération
s’y afférant.
Pourtant, c’est sur la provenance et le mode d’acquisition de ces précieux ossements que
cette information sera ultérieurement analysée. Les versions à ce sujet sont nombreuses
et très variées.
• Pour Marcantonio Sabellico, écrivain contemporain des faits et auteur du livre «De situ
urbis Venetae» (1490), les reliques provenaient de la «Gallia», c’est-à-dire de France: une
évidente dérivation de l’ancienne hagiographie de Diedo.
• Dans l’édition du «Supplementum chronicarum» du 1485, Giacomo Filippo di Bergamo
(Jacques Philippe de Bergame, dit aussi Foresti) n’en indiqua pas la provenance, mais il
parla de leur placement dans l’église de Saint-Job de Venise, à la pointe extrême du
Cannareggio, une localisation plutôt curieuse qui disparaîtra de toutes les éditions
suivantes. On trouve en revanche, dans l’édition revue et correcte de 1513 – et pour la
43
première fois – que la provenance des reliques est le diocèse italien de Tortona (qui
comprend Voghera).
• Au XVI et XVII siècle, selon certains historiens, un certain nombre de chroniqueurs de
Venise et de la région laissèrent entendre que la transaction des reliques avait été
effectuée avec des marchands allemands. C’est le cas, encore, du chroniqueur Jacques
Philippe de Bergame, mais dans une édition posthume de son «Supplementum» (Venise
1535) et dans des livres que nous définirions aujourd’hui de guides touristiques, comme
«Venetia città nobilissima et singolare» de Francesco Sansovino (1581), le «Mercurius
Italicus» de Ioannis Henrici (1628) et «Il ritratto di Venezia» de Dominico Martinelli (1684).
• C’est à partir de 1674 qu’apparaît pour la première fois sous forme de fascicule imprimé
(et donc destiné à une grande diffusion) un livre écrit par Francesco Ciapetti, repris par
Giorgio Fossati (1751) et Flaminio Corner (1761). Cette œuvre a été commandée par la
Scuola Grande de Venise. Le récit que l’on fait des reliques est désormais connu: Frate
Mauro (frère Maur) est un moine Camaldule de San Michele di Murano qui a fait le vœu en
prison d’aller à Voghera y chercher des reliques. Il les aurait finalement ramenées à Venise
en mars 1485, après avoir tenté une première fois sans succès de tromper la vigilance des
gardiens.
Cette version s’appuie sur un procès d’authentification des reliques, présidé en 1485 par le
Patriarche de Venise et rapporté dans un acte parcheminé très détaillé. Cet acte est
encore conservé dans les Archives de la «Scuola Grande» de Venise. Ce «Procès-verbal»
toutefois rencontre de sérieuses critiques qu’il est difficile de traiter dans un essai de
vulgarisation comme celui-ci, mais nous pouvons dire qu’il est composé de différents
documents, quelques-uns contrefaits, mais quelques-uns (importants) dignes de foi.
[4] LA COMPARAISON AVEC LES SOURCES DE VOGHERA. Le problème majeur rencontré réside
dans l’analyse et la comparaison de la documentation à notre disposition. En mai 1483,
dans le «Liber provisionum», c’est-à-dire les registres du Conseil Général de la Commune
de Voghera, on évoque un vol probable de reliques à l’intérieur de l’église de Saint-Henri
(qui est aujourd’hui la paroisse de Saint Roch), on parle du renforcement de la surveillance,
du vol lui-même et finalement de l’arrestation du suspect, frate Giovanni Teutonico (frère
Jean Teutonique).
L’incident plutôt confus se conclut par la constatation que les reliques étaient bien à leur
place (!), comme s’il y avait eu arrangement à l’amiable, ou que l’on n’ait pas voulu
alarmer la population ou nuire à la réputation de l’Hôpital de Saint Henri (actuellement
l’oratoire de Saint Roch). Les registres de 1485 ne mentionnent absolument rien.
Il existe d’autres versions plus récentes mais peu crédibles qui témoignent d’un vol de
reliques à Montpellier effectué par douze moines ou encore d’un marchandage sous forme
de vol, par un certain Alvise Dal Verme, lié aux seigneurs de Voghera, le frère Mauro et la
«Scuola Grande» de Venise. Cette dernière hypothèse est probablement la plus plausible
et a été décrite dans les documents cités plus haut. Comme nous pouvons le constater, les
difficultés pour mettre la lumière sur cet incident sont grandes.
Il nous parait toutefois peu opportun de mettre en doute le rôle que Voghera a vraiment
joué dans l’affaire des reliques de saint Roch, car les registres du Conseil Général sont
formels et parlent de la vénération des reliques du saint dès 1483. Il est d’autant plus
difficile de mettre en doute la délibération du Conseil Général qui attestait la présence des
reliques du Saint le 28 février 1469 dans l’église de Saint-Henri. Le registre du Conseil a
disparu mais nous possédons une copie de l’original, qui a été copiée en 1788.
44
Il y a aussi un élément déterminant et peut-être le plus important: de toutes les versions,
de leurs divergences, des villes nommées, des explications fantaisistes, des références
douteuses, du rôle de Venise ou celui d’Arles, de l’hypothèse de la vente plutôt que du
vol… seule Voghera peut vanter de posséder des documents officiels. Ce sont de véritables
«procès-verbaux» authentiques, qui n’ont subi aucune modification ni composition et qui de
surcroît confortent l’histoire.
Un document date de 1469 et un autre de 1483. Tous les deux attestent de la présence
des reliques et donc de l’existence du culte dédié à saint Roch. Ce sont aujourd’hui les
témoignages les plus anciens connus et reconnus en Italie et en Europe.
Si l’on considère en outre que Voghera se trouve au centre d’une région où la dévotion à
St Roch est fortement ancrée, comme l’explique Antonio Niero dans ses travaux (nous en
parlerons plus tard), on peut effectivement mettre en doute l’origine française du culte
partant du Languedoc. Une information de caractère liturgique semble par ailleurs
confirmer ces faits: la mention d’une fête de la St Roch au chapitre des jours du calendrier
à commémorer dans les «Statuta civilia et criminalia» de Voghera, approuvés officiellement
par Gian Galeazzo Visconti en 1391. Deux copies manuscrites sont conservées dans les
Archives municipales: l’une est incontestablement contemporaine, l’autre contient quelques
parties rédigées après 1480.
Il est clair qu’un document daté 1391, qui précède de presque 80 ans deux documents de
tout aussi grande valeur, constitue un témoignage absolument extraordinaire.
[5] VOGHERA AU CENTRE DU CULTE DE SAINT ROCH. En définitive, le seul problème que peut
poser ce document est justement sa précocité, au point que l’on peut se demander s’il
s’agit bien du même saint. Il existe en effet un autre saint avec un patronyme presque
identique, du nom de Roch ou Racho ou encore Rochon (en latin Ragnobertus), évêque et
martyr d’Autun. Les saints français ont toujours exercé un attrait particulier dans la région
de Voghera. C’est le cas de San Bovo, pour en nommer un, et nous sommes conscients de
cela.
Deux indices nous permettent toutefois de penser que la mention du calendrier de
Voghera de 1391 concerne réellement st Roch de Montpellier. En premier lieu, les noms
des saints sont cités en latin et au génitif, et nous trouvons «sancti Rochi» (et non pas
«sancti Rochonis», le génitif de l’évêque d’Autun). En deuxième lieu, la fête attribuée à
notre saint est indiquée en été, et nous savons que le 16 août est la date traditionnelle de
commémoration de St Roch, alors que la fête de Rochon d’Autun se situe au mois de
janvier.
De plus, des recherches plus récentes nous ont permis d’analyser bon nombre de
coïncidences et de doutes et de comparer les deux cultes d’un point de vue liturgique,
avec des résultats souvent déconcertants. Cette partie plutôt technique ne sera pas traitée
dans ce texte mais il existe assez d’éléments de nature liturgique pour nous permettre de
préparer un nouveau chapitre pour répondre de façon originale aux questions concernant
la partie cultuelle. Cependant, si les hypothèses sur l’historicité de saint Roch sont encore
différentes, un large consentement existe à propos de la localisation de la zone de
Voghera et Plaisance comme point de départ du culte, qui s’est ensuite répandu à Venise
et a pénétré le territoire français en un second moment.
Pour être absolument sûrs que notre pèlerin est bien le guérisseur des pestiférés, il faudrait
pouvoir trouver l’information qui donne la date de la fête de Saint Roch sur le calendrier
de 1391 et la présence des reliques en 1469 dans l’église de l’hôpital de Saint Henri.
45
C’est ce que nous avons tenté de faire récemment, en parcourant systématiquement les
procès-verbaux de tous les Conseils Généraux de la Commune de 1378 à 1500. Mais
malgré ce travail méticuleux, il ne nous a pas été encore possible d’en trouver la moindre
mention et aujourd’hui nous ne sommes pas en mesure d’affirmer sans équivoque qu’il y a
bien eu la présence et la continuité du culte de saint Roch dans cette région.
Dans la paroisse de Saint Roch cependant, il existe un document très intéressant mais
plus tardif. Il s’agit du «procès-verbal» qui règle une querelle qui date de 1584 entre les
chanoines du Chapitre de Saint-Laurent et les Dominicains de Sainte Marie de la Pitié. Ce
document établit qui est propriétaire de la Chapelle de St Roch, s’il est possible d’y
effectuer des sépultures et le statut de la Chapelle, pour y célébrer les offices sacrés.
Les témoins sont presque tous très âgés, le plus vieux d’entre eux a 81 ans. Leurs
déclarations sont très intéressantes. Tous affirment que dans cette église se trouvaient les
reliques du Saint, personne en revanche ne parle du vol de ces reliques à un siècle de
distance du vol présumé… ce qui confirmerait au moins que l’affaire de 1483 a été
habilement étouffée.
Comme on peut le constater l’affaire des reliques et le début du culte sont encore loin
d’être éclaircis. Nous sommes convaincus que seules la découverte et l’analyse critique de
nouveaux documents pourraient nous permettre de proposer une hypothèse adéquate.
La distribution topographique des différentes sources d’information et la pulvérisation des
centres de documentation ne favorisent pas les recherches: Voghera et ses Archives
municipales, la Paroisse de Saint-Roch et l’Église de Saint-Laurent; Tortona et son Evêché;
Venise et les Archives d’État, la «Scuola Grande di San Rocco», les archives du patriarche
et celles des églises et paroisses limitrophes, liées à la confrérie de Saint Roch, comme
Santa Maria dei Frari, San Pantaleone ou San Tomà.
Avec une liste aussi bien fournie et ancienne d’archives et d’informations géographiques et
chronologiques, on pourrait raisonnablement penser que Voghera est à l’origine du culte
de St Roch. Cette pensée est encore plus forte lorsque l’on passe en examen tous les
autres lieux potentiels de rayonnement, notamment ceux auxquels nous mènent inévitablement les différentes hagiographies, comme Montpellier par exemple. En comparant les
documents à notre disposition, on est frappés par l’extrême fragilité des témoignages
écrits et archéologiques de Montpellier et du fait que le culte de Saint Roch sur place est
incontestablement plus récent et géographiquement bien moins répandu.
Un autre élément nous encourage à poursuivre nos recherches dans ce sens. Il s’agit du
rôle que Voghera a joué sur la route des pèlerins. Voghera est en fait à la croisée de deux
chemins extrêmement fréquentés au Moyen-âge: celui qui arrive de Milan et va vers Rome
en passant pour Gênes, la Ligure et la Toscane; et celui qui part du Piémont et après Turin
et Alexandrie, passe par Voghera et Plaisance et continue vers Rimini, où les pèlerins
s’embarquaient pour la Terre Sainte – s’ils ne s’arrêtaient pas en route à Venise pour y
visiter ses fastueux sanctuaires.
Voghera était donc au croisement de la route des «Palmieri» (les pèlerins allant à
Jérusalem) et de la route des «Romei» (les pèlerins allant à Rome), sans compter les
pèlerins italiens allant à Saint Jacques de Compostelle, qui empruntaient les mêmes
routes. A Voghera, au XIV siècle, on comptait une bonne dizaine d’hospites (lieux d’accueil
des pèlerins), les plus anciens étant celui de Saint Pierre, près du pont du Staffora, qui
date de 714 et celui de Saint-Henri, en honneur de l’empereur allemand Henry II le Saint,
qui l’aurait fondé durant un séjour en Italie entre 1004 et 1014. En 1497 l’hôpital et
46
l’église furent annexés par les Dominicains; en 1525 les travaux de rénovation portèrent à
l’actuelle église de Saint-Roch.
L’hospital pour les pèlerins de Saint Henri était situé au bord de cette importante voie de
communication. Il s’agit de l’ancienne «Via Emilia» qui correspond en grande partie à la
«Via Francigena». L’hospital se trouvait sur la route de Tortona, près de l’entrée sud-ouest
de la ville, à la Porte Rossella. En direction de l’Est, les étapes suivantes étaient Broni et
puis Plaisance, à une distance égale d’une journée de marche environ. Outre les
nombreuses auberges et hôpitaux, la vocation de ces centres de pèlerinage s’exprimait à
travers le culte fervent, dont faisaient l’objet les pèlerins qui mourraient en route. C’est le
cas en particulier de San Contardo à Broni mais aussi à Plaisance.
On peut supposer que ce fut aussi le cas de St Roch à Voghera et nous arriverons peutêtre à conforter cette hypothèse en persévérant dans nos recherches. Si nous pouvions
démontrer la continuité du premier lieu de culte de St Roch entre 1391 et 1469, nous
pourrions baser notre thèse sur la dévotion locale de la sépulture d’un pèlerin, dont les
hagiographes se seraient emparés pour raconter à leur manière un culte au XV siècle en
transformant abondamment l’histoire.
Au-delà de la légende nous pourrions peut-être retrouver les véritables origines du culte et
mieux connaître la personnalité d’un saint qui présente la particularité d’être le plus
populaire au monde… et à la fois le plus entouré de mystère.
47
Chapitre Troisième
LE CULTE ET LA DÉVOTION POPULAIRE
[1] LA CANONISATION. La propagation du culte de saint Roch fut presque immédiate et a
pris d’énormes proportions au fil du temps. Bien que très populaire, on ne connaît pas
avec certitude la date de sa canonisation ni les motivations qui furent invoquées pour
l’élever à ce titre. Parmi les hagiographes de la première heure, seul Diedo affirme que
l’initiative fut prise en 1414 par le Concile de Constance, qui avait selon lui été sauvé de la
peste par l’intercession de St Roch. Quelques écrivains successivement soutinrent la thèse
qu’il s’agissait du concile de Ferrara (1437-39) mais aucun acte ou document de l’époque
en parle.
Il n’est donc pas surprenant que quelques historiens aient douté de la valeur historique de
sa canonisation. On peut penser à juste titre que l’énorme popularité du saint et la
diffusion à grande échelle de son culte aurait pu déclencher spontanément sa sainteté.
C’était par ailleurs une pratique assez courante à cette époque.
Un certain nombre d’historiens ont même mentionné le nom de quelques pontifes qui en
auraient officiellement ratifié la dévotion, parmi lesquels il y aurait eu des antipapes, ceuxlà même que l’Église avait rejetés. Parmi les premiers, il y aurait Martin V (mort en 1431).
Quant aux antipapes, il y aurait eu Clément VII (mort en 1394), Bénédicte XIII (déchu en
1409) et Jean XXIII (mort en 1419). Mais ce sont seulement des hypothèses dépourvues
de tout fondement.
Il est vrai en revanche que la situation se clarifia au début du XVI siècle. En 1499
Alexandre VI donna son consentement à la création d’une confrérie romaine dédiée à
Saint Roch, alors qu’en 1547 Paul III le fit inscrire dans le livre franciscain des Martyrs. La
dévotion pour St Roch avait atteint une telle envergure dans le monde qu’en 1590 Sixte V
demanda à l’ambassadeur vénitien à Rome de lui remettre une biographie relatant sa vie
et les miracles qu’il avait accomplis, afin de pouvoir le canoniser officiellement. Il était en
effet impensable d’exclure «St Roch du cercle exclusif des saints, sans créer un scandale
que l’Eglise n’aurait pu justifier devant le peuple!».
Le Missel romain du reste comptait déjà dans son rituel une messe qui lui était dédiée;
Grégoire XIV (mort en 1591), quant à lui, fit inscrire son nom dans le livre romain des
Martyrs. Enfin, dans un texte daté du 16 juillet 1629, Urbain VIII invoquait en son nom et
en celui du peuple romain la protection de St Roch contre les épidémies. Il en décrivit les
Saintes virtus de thaumaturge dans une Bulle du 26 octobre de la même année. En fait,
comme le faisait remarquer Ode de Cissey au XVI siècle, «la piété et l’attachement des
chrétiens à St Roch étaient si forts que l’Eglise et son représentant suprême ont reconnu
tacitement sa sainteté sans devoir recourir à aucune enquête».
[2] LA DIFFUSION DU CULTE. L’étendue et la rapidité avec laquelle s’est propagé le culte de
St Roch se sont manifestées au moyen d’innombrables témoignages artistiques, culturels,
caritatifs et dévotionnels. Il est sans aucun doute le saint le plus populaire au monde de
toute l’histoire de l’Église; son culte est parti d’Italie et s’est propagé en Allemagne, puis
aux Pays Bas et en France. Il s’est ensuite étendu à de nombreux pays d’autres continents.
De très nombreux exemples peuvent être cités, comme Punta San Roque (Californie) et
Boston (Massachusetts) aux Etats-Unis, Buenos Aires en Argentine, Cabo Sao Roque au
Brésil, Dekwané au Liban, mais aussi Haïti, Madagascar, Indochine…
48
En Italie, nous avons recensé plus de soixante communes ou hameaux qui portent son
nom et cette liste n’est pas complète. Les églises, les chapelles et les oratoires édifiés en
son nom sont plus de trois mille. Les paroisses qui portent son nom seul ou accompagnant
d’autres saints sont au moins deux cent soixante.
Les témoignages les plus anciens semblent remonter au XV siècle et bien que l’on parle
souvent des édifices consacrés de Lodi et de Limone, des peintures et sculptures de
Bruxelles et d’Avignon, des calendriers liturgiques de Maguelonne, les dates de chacun de
ces témoignages et leur attribution même à St Roch est souvent contestée.
Les informations sur l’autel dédié à St Roch, qui se trouvait dans une chapelle dominicaine
dans sa ville natale, sont dénuées de fondement. La première confrérie fut constituée dans
l’église Notre Dame des Tables seulement en 1661, alors qu’en Italie il en existait déjà
plusieurs au début du XV siècle. Montpellier eut une église dédiée à St Roch seulement en
1830, lorsqu’on lui destina celle qui était précédemment dédiée à St Paul.
En définitive, à l’exception de la chapelle de Brescia (1469), nous pouvons affirmer que la
dévotion à St Roch était déjà bien ancrée dans le nord de l’Italie dès la fin du XV siècle, en
Lombardie et à Venise en particulier; mais il est à peu près sûr que le culte à Voghera a
commencé en 1391. Par ailleurs il semble que son nom Saint ait été associé en 1394 à
celui de Ste Lucie par une confrérie de Padoue, mais l’attestation est plutôt tardive et elle
nous parait peu fiable. Le succès extraordinaire du culte du Saint s’explique par la
présence de ce terrible fléau qu’était la peste; on construisit un peu partout des lieux
sacrés qui lui étaient voués et il devint naturellement le saint patron protecteur contre la
peste. On notera que Louis XIV fit reconstruire en 1653 l’église qui porte son nom, près du
Louvre.
Mais au-delà de la peste, ce qui a fortement influencé l’extraordinaire diffusion de son
culte dans l’Europe entière dès la fin du XV siècle, ce fut le prodigieux rôle commercial et
religieux qui fut mis en place pour les pèlerinages en Terre Sainte, au départ de Venise en
1480. C’est à Venise que se trouve la prestigieuse «Scuola Grande» de Saint Roch. Les
éditions les plus anciennes des hagiographies remontent à cette période: Das leben des
heilegen herrn Sant Rochus à Vienne en 1482 et à Nuremberg en 1484, les Acta breviora à
Cologne en 1483 et à Louvain en 1485, la traduction hollandaise des Acta à Hasselt vers
1488 et celle française de Jehan Phelipot à Paris en 1494.
Après Venise, le centre dévotionnel le plus important de la fin du XV siècle fut la ville de
Nuremberg. C’est grâce à la famille de marchands Imhoff, de la communauté allemande
de Venise, que le culte de St Roch s’est propagé dans la ville bavaroise de Nuremberg. Les
Imhoff, très actifs au sein du célèbre «Fondaco dei tedeschi» (l’entrepôt des allemands) et
de la «Scuola Grande», lui ont donné une véritable impulsion au point d’en faire l’emblème
de famille. Dans les travaux de grande qualité réalisés par Heinrich Dormeier on parle de
l’autel que la famille Imhoff a fait construire dans l’église de Saint-Laurent. Ils créèrent
une confrérie et initièrent la tradition de la procession; ils construisirent même un cimetière
pour les victimes de la peste encore visible de nos jours.
St Roch fut aussi associé à d’autres saints que l’on vénérait pour obtenir leur protection
contre la maladie: saint Sébastien, saint Blaise, saint Côme, saint Damien. Mais c’est à
cheval sur le XV et le XVI siècle que St Roch eut un rôle prédominant non seulement
comme protecteur de la peste mais aussi contre de nombreuses autres maladies
contagieuses, des plus graves aux plus anodines, aussi bien pour les hommes que pour les
animaux. C’est ainsi qu’il devint aussi le protecteur des animaux, des champs et de la vie
paysanne par extension. La dévotion populaire atteignit des proportions inimaginables.
49
Selon la tradition, saint Roch était membre du «Tiers Ordre» franciscain (une attestation
papale datée de 1547 fait foi) et les frères de St François en encouragèrent le culte; le
pape Innocent XII en 1694 chargea les franciscains de célébrer la fête du saint. Un fait
particulier et curieux concerne les poseurs de pavés et les préposés à l’extraction des
roches, qui considéraient St Roch comme leur saint patron; cela s’explique assez bien par
le sens de son nom associé aux métiers de leur corporation.
[3] L’ART ET LES TRADITIONS POPULAIRES. Même les représentations de St Roch sont
nombreuses. Il ne pouvait pas en être autrement. Leur variété présente quelques traits
communs: Saint Roch est presque toujours représenté comme un homme dans sa pleine
maturité en général avec la barbe et portant les vêtements traditionnels du pèlerin. Il est
quelquefois représenté avec la croix rouge imprimée sur sa poitrine mais le plus souvent
avec le bulbe de la peste placé en haut de la cuisse gauche. Ce détail, au début très
réaliste et plutôt cru, devint progressivement moins évident. Il sera ensuite caché sous un
pansement.
Le célèbre chien de Gothard apparut à la fin du XV siècle ou au début du XVI siècle. Il est
souvent représenté couché aux pieds du Saint et avec une miche de pain dans la gueule.
On trouve aussi beaucoup de tableaux représentant St Roch avec un ange et ce sujet ne
s’est jamais vraiment tari au fil du temps.
St Roch a été peint par les plus illustres artistes comme Ghirlandaio, Correggio, Tiziano,
Rubens, Van Dyck, Strozzi, Reni, Veronese et Botticelli. Tiepolo est l’auteur d’un des
tableaux les plus suggestifs, représentant St Roch face à la lumière divine, scène que l’on
retrouve souvent sur les images de prière. Mais l’œuvre la plus majestueuse est sans
aucun doute celle du Tintoretto; une série de tableaux qui décrivent admirablement les
épisodes les plus marquants de la vie du Saint sont conservés dans l’église de Saint Roch
de Venise (et beaucoup d’autres objets dans le musée de la «Scuola Grande di San
Rocco»). Enfin rappelons les magnifiques vitraux de l’église de Saint-Étienne d’Elbeuf, un
des plus beaux exemples de l’éclectisme de la tradition, au-delà des tableaux et de
sculptures.
La tradition folklorique est difficile à répertorier car elle a été traduite sous des formes très
variées. Le culte se manifeste encore aujourd’hui de multiples façons et sans critère
précis, à en juger l’importance des célébrations qui sont déployées en son honneur et la
dévotion réservée aux reliques. Dans certains pays, on récompense les chiens qui se sont
distingués comme celui de St Roch par leur attachement à leur maître. Dans d’autres
villes, on bénit le pain ou l’eau pour rappeler la source de Sarmato, ou encore le puit de la
maison natale de Montpellier. On ne compte plus tous les objets et les images sacrées
destinés aux processions, les «ex-voto», et les bénédictions spéciales ainsi que toutes les
traditions locales.
A remarquer que le prénom Roch est fréquemment utilisé en Italie même s’il ne l’est pas
autant que Giuseppe, Giovanni, Antonio ou Maria. Il est toutefois plus utilisé dans le Sud,
dans les Pouilles en particulier et dans quelques zones de la Campagne et de Potenza;
selon certaines sources, Roch est le 5è prénom le plus commun en Italie du Sud. En
Vénétie, il est plus fréquent comme nom de famille (par example, Roccato).
[4] LE RÔLE DE VOGHERA. La première manifestation du culte local se situe vers 1391,
environ dix ans après la mort de St Roch (par rapport à la nouvelle chronologie, bien sûr,
qui situe sa vie dans la période qui va de 1345/50 à 1376/79). La présence en ville de ses
reliques pendant près d’un siècle laisse penser à une dévotion populaire largement
50
répandue sur le territoire. Cette réflexion est confirmée par la présence de nombreuses
paroisses dédiées à St Roch sur presque toute la péninsule, à l’exception de la Vallée
d’Aoste, du Molise et de la Sardaigne. Dans le nord de l’Italie, on compte plus de 160
paroisses, 60 dans le centre de l’Italie et 48 dans la partie Sud. Plus précisément des 160
paroisse du nord de l’Italie, 27 se trouvent en Ligure, 40 dans le Piémont, 41 en
Lombardie, 30 en Vénétie et 25 en Émilie Romagne.
A travers ces chiffres, comme le souligne Monseigneur Niero, on constate l’importance
numérique des paroisses dédiées à St Roch dans la vallée du Pô et l’on ne peut pas
ignorer l’influence que jouent Voghera et Venise par leur position géographique et en tant
que lieux de dévotion reconnus. Cette réflexion s’appuie en outre sur les 108 paroisses
dédiées à St Roch qui ont été recensées dans le Piémont, en Ligure et en Lombardie. Ce
nombre correspond à la moitié des paroisses recensées dans la vallée du Pô.
Il faut aussi rappeler le fort impact des artères commerciales: la «Via Emilia» de Milan à
Plaisance et à Rimini; la côte ligure vers Gênes, Chiavari et La Spezia et ses ramifications
au sud-est vers la Toscane et Lucca; au nord-est vers le diocèse de Tortona (six
paroisses); les routes vers l’Europe du nord, de Novare à Bergame, de Brescia à Trento,
d’Udine à Gorizia; la côte sud de la Méditerranée de la Campagne vers Naples et Aversa,
et celle des Abruzzes vers Chieti et Vasto; la Sicile orientale, le long du détroit de Messine.
Voghera a donc joué un rôle important dans la diffusion du culte du saint le plus populaire
de toute l’histoire de la chrétienté. Le coeur de la dévotion locale s’identifie avec l’église
paroissiale de Saint-Roch. A l’origine elle fut édifiée en l’honneur de Henri II le Saint,
probablement après sa canonisation en 1146. L’empereur allemand avait été en Italie
entre 1004 et 1014, et à Voghera il avait fait construire l’hôpital du Sauveur. Gérée,
probablement par les moines bénédictins du couvent de Saint Sauveur à Pavie, l’église
passa aux Dominicains en 1497, après le soi-disant vol des reliques recensé en 1483 selon
les sources officielles de Voghera (ou en 1485 selon le récit vénitien de Frère Maur). A la
suite de la peste de 1524, l’église fut reconstruite et dédiée à St Roch. Les travaux
commencèrent en 1525 et prirent partiellement fin après de nombreuses difficultés grâce
à l’intervention de la «Confraternita del Santissimo Nome di Gesù» (confraternité du très
saint nom de Jésus), mieux connue sous le nom de Confrérie de Saint Roch.
L’église fut consacrée vers 1577 mais les travaux se poursuivirent pendant de nombreuses
années encore. On y déposa deux petits fragments du bras du Saint qui avaient été
sauvegardés; on avait pour habitude de ne pas mettre toutes les reliques ensemble pour
éviter justement qu’elles soient toutes volées. L’information n’est toutefois pas formelle
mais il semblerait que la découverte de ces reliques remonte en 1497.
La paroisse conserve encore, outre le reliquaire en argent contenant ces fragments, un
coffre en bois dans lequel a été retrouvé un carton avec la légende suivante: «Hic jacuit
corpus Sancti Rochi» (ici se trouvait le corps de St Roch) et un feuillet sur lequel était
écrit: «Ce coffre fut retrouvé dans les murs de l’Église de St Roch. Il est fait en noyer,
doublé de futaine et fermé avec deux clés. Dans ce coffre gisait le corps de St Roch et ceci
par écriture en l’an 1497». Mais comme nous l’avons dit, il n’existe malheureusement
aucune trace de ces textes ni d’autres documents du même genre.
En revenant sur les événements historiques de l’église St Roch, nous signalons le passage
du pape Pie VII dans l’église le 22 mars 1814, lors de son retour triomphal en Italie après
la fin des persécutions napoléoniennes. Au cours du XIX siècle, en pleine campagne
anticléricale, l’église servit de campement aux soldats; enfin, en 1924, elle fut déclarée
monument historique. Pendant la seconde guerre mondiale, l’église fut gravement endom51
magée au cours du bombardement du 23 août 1944. Les premiers documents relatifs à la
confrérie de st Roch de Voghera couvrent une période de près de 4 siècles, jusqu’en 1912.
La confrérie existait donc avant 1577.
Enfin, il faut rappeler que pour certains historiens locaux, selon une tradition qui remonte
au bas moyen-âge, St Roch devrait être considéré le protecteur de Voghera au même titre
que San Bovo. Il n’y a aujourd’hui aucun ancien document qui le prouve, si ce n’est des
convictions de plus en plus fortes qui devraient être étayées au plus tôt par une étude plus
approfondie. Cette étude nous permettrait non seulement d’élucider des zones d’ombre
concernant la vie de St Roch mais de conforter aussi cette thèse; et en effet, en 2005
Fabrizio Bernini a publié le texte d’un document de 1553 qui, à propos d’une sentence du
comte Francesco Del Verme, indique comme saints patrons Laurent, Roch et Bovo.
[5] LES ASSOCIATIONS DE SAINT ROCH. Nous avons parlé de culte, d’art, de traditions
populaires et de religiosité, mais le nom de St Roch est souvent lié à des initiatives de
nature sociale, à des activités caritatives, à des oeuvres de bienfaisance et culturelles qui
touchent l’ensemble de la population. Ces actions adhèrent de la manière la plus simple et
la plus cohérente possible aux principes de la foi chrétienne. De fait St Roch est encore et
plus que jamais le modèle parfait de l’altruisme, de la solidarité et de l’action bénévole
comme nous le décririons de nos jours.
Les 26 et 27 juin 1999, le congrès national des confréries, des églises et des paroisses de
St Roch a été organisé à Voghera en présence des autorités civiles et religieuses. Ce
congrès a rassemblé contre toute attente plus de mille fidèles de St Roch et la procession
organisée dans les rues de la ville a été spectaculaire. De nombreux maires, prêtres,
religieux de différentes villes d’Italie y ont participé et bon nombre des habitants de
Voghera se sont joints au cortège à la vue de ce défilé, aussi imposant par le nombre que
par le pittoresque des costumes des confréries pour la plupart anciens, des labarums,
étendards, crucifix de grande taille qui essaimaient le cortège.
Les moments forts de la manifestation ont été les deux messes solennelles et une
conférence-débat de grande qualité culturelle. Le congrès suscita aussi beaucoup de
sympathie grâce à une cérémonie originale qui se déroula sur le parvis de l’église et qui
restera gravée dans la mémoire des gens: cette cérémonie avait objet la bénédiction des
chiens (comment oublier le chien de St Roch!...)
Après cette expérience singulière, un autre évènement important se déroula en décembre
2001 avec la présentation officielle de cet essai, réalisé au cours d’un congrès d’études qui
vise à revoir les projets associatifs initiaux. Enfin, en raison de son rôle fondamental,
Voghera a participé, avec les principales localités liées à Saint Roch, à la naissance de
plusieurs organismes: en juin 2005 l'«Associazione San Rocco Italia» et son comité
international de recherche, et en octobre 2010 le «Centro Studi Rocchiano» (centre
d’études sur saint Roch) de l'«Associazione Italiana San Rocco di Montpellier», pour
coordonner les recherches sur la vie et la légende du Saint, avec la collaboration des
meilleurs experts du secteur, non seulement européens.
© Pierre Bolle et Paolo Ascagni 2001-2010 / Martine Gassier 2007-2008. Tous droits réservés. Toute
reproduction intégrale ou partielle, faite sans le consentement de l’auteur ou de ses ayant droits ou ayant
cause, est illicite. Cette reproduction constituerait une contrefaçon sanctionnée par les articles du Code
Pénal. Le «Centro Studi Rocchiano», par l’intermédiaire du bureau légal de l'«Associazione Italiana San
Rocco di Montpellier», se réserve le droit d'entreprendre toute action légale contre les contrevenants. Afin
d’éviter ces désagréments et les conséquences pénales qui en découleraient, nous préconisons la procédure
à suivre en cas d’utilisation du contenu du site (Æ Mentions légales).
52
ITALIAN ASSOCIATION SAINT ROCH OF MONTPELLIER
CENTRE FOR STUDIES ON SAINT ROCH - INTERNATIONAL COMMITTEE
PIERRE BOLLE
PAOLO ASCAGNI
ROCH OF MONTPELLIER
VOGHERA AND HIS SAINT
Translation by
GINA TORREGGIANI
Original text: October 2001
Revisions: September 2005, February 2007, January 2008, September 2010
54
Introduction
This essay was published, in its original version, in October 2001, with the intent to
introduce an agile, but rigorous text, about the ‘actual state’ (at that time) of the studies
and the research about the life and the legend of Saint Roch. Pierre Bolle and Paolo
Ascagni were given the task to compile the text by Daniele Salerno, councilman of the
Municipality of Voghera, who had it published in a book accompanied by well-designed
graphics, with photos and biographical tables.
Today this essay is largely current, but above all – and not only for its contents – it
presents a number of characteristics that allow it to operate as a short introduction to the
notably more complex work developed in the «historical-biographical cards» found in our
portal (Italian version). We have decided, therefore, to propose it in its entirety, with the
opportune corrections and integrations. In conclusion, the text is up-to-date, but prudently,
we have preferred not to add any new information unearthed since the date of publication, limiting ourselves to intervene, with the apt corrections, on those parts already
present in the original text that, after the latest studies, had to necessarily be integrated.
In this way we have practically maintained unchanged the text written by the two
aforementioned authors with the intent for it to be ‘commemorative’, considering that this
fortunate work has met the approval of a vast number of readers. After all, even if we had
inserted a synopsis of the new material found during the latest research, we would have
had to alter the global balance of the essay, changing it too much.
In conclusion we can supply the users of our portal with a flowing, easy-to-read text that
is rigorous and precise in its contents, condensed in a reduced number of pages, but
thorough enough for a first look at the vast world of studies about Saint Roch. Naturally,
to expand on the matters mentioned here, it is possible find ample material in the abovementioned «historical-biographical cards», compiled according to the most classical
academic rules, that is accompanied by notes and bibliographical references that, in this
introductory essay, we have had to skip for obvious need of brevity.
55
INDEX
First Chapter
THE LIFE OF ST. ROCH OF MONTPELLIER
Written sources.
The Saint’s name.
His family.
His native city.
Chronological data.
His childhood.
His calling as a pilgrim.
The plague.
His arrival in Italy.
The papal audience.
The events in Piacenza.
The Saint’s final years.
His death in Voghera.
Second Chapter
RELICS AND LITURGICAL EVIDENCE
THE DECISIVE ROLE OF VOGHERA
The importance of relics and liturgical evidence
in support of the identification of the saint.
The Arles version.
The Venetian versions.
Comparison with the Voghera sources.
Voghera as the centre of the cult of St. Roch.
Third Chapter
CULT AND POPULAR DEVOTION
Canonization.
Diffusion of the Saint’s cult.
Art and popular traditions.
The role of Voghera.
Associations dedicated to St. Roch.
56
First chapter
THE LIFE OF ST. ROCH OF MONTPELLIER
[1] WRITTEN SOURCES. The information we have about St. Roch’s life is full of
divergences and legends. It was mostly drawn from some very old texts, thanks to
which we have a series of essential and founded historical data. The principal ones are
the following:
• VITA SANCTI ROCHI (the life of St. Roch), written in Latin and Italian by the Venetian
jurist Francesco Diedo, governor of Brescia, and published in 1479. It was broadly
utilised by Ercole Albiflorio for a 1494 work, published in Udine (northern Italy), the
same year as LA VIE, LÉGENDE, MIRACLES ET ORAISON DE MGR. SAINT ROCH (the life, legend,
miracles and prayers of St. Roch) by Jehan Phelipot, a French Dominican.
• ISTORIA DI SAN ROCCO (the history of St. Roch), by Domenico da Vicenza. Written in
Italian, it is a composition in poetic verses, written from between 1478 and 1480, and
was only recently discovered; for this reason, accurate textual studies are still in
progress. At the moment, the hypothesis of its deriving from the text written by
Francesco Diedo is quite plausible, although the opposite cannot be excluded.
• The so-called ACTA BREVIORA (Short Acts). The first known edition is in a collection of
Lives of saints published in Cologne in 1483. According to some historians, they are the
Latin translation of a more ancient Italian text, composed in Lombardy (northern Italy)
between 1420 and 1430. Other authors, however, believe that the Acta breviora were
written after Diedo’s work, exactly in 1483. This is the most accredited thesis in the
academic world today.
• A German text entitled DY HISTORY VON SAND ROCCUS (Vienna 1482) or DAS LEBEN DES
HEILEGEN HERRN SANT ROCHUS (Nuremberg 1484). This book is often cited as HISTORICA EXITALICA LINGUA REDDITA TEUTONICE AD HONORANDUM SANCTI ROCHI, in other words as a work
translated from Italian into German. Historians conventionally call it ANONYMOUS GERMAN.
• Another VITA SANCTI ROCHI, by Jean de Pins, a French bishop and ambassador of King
Frances the First to Venice. The book, which was clearly inspired by Jehan Phelipot’s
text, was published in Venice in 1516.
• Finally, LA VITA DEL GLORIOSO CONFESSORE SAN ROCCO (the life of the glorious confessor
St. Roch), by Paolo Fiorentino, printed in Brescia (1481-1482), and a manuscript of
Bartolomeo dal Bovo (1487). These texts, rather short, introduce some news that seem
very interesting, but it is necessary to expect the results of more thorough studies.
It is necessary to emphasize that using works of this type (the so-called hagiographic
kind) are not necessarily the best way to thoroughly establish the biography of a saint
and the birth of his cult. They were usually, in fact, written a long time after the course
of events and they are not inspired strictly by historical incentive, but, for the most part,
by religious, or rather, by moral edification.
This is why the hagiographic writers were in the habit of adding legendary traditions,
their own inventions and a series of well-known anecdotes drawn from the Bible or
from other Lives of saints, to their books. This habit may seem to us an absurdity, but
the fact is, the intent of the hagiographic writer was to introduce a model of Christian
life to the reader, to which the central character, the saint, was obliged to have
followed during his existence on earth.
57
Which is why ancient hagiographies cannot be used as significant points of reference
for the modern historian and do not represent a historical reconstruction of the origin of
a local cult, while various testimonies of the liturgical and archaeological types are much
more noteworthy. In our case, it is rather irrelevant that many hagiographic writers,
throughout the centuries, have defended the thesis of St. Roch’s death occurring in
Montpellier (a fact, as we will see, difficult to reconcile with the absence of
unquestionable reports about an early and persistent tradition of a local cult); instead,
the early documents from Voghera (northern Italy) are infinitely more important. These
documents verify the presence in this town of his remains in 1469 and the existence of
a festivity honouring St. Roch as far back as 1391, while the first procession in
Montpellier was in 1505: over one century later!
[2] THE SAINT’S NAME. It may seem strange, but the life of St. Roch is so imprecise that
there have even been doubts about his name. In fact, according to some historians
(particularly Augustin Fliche), Roch would be the transformation of the surname of a
Languedoc French noble family, the Rog or Rotch, who were very influential in
Montpellier, both politically and economically, during the 8th and 9th centuries; some of
these historians, to defend their thesis, affirm that in aristocratic circles, in that period,
the first-born was designated with only the family surname.
This hypothesis hardly seems convincing, also because the ancient archives of
Montpellier show that Roch, Roc, Roca or Roqua were rather frequent titles in all levels
of society. Therefore, it is not necessary to resort to the ruse of a surname that
becomes a name to explain this simple and natural fact: Roch is a first name, and in
Italy it was already relatively used in the beginning of the thirteenth century.
[3] HIS FAMILY. Many writers have gone to great lengths to insinuate that St. Roch’s
family was of highly noble origins. Some writers speak of regal filiations with the Royal
House of France; others prefer the Aragon Majorca families; others devise a theory of
his being a descendant, on his mother’s side, of St. Elizabeth of Hungary and, on his
father’s side – through the Angio family – of French monarchs.
If we were to point out the most providential theory (but not for this, more reliable than
others), we could indicate the one recorded by a Jesuit, Jean Pinius, who names the De
la Croix family in the «Acta Sanctorum». In fact, in the «Register of consuls and clerics»
from Montpellier, we can observe that a man called Jean De La Croix filled many
important posts from 1356 to 1360, to then become, in 1363, the head consul of the
city. This person could be identified as St. Roch’s father, but this theory is very
doubtful.
Moreover, according to a number of sources, his parents were called Jean and Libère
and they belonged to a wealthy family, perhaps noble or perhaps related to
distinguished middle-class merchants. There is also a theory that his mother was an
Italian woman, from Lombardy, who went to Montpellier to get married. But as in the
case of the Rog family, the «hypothesis Delacroix» is not acceptable too, and rather,
some documents induce us to reject it with well motivated reasons.
The fact remains however, that the bishop Jean de Pinius gives a different name for St.
Roch’s mother (not Libère, but Franca) and that, above all, making saints part of the
noble class is, in truth, a common practice in many hagiographic-style works. That is
why we cannot attribute too much value to this supposed testimony, even if it is not to
exclude entirely. It is noteworthy, however, that the reference to a presumed royal
58
bloodline of our Saint is reported in only some of the earliest sources (particularly in the
Acta breviora).
[4] HIS NATIVE CITY. One item that is common in all the hagiographies about St. Roch
is his birth in Montpellier, a Languedoc city in southern France, ten kilometres from the
Gulf of the Lion. It is the principal town of the department of Hérault and has been the
seat of the diocese since 1536 (in the Middle Ages, the diocese seat was in
Maguelonne). Its original name was Mons Pessulanus and it is still an important cultural
and commercial centre.
In 1204, Peter of Aragon ceded Montpellier to the bishop of Maguelonne, but in 1214 it
was established as a republic. In 1258 James of Aragon became the lord of the city,
which was joined to the Kingdom of Majorca in 1276. In 1349 it was transferred under
the direct control of the French monarchy, but because of continuous political and social
upsets during those years, it definitely became part of the Kingdom of France only in
1383, by the hand of Charles 6th. The city lived a distinct phase of its history from 1567
to 1622, when it fell under the influence of the Huguenots, the French Protestants.
In the Middle Ages, Montpellier was governed by a lord, who wielded judicial power and
military sovereignty, and by an assembly of twelve consuls, which oversaw legislative,
administrative and fiscal activities. The city was very famous, among other things, for
its renowned and venerable university, particularly the faculties of medicine and law.
Moreover, the city was located along the road that pilgrims took to go to Santiago of
Compostela in Spain, and this crossroads notably increased its prestige and importance.
[5] CHRONOLOGICAL DATA. For many centuries, the dates of St. Roch’s life and death
remained indisputable, but they have recently been questioned, particularly by
prestigious historians such as Antonio Maurino, Augustin Fliche and François Pitangue.
The so-called Traditional Chronology dates back to Francesco Diedo’s hagiography,
which indicated 1295 as his year of birth and 1327 as his year of death; to tell the
truth, the commemoration days of the Saint are still often calculated on the basis of
these dates.
Instead, the New Chronologies use the Acta breviora as a point of reference. This work
contains no specific dates; it hinges, above all, on the famous episode of the Papal
Audience, in an attempt to reconcile this episode with historical reality. But we will go
into further detail in a subsequent paragraph; for now it is enough to say, taking into
account the several variations, then, St. Roch would have been born from between
1345 and 1350 and he would have died from between 1376 and 1379; he would have
reached Rome in 1367-1368 and he would have arrived in Piacenza in 1371,
consequently, he would have been arrested either shortly thereafter, or around 1374.
Undoubtedly these re-elaborations introduce some solid and interesting elements, but
we cannot deny that uncertainty remains, as, for example one of elements of ‘proof’
held among the most important. In fact it is true that from 1295 to 1327 there were no
epidemics of bubonic plague, but it is also true that, in the Middle Ages the word plague
was used very loosely, generally referring to a myriad of epidemic illnesses.
In conclusion, these two chronologies both introduce interesting elements, even if, in
fact, lately, the majority of historians seem to be inclined towards the second
interpretation (1345-50 / 1376-79).
59
[6] HIS CHILDHOOD. According to early sources, St. Roch’s parents could not have
children, and only after a period of intense prayers, Divine Grace granted them this
most desired gift (but it is almost superfluous to underline that even this episode was
used quite frequent in early Lives of saints). The infant was born with a scarlet figure of
the cross on his chest and, since his mother fasted every Wednesday and Saturday, he
too refused nourishment. St. Roch grew up in a climate of deep religiousness and he
showed a precocious vocation towards Christian charity.
Being Montpellier was hit by the plague, both in 1348 and in 1361 (over 150 dead every
month!), it is probable that, early on, he developed a deep awareness and sensibility for
the afflicted and, in general, the sick and the suffering – that is, if we accept the most
recent chronological hypothesis.
His infancy was marked by one of the darkest periods of the whole history of the
Church. The papacy had moved in 1309 from the secular seat in Rome to Avignon, and
despite the strong and dignified personality of a number of pontiffs, it is certain that the
disproportionate interference of the kings of France was excessive. On the other hand,
the reforming actions of the so-called Mendicant Orders (particularly Franciscans and
Dominicans), who were also well known in Montpellier, became more and more
important and incisive.
About this subject, we should remember that, according to some writers, St. Roch
would have studied at the local Dominican school, and he would have then joined the
Franciscan «Third Order»; but this information is not historically verifiable, and, for
some historians, it is completely made up.
[7] HIS CALLING AS A PILGRIM. St. Roch’s decision to become a pilgrim coincided with
the painful loss of his parents, who died one right after the other, when he was about
twenty years old. He was the sole heir of his family’s fortune, but after having made an
undeniably radical choice of following the Christian faith, he decided to sell everything,
to distribute his wealth to the poor (monasteries, hospitals, shelters for women) and to
wear the clothes of a pilgrim.
Pilgrimage is a centuries-old phenomenon, common to various religions during human
history, which has always tried to develop its aspects of internal purification, longing for
sacred and spiritual devotion along with moral strength, beyond the most urgent
request for a particular favour, principally, healing. In the Christian framework, pilgrims
have always held a preference for the sacred places of the Holy Land, as well as the
tombs and relics of saints and martyrs; Jerusalem, Rome and Compostela are certainly
among the most well known sites.
During the Middle Ages, Europe had a wide-ranging network of hospices and centres of
reception that were managed by special confraternities, ecclesiastics or friars, and, in
some cases by laymen who were dedicated to the assistance of pilgrims. Moreover, the
generosity of individuals often constituted a solid reference point for anyone who
decided to set out on a pilgrimage; not for nothing that, during this time, unselfish
«hospitality towards a pilgrim» was considered an act of mercy, and would be wellreceived by God.
Our Saint decided to embark on a pilgrimage of penitence in the direction of Rome, to
revere the tombs of apostles and martyrs. Naturally, he dressed according to the
traditional style of pilgrims: a hat with a wide brim to protect himself from the rain; a
staff (the so-called bourdon), a hollowed-out gourd to use as a water-bottle; a long
60
cloak (which, in the future was destined to be called a «sanrocchino» (that is, like-thecloak-St.-Roch-used); some shells to draw water from rivers and a sack slung over his
shoulder.
The departure of pilgrims was usually acknowledged with a religious ceremony of
consecration and benediction. «In the name of our Lord Jesus Christ, receive this sack,
symbol of your peregrination to the tombs of the saints and apostles Peter and Paul, "
and "receive this staff, to help you walk during your pilgrimage, so you can be
triumphant over all of the Enemy’s ruses (..) And, once you have reached your goal,
may you return to us in joy, for the Grace of God».
[8] THE PLAGUE. The route followed by St. Roch and the places that he went are
additional elements of uncertainty, but some basic facts do exist, on which we can
satisfactorily reconstruct the few crucial years of his intense life. His stay in Italy was
totally conditioned by the presence of the terrifying scourge of the plague, which killed
a vast number of people during the Middle Ages.
The plague is an infectious disease that strikes men and animals and is transmitted
from one person to another or, more frequently, caught from the fleas found on mice
and other rodents. The first historically verified case was the so-called «Justinian
plague», which struck the Mediterranean basin in the seventh century; the most recent
epidemic lasted from 1894 to 1920, but some evidence dates to 1994, particularly in
India.
The most tremendous contagion of this illness occurred during the Middle Ages, from
1346 to 1353, the years of the so-called «Black Plague», which gradually spread from
the highlands of central Asia to the whole known world. According to historians’
calculations, at least twenty million died in Europe alone, equal to one-third of the
whole population of the time. It is superfluous to point out what psychological, social,
moral, as well as material, effects a scourge of this kind must have had on the history
and civilization of the entire Middle Ages, which were shaken from the foundations up.
It is evident that, in absence of the plague, the saga of humanity would have taken a
completely different course.
It is important to state that Francesco Diedo decided to compile his famous Vita Sancti
Rochi (1479) during an epidemic, even if it was not the plague. We have already said
that, in the Middle Ages, because of scarce scientific knowledge, the term ‘plague’ was
used to designate the most disparate epidemic illnesses; there are illnesses that for us
are only simple and annoying forms of influenza today, but in those days they were
very serious pathologies, often with deadly effects.
Besides, the recurrent presence of the plague or other contagious illnesses in Europe,
up until the 19th century, was one of the principal motives of the diffusion of the cult of
St. Roch, which grew prodigiously: in fact, in the space of only fifteen years it widened
its sphere of influence in northern Italy, Austria, Germany (up to Lübeck), Belgium and
France, including Paris.
[9] HIS ARRIVAL IN ITALY. As we have already said, it is very difficult to identify the
route in Italy St. Roch took, despite the fact that a lot of cities boast about his presence
or stay.
According to the suggestive hypothesis of François Pitangue, the first verifiable stop
could be identified in Acquapendente, a town in Lazio (central Italy), in the province of
61
Viterbo. Here, running up against people in prey of panic, St. Roch asked to be
welcomed in a local hospital; a man named Vincent, moved by his young age, tried to
dissuade him because there were many sick with the plague. But that was the very
reason for which the Saint wanted to enter: he intended to help the suffering, to live
totally by the example of Christ.
According to a Life about the blessed Giovanni Colombini, who lived during the 14th
century, one of his most devoted followers was a man called Vincent. The founder of
the «Gesuati» (not to be confused with the «Gesuiti», that is the Jesuit Order), after
having introduced the statutes of his order to the pope, contracted the plague on his
way back to Siena (in Tuscany). Putting these various bits together, Pitangue affirms
that St. Roch must have arrived in Acquapendente on 25 or 26 July 1367. But as you
can notice, the hypothesis is founded on indirect elements, and is rather forced. We
must also not forget that the biography about Colombini was written in the 17th
century.
In any case, St. Roch temporarily postponed his entry to Rome and he started to roam
about central Italy, bravely following (or madly, from another point of view!) the
development of the contagion. He had, in fact, made it a habit to make the sign of
cross on the foreheads of the sick and to invoke the Trinity of God for their recovery,
pronouncing an ‘exorcism’ formula, which became conventional. «May God destroy you
from your roots, rip you apart, may he eradicate you from the houses that you possess
and cancel you from the earth of the living, in the name of the Father, of the Son and
of the Holy Spirit». And, for this extraordinary demonstration of Christian faith, God
decided to make him an instrument of his Grace, granting him the faculty of
miraculously healing many afflicted.
[10] THE PAPAL AUDIENCE. One of the most renowned episodes of St. Roch’s life is his
meeting with the pope, an event that supports one of the testimonies for the new
chronology of his life. In fact, from 1309 to 1377, the popes were in Avignon, and in
that period only one pontiff went to Rome for a brief stay, between 16th October 1367
and 5th September 1370.
The pope in question was Urban 5th, a Frenchman who had also been a teacher at the
University of Montpellier. At a certain point he decided to re-establish the see of the
papacy in Rome, despite strong internal opposition; subsequently, however, he had to
return to Avignon, where he died a few months afterwards. It would be his successor,
Gregory the Eleventh, to definitely close the long period of exile in France, above all,
thanks to the insistence of St. Catherine from Siena.
Admitting that Urban 5th had been the pope St. Roch met, we have to suppose that our
Saint reached Rome between the end of 1367 and the beginning of 1368. While in the
cradle of Christianity, he generously did all he could for the sick and the suffering; and
it was in a hospital that he performed his most famous miracle, that is, the healing of a
cardinal, who, out of gratitude, brought him to be presented to the pope. It is difficult
to identify the previously mentioned hospital as the Hospital of the Holy Spirit. The only
element that can support this theory is that it was founded by the blessed Guy, son of
William the Eighth of Montpellier. Frankly there is not enough evidence to substantiate
the facts; therefore it is another theory, just like so many others.
Historians have made many sufficiently founded conjectures about the identity of the
prelate, also because in various works there are very different factors. A very
62
suggestive proposal claims him as Anglico Grimoard, the brother of Pope Urban 5th, but
it is not truthfully possible to consider this theory more reasonable than so many
others; moreover it is not even certain that he was a cardinal, because, according to
François Pitangue, the character in question could be identified as Gaillard de Boisvert,
the temporary regent of the «Sacra Penitenzierìa Apostolica» (the Sacred Apostolic
Penitentiary).
In any case, this mysterious ‘cardinal’ had contacts with the maximum levels of the
Roman Curia, and he could easily organize a papal audience for his healer. St. Roch
humbly knelt in front of Urban 5th, but not even the pontiff could resist his fascination,
pronouncing an inspired «It seems to me that you come from Heaven!».
St. Roch’s stay in Rome, based on the new chronology, would have ended in 13701371. But, in this case, too, we are trying to follow a historical reconstruction that, at
the moment, cannot be accepted as absolutely certain.
[11] THE EVENTS IN PIACENZA. The situation seems to become clearer when St. Roch
enters Piacenza and lives a sequence of episodes that, as they appear in the various
texts, look as if they are historically more reliable. If we accept the new chronology, his
entry into the city could have been in July 1371.
Our Saint went into a hospital to continue his work of comfort and assistance to the
sick. But according to tradition, one night he heard a voice in a dream that told him:
«Roch, stand up, you are cured of your illness». He immediately understood he had
been stricken by the plague; cured in his soul of sin, he had to suffer the illness of his
body as a trial of purification. Tormented by a painful swelling in his groin, he was
thrown out of the hospital, to laboriously drag himself as far away as possible to a
nearby wood so he could be alone and die in peace.
His place of shelter, according to unverifiable local tradition, has been identified as
Sarmato, approximately seventeen kilometres from Piacenza. Here he was able to
quench his thirst and calm down the pain in his wound, thanks to a fountain of water,
which miraculously gushed out of the ground. St. Roch’s «fountain» and «cave» can
still be visited today.
But his worst problem was his hunger. It was solved thanks to the appearance of his
most famous and inseparable companion, who was destined to be immortalized
throughout the centuries in innumerable artistic and traditional representations. We are
obviously speaking about «St. Roch’s dog», who befriended him and brought him a
piece of bread every day, taking it from its master’s table.
This person, Gottardo, came from a wealthy family. He had left Piacenza for his
summer residence to escape the plague. Becoming suspicious of his dog’s comings-andgoings, he decided to follow it one day, and, as a result, he met St. Roch. Heedless of
the diseased Saint’s pleading to stay away from him, Gottardo insisted on helping him
and, day after day, he gained an ever-greater knowledge of Christian doctrine.
Gottardo ended up becoming one of his disciples; he decided to sell all his properties
and to advocate poverty, like Christ. He went so far as to wear a coarse sack, begging
for bread in Piacenza, much to the amazement and shame of his acquaintances. He
discovered St. Roch’s name only at the moment of his complete recovery, just before
they said their final, intensely emotional goodbyes. The two great friends would never
see each other again.
63
Gottardo is traditionally considered a member of the noble family, Pallastrelli, and his
name is linked to a famous fresco that can still be seen in St. Ann’s church in Piacenza,
next to the hospital of «Our Lady of Bethlehem». The fresco originally represented the
Virgin Mary with St. Joseph, but the image of St. Roch was added afterwards.
Some historians have therefore theorized that, in reality, it shows his true likeness,
painted by Gottardo (who was also put into the fresco by an anonymous painter, a long
time after). Various experts have, however, rejected this premise since the fresco is
much too recent to be considered authentic.
Gottardo is, moreover, also considered the author of the presumed first hagiography of
St. Roch, the (lost) work from which following writers would have drawn information.
But this is also difficult to demonstrate, so it remains in the realm of speculation,
considering that, after his separation from Roch, there is no more information about
Gottardo. Some texts only say that he died, consumed by his virtuous efforts, in a
solitary place and in a distant country.
[12] THE SAINT’S FINAL YEARS. After leaving Piacenza, information about St. Roch, as
usual, once more becomes uncertain, and early written sources clearly show, at this
point, to be based on indirect sources, legendary traditions and confused reports. In
any case, the concluding details are almost identical, apart from his place of death,
which, as we will see, has been erroneously conveyed.
St. Roch, during his journey, was caught up in the unstable political situation of the
time, that is, in a dangerous state of war; he was looked at with suspicion for his pitiful
conditions, he was taken for a spy, was arrested and brought in front of the governor of
the locality.
Interrogated, he refused to reveal his name, so as not to break the solemn vow made
to God: to abdicate every noble privilege and to present himself – only and exclusively –
as a stranger and as a «humble pilgrim and servant of Jesus Christ». This attitude, in
that climate of tension, obviously emphasized the suspicions of the authorities, which
decided to throw him into a gloomy jail.
St. Roch spent the next five years there. He lived this period as a sort of «purgatory»
for penitence of his sins. With death approaching, a number of miracles occurred (this
is very typical of every hagiography about saints). It is actually more probable that he
asked God to answer a prayer, that is, to heal the ill who invoked his name in the
memory of Christ. Death arrived, according to tradition, the 16th of August, the day
after the festivity of the Assumption – always according to the new chronology – in one
of the years from 1376 to 1379.
The final revelation is one of the better known episodes cited in hagiographies of the
Saint. Observing the scarlet cross on his chest, there since his birth, the mother of the
governor immediately understood who he was: «he was the son of John of Montpellier».
In conclusion, the governor himself was, in actuality, (!) St. Roch’s uncle, either on his
mother’s side or his father’s – depending on which work you read.
In this case, as in many others, we have to note that this scene of recognition is
another «commonplace», typical, not only of hagiographic Lives of saints, but also of
the Bible and even of ancient mythology. In any case it was Jean de Pins who modified
the tradition of the governor being not his paternal uncle, but his maternal uncle, and
who first spoke about the Italian origins of his mother. These declarations are not
64
demonstrable, but they have become an artificial expediency to defend the thesis of the
arrest and the death of the Saint in Lombardy. But as we will see, conjectures such as
these can be based on other documentation.
[13] HIS DEATH IN VOGHERA. For many centuries, Montpellier was indicated as St.
Roch‘s place of death, while some historians (particularly Augustin Fliche) identified the
«Angleria» cited in the Acta breviora with the town of Angera, near Lago Maggiore in
northern Italy. A further hypothesis about supposed «German territories» was rejected
immediately as absolutely far-fetched.
We must also refuse the thesis of Montpellier, for a long series of motives, starting from
the fact that the first indication of a cult venerating the Saint dates to 1505, and
precisely, a procession dedicated to St. Roch and to St. Sebastian. Other presumed
evidence, that could be dated to 1415-1420, is rather controversial, and in any case,
even accepting it as real, it is dated much later than one of the documents found in
Voghera, of which we will talk about later. Furthermore, at the time, the Law university
of Montpellier still invoked its usual protectors, Saint Fabian and Saint Sebastian,
against the plague. Could something of the sort happen in the city that should have had
in its possession the tomb, a church and the body of the saint most invoked by all of
Christianity for divine protection against the scourge of the plague?
With regards to Angera, we are really on the wrong track, because there is no proof
whatsoever about possible wanderings of the Saint in neighbouring areas (and
absolutely nothing about relics). There could be, instead, a probable misunderstanding
between the names Angleria-Agera/Angera and Viqueria/Voghera. This is explained
very well by the meticulous and convincing elucidations made by Antonio Niero, one of
the greatest scholars of St. Roch. "The shift (..) from Ugera, a popular variant of Agera
or, in German, Ughera, to Voghera, [is] not improbable, because of the names UgheraVughera, [..] considering the replacement of «U» with «V» which was very common in
Latin phonetics".
Early sources consider the fact that St. Roch arrived in a territory «where discord
reigned». Certainly, without any difficulty, this description suits the area from Piacenza
to Voghera extremely well, since the Duchy of Milan – whose frontiers were always
agitated owing to wars, annexations or territorial losses – had a hot spot in that very
location. From 1371 to 1375, particularly, Bernabò Visconti conducted a full-scale war
against the league represented by Pope Urban 5th and coordinated by Amadeus 7th of
Savoy to defend papal possessions from the voracious Milanese.
In Visconti’s territories, and especially in border zones or in places of heavy traffic,
pilgrims devoted to the pontiff were certainly not well seen, and even less so if they
appeared reticent, as St. Roch must have; the fear of spies was very strong, and the
smallest suspicion was enough to open jail doors. So, we cannot exclude that St. Roch
had succeeded in travelling as far as Lago Maggiore, or even France, but it is more
probable that he had been arrested long before.
After all, in that period Galeazzo 2nd, Bernabò’s brother, had reinforced the fortifications
of Broni, Casteggio and, especially, Voghera, a strategic point of great importance.
Parma had entered the dominion of Milan, and Piacenza was the epicentre of the
dispute; some high prelates from Emilia-Romagna had been incarcerated, so the clash
with the Vatican had reached levels of maximum tension. We can reasonably suppose
that St. Roch was arrested around Broni – as Pitangue sustains – to then be brought in
65
front of Visconti’s military superintendent, Castellino Beccaria. Perhaps one of his
collaborators was the Saint’s jailer, the man who later discovered, according to
hagiographic writers, to be his uncle.
But the substantial factors that give further credibility to the hypothesis of St. Roch
dying in Voghera, are basically two: the presence of his body and his relics,
documented in 1469 and stolen in 1483, and the most important document, kept in the
Historical Archives, and inserted in a register of «Statuta civilia et criminalia» (civil and
criminal laws) and dated 1391. We will speak about this evidence in the next chapter.
66
Second Chapter
RELICS AND LITURGICAL TESTIMONIES
THE DECISIVE ROLE OF VOGHERA
[1] THE IMPORTANCE OF RELICS AND LITURGICAL TESTIMONIES IN SUPPORT OF THE
IDENTIFICATION OF THE SAINT. The problem of the relics of St. Roch is still more
complex than the question of his hagiographies. As you will have noticed, historians'
studies, until today, have mainly considered the hagiographic texts that are connected
to two great traditions: the Vita Sancti Rochi by Francesco Diedo and the Acta breviora.
The former places the life of the Saint from 1295 to 1327, while the latter does not
mention dates.
Many authors have utilized these works to try to discern, inside the stories, what «facts
and deeds» of the Saint they could use in their own chronologies; this is always a very
hazardous method, as hagiographic reports had often been compiled a long time after
the events and they had therefore inevitably taken on a style all their own. As we have
already said, hagiographic works were written to edify believers, rather than to develop
reliable historical reconstructions. Writers in the Middle Ages did not care so much to
record a historical work as to illustrate how the individual conformed to an exemplary
model of sanctity.
In this sense, it is often difficult to confidently distinguish a reliable fact from a «common
place» drawn from lives of other saints or from Holy Scriptures. Concentrating all of
their attention on works of this kind, many historians have excessively neglected other
types of very interesting, and often more reliable, sources. This is the case of archaeological finds (mainly relics) and of liturgical testimonies, which have the advantage of
helping us to understand where and when a cult originated, independently from what
hagiographic writers stated.
The Bollandistes, from a famous seminary of Belgian Jesuits and the authors of Lives of
all the saints, have been using accurate scientific criteria for centuries to establish, with
the utmost possible certainty, where and when a saint died, rather than to utilize
hagiographic works, it is much more important to try to identify the location where –
before anyplace else – a liturgical tradition and a well-rooted and continuous veneration
of relics were celebrated.
In the same way, the calendar day dedicated to the celebration of the saint is a much
more valuable indication than the presumed year of death (often made up by the
hagiographic writer), because it constitutes the symbol, the ‘signature’, so to say, of the
saint, which allows us to distinguish him from all the others. And so, we will see that it
is by using truly these «hagiographic coordinates» in liturgical time and space – as the
Bollandistes technically call them – that the evidence in Voghera takes on noteworthy
meaning and significance.
It is, therefore, for lack of interest and methodological competence, or because of the
complexity of the effort, that the majority of writers have limited themselves to consider
only two institutions concerning the existence of relics, one in Arles and the other in
Venice, while the true facts are much more complex and often obscure.
But before setting out on this difficult route, it is absolutely essential to underscore that
some of the earliest hagiographies – Vita sancti Rochi by Francesco Diedo (1479) and
67
the Acta breviora (1483) – never mention the presence or the relocation of any relics.
This fact seems to show, at the very least, the difficulty early writers had in accurately
identifying in which location the earliest tradition of a cult had originated.
Regarding this subject, only Diedo tried to describe the expansion of the cult, having it
derive from the Council of Constance (1414). We will see that this attestation is not
only denied by the facts, but also by several items that we identify with the propagation
of the cult today. One fact is, however, certain: when, in 1479, Francesco Diedo, took
shelter in Salò from the epidemic that was raging in Brescia, and wrote his Vita sancti
Rochi, he did not know that in Voghera the relics of the Saint had been venerated at
least since 1469, nor that his name had been renowned since the end of the fourteenth
century.
[2] THE ARLES VERSION. This version, found in the «Franciscan Martyrology» (1638) by
Arturo del Monastero (Arthur of the Monastery), affirms that Jean le Meingre de
Boucicault, Marshal of France, transported the relics from Montpellier to Arles in 1372.
However this attestation is absolutely unsustainable; as already noted by other
historical studies, Jean le Meingre – who was born in 1365 and died in 1421 – was only
seven years old at the time…
Despite the efforts of various generations of French historians (and not only), all further
attempts to reconcile this chronology at all costs with the genealogy of the Boucicault
family, lead to a few absurdities. At most, we can affirm with certainty that, in the
beginning of the sixteenth century, there were a number of relics in Arles, taking into
consideration that the same Arthur of the Monastery mentions a donation of some relics
made on 2nd June 1501 by the Trinitarians of Arles on behalf of various monasteries of
the same order present in the Kingdom of Grenada (Spain).
This act followed a «Brief» by Pope Alexander 6th on 4th February of the same year that
encouraged the donation of this pious gift in the name of the reconstruction of the
Catholic faith in that region, which had recently been liberated from Muslim rule.
It is interesting to note that this act maintains that the Marshal of Boucicault was the
donor, but in a version that many historians have avoided proposing: in fact, speaking
of the origins of the various relics, including St. Roch’s, Montpellier is never quoted, but
Jerusalem is – and Pierre Bolle has shown that the date of the presumed transfer
(1372) was false! In conclusion, we can affirm that this fanciful credence was generated
by a counterfeit document.
[3] THE VENETIAN VERSIONS. But there are also some relics in Venice, confirmed for
certain long before Arles, because in 1485 the patriarch Maffeo Girardi informed the
Heads of the «Consiglio dei Dieci» (Council of Ten) that the «Scuola Grande di San
Rocco» (the Confraternity of St. Roch) had acquired the famous relics from a place that
he called «Ugeria», that is Voghera. This source cannot be denied, since a copy of the
letter of 13th May 1485 is in the registers of the «Consiglio dei Dieci», as is the relative
and consequent decree.
These facts are therefore ascertained, but this basic attestation has to explain where
the precious remains came from and how they were acquired. There are, in any case,
many different versions on this subject.
• For Marcantonio Sabellico, a contemporary of the facts, and author of «De situ urbis
Venetae» (1490), the relics came from «Gallia», that is, from France – as Diedo said.
68
• In the 1485 edition of the «Supplementum chronicarum», Giacomo-Filippo da Bergamo
(also called Foresti) did not indicate their place of origin, but he spoke about their
transfer to the church of San Giobbe (St. Job) in Venice, at the extreme point of
Cannaregio, an odd location that disappeared in all the following editions. Instead, in
the 1516 revised edition, for the first time, the origin of the relics was attributed to the
«diocese of Tortona» (which also includes Voghera).
• During the sixteenth and seventeenth centuries, a number of Venetian chroniclers
began to support the theory that the relics had been acquired through a sale with some
merchants, defined «German» by some writers. It is the case of the same GiacomoFilippo, but in another, Venetian, and posthumous, edition of his «Supplementum»
(1535), and in some works that we today would call tourist guides, such as «Venetia
città nobilissima et singolare» by Francesco Sansovino (1581), «Mercurius Italicus» by
Ioannis Henrici (1628), «Il ritratto di Venezia» by Domenico Martinelli (1684).
• In 1674, in a work by Francesco Ciapetti, the now classical tale about Frate Mauro
(Friar Mauro) appears for the first time under the form of a printed book (and therefore
destined to widespread readership). He was a monk belonging to the Camaldoli Order,
in the monastery of San Michele da Murano, who, while in jail, had made a vow to go to
Voghera to look for the Saint’s relics. He then brought the body of St. Roch back to
Venice in March 1485, after a first unsuccessful attempt because of the vigilance of the
guards. Others supporters of this thesis were Giorgio Fossati (1751) and Flaminio
Corner (1761).
This version is based on a process of authentication of the relics presided over by the
Venetian Patriarch in 1485 and recorded in a long act on parchment that is still kept in
the Archives of the «Scuola Grande di San Rocco» in Venice. This document presents
various complex questions of internal ‘conflicts’, but some parts are decisive for our
historical studies.
[4] COMPARISON WITH THE SOURCES FROM VOGHERA. It is necessary to specify that the
main problem is the comparison of these versions with the official sources from
Voghera. In effect, the May 1483 registers of the General Town Council (the so-called
«Liber provisionum») confirm the fear of a theft of relics from the ancient church of St.
Henry – the current St. Roch –, the strengthening of surveillance, the theft itself and,
lastly, the arrest of the suspected author, a frate Giovanni Teutonico (Friar John
Teutonic or John, the ‘German Friar’).
This rather obscure story ends a few days later with the statement that the relics were
in their place, as if everything had been silently restored to cover a scandal, to avoid
alarming the population, or harming the reputation of the hospital of St. Henry (which
was in the rooms of the present oratory of St. Roch). And in 1485, what can we find in
the famous registers? Absolutely nothing…
There are some more recent versions (but few are credible) showing a theft of relics by
twelve monks in Montpellier, or else, a deal – camouflaged as a theft – involving
someone called Alvise Dal Verme, having to do with the Voghera nobility, Friar Mauro
and the Confraternity of Venice. This second hypothesis, integrated with the abovementioned documents, is probably the most reasonable. In any case, as you can see, it
is very difficult to sort out the myriad entanglements of this story…
Nonetheless, it certainly seems risky to contest the fact that Voghera had a
fundamental role in the story of St. Roch’s relics. In fact, as the registers of the General
69
Council show, it is sure that in the town some relics were already venerated in the year
1483. And, furthermore, it is difficult to question a resolution made by the same
General Council attesting to the presence of the Saint’s relics in the church of St. Henry
(28th February 1469); the Council register is missing, but we possess a copy of the
original text transcribed in 1788.
And after all, the most important element is really this: beyond the divergences among
various versions, their location, their fantasies, their unlikelihood, the role of Venice or
that of Arles, the hypothesis of a sale rather than a theft… what is certain is that
Voghera can feel honoured to be in the possession of two direct and official sources.
We are speaking about real, bona fide official records that have not undergone
alterations or narrative re-elaborations and that, moreover, coincide with each other.
One document is dated 1469, the other 1483, and both attest to the existence, beyond
the presence of the relics, of a cult dedicated to St. Roch. They are, today, among the
oldest known testimonies in Italy and in Europe, the first ones speaking of relics.
If we think, besides, that Voghera lies in the centre of a region where devotion to St.
Roch is extremely entrenched (as Antonio Niero’s works – of which we will speak about
in the following pages – clearly explain), we can indeed doubt about the French origin
of the cult that supposedly started in Languedoc. After all, a liturgical source seems to
further confirm these data; that is, the citing of a festivity for St. Roch contained in the
chapter of holidays to commemorate, inside Voghera’s «Statuta civilia et criminalia»
(the Statute of civil and criminal law), officially approved by Gian Galeazzo Visconti in
1391. Town Archives still keep two hand-written copies: one incontestably of that
period and the other that contains some parts compiled after 1480.
It is evident that a document of this kind, dated 1391, represents a really extraordinary
testimony, being precedent to the other two (already of exceptional value) by almost
eighty years!
[5] VOGHERA AS THE CENTRE OF THE CULT OF ST. ROCH. In conclusion, the only problem
about this document is its early date, to the point that we may wonder if the Roch of
this document is really the same saint. We, in fact, know about a saint with a similar
name, Roch, Racho or Rochon (in Latin Ragnobertus), bishop and martyr of Autun; and
it is common knowledge the particular charm that French saints have always had in this
region – for example, as in the case of St. Bovo, the patron saint of Voghera.
Two clues allow us to believe that the reference in the 1391 Voghera calendar relates to
our Roch of Montpellier, the saint of the 16th of August. Firstly, all the names of saints
are quoted in the Latin genitive and our Saint’s is really «sancti Rochi» and not «sancti
Rochonis», as the bishop of Autun’s would be. Secondly, the 'position' of the festivity
within the list seems to fall in mid-summer. As we know, Roch is traditionally celebrated
the 16th of August, while the festivity of Rochon of Autun is in January.
On the other hand, our most recent research has also evidenced a frankly disconcerting
number of liturgical coincidences (and confusion) between the two cults; this is
however a very technical topic, which we cannot debate in an essay such as this one.
In any case, at present it seems certain that the cult was born among Voghera and
Piacenza, it exploded in Venice and it reached France in a following periode.
Anyway, to begin, if we want to be absolutely sure that the saint of Voghera is our
pilgrim, the healer of those ill with the plague, we need to find a connection, a
70
reference between the 1391calendar of festivities and the presence of his relics, in
1469, in the church of the hospital St. Henry.
That is exactly what we recently tried to do, systematically reading through the official
records of all the General Town Councils, from 1378 to 1500. But despite a meticulous
job, it was not possible to find any particular reference that allows us to incontestably
affirm that there was, in this region, a continuous presence of a cult of St. Roch.
However, in the parish of St. Roch there is another, more recent, but very interesting
document. It is the official document about a controversy, in 1584, between the
Chapter of St. Lawrence and the Dominicans of Saint Mary of Mercy, to decide who
exactly was the owner of the Chapel of St. Roch and its relative statute (for celebrating
sacred functions), and if it was possible to bury the dead there.
The declarations of various witnesses, who were often advanced in age, are very
interesting. Everybody affirmed to have always heard that the church held the relics of
the Saint, but nobody said that they had been stolen, although one century elapsed
from the presumed theft by the Venetians… and despite the fact that the youngest
witness was not less than 81 years old. This would confirm that the 1483 deal had
cleverly been covered up.
As we can see, the story of relics and the beginnings of the cult are still far from being
cleared up, and therefore it definitely seems that only the discovery follower by the
critical analysis of new documents can allow us, one day, to propose an adequate
explanation. Certainly, the topographical distribution of different sources and the
splitting up of centres of documentation obviously do not facilitate things. In fact,
research needs to be coordinated among various and distant places: in Voghera – the
Town Archives, the Parish of St. Roch and the Church of St. Lawrence; in Tortona – the
Episcopalian Curia; in Venice – the State Archives, the archives of the «Scuola Grande
di San Rocco» (that is the Confraternity), of the Patriarchy and even of the churches
and of the small parishes having to do with the history of the Confraternity, such as St.
Mary of the Friars, San Pantaleone or San Tomà.
In any case, once again, this early series of geographical and chronological clues shows
us that the origin of the cult of St. Roch could reasonably have begun in Voghera. And
this impression is considerably strengthened by the careful examination of other
potential localities, particularly those where the various hagiographies would inevitably
lead us, as, for example, Montpellier. So, it is impossible not to be amazed, making the
due comparisons, by the extremely flimsy written and archaeological testimonies of that
period in Montpellier, as well as by the fact that the local cult is incontestably more
recent and geographically less common and widespread.
Another phenomenon encourages us to continue in our research. The issue is the
decidedly particular role that Voghera had as a stopover along the roads pilgrims took.
It is, in fact, at the crossroads of two routes pilgrims used very frequently in the Middle
Ages: on one side, the road that goes south from Milan to Rome, passing through
Genoa and Liguria and then into Tuscany; on the other side, the road that begins in the
Piedmont region from Turin and Alessandria, passing through Voghera and Piacenza
and then continuing to Rimini, where the pilgrims embarked for Palestine (unless they
made a detour for Venice, to visit its extravagant sanctuaries). Voghera was, therefore,
one of the points of intersection of the «Palmers» – the pilgrims going to Jerusalem –
and the «Romei», without counting those Italians going to Santiago of Compostela,
who took these already traditional routes.
71
In Voghera, in the fourteenth century, there were at least ten hospices for pilgrims. The
oldest were St. Peter’s, near the bridge over the Staffora River (operational at least
since 714) and St. Henry’s, named in honour of the German emperor, Saint Henry 2nd,
who had founded it himself during his journey to Italy, therefore between 1004 and
1014. In 1497 the Dominicans annexed this hospice and the adjacent church, and in
1525 restoration work was planned, giving rise to the existing church of St. Roch.
The St. Henry hospice for pilgrims was situated on the flank of this important road, the
old «Via Emilia», which coincides in a large part with the so-called «Via Francigena». It
was situated on the road to Tortona, near the southwest entrance of the town, called
Porta Rossella. Towards the east, the subsequent stopovers were Broni and Piacenza,
approximately a day on foot from one town to the next. Besides the numerous hotels
and hospices, the vocation of these pilgrimage centres was expressed through the
fervent veneration of a pilgrim who had died along the route. In this particular case the
pilgrim venerated was San Contardo, in Broni, but also in Piacenza.
In short, we cannot exclude that the promise of new, rigorous and careful studies will
show that this was the case of Voghera with St. Roch. If continuity and location of the
cult from 1391 to 1469 were to be proved, we could consider a local devotion having its
origin in the burial of a pilgrim, the cult of whom hagiographic writers of the 15th
century would have personalized by stylising it considerably, according to the
characteristics of this category of writing.
In this way, underneath the varnish of the legend, could we perhaps hope to find the
true origins of the cult and – who can say? – to attain with greater certainty the true
aspects of a Saint who holds the particularity of being one of the most popular in the
world… but at the same time, one of the saints most shrouded in mystery.
72
Third Chapter
CULT AND POPULAR DEVOTION
[1] CANONIZATION. The spreading of the cult of St. Roch was almost immediate and has
assumed vast dimensions through the centuries. Still, as for his canonization, we have
to move in the shades of uncertainty, to the point that we do not even known with
precision the official date of elevation of St. Roch to the glory of sainthood.
In the early hagiographies, only Diedo affirms that the initiative was taken in 1414 by
the Council of Constance, who claimed he had been saved from the plague by the
intervention of St. Roch; subsequently some writers have supported the hypothesis of a
confusion with the Council of Ferrara (1437-1439), but acts and documents of the time
do not say anything on the subject.
Therefore, It is no surprise that some historians had reservations about the historical
truth of his canonization, but the vast diffusion of his cult leads us to believe that Roch
became a saint by «popular fervour», according to a practice that was certainly not
unusual in the medieval period. In a few cases, some writers have specified the names
of a small number of pontiffs, as well as some of the so-called antipopes, that is, those
not recognized by the Church, who seem to have officially ratified his cult. Among the
former, Martin 5th (d. 1431) is mentioned, and among the latter group, Clement 7th
(d. 1394), Benedict 13th (overthrown in 1409) and John 23rd (d. 1419). But these
hypotheses are frankly devoid of any basis.
It is, instead, certain that the situation became clearer towards the sixteenth century.
In 1499 Alexander 6th gave his authorization to a Roman confraternity dedicated to St.
Roch, while in 1547 Paul 3rd had him included in the «Franciscan Martyrology». But
"the popular devotion already accepted all over the world" was so vast that, in 1590,
Sixtus 5th asked the Venetian ambassador in Rome to bring him "particular authentic
information about his life and miracles” in order to officially canonize him, being it
unthinkable "to remove St. Roch from the illustrious number of other saints", because
of the "scandal that would arise from such news!".
The «Roman Missal», after all, already included among its rituals a specific mass for our
Saint, while Gregory 14th (d. 1591) had his name added to the «Roman Martyrology».
Finally, in a text dated 16th July 1629, Urban 8th invoked, for himself and for all
Romans, the protection of St. Roch against epidemics, to then exalt the great virtues of
the healer saint in a «Brief» the following 26th October. In conclusion, as Odo de Cissey
wrote in the sixteenth century, "the compassion and affection Christians have for him
are so strong that, without further inquiries into his sanctity, the Church and its leader
have tacitly recognized his devotion".
[2] DIFFUSION OF THE SAINT’S CULT. The rapid and vast affirmation of the cult of St.
Roch is borne out by the innumerable artistic, cultural, charitable and devotional
displays. It is without doubt that he is the most popular saint all over the world
throughout the history of the Church. Originating in Italy and making its way into
Germany, and then the Netherlands and lastly in France, the cult spread outside of
Europe too; among the innumerable examples, we could mention Punta San Roque
(California) and Boston in the United States, Buenos Aires in Argentina, Cabo Sao
Roque in Brazil, Dekwané in Lebanon, but also in Haiti, Madagascar, Indochina…
73
In Italy, according to data still to complete, there are over sixty communities or hamlets
dedicated to him, while churches, chapels and oratories raised in his honour number
around three thousand; the parishes dedicated to St. Roch (alone or with other saints)
are at least two hundred and sixty.
The oldest evidence seems to date back to the fifteenth century. However, even if Lodi
and Limone are often remembered for their churches, Brussels and Avignon for their
pictorial or sculptural representations, and Maguelonne for its liturgical calendar, the
relative dating (and in some case the attribution to St. Roch) are rather controversial.
Also the news about the presumed altar dedicated to the Saint in Montpellier, inside a
Dominican chapel, is unreliable, and besides, the first confraternity was established in
the church of «Notre-Dame des Tables» only in 1661 (while in Italy there were already
some confraternities in the beginning of the fifteenth century); the city had a church
dedicated to St. Roch much later, in 1830, by altering the previous designation,
dedicated to St. Paul.
In conclusion, except for the case of the chapel in Brescia (1469), we can affirm that
the devotion to St. Roch had already taken root in northern Italy in the last quarter of
the fifteenth century, particularly in Lombardy and in Venice, but as we have seen, the
cult in Voghera was already present in 1391; besides, it would seem that the name of
our Saint was associated to that of St. Lucy, in 1394, in a confraternity in Padua (but
this confirmation is controversial).
The extraordinary success of his cult is easily explained, considering that he was
immediately venerated as the most successful protector against the terrible scourge of
the plague. For this reason, sacred places dedicated to him were built just about
everywhere; even the French King Louis the fourteenth had a Parisian church rebuilt
and dedicated to him in 1653, not too far from the Louvre.
But above and beyond the plague, what undoubtedly influenced the extraordinary
diffusion of his cult in Europe, starting from the end of the fifteenth century, was the
prominent commercial and religious role (as the point of departure for pilgrimages in
Palestine) of Venice, where, around 1480, the prestigious and frequently visited «Scuola
di San Rocco» was established. Also the oldest editions of hagiographies date back to
this period: Das leben des heilegen herrn Sant Rochus in Vienna in 1482 and in
Nuremberg in 1484, the Acta breviora in Cologne in 1483 and in Louvain in 1485, the
Dutch translation of the Acta in Hasselt about 1488 and Jehan Phelipot’s French version
in Paris, in 1494.
After Venice, the most important devotional centre since the end of the fifteenth
century was Nuremberg. To this respect, it is interesting to consider a family of
merchants belonging to the German community in Venice, the Imhoff – who were
involved in the famous «Fondaco dei tedeschi» (the German warehouse) and in the
Confraternity – that brought the cult of St. Roch to this Bavarian city, giving it an
incomparable impetus and making it a genuine family emblem. Some excellent
compositions by Heinrich Dormeier confirmed that in ten years’ time they raised an altar
to him in the church of St. Lawrence, established a confraternity, started the custom of
the procession... and they even built a cemetery for the victims of the plague, which is
unmistakably imposing and distinctive still today.
Initially St. Roch was associated, both in devotional practices and images, to other
saints who were mostly venerated for their protection against illnesses, such as St.
74
Sebastian, St. Blaise, and Saints Cosma and Damian. But in the fifteenth and sixteenth
centuries, Roch acquired a dominant role, not only as protector from the plague, but
also from every type of epidemic illness, from the most serious to the least dangerous
ones, from those of men to those of animals. By extension, therefore, he well soon
became the protector in general of animals, of fields and of country life, which resulted
in extremely widespread devotion.
We also need to bear in mind that St. Roch was traditionally considered a member of
the Franciscan «Third Order», with papal confirmation in 1547; obviously the friars of
St. Francis did much to encourage his cult, and, moreover, in 1694 Pope Innocent 12th
gave them the specific task to solemnly celebrate the festivity of the Saint. And, last but
not least – a curiosity – quarrymen, stone layers and extractors considered him their
patron because of an obvious (and superficial) play on words.
[3] ART AND POPULAR TRADITIONS. Representations of St. Roch are also obviously very
plentiful, but in their variety they present some common elements. St. Roch is almost
always portrayed as an older man, generally with a beard and wearing the typical outfit
of pilgrims. Sometimes his scarlet cross is shown engraved on his chest, but more often
the wound of the plague can be seen, usually in the middle of his thigh and customarily
on his left leg; this detail, at the beginning very realistic (and also rather brutal),
became less evident as time went on, to be covered by a bandage.
Gottardo’s dog started to appear between the fifteenth and sixteenth centuries, usually
lying down at the feet of the Saint and with a roll of bread in its mouth; in the same
way, it is easy to find many representations of St. Roch in the company of an angel.
Renowned artists such as Ghirlandaio, Correggio, Tiziano, Rubens, Van Dyck, Strozzi,
Reni, Veronese and Botticelli all produced works of art with our Saint as the subject.
Tiepolo is the author of one of the most suggestive paintings, St. Roch in front of the
Divine Light, which is possible to find in manifold reproductions.
But the most outstanding work is without doubt Tintoretto’s: a series of paintings that
admirably describe the most significant episodes of the Saint’s life, kept in the
homonym Venetian church (and many other works of art are found in the splendid
«Scuola Grande di San Rocco»). Lastly, we must mention the magnificent glass
decorations in the church of Saint-Etienne d’Elbeuf, one of the finest examples of
representations that are not either paintings or sculptures.
It is really impossible to linger over folkloristic traditions because the diffusion of
popular devotion, as we have recalled various times, has always been (and is)
extremely varied and fanciful. The cult is divulged in innumerable ways even today:
from the solemnity the celebration of the Saint’s name day, up to the particular
devotion reserved for his relics.
In some countries there are prizes given to dogs that – just like St. Roch’s dog – have
distinguished themselves for their loyalty to their master; in other localities bread or
water are blessed in the memory of the miraculous divine intervention in Sarmato, or in
reference to the fountain in Montpellier; and, there are countless handcrafted items of
sacred images reserved for processions, vows, particular benedictions, or for local
traditions.
A final curiosity: the name Rocco is used rather frequent in Italy. It is not comparable to
names such as Joseph, John, Anthony or Mary, but it is especially widespread in the
75
south, particularly in Puglia, in some zones of Campania and in the city of Potenza;
according to some studies, Rocco is the fifth most frequent name in the whole south. In
Veneto, its verbal root appears in many surnames (for example, Roccato).
[4] THE ROLE OF VOGHERA. As we have already said, the first attestation of a local cult
might date as far back as 1391, that is, only one decade after St. Roch’s death
(obviously with reference to the new chronology, which outlines his life in the period
1345/50 - 1376/79). After all, the presence in Voghera, for over one century, of his
relics, easily allows us to suppose that a much-felt popular devotion developed in this
town and in the surrounding areas.
A strong indication is the geographical distribution of parishes dedicated to St. Roch,
which are present in all Italian regions except Val d’Aosta, Molise and Sardinia (mind
you, we are speaking about parishes, not about churches in general). Well, in northern
Italy there are 152 parishes, 60 in the central zone and 48 in the south. For our
purpose, it is important to point out the statistics concerning the number of parishes
present in the surrounding regions; precisely, 27 in Liguria, 40 in Piemonte, 41 in
Lombardy, 30 in Veneto and 25 in Emilia-Romagna.
The importance of these numbers, as Monsignor Antonio Niero says, is the fact that, if
"from a geographical point of view, the concentration of parishes dedicated to St. Roch
in the Padana valley is surprising ", it is necessary to remember that "a not insignificant
influence was practiced by the devotional centres of St. Roch in Voghera and Venice.
Voghera lies near the southwestern border of Lombardy with Piedmont, on the road to
Alessandria and Genoa, at the base of an imaginary triangle with Piacenza, with its
vertex in Bobbio. Voghera is a devotional geographical crossroads of primary
importance. If we consider that the parishes of St. Roch in Piedmont, Liguria, Lombardy
– the three regions that border Voghera – total 108, that is, over half of the parishes
dedicated to St. Roch in the Padana valley, we cannot exclude that such intensity
depends on the tradition of the cult of the saint in Voghera".
The influence of commercial arteries has certainly been crucial; in fact, many highly
populated towns are along these roads: the «Via Emilia», from Milan to Piacenza and
down to Rimini; the coastal zone of Liguria (Genoa, Chiavari, La Spezia), with southeast
routes towards Tuscany (Lucca) and to the northeast towards the diocese of Tortona
(six parishes); the roads towards the northern countries, from Novara to Bergamo, from
Brescia to Trento, from Udine to Gorizia; the coast of Campania, with Naples and
Aversa, and the coast of Abruzzo, with Chieti and Vasto; eastern Sicily, along the zone
of the Messina Straits.
Voghera played a fundamental role in the diffusion of the cult of the most popular saint
in the whole history of Christianity; and the fulcrum of local devotion is obviously in the
parish church of St. Roch. It was originally built in honour of Saint Henry 2nd, probably
after his canonization (1146); this German emperor had, in fact, stayed in Italy from
1004 to 1014, and in Voghera he had a hospital built, called of the Saviour.
Benedictine monks from the monastery of St. Saviour in Pavia most probably managed
it; the church was given over to the Dominicans in 1497, after, therefore, the so-called
'theft' of his relics (in 1483, according to official sources in Voghera, or in 1485,
according to the fanciful version of Friar Mauro).
After the plague of 1524, the heads of the church decided to rebuild it and to dedicate
it to St. Roch; work on it started in 1525, continuing on and off for many years and was
76
completed only thanks to the intervention of the «Confraternita del Santissimo Nome di
Gesù» (Confraternity of the Holy Name of Jesus), often referred to as the Confraternity
of St. Roch.
The church’s consecration occurred around 1577, but further work went on for many
years. The new church preserved two small fragments of the Saint’s arm: they seemed
to have been overlooked during the ‘theft’, since, following a shrewd common custom,
they would have been kept, as a precaution, in a separate place. According to local
tradition, whose origin cannot be documented with certainty, the discovery of these
relics would date back to 1497.
In any case, we can say that the parish still keeps, besides the silver reliquary that
holds the above-mentioned fragments, a small coffin containing a card bearing the
words «Hic jacuit corpus Sancti Rochi» (the body of St. Roch lay here) and a sheet of
paper with this attestation: «This is the small coffin found in the walls of the Church of
St. Roch, made of walnut and lined with fustian cloth and shut with two strong locks,
inside of which there was the body of St. Roch, recorded in 1497». As we have said,
unfortunately we have no trace either of these records or of other documents of the
same kind.
Returning to the historical events of the church of St. Roch, on 22nd March 1814, Pope
Pious 7th stopped for one hour during his triumphal return in Italy following the
Napoleonic persecution; in the middle of the 19th century, this church – in a period of
anticlerical fury – was scornfully utilized as barracks for soldiers, and, in 1924, it was
officially declared a national monument. Before taking on its current appearance, it was
seriously damaged during the Second World War by the dramatic aerial bombardment
on 23rd August 1944. The earliest reports found regarding the Confraternity of St. Roch
in Voghera, as we have already said, was in occasion of the rebuilding of the church,
but from the relative documents we can deduce that it was active before 1577. It
terminated its activities after four centuries, in 1912.
Finally, we want to bear in mind that, as indicated by an ancient tradition dating back to
the late Middle Ages according to some local historians, St. Roch should be considered
the co-patron of Voghera, together with St. Bovo. We have no proof to confirm this
attribution, but we cannot exclude that, among the papers in the Historical Archives, we
may find the documents to solve at least this dilemma. We hope that in the near future
we can carry on more accurate research, in the hope to reveal at least one of the
Voghera mysteries of St. Roch. Recent discoveries, however, indeed seem to confirm
this thesis as well-founded: in 2005 Fabrizio Bernini published a document – a sentence
of Francesco Dal Verme (1553), count of Voghera – that invoked, as saints patrons,
Lorenzo (Lawrence), Rocco and Bovo.
[5] ASSOCIATIONS OF ST. ROCH. We have spoken about the cult, art, popular traditions
and religiousness related to him. But the name of St. Roch is, above all, linked to social
initiatives, to charitable activities, to fundraising and cultural work, all of which are
present worldwide. After all, this Saint is the prototypical champion of solidarity and, as
we would say today, of volunteer service, always consistent and genuinely dedicated to
his faith.
On this subject, from 26th to 27th June 1999, a National Conference of Confraternities,
Churches and Parishes of St. Roch was organized in Voghera, in the presence of the
highest civil and religious authorities. Overcoming every expectation, over one thousand
77
devotees to St. Roch went to Voghera, forming a particularly suggestive procession in
the city streets; the presence of numerous mayors, priests and clerics from so many
Italian cities and towns was remarkable.
It was a great surprise for the inhabitants of Voghera (who also joined in) to see so
many people pass by, many of them dressed in the picturesque ancient outfits of the
confraternities; the sight of standards and great crucifixes scattered along the lengthy
procession was quite impressive. The two-day-long manifestation was also marked by
two particularly solemn masses and by an important, highly cultural debate. A curious,
unique ceremony, the benediction of dogs (how could we forget St. Roch’s dog?) also
took place in the cathedral square.
After that extraordinary experience, another significant event took place in December
2001, during the official presentation of this essay in the course of a seminar about a
profound assessment of our initial associative projects.
There, the seeds were sown for the establishment, in June 2005, of the «Associazione
San Rocco Italia», and in October 2010 of the «Associazione Italiana San Rocco di
Montpellier» and his «Centro Studi Rocchiano» (center for studies on saint Roch); this
committee intends to coordinate research about the life and the legend of the Saint,
and to assemble together some of the top experts in the world in this sector. It’s a
project that involves, in a variety of ways, all the principal cities linked to the fascinating
figure of Roch of Montpellier, with Voghera in a central role.
© Pierre Bolle & Paolo Ascagni 2001-2010 / Gina Torreggiani 2005-2008. All rights reserved. Reproduction,
even partial, of the contents of this portal is subject to copyright laws. Every violation will be pursued
according to civil and penal laws. The «Centro Studi Rocchiano», through the legal offices of the
«Associazione Italiana San Rocco di Montpellier», reserves the right to undertake every action in such
sense. To utilize the contents of this site it is necessary to meticulously follow the rules spelled out in the
special section (Æ Legal notes).
78
ASOCIACIÓN ITALIANA SAN ROQUE DE MONTPELLIER
CENTRO DE ESTUDIOS SOBRE SAN ROQUE - COMITÉ INTERNACIONAL
PIERRE BOLLE
PAOLO ASCAGNI
ROQUE DE MONTPELLIER
VOGHERA Y SU SANTO
Documentos y testimonios sobre
el nacimiento del culto a uno de los
santos más amado de la cristiandad
Traducción de
MARIA LUENGO
Versión original: Octubre 2001
Revisiones: Septiembre 2005, Febrero 2007, Enero 2008, Octubre 2010
80
ÍNDICE
Capítulo Primero
LA VIDA DE SAN ROQUE DE MONTPELLIER
Las fuentes escritas.
El apellido.
La familia.
La ciudad natal.
Las fechas cronológicas.
La adolescencia.
La vocación de peregrino.
La peste.
La llegada a Italia.
La audiencia papal.
Las acontecimientos de Plasencia.
Sus últimos años.
La muerte en Voghera.
Capítulo Segundo
LAS RELIQUIAS Y TESTIMONIOS LITÚRGICOS
EL PAPEL DECISIVO DE VOGHERA
La importancia de las reliquias y de los testimonios
litúrgicos para el conocimiento del santo
La versión arlesiana.
Las versiones venecianas.
La comparación con las fuentes de Voghera.
Voghera en el centro del culto a San Roque.
Capítulo Tercero
EL CULTO Y LA DEVOCIÓN POPULAR
La canonización.
La difusión del culto.
El arte y las tradiciones populares.
El papel de Voghera.
Las asociaciones de San Roque.
81
Capítulo primero
LA VIDA DE SAN ROQUE DE MONTPELLIER.
[1] LAS FUENTES ESCRITAS. Las informaciones relativas a la vida de San Roque, incompletas
y a menudo legendarias, nos han sido transmitidas gracias a un cierto número de textos
que nos permiten disponer en concreto de una serie de datos históricos esenciales. Las
principales hagiografías son las siguientes:
• La VITA SANCTI ROCHI, escrita en latin por el jurista veneciano Francesco Diedo, gobernador
de Brescia. Publicada en 1479, fue reimprimida varias veces, tambien en versión italiana;
fue ampliamente utilizada por Ercole Albiflorio en una hagiografía editada en Udine en
1494, el mismo año que LA VIE, LÉGENDE, MIRACLES ET ORAISON DE MGR. SAINT ROCH del
dominico Jehan Phelipot.
• La ISTORIA DI SAN ROCCO, obra de un tal Domenico da Vicenza. Escrita en italiano, es una
composición en versos, fechada entre 1478 y 1480. Tan solo fue descubierta recientemente.
Hoy, la hipótesis de una derivación del texto de Diedo parece plausible pero aun no se
puede afirmar; por esta razón esta hagiografía es objeto de un análisis más profundo.
• Los ACTA BREVIORA, cuya primera edición conocida se encuentra en un libro de Vitae de
santos publicado en Colonia en 1483. Según algunos investigadores, se trataría de la
traducción latina de un texto italiano más antiguo, y habrían sido compuestos en Lombardia
entre 1420 y 1430. Otros autores sin embargo piensan más bien que la fecha exacta de
los Acta breviora es realmente1483 y que por lo tanto son posteriores al libro de Diedo. La
teoría que predomina hoy es esta.
• Un texto alemán titulado DY HISTORY VON SAND ROCCUS (Viena 1482) o DAS LEBEN DES
HEILEGEN HERRN SANT ROCHUS (Nuremberg 1484). A menudo es citado como HISTORICA EXITALICA LINGUA REDDITA TEUTONICE AD HONORANDUM SANCTI ROCHI, es decir traducido del
italiano al alemán en el marco de los estudios sobre san Roque, este texto es convencionalemente llamado ANÓNIMO ALEMÁN.
• La VITA SANCTI ROCHI del obispo francès Jean de Pins, embajador en Venecia del rey
Francisco I. Este libro, claramente inspirado en el texto de Jehan Phelipot en particular,
fue publicado en Venecia en 1516.
• Tenemos pues, la VITA DEL GLORIOSO CONFESSORE SAN ROCCO de Paolo Fiorentino, impresa
en Brescia (1481-1482), y un manuscrito de Bartolomeo dal Bovo (1487). Estos dos textos,
más bien breves, presentan algunas novedades que parecen muy interesantes. Sin
embargo, se deben esperar los resultados de estudios más profundos.
De todos modos debemos subrayar que las obras hagiográficas no constituyen necesariamente la mejor manera de crear una biografía rigurosa de los santos y del nacimiento de
su culto. En general, son escritas mucho después de los hechos y se justifican más por
razones religiosas o de orden moral que por razones históricas. Por este motivo los
escritores de la época no tenían ningún escrupulo en adornar sus libros de leyendas o
simplemente de historias inventadas acompañadas de una serie de «lugares comunes»
sacados de la Biblia o de la vida de otros santos. Todo esto puede parecernos absurdo
pero la hagiografía debia presentar al lector un modelo de vida cristiana a seguir.
Por eso, las antiguas hagiografías no son documentos fundamentales para los
investigadores modernos en el marco de la reconstrucción histórica del nacimiento de un
culto local al contrario de los testimonios litúrgicos y arqueológicos. En lo que a nosotros
se refiere, el hecho de que muchas hagiografías hayan sostenido a lo largo de los siglos la
82
tesis de la muerte de S. Roque en Montpellier no tiene un gran valor. Es un hecho, lo
veremos, díficil de conciliar con la falta de informaciones relativas a la tradición cultural
local. En cambio, los antiguos documentos de Voghera que atestiguan la presencia en la
ciudad de sus reliquias ya en 1469 y la existencia de una fiesta de S. Roque en 1391, son
infinitamente más importantes mientras que la primiera procesión descrita en Montpellier
data de 1505 , casi un siglo más tarde.
[2] EL APELLIDO. Parecerá estraño pero la vida de S. Roque es tan nebulosa que incluso
nadie ha puesto en tela de juicio su apellido. En efecto, según algunos investigadores (en
particular Augustin Fliche), Roch sería la transformación del apellido de un noble linaje del
Languedoc francès, los Rog o Rotch, muy influyentes en Montpellier política y económicamente, entre los siglos XIII y XIV. Algunos de esos investigadores afirman, para sostener
su tesis, que en esa época se tenía la costumbre de llamar por el apellido al primogénito
de la familia.
Esta hipótesis parece poco convincente puesto que los archivos de Montpellier demuestran
que Roch, Roc, Roca o Roqua eran apellidos más bien frecuentes en todos los ámbitos
sociales. No es necesaio por lo tanto recurrir al artificio del apellido transformado en
nombre para explicar nada menos que Roch era un nombre, por otro lado muy corriente
en Italia a principios del siglo XIII.
[3] LA FAMILIA. Muchos escritores han dado rienda suelta a su fantaisía al sugerir el alto
linaje de la familia de S. Roque. Otros hablan de una filiación con la Casa Real de Francia;
algunos hablan de una filiación con el linaje de Aragón o de Mallorca; otros también
hablan de una descendencia por parte materna de santa Isabel de Hungría y por parte
paterna de los Angevinos, monarcas franceses.
Si tuvieramos que referirnos a otras hipótesis, citariamos la del bolandista Jean Pinius que
hace referencia a la familia De La Croix en las «Acta Sanctorum». En el «Registro de
consules y curiales» de Montpellier, se señala en efecto a un tal Jean De La Croix que
desempeño entre 1356 y 1360 importantes cargos y que fue en 1363 el Consul general de
la ciudad. Es un personaje que podríamos identificar como el padre de S. Roque… pero
toda la tesis De La Croix es muy floja.
Según otras fuentes, sus padres se llamaban Jean y Libère y pertenecián a una familia
noble y acomodada ligada a la gran burguesia comercial. También se habla de los orígenes
itálicos de la madre de S. Roque, venida de Lombardia para casarse en Montpellier. No
obstante el obispo Jean de Pins da un nombre diferente a la madre de S. Roque: no es
Libère sino ¡Franca!
El rango nobiliario de los santos es muy a menudo utilizado en las biografías hagiográficas
y no podemos dar demasiada credibilidad a esas versiones a pesar de no poder excluirlas.
Las encontramos en particular en los textos anctiguos y más concretamente en las Acta
breviora.
[4] LA CIUDAD NATAL. Una de las informaciones que todos los especialistas se ponen de
acuerdo en validar es su nacimiento en Montpellier. Montpellier es una localidad del
Languedoc en el sur de Francia a diez kilometros del Golfo de León. Capital del
departemento del Hérault y sede episcopal desde 1536, Montpellier dependía en la Edad
Media de Maguelonne. Su antiguo nombre era Mons Pessulanus y la ciudad es aun hoy un
importante centro cultural y comercial.
83
En 1204 Montpellier fue traspasada por Pedro de Aragón al obispo de Maguelonne. En
1214 Montpellier se convirtió en una república. En 1258 Santiago de Aragón se convirtió
en señor de la ciudad. En 1276 la ciudad fue asociada al Reino de Mallorca. En 1349 pasó
a ser controlada directamente por la monarquía francesa, pero su integración definitiva al
reino de Francia tan solo fue ultimada en 1383 por Carlos VI, debido a las agitaciones
políticas y sociales de la época. La ciudad vivió un periodo difícil cuando cayó en manos de
los huguonotes, los protestantes franceses, entre 1567 y 1622.
En la Edad Media, Montpellier estaba gobernada por un señor que ejercía plenos poderes
sobre la justicia y sobre los militares. Una asamblea de doce consules gestionaba el poder
legislativo, administrativo y fiscal. La ciudad era muy afamada por su universidad de
medicina y de derecho. Se encontraba en el camino de los peregrinos que iban hacia
Santiago de Compostela lo que acrecentaba considerablemente su prestigio.
[5] LAS FECHAS CRONOLÓGICAS. Durante varios siglos, se habló de fechas relativas a la
vida de S. Roque que tan solo recientemente han sido puestas en tela de juicio por
investigadores afamados como Antonio Maurino, Augustin Fliche y François Pitangue.
La cronología llamada tradicional se remonta a la antigua hagiografía de Francesco Diedo.
Daba 1295 como año de nacimiento de S. Roque y 1327 como año de su muerte. Aun hoy
en día esas fechas son utilizadas como referencia.
En cambio las nuevas cronologías se basan en las Acta breviora que carecen de fechas
pero pueden servir de punto de partida gracias al famoso episodio de la audiencia papal
para intentar conciliar este acontecimiento en un contexto histórico. Entraremos en los
detalles más adelante.
De momento, basta recordar que, teniendo en cuenta las diferentes versiones de las que
disponemos, S. Roque habría nacido entre 1345 y 1350 y habría muerto entre 1376 y
1379. Llegado a Roma en 1367-1368, habría ido a Plasencia en 1371 donde habría sido
detenido entre 1371 y 1374.
Estas diferentes reconstrucciones presentan ciertamente algunos elementos sólidos e
interesantes, pero la incertidumbre permanece si tenemos en cuenta en particular un
elemento considerado como muy importante. No se señalan epidemias de peste bubónica
entre 1295 y 1327 pero si es cierto que en la Edad Media la palabra peste era utilizada con
suma desenvoltura y que este término describía generalmente todas las formas de
epidemia. En resumidas cuentas, las dos cronologías presentan tanto la una como la otra
elementos en su favor a pesar de que recientemente cada vez más investigadores parecen
inclinarse por la segunda, es decir la que expone la fecha de su nacimiento entre 13451350 y la de su muerte hacia 1376-1379.
[6] LA ADOLESCENCIA. Según fuentes antiguas, los padres de San Roque no podián tener
hijos y solamente después de un intenso período de oraciones la Gracia divina concedío
este acontecimiento tan esperado. Resulta superfluo recalcar que la leyenda se incorpora
en la historia. Se dice que el recien nacido llevaba en su pecho la marca bermeja de la
cruz y que todos los miércoles y los sábados, cuando su madre ayunaba, el niño también
se negaba a comer. S. Roque crecío en un clima de profunda religiosidad y muy pronto
demostró su vocación.
Cuando Montpellier fue sitiada por la peste en 1348 y en 1361 (¡Con más de 150 muertos
al mes!), es probable que S. Roque hubiese desarrollado una sensibilidad particular hacia
los enfermos y los que sufrián – si las hipótesis cronológicas más recientes son aceptadas.
84
Incluso su infancia fue marcada por una de las épocas más oscuras de toda la historia de
la Iglesia. La sede secular de Roma fue transferida desde el año 1309 a Aviñon y a pesar
del poder ejercido por ciertos pontifices, los reyes de Francia intervinieron excesivamente
en los asuntos de la Iglesia. La reforma de las Ordenes mendicantes se hizo siempre más
apremiante, en particular para los Franciscanos y los Dominicos, muy presentes en
Montpellier.
Algunos escritores relatan que S. Roque habría estudiado en la escuela de los Dominicos y
que habría formado parte de la «Tercera Orden» de franciscanos. Se trata de nuevo de
informaciones sin verificar o de libre interpretación.
[7] LA VOCACIÓN DE PEREGRINO. La vida de S. Roque dió un giro importante con la pérdida
consecutiva de sus padres a los que estaba muy unido. Tenía entonces probablemente
veinte años. Único heredero de las considerables riquezas de su familia, prendado de fé
cristiana, vendió sus bienes donándolos a los pobres a travès de los claustros, los
hospitales y las instituciones reservadas a las mujeres. Se puso al fín el traje de peregrino.
La peregrinación es un fenómeno milenario comun a las diferentes religiones durante el
cual eran valorizadas la purificación interior, la búsqueda de lo sagrado, la devoción
espiritual, la búsqueda moral, la búsqueda de una gracia especial pero sobretodo la
curación. En el mundo cristiano, los peregrinos siempre han preferido los lugares sagrados
de Tierra Santa, asi como las tumbas y las reliquias de los santos y de los mártires; los
nombres de Jerusalen, Roma y Compostela son ciertamente los más conocidos.
En la Edad Media, Europa disponía de una red capilar de hospitales y de centros de
acogida gestionados por cofrardías o por eclesiasticos o también por religiosos, y a veces
incluso por laicos, que asistian a los peregrinos. La generosidad popular era alentadora y
virtuosa y a menudo brindaba un gran alivio a los que se aventuraban por los caminos.
S. Roque decidó pues emprender un peregrinaje de penitencia en dirección a Roma para
venerar las tumbas de los santos apostoles y martires. Se pusó el sayo de peregrino: un
sombrero de ala ancha para protegerse de la lluvía; un bordón y una calabaza por
cantimplora; un abrigo de peregrino hasta la cadera; una o varias conchas para sacar
agua de los rios; y para terminar unas alforjas terciadas.
Solía ser costumbre que la partida de los peregrinos fuese proclamada durante una
ceremonia religiosa de consagración y de bendición. «En nombre de nuestro Señor Jesús
Cristo, recibe estas alforjas, simbolo de tu peregrinaje sobre la tumba de los santos
apostoles Pedro y Pablo, hacia donde te diriges. Recibe este bastón, consuelo del
cansancio en tu camino para que puedas evitar las trampas del Enemigo (..) Y que, una
vez alcanzada la meta, regreses entre nosotros en la alegría, por la Gracia de Dios».
[8] LA PESTE. El recorrido efectuado por san Roque y las localidades que atraviesa son
motivo de controversia pero disponemos de algunos elementos que nos permiten
reconstruir de un modo acceptable los años más importantes de su intensa vida terrestre.
La estancia en Italia estuvo marcada por la presencia de la terrible plaga de la peste que
en la Edad Media fue una verdadera catástrofe.
La peste es una enfermedad infecciosa que ataca a los hombres y a los animales y se
transmite por contagio, más frecuentemente por las pulgas de las ratas y de otros
roedores. El primer caso historicamente documentado fue la «peste de Justiniano» que se
propagó en el Mediterráneo en el siglo VII. La última epidemia censada tuvo lugar al parecer en 1894-1920. Se señalaron algunos casos de peste en 1994, en particular en la India.
85
Los efectos más devastadores de la epidemia sin embargo se han comprobado en la Edad
Media entre 1346 y 1353, los años llamados de la «peste negra», procedente de las
altiplanicies de Asia central. Según las estimaciones de los historiadores, se censan en
Europa más de veinte millones de muertos es decir una tercera parte de la población de
aquella época.
Es inutil subrayar las consecuencias materiales pero también psicológicas, sociales y
morales que pudo provocar tal plaga. La historia y la civilización de toda la Edad Media
fueron profundamente modificadas. Si la peste no se hubiese manifestado, la historia
hubiese tomado otro rumbo.
Debemos subrayar que Francesco Diedo redactó su famosa Vita Sancti Rochi en 1479 en
el transcurso de una de esas epidemias, aunque no se tratase de peste. En la Edad Media,
se carecia de conocimientos especificos sobre las enfermedades y para nombrar las más
variadas enfermedades, como la gripe actual, se la llamaba a menudo peste. En aquella
época, incluso una gripe era tomada muy en serio; era una patología grave que podía
tener a veces consecuencias mortales.
La presencia reiterada de la peste o de enfermedades de tipo contagioso en Europa fue
hasta el siglo XVIII uno de los motivos principales de la difusión del culto de S. Roque.
Este culto conoció un desarrollo prodigioso y se propago en menos de quince años en el
norte de Italia, Autría, Alemanía (hasta Lubeck), Belgica y Francia, incluido París.
[9] LA LLEGADA A ITALIA. Como ya lo hemos dicho anteriormente, resulta muy difícil
determinar el recorrido de S. Roque por el territorio italiano a pesar de que numerosas
ciudades alardeen de su paso o de su estancia.
Según François Pitangue, la primera etapa conocida sería Acquapendente, una pequeña
ciudad del Lazio en el departamento de Viterbo. Allí, Roque pidío ser acogido en el hospital
local. Un hombre llamado Vicente, enternecido por su juventud, trató de disuadirlo
explicándole que había muchos enfermos de peste. Pero ese era exactamente el motivo
por el cual Roque quería quedarse: para ponerse al servicio de los que sufrian y vivir el
ejemplo de Cristo.
Según la biografía del bienaventurado Giovanni Colombini – que vivío en el siglo XIV – uno
de los fieles más sinceros se llamaba Vicente. Por por otro lado el fundador de los
«Gesuati» (no confundir con «Gesuiti», Jesuitas) habría contraido la peste en el camino de
regreso a Siena, procedente de Roma de donde venía de presentar al Papa los estatutos
de su orden. Al cotejar esas informaciones, Pitangue afirma que S. Roque habría llegado a
Acquapendente el 25 o el 26 de julio de 1367. Esta hipótesis no obstante se basa en
informaciones de fuente indirecta y probablemente imaginarias; recordemos que la
biografia de Colombini fue escrita en el siglo XVII…
Es posible que S. Roque haya retrasado su llegada a Roma. Seguía paso a paso los
perjuicios de la epidemia y curaba a la gente a su paso; cruzó la Italia central y se paró en
la Emilia Romaña. Había tomado la costumbre de trazar el signo de la cruz en la frente de
los enfermos y de invocar la Trinidad de Dios para su curación, pronunciando la siguiente
frase: «que Dios destruya tus raices, te aleje de las casas que posees y te haga renunciar
a la tierra de los vivos, en el nombre del Padre, del Hijo y del Espiritu Santo».
Frente a esta demostración ejemplar de su fe, se relató que era el propio Dios quien lo
había enviado como instrumento de su Gracia al concederle el don de curar milagrosamente a los apestados.
86
[10] LA AUDIENCIA PAPAL. Uno de los episodios más conocidos de la vida de san Roque es
su encuentro con el soberano pontifice. Es un testimonio de gran valor para testificar la
nueva cronologia de su vida. De 1309 a 1377, los papas se hallaban en Aviñon, y en esa
época se constata, entre el 16 de octubre de 1367 y el 5 de septiembre de 1370, la
estancia en Roma, aunque breve, de un único pontifice. El papa en questión era Urbano V,
un francés que había sido profesor en la universidad de Montpellier. Había decidido
restablecer la sede del papado en Roma, a pesar de las fuertes oposiciones internas.
Fracasó y regresó a Aviñon donde murió algunos meses más tarde. Su sucesor Gregorio XI
llevó a buen termino esta empresa terminando definitivamente con el período de exilio en
tierra francesa, en buena parte gracias a la determinación de Santa Catalina de Siena.
Admitiendo pues que el papa con el que S. Roque se entrevisto fuese Urbano V, debía
estar en Roma a finales de 1367 y principios de 1368. Como en todos los demás lugares,
S. Roque se puso al servicio de los enfermos y los que sufrían en un hospital de Roma. Allí
tuvó lugar una curación muy destacada puesto que el enfermo era un cardenal; es ese
prelado quien habría organizado la audiencia papal, en señal de gratitud. El hospital sería
el hospital del Santo Espíritu; su fundador era Guy el Bienaventurado, hijo de Guillermo
VII de Montpellier, y es ese nexo con Montpellier el que serviría de prueba… pero es muy
poca cosa para sostener esta hipótesis.
Muchas conjeturas se han hecho en cambio sobre la identidad del prelado. Se habló del
hermano del papa Urbano V pero es una sugerencia como tantas otras. Según Pitangue
no se trataría de un cardenal sino más bien del regente «pro tempore» de la Penitenciaria
del Vaticano, Gaillard de Boisvert.
Este misterioso «cardenal» tenía sin duda alguna acceso a los más altos niveles de la
jerarquía de la Curia romana puesto que organizó la audiencia papal para su sanador. San
Roque se arrodillo humildemente ante Urbano V. El soberano pontifice parece haber sido
profundamente conmovido por el carisma de S. Roque y habría declarado «¡ Me parece
que vienes del Paraíso!». La estancia de S. Roque en Roma, según la nueva cronologia,
finalizaría en 1370 o 1371. Aquí de nuevo no podemos asegurar nuestras informaciones.
[11] LOS ACONTECIMIENTOS DE PLASENCIA. La situación parece esclarecerse cuando S.
Roque se presenta en Plasencia. Vive una serie de acontecimientos que parecen más
dignos de fe tal como son contados en las diferentes hagiografías. Si nos basamos en la
nueva cronología, la entrada en la ciudad se remonta al mes de julio de 1371.
S. Roque se dirigío a un hospital para proseguir su obra de consuelo y de auxilio a los
enfermos. La tradición dice que una noche oyó una voz que le dijó mientras soñaba:
«Roque levantate, estás curado de tu enfermedad». Comprendío entonces que acababa
de ser alcanzado por la peste: curado en el alma del pecado, debía experimentar la
prueba de la enfermedad en su cuerpo y purificarse. Fue expulsado del hospital y se
arrastro penosamente hasta el bosque cercano para aislarse y morir en paz.
La localidad donde se refugió según la tradición local es la ciudad de Sarmato, situada a
diez y siete kilométros de Plasencia. Allí logró apagar la sed y limpiar su herida gracias a
un manantial cercano. Hoy en día aun podemos visitar la «fuente» y la «cueva» donde S.
Roque se refugió.
Pero S. Roque no tenía que comer y fue un perro el que le trajo todos los días un trozo de
pan que hurtaba en la cocina de su amo. Este animal es representado desde entonces
como el compañero inseparable de S. Roque y ha sido inmortalizado al correr de los siglos
en innumerables representaciones artisticas y artesanales.
87
Gotardo era el nombre del amo del perro. Miembro de una familia acomodada que se
había mudado a su residencia de verano para protegerse del contagio. Intrigado por las
idas y venidas de su perro, lo siguió y asi fue como se encontró con S. Roque. Haciendo
caso omiso de las insistentes recomendaciones de S. Roque de alejarse del peligro,
Gotardo al contrario lo ayudó y muy pronto intimó con él unidos por el mismo impulso de
profundo reconocimiento de la fe cristiana.
Gotardo se hizo discipulo de S. Roque. Se propusó vender sus bienes para acercarse a
Cristo y a sus mandamientos y se puso el sayo, ante el estupor de sus allegados. Cuando
se separaron, fue con mucha emoción: los dos amigos no se volvieron a ver jamas.
Gotardo se asocia tradicionalemente a una familia noble de Plasencia, los Pallastrelli.
Seria uno de sus miembros. Su nombre también se asocia a un famoso fresco que aun se
encuentra en la iglesia de Santa Ana en Plasencia, al principio colindante con el «Hospital
de Nuestra Señora de Belén». Se escribío que el fresco representaba al principio la Virgen
María con San José, que la imagen de S. Roque fue pintada por Gotardo y que un pintor
anónimo habría mucho más tarde representado a Gotardo. Estas hipótesis han sido todas
rechazadas por los expertos que han juzgado demasiado reciente el fresco para que fuese
autentico.
Gotardo es además considerado el autor de la primera presunta hagiografía de S. Roque,
que habría servido como base a los escritores sucesivamente. Ese texto está perdido. No
obstante todas esas informaciones son dificilmente verificables y una vez más debemos
ceñirnos a hipótesis puesto que perdemos toda huella después de que los dos amigos se
despidieron. Se habla en algúnos textos de la muerte de Gotardo, solo, en un país lejano,
en estado de extrema pobreza.
[12] SUS ULTIMOS AÑOS. Tras la partida de Plasencia, las informaciones relativas a S.
Roque son de nuevo vagas y poco fiables. Proceden de fuentes indirectas, son retomadas
de textos antiguos y de leyendas. Sin embargo la historia sigue siendo la misma a
excepción hecha del lugar de su muerte que, como lo veremos, se difunde de manera
errónea.
S. Roque va a encontrar de camino numerosas dificultades en una región en guerra, y de
este modo se va a ver confrontado a una situación política debilitada, que va a poner en
peligro su vida. Sus prendas de peregrino están en mal estado y van a llamar la atención
de las autoridades, que lo verán como sospechoso de ser un espía del enemigo. Será
detenido e interrogado y rehusará revelar su identidad para mantenerse fiel a su voto de
pobreza.
Lo meterán en la cárcel donde permanecerá durante cinco años. Vivirá esta prueba como
una forma de «purgatorio» para la expiación de sus pecados. Cuando su muerte se
aproximaba, numerosos prodigios se habrían producido, típicos de las hagiografías de los
santos. Uno de esos prodigios, el más plausible, es la invocación que hizó a Dios para que
le concediese la gracia de curar a los enfermos de manera que ellos a su vez pudiesen
rezar a Dios acordandose de él. Murío el 16 de agosto, al día siguiente de la fiesta de la
asunción de la virgen María, en 1376 o en 1379 según la nueva cronología.
La ‘sorpresa’ final es uno de los episodios más conocidos de las hagiografías del Santo.
Observando la marca de nacimiento sobre su pecho en forma de cruz bermeja, la madre
del gobernador comprendío al fín su identidad y declaró que «era el hijo del señor Jean de
Montpellier». De hecho, el propio gobernador no era otro que el tio de S. Roque: ciertos
textos dicen por parte de padre, otros de madre.
88
El ‘reconocimiento’ es otro «lugar comun» clásico tanto en obras que se refieren a la vida
de los santos, como en la Biblia o incluso en la mitología antigua. Solo Jean de Pins quiso
cambiar la tradición del tio paterno y habló del tio materno y del origen lombardo de la
madre de S. Roque. Sus afirmaciones, a decir verdad, son indemostrables, pero han sido
utilizadas por otros autores para sostener la tesis de la detención y la muerte del Santo en
Lombardia. Pero como veremos, tenemos otros elementos para alimentar nuestras
reflexiones.
[13] SU MUERTE EN VOGHERA. Durante siglos, se declaro que S. Roque había muer-to en
su ciudad natal de Montpellier («su patria» según Diedo); algunos historiadores, en
particular Augustin Fliche, la situaron en Angera sobre el lago mayor («Angleria» en las
Acta breviora). Otra hipótesis, juzgada totalmente peregrina, habla vagamente de tierras
alemanas. Esta última ha sido prontamente descartada.
La hipótesis de la ciudad natal también debe ser descartada por una larga serie de
razones, empezando por el hecho de que el primer testimonio sobre el terreno del culto
del Santo remonta a 1505; este testimonio habla de una procesión dedicada a S. Roque y
S. Sebastián. Oros testimonios que estarían fechados en 1415-1420, han sido puestos en
duda y descartados. Pero incluso si se hubiesen tenido en cuenta, serian posteriores a uno
de los documentos de Voghera que mencionaremos más adelante. Además, durante todo
ese tiempo, la Universidad de Derecho de Montpellier invocaba a sus habituales
protectores contra la peste: S. Fabián y S. Sebastián. ¿Acaso podemos imaginar un hecho
semejante en la ciudad que debería poseer la tumba, la iglesia y el cuerpo del santo más
venerado de la cristiandad de la época, para implorar la protección divina contra la plaga
de la peste?
En cuanto a Angera, no existe ningún testiminio que hable de la presencia del santo en
esa ciudad ni en las ciudades limítrofes y menos aun de la presencia de sus reliquias. Por
lo tanto es probable que haya habido una confusión entre Angleria-Agera/Angera y
Viqueria/Voghera, como lo explicó uno de los más grandes espe-cialistas de la vida de san
Roque, Monseñor Antonio Niero: “El paso (..) de Ugera, variante popular de Agera o, del
alemán Ughera a Voghera, [no es] improbable, por las fases Ughera-Vughera, (..) si se
toma en consideración la posibilidad de modificar la «U» y «V» muy común en la fonética
latina”.
Por otro lado, fuentes más antiguas recuerdan que S. Roque se encontraba en un
territorio «donde reinaba la discordia». Tal descripción se presta fácilmente a la zona
comprendida entre Plasencia y Voghera, que era una zona fronteriza crítica de los
territorios del Ducado de Milán, que estaba siempre en guerra para poder protegerlos y
conservarlos. Entre 1371 y 1375 Bernabé Visconti dirigío una guerra abierta contra la liga
papal de Urbano V, capitaneada por Amadeo VI de Saboya y ocupada en defender las
posesiones pontificales de las ambiciones milanesas.
En los territorios de los Visconti, en las zonas fronterizas en particular o en las zonas de
gran tránsito, los peregrinos eran mal vistos y tanto más cuanto se mostraban reacios a
contestar a las preguntas como lo había hecho S. Roque. El temor a cerca de espias era
muy agudo, y bastaba la más miníma sospecha para meter a alguién en la cárcel. No se
puede afirmar que S. Roque no haya alcanzado el Lago Mayor o incluso el territorio
francés pero es más probable que haya sido detenido mucho antes.
En esa época, Galeazzo II, hermano de Bernabé, había hecho reforzar las fortificaciones
de Broni, Casteggio y sobretodo de Voghera, punto estrategico de la defensa militar;
89
Parma formaba parte desde hacía poco de las tierras del ducado de Milán, Plasencia
estaba en el corazón de la querella, altos prelados de la Emilia Romaña habían sido
encarcelados, y el conflicto con la Santa Sede había alcanzado su paroxismo.
Se puede razonablemente suponer que S. Roque haya sido detenido en las cercanías de
Broni, como lo mantiene Pitangue, y que haya sido conducido ante Castellino Beccaria, el
superintendente militar de los Visconti. Es posible que uno de sus cercanos colaboradores
haya sido el guardián de prisión del Santo, el mismo que, según las hagiografías,
descubrío más tarde ser su tio.
Pero los elementos más destacados que confirman en substancia la hipótesis de su muerte
en Voghera son los siguientes: la documentación que testifica la presencia de su cuerpo y
de sus reliquias en 1469 y de su robo en 1483, asi como el documento conservado en los
Archivos Históricos, que actualmente forma parte de los registros de las «Statuta civilia et
criminalia» (Leyes civiles y penales) fechadas en 1391. Volveremos a retomar el tema más
detalladamente en el capitulo siguiente.
90
Capítulo Segundo
LAS RELIQUÍAS Y LOS TESTIMONIOS LITÚRGICOS.
EL PAPEL DECISIVO DE VOGHERA.
[1] LA IMPORTANCIA DE LAS RELIQUIAS Y DE LOS TESTIMONIOS LITÚRGICOS PARA EL
CONOCIMIENTO DEL SANTO. El problema de las reliquias de san Roque es aun más
complejo que el de sus hagiografías. Como hemos visto, los estudios de los historiadores
hasta ahora se han centrado sobre todo en estas últimas, que se agrupan en dos grandes
tradiciones: la de la Vita Sancti Rochi de Francesco Diedo y la de las Acta breviora. La
primera fija la vida del Santo entre 1295 y 1327, mientras que la segunda carece de
cronología.
Esos autores las han utilizado para intentar discernir lo que podía permitirles clasificar «la
vida y milagros» del Santo en su cronología. Siempre es un método muy arriesgado en la
medida que los relatos hagiográficos han sido a menudo redactados mucho tiempo
después de los acontecimientos y han sido inevita-blemente objeto de una modificación de
estilo. Como ya hemos dicho, se trata ante todo de un género literario enfocado a brindar
una guía a los fieles en vez de una reconstrucción histórica fiel. La hagiografía está más
orientada hacia una represen-tación del santo como modelo de santidad ejemplar a
seguir.
En ese sentido, a menudo es díficil distinguir con certeza si tal hecho es digno de fe o si se
trata de un lugar común tomado de otras vidas de santos o de la Sagrada Escritura.
Concentrando toda su atención en obras de ese género, muchos investigadores han
ignorado demasiado a menudo otras fuentes igual de intere-santes y frecuentemente más
fiables. Es el caso de las piezas arqueológicas – principalmente las reliquias – y de los
testimonios litúrgicos, que tienen la ventaja de ayudarnos a comprender donde y cuando
nació un culto, independientemente de lo que dicen a este propósito los hagiografos.
Como han demostrado los Bolandistas – del famoso colegio de sabios jesuitas belgas que
gestiona desde hace siglos, con sumo escrúpulo, la edición crítica de la vida de los santos
– es más importante tratar de identificar el lugar donde se ha manifestado de manera
regular la primera tradición litúrgica y la primera veneración de las reliquias. De este
modo, podemos esperar establecer con mayor precisión el lugar y la fecha de la muerte
de un santo en lugar de sacar esas informaciones de los libros de los hagiografos.
Además el día del año que señala la celebración del santo es una indicación mucho más
valiosa que el supuesto año de su muerte. Esta información es frecuentemente fruto de la
imaginación del hagiografo y le permite distinguirse de los demás escritores dando una
gran credibilidad a su historía y valorizandola. En este sentido, veremos como las
investigaciones realizadas en Voghera adquieren todo su peso en relación a los datos
hagiográficos en términos de liturgia y de tiempo.
Es a menudo por falta de interés, carencia de competencias metodológicas o simplemente
por la complejitdad del trabajo de investigación, que la mayoría de los escritores se han
limitado a recordar las dos grandes tradiciones que hablan de las reliquias, una
procedente de Arles y la otra de Venecia, mientras que la realidad de los hechos es mucho
más compleja y a menudo oscura.
Antes de entrar en el meollo del tema, es indispensable señalar que algunas hagiografías
entre las más antiguas no mencionan ni la presencia ni el traslado de las reliquias. Se trata
91
de nuevo de la Vita Sancti Rochi de Francesco Diedo (1479, primera edición) y de las Acta
breviora (1483). Esta observación puede explicar la dificultad de los antiguos hagiográfos
para identificar los primeros lugares de culto.
A este propósito, solo Diedo hizó una tentativa de reconocimiento de la tradición cultural
refiriendose al Concilio de Constancia de 1414. Veremos no obstante que esas teorías son
refutadas no solo por los hechos, de los cuales tenemos huellas escritas, sino también
porque hoy podemos explicarnos como se propagó el culto de San Roque. Una cosa es
cierta: cuando en 1479 Francesco Diedo se refugió en Salò para huir de la epidemia que
hacía estragos en Brescia y redactó su Vita Sancti Rochi, no conocía la existencia del culto
en Voghera, ni la presencia de las reliquias del santo que se veneraban desde 1469, ni
que su nombre ya era conocido a finales del siglo XIV.
[2] LA VERSIÓN ARLESIANA. Esta versión que tiene su orígen en el «Martirilogio franciscano»
(1638) d’Arturo del Monastero (Arturo del Monasterio) cuenta que las reliquias fueron
transportadas de Montpellier a Arles en 1372, por Jean le Meingre de Boucicault, Mariscal
de Francia. Pero Jean le Meingre, nacido en 1365 y muerto en 1421, tenía siete años en
ese momento…
Al igual que han hecho otros historiadores antes que nosotros, no nos hemos quedado con
esta afirmación. Varias generaciones de historiadores franceses y de otras nacionalidades
han intentado conciliar sin éxito esta cronología con la genealogía de Boucicault. Como
mucho se puede decir con certeza que a principios del siglo XVI, existían reliquias en Arles
puesto que Arturo del Monastero menciona una acta de donación del 2 de junio de 1501
que se refiere a varias reliquias. La donación fué realizada por los Trinitarios de Arles a
favor de monasterios de la misma orden del Reino de Granada. El acta es la continuación
de una bula del 4 de febrero firmada por el papa Alejandro VI, que pide que se haga una
donación piadosa en esa región a fín de propagar la fe católica, puesto que la región
acaba de ser recientemente reconquistada a los Musulmanes.
Es interesante anotar que volvemos a encontrar en esta acta la atestación de la donación
del mariscal de Boucicault, y en ella se menciona el lugar de orígen de las reliquias, entre
las cuales se se encuentran las de san Roque; pero se cita Jerusalém y no Montpellier.
Pierre Bolle ha mostrado por añadidura que la fecha del presunto desplazamiento (1372)
¡es falsa! Para concluir, podemos afirmar que esta versión responde a la más pura
fantasía, puesto que nació sobre la base de un documento interpolado.
[3] LAS VERSIONES VENICIANAS. Existen reliquias en Venecia pero a diferencia de Arles,
esta información está documentada. En 1485, el patriarca Maffeo Girardi informó a los
«Capi» del famoso Consejo de los Diez que la «Scuola Grande di San Rocco» (la confradía
de San Roque) había comprado importantes reliquias proce-dentes de una ciudad que
llamó «Ugeria» (es decir Voghera). Esta información está bien documentada: una copia de
la carta del 13 de mayo de 1485 se encuentra aun en el registro del Consejo de los Diez
asi como la deliberación correspondiente.
Sin embargo, es sobre la procedencia y el modo de adquisición de esos preciosos huesos
que esta información será posteriormente analizada. Las versiones a este propósito son
numerosas y muy variadas.
• Para Marcantonio Sabellico, escritor contemporáneo de los hechos y autor del libro De
situ urbis Venetae (1490), las reliquias provenian de «Gallia», es decir de Francia: una
evidente derivación de la antigua hagiografía de Diedo.
92
• En la edición del «Supplementum chronicarum» de 1485, Giacomo Filippo di Bergamo
(Santiago Felipe de Bergamo, llamado también Foresti) no indicó la procedencia, pero
habló de su emplazamiento en la iglesia de Santo Job de Venecia, en el extremo opuesto
al Cannareggio, una localización un tanto extraña que desaparecerá de todas las ediciones
posteriores. En cambio encontramos, en la edición revisada y corregida de 1513 – y por
vez primera – que la procedencia de las reliquias es de la diocesis italiana de Tortona
(que comprende Voghera).
• En los siglos XVI y XVII, según ciertos historiadores, un cierto número de cronistas de
Venecia y de la región dieron a entender que la transacción de las reliquias había sido
realizada con mercaderes alemanes. Es todavía el caso del cronista Santiago Felipe de
Bergamo, pero en una edición postúma de su «Supplementum» (Venecia 1535) y en libros
que hoy definiriamos: guías turísticas, como «Venetia città nobilissima et singolare» de
Francesco Sansovino (1581), o el «Mercurius Italicus» de Ioannis Henrici (1628) o aun «Il
ritratto di Venezia» de Dominico Martinelli (1684).
• Es a partir de 1674 que aparece por primera vez en forma de fasciculo impreso – y por
lo tanto destinado a una gran difusión – un libro escrito por Francesco Ciapetti,
sucesivamente retomado por Giorgio Fossati (1751) y Flaminio Corner (1761). Esta obra
ha sido encargada por la «Scuola Grande» de Venecia. El relato que se hace de las
reliquias es desde ahora conocido: el Frate Mauro (hermano Mauro) es un fraile Camaldule
de San Michele di Murano que hizó la promesa en prisión de ir a Voghera a buscar las
reliquias. Las habría llevado finalmente a Venecia en marzo de 1485, tras haber intentado
sin exito burlar la vigilancia de los guadias en una anterior ocasión.
Esta versión se apoya en un proceso de autentificación de las reliquias, presidido en 1485
por el Patriarca de Venecia e informado en una acta apergaminada muy detallada. Esta
acta se conserva aun en los Archivos de la «Scuola Grande» de Venecia. Esta Acta sin
embargo encuentra serias critícas que resultan difíciles de tratar en un ensayo de
divulgación como este, pero podemos decir que está conformada por diferentes
documentos, algunos interpolados, pero algunos (importantes) dignos de fe.
[4] LA COMPARACIÓN CON LAS FUENTES DE VOGHERA. El mayor problema encontrado
consiste en el análisis y la comparación de la documentación a nuestra disposición. En
mayo de 1483, en el «Liber provisionum», es decir los registros del Consejo General del
Municipio de Voghera, se evoca un probable robo de reliquias en el interior de la iglesia de
San Enrique (que es hoy la parroquia de San Roque), se habla del refuerzo de la
vigilancia, del robo en si y finalmente de la detención del sospechoso, un tal frate Giovanni
Teutonico (hermano Juan Teutonico).
El incidente un tanto confuso concluyó con la constatación que las reliquias estaban
efectivamente en su lugar (!), como si hubiese habido un arreglo amistoso, o que no se
hubiese querido alarmar a la población ni perjudicar la reputación del Hospital de San
Enrique (actualmente el oratorio de San Roque). Los registros de 1485 no mencionan
nada en absoluto.
Existen otras versiones más recientes pero poco creíbles que testifican un robo de
reliquias en Montpellier perpetrado por doce monjes o también de unas negociaciones en
forma de robo, por un tal Alvise Dal Verme, vinculado a los señores de Voghera, el
hermano Mauro y la «Scuola Grande» de Venecia. Esta última hipótesis es probablemente
la más plausible y ha sido descrita en los documentos citados más arriba. Como podemos
constatar, son muchas las dificultades para arrojar luz sobre este incidente.
93
No obstante nos parece poco acertado poner en tela de juicio el papel que Voghera ha
desempeñado realmente en el asunto de las reliquias de san Roque, puesto que los
registros del Consejo General son formales y hablan de la veneración de las reliquias del
santo desde 1483. Es aún más difícil poner en tela de juicio la deliberación del Consejo
General cuando atestiguaba la presencia de las reliquias de Santo el 28 de febrero de
1469 en la iglesia de San Enrique. El registro del Consejo desapareció pero poseemos una
copia del original, que fue copiada en 1788.
Hay también un elemento determinante y quizás el más importante: de todas las
versiones, de sus discrepancias, de las ciudades citadas, de las explicaciones fantasiosas,
de las referencias dudosas, del papel de Venecia o del de Arles, de la hipótesis de la venta
en vez del robo… solo Voghera puede jactarse de poseer documentos oficiales. Son
verdaderas actas auténticas, que no han sufrido nínguna modificación ni retoque y por
añadidura se ajustan a la historia.
Un documento data de 1469 y otro de 1483. Los dos atestiguan la presencia de las
reliquias y por lo tanto de la existencia del culto consagrado a S. Roque. Hoy en día son
los testimonios más antiguos conocidos y reconocidos en Italia y en Europa.
Teniendo en cuenta además que Voghera se encuentra en el centro de una región donde
la devoción a S. Roque está fuertemente afianzada, como lo explica Antonio Niero en sus
trabajos (hablaremos de ello más adelante), se puede efectivamente poner en tela de
juicio el origen francés del culto partiendo del Languedoc. Una información de carácter
litúrgico parece por otro lado confirmar esos hechos: la mención de una fiesta de S. Roque
en el capítulo de los días del calendario para conmemorar en las «Statuta civilia et
criminalia» de Voghera, aprobadas oficialmente por Gian Galeazzo Visconti en 1391. Dos
copias manuscritas se conservan en los Archivos municipales: una es indiscutiblemente
contemporánea, la otra comprende algunas partes redactadas después de 1480.
Está claro que un documento fechado en 1391, que precede en casi 80 años dos
documentos de identico gran valor, constituye un testimonio absolutamente extraordinario.
[5] VOGHERA EN EL CENTRO DEL CULTO A SAN ROQUE. En definitiva, el único problema que
puede plantear ese documento es justamente su precocidad, hasta el punto que podemos
preguntarnos si se trata efectivamente del mismo santo. Existe en efecto otro santo con
un patronímico casi identico, llamado Roch o Racho o Rochon (en latín Ragnobertus),
obispo y mártir de Autun. Los santos francese siempre han ejercido un atractivo particular
en la región de Voghera. Es el caso de San Bovo, por nombrar uno, y somos conscientes
de ello.
Dos indicios nos permiten sin embargo pensar que la mención del calendario de Voghera
de 1391 concierne realmente a S. Roque de Montpellier. En primer lugar, los nombres de
los santos son citados en latín y en genitivo, y encontramos «sancti Rochi» (y no «sancti
Rochonis», el genitivo del obispo de Autun). En segundo lugar, la fiesta atribuida a
nuestro santo está indicada en verano, y sabemos que el 16 de agosto es la fecha
tradicional de conmemoración de S. Roque, mientras que la fiesta de Rochon de Autun se
situa en el mes de enero.
Además, investigaciones más recientes nos han permitido analizar una buena cantidad de
coincidencias y de dudas, comparando los dos cultos desde un punto de vista litúrgico,
con resultados a menudo desconcertantes. Esta parte más bién técnica no sera tratada en
este texto pero existen bastantes elementos de índole litúrgico que nos permiten preparar
94
un nuevo capítulo para responder de un modo original a las preguntas relativas a los
aspectos cultuales. Sin embargo, aunque las hipótesis sobre la historicidad de san Roque
permanecen divergentes, existe un amplio consenso a propósito de la localización de la
zona de Voghera y Plasencia como punto de partida del culto, después este se expandió a
Venecia, llegando a Francia en un segundo momento.
Para estar absolutamente seguros que nuestro peregrino es efectivamente el curandero de
los apestados, tendriamos que poder encontrar la información que vincula la fecha de la
fiesta de San Roque en el calendario de 1391 y la presencia de las reliquías en 1469 en la
iglesia del hospital de San Enrique.
Es lo que intentamos hacer recientemente, recorriendo sistematicamente las actas de
todos los Consejos Generales del Municipio de 1378 a 1500. A pesar de este trabajo
meticuloso, aun no nos ha sido posible encontrar la más miníma mención sobre ello y hoy
no estamos en condiciones de afirmar sin equívoco que efectivamente existió la presencia
y la continuidad del culto a san Roque en esta región.
Sin embargo en la parroquia de San Roque, existe un documento muy interesante pero
más tardío. Se trata del acta que solventa una disputa que data de 1584 entre los
canónigos del Capítulo de San Lorenzo y los Dominicos de Santa María de la Piedad. Este
documento establece quien es el dueño de la Capilla de S. Roque, si es posible realizar
sepulturas y el estatuto de la Capilla, para celebrar los oficios sagrados.
Los testigos son casi todos muy mayores, el más anciano tiene 81 años. Sus declaraciones
son muy interesantes. Todos afirman que en esa iglesia se encontraban las reliquias del
Santo, en cambio nadie habla del robo de esas reliquias a un siglo de distancia del
presunto robo… Lo que confirmaría al menos que el asunto de 1483 ha sido astutamente
enterrado.
Como podemos constatar el asunto de las reliquias y el inicio del culto aun están lejos de
esclarecerse. Estamos convencidos que solo el hallazgo y el analisis critíco de nuevos
documentos podrían permitirnos proponer una hipótesis adecuada.
La distribución topográfica de las diferentes fuentes de información y la atomización de los
centros de documentación no favorecen las investigaciones: Voghera y sus Archivos
municipales, la Parroquia de San Roque y la Iglesia de San Lorenzo; Tortona y su
Obispado; Venecia y los Archivos de Estado, la «Scuola Grande di San Rocco», los
archivos del patriarca y los de las iglesias y parroquias limítrofes, unidas a la cofradia de
San Roque, como Santa Maria dei Frari, San Pantaleone o San Tomà.
Con una lista tan surtida y antigua de archivos y de informaciones geográficas y
cronológicas, podriamos razonablemente pensar que Voghera está en el origen del culto a
S. Roque. Este pensamiento se acrecienta cuando examinamos todos los demás lugares
potenciales de expansión, sobre todo aquellos a los que nos conducen inexorablemente
las diferentes hagiografías, como Montpellier por ejemplo. Comparando los documentos a
nuestra disposición, nos sorprende la suma fragilidad de los tesmonios escritos y
arqueológicos de Montpellier y el hecho que el culto de San Roque in situ es indiscutiblemente más reciente y geograficamente mucho menos difundido.
Otro elemento nos anima a proseguir nuestras investigaciones en ese sentido. Se trata del
papel que Voghera desempeñó en el camino de los peregrinos. Voghera está de hecho en
el cruce de dos caminos muy transitados en la Edad Media: el que llega de Milan y va
hacia Roma pasando por Genova, la Liguria y la Toscana; y el que parte del Piamonte y
trás Turin y Alejandría, pasa por Voghera y Plasencia y sigue hacia Rimini, donde los
95
peregrinos se embarcaban para Tierra Santa – si no se paraban de camino en Venecia
para visitar sus fastuosos santuarios.
Voghera estaba pues en el cruce del camino de los «Palmieri» (los peregrinos que iban a
Jerusalén) y del camino de los «Romei» (los peregrinos que iban a Roma), sin contar los
peregrinos italianos que iban a Santiago de Compostela y que tomaban los mismos
caminos.
Voghera, en el siglo XIV, contaba con una buena decena de hospites (lugares de acogida
de los peregrinos), siendo los más antiguos el de San Pedro, cerca del puente del Staffora,
que data de 714 y el de San Enrique, en honor al emperador aleman Enrique II el Santo,
quien lo habría fundado durante una estancia en Italia entre 1004 y 1014. En 1497 el
hospital y la iglesia fueron unidos por los Dominicos; en 1525 los trabajos de renovación
se encaminaron hacia la actual iglesia de San Roque.
El hospital para los peregrinos de San Enrique estaba situado al borde de esta importante
vía de comunicación. Se trata de la antigua «Via Emilia» que corresponde en gran parte a
la «Via Francigena». El hospital se encontraba en el camino de Tortona, cerca de la
entrada sud-oeste de la ciudad, en la Puerta Rossella. En dirección al Este, las etapas
siguientes eran Broni y luego Plasencia , a una distancia aproximada de un día de camino.
Además de los numerosos albergues y hospitales, la vocación de esos centros de
peregrinaje se expresaba a través del culto ferviente, del cual son objeto los peregrinos
que morian en el camino. Es el caso en particular de San Contardo en Broni pero también
en Plasencia.
Podemos suponer que también fue el caso de S. Roque en Voghera y lograremos quizás
confirmar esta hipótesis perseverando en nuestras investigaciones. Si pudiesemos
demostrar la continuidad del primer lugar de culto a S. Roque entre 1391 y 1469,
podriamos basar nuestra tesis sobre la devoción local de la sepultura de un peregrino, de
la cual sus hagiografos se habrian apoderado para contar a su manera un culto en el siglo
XV transformando en gran manera la historia.
Más allá de la leyenda podriamos quizás encontrar los verdaderos origenes del culto y
conocer mejor la personalidad de un santo que posee la particularidad de ser el más
popular del mundo… y a la vez el más rodeado de misterio.
96
Capítulo Tercero
EL CULTO Y LA DEVOCIÓN POPULAR
[1] LA CANONIZACIÓN. La propagación del culto a san Roque fue casi inmediata y tomó
enormes proporciones en el transcurso del tiempo. Aunque muy popular, no se conoce
con certeza la fecha de su canonización ni las motivaciones invocadas para ascenderlo a
ese rango. Entre los primeros hagiografos, solo Diedo afirma que la iniciativa fue tomada
en 1414 por el Concilio de Constancia, que segun él había sido salvado de la peste por la
intercesión de S. Roque. Algunos escritores sucesivamente sostuvieron la tesis que se
trataba del concilio de Ferrara (1437-39) pero ningún acta o documento de la época lo
menciona.
Por lo tanto no es sorprendente que algunos historiadores hallan dudado del valor
histórico de su canonización. Se puede pensar con razón que la enorme popularidad del
santo y la difusión a gran escala de su culto habría podido desencadenar espontáneamente su santidad. Por otro lado era un procedimiento bastante usual en esa época.
Un cierto número de historiadores incluso han mencionado el nombre de algunos
pontífices que habrían ratificado oficialmente la devoción, entre los cuales se encontraban
antipapas, esos mismos que la Iglesia había rechazado. Entre los primeros, estaría Martín
V (muerto en 1431). En cuanto a los antipapas, estarián Clemente VII (muerto en 1394),
Benedicto XIII (destituido en 1409) y Juan XXIII (muerto en 1419). Pero son solamente
hipótesis carentes de fundamento.
En cambio es cierto que la situación se clarificó a principios del siglo XVI. En 1499
Alejandro VI dío su consentimiento para la creación de una cofradía romana dedicada a
San Roque, mientras que en 1547 Pablo III lo hizó inscribir en el libro franciscano de los
Martíres. La devoción a S. Roque había alcanzado tal importancia en el mundo que en
1590 Sixto V pidío al embajador veneciano en Roma que le entregase una biografía
relatando su vida y los milagros que había realizado, a fin de poder canonizarlo oficialmente. Era en efecto impensable excluir a «S. Roque del círculo exclusivo de los santos,
sin desatar un escándalo que la Iglesia ¡no habría podido justificar ante el pueblo!»
El «Misal romano» además contaba ya en su ritual una misa que le era dedicada; Gregorio
XIV (muerto en 1591), por su parte, hizó inscribir su nombre en el libro romano de los
Martíres. Por fin, en un texto fechado del 16 de julio de 1629, Urbano VIII invocaba en su
nombre y en el del pueblo romano la protección de S. Roque contra las epidemias.
Decribío las santas virtudes de taumaturgo en una Bula del 26 de octubre del mismo año.
En realidad, como lo subrayaba Ode de Cissey en el siglo XVI, «la piedad y el apego de los
cristianos a S. Roque eran tan fuertes que la Iglesia y su representante supremo han
reconocido tácitamente su santidad sin tene quer recurrir a ninguna investigación».
[2] LA DIFUSIÓN DEL CULTO. La amplitud y la rapidez con la que se propagó el culto de S.
Roque se han manifestado mediante innumerables testimonios artísticos, culturales,
caritativos y de devoción. Es sin duda alguna el santo más popular del mundo de toda la
historia de la Iglesia; su culto partió de Italia y se propagó en Alemania, después en los
Países Bajos y en Francia. Luego se extendío a numerosos países de otros continentes. Se
pueden citar muchos ejemplos, como Punta San Roque (California) y Bostón
(Massachusetts) en Estados Unidos, Buenos Aires en Argentina, Cabo Sao Roque en Brasil,
Dekwané en el Líbano, pero también Haiti, Madagascar, Indochina…
97
En Italia, hemos censado más de sesenta municipios o aldeas que llevan su nombre y esta
lista es incompleta. Son más de tres mil las iglesias, las capillas y los oratorios edificados
en su nombre. Las parroquias que llevan su nombre solo o acompañando a otros santos
suman al menos doscientas sesenta.
Los testimonios más antiguos parecen remontar al siglo XV y a pesar de que se habla a
menudo de edificios consagrados de Lodi y de Limone, de pinturas y esculturas de
Bruselas y de Aviñón, de calendarios litúrgicos de Maguelonne, las fechas de cada uno de
esos testimonios y su atribución a S. Roque son a menudo controvertidas.
Las informaciones sobre el altar consagrado a S. Roque, que se encontraba en una capilla
dominica en su ciudad natal, carecen de fundamento. La primera cofradía fue constituida
en la iglesia de Notre Dame des Tables (Nuestra Señora de las Mesas) solamente en 1661,
mientras que en Italia ya existian varias a principios del siglo XV. Montpellier tuvó una
iglesia consagrada a S. Roque tan solo en 1830, cuando se le destinó la que anteriormente
estaba consagrada a S. Pablo.
En definitiva, excepto la capilla de Brescia (1469), podemos afirmar que la devoción a S.
Roque ya estaba bién afianzada en el norte de Italia desde finales del siglo XV, en
Lombardia y en Venecia en particular; pero es casi seguro que el culto en Voghera empezó
en 1391. Por otro lado parece que su nombre Santo halla sido asociado en 1394 al de Sta
Lucía por una cofradía de Padua, pero la atestación es más bién tardía y nos parece poco
fiable. El éxito extraordinario del culto al Santo se explica por la presencia de esa terrible
plaga de la peste; se construyeron por todas partes lugares sagrados que le eran dedicados
y se convirtió naturalmente en el santo patrono protector contra la peste. Señalaremos que
Luis XIV hizó reconstruir en 1653 la iglesia que lleva su nombre, cerca del Louvre.
Pero más allá de la peste, lo que influyó con mayor fuerza la extraordinaria difusión de su
culto en toda Europa desde finales del siglo XV, fue el prodigioso papel comercial y
religioso que se estableció para las peregrinaciones a Tierra Santa, con salida desde
Venecia en 1480. En Venecia es donde se encuentra la prestigiosa «Scuola Grande» de S.
Roque. Las ediciones más antiguas de los hagiografos se remontan a este periodo: Das
leben des heilegen herrn Sant Rochus en Viena en 1482 y en Nuremberg en 1484, las Acta
breviora en Colonia en 1483 y en Lovaina en 1485, la traducción holandesa de las Acta en
Hasselt hacia 1488 y la francesa de Jehan Phelipot en París en 1494.
Trás Venecia, el centro de devoción más importante a finales del siglo XV fue la ciudad de
Nuremberg. Es gracias a la familia de comerciantes Imhoff, de la comunidad alemana de
Venecia, que el culto de S. Roque se propagó en la ciudad bávara de Nuremberg. Los
Imhoff, muy activos en el seno del famoso «Fondaco dei tedeschi» (el depósito de los
alemanes) y de la «Scuola Grande», le han dado un verdadero impulso hasta el punto de
tomarlo como emblema de la familia. En los trabajos de gran calidad realizados por
Heinrich Dormeier se habla del altar que la familia Imhoff hizó construir en la iglesia de
San Lorenzo. Crearon una cofrardía e iniciaron la tradición de la procesión; construyeron
incluso un cementerio para las víctimas de la peste aun visible hoy en día.
S. Roque también fue asociado a otros santos que se veneraban para obtener su
protección frente a la enfermedad: san Sebastián, san Blas, san Cosme, san Damián. Pero
es a caballo entre los siglos XV y XVI que S. Roque tuvó un papel predominante no solo
como protector de la peste sino también contra otras muchas enfermedades contagiosas,
desde las más graves a las más anodinas, tanto para los hombres como para los animales.
Así es como se convirtió también en el protector de los animales, de los campos y por
extensión de la vida campesina. La devoción popular alcanzó proporciones inimaginables.
98
Según la tradición, S. Roque era miembro del «Tercer Orden» de los franciscanos (una
atestación papal fechada de 1547 da fe) y los hermanos de S. Francisco alentaron el culto;
el papa Inocente XII en 1694 encargó a los franciscanos celebrar la fiesta del santo. Un
hecho particular y curioso atañe a los empedradores y a los canteros, que consideraban a
S. Roque como su santo patrono; eso se explica bastante bien por el sentido de su
nombre asociado a los oficios de su gremio.
[3] EL ARTE Y LES TRADICIONES POPULARES. Incluso las representaciones de S. Roque son
numerosas. No podía ser de otra manera. Su variedad presenta algunos rasgos comunes:
San Roque es casi siempre representado como un hombre en la plenitud de su madurez
en general con barba y vestido con las prendas tradicionales del peregrino. A veces se
representa con la cruz roja impresa en su pecho pero la mayoría de las veces con el bulbo
de la peste situado arriba del muslo izquierdo. Ese detalle, al principio muy realista y más
bién crudo, se tornó progresivamente menos evidente. Luego será ocultado con un
apósito.
El famoso perro de Gotardo apareció a finales del siglo XV o principios del siglo XVI. Es a
menudo representado acostado a los pies del Santo y con una hogaza de pan en la boca.
Vemos también muchos cuadros representando a S. Roque con un ángel y ese tema
siempre permanece en el transcurso del tiempo.
S. Roque ha sido pintado por los artistas más ilustres como Ghirlandaio, Correggio,
Tiziano, Rubens, Van Dyck, Strozzi, Reni, Veronese y Botticelli. Tiepolo es el autor de uno
de los cuadros más sugestivo, representando a S. Roque frente a la luz divina, escena que
encontramos con frecuencia en las ímagenes de oración. Pero la obra más majestuosa es
sin duda alguna la de Tintoretto; une seríe de cuadros que describen admirablemente los
episodios más destacados de la vida del Santo están conservados en la iglesia de San
Roque de Venecia (y muchos otros objetos en el museo de la «Scuola Grande di San
Rocco»). En fin recordemos las magnificas vidrieras de la iglesia de San Esteban de
Elbeuf, uno de los más bellos ejemplos del eclecticismo de la tradición, más allá de los
cuadros y de las esculturas.
La tradición folklorica es difícil de catalogar puesto que se ha reflejado con una gran
variedad de manifestaciones. El culto se manifiesta aun hoy en día de multiples maneras y
sin criterio preciso, a juzgar por la importancia de las celebraciones desplegadas en su
honor y la devoción reservada a las reliquias. En algunos países, se recompensa a los
perros que se han distinguido como el de S. Roque por el apego a su amo. En otras
ciudades, se bendice el pan o el agua para recordar el manatial de Sarmato, o también el
pozo de la casa natal de Montpellier. No se cuentan ya todos los objetos y las imagenes
sagradas destinadas a las procesiones, los «ex-voto», y las bendiciones especiales asi
como todas las tradiciones locales.
Señalaremos que el nombre de Roque es frecuentemente utilizado en Italia aunque no lo
sea tanto como Giuseppe, Giovanni, Antonio o Maria. No obstante es más habitual en el
Sur, en la Puglia en particular y en algunas zonas de la Campiña y de Potenza; según
ciertas fuentes, Roque es el 5º nombre más común en el Sur de Italia. En el Veneto, es
más frecuente como apellido (por ejemplo, Roccato).
[4] EL PAPEL DE VOGHERA. La primera manifestación del culto local se situa hacia 1391,
aproximadamente diez años trás la muerte de S. Roque (en relación, claro está, a la nueva
cronología, que situa su vida en el periodo que va desde 1345/50 a 1376/79). La
presencia en la ciudad de sus reliquias durante casi un siglo hace pensar en una devoción
99
popular ampliamente divulgada en el territorio. Esta reflexión viene confirmada por la
presencia de numerosas parroquias consagradas a S. Roque en casi toda la península, con
la excepción del Valle de Aosta, de Molise y de Sardaña. En el norte de Italia, se cuentan
más de 160 parroquias, 60 en el centro de Italia y 48 en el Sur. Más precisamente de las
160 parroquias del norte de Italia, 27 se encuentran en Liguria, 40 en el Piamonte, 41 en
Lombardia, 30 en el Veneto y 25 en la Emilia Romaña.
A través de estas cifras, como recalca Monseñor Niero, se constata la importancia
numerica de las parroquias consagradas a S. Roque en el valle del Po y no se puede
obviar la influencia que ejercen Voghera y Venecia por su posición geográfica y como
lugares de devoción reconocidos. Esta reflexión se basa además en las 108 parroquias
consagradas a S. Roque que ha sido censadas en el Piamonte, en Liguria y en Lombardia.
Este número corresponde a la mitad de las parroquias censadas en el valle del Po.
También hay que recordar el fuerte impacto de las arterias comerciales: la «Via Emilia» de
Milan a Plasencia y a Rimini; la costa ligura hacia Genova, Chiavari y La Spezia y sus
ramificaciones al sudeste hacia la Toscana y Lucca; en el noreste hacia la diocesis de
Tortona (seis parroquias); las rutas hacia Europa del norte, de Novaro a Bergamo, de
Brescia a Trento, de Udine a Gorizia; la costa sur del Mediterráneo de la Campiña hacia
Napoles y Aversa, y la de los Abruzzos hacia Chieti y Vasto; la Sicilia oriental, a lo largo del
estrecho de Messina.
Voghera pues ha desempeñado un papel importante en la difusión del culto al santo más
popular de toda la historia de la cristiandad. El centro de la devocion local se identifica con
la iglesia parroquial de San Roque. En su origen fue construida en honor a Henrique II el
Santo, probablemente trás su canonización en 1146. El emperador alemán había estado
en Italia entre 1004 y 1014, y en Voghera ordenó construir el hospital del Salvador.
Gestionada, probablemente, por los monjes benedictinos del convento de San Salvador en
Pavia, la iglesia pasó a los Dominicos en 1497, trás el susudicho ‘robo’ de las reliquias
censado en 1483 según las fuentes oficiales de Voghera (o en 1485 según el relato
veneciano del Hermano Mauro). Trás la peste de 1524, la iglesia fue reconstruida y
consagrada a S. Roque. Los trabajos comenzaron en 1525 y finalizaron parcialmente trás
numerosas dificultades gracias a la intervención de la «Confraternita del Santissimo Nome
di Gesù» (Cofraternidad del Santisimo Nombre de Jesús), más conocida por el nombre de
Cofradía de San Roque.
La iglesia fue consagrada hacia 1577 pero los trabajos prosiguieron aun durante
numerosos años. Se depositaron dos pequeños fragmentos del brazo del Santo que habían
sido salvaguardados; era costumbre no poner todas las reliquias juntas precisamente para
evitar que fuesen todas robadas. La información no obstante no es formal pero parece ser
que el hallazgo de esas reliquias remonta a 1497.
La parroquia conserva aun, además del relicairio de plata que contiene esos fragmentos,
un cofre de madera en el cual se ha encontrado un cartón con la siguiente leyenda: «Hic
jacuit corpus Sancti Rochi» (aquí se encontraba el cuerpo de S.Roque) y un pliego en el
que estaba escrito: Este cofre fue encontrado en las paredes de la Iglesia de S. Roque.
Está hecho de nogal, forrado de fustán y cerrado con dos llaves. En este cofre yacía el
cuerpo de S. Roque y esto por escritura en el año 1497». Pero como ya lo hemos
mencionado, no existe desgraciadamente ningúna huella de esos textos ni otros documentos del mismo tipo.
Voviendo a los acontecimientos históricos de la iglesia de S. Roque, señalaremos la visita
del papa Pío VII a la iglesia el 22 de marzo de 1814, durante su regreso triunfal a Italia
100
trás el final de las persecuciones napoleonicas. En el siglo XIX, en plena campaña
anticlerical, la iglesia sirvió de campamento para los soldados; por fin, en 1924, fue
declarada «monumento histórico». Durante la segunda guerra mundial, la iglesia fue
gravemente dañada en el bombardeo del 23 de agosto de 1944. Los primeros documentos
referentes a la Cofradía de S. Roque de Voghera abarcan un periodo de casi 4 siglos,
hasta 1912. La cofradía existía por lo tanto antes de 1577.
Para finalizar, debemos recordar que para ciertos historiadores locales, según una
tradición que se remonta al bajo medioevo, S. Roque debería ser considerado el protector
de Voghera con el mismo título que San Bovo. Hoy en día no hay ningún documento
antiguo que lo demuestre, tan solo convicciones cada vez más fuertes que deberían ser
reforzadas cuanto antes por un estudio más profundo. Este estudio nos permitiría no
solamente dilucidar zonas oscuras relativas a la vida de S. Roque sino también consolidar
esta tesis; y en efecto, en 2005 Fabrizio Bernini publicó el texto de un documento de 1553
que, a propósito de una sentencia del conde Francesco Del Verme, indica como santos
patronos Lorenzo, Roque y Bovo.
[5] LAS ASOCIACIONES DE SAN ROQUE. Hemos hablado del culto, del arte, de las
tradiciones populares y de la religiosidad, pero el nombre de S. Roque a menudo está
vinculado a iniciativas de naturaleza social, a actividades caritativas, a obras de
beneficencia y culturales que alcanzan el conjunto de la población. Estas acciones se
funden de la manera más sencilla y más coherente posible con los principios de la fe
cristiana. De hecho S. Roque es aun y más que núnca el modelo perfecto del altruismo, de
la solidaridad y de la acción voluntaria como lo describiriamos hoy en día.
Los días 26 y 27 de junio de 1999, el Congreso Nacional de Cofradías, Iglesias y
Parroquias de S. Roque fue organizado en Voghera en presencia de las autoridades civiles
y religiosas. Ese congreso reunió contra todo pronóstico a más de mil fieles de S. Roque y
la procesión organizada en las calles de la ciudad fue espectacular. Numerosos alcaldes,
sacerdotes, religiosos de diferentes ciudades de Italia han participado asi como un buen
numero de habitantes de Voghera que se han sumado a la comitiva viendo ese desfile, tan
imponente debido a la cantidad y a lo pintoresco de los trajes de las cofradías en su
mayoría antiguos. Salpicaban la comitiva estandartes y grandes crucificios.
Los momentos más intensos de la manifestación fueron las dos misas solemnes y una
conferencia-debate de gran calidad cultural. El congreso suscitó también mucha simpatía
gracias a una ceremonia original que se desarolló en la plaza de la iglesia y quedará
grabada en la memoria de la gente: esta ceremonia tenía por objeto la bendición de los
perros (¡como olvidar el perro de S. Roque!...)
Después de esta experiencia singular, otro acontecimiento importante se desarrolló en
diciembre de 2001 con la presentación oficial de este ensayo, realizado durante un
congreso de estudios que se encamina a revisar los proyectos iniciales.
Para desarrollar este proyecto en el cual están implicadas Voghera y las principales
localidades vinculadas a la personalidad fascinante de san Roque, se establecío de fundar
una asociación. Después de varios años de trabajo, la «Associazione San Rocco Italia» ha
sido constituida en junio de 2005, y sucesivamente, en octubre de 2010, la «Associazione
Italiana San Rocco di Montpellier», cuya sede está en Sarmato, y que acoge en su seno el
«Centro Studi Rocchiano». Este comité ha sido fundado para coordinar las investigaciones
sobre la vida y la leyenda del Santo; goza de la colaboración de los mejores expertos del
sector, a nivel italiano y europeo.
101
© Pierre Bolle y Paolo Ascagni 2001-2010 / Maria Luengo 2008. Todos los derechos reservados. Cualquier
reproducción integral o parcial, hecha sin el consentimiento del autor o de sus habidos derechos o habida
causa, es ilícita. Esta reproducción constituiría una falsificación sancionada por los artículos del Código Penal.
El «Centro Studi Rocchiano», por mediación del aparato legal de la «Associazione Italiana San Rocco di
Montpellier», se reserva el derecho de ejercer toda acción legal contra los transgresores. Al objeto de evitar
estos disgustos y las consecuencias penales que sobrevendrían, nosotros preconizamos el procedimiento a
seguir en caso de utilización del contenido del sitio (Æ Menciones legales Æ Versión italiana-francés-inglesa).
102
ASSOCIAÇÃO ITALIANA SÃO ROQUE DE MONTPELLIER
CENTRO DE ESTUDOS SOBRE SÃO ROQUE - COMITÊ INTERNACIONAL
PAOLO ASCAGNI
ROQUE DE MONTPELLIER
NOTICIAS ESSENCIAIS
Tradução de
ELENA CRISTINA BOLLA
Versão original: Agosto 2007
Revisão: Outubro 2010
104
VIDA DE SÃO ROQUE
Os dados cronológicos. Roque de Montpellier (Mompilher), conforme à tradição, nasceu
nesta cidade francesa numa família da classe nobre ou ao menos da rica burguesia
mercantil. O pai chamava-se João, a mãe Líbera (ou Franca) e segundo algumas fontes
teria sido oriunda da Lombardia. No que diz respeito ao apelido, alguns historiadores
propuseram uma família «Delacroix», outros «Roq» ou semelhantes, apoiando assim a
tese de que Roch não seja um nome mas sim um sobrenome; porém depois de anos e
anos de pesquisas as várias hipóteses não levaram a nada de realmente concreto.
O facto é que durante muitos séculos foi mantida como certa a cronologia indicada por
Francesco Diedo, um dos primeiros hagiógrafos 1 do santo, o qual fixara os termos da vida
dele entre 1295 e 1327; mas sobretudo desde a segunda metade do século vinte
afirmouse pelo contrário uma «nova cronologia», hoje considerada como a mais provável
por aqueles estudiosos que estão convencidos da historicidade da figura de são Roque:
1345/50 - 1376/79.
As fontes escritas. As mais importantes entre as antigas hagiografias dedicadas à vida e
à lenda de são Roque são essencialmente duas: a Vita Sancti Rochi, escrita em 1479 pelo
acima citado Francesco Diedo, um jurista veneziano que foi governador de Bréscia, e os
chamados Acta Breviora (conhecidos também como «Anónimo latino»), dados ao prelo em
1483 numa colectânea de vidas de santos. Existe também uma obra chamada
convencionalmente «Anónimo alemão», que pode-se encontrar em duas versões, a
vienense de 1482 e a de Nurenberg de 1484; em fim, com menor relevância, porque
derivados directamente o indirectamente dos primeiros dois textos, as hagiografias do
dominicano francês Jehan Phelipot (1494), do escritor italiano Ercole Albiflorio (1494) e do
bispo francês Jean de Pins (1516).
Em 2004 foi encontrada uma Istoria di San Rocco de um tal Domenico da Vicenza, um
breve texto italiano em versos poéticos datável aproximadamente entre 1478 e 1480;
trata-se de uma descoberta verdadeiramente excepcional, porquanto não pode-se excluir
que essa Istoria seja a primeira obra em absoluto dedicada ao nosso Santo. No momento,
todavia, os estudos ainda estão em curso - também sobre dois outros textos importantes,
a Vita del Glorioso Confessore San Rocco (1481-1482) de Paolo Fiorentino, e o manuscrito
de Bartolomeo dal Bovo (1487).
É preciso porém lembrar que os antigos hagiógrafos não eram impelidos acima de tudo
por motivações históricas e biográficas, mas sim pelo piedoso desejo de apresentarem
exemplos de virtude e de santidade cristã; nesse sentido, o escopo edificante e moral das
vicissitudes que descreviam prevalecia facilmente sobre a exacta reconstrução dos factos.
Nos textos deles, porém, encontram-se elementos de alguma consistência, embora do
ponto de vista histórico fiquem bem mais relevantes e fiáveis as fontes litúrgicas,
arqueológicas e documentais.
Breve reconstrução da vida. Conforme à tradição, Roque cresce num meio ambiente
profundamente cristão e manifesta bem cedo sinais de santidade. Pelos vinte anos de
idade perde ambos os pais e toma a decisão de viver a fundo o exemplo de Cristo; vende
todos os seus bense veste o traje do peregrino, fazendo o voto de ir a Roma. Mas a longa
viagem dele na Itália padece contínuas deviações, para acompanhar a difusão da peste.
___________________________________
1
Temos que distinguir entre os «biógrafos», com motivações mais históricas, e os «hagiógrafos»,
mais interessados com os conteúdos religiosos, morais e facilmente lendários.
105
Com efeito, Roque, em vez de fugir do contágio, põe-se corajosamente ao serviço dos
doentes, os ajuda e os reconforta, e até obtém de Deus a faculdade de curá-los
milagrosamente.
A primeira das etapas assinaladas é Acquapendente, na província de Viterbo. Roque
chega aí por volta de 1367 e vai, como de costume, para um hospital, apesar da
resistência do prior, Vicente, que não queria expó-lo ao contágio. Entra depois a Roma
neste ano ou no seguinte, tendo Urbano V regressado pouco antes do exílio francês de
Avinhão onde os pontífices ficaram quase sessenta anos, e aqui cura um misterioso
cardeal ou alto prelado, que por gratidão o apresenta ao papa, numa emocionante
audiência particular. Mora em Roma alguns anos, e depois retoma o caminho em 1370-71.
Em Placência contrai a peste e logo tem que afastar-se do povoado; abriga-se num
bosque – de acordo com a tradição, perto de Sarmato – e escapa da morte por fome
graças à um cão, que cada dia lhe traz um bocado de pão. O rico dono do animal é o
nobre Gotardo (geralmente tido por membro da família Pallastrelli, mas há dúvidas sobre
isso), o qual, alertado pelos vaivéns do cão, segue-o e descobre o abrigo de são Roque;
dentro em breve torna-se seu discípulo e consagra-se também a Cristo, renunciando aos
seus bens. Depois de sarado, Roque despede-se do amigo e decide voltar à pátria.
Os antigos testemunhos sobre os últimos anos da vida dele já não ficam sustentáveis.
Ele não morreu em Montpellier, como parece indicar Diedo, nem em Angera, como
afirmam os Acta Breviora. Roque acha-se envolvido numa guerra, talvez a entre o Ducado
de Milão e a aliança em volta do Estado da Igreja (1371-75); a zona de Placência era com
efeito um dos pontos nevrálgicos do conflito, logo parece verossímil que Roque, depois de
ser preso como «espião», seja levado para Voghera, onde encontrava-se Castellino
Beccaria, o superintendente militar dos Visconti. Cativo por quase cinco anos, Roque vive
aquela prova como uma espécie de purgatório de expiação dos pecados e morre aos 16
de agosto, num ano entre 1376 e 1379.
A nascença do culto. A reconstrução da fase final da vida de Roque é aceitável,
obviamente, na medida em que considera-se como fundada a «nova cronologia» (1345/50
- 1376/79). Em todo o caso, esta cidade lombarda de Voghera é tida hoje com a maior
probabilidade como o lugar do falecimento do Santo e com certeza o lugar da origem e da
primeira expansão do seu culto – tudo isso na base de vários apoios documentais.
O mais importante é sem dúvida a atestação da mais antiga festa de são Roque em
absoluto, como podemos ver num documento ainda conservado no Arquivo Histórico de
Voghera, aprovado oficialmente por Gian Galeazzo Visconti em 1391. As relíquias do
Santo, guardadas na cidade por mais de um século, foram trasladadas a Veneza em 1483,
e daqui o culto de são Roque espalhou-se em toda a Europa.
A “canonização”. No que diz respeito a proclamação da santidade, temos que rejeitar a
versão de Diedo, que fala do concílio de Constância de 1414; as averiguações
documentais, com efeito, nada dizem a esse respeito. Não têm consistência as hipóteses
relacionadas com certas iniciativas de diversos papas e antipapas dos séculos quatorze e
quinze. Logo mantemos como fiáveis as únicas datas confirmadas por textos e
deliberações oficiais – embora indirectas – da Santa Sé, isto é 1499 (Alexandre VI), 1547
(Paulo III), 1590 (Sixto V), 1591 (Gregório XIV), 1629 (Urbano VIII). Em definitiva, são
Roque é um exemplo típico da nascença de um culto pela voz do povo, ratificado pela
Igreja somente a posteriori, a respeito da espontânea devoção dos fieis.
As relíquias. Mas a questão mais intrincada é a das relíquias, actualmente conservadas
em Veneza. A chamada «versão de Arles» fica hoje abandonada, porque os suportes
106
documentais baseiam-se sobre papeis não atendíveis e até falsidicados, como
brilhantemente demonstrou Pierre Bolle. Permanece então comprovada a única tese
sustentável, a «versão veneziana», a partir do bem conhecido episódio do “roubo” de
Voghera em 1485. Na realidade, como ainda demonstrou o prof. Bolle na base de
espantosos documentos por ele encontrados, o chamado piedoso roubo foi a versão
oficial, bem falsificada, duma compra-venda feita às escondidas em 1483, um negócio que
teve certamente como protagonistas o «Guardian grando» da Irmandade veneziana de
São Roque, Tommaso Alberti, e um dos frades que em Voghera cuidavam da custódia do
corpo; provavelmente ficaram também implicadas, mais ou menos, as maiores
autoridades públicas das duas cidades.
O carisma de são Roque. Mas, além desses aspectos e da dificuldade de encontrarmos
elementos certos para uma “biografia” ao menos parcialmente provável, o certo é que a
figura de são Roqie continua ainda hoje vivíssima no coração dos fieis, através de
inúmeras tradições devocionais, festas patronais, edifícios sacros, testemunhos
documentais, objectos artísticos e acima de tudo obras sociais, assistenciais e caritativas,
que continuam fazendo do nosso Santo não só um verdadeiro e imperecível campeão da
solidariedade e do amor cristão, mas também um fulgente exemplo para todos os homens
de boa vontade.
© Paolo Ascagni e Elena Cristina Bolla 2007. Todos os direitos reservados. A reprodução, mesmo parcial,
dos conteúdos do portal está sujeita às leis sobre a tutela dos direitos de autor. Qualquer violação vai ser
perseguida em conformidade com as leis civis e penais em vigor. O «Centro Studi Rocchiano», por meio do
ofício legal da «Associazione Italiana San Rocco di Montpellier», reserva-se o direito de introduzir qualquer
acção neste sentido. Quem quiser utilizar os contúdos do portal tem que conformar-se escrupulosamente às
prescrições enunciadas na secção referente (ÆNotas legais Æ Versão italiano-francês-inglês).
107
108

Documents pareils