danubiana - Aracne editrice
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DANUBIANA FRANCOFONA 1 Direttori Giovanni Magliocco Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” Gisèle Vanhese Università della Calabria Comitato scientifico Corin Braga Laura Pavel Paul Cernat Yannic Preumont Monique Jutrin Călin TeutiŞan Università “Babeş–Bolyai” di Cluj–Napoca Università di Bucarest Università di Tel–Aviv Università “Babeş–Bolyai” di Cluj–Napoca Università della Calabria Università “Babeş–Bolyai” di Cluj–Napoca Annafrancesca Naccarato Alexandra VrÂnceanu Università della Calabria Università di Bucarest Antonio PatraŞ Rodica Zafiu Università “Alexandru Ioan Cuză” di Iaşi Università di Bucarest Comitato di redazione Şerban Axinte Annafrancesca Naccarato Danilo De Salazar Yannick Preumont Giovanni Magliocco Gisèle Vanhese Accademia di Romania, Filiale di IaŞi Università della Calabria Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” Università della Calabria Università della Calabria Università della Calabria DANUBIANA FRANCOFONA La nuova collana Danubiana si propone di costruire un ponte tra l’Italia e la Romania, creando un fecondo dialogo interculturale tra i due paesi. In essa si collocano sia opere di critica letteraria, di filologia e di linguistica che intendono diffondere, presso un pubblico ampio e non limitato a quello dei soli specialisti, la conoscenza della lingua, della letteratura e della cultura rumena in Italia, sia traduzioni di testi di prosa, poesia e teatro provenienti dallo spazio rumeno moderno e contemporaneo. Essa offre ai lettori la possibilità di entrare in contatto con unarealtà culturale variegata, complessa e ancora poco esplorata, ma verso la quale negli ultimi anni l’interesse è cresciuto. La collana si articola in tre sezioni: Philologica, Intersezioni e Romania Francofona. Philologica propone ricerche nei campi della linguistica, della filologia e della critica letteraria, offrendo strumenti validi per approfondire tematiche relative alla lingua, alla letteratura e alla cultura rumena. Intersezioni raccoglie traduzioni di opere di autori rumeni, appartenenti a diversi generi letterari (prosa, poesia, teatro) e a diverse epoche. La sezione Romania Francofona, unica nel suo genere, propone traduzioni e studi critici dedicati ad autori rumeni che hanno scelto il francese come lingua d’espressione. La collana, che ha una forte vocazione comparatistica e interdisciplinare, adotta un sistema di valutazione dei testi basato sulla revisione paritaria e anonima (blind peer review). I criteri di valutazione riguarderanno il rigore metodologico, la qualità scientifica e didattica e la significatività dei temi proposti. Per ogni proposta editoriale, tali requisiti saranno accertati da almeno due revisori prescelti all’interno del Comitato Scientifico. Copyright MMXIV ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133/A–B 00173 Roma (06) 93781065 isbn 978–88–548–7102–1 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: maggio 2014 Benjamin Fondane Ulisse Traduzione e cura di Annafrancesca Naccarato Indice 13 Dal silenzio al silenzio. Il periplo della parola in Ulysse di Benjamin Fondane 38Ulysse 39Ulisse 40 41 J’étais un grand poète Ero un grande poeta 46 47 Cette nuit une lampe oubliée, allumée Quella notte una lampada dimenticata, accesa 50Préface 51Prefazione 52I. Variante 53 I. Variante 56II. J’ai quitté les trottoirs de la ville 57 II. Ho lasciato i marciapiedi della città 60III. Je ne saurais vous dire l’eau 61 III. Non saprei dirvi l’acqua 64IV. Pourquoi l’océan me fait-il penser 65 IV. Perché l’oceano mi fa pensare 68V. J’entre dans le mouvement 69 V. Entro nel movimento 72VI. Un enfant est né 73 VI. Un bambino è nato 7 8 Indice 74VII. J’ai fait escale dans les villes 75 VII. Ho fatto scalo nelle città 78VIII. Plus loin, ou c’est trop tard 79 VIII. Più lontano, o è troppo tardi 80IX. Marseille, tu chargeas les cales 81 IX. Marsiglia, caricasti le stive 90X. Chanson de l’émigrant 91 X. Canzone dell’emigrante 96XI. Je me suis arrêté dans les ports 97 XI. Mi sono fermato nei porti 100XII. … dans la chair oubliée de l’homme 101 XII. …nella carne dimenticata dell’uomo 106XIII. Un grain de terre m’eût suffi 107 XIII. Un granello di terra mi sarebbe bastato 110XIV. … Oui, j’ai aimé le monde 111 XIV. … Si, ho amato il mondo 114XV. Tu avais une déesse à tes côtés 115 XV. Tu avevi una dea al tuo fianco 116XVI. Le monde est fini 117 XVI. Il mondo è finito 118XVII. Je largue les amarres 119 XVII. Mollo gli ormeggi 122XVIII. Les paroles devraient se presser 123 XVIII. Le parole dovrebbero accalcarsi 126XIX. Les paysages vus dans les caisses des mers 127 XIX. I paesaggi visti nelle casse dei mari Indice 130XX. La terre a trop de bœufs 131 XX. La terra ha troppi buoi 132XXI. J’avançais dans la foule 133 XXI. Avanzavo nella folla 136XXII. Aucune importance, bien sûr 137 XXII. Nessuna importanza, certamente 138XXIII. Amérique, Amérique… 139 XXIII. America, America 142XXIV. … et l’Argentine 143 XXIV. … e l’Argentina 146XXV. ... mais il y a longtemps que ça se passe ainsi 148 XXV. … ma è da tanto tempo che va così 150XXVI. Fleur de neige 151 XXVI. Fiore di neve 152XXVII. aux confins de la vie 153 XXVII. ai confini della vita 160XXVIII. Ça commençait toujours par des prises de vue 161 XXVIII. Iniziava sempre con delle inquadrature 164XXIX. C’est une voix qui crie dans le désert 165 XXIX. È una voce che grida nel deserto 166XXX. Et puisque la tempête m’y jette 167 XXX. E poiché mi ci getta la tempesta 168XXXI. de la mort à la mort 169 XXXI. dalla morte alla morte 172XXXII. et cependant les choses sont là 173 XXXII. e tuttavia le cose sono lì 9 10 Indice 174 175 XXXIII. Quand nous entrâmes dans le port XXXIII. Quando entrammo nel porto 176 177 XXXIV. Il fut un temps, camarades XXXIV. Ci fu un tempo, compagni 180 181 XXXV. Ce ne sont pas pourtant des visions d’insomnie XXXV. Tuttavia non sono visioni di insonnia 182 183 XXXVI. À la fin, quand la mer XXXVI. Alla fine, quando il mare 184 185 XXXVII. Peu importe la vue qui voit XXXVII. Poco importa della vista che vede 188 189 XXXVIII. Quel pavillon, jadis, flotta XXXVIII. Quale bandiera, un tempo, sventolò 190 191 XXXIX. Ulysse, il nous faudra nous quitter XXXIX. Ulisse, dovremo lasciarci Introduzione Dal silenzio al silenzio. Il periplo della parola in Ulysse di Benjamin Fondane «Il tempo stringe. Un battello mi aspetta da qualche parte. (Perché un battello? Sarebbe troppo lungo da dire). E un paese da dove non potrò quasi più correggere bozze, redigere prefazioni, né vedere il libro pubblicato»1: queste parole, scritte da Benjamin Fondane nel 1942 in riferimento al testo Baudelaire et l’expérience du gouffre, annunciano tragicamente il destino dell’autore, che sarà deportato e ucciso prima di terminarlo e suggellano un percorso esistenziale e letterario complesso. Eco di eventi che hanno inciso profondamente sulla coscienza moderna, la sua opera è espressione di un inacettabile faccia a faccia con l’assurdo e con il male assoluto, di un’esperienza «ai confini della vita» (U., XXVII)2, che si traduce in un’erranza allo stesso tempo reale e spirituale, in un esilio dell’anima, conse1 B. Fondane, Au lieu de préface, in Baudelaire et l’expérience du gouffre, Bruxelles, Éditions Complexe, 1994, p. XII: «Le temps presse. Un bateau m’attend quelque part. (Pourquoi un bateau? Ce serait trop long à dire). Et un pays d’où je ne pourrai guère corriger les épreuves, écrire des préfaces, ni voir le bouquin paru». 2 U., XXVII: «aux confins de la vie». Tutte le citazioni estratte da Ulysse saranno seguite direttamente dall’indicazione del numero della poesia o del primo verso per le parti che, nell’originale, non risultano numerate. L’edizione a cui facciamo riferimento per la traduzione è: B. Fondane, Le Mal des fantômes, Paris, Non Lieu–Verdier, 2006. Esistono poi altre edizioni dell’opera poetica in lingua francese: B. Fondane, Le Mal des fantômes précédé de Paysages, Paris, Plasma, 1980; B. Fondane, Le Mal des fantômes précédé de Paysages, Paris, Paris–Méditerranée et Patrice Thierry Éditeur, 1996. 11 12 Introduzione guenza di un sentimento di dolorosa inappartenenza. Nato nel 1898 a Iaşi, in una famiglia di intellettuali ebrei, Benjamin Wechsler (che adotterà poi lo pseudonimo di Benjamin Fundoianu in Romania e di Benjamin Fondane in Francia) ha una doppia identità letteraria: poeta, pensatore, autore di numerosi saggi, drammaturgo, dopo gli esordi nella terra d’origine — pubblica infatti a Iaşi e a Bucarest i suoi primi scritti — ed il contributo dato al rinnovamento del linguaggio poetico rumeno del XX secolo, nel 1923 decide di trasferirsi a Parigi. Questa scelta, che ha «delle ragioni storiche, sociali e, soprattutto, esistenziali»3, segna una tappa fondamentale del suo itinerario di uomo e di scrittore. I primi anni in Francia rappresentano un vero e proprio momento di transizione, sia sul piano letterario che su quello personale; il senso di sradicamento dovuto al confronto con una cultura diversa — seppure considerata da sempre come un modello — è accentuato dalla necessità di appropriarsi, all’età di 25 anni, di una lingua, quella francese, che egli conosceva perfettamente, ma che non aveva ancora utilizzato come strumento di scrittura: «per quattro anni, ho taciuto, come un muto, mutilato di guerra al cento per cento»4, afferma Fondane nella prefazione a Privelişti (1930). Effettivamente, per quanto riguarda il periodo che va dal 1923 al 1927, ci sono poche tracce di un’attività poetica, anche se l’autore continua a collaborare con riviste rumene d’Avanguardia, quali Contimporanul e Unu, ed è corrispondente per la rivista Integral. Come scrive Monique Jutrin nel testo Benjamin Fondane ou Le Périple d’Ulysse, «lo sradicamento va di pari passo con la rimessa in causa dei valori estetici e morali. 3 E. Simion, La Littérature migrante, in E. Simion et G. Vanhese (eds.), La Littérature migrante – Literatura română «migrantă», Caiete critice, Bucureşti, Fundaţia Naţională pentru Ştiinţă şi Artă, n. 3–4, p. 3: «des raisons historiques, sociales et, surtout, existentielles». 4 B. Fondane, Mots sauvages, in Le Mal des fantômes précédé de Paysages, op. cit., p. 21: «pendant quatre ans, je me suis tu, comme un muet, mutilé de guerre à cent pour cent». Introduzione 13 Fondane ha attraversato una crisi spirituale durante la quale gli è stato difficile scrivere»5. L’incontro con Šestov, filosofo ucraino di origine ebraica, rappresenta una svolta per l’evoluzione del suo pensiero e sancisce un’ulteriore presa di coscienza: «la libertà non consiste nella possibilità di scegliere tra il bene e il male […]. Essa consiste nella forza e nel potere di non ammettere il male nel mondo»6. Ed è proprio questo il messaggio di cui la produzione fondaniana in lingua francese si fa portavoce: l’uomo, «il poeta–profeta, il filosofo tragico dell’esistenza»7, non smette di contrapporre al proprio destino e a quello di molti altri «sgozzati dall’implacabile coltello della Storia»8 una titanica «irrassegnazione»9. Il primo viaggio in Argentina, nel 1929, influenza notevolmente l’immaginario dell’autore e sembra riaccendere e approfondire l’ispirazione. Nel 1933, infatti, escono la prima versione di Ulysse e Rimbaud le voyou e, nello stesso periodo, viene scritto L’Exode. È poi dopo un secondo soggiorno in America del sud che vengono pubblicati Titanic (1937) e il Faux traité d’esthétique (1938). La traversata dell’oceano, l’immensità di un continente ancora da scoprire, il contatto con gli emigranti, riportano alla luce «le strutture archetipali dello spostamento 5 M. Jutrin, Benjamin Fondane ou Le Périple d’Ulysse, Paris, Librairie Nizet, 1989, p. 40: «le déracinement va de pair avec la remise en cause des valeurs esthétiques et morales. Fondane a traversé une crise spirituelle au cours de laquelle il lui a été difficile d’écrire». 6 L. Chestov, Athènes et Jérusalem, Paris, Flammarion, 1967, pp. 237–238: «la liberté ne consiste pas dans la possibilité de choisir entre le bien et le mal […]. Elle consiste dans la force et le pouvoir de ne pas admettre le mal dans le monde». 7 L. Volovici, Métamorphoses de l’identité, in Europe, Benjamin Fondane, n. 827, p. 12: «le poète–prophète, le philosophe tragique de l’existence». 8 B. Fondane, Baudelaire et l’expérience du gouffre, op. cit., p. 356: «égorgés par l’implacable couteau de l’Histoire». 9 A tal proposito, si veda: M. Jutrin, Poésie et philosophie. L’irrésignation de Fondane, in Cahiers Benjamin Fondane, n. 2, pp. 27–32: «irrésignation». 14 Introduzione tragico»10 di cui il poeta, l’uomo, l’ebreo non può e non vuole liberarsi. Fondane consacra gli ultimi anni della sua vita ad un’intensa attività di scrittura: lavora al Baudelaire, redige articoli, saggi filosofici, poesie e si dedica alla revisione di testi già pubblicati, apportando delle modifiche sostanziali. Sempre più cosciente di quello che sarà il drammatico epilogo della sua esistenza, affida ai suoi scritti il senso profondo di una rivolta spirituale e lascia in eredità «agli uomini degli antipodi»11 il dovere di coglierne il significato. In una lettera fatta pervenire alla moglie dal campo di Drancy, poco prima di essere trasferito ad Auschwitz, dove morirà nel 1944, Fondane chiede che la sua opera poetica in lingua francese venga pubblicata in un volume dal titolo Le Mal des fantômes12 e dà delle indicazioni precise per quanto riguarda il resto della sua produzione. Prima di intraprendere l’ultimo viaggio, prima che l’abisso diventi reale, egli sembra volere assicurare a se stesso e a tutti gli altri fantasmi della storia la sopravvivenza nella parola. *** Un primo frammento di Ulysse compare nel 1930 nella rivista Unu, con il titolo Notes de voyage. Pubblicato per intero nel 193313, il poema sarà poi oggetto, tra il 1941 e il 1944, di un profondo rifacimento. La decisione di tornare su questo testo e di apportare delle modifiche sostanziali14 è indice della sua 10 G. Vanhese, Dans la houle des migrantes paroles. Poésie et exil chez Benjamin Fondane et Paul Celan, in E. Simion et G. Vanhese (eds.), La Littérature migrante – Literatura română «migrantă», op. cit., p. 15: «les structures archétypales du déplacement tragique». 11 B. Fondane, L’Exode, in Le Mal des fantômes, op. cit., p. 151: «aux hommes des antipodes». 12 Per le informazioni sulle diverse edizioni della raccolta Le Mal des fantômes, si veda nota n. 2. 13 B. Fondane, Ulysse, Bruxelles, Cahiers du Journal des Poètes, 1933; réédition in B. Fondane, Poèmes retrouvés, Paris, Parole et Silence, 2013. 14 Oltre ad essere caratterizzata da modifiche sostanziali, la seconda versione di Ulysse conta 355 versi in più rispetto all’edizione del 1933. A tal Introduzione 15 centralità nell’ambito della produzione fondaniana; esso racchiude infatti alcuni temi fondamentali e riassume in modo emblematico un’idea ben precisa di poesia: quest’ultima non è il risultato dell’applicazione di valori estetici e morali preconstituiti, «ma una forza oscura che precede l’uomo e che lo segue»15 e che trae ispirazione dall’io più profondo, un io selvaggio, libero, pronto a misurarsi «con un’immensa e sordida materia, penosa, gemente, tormentata e dilaniata, senza volontà, senza occhi»16. I cambiamenti che caratterizzano la seconda versione riflettono l’angoscia di un individuo braccato, perseguitato, in balia di eventi incontrastabili; i versi che compongono Ulysse II raccontano infatti un percorso difficile, intrapreso inizialmente dall’uomo e dal poeta, ma che in un secondo momento si tramuta in un viaggio collettivo. Come scrive Monique Jutrin, «se il testo del 1933 rimaneva molto ellittico, e un po’ enigmatico, dieci anni più tardi esso si trasforma in quesito esistenziale, in meditazione sul destino del popolo ebraico»17. Fondane evoca «il male dei fantasmi», il dolore di esistenze negate, irriconosciute, ridotte a non essere che delle ombre e costrette ad un’interminabile peregrinazione. Il viaggio per mare diventa metafora della vita e la poesia stessa prende la forma di una navigazione rischiosa, minacciata continuamente da un possibile naufragio. Il testo, dedicato ad un amico morto, Armand Pascal, «naproposito, si veda: M. Jutrin, Du mal d’Ulysse au mal des fantômes, in Cahiers Benjamin Fondane, n.11, pp. 117–129. 15 B. Fondane, Mots sauvages, op. cit., p. 23: «mais une force obscure qui précède l’homme et qui le suit». 16 B. Fondane, Baudelaire et l’expérience du gouffre, op. cit., p. 25: «une immense et sordide matière, lamentable, geignante, tourmentée et déchirée, sans volonté, sans yeux». 17 M. Jutrin, Du mal d’Ulysse au mal des fantômes, op. cit., pp. 123–124: «si le texte de 1933 restait fort elliptique, et quelque peu énigmatique, dix ans plus tard il se transforme en interrogation existentielle, en méditation sur le destin du peuple juif». 16 Introduzione sce dal dolore, da un lutto reale»18 e si sviluppa a partire da una sorta di nekyia19, come se l’ispirazione potesse provenire unicamente da oltre la morte, dal legame con una coorte immaginaria di spiriti che hanno condiviso la stessa sorte, inghiottiti dal tempo e dalla storia. Attraverso la figura del viaggiatore omerico, Fondane descrive con disincanto «l’incessante movimento dell’umanità in un periplo alla fine del quale non esiste alcuna terra promessa»20. In effetti, la distanza che separa l’Ulisse fondaniano dalla figura omerica è chiara sin dai primi versi, che suggeriscono quasi il motivo di un nostos «spezzato»; leggiamo infatti: «è arrivare davvero arrivare al porto?» (U., Ero un grande poeta)21. Il poeta, come scrive Gisèle Vanhese nel saggio Le Mythe d’Ulysse et la poésie française de B. Fondane, «ricusa la circolarità dell’erranza ulissiana» — espressione di una visione greca del mondo, in base alla quale «finitudine è sinonimo di perfezione»22 — per delineare le tappe di un’erranza dalle lontane origini, che ha fretta di «ascoltare la canzone che uccide!» (U., XXXIX)23. Questo salto nell’ignoto, questo slancio verso l’indefinito, era già presente nel «folle volo» dell’Ulisse dantesco: «È in Dante che Fondane ha potuto trovare Ulisse che tenta l’esperienza dell’abisso, un’esperienza “ai confini 18 M. Kober, La Vie-fantôme, in Europe, op. cit., p. 69: «naît de la douleur, d’un deuil réel». 19 A tal proposito, si veda: P. Boitani, Ulisse e l’esodo: Fondane dopo il naufragio, in M. Jutrin et G. Vanhese (eds.), Une Poétique du gouffre. Sur Baudelaire et l’expérience du gouffre de Benjamin Fondane, Actes du colloque de Cosenza, 30 septembre/1–2 octobre 1999, Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 2003, p. 220. 20 M. Kober, op. cit., p. 66: «l’incessant mouvement de l’humanité en un périple au terme duquel il n’existe aucune terre promise». 21 U., J’étais un grand poète: «est-ce arriver vraiment que d’arriver au port?». 22 G. Vanhese, Le Mythe d’Ulysse et la poésie française de Benjamin Fondane, in EURESIS, Cahiers Roumains d’études littéraires, n. 1–2, pp. 82–87: «récuse la circularité de l’errance ulyssienne»; «finitude est synonyme de perfection». 23 U., XXXIX: «écouter la chanson qui tue!». Introduzione 17 della vita”, per parlare come Chestov. L’esperienza vissuta da tutti coloro che, sulla scia di Chestov, osano fare il salto nell’Ignoto»24. La figura di Ulisse, così come è evocata da Fondane, si piega alla descrizione di un periplo esistenziale che sovverte inevitabilmente il ciclo omerico. Il viaggio stavolta segue «una strada/ che avanza e non finisce» (U., X)25, si spinge fino ai confini del reale, oltre i confini del reale, e nega ogni possibilità di ritorno. Non si tratta più «dell’uomo che si arrende!» (U., XXXI)26 e che ripiega sulla terra d’origine. Del resto, per i fantasmi, per le ombre non può esserci nessun porto, nessun rifugio, nessun centro: essi vivono «appesi all’aria» (U., III)27 o in preda alla furia dell’acqua, un’acqua violenta, mortifera, che «esige dei volontari» (U., III)28; non hanno una dea al loro fianco, ma procedono soli, nell’«inverno di Dio»29. «Ero un grande poeta nato per cantare la Gioia/ — ma singhiozzo nella mia cabina,/ bouquet d’acqua di mare appassiscono nei vasi/ l’autunno del mio cuore conduce al Père– Lachaise» (U., Ero un grande poeta)30: i versi iniziali di Ulysse contrappongono un tempo passato, in cui era ancora possibile cantare la Gioia, ad un presente descritto attraverso immagini negative, di decomposizione e di morte. La parola poetica, 24 M. Jutrin, Ulysse: poésie et destin, in Europe, op. cit., p. 73: «c’est chez Dante que Fondane a pu trouver Ulysse qui tente l’expérience du gouffre, une expérience “aux confins de la vie”, pour parler comme Chestov. L’expérience vécue par tous ceux qui, à la suite d’un Chestov, osent faire le saut dans l’Inconnu». 25 U., X: «une route/ qui avance et ne finit pas». 26 U., XXXI: «de l’homme qui renonce!». 27 U., III: «accrochés à l’air». 28 U., III: «exige des volontaires». 29 B. Fondane, L’Exode, in Le Mal des fantômes, op. cit., p. 196: «hiver de Dieu». 30 U., J’étais un grand poète: «J’étais un grand poète né pour chanter la Joie/ — mais je sanglote dans ma cabine,/ des bouquets d’eau de mer se fanent dans les vases/ l’automne de mon cœur mène au Père–Lachaise». 18 Introduzione sostituita dal singhiozzo, sembra non avere più un senso: «Perché cantare a squarciagola?» (U., Ero un grande poeta)31. Tuttavia, il silenzio è rotto da «una forza oscura», che non lascia via d’uscita, che chiede di non cedere, di non rassegnarsi al vuoto e all’assenza. Come scrive Olivier Salazar–Ferrer, «questo poema grida l’impotenza del poema per diventare un’attestazione esistenziale»32. L’intero componimento si sviluppa alternando lo sconforto e la ribellione, la ricerca di un «centro» e la dispersione, l’identità e l’alterità. Il poeta si identifica con gli emigranti e nel periplo degli emigranti è inscritto quello degli ebrei: «appartengo alla vostra razza,/ porto come voi la mia vita nella valigia,/ mangio come voi il pane della mia angoscia» (U., IX)33. Si tratta di esistenze negate, costrette ad un esilio permanente, condannate alla precarietà e alla ricerca di un porto che è introvabile: «Non parliamo nessuna lingua,/ non siamo di nessun paese,/ la nostra terra è ciò che ondeggia/ il nostro rifugio è il rollio» (U., X)34. Il tentativo di riaffermare un’appartenenza, di riconoscere e attestare le proprie radici contrasta con un impietoso senso di sradicamento e di frammentazione, rafforzato dalla struttura discontinua del poema. L’io si stacca da sé e si perde nel molteplice, si sdoppia («chi è che cammina in me?», U., XVII)35, vaga «nelle città assurde» (U., XVII)36, senza un volto, senza un nome, non è che un’ombra: «Il mondo è lì forse, ma io sono davvero nel mondo?/ Passo e non resta nulla nello 31 U., J’étais un grand poète: «Pourquoi chanter à tue-tête?». 32 O. Salazar–Ferrer, Benjamin Fondane, Paris, Oxus, 2004, p. 101: «ce poème crie l’impuissance du poème pour devenir une attestation existentielle». 33 U., IX: «je suis de votre race,/ j’emporte comme vous ma vie dans ma valise,/ je mange comme vous le pain de mon angoisse». 34 U., X: «Nous ne parlons aucune langue,/ nous ne sommes d’aucun pays,/ notre terre c’est ce qui tangue/ notre havre c’est le roulis». 35 U., XVII: «qui est-ce qui marche en moi ?». 36 U., XVII: «dans les villes absurdes». Introduzione 19 specchio,/ neanche un buco» (U., XXXVII)37. Il senso di vuoto e di smarrimento, l’incertezza, il tragico e profetico presentimento della fine («le iene mi seguono con il loro sguardo a spazzola:/ chi ha detto loro che un giorno sarò cadavere?», U., XVII)38, non sfociano tuttavia in una muta acquiescenza: «non chiedo più qual è il senso del mondo,/ batto il mio pugno sul tavolo del mondo,/ sono tra quelli che non hanno niente, che vogliono tutto/ — non saprò mai rassegnarmi» (U., IX)39. Davanti al male, davanti all’inesorabile, davanti all’assurdo, resta comunque una voce che rompe il silenzio. La parola resiste, ma la Musa si trasforma in Pizia e il canto, divenuto grido, conduce fino all’orlo dell’abisso e annuncia un nuovo silenzio: «Non ho altro che il mio sangue per allattarti, poema…/ Sei così stanca, oh voce che grida nei deserti» (U., XXXVIII)40. *** Nell’opera di Benjamin Fondane la scrittura, come la vita, è assimilata a un viaggio. Essa risponde ad un’«estetica del rischio, dell’incompiuto e dell’estremo»41 e impone la ricerca di un linguaggio alternativo, capace di adattarsi ad una visione personalissima del mondo e delle cose. L’analisi di Ulysse mostra la presenza di una vastissima gamma di metafore — del 37 U., XXXVII: «Le monde est là peut-être, mais suis-je bien en lui ?/ Je passe et il ne reste rien dans le miroir,/ pas même un trou». 38 U., XVII: «les hyènes me suivent de leur regard en brosse:/ qui leur a dit que je serai cadavre un jour ?». 39 U., IX: «je ne demande plus quel est le sens du monde,/ je pose mon poing dur sur la table du monde,/ je suis de ceux qui n’ont rien, qui veulent tout/ — je ne saurai jamais me résigner». 40 U., XXXVIII: «Je n’ai plus que mon sang pour t’allaiter, poème…/ Tu es si lasse, ô voix qui crie dans les déserts». 41 M. Jutrin, Relecture de Baudelaire et l’expérience du gouffre. Vers une lecture de participation, in M. Jutrin et G. Vanhese (eds.), Une Poétique du gouffre. Sur Baudelaire et l’expérience du gouffre de Benjamin Fondane, op. cit., p. 20: «esthétique du risque, de l’inachevé et de l’extrême». 20 Introduzione sostantivo, del verbo, dell’aggettivo — che, sovrapponendo realtà apparentemente incompatibili, realizzano delle vere e proprie forme di ricategorizzazione semantica, spingendosi fino ad abbozzare una ridescrizone della realtà42. Attraverso la figura analogica, la parola arriva a tradurre un’esperienza quasi indicibile, partecipando anch’essa a quella navigazione verso l’ignoto intrapresa dall’uomo e dal poeta43. Nei primi versi, una metafora in praesentia («l’eternità è lì, occhio calmo del tempo morto», U., Ero un grande poeta)44, assimila un elemento astratto, «l’eternità», ad un «occhio calmo». Il transfert ricongiunge un comparato e un comparante che appartengono a sfere concettuali evidentemente diversissime. L’«impertinenza semantica» è rafforzata dal gruppo binominale45 «occhio calmo del tempo morto». La figura descrive l’eternità attraverso un’immagine che lascia percepire un senso di rifiuto (il tempo è morto). Come Ulisse, che non accetta l’immortalità offertagli dalla ninfa Calipso, il poeta sembra voler continuare a esperire la finitudine insita nella sua condizione di uomo, optando per un viaggio infido e di non breve durata. Più avanti, la metafora, sempre in praesentia, crea un’analogia tra gli emigranti, i diamanti e il sale: «Emigranti, diamanti della terra, sale selvaggio» (U., IX)46. L’occorrenza rende, in parte, il 42 La nostra analisi delle metafore rinvenute in Ulysse tiene conto in particolare degli studi di Michele Prandi (Sémantique du contresens, Paris, Les Éditions de Minuit, 1987; Grammaire philosophique des tropes, Paris, Les Éditions de Minuit, 1992) e di Paul Ricœur (La Métaphore vive, Paris, Éditions du Seuil, 1975). 43 A tal proposito, si veda: A. Naccarato, Dire l’indicible: métaphores d’Ulysse, in Cahiers Benjamin Fondane, n. 14, pp. 170–177. 44 U., J’étais un grand poète: «l’éternité est là, œil calme du temps mort». 45 A tal proposito, si vedano gli studi di Christine Brooke–Rose (A grammar of metaphor, London, Secker and Warburg, 1958, pp. 146–174), Michele Prandi (Grammaire philosophique des tropes, op. cit., pp. 131–134) e Annafrancesca Naccarato (Traduire l’image. L’œuvre de Gaston Bachelard en italien, Roma, Aracne, 2012, pp. 76–78, 165–171). 46 U., IX: «Émigrants, diamants de la terre, sel sauvage». Introduzione 21 valore «iconico» che Ricœur attribuisce alla figura47, anche per il richiamo al cromatismo del bianco. In questo caso, la ricategorizzazione semantica del comparato (gli emigranti) è assoluta. I diamanti e il sale hanno delle proprietà comuni, come la struttura cristallina, il colore e la durezza. Sono il segno di una purezza incorruttibile che il poeta ricollega ai veri protagonisti della raccolta, uomini senza né terra né lingua, scacciati e perseguitati. Come scrive Prandi, «la struttura in praesentia […] esalta il regime concettuale della metafora — la proiezione di concetti su concetti»48 e permette la creazione di analogie inattese e complesse. Essa è rinvenibile anche all’interno di alcune sezioni del testo che sembrano contrapporre la terra natale, «una piccola città bianca dove pisciavano le vacche» (U., III)49, alle «città enormi dove il sole è nero» (U., III)50: «Il sole era lì, era vecchia ferraglia» (U., XIII)51. In questo caso, il transfert metaforico che assimila comparato («il sole») e comparante («vecchia ferraglia») si realizza attraverso l’uso del verbo «essere», che esalta il potere d’innovazione semantica della figura: come sottolinea Ricœur, «“il luogo” della metafora, il suo luogo più intimo e radicale, non è il nome, né la frase e nemmeno il discorso, ma la copula del verbo essere. L’“è” metaforico significa allo stesso tempo “non è” ed “è come”. Se così stanno le cose, siamo autorizzati a parlare di verità metaforica, ma in un senso ugualmente “tensionale” della parola “verità”»52. 47 A tal proposito, si veda: P. Ricœur, op. cit., pp. 265–268. 48 M. Prandi, Grammaire philosophique des tropes, op. cit., p. 246: «la structure in praesentia […] exalte le régime conceptuel de la métaphore — la projection de concepts sur concepts». 49 U., III: «une petite ville blanche où pissaient les vaches». 50 U., III: «villes énormes où le soleil est noir». 51 U., XIII: «Le soleil était là, c’était de la vieille ferraille». 52 P. Ricœur, op. cit., p. 11: «“le lieu” de la métaphore, son lieu le plus intime et le plus ultime, n’est ni le nom, ni la phrase, ni même le discours, mais la copule du verbe être. Le “est” métaphorique signifie à la fois “n’est pas” et “est comme”. S’il en est bien ainsi, nous sommes fondé à parler de vérité métaphorique, mais en un sens également “tensionnel” du mot