Untitled
Transcription
Untitled
G SIMON CRITCHLEY / JOHAN GRIMONPREZ per loro natura buoni e che la malvagità sia un esito sociale dello stato, ma se ci possiamo liberare delle catene dello stato, allora prevarrà una tradizione di cooperazione e anarchia. JG SIMON CRITCHLEY è filosofo e docente della New School di New York. Tra i molti incarichi è stato direttore dei programmi del Collège International de Philosophie di Parigi, presidente della British Society for Phenomenology e ricercatore presso il Getty Research Institute. È uno studioso di fama internazionale di filosofia continentale e fenomenologia. La sua ricerca verte soprattutto sul rapporto tra etica e politica in ambito filosofico. SC JG GRIMONPREZ, JOHAN SC SC JG Allora, di che cosa parliamo? Ho raccolto alcune riflessioni sul nuovo film a cui stiamo lavorando, che analizza il mercato globale delle armi. Anche tu hai toccato una serie di idee simili in Nonviolent Violence, il capitolo finale del tuo nuovo libro, forse possiamo cominciare da qui. Una delle questioni in cui mi sono imbattuto di recente è il dibattito sul “primate assassino contro lo scimpanzé hippy”. Il drammaturgo Robert Ardrey negli anni sessanta sostenne che ciò che ci separa dalle scimmie è la nostra propensione innata a uccidere. È la guerra che “ha condotto l’uomo occidentale ai suoi grandi risultati. I sogni possono avere ispirato il nostro amore per la libertà, ma solo la guerra e le armi ci hanno permesso di farla nostra”. Il primatologo Richard Wrangham si riallaccia a questa teoria in Maschi bestiali (2005). Per lui non è la nostra differenza ma piuttosto la nostra somiglianza con gli scimpanzé che ci rende inclini alla guerra. Sostiene che la violenza degli scimpanzé ha lastricato la strada per la guerra umana, facendo dell’uomo moderno il confuso sopravvissuto di un’abitudine all’aggressione letale che dura senza sosta da cinque milioni di anni”. In poche parole, il determinismo biologico tende a condannare la natura umana a uno stato di guerra perpetua. Esclude i concetti di empatia e cooperazione, minimizzando le nostre capacità di concepire la pace. E Maschi bestiali è persino un punto di riferimento per politici che definiscono la linea degli Stati Uniti in politica estera. Francis Fukuyama, che è stato al servizio del Dipartimento di Stato durante l’amministrazione di Bush figlio, lo cita come il libro preferito del Segretario di Stato Hillary Clinton, che ha etichettato Saddam Hussein come un tipico “maschio bestiale”. Beh, la storia della politica in realtà si concentra su concetti diversi della natura umana, il dibattito sulla bontà o malvagità intrinseca dell’essere umano, sulla scimmia assassina e lo scimpanzé hippy va molto indietro nel tempo. Il punto di riferimento moderno, ripreso da Thomas Hobbes e da JeanJacques Rousseau, è l’idea di Hobbes che la condizione naturale degli esseri umani sia uno stato di guerra, pertanto per prevenirlo è necessario uno stato. Rousseau invece crede che gli esseri umani siano SC JG SC E c’è anche una terza posizione, come dice il Marchese de Sade: “Siamo malvagi per natura, quindi permetteteci di esserlo”. Sì, festeggiamo la nostra malvagità, alè! L’approfondito studio di Steven Pinker The Better Angels of Our Nature mostra come ci sia in realtà, nella storia umana, un declino della violenza, e come tendiamo a trasformarci gradatamente nei “migliori angeli della nostra natura”. Questa idea trova parziale riscontro nel Leviatano, dove Hobbes sostiene che le società umane sono in grado di evolversi in sistemi di governo più grandi e articolati, all’interno dei quali la pace è la regola più frequente. Rousseau riteneva lo stato causa dello spargimento di sangue, mentre per Hobbs ne era la cura. Il Leviatano è stato scritto da Hobbs in esilio a Parigi durante la guerra civile inglese. Considerato che una società come quella inglese si era dissolta in un conflitto rivoluzionario, ecco che ne consegue l’idea che lo stato di natura sia uno stato di guerra. Dunque, come si può trovare una soluzione a uno stato di guerra civile? Beh, attraverso l’imposizione dell’autorità in forma di stato. I cittadini per Hobbs hanno la possibilità di liberarsi del re, il dio mortale, il Leviatano. Ma a parte questo si devono sottomettere all’autorità. Dunque si può affermare che questa sia una soluzione autoritaria per l’eliminazione della violenza. Ma trovo sconcertante la più ampia rivendicazione che la storia mostra una diminuzione della violenza. Prendi qualcuno come Nietzsche, il suo argomento è che una cosa diversa è il danno fisico, ma noi europei cristiani abbiamo imparato a sublimare la violenza fisica in violenza psicologica, ed è quel che chiamiamo moralità! Perciò, in un certo senso, lo stato funziona attraverso la sublimazione della violenza, che non necessariamente percepiamo come violenza. Significa obbedienza, accettazione delle norme che governano la società. Perciò, sì, non capisco appieno l’affermazione che la storia mostra una diminuzione della violenza. Quindi, riguardo alla questione dello stato, la pensi come Rousseau? Sì, sono d’accordo con Rousseau. Tutte le evidenze contraddicono questa visione ma questo è ciò che significa mantenere la propria posizione. Ritengo che lo stato sia una limitazione dell’esistenza umana e che richieda una continua condizione di guerra o, almeno, di minaccia di guerra. Sto parlando della proiezione ideologica dell’altro, l’idea che ci sia uno scontro di civiltà. La verità ovviamente è di gran lunga peggiore, se leggi gli scritti di Osama Bin Laden, ciò che affascina è che per lui Al-Qaeda è una risposta all’invasione americana delle terre arabe, in particolare all’uso dell’Arabia Saudita come base per la prima Guerra del Golfo, e ancora più indietro nel tempo alle continue ingerenze dei potere occidentale nel mondo arabo. GRIMONPREZ, JOHAN 113 JG SC JG 114 SC Inizialmente, Al-Qaeda era un indirizzario dell’FBI, che ha coniato il nome per un database che conteneva i dati di tutti quelli che loro stessi avevano appoggiato per combattere a fianco di Osama contro i sovietici in Afghanistan. JG L’eco della corrente principale di Occupy è stato limitato in confronto alla sua reale portata. SC Le televisioni di questo paese sono irrecuperabili. Sono un’esibizione di convenienza di opinioni contrastanti, che sia Fox o MSNBC, la struttura oligarchica che supportano è la stessa. Le due cose interessanti riguardo a Occupy sono state i quesiti posti proprio da questi media: “Chi sono i vostri leader e cosa volete?” e il rifiuto del movimento di rispondere a queste domande e di avere leader che sarebbero stati denunciati dagli stessi media. Ovviamente ciò che è stato innescato e che si è sviluppato negli ultimi dieci-quindici anni, a cominciare da Seattle, è l’affermazione dei social media, che tengono conto di altre cose. Quindi la questione dell’accesso all’informazione è suddivisa tra le proiezioni ideologiche dei canali televisivi e questo nuovo universo dei social media. Quindi il nemico – siamo d’accordo su questo – è una totale fantasia, giusto? Ma lo stato, dal punto di vista ideologico, ha bisogno dell’esistenza di un nemico contro cui spingere i propri cittadini, mentre nei fatti la realtà è molto più complessa, come è evidente dal commercio di armamenti e dal business della difesa di questo mondo ombra. John Perkins la chiama “corporatocrazia”. In Confessions of an Economic Hit Man, rivela l’esistenza di un collegamento diretto tra le multinazionali, le banche, il governo, ma anche i media, mentre le leggi e la politica sono essenzialmente create da questa corporatocrazia, governata principalmente da interessi personali e avidità. Andrew Feinstein analizza la questione dal punto di vista del mercato delle armi in The Shadow World, il libro che ha ispirato il nuovo film. In un certo senso il darwinismo sociale ha celebrato questa idea della “sopravvivenza del più adatto” (espressione coniata da Herbert Spencer ed erroneamente attribuita a Darwin) come un modo per giustificare un’ideologia economica fatta di competizione sfrenata e avidità, che spesso conduce alla corsa agli armamenti. Tuttavia la difficile situazione della nostra attuale crisi finanziaria mostra che qualcosa è veramente fuori controllo. E se questa questione della “sopravvivenza del più adatto” potesse essere osservata sotto un’altra luce? Gli studi di Frans De Waal sui bonobo, i cosiddetti scimpanzé hippy, ci raccontano una storia molto diversa. Il bonobo è ugualmente rilevante nella discussione sulle origini della conflittualità, dato che è geneticamente tanto simile agli umani quanto lo è lo scimpanzé. In particolare le indagini di de Waal sull’“empatia” e la sua attenzione su temi quali la “cooperazione” e la “risoluzione del conflitto” offrono una controparte al celebrato modello dell’avidità. Inoltre, l’individuo più adatto spesso risulta essere proprio quello capace di cooperare. Un aspetto del comportamento umano su cui gli scimpanzé non possono gettare luce è il fatto che qualcosa che facciamo anche più di dichiarare guerra è mantenere la pace, scrive De Waal in La scimmia che siamo (2006). Gli esseri umani sono snaturati dai differenti regimi sociali in cui si trovano, che li spingono gli uni contro gli altri, e attraverso l’individualismo, per usare questo termine, tutto ciò che l’apparato ideologico, e in particolare i media, cercano di promuovere è uno spirito di falso conflitto. Quando gli esseri umani credono di poter agire in comunione e cooperare, come si può vedere tra gli interstizi della storia, non esiste sulla terra un potere più grande! Il movimento Occupy Wall Street riguardava proprio il fatto che gli uomini possono riunirsi, mostrarsi rispetto e impegnarsi in discussioni collettive senza nessuna autorità strutturata. La cosa incredibile a proposito di Zuccotti Park, quando ero là, era la sensazione di compassione, capisci, era un modo diverso di relazionarsi con le persone. JG SC JG SC JG SC JG sina risale ai ritrovamenti dell’archeologo Raymond Dart che scoprì l’Australopithecus, predecessore dell’uomo che viveva in Africa. Resti frammentari di crani fossili mostravano una particolare coppia di fori che Dart interpretò come l’irrefutabile prova che i predecessori più antichi del genere umano fossero assassini. Secondo la sua opinione, per procurare quel tipo di lesione sul cranio utilizzavano ossa femorali animali come armi. Questo è rappresentato esattamente nella scena iniziale di 2001: Odissea nello spazio, il film che ha reso popolare la teoria di Robert Ardrey del primate assassino che ha ispirato Arthur Clarke e Stanley Kubrick nel mettere in scena un osso animale divenuto arma che dà inizio alla civiltà. Successivamente però è stato dipinto un quadro diverso sugli Australopitechi. Quando l’antropologo C.K. Brain ha esaminato la medesima collezioni di teschi, è giunto a una conclusione molto più plausibile: un leopardo estinto, rinvenuto nei medesimi livelli geologici, aveva due canini che corrispondevano esattamente alla coppia di fori nei crani. E così saltò fuori che le sanguinarie scimmie assassine, descritte in modo così pittoresco da Dart e Audrey, non erano state altro che il pranzo di un leopardo. Quindi, sembra che il popolare quadro degli antenati del genere umano di 2001: Odissea nello spazio sia totalmente fuori strada. Reinventando così lo spazio di ciò che è definito come contratto sociale? Beh, esistono situazioni, per esempio in Egitto o in Tunisia, in cui i media tradizionali esistono per mantenere vivo il messaggio del governo, quindi i social media assumono un ruolo di potenziale emancipazione. In situazioni in cui vigono condizioni più liberali, invece le conseguenze sono ovviamente più ambigue. La campagna presidenziale di Obama del 2008 è degna di nota per il sofisticato uso dei media virtuali, è stata la prima condotta secondo questa linea. Ma allo stesso modo anche il Tea Party e i partiti di estrema destra sono esperti nell’utilizzo dei social media. SC Chris Hedges, giornalista dell’NYT, ha definito Obama un “presidente alla Calvin Klein”, magistralmente pubblicizzato ma poi rivelatosi una grande delusione. È vero. Era destino che andasse così. Ma se fosse stata mantenuta la promessa di una politica radicale in favore della gente comune non ci sarebbe stato bisogno di Occupy, no? Certo, sono stati tre anni di deriva e delusione. Nove giorni dopo che Obama ha deciso di mandare altri 30.000 militari in Afghanistan, durante il suo discorso di accettazione del Premio Nobel, ha dichiarato: “La guerra, in una forma o nell’altra, è apparsa con il primo uomo”. Ciò implica che la guerra è parte integrante della natura umana ed è sempre stata dentro di noi. Tuttavia i fatti della storia hanno dimostrato che queste congetture sono sbagliate. L’archeologo Brian Ferguson ritiene che la guerra sia un’invenzione umana relativamente recente. Inoltre i resti antropici dimostrano lunghi periodi di assenza di guerra in alcune aree. Anche l’antropologo Douglas Fry dimostra che la guerra non è un fenomeno così universale. In realtà il fatto che la guerra sia sempre stata tra gli uomini, che sia parte integrante della natura umana fin dall’inizio, è un mito. Alcuni reperti mostrano evidenze diverse. A tuo parere, cosa dimostrano questi reperti? Beh, per esempio, la tesi della scimmia assas- JG SC JG SC La politica ha sempre usato le invenzioni della natura per giustificare i diversi regimi di potere. Ci appelliamo alla natura per giustificare ciò che è un fatto culturale contingente. Quindi non credo che il problema sia destinato a essere risolto in un modo o nell’altro: siamo primati assassini o scimpanzé hippy? Vogliamo ucciderci a vicenda o andare d’accordo? La guerra è un fenomeno storico, ma non è che non può essere abolita perché oggi è un fenomeno prevalente. A un certo punto la schiavitù è stata considerata un fenomeno naturale in virtù di presunti argomenti genetici a sostegno, oppure lo stupro era giustificato per il fatto di essere innato, ma ciò non significa che non possano essere eliminati. e a maggior ragione gli irlandesi del Nord, possono raccontare, a oggi, una storia di violenza. Ma allora, ciò significa accettare questa violenza come un fenomeno della storia? E ancora se la storia è una storia di violenza e reazione alla medesima la diretta conclusione è che la violenza è inevitabile? Credo che la giusta conclusione sia che, in circostanze ottimali, la violenza può essere sospesa. JG SC La storia della violenza per la media degli inglesi, nel 2012, in riferimento all’Irlanda è meno di zero, mentre gran parte degli irlandesi della Repubblica, Bisogna considerare caso per caso, quindi l’idea di una risposta filosofica globale a questo problema è destinata a fallire. È un dialogo continuo. Per esempio, il Mahatma Gandhi ha portato avanti con successo una resistenza non-violenta al dominio dell’impero britannico sull’India, mobilitando il nuovo e il vecchio, mettendo in campo tecniche che aveva imparato leggendo autori come Kropotkin, un anarchico russo, ed elementi della tradizione indù, che chiamava Shatyagraha. Combinare il vecchio e il nuovo è espressione del genio politico e ha funzionato fino alla guerra civile e alla separazione del Pakistan dall’India. Ma questo avrebbe funzionato nel sistema coloniale francese in Algeria? No. JG L’azione non-violenta di Gene Sharp contro la particolare interpretazione di Arundhati Roy della rivolta Tamil come parte della situazione indiana, o gli zapatisti in Chiapas a metà degli anni novanta? SC Si va caso per caso. Sono contrario in linea di principio a un’idea globale di non-violenza. Asserire che tutti gli atti di violenza devono essere rifiutati è semplicemente una sconfessione della storia. Se ti limiti ad affermare che la resistenza contro il colonialismo francese in Algeria era sbagliata perché violenta, ti perdi qualcosa di ciò che è accaduto. Siamo dunque condannati a un ciclo di violenza senza fine? No, la violenza può essere trasformata. Un esempio che conosco un po’ è il caso dell’Irlanda. Gente che vent’anni fa si ammazzava, i paramilitari lealisti e il Sinn Fei, l’IRA, ora partecipano a negoziati nel parlamento nordirlandese. È questa la soluzione perfetta? No, non è perfetta, ma almeno non si ammazzano più. E allora, com’è successo? È accaduto attraverso una serie di compromessi, lo sfinimento per la violenza e l’assunzione di responsabilità, in una certa misura, dell’ex potenza coloniale, la Gran Bretagna, nei confronti della propria storia. JG Nel 2004 George W. Bush ha dichiarato: “La ragione per cui difendo così vigorosamente la democrazia è che le democrazie non si fanno guerra tra loro. Ed è per questo che credo così fermamente che la strada per il Medio Oriente, la gran parte del Medio Oriente, sia quella di promuove- La violenza è un fenomeno che ha una storia, giusto? Sconfessare questa storia nel nome di un principio di non-violenza significa rischiare un’amnesia, dunque il primo passo è quello di capire la storia della violenza da cui abbiamo avuto origine. Il problema di molti stati moderni, come gli Stati Uniti o la Gran Bretagna o il Belgio, è che rinnegano la storia della violenza grazie alla quale sono stati fondati. Anche quando questa storia è gloriosa, o rivoluzionaria, resta comunque un insieme di memorie di violenza, a causa della gran quantità di persone che potremmo riconoscere come oppressa. “L’amnesia della storia è un lusso dell’oppressore”, per citare Fanon. La violenza non vede l’ora di riprodursi. La guerra è contagiosa, ma in definitiva si può dichiarare guerra alla guerra? La lettura di Per la critica della violenza di Walter Benjamin ha condotto alla domanda cruciale: una lotta contro la violenza può evitare di diventare essa stessa una lotta violenta? Per Benjamin anche la legge ha un’origine violenta, viene imposta con la forza. Quindi, data questa contraddizione, in quale misura una risoluzione non violenta di un conflitto può essere possibile? GRIMONPREZ, JOHAN 115 poratocrazia al servizio della propria avidità economica nell’interesse dell’industria mondiale della guerra. re la democrazia”. La guerra nel nome della democrazia. Hai chiamato anarchia la democrazia diretta? SC JG SC La storia dell’anarchia non trova spazio nella gran parte della storia. Come sai, l’anarchia moderna in realtà comincia attorno al 1640 con gli sterratori, gente dell’area metropolitana di Londra che andò in campagna, cominciò a scavare e a rivendicare la proprietà comune. Come il movimento Transition Town, con la proposta di un’economia alternativa locale basata sul baratto, come la banca del tempo eccetera. Ma ora come si protegge questa zona autonoma? SC Ciò che normalmente accade è che gli esseri umani si trovano in un sistema istituzionale alienante rispetto a ciò che considerano i loro desideri. La delusione politica è una forza motivante nel pensiero etico e filosofico, afferma David Byrne “Questa non è la mia bella macchina, né la mia bella casa e ti chiedi: ma come ci sono arrivato qui”. Così, quando tutto questo diventa intollerabile, come nel caso di Occupy, la gente è incoraggiata a fare qualcosa, ciò che Judith Butler definisce “un fottiti confezionato con cura”. Ora, la storia della resistenza è quasi interamente una storia di resistenza non-violenta, ma quando acquista confidenza, affronta le istituzioni, in particolare la polizia e la legge. È generalmente a questo punto che il movimento non-violento diviene una vittima della violenza, spesso nel confronto con la polizia, dove deve risolvere una situazione violenta: reagisci o no? JG SC JG JG Sono molto favorevole a questo movimento. In città come Cleveland e Detroit, si stanno trasformando caseggiati abbandonati in fattorie. Considero anarchia questo sforzo di determinare la propria esistenza, il desiderio di autonomia con le risorse che hai a disposizione. JG 116 SC SC A mio parere a volte la violenza è necessaria ma mai giustificabile. Prendiamo il caso di Dietrich Bonhoeffer, il pastore luterano ucciso poco prima della fine della Seconda guerra mondiale. Era un pacifista convinto ma alla fine è stato coinvolto nel tentativo di uccidere Hitler ed è stato giustiziato. Negli scritti inediti della sua prigionia, parla di “Bereitschaft zur Schuldübernahme”, disponibilità ad assumersi la colpa. Qualcuno che ha dedicato la vita alla nonviolenza potrebbe scoprirsi disponibile ad accettare una situazione di colpevolezza, in quel caso il tentativo di uccidere Hitler. Hardt e Negri sostengono che l’attuale pace imperialista oscuri uno stato di conflitto costante. Questa guerra perpetua pervade tutti gli aspetti della vita: ciò che mangiamo, ciò che consumiamo, ciò di cui parliamo. Siamo diventati avidi consumatori di paura e dal punto di vista legale siamo tutti terroristi finché non proviamo la nostra innocenza. Questa è la domesticazione della paura da parte di una cor- Durante la Seconda guerra mondiale, o subito dopo, Heidegger sottolinea che siamo destinati a vivere in società in cui il confine tra la pace e la guerra sarà sempre più difficile da tracciare. La pace è guerra e viceversa. Questo mi ricorda la massima di Richard Holbrooke: “Bombardare per la pace…” Ma la pace può non essere considerata in termini autonomi? Spesso è definita come assenza di guerra, in realtà può essere qualcosa del tutto differente. I fattori che conducono alla risoluzione pacifica di un conflitto non sono gli stessi che portano alla guerra. C’è una certa differenza nel suggerire l’istituzione di un comitato per la pace (come fece la futurista Barbara Marx Hubbard) rispetto a un comitato per la guerra, dando per scontato che la guerra sarà sempre con noi. Questo ci riporta a Hobbes e alla sua critica della democrazia, dove ogni cosa può avere ogni significato, la verità è menzogna, la guerra è pace, il nero è bianco, il giorno è notte e così via. È come la dimensione dei media che viviamo oggi: sembra che le opinioni vengano sempre ri-descritte. E per Hobbes questo è il motivo per cui ci serve il Leviatano. Abbiamo bisogno dello stato, del re, che ci spieghi il significato delle cose e che, se non siamo d’accordo, ci mandi a morte. JG Ma il Leviatano, inquadrato nella sua particolare storia, non potrebbe oggi essere ridefinito? SC Beh, questa sarebbe l’illusione delle Nazioni Unite, la fantasia di uno stato mondiale, o qualche tipo di Leviatano, come soluzione per risolvere i conflitti. Cosa che potrebbe facilmente avverarsi ma che va contro gli interessi degli stati egemoni. E questo ci riconduce al film: come funziona lo stato egemone attraverso il mondo sotterraneo del mercato delle armi. Se si potesse abolire il traffico di armi, allora un nuovo Leviatano potrebbe essere possibile. E il credo nella non-violenza viene trasgredito per proteggere quello spazio non-violento? JG SC JG SC Forse il mercato delle armi è un sintomo di qualcosa di più radicato. Di cosa credi sia il sintomo? Beh, perché non esploriamo la politica dell’amore? Potrebbe essere collegata a questo. Nel tuo nuovo libro poni l’accento sul fatto che il modo in cui si ama diviene la questione cruciale, più forte della morte. Ma in un’intervista con Tom McCarthy hai fatto riferimento al “linguaggio come omicidio”. Ora, Alberto Manguel nel suo The City of Words afferma esattamente l’opposto, parafrasando lo scrittore Alfred Döblin: “Il linguaggio è un modo di amare gli altri, ci fa capire perché stiamo insieme”. Approfondisce il concetto di “noi” come narratori, intendendo che le storie prendono forma perché siamo insieme come “noi”. Comunque, abbiamo appena detto come il linguaggio possa avere l’effetto opposto: inventare storie per giustificare la guerra, per spacciarla come processo di pace. JG SC JG SC JG SC Sì, “il linguaggio come omicidio”, è una citazione di Maurice Blanchot. Se dico “iPhone”, o “tienimi il mio iPhone”, esprimo due concetti diversi. Sottoponendo un oggetto a un concetto, lo anniento, lo sussumo. Si contrappone questo concetto a un’idea più poetica di linguaggio, che permette alle cose di essere quel che sono, che non pone un oggetto all’interno di un concetto ma sfiora gli oggetti con i concetti e permette ai primi di esprimere la loro natura. Però devi credere che gli oggetti siano oggetti, che le cose siano cose. JG E tuttavia ciò che è materiale resta un apriori indefinito, esattamente come la scienza cognitiva ritiene che la nostra mente e il nostro cervello abbiano origine dalla materia, ma non riesce a definire la materia, mentre la fisica quantistica ha messo in discussione l’esistenza stessa della materia. Okay, in un certo senso l’universo è vivo. Nel senso di un universo partecipativo. In un modo o nell’altro tutti noi siamo un insieme di relazioni, è il concetto di inter-soggettività, la comprensione della partecipazione, si condivide una realtà. E le realtà possono essere co-costruite. Compresa la materia. Dal punto di vista filosofico è un insieme di diverse forme di idealismo: è l’insieme di ciò che è in un certo senso connesso a me, sussumibile a me. La materia può essere parte di questo? Una visione filosofica che riunisce entrambe è quella di Spinoza, che ha un’idea del tutto materiale dell’universo, ma lo chiama Dio. E in quell’idea comprende anche se stesso e tutti gli altri. SC Sì, si può partecipare all’idea grazie al proprio intelletto. Mi piacerebbe crederci. JG Ma torniamo alla politica dell’amore. Dunque in amore e in guerra tutto è lecito? Scherzo! JG SC Il linguaggio è una dimensione che permette alla materia di avere il suo peso. È tutta questione di permettere alle cose materiali di essere gli oggetti che sono e non cercare di sussumerle. JG SC SIMON CRITCHLEY is a philosopher. He currently teaches at The New School in New York. He has been the program director for Paris’ Collège International de Philosophie, president of the British Society for Phenomenology and was chosen as a scholar by the Getty Research Institute. He is a world renowned scholar of Continental Philosophy and phenomenology. Much of his work examines the crucial relationship between the ethical and political within philosophy. SC Per forza è uno scherzo, ogni amore è guerra ma la guerra non è amore. Viviamo in una società priva di qualcosa di essenziale, che non è neppure consapevole di ciò che in effetti le manca, poiché si tratta di storie e di idee. Lo scenario non è dissimile dalla scena finale del film di Godard Agente Lemmy Caution, missione Alphaville, che rappresenta una società in cui ogni parola connessa all’idea di amore è stata bandita. E questa donna, innamorata del protagonista, sta cercando di esprimere i suoi sentimenti ma non riesce a trovare le parole, poiché il conceto di amore le è estraneo. JG SC JG So, what are we going to talk about? I’ve collected some thoughts about the new film we’re working on, exploring the global arms trade. You touched upon a set of similar ideas in Nonviolent Violence, the final chapter of your recent book, so maybe we can take it from there? One thing I came upon lately is the “killer ape versus the hippie chimp” debate. Playwright Robert Ardrey argued back in the sixties that it is our innate propensity to kill that separates us from apes. It is war “that has led to the great accomplishments of Western Man. Dreams may have inspired our love of freedom, but only war and weapons have made it ours.” Primatologist Richard Wrangham picks up on this in Demonic Males (1996). To him, it is not men’s difference from but rather our similarity to chimpanzees that makes us inclined toward war. Chimp violence, he claims, “paved the way for human war, making modern humans the dazed survivors of a continuous, 5-million-year habit of lethal aggression.” Basically, biological determinism tends to condemn human nature to a state of perpetual war. It discards such notions as empathy and cooperation, while downplaying our capabilities for creating peace. Yet, Demonic Males is a reference point for political figures defining US foreign policy. Francis Fukuyama, who served in the State Department under Bush Jr., mentions it as a favorite book of Secretary of State Hillary Clinton. He labeled Saddam Hussein as a typical “demonic male.” Well, the history of politics really turns on different conceptions of human nature, and whether human beings are essentially good or essentially wicked. Whether we are killer apes or hippy chimps is a debate that goes back to antiquity. But the modern reference point was Hobbes’ idea that the natural condition of human beings is a state of war, therefore the state is required to prevent that natural state of war. Whereas Rousseau believed that human beings were naturally good and that wickedness was a social outcome of the state, but that if we could throw off the shackles of the state, a more cooperative or anarchist tradition would prevail. And there is the third position, as stated by the Marquis de Sade, “we are wicked, so let us be wicked.” Yeah, celebrate our wickedness, ha! Steven Pinker’s exhaustive study The Better Angels of Our Nature shows there’s actually a decline in violence over the course of human history, and that we tend to evolve towards “the GRIMONPREZ, JOHAN 117 that is the basis for the new film. In a sense, Social Darwinism has celebrated this idea of the “survival of the fittest” (a term coined by Herbert Spencer, but wrongly attributed to Darwin), as a way to justify an economic ideology of unbridled competition and greed, often leading to arms races. Yet the predicament of our present financial crisis indicates that something is really off kilter. What if this notion of “survival of the fittest” could be cast in a different light? Frans de Waal’s research into bonobos, the so-called hippie chimp, tells us a very different story. Genetically as close to man as the chimp, the bonobo is equally as relevant to the discussion of the origins of warfare. De Waal’s explorations of “empathy” and his focus on notions of “cooperation” and “conflict-resolution” offer a counterpart to this celebrated paradigm of greed. Moreover, the fittest often turns out to be indeed the one who is able to cooperate. In Our Inner Ape (2005) De Waal writes that the one aspect of human behavior that chimps cannot illuminate, something we do even more than waging war, is maintaining peace. better angels of our nature.” He attributes that partially to Hobbes’ Leviathan, in which human societies were able to evolve towards larger, more inclusive polities, within which peace is more frequently the rule. Rousseau saw the state as a cause of bloodshed, but Hobbes saw it as its cure. SC JG 118 SC Hobbes wrote Leviathan while in exile in Paris during the English Civil War. Given that a society like England’s had dissolved into revolutionary conflict, then that’s the idea: the state of nature is a state of war. So how does one resolve a state of civil war? Well, through the imposition of authority in the form of a state. Citizens in Hobbes have the chance to get rid of the monarch, the mortal god, the Leviathan. But aside from that, they have to submit to authority. So you could say it is an authoritarian argument for the elimination of violence. But the wider claim that history exhibits a diminution of violence, I find bewildering. If you read someone like Nietzsche, his argument is that physical harm is one thing, but we Christian Europeans have learned to sublimate physical violence into psychological violence, and that is what we call morality! So in a sense the state functions through sublime violence, which we don’t necessarily feel as violence. It means obedience, accepting the norms that govern a society. So yes, I don’t really understand the claim that history exhibits a diminution of violence. So, concerning the question of the state, you’d position yourself with Rousseau? I’m with Rousseau. All the evidence contradicts this, but that is what it means to hold a view. I believe that the state imposes a limitation on human existence. The state requires a permanent condition of war, or at least the threat of war. I am talking about the ideological projection of the other, the idea that there is a clash of civilizations. The truth is of course much nastier. If you look at the writings of Osama Bin Laden, what’s fascinating is that for him Al-Qaeda is a response to the American invasion of Arab lands, in particular to use Saudi Arabia as a base in the first Gulf War, and further back to the continual involvement of Western powers in the Arab world. JG Initially, Al-Qaeda was a rollerdeck at the FBI, who coined the name for a databank containing the names of all the guys they sponsored to fight with Osama against the Soviets in Afghanistan. SC So the enemy—we are not disagreeing—is a total fantasy, right? But the discourse of the state requires the ideological existence of an enemy in order to push against it, while the reality in fact is more complicated, as is proven by the armaments trade and the business of defending this shadow world. JG SC John Perkins calls this the “corporatocracy.” In Confessions of an Economic Hit Man, he reveals how a revolving-door policy exists between multinational corporations, banks, the government, as well as the media, whereby laws and policy are essentially forged by this corporatocracy, mostly ruled by self-interest and greed. Andrew Feinstein explores this from the point of view of the arms trade in The Shadow World, the book Human beings are distorted by the different social regimes in which they find themselves, turn them against each other. The apparatus of ideology, and in particular the media, is trying to foster a spirit of false confrontation through individualism, to use that word. There is no greater power on earth than when human beings believe that they can act together in concert and cooperate, as it appears at the interstices of history! The Occupy movement was about the fact that human beings can assemble, show each other respect and engage in discussion collectively, without structures of authority. The amazing thing I noticed about Zuccotti Park, when I was down there, was this feeling of compassion. It was a different way of relating to people. JG The mainstream echo of Occupy was small in comparison to how big the movement really was. SC The broadcast media in this country are irredeemable. It is a convenient display of polarities of opinion. Whether you watch Fox or MSNBC, it is the same oligarchic structure they supported. But the two interesting things about Occupy were the demand made by these very media—“Who are your leaders, and what do you want?”—which Occupy refused to articulate and the refusal to have leaders, who would be denounced by the same media. Obviously what was mobilized and has been over the last ten to fifteen years, with punctuation points in Seattle, is the rise of social media, which allow for other things to develop. So the question of access is split between the ideological projections of broadcast media and this new universe of social media. JG Reinventing that space of what is defined as a social contract? SC Well, it can occur in a situation in which the mainstream media, say in Egypt or Tunisia, exists in order to maintain the government’s message. Then the social media takes on this emancipatory potential. In situations in which more liberal conditions pertain, the consequences are obviously more ambiguous. The 2008 Obama campaign was notable for its sophisticated use of virtual media, the first campaign run on those lines. But similarly the Tea Party and right-wing extremism are as adept at using social media. JG Chris Hedges, a journalist for the New York Times, called Obama a “Calvin Klein President,” masterfully advertising his campaign, but a huge disappointment afterwards. SC Sure. That was bound to happen. But if grass-roots radicalism had been maintained, then there would be no need for Occupy, right? But yes, there have been three years of drift and disappointment. JG During his acceptance speech for the Nobel Peace Prize, nine days after he decided to send 30,000 more troops to Afghanistan, Obama declared: “War, in one form or another, appeared with the first man.” He implies that war is an inherent part of human nature that it has always been with us. However, historical evidence has proven these assumptions wrong. The archeologist Brian Ferguson claims that war is a relatively recent human invention. Moreover, human records show long periods of absence of wars in certain areas. The anthropologist Douglas Fry also shows that war is absolutely not that universal. The notion that war has always been with us, that it was there with the first man, is a myth. Some findings show different things. SC JG SC JG SC JG SC What do you think the findings show, in your view? Well, for example, the killer ape thesis goes back to archeologist Raymond Dart’s discovery of the Australopithecus, a predecessor of humans found in Africa. The specimen consistently showed a fossilized skull fractured with a particular pair of holes. Dart interpreted this as indisputable evidence that man’s earliest ancestors were murderers. They used animal leg bones as weapons, he argued, as they cause paired fractures on the skull. This is portrayed precisely in the opening sequence of 2001: A Space Odyssey, the film popularizing Robert Ardrey’s killer ape theories, which inspired Arthur Clarke and Stanley Kubrick to depict an animal boneturned-weapon giving birth to civilization. But lately a different image of the australopithecines came to light. When anthropologist C.K. Brain examined the same collection of skulls, he arrived at a more plausible story—an extinct leopard, found at the same geological layers, had two canine teeth corresponding exactly with the paired holes on the skulls. So, the murderous killer apes, so colorfully described by Dart and Ardrey, turned out to be merely lunch for leopards. So it seems the popular depiction of our human ancestors in 2001: A Space Odyssey is completely off the chart. Politics have always used conceptions of nature in order to justify different regimes of power. We appeal to nature in order to justify what is a contingent cultural fact. So I don’t think the question is ever going to be resolved one way or another: are we killer apes or are we hippy chimps? Do we want to kill each other or do we want to get along? War is a historical phenomenon, but it’s not because it is prevalent today that it cannot be abolished. At one point slavery was naturalized as it had alleged genetic underpinnings, or for that matter rape, was justified by the fact that it was an innate impulse. But that does not mean it could not be eliminated. Violence is a phenomenon with a history, right? To disavow that history in the name of a principled idea of non-violence is to risk amnesia, so it is important to understand the history of violence from which we spring. The problem with most modern states like the US or Britain, or Belgium, is that we disavow the history of violence out of which those states were constituted. Even when that history is a glorious or a revolutionary history, as for most people that we would identify as oppressed, this would mean a memory of violence. You cite Fanon here: “Historical amnesia is the luxury of the oppressor.” The history of violence amongst the average English person in 2012 with regard to Ireland is less than minimal, whereas the average Irish person from the Republic—and indeed from the North—can to this day recount a history of violence. But then, does that mean accepting that violence is a phenomenon of history? Or if history is considered as a history of violence and counter-violence is that to conclude that violence is inevitable? I think it is to conclude that violence can be suspended in optimal circumstances. JG Violence longs to breed. War is contagious. But ultimately can one wage war on war? Your reading of Walter Benjamin’s Critique of Violence addresses on the crucial question: can a struggle against violence avoid becoming itself a violent struggle? To Benjamin the law itself has a violent origin and is enforced by violence. So given this contradiction, to what extent is a non-violent resolution of conflict possible? SC We have to study this question on a case-by-case basis, as the idea of a global philosophical answer is always going to miss the point. So it is an ongoing dialogue. For example, Mahatma Gandhi initiated a successful non-violent resistance to British imperial rule in India by mobilizing the new and the old, by mobilizing techniques that he had learned by reading people like Kropotkin, a Russian anarchist, and articulating elements of Hindu traditions, which he called Shatyagraha. Combining the old and the new is political genius, and it worked until the civil war and the partition of India and Pakistan. But would it have worked during the French colonial regime of Algeria? No. JG Gene Sharp’s nonviolent action versus Arundhati Roy’s particular take on the Tamil as part of the situation in India? Or the Zappatistas in the midnineties in Chiapas? SC You go context by context. I am against a principal, global idea of non-violence, stating that all acts of violence have to be rejected. That is simply a disavowal of history. By saying that, resistance to French colonial rule in Algeria was wrong because it was violent, you miss something important about GRIMONPREZ, JOHAN 119 what was happening there. But are we therefore condemned to an unending cycle of violence? No, violence can be transformed. One example I know a little is the Irish case. People who twenty years ago were killing each other, the loyalist paramilitaries in the North of Ireland, and Sinn Fein, the Irish Republican Army, are now negotiating in the Northern Irish Parliament. Is it perfect? No, it is not perfect. But they are not killing each other. So how did that happen? It happened through a series of compromises, exhaustion with violence, and the former colonial power, Britain, taking responsibility for its history to some extent. JG SC JG SC 120 In 2004, George W. Bush declared: “The reason why I’m so strong on democracy is democracies don’t go to war with each other. And that’s why I’m such a strong believer that the way forward in the Middle East, the broader Middle East, is to promote democracy.” War in name of democracy. You called anarchism direct democracy? The history of anarchism doesn’t fit in with the major arc of history. You know, modern anarchism really began with the diggers in the 1640s, people from the London area, who went out to the country and started to dig, thus reclaiming the common. JG SC JG Like the Transition Town movement, with their variation of a local barter economy, such as timebanking, etc. I am very sympathetic towards that. In cities like Cleveland and Detroit, disused urban blocks are being turned into farms. I call that anarchism, an effort to determine your own existence, the desire for autonomy and control of the resources at your disposal. JG But then how do you protect that autonomous zone? SC What usually happens is that human beings are alienated from what they understand as their desires by a set of institutions. Political disappointment is a motivating force in ethical and philosophical thinking— as David Byrne said, “This is not my beautiful car, this is not my beautiful house and you ask yourself, how did I get here?” So when this becomes intolerable, people are emboldened to do something about it, as with Occupy. Judith Butler calls this the “carefully crafted fuck-you.” Now, the history of resistance is overwhelmingly a history of non-violent resistance. As it builds confidence, it confronts institutions, in particular the police and the law. It’s usually at this point, often in confrontation with the police, that a non-violent movement becomes a victim of violence and has to negotiate a situation of violence: do you react, or not? JG And the belief in non-violence is transgressed to protect that non-violent space? SC In my view, violence is sometimes necessary, but never justifiable. Let’s take the case of Dietrich Bonhoeffer, the Christian pastor who was killed shortly before the end of the Second World War. He was committed to pacifism, but then he got involved in the attempted assassination of Hitler and was executed. In the unpublished site in City of Words. He paraphrases novelist Alfred Döblin: “language is a form of loving others, language lets us know why we are together.” He elaborates on “us” as storytellers, meaning stories shape why we are together as a “we.” We talked earlier how language can just do the opposite: concoct stories to justify war, to masquerade war as a peace process. writings produced during his captivity, he invokes die Bereitschaft zur Schuldübernahme, the preparedness to take guilt on to oneself. Someone committed to nonviolence, might find himself ready to take on a situation of guilt, in this case by trying to kill Hitler. SC Hardt and Negri point out that today’s imperial peace obscures a state of constant war. This perpetual war pervades all aspects of life: what we eat, what we consume, what we talk about. We have become avid consumers of fear. Legally, we are now all terrorists until proven innocent. It’s the domestication of fear by a corporatocracy serving its economic greed in the interest of a global war industry. Heidegger noted during the Second World War, or shortly thereafter, that we are going to live in societies where the line between peace and war will become increasingly difficult to draw. Peace is war, and war is peace. This reminds me of Richard Holbrooke’s dictum: “bombing for peace…” But can’t peace be looked at on its own terms? Peace is often defined as absence of war, but peace might be something else altogether. The factors leading to peaceful conflict resolution are not the same as those leading to war. It’s quite different to suggest the installment of a peace room (as proposed by futurist Barbara Marx Hubbard) rather than that of a war room, as the latter implies that war will always be with us. This takes us back to Hobbes’ critique of democracy, in whiche everything can mean anything, and truth is a lie, war is peace, black is white, day is night and so forth. It’s like the media space we live in today: opinions seem to be constantly re-described. For Hobbes that’s why you need the Leviathan. You need the state, the king, to say this is what it means, and if you don’t agree with that, we kill you. JG Though ingrained in its particular history, could the Leviathan not be redefined today? SC Well, this would be the fantasy of the United Nations: the fantasy of a world state, or some kind of Leviathan, as a way to resolve conflicts. That could easily come about, but it is against the interests of the hegemonic states. And this comes back to the film: how the hegemonic state functions through the shadow world of the arms trade. If you could abolish the arms trade, then a new Leviathan might be possible. JG SC JG Even if you would abolish the arms trade, this Leviathan might fail? Maybe the arms trade is merely a symptom of something much deeper. What do you think it is a symptom of? Well, why don’t we explore the politics of love, which might be linked to this? You emphasize in your new book that “How to love?” becomes the crucial question, that it is stronger than death. But in an interview with Tom McCarthy you referred once to “language as an act of murder.” Now, Alberto Manguel claims exactly the oppo- SC JG SC JG SC JG SC JG SC JG SC JG Yes, “language as an act of murder,” is the Maurice Blanchot thing. If I say “Iphone,” or “hold my Iphone,” it is a different thing. By placing the object under a concept, I kill it, I subsume it. He contrasts that with a more poetic idea of language: letting things be the things that they are, without placing an object under a concept, but using concepts to brush against objects and let them be the objects that they are. SIMON CRITCHLEY est philosophe et professeur à la New School de New York. Il a été, entre autres, directeur des programmes du Collège International de Philosophie de Paris, président de la British Society for Phenomenology et chercheur au Getty Research Institute. Il s’occupe en particulier de philosophie continentale et phénoménologie. Ses recherches portent principalement sur la relation entre l’éthique et la politique dans la philosophie. SC JG But then you have to believe that objects are objects, that things are things. Language is that dimension that can let matter, matter. It is a question of letting material things be the things they are without trying to subsume them. Still, matter remains that undefined a priori. Cognitive scientists assume our mind and brain emerge from matter, but fail to define what matter really is, whereas quantum physicists have come to question matter altogether. Okay, the universe is alive in some sense. In the sense of a participatory universe. We’re all entangled in one way or another. It’s a notion of inter-subjectivity, an understanding of sharing. You share a reality and realities may be coconstructed. Matter included. Like sharing a garden… Philosophically it’s like different forms of idealism: it is the entirety of that which is in a sense connected to me, subsumable within me. Could matter be part of that? One philosophical view that unites both is Spinoza’s, who has a completely material idea of the universe. But he calls that God. And he includes himself, and also everyone else, as part of that idea. Yes. Through the intellect I can participate in that. I would love to believe that. SC But let’s go back to the politics of love. So, everything is fair in love and war? I’m joking! Of course it’s a joke. All love is war, not war is love. We live in a society deprived of something essential, not even aware of what we actually miss, since we lack the stories and concepts. This is not dissimilar to the final scene of Godard’s film Alphaville, which depicts a society in which every word relating to the idea of love has been banned. And this woman, in love with the protagonist, is trying to express her feelings, but she doesn’t find the words, as the concept of love is foreign to her. JG Alors, de quoi parle-t-on ? J’ai rassemblé certaines réflexions sur le nouveau film que nous préparons et qui traite du commerce mondial des armes. Vous avez vousmême abordé ce genre d’idées dans Nonviolent Violence, le chapitre final de votre nouveau livre ; peut-être pourrions-nous commencer par là ? Je suis tombé récemment sur le débat qui oppose le singe tueur au chimpanzé hippie. Dans les années soixante, le dramaturge Robert Ardrey soutenait que ce qui nous sépare du singe c’est notre propension innée à tuer. C’est la guerre qui « a conduit aux grandes réussites de l’homme occidental. Les rêves ont pu inspirer notre amour pour la liberté, mais seules la guerre et les armes l’ont fait nôtre ». Le primatologue Richard Wrangham reprend cette théorie dans Demonic Males (1996). D’après lui, ce n’est pas notre différence mais plutôt notre ressemblance avec les chimpanzés qui nous rend enclins à la guerre. Il affirme que la violence des chimpanzés « a ouvert la voie à la guerre humaine, en faisant de l’homme moderne le rescapé confus d’une propension à l’agression mortelle qui perdure depuis cinq millions d’années ». En résumé, le déterminisme biologique tend à condamner la nature humaine à un état de guerre permanent. Il exclut toute notion d’empathie ou de coopération en minimisant nos capacités à concevoir la paix. Et Demonic Males est même devenu un point de référence pour les politiciens chargés de définir la politique étrangère des États Unis. Francis Fukuyama, qui fut au service du Département d’État sous l’administration Bush fils, le cite comme le livre préféré de la Secrétaire d’État Hillary Clinton. Il attribua à Saddam Hussein l’étiquette du « mâle démoniaque » type. L’histoire de la politique s’intéresse en réalité à d’autres conceptions de la nature humaine ; que l’être humain soit foncièrement bon ou mauvais, que nous soyons des singes tueurs ou des chimpanzés hippies est un débat d’un autre temps. Le point de référence moderne, comme il s’est imposé de Thomas Hobbes à Jean-Jacques Rousseau, veut que, pour Hobbes, la condition naturelle des êtres humains soit l’état de guerre et qu’un État soit nécessaire pour le prévenir. Quant à Rousseau, il pense que les être humains sont bons par nature et que la méchanceté est le résultat social de l’ État ; mais, selon lui, si nous parvenons à nous libérer du joug de l’État, alors c’est une tradition de coopération ou d’anarchie qui prévaudra. Et il existe une troisième voie, comme le dit le Marquis de Sade : « Nous sommes mauvais par nature, alors laissez-nous l’être ». GRIMONPREZ, JOHAN 121 SC JG SC 122 L’étude approfondie de Steven Pinker, The Better Angels of our Nature, montre que la violence est en déclin dans l’histoire de l’humanité, et que nous tendons progressivement vers les « meilleurs anges de notre nature ». Cette idée est partiellement partagée par le Léviathan, dans lequel Hobbes soutient que les sociétés humaines sont capables d’évoluer vers des systèmes de gouvernement plus grands et moins exclusifs où la paix est la règle la plus fréquente. Rousseau considérait l’État comme la cause des effusions de sang, tandis qu’Hobbes y voyait le remède. Hobbes a écrit le Léviathan en exil à Paris pendant la guerre civile anglaise. La société anglaise ayant été détruite par un conflit révolutionnaire, on développe alors l’idée que l’état de nature est un état de guerre. Comment peut-on donc résoudre un état de guerre civile ? Eh bien, en imposant l’État comme forme d’autorité. Pour Hobbes, les citoyens ont la possibilité de se libérer du roi, le dieu mortel, le Léviathan. Mis à part cela, ils doivent se soumettre à l’autorité. On pourrait dire que c’est une solution autoritaire pour éliminer la violence ; mais je trouve déconcertant que la plupart des gens prétendent que la violence diminue au cours de l’histoire. Prenez quelqu’un comme Nietzsche, sa thèse est que le préjudice physique est une chose, mais que nous les Européens Chrétiens nous avons appris à sublimer la violence physique en violence psychologique, et c’est ce que nous appelons moralité ! Donc, d’une certaine manière, l’État fonctionne à travers la sublimation de la violence, une violence que nous ne percevons pas nécessairement comme telle ; ce qui signifie obéissance et acceptation des normes qui régissent la société. Alors non, je ne comprends vraiment pas cette affirmation selon laquelle la violence diminue au cours de l’Histoire. JG Concernant l’État, vous partagez donc le point de vue de Rousseau ? SC Oui, je suis d’accord avec Rousseau. Tout va à l’encontre de sa vision, mais c’est ce que signifie avoir une opinion. Je considère l’État comme une restriction de l’existence humaine ; il requiert une situation de guerre permanente ou, tout du moins, la menace d’une guerre. Je parle de la projection idéologique de l’autre, de l’idée qu’il existe un choc des civilisations. Évidemment, la vérité est bien pire ; si vous lisez les écrits d’Oussama Ben Laden, la chose fascinante c’est que pour lui Al-Qaïda est une réponse à l’invasion américaine des terres arabes, notamment à l’utilisation de l’Arabie Saoudite comme base pour la première Guerre du Golfe, et plus loin encore aux continuelles ingérences des pouvoirs occidentaux dans le monde arabe. JG SC JG Au départ, Al-Qaïda désignait un carnet d’adresses du FBI ; ce nom fut en effet attribué à une base de données contenant les noms de ceux que le FBI finançait pour se battre aux côtés d’Oussama contre les Soviétiques en Afghanistan. L’ennemi n’est que pur fantasme, on est d’accord ? Mais l’État, d’un point de vue idéologique, requiert l’existence d’un ennemi contre lequel se battre ; alors que dans les faits, la réalité est beaucoup plus complexe, comme le SC John Perkins parle de « corporatocratie ». Dans Confessions d’un assassin financier, il révèle l’existence d’un lien direct entre les multinationales, les banques, le gouvernement et les médias, tandis que les lois et la politique sont essentiellement créées par cette corporatocratie qui n’est mue que par ses intérêts personnels et par sa propre avidité. Andrew Feinstein analyse cette question du point de vue du commerce des armes dans The Shadow World, le livre qui a inspiré le nouveau film. D’une certaine manière, le darwinisme social a célébré cette idée de la « survie du plus apte » (expression inventée par Herbert Spencer et faussement attribuée à Darwin) pour justifier une idéologie économique basée sur la compétition effrénée et l’avidité, aboutissant souvent à une course aux armements. Cependant, les conditions actuelles de notre crise financière montrent que quelque chose échappe à tout contrôle. Et si cette notion de « survie du plus apte » pouvait être observée sous un autre angle ? Les études menées par Frans de Waal sur les bonobos, les fameux chimpanzés hippies, nous racontent une toute autre histoire. Aussi proche des humains, génétiquement parlant, que le chimpanzé, le bonobo a toute sa place dans le débat sur les origines de la conflictualité. Les enquêtes de De Waal sur l’« empathie » et l’attention qu’il porte à des thèmes tels que la « coopération » ou la « résolution du conflit » contrebalancent notamment le célèbre paradigme de l’avidité. Par ailleurs, l’individu le plus apte est souvent le plus à même de coopérer. L’un des aspects du comportement humain que les chimpanzés ne peuvent éclairer c’est que plus encore que de déclarer la guerre nous nous efforçons de maintenir la paix, écrit De Waal dans Le singe en nous (2006). Les êtres humains sont dénaturés par les différents régimes sociaux au sein desquels ils évoluent et qui les montent les uns contre les autres ; et à travers l’individualisme, pour utiliser ce terme, tout ce que l’appareil idéologique et notamment les médias tentent de promouvoir c’est un esprit de fausse conflictualité. Quand les êtres humains pensent pouvoir agir de concert et coopérer, comme on peut le voir dans les interstices de l’Histoire, alors il n’existe pas de plus grand pouvoir sur terre ! Le mouvement Occupy Wall Street illustre précisément cette idée que les hommes peuvent se réunir, se respecter et s’impliquer dans des débats collectifs sans aucune autorité structurée. La chose incroyable à propos du Zuccotti Park, quand j’étais là-bas, c’était ce sentiment de compassion, vous savez, c’était une manière différente de nouer des liens. JG Le mouvement Occupy a eu un écho limité par rapport à sa véritable ampleur. SC Les télévisions de ce pays sont irrécupérables. Elles affichent avantageusement des points de vue opposés mais, que vous regardiez Fox News ou MSNBC, la structure oligarchique qu’elles soutiennent est la même. La première chose intéressante dans le mouvement ce genre de lésion ils s’armaient de fémurs d’animaux. C’est ce qui est représenté précisément dans la scène d’ouverture de 2001, l’Odyssée de l’espace, le film qui a rendu populaire la théorie du singe tueur de Robert Ardrey ; et c’est de cette théorie que se sont inspirés Arthur Clarke et Stanley Kubrick pour mettre en scène un os animal devenant une arme à l’origine de la civilisation. Mais plus tard, les Australopithèques ont été dépeints d’une autre façon. Lorsque l’anthropologue C.K. Brain a examiné la même collection de crânes, il est arrivé à une conclusion beaucoup plus plausible : une espèce disparue de léopard, retrouvée dans les mêmes couches géologiques, possédait deux canines correspondant parfaitement aux trous visibles sur les crânes. Et ainsi, les singes tueurs et sanguinaires, décrits de façon si pittoresque par Dart et Audrey, n’étaient en réalité que le repas d’un léopard. Il semble donc que la représentation populaire de nos ancêtres proposée dans 2001, l’Odyssée de l’espace soit totalement hors propos. Occupy, ce sont les questions qui ont été posées par les médias : « Qui sont vos leaders et que voulez-vous ? » ; la deuxième chose c’est le refus d’Occupy de répondre à ces questions mais aussi de se pourvoir de leaders qui auraient été dénoncés par ces mêmes médias. Évidemment, ce qui s’est affirmé et qui se développe depuis 10-15 ans, sur le modèle de Seattle, ce sont les médias sociaux, qui tiennent compte de choses différentes. La question de l’accès à l’information se partage donc entre les projections idéologiques des chaînes télévisées et ce nouvel univers incarné par les médias sociaux. montrent clairement le commerce de l’armement et le marché de la défense de ce monde de l’ombre. Oui allez, célébrons notre malignité ! JG Réinventant ainsi l’espace de ce que l’on nomme le contrat social ? SC Eh bien, il existe des situations, en Égypte ou en Tunisie par exemple, où les médias traditionnels sont là pour véhiculer le message du gouvernement ; les médias sociaux, de leur côté, se chargent du potentiel d’émancipation. Si les conditions sont plus libérales, les conséquences sont évidemment plus ambiguës. La campagne présidentielle d’Obama de 2008 se distingue par son utilisation sophistiquée des médias virtuels, une première dans ce domaine. De la même manière, le Tea Party et l’extrême droite sont experts dans l’art d’utiliser les médias sociaux. JG SC JG SC JG SC Chris Hedges, journaliste pour le NYT, a qualifié Obama de Président Calvin Klein : une campagne publicitaire rondement menée mais suivie de grandes déceptions. C’est vrai. C’est ce qui devait arriver. Mais si on avait maintenu la promesse d’un radicalisme populaire, nul besoin de Occupy, n’est-ce pas ? Eh oui, ce furent trois années de dérive et de déception. Neuf jours après qu’Obama a décidé d’envoyer 30 000 soldats supplémentaires en Afghanistan, il a déclaré dans son discours d’acceptation du Prix Nobel que « la guerre, sous une forme ou sous une autre, est apparue avec le premier homme ». Ce qui implique que la guerre fait partie intégrante de la nature humaine et qu’elle a toujours été en nous. Et pourtant, les faits historiques ont prouvé que ces allégations sont fausses. L’archéologue Brian Ferguson affirme que la guerre est une invention humaine relativement récente. Par ailleurs, les restes anthropologiques témoignent, dans certaines régions, de longues périodes sans guerre. L’anthropologue Douglas Fry démontre lui aussi que la guerre n’est pas si universelle que ça. En réalité, le fait que la guerre ait toujours existé, qu’elle soit née avec le premier homme est un mythe. Certaines découvertes montrent autre chose. Et à votre avis, que montrent ces découvertes ? Eh bien, par exemple, la thèse du singe tueur remonte aux découvertes de l’archéologue Raymond Dart concernant l’Australopithecus, un ancêtre de l’homme originaire d’Afrique. Les divers fragments de crânes fossilisés présentaient deux trous bien particuliers, preuve irréfutable, selon Dart, que les plus vieux ancêtres du genre humain étaient des meurtriers. D’après lui, pour causer La politique a toujours utilisé les conceptions de la nature pour justifier les différents régimes de pouvoir. Nous en appelons à la nature pour justifier d’un fait culturel contingent. Pour cette raison, je ne crois pas que le problème puisse être résolu d’une quelconque manière : sommes-nous des singes tueurs ou des chimpanzé hippies ? Voulons-nous nous entretuer ou bien vivre en harmonie ? JG La guerre est un phénomène historique, mais ce n’est pas parce qu’aujourd’hui elle est partout qu’on ne peut pas l’abolir. À un moment donné, on a fait de l’esclavage un phénomène naturel en alléguant de prétendus arguments génétiques, et on a justifié le viol par le simple fait qu’il était inné, mais ça ne signifie pas qu’on ne peut pas les supprimer. SC La violence est un phénomène doté d’une histoire, n’estce pas ? Désavouer cette histoire au nom d’un principe de non-violence nous conduirait à l’amnésie, il faut donc commencer par comprendre cette histoire de la violence dont nous sommes issus. Le problème de nombreux États modernes, comme les États Unis, la Grande Bretagne ou la Belgique, c’est qu’ils renient l’histoire de la violence qui les a fait naître. Même si cette histoire est glorieuse ou révolutionnaire, le fait qu’un grand nombre de personnes puissent être considérées comme opprimées crée une mémoire de la violence. JG « L’amnésie de l’Histoire est le luxe de l’oppresseur », pour citer Fanon. SC Pour la moyenne des Anglais en 2012, l’histoire de la violence à l’égard de l’Irlande est plus que minime, tandis que la moyenne des Irlandais de la République, et à plus forte raison les Irlandais du Nord, peut raconter aujourd’hui une histoire de violence. Mais alors, fautil accepter que cette violence soit un phénomène historique ? Et même si l’Histoire est une histoire de violence et de contre-violence, doit-on en conclure que la violence est inévitable ? Ce qu’il faut en conclure, je crois, c’est que la violence peut être suspendue si les circonstances sont optimales. GRIMONPREZ, JOHAN 123 JG SC JG SC 124 JG SC La violence n’a de cesse de se reproduire. La guerre est contagieuse. Mais en définitive, peuton déclarer la guerre à la guerre ? Votre lecture de Critique de la violence de Walter Benjamin mène à cette question cruciale : une lutte contre la violence peut-elle éviter de devenir elle-même une lutte violente ? Pour Benjamin, la loi a elle aussi une origine violente, elle s’impose par la force. Étant donné cette contradiction, dans quelle mesure un conflit peut-il être résolu sans violence ? Il faut raisonner au cas par cas, l’idée consistant à apporter une réponse philosophique globale à ce problème est vouée à l’échec. C’est un dialogue permanent. Pour donner un exemple, le Mahatma Gandhi a mené, avec succès, une résistance nonviolente contre la domination britannique de l’Inde ; pour cela, il mobilisa le nouveau et l’ancien, il appliqua des techniques qu’il avait apprises en lisant des auteurs comme Kropotkine, un anarchiste russe, et il articula des éléments de la tradition hindoue, ce qu’il appela le Shatyagraha. Réussir à combiner l’ancien et le nouveau est le propre du génie politique et cela a fonctionné jusqu’à la guerre civile et la séparation de l’Inde et du Pakistan. Mais cela aurait-il marché dans le cas du système colonial français en Algérie ? Non. JG SC Mais comment protégez-vous cette zone autonome ? SC Ce qui se passe habituellement c’est que les êtres humains évoluent dans un système institutionnel qui les éloigne de ce qu’ils considèrent être leurs désirs. La déception politique est une force motivante pour la pensée éthique et philosophique, et comme le dit David Byrne « Cette belle voiture n’est pas à moi, cette belle maison non plus et vous vous demandez : mais comment en suis-je arrivé là ? ». Alors quand tout cela devient intolérable, comme dans le cas de Occupy, les gens sont encouragés à faire quelque chose, ce que Judith Butler nomme « un je-vous-emmerde soigneusement élaboré ». Aujourd’hui, l’histoire de la résistance s’apparente majoritairement à une histoire de la résistance nonviolente ; mais quand elle gagne en assurance, elle se met à affronter les institutions, notamment la police et la loi. C’est généralement à ce moment-là que le mouvement non-violent devient victime de la violence, en particulier dans ses affrontements avec la police, quand il doit résoudre une situation violente : est-ce que vous réagissez ou pas ? George W. Bush a déclaré en 2004 : « La raison pour laquelle je défends si ardemment la démocratie c’est que les démocraties ne se font pas la guerre. Et c’est pour cela que je crois fermement que la voie à suivre au Moyen Orient, le plus largement possible, c’est de promouvoir la démocratie ». La guerre au nom de la démocratie. Vous avez qualifié la démocratie directe d’anarchie ? L’histoire de l’anarchie ne trouve que rarement sa place au cours de l’Histoire. Vous savez, l’anarchie moderne commence réellement vers 1640 avec les Diggers, des gens qui quittèrent la région de Londres pour la campagne où ils commencèrent à bêcher et à revendiquer la propriété des communaux. L’agriculture serait donc un exemple de l’endroit où se produit actuellement ce phénomène. JG SC JG SC JG Je suis très favorable à ce mouvement. Dans des villes comme Cleveland ou Détroit, on est en train de transformer de vieux pâtés de maisons abandonnés en fermes. J’appelle ça de l’anarchie, cette volonté de déterminer sa propre existence, ce désir de devenir autonome en exploitant les ressources disponibles. JG L’action non-violente de Gene Sharp vs l’interprétation particulière que fait Arundhati Roy de la révolte Tamoule, ou les Zapatistes du Chiapas au milieu des années quatre-vingt dix ? On procède au cas par cas. Je suis opposé à une idée globale de non-violence, qui signifierait que tout acte de violence est à bannir. Ce n’est qu’un désaveu de l’Histoire. Si on se limite à affirmer que la résistance algérienne contre le colonialisme français était illégitime car violente alors on perd quelque chose d’important à propos de ce qui s’est passé. Mais sommes-nous, de ce fait, condamnés à un cycle éternel de violence ? Non, la violence peut être transformée. Un exemple que je connais un peu, c’est l’Irlande. Alors qu’il y a vingt ans ils s’entretuaient, aujourd’hui les paramilitaires loyalistes du Nord de l’Ireland, le Sinn Fein et l’IRA négocient au sein du Parlement nordirlandais. Est-ce là la solution parfaite ? Non, elle n’est pas parfaite, mais au moins ils ne se massacrent plus. Comment en sont-ils arrivés là ? À travers une série de compromis, l’épuisement dû à la violence et une prise de responsabilité de l’ancienne puissance coloniale, la Grande Bretagne, à l’égard de sa propre histoire. Comme le mouvement Transition Town qui propose une économie alternative locale basée sur le troc, à l’image de la banque d’autrefois, etc. SC JG SC Et l’on transgresse sa foi en la non-violence pour protéger cet espace non-violent ? De mon point de vue, la violence est parfois nécessaire mais elle n’est jamais justifiable. Prenons le cas de Dietrich Bonhoeffer, le pasteur luthérien assassiné peu avant la fin de la Seconde Guerre mondiale. C’était un pacifiste convaincu mais il fut impliqué dans la tentative d’assassinat contre Hitler et exécuté. Dans ses écrits inédits de captivité, il nomme « die Bereitschaft zur Schuldübernahme » le fait d’être prêt à assumer sa propre culpabilité. Quelqu’un ayant dédié sa vie à la nonviolence peut se retrouver à assumer une situation de culpabilité, dans ce cas la tentative d’assassiner Hitler. Hardt et Negri affirment que la paix impérialiste actuelle masque, en réalité, un état de conflit permanent. Cette guerre perpétuelle imprègne tous les aspects de notre vie : ce que nous mangeons, ce que nous consommons, ce dont nous parlons. Nous sommes devenus des consommateurs avides de peur et, d’un point de vue légal, nous sommes tous des terroristes jusqu’à ce que nous prouvions notre innocence. Voilà comment une corporatocratie parvient à domestiquer la peur pour servir sa propre avidité économique et les intérêts de l’industrie mondiale de la guerre. Pendant la Seconde Guerre mondiale, ou juste après, Heidegger souligne que nous sommes destinés à vivre dans des sociétés où la frontière entre paix et guerre sera de plus en plus difficile à tracer. La paix, c’est la guerre et vice versa. JG SC JG Ça me rappelle le dicton de Richard Holbrooke : « Bombarder pour la paix… » Mais ne peut-on pas analyser la paix en des termes qui lui soient propres ? On la définit souvent comme l’absence de guerre, mais ce peut être quelque chose de totalement différent. Les facteurs qui conduisent à la résolution pacifique d’un conflit sont différents de ceux qui mènent à la guerre. Il est assez différent de suggérer l’instauration d’un comité pour la paix (comme le proposa la futuriste Barbara Marx Hubbard) en faveur d’un comité pour la guerre, sous-entendu que la guerre sera toujours présente parmi nous. Cela nous ramène à Hobbes et à sa critique de la démocratie, où rien n’a de signification précise, où la vérité est assimilable au mensonge, la guerre à la paix, le noir au blanc, le jour à la nuit et ainsi de suite. C’est comme l’espace médiatique dans lequel nous vivons aujourd’hui : les opinions semblent constamment re-décrites. Et selon Hobbes, c’est pour cela que nous avons besoin du Léviathan. Nous avons besoin de l’État, du roi, pour nous expliquer le sens des choses, et si nous ne sommes pas d’accord, il nous tue. Mais aujourd’hui, ne pourrait-on pas redéfinir le Léviathan, enraciné comme il l’est dans sa propre histoire ? Eh bien, ce serait le fantasme des Nations Unis, le fantasme d’un État mondial ou d’une sorte de Léviathan qui puisse résoudre les conflits. C’est une chose qui pourrait facilement exister si elle n’allait pas à l’encontre de l’intérêt des États hégémoniques. Et nous en revenons au film : comment fonctionne l’État hégémonique à travers le monde souterrain des ventes d’armes. Si l’on pouvait éradiquer le trafic d’armes, alors un nouveau Léviathan pourrait voir le jour. Même si l’on éradiquait le trafic d’armes, ce Léviathan pourrait-il échouer ? Peut-être que le commerce des armes n’est que le symptôme de quelque chose de plus profond. SC Oui, « le langage comme meurtre », c’est ce que dit Maurice Blanchot. Si je dis « iPhone », ou tiens-moi mon iPhone, j’exprime deux concepts différents. En pensant un objet sous un concept, je l’anéantis, je le subsume. Il oppose ça à une idée plus poétique du langage, qui permet aux choses d’être ce qu’elles sont, qui ne pense pas un objet sous un concept mais qui effleure les objets grâce aux concepts et les laisse être ce qu’il sont vraiment. JG Mais pour cela vous devez croire que les objets sont des objets, que les choses sont des choses. SC Le langage est une dimension qui laisse la possibilité à la matière d’être ce qu’elle est. Tout l’enjeu est de laisser les choses matérielles être ce qu’elles sont et ne pas tenter de les subsumer. JG Toutefois, la matière reste un a priori indéfini, de la même manière que la science cognitive considère que notre esprit et notre cerveau sont issus de la matière, sans parvenir à définir ce qu’est réellement la matière, tandis que la physique quantique a totalement remis en question la notion de matière. SC JG SC JG De quoi pourrait-il être le symptôme selon vous ? Eh bien, pourquoi n’explorons-nous pas la politique de l’amour, elle pourrait avoir un lien ? Dans votre nouveau livre, vous insistez sur le fait que la manière dont on aime devient la question cruciale, qu’elle est plus forte que la mort. Mais dans une interview avec Tom McCarthy, vous faisiez référence au « langage comme à un meurtre ». Aujourd’hui, Albert Manguel affirme exactement le contraire dans La Cité des mots, et paraphrase l’écrivain Alfred Döblin : « Le langage est une façon d’aimer l’autre, il nous fait comprendre pourquoi nous sommes ensemble ». Il approfondit le concept du « nous » narrateurs, à savoir des histoires qui tentent de formuler ce qui fait le « nous ». Quoi qu’il en soit, nous venons de dire que le langage peut avoir l’effet contraire : inventer des histoires dans le but de justifier la guerre, de la faire passer pour un processus de paix. SC JG SC JG Très bien, dans un certain sens l’univers est vivant. Dans le sens d’un univers participatif. D’une façon ou d’une autre, nous sommes tous en relation les uns aux autres, c’est le concept d’intersubjectivité, la compréhension du partage, on partage une réalité. Et les réalités peuvent être co-construites. Y compris la matière. Comme partager un jardin… D’un point de vue philosophique, ce sont différentes formes d’idéalisme : il s’agit de tout ce qui est, d’une certaine manière, relié à moi, de tout ce qui m’est subsumable. La matière peut-elle en faire partie ? Spinoza est celui qui synthétise ces deux visions : son idée de l’univers est totalement matérielle mais il la nomme Dieu. Et dans cette idée il s’inclut lui-même et les autres. Oui, on peut y prendre part grâce à son intellect. J’aimerais y croire. Mais revenons à la politique de l’amour. Donc, en amour comme à la guerre tout est permis ? Je plaisante ! Bien sûr que c’est une plaisanterie, l’amour est une guerre mais la guerre, ce n’est pas de l’amour. Nous vivons dans une société privée de quelque chose d’essentiel et nous n’avons même pas conscience de ce qui nous manque, car il s’agit d’histoires et de concepts. Nous ne sommes pas loin de la scène finale du film Alphaville de Godard, qui représente une société où tous les mots liés à l’idée d’amour ont été bannis. Et cette femme, amoureuse du protagoniste, tente d’exprimer ses sentiments mais elle n’y parvient pas, puisque le concept d’amour lui est étranger. GRIMONPREZ, JOHAN 125 GRIMONPREZ, JOHAN 126 127 JOHAN GRIMONPREZ MAYBE THE SKY IS REALLY GREEN AND WE’RE JUST COLORBLIND, A WE TUBE-O-THEQUE BY JOHAN GRIMONPREZ (THANKS TO CHARLOTTE LÉOUZON), 2012