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SIMON CRITCHLEY / JOHAN GRIMONPREZ
per loro natura buoni e che la malvagità sia un esito
sociale dello stato, ma se ci possiamo liberare delle
catene dello stato, allora prevarrà una tradizione di
cooperazione e anarchia.
JG
SIMON CRITCHLEY
è filosofo e docente della New School di New York. Tra i
molti incarichi è stato direttore dei programmi del Collège International de Philosophie di Parigi, presidente della British Society for Phenomenology e ricercatore presso il Getty Research Institute. È uno studioso di fama internazionale di filosofia continentale e fenomenologia.
La sua ricerca verte soprattutto sul rapporto tra etica e
politica in ambito filosofico.
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JG
GRIMONPREZ,
JOHAN
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SC
JG
Allora, di che cosa parliamo?
Ho raccolto alcune riflessioni sul nuovo film a
cui stiamo lavorando, che analizza il mercato
globale delle armi. Anche tu hai toccato una serie di idee simili in Nonviolent Violence, il capitolo finale del tuo nuovo libro, forse possiamo
cominciare da qui. Una delle questioni in cui mi
sono imbattuto di recente è il dibattito sul “primate assassino contro lo scimpanzé hippy”. Il
drammaturgo Robert Ardrey negli anni sessanta sostenne che ciò che ci separa dalle scimmie
è la nostra propensione innata a uccidere. È la
guerra che “ha condotto l’uomo occidentale ai
suoi grandi risultati. I sogni possono avere ispirato il nostro amore per la libertà, ma solo la
guerra e le armi ci hanno permesso di farla nostra”. Il primatologo Richard Wrangham si riallaccia a questa teoria in Maschi bestiali (2005).
Per lui non è la nostra differenza ma piuttosto
la nostra somiglianza con gli scimpanzé che ci
rende inclini alla guerra. Sostiene che la violenza degli scimpanzé ha lastricato la strada per
la guerra umana, facendo dell’uomo moderno
il confuso sopravvissuto di un’abitudine all’aggressione letale che dura senza sosta da cinque milioni di anni”. In poche parole, il determinismo biologico tende a condannare la natura
umana a uno stato di guerra perpetua. Esclude
i concetti di empatia e cooperazione, minimizzando le nostre capacità di concepire la pace.
E Maschi bestiali è persino un punto di riferimento per politici che definiscono la linea degli
Stati Uniti in politica estera. Francis Fukuyama,
che è stato al servizio del Dipartimento di Stato
durante l’amministrazione di Bush figlio, lo cita
come il libro preferito del Segretario di Stato
Hillary Clinton, che ha etichettato Saddam Hussein come un tipico “maschio bestiale”.
Beh, la storia della politica in realtà si concentra
su concetti diversi della natura umana, il dibattito
sulla bontà o malvagità intrinseca dell’essere umano,
sulla scimmia assassina e lo scimpanzé hippy va
molto indietro nel tempo. Il punto di riferimento
moderno, ripreso da Thomas Hobbes e da JeanJacques Rousseau, è l’idea di Hobbes che la condizione
naturale degli esseri umani sia uno stato di guerra,
pertanto per prevenirlo è necessario uno stato.
Rousseau invece crede che gli esseri umani siano
SC
JG
SC
E c’è anche una terza posizione, come dice il Marchese de Sade: “Siamo malvagi per natura, quindi permetteteci di esserlo”.
Sì, festeggiamo la nostra malvagità, alè!
L’approfondito studio di Steven Pinker The Better
Angels of Our Nature mostra come ci sia in realtà, nella storia umana, un declino della violenza,
e come tendiamo a trasformarci gradatamente
nei “migliori angeli della nostra natura”. Questa
idea trova parziale riscontro nel Leviatano, dove
Hobbes sostiene che le società umane sono in
grado di evolversi in sistemi di governo più grandi e articolati, all’interno dei quali la pace è la
regola più frequente. Rousseau riteneva lo stato
causa dello spargimento di sangue, mentre per
Hobbs ne era la cura.
Il Leviatano è stato scritto da Hobbs in esilio a Parigi
durante la guerra civile inglese. Considerato che
una società come quella inglese si era dissolta in
un conflitto rivoluzionario, ecco che ne consegue
l’idea che lo stato di natura sia uno stato di guerra.
Dunque, come si può trovare una soluzione a uno
stato di guerra civile? Beh, attraverso l’imposizione
dell’autorità in forma di stato. I cittadini per Hobbs
hanno la possibilità di liberarsi del re, il dio mortale, il
Leviatano. Ma a parte questo si devono sottomettere
all’autorità. Dunque si può affermare che questa
sia una soluzione autoritaria per l’eliminazione
della violenza. Ma trovo sconcertante la più ampia
rivendicazione che la storia mostra una diminuzione
della violenza. Prendi qualcuno come Nietzsche, il suo
argomento è che una cosa diversa è il danno fisico, ma
noi europei cristiani abbiamo imparato a sublimare la
violenza fisica in violenza psicologica, ed è quel che
chiamiamo moralità! Perciò, in un certo senso, lo stato
funziona attraverso la sublimazione della violenza,
che non necessariamente percepiamo come violenza.
Significa obbedienza, accettazione delle norme che
governano la società. Perciò, sì, non capisco appieno
l’affermazione che la storia mostra una diminuzione
della violenza.
Quindi, riguardo alla questione dello stato, la
pensi come Rousseau?
Sì, sono d’accordo con Rousseau. Tutte le evidenze
contraddicono questa visione ma questo è ciò che
significa mantenere la propria posizione. Ritengo
che lo stato sia una limitazione dell’esistenza umana
e che richieda una continua condizione di guerra o,
almeno, di minaccia di guerra. Sto parlando della
proiezione ideologica dell’altro, l’idea che ci sia uno
scontro di civiltà. La verità ovviamente è di gran
lunga peggiore, se leggi gli scritti di Osama Bin
Laden, ciò che affascina è che per lui Al-Qaeda è una
risposta all’invasione americana delle terre arabe, in
particolare all’uso dell’Arabia Saudita come base per
la prima Guerra del Golfo, e ancora più indietro nel
tempo alle continue ingerenze dei potere occidentale
nel mondo arabo.
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Inizialmente, Al-Qaeda era un indirizzario dell’FBI,
che ha coniato il nome per un database che conteneva i dati di tutti quelli che loro stessi avevano appoggiato per combattere a fianco di Osama
contro i sovietici in Afghanistan.
JG
L’eco della corrente principale di Occupy è stato
limitato in confronto alla sua reale portata.
SC
Le televisioni di questo paese sono irrecuperabili. Sono
un’esibizione di convenienza di opinioni contrastanti,
che sia Fox o MSNBC, la struttura oligarchica che
supportano è la stessa. Le due cose interessanti
riguardo a Occupy sono state i quesiti posti proprio da
questi media: “Chi sono i vostri leader e cosa volete?” e
il rifiuto del movimento di rispondere a queste domande
e di avere leader che sarebbero stati denunciati dagli
stessi media. Ovviamente ciò che è stato innescato e
che si è sviluppato negli ultimi dieci-quindici anni, a
cominciare da Seattle, è l’affermazione dei social media,
che tengono conto di altre cose. Quindi la questione
dell’accesso all’informazione è suddivisa tra le proiezioni
ideologiche dei canali televisivi e questo nuovo universo
dei social media.
Quindi il nemico – siamo d’accordo su questo – è una
totale fantasia, giusto? Ma lo stato, dal punto di vista
ideologico, ha bisogno dell’esistenza di un nemico
contro cui spingere i propri cittadini, mentre nei fatti
la realtà è molto più complessa, come è evidente dal
commercio di armamenti e dal business della difesa di
questo mondo ombra.
John Perkins la chiama “corporatocrazia”. In Confessions of an Economic Hit Man, rivela l’esistenza
di un collegamento diretto tra le multinazionali,
le banche, il governo, ma anche i media, mentre le leggi e la politica sono essenzialmente create da questa corporatocrazia, governata principalmente da interessi personali e avidità. Andrew
Feinstein analizza la questione dal punto di vista
del mercato delle armi in The Shadow World, il libro che ha ispirato il nuovo film. In un certo senso il darwinismo sociale ha celebrato questa idea
della “sopravvivenza del più adatto” (espressione
coniata da Herbert Spencer ed erroneamente attribuita a Darwin) come un modo per giustificare un’ideologia economica fatta di competizione
sfrenata e avidità, che spesso conduce alla corsa agli armamenti. Tuttavia la difficile situazione
della nostra attuale crisi finanziaria mostra che
qualcosa è veramente fuori controllo. E se questa questione della “sopravvivenza del più adatto” potesse essere osservata sotto un’altra luce?
Gli studi di Frans De Waal sui bonobo, i cosiddetti scimpanzé hippy, ci raccontano una storia molto diversa. Il bonobo è ugualmente rilevante nella discussione sulle origini della conflittualità,
dato che è geneticamente tanto simile agli umani
quanto lo è lo scimpanzé. In particolare le indagini di de Waal sull’“empatia” e la sua attenzione su
temi quali la “cooperazione” e la “risoluzione del
conflitto” offrono una controparte al celebrato
modello dell’avidità. Inoltre, l’individuo più adatto spesso risulta essere proprio quello capace di
cooperare. Un aspetto del comportamento umano su cui gli scimpanzé non possono gettare luce
è il fatto che qualcosa che facciamo anche più di
dichiarare guerra è mantenere la pace, scrive De
Waal in La scimmia che siamo (2006).
Gli esseri umani sono snaturati dai differenti regimi
sociali in cui si trovano, che li spingono gli uni contro
gli altri, e attraverso l’individualismo, per usare
questo termine, tutto ciò che l’apparato ideologico,
e in particolare i media, cercano di promuovere è
uno spirito di falso conflitto. Quando gli esseri umani
credono di poter agire in comunione e cooperare,
come si può vedere tra gli interstizi della storia, non
esiste sulla terra un potere più grande! Il movimento
Occupy Wall Street riguardava proprio il fatto che
gli uomini possono riunirsi, mostrarsi rispetto e
impegnarsi in discussioni collettive senza nessuna
autorità strutturata. La cosa incredibile a proposito
di Zuccotti Park, quando ero là, era la sensazione
di compassione, capisci, era un modo diverso di
relazionarsi con le persone.
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sina risale ai ritrovamenti dell’archeologo Raymond Dart che scoprì l’Australopithecus, predecessore dell’uomo che viveva in Africa. Resti
frammentari di crani fossili mostravano una
particolare coppia di fori che Dart interpretò
come l’irrefutabile prova che i predecessori più
antichi del genere umano fossero assassini. Secondo la sua opinione, per procurare quel tipo
di lesione sul cranio utilizzavano ossa femorali animali come armi. Questo è rappresentato
esattamente nella scena iniziale di 2001: Odissea nello spazio, il film che ha reso popolare la
teoria di Robert Ardrey del primate assassino
che ha ispirato Arthur Clarke e Stanley Kubrick
nel mettere in scena un osso animale divenuto arma che dà inizio alla civiltà. Successivamente però è stato dipinto un quadro diverso sugli Australopitechi. Quando l’antropologo
C.K. Brain ha esaminato la medesima collezioni di teschi, è giunto a una conclusione molto
più plausibile: un leopardo estinto, rinvenuto
nei medesimi livelli geologici, aveva due canini
che corrispondevano esattamente alla coppia
di fori nei crani. E così saltò fuori che le sanguinarie scimmie assassine, descritte in modo
così pittoresco da Dart e Audrey, non erano
state altro che il pranzo di un leopardo. Quindi, sembra che il popolare quadro degli antenati del genere umano di 2001: Odissea nello
spazio sia totalmente fuori strada.
Reinventando così lo spazio di ciò che è definito
come contratto sociale?
Beh, esistono situazioni, per esempio in Egitto o
in Tunisia, in cui i media tradizionali esistono per
mantenere vivo il messaggio del governo, quindi i social
media assumono un ruolo di potenziale emancipazione.
In situazioni in cui vigono condizioni più liberali, invece
le conseguenze sono ovviamente più ambigue. La
campagna presidenziale di Obama del 2008 è degna di
nota per il sofisticato uso dei media virtuali, è stata la
prima condotta secondo questa linea. Ma allo stesso
modo anche il Tea Party e i partiti di estrema destra
sono esperti nell’utilizzo dei social media.
SC
Chris Hedges, giornalista dell’NYT, ha definito
Obama un “presidente alla Calvin Klein”, magistralmente pubblicizzato ma poi rivelatosi una
grande delusione.
È vero. Era destino che andasse così. Ma se fosse stata
mantenuta la promessa di una politica radicale in
favore della gente comune non ci sarebbe stato bisogno
di Occupy, no? Certo, sono stati tre anni di deriva e
delusione.
Nove giorni dopo che Obama ha deciso di mandare altri 30.000 militari in Afghanistan, durante il suo discorso di accettazione del Premio Nobel, ha dichiarato: “La guerra, in una forma o
nell’altra, è apparsa con il primo uomo”. Ciò implica che la guerra è parte integrante della natura umana ed è sempre stata dentro di noi. Tuttavia i fatti della storia hanno dimostrato che
queste congetture sono sbagliate. L’archeologo Brian Ferguson ritiene che la guerra sia un’invenzione umana relativamente recente. Inoltre i
resti antropici dimostrano lunghi periodi di assenza di guerra in alcune aree. Anche l’antropologo Douglas Fry dimostra che la guerra non
è un fenomeno così universale. In realtà il fatto che la guerra sia sempre stata tra gli uomini, che sia parte integrante della natura umana
fin dall’inizio, è un mito. Alcuni reperti mostrano
evidenze diverse.
A tuo parere, cosa dimostrano questi reperti?
Beh, per esempio, la tesi della scimmia assas-
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SC
JG
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La politica ha sempre usato le invenzioni della natura
per giustificare i diversi regimi di potere. Ci appelliamo
alla natura per giustificare ciò che è un fatto culturale
contingente. Quindi non credo che il problema sia
destinato a essere risolto in un modo o nell’altro: siamo
primati assassini o scimpanzé hippy? Vogliamo ucciderci
a vicenda o andare d’accordo?
La guerra è un fenomeno storico, ma non è che
non può essere abolita perché oggi è un fenomeno prevalente. A un certo punto la schiavitù è
stata considerata un fenomeno naturale in virtù
di presunti argomenti genetici a sostegno, oppure lo stupro era giustificato per il fatto di essere
innato, ma ciò non significa che non possano essere eliminati.
e a maggior ragione gli irlandesi del Nord, possono
raccontare, a oggi, una storia di violenza. Ma allora,
ciò significa accettare questa violenza come un
fenomeno della storia? E ancora se la storia è una
storia di violenza e reazione alla medesima la diretta
conclusione è che la violenza è inevitabile? Credo che
la giusta conclusione sia che, in circostanze ottimali,
la violenza può essere sospesa.
JG
SC
La storia della violenza per la media degli inglesi,
nel 2012, in riferimento all’Irlanda è meno di zero,
mentre gran parte degli irlandesi della Repubblica,
Bisogna considerare caso per caso, quindi l’idea di
una risposta filosofica globale a questo problema è
destinata a fallire. È un dialogo continuo. Per esempio,
il Mahatma Gandhi ha portato avanti con successo
una resistenza non-violenta al dominio dell’impero
britannico sull’India, mobilitando il nuovo e il vecchio,
mettendo in campo tecniche che aveva imparato
leggendo autori come Kropotkin, un anarchico russo,
ed elementi della tradizione indù, che chiamava
Shatyagraha. Combinare il vecchio e il nuovo è
espressione del genio politico e ha funzionato fino alla
guerra civile e alla separazione del Pakistan dall’India.
Ma questo avrebbe funzionato nel sistema coloniale
francese in Algeria? No.
JG
L’azione non-violenta di Gene Sharp contro la
particolare interpretazione di Arundhati Roy della rivolta Tamil come parte della situazione indiana, o gli zapatisti in Chiapas a metà degli anni novanta?
SC
Si va caso per caso. Sono contrario in linea di principio
a un’idea globale di non-violenza. Asserire che tutti gli
atti di violenza devono essere rifiutati è semplicemente
una sconfessione della storia. Se ti limiti ad affermare
che la resistenza contro il colonialismo francese in
Algeria era sbagliata perché violenta, ti perdi qualcosa
di ciò che è accaduto. Siamo dunque condannati a un
ciclo di violenza senza fine? No, la violenza può essere
trasformata. Un esempio che conosco un po’ è il caso
dell’Irlanda. Gente che vent’anni fa si ammazzava, i
paramilitari lealisti e il Sinn Fei, l’IRA, ora partecipano
a negoziati nel parlamento nordirlandese. È questa
la soluzione perfetta? No, non è perfetta, ma almeno
non si ammazzano più. E allora, com’è successo?
È accaduto attraverso una serie di compromessi,
lo sfinimento per la violenza e l’assunzione di
responsabilità, in una certa misura, dell’ex potenza
coloniale, la Gran Bretagna, nei confronti della propria
storia.
JG
Nel 2004 George W. Bush ha dichiarato: “La ragione per cui difendo così vigorosamente la democrazia è che le democrazie non si fanno guerra
tra loro. Ed è per questo che credo così fermamente che la strada per il Medio Oriente, la gran
parte del Medio Oriente, sia quella di promuove-
La violenza è un fenomeno che ha una storia, giusto?
Sconfessare questa storia nel nome di un principio di
non-violenza significa rischiare un’amnesia, dunque il
primo passo è quello di capire la storia della violenza
da cui abbiamo avuto origine. Il problema di molti stati
moderni, come gli Stati Uniti o la Gran Bretagna o il
Belgio, è che rinnegano la storia della violenza grazie
alla quale sono stati fondati. Anche quando questa
storia è gloriosa, o rivoluzionaria, resta comunque
un insieme di memorie di violenza, a causa della gran
quantità di persone che potremmo riconoscere come
oppressa.
“L’amnesia della storia è un lusso dell’oppressore”, per citare Fanon.
La violenza non vede l’ora di riprodursi. La guerra è contagiosa, ma in definitiva si può dichiarare
guerra alla guerra? La lettura di Per la critica della violenza di Walter Benjamin ha condotto alla
domanda cruciale: una lotta contro la violenza può evitare di diventare essa stessa una lotta
violenta? Per Benjamin anche la legge ha un’origine violenta, viene imposta con la forza. Quindi,
data questa contraddizione, in quale misura una
risoluzione non violenta di un conflitto può essere possibile?
GRIMONPREZ,
JOHAN
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poratocrazia al servizio della propria avidità
economica nell’interesse dell’industria mondiale della guerra.
re la democrazia”. La guerra nel nome della democrazia. Hai chiamato anarchia la democrazia
diretta?
SC
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La storia dell’anarchia non trova spazio nella gran
parte della storia. Come sai, l’anarchia moderna in
realtà comincia attorno al 1640 con gli sterratori,
gente dell’area metropolitana di Londra che andò
in campagna, cominciò a scavare e a rivendicare la
proprietà comune.
Come il movimento Transition Town, con la proposta di un’economia alternativa locale basata
sul baratto, come la banca del tempo eccetera.
Ma ora come si protegge questa zona autonoma?
SC
Ciò che normalmente accade è che gli esseri umani si
trovano in un sistema istituzionale alienante rispetto
a ciò che considerano i loro desideri. La delusione
politica è una forza motivante nel pensiero etico e
filosofico, afferma David Byrne “Questa non è la mia
bella macchina, né la mia bella casa e ti chiedi: ma
come ci sono arrivato qui”. Così, quando tutto questo
diventa intollerabile, come nel caso di Occupy, la
gente è incoraggiata a fare qualcosa, ciò che Judith
Butler definisce “un fottiti confezionato con cura”.
Ora, la storia della resistenza è quasi interamente
una storia di resistenza non-violenta, ma quando
acquista confidenza, affronta le istituzioni, in
particolare la polizia e la legge. È generalmente a
questo punto che il movimento non-violento diviene
una vittima della violenza, spesso nel confronto
con la polizia, dove deve risolvere una situazione
violenta: reagisci o no?
JG
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JG
Sono molto favorevole a questo movimento. In città
come Cleveland e Detroit, si stanno trasformando
caseggiati abbandonati in fattorie. Considero anarchia
questo sforzo di determinare la propria esistenza,
il desiderio di autonomia con le risorse che hai a
disposizione.
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A mio parere a volte la violenza è necessaria ma mai
giustificabile. Prendiamo il caso di Dietrich Bonhoeffer,
il pastore luterano ucciso poco prima della fine
della Seconda guerra mondiale. Era un pacifista
convinto ma alla fine è stato coinvolto nel tentativo
di uccidere Hitler ed è stato giustiziato. Negli scritti
inediti della sua prigionia, parla di “Bereitschaft
zur Schuldübernahme”, disponibilità ad assumersi
la colpa. Qualcuno che ha dedicato la vita alla nonviolenza potrebbe scoprirsi disponibile ad accettare
una situazione di colpevolezza, in quel caso il tentativo
di uccidere Hitler.
Hardt e Negri sostengono che l’attuale pace
imperialista oscuri uno stato di conflitto costante. Questa guerra perpetua pervade tutti gli aspetti della vita: ciò che mangiamo, ciò
che consumiamo, ciò di cui parliamo. Siamo diventati avidi consumatori di paura e dal punto
di vista legale siamo tutti terroristi finché non
proviamo la nostra innocenza. Questa è la domesticazione della paura da parte di una cor-
Durante la Seconda guerra mondiale, o subito dopo,
Heidegger sottolinea che siamo destinati a vivere in
società in cui il confine tra la pace e la guerra sarà
sempre più difficile da tracciare. La pace è guerra e
viceversa.
Questo mi ricorda la massima di Richard Holbrooke: “Bombardare per la pace…” Ma la pace
può non essere considerata in termini autonomi? Spesso è definita come assenza di guerra,
in realtà può essere qualcosa del tutto differente. I fattori che conducono alla risoluzione pacifica di un conflitto non sono gli stessi che portano
alla guerra. C’è una certa differenza nel suggerire l’istituzione di un comitato per la pace (come
fece la futurista Barbara Marx Hubbard) rispetto
a un comitato per la guerra, dando per scontato
che la guerra sarà sempre con noi.
Questo ci riporta a Hobbes e alla sua critica della
democrazia, dove ogni cosa può avere ogni significato,
la verità è menzogna, la guerra è pace, il nero è bianco,
il giorno è notte e così via. È come la dimensione dei
media che viviamo oggi: sembra che le opinioni vengano
sempre ri-descritte. E per Hobbes questo è il motivo per
cui ci serve il Leviatano. Abbiamo bisogno dello stato,
del re, che ci spieghi il significato delle cose e che, se
non siamo d’accordo, ci mandi a morte.
JG
Ma il Leviatano, inquadrato nella sua particolare
storia, non potrebbe oggi essere ridefinito?
SC
Beh, questa sarebbe l’illusione delle Nazioni Unite,
la fantasia di uno stato mondiale, o qualche tipo di
Leviatano, come soluzione per risolvere i conflitti. Cosa
che potrebbe facilmente avverarsi ma che va contro
gli interessi degli stati egemoni. E questo ci riconduce
al film: come funziona lo stato egemone attraverso il
mondo sotterraneo del mercato delle armi. Se si potesse
abolire il traffico di armi, allora un nuovo Leviatano
potrebbe essere possibile.
E il credo nella non-violenza viene trasgredito per
proteggere quello spazio non-violento?
JG
SC
JG
SC
Forse il mercato delle armi è un sintomo di qualcosa di più radicato.
Di cosa credi sia il sintomo?
Beh, perché non esploriamo la politica dell’amore? Potrebbe essere collegata a questo. Nel tuo
nuovo libro poni l’accento sul fatto che il modo in
cui si ama diviene la questione cruciale, più forte della morte. Ma in un’intervista con Tom McCarthy hai fatto riferimento al “linguaggio come
omicidio”. Ora, Alberto Manguel nel suo The City
of Words afferma esattamente l’opposto, parafrasando lo scrittore Alfred Döblin: “Il linguaggio è un modo di amare gli altri, ci fa capire perché stiamo insieme”. Approfondisce il concetto
di “noi” come narratori, intendendo che le storie prendono forma perché siamo insieme come
“noi”. Comunque, abbiamo appena detto come il
linguaggio possa avere l’effetto opposto: inventare storie per giustificare la guerra, per spacciarla
come processo di pace.
JG
SC
JG
SC
JG
SC
Sì, “il linguaggio come omicidio”, è una citazione di
Maurice Blanchot. Se dico “iPhone”, o “tienimi
il mio iPhone”, esprimo due concetti diversi.
Sottoponendo un oggetto a un concetto, lo anniento,
lo sussumo. Si contrappone questo concetto
a un’idea più poetica di linguaggio, che permette
alle cose di essere quel che sono, che non pone
un oggetto all’interno di un concetto ma sfiora
gli oggetti con i concetti e permette ai primi di
esprimere la loro natura.
Però devi credere che gli oggetti siano oggetti,
che le cose siano cose.
JG
E tuttavia ciò che è materiale resta un apriori indefinito, esattamente come la scienza cognitiva ritiene che la nostra mente e il nostro cervello abbiano origine dalla materia, ma non riesce
a definire la materia, mentre la fisica quantistica ha messo in discussione l’esistenza stessa della materia.
Okay, in un certo senso l’universo è vivo.
Nel senso di un universo partecipativo. In un
modo o nell’altro tutti noi siamo un insieme di
relazioni, è il concetto di inter-soggettività, la
comprensione della partecipazione, si condivide una realtà. E le realtà possono essere co-costruite. Compresa la materia.
Dal punto di vista filosofico è un insieme di diverse
forme di idealismo: è l’insieme di ciò che è in un certo
senso connesso a me, sussumibile a me.
La materia può essere parte di questo? Una visione
filosofica che riunisce entrambe è quella di Spinoza,
che ha un’idea del tutto materiale dell’universo,
ma lo chiama Dio.
E in quell’idea comprende anche se stesso e tutti
gli altri.
SC
Sì, si può partecipare all’idea grazie al proprio intelletto.
Mi piacerebbe crederci.
JG
Ma torniamo alla politica dell’amore. Dunque in
amore e in guerra tutto è lecito? Scherzo!
JG
SC
Il linguaggio è una dimensione che permette alla
materia di avere il suo peso. È tutta questione di
permettere alle cose materiali di essere gli oggetti che
sono e non cercare di sussumerle.
JG
SC
SIMON CRITCHLEY
is a philosopher. He currently teaches at The New School in
New York. He has been the program director for Paris’ Collège International de Philosophie, president of the British
Society for Phenomenology and was chosen as a scholar
by the Getty Research Institute. He is a world renowned
scholar of Continental Philosophy and phenomenology.
Much of his work examines the crucial relationship between the ethical and political within philosophy.
SC
Per forza è uno scherzo, ogni amore è guerra ma la
guerra non è amore.
Viviamo in una società priva di qualcosa di essenziale, che non è neppure consapevole di ciò
che in effetti le manca, poiché si tratta di storie e di idee. Lo scenario non è dissimile dalla
scena finale del film di Godard Agente Lemmy
Caution, missione Alphaville, che rappresenta
una società in cui ogni parola connessa all’idea
di amore è stata bandita. E questa donna, innamorata del protagonista, sta cercando di
esprimere i suoi sentimenti ma non riesce a
trovare le parole, poiché il conceto di amore le
è estraneo.
JG
SC
JG
So, what are we going to talk about?
I’ve collected some thoughts about the new film
we’re working on, exploring the global arms
trade. You touched upon a set of similar ideas in
Nonviolent Violence, the final chapter of your recent book, so maybe we can take it from there?
One thing I came upon lately is the “killer ape
versus the hippie chimp” debate. Playwright
Robert Ardrey argued back in the sixties that it
is our innate propensity to kill that separates us
from apes. It is war “that has led to the great accomplishments of Western Man. Dreams may
have inspired our love of freedom, but only war
and weapons have made it ours.” Primatologist
Richard Wrangham picks up on this in Demonic
Males (1996). To him, it is not men’s difference
from but rather our similarity to chimpanzees
that makes us inclined toward war. Chimp violence, he claims, “paved the way for human war,
making modern humans the dazed survivors of a
continuous, 5-million-year habit of lethal aggression.” Basically, biological determinism tends to
condemn human nature to a state of perpetual war. It discards such notions as empathy and
cooperation, while downplaying our capabilities
for creating peace. Yet, Demonic Males is a reference point for political figures defining US foreign policy. Francis Fukuyama, who served in the
State Department under Bush Jr., mentions it as
a favorite book of Secretary of State Hillary Clinton. He labeled Saddam Hussein as a typical “demonic male.”
Well, the history of politics really turns on different
conceptions of human nature, and whether human
beings are essentially good or essentially wicked.
Whether we are killer apes or hippy chimps is a
debate that goes back to antiquity. But the modern
reference point was Hobbes’ idea that the natural
condition of human beings is a state of war, therefore
the state is required to prevent that natural state of
war. Whereas Rousseau believed that human beings
were naturally good and that wickedness was a social
outcome of the state, but that if we could throw
off the shackles of the state, a more cooperative or
anarchist tradition would prevail.
And there is the third position, as stated by the
Marquis de Sade, “we are wicked, so let us be
wicked.”
Yeah, celebrate our wickedness, ha!
Steven Pinker’s exhaustive study The Better Angels of Our Nature shows there’s actually a decline in violence over the course of human history, and that we tend to evolve towards “the
GRIMONPREZ,
JOHAN
117
that is the basis for the new film. In a sense, Social Darwinism has celebrated this idea of the
“survival of the fittest” (a term coined by Herbert Spencer, but wrongly attributed to Darwin),
as a way to justify an economic ideology of unbridled competition and greed, often leading to
arms races. Yet the predicament of our present
financial crisis indicates that something is really off kilter. What if this notion of “survival of the
fittest” could be cast in a different light? Frans
de Waal’s research into bonobos, the so-called
hippie chimp, tells us a very different story. Genetically as close to man as the chimp, the bonobo is equally as relevant to the discussion of the
origins of warfare. De Waal’s explorations of
“empathy” and his focus on notions of “cooperation” and “conflict-resolution” offer a counterpart to this celebrated paradigm of greed. Moreover, the fittest often turns out to be indeed the
one who is able to cooperate. In Our Inner Ape
(2005) De Waal writes that the one aspect of
human behavior that chimps cannot illuminate,
something we do even more than waging war, is
maintaining peace.
better angels of our nature.” He attributes that
partially to Hobbes’ Leviathan, in which human societies were able to evolve towards larger, more inclusive polities, within which peace
is more frequently the rule. Rousseau saw the
state as a cause of bloodshed, but Hobbes saw it
as its cure.
SC
JG
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SC
Hobbes wrote Leviathan while in exile in Paris during
the English Civil War. Given that a society like England’s
had dissolved into revolutionary conflict, then that’s
the idea: the state of nature is a state of war. So how
does one resolve a state of civil war? Well, through the
imposition of authority in the form of a state. Citizens
in Hobbes have the chance to get rid of the monarch,
the mortal god, the Leviathan. But aside from that, they
have to submit to authority. So you could say it is an
authoritarian argument for the elimination of violence.
But the wider claim that history exhibits a diminution
of violence, I find bewildering. If you read someone
like Nietzsche, his argument is that physical harm is
one thing, but we Christian Europeans have learned to
sublimate physical violence into psychological violence,
and that is what we call morality! So in a sense the
state functions through sublime violence, which we
don’t necessarily feel as violence. It means obedience,
accepting the norms that govern a society. So yes, I
don’t really understand the claim that history exhibits a
diminution of violence.
So, concerning the question of the state, you’d
position yourself with Rousseau?
I’m with Rousseau. All the evidence contradicts this,
but that is what it means to hold a view. I believe that
the state imposes a limitation on human existence. The
state requires a permanent condition of war, or at least
the threat of war. I am talking about the ideological
projection of the other, the idea that there is a clash
of civilizations. The truth is of course much nastier. If
you look at the writings of Osama Bin Laden, what’s
fascinating is that for him Al-Qaeda is a response to the
American invasion of Arab lands, in particular to use
Saudi Arabia as a base in the first Gulf War, and further
back to the continual involvement of Western powers in
the Arab world.
JG
Initially, Al-Qaeda was a rollerdeck at the FBI,
who coined the name for a databank containing
the names of all the guys they sponsored to fight
with Osama against the Soviets in Afghanistan.
SC
So the enemy—we are not disagreeing—is a total
fantasy, right? But the discourse of the state requires
the ideological existence of an enemy in order to push
against it, while the reality in fact is more complicated,
as is proven by the armaments trade and the business of
defending this shadow world.
JG
SC
John Perkins calls this the “corporatocracy.” In
Confessions of an Economic Hit Man, he reveals
how a revolving-door policy exists between multinational corporations, banks, the government,
as well as the media, whereby laws and policy
are essentially forged by this corporatocracy,
mostly ruled by self-interest and greed. Andrew
Feinstein explores this from the point of view of
the arms trade in The Shadow World, the book
Human beings are distorted by the different social
regimes in which they find themselves, turn them
against each other. The apparatus of ideology, and in
particular the media, is trying to foster a spirit of false
confrontation through individualism, to use that word.
There is no greater power on earth than when human
beings believe that they can act together in concert and
cooperate, as it appears at the interstices of history!
The Occupy movement was about the fact that human
beings can assemble, show each other respect and
engage in discussion collectively, without structures of
authority. The amazing thing I noticed about Zuccotti
Park, when I was down there, was this feeling of
compassion. It was a different way of relating to people.
JG
The mainstream echo of Occupy was small in
comparison to how big the movement really was.
SC
The broadcast media in this country are irredeemable. It
is a convenient display of polarities of opinion. Whether
you watch Fox or MSNBC, it is the same oligarchic
structure they supported. But the two interesting
things about Occupy were the demand made by these
very media—“Who are your leaders, and what do you
want?”—which Occupy refused to articulate and the
refusal to have leaders, who would be denounced by
the same media. Obviously what was mobilized and has
been over the last ten to fifteen years, with punctuation
points in Seattle, is the rise of social media, which allow
for other things to develop. So the question of access is
split between the ideological projections of broadcast
media and this new universe of social media.
JG
Reinventing that space of what is defined as a social contract?
SC
Well, it can occur in a situation in which the mainstream
media, say in Egypt or Tunisia, exists in order to
maintain the government’s message. Then the social
media takes on this emancipatory potential. In
situations in which more liberal conditions pertain, the
consequences are obviously more ambiguous. The 2008
Obama campaign was notable for its sophisticated use
of virtual media, the first campaign run on those lines.
But similarly the Tea Party and right-wing extremism are
as adept at using social media.
JG
Chris Hedges, a journalist for the New York Times,
called Obama a “Calvin Klein President,” masterfully advertising his campaign, but a huge disappointment afterwards.
SC
Sure. That was bound to happen. But if grass-roots
radicalism had been maintained, then there would be no
need for Occupy, right? But yes, there have been three
years of drift and disappointment.
JG
During his acceptance speech for the Nobel
Peace Prize, nine days after he decided to send
30,000 more troops to Afghanistan, Obama declared: “War, in one form or another, appeared
with the first man.” He implies that war is an inherent part of human nature that it has always
been with us. However, historical evidence has
proven these assumptions wrong. The archeologist Brian Ferguson claims that war is a relatively recent human invention. Moreover, human records show long periods of absence of wars in
certain areas. The anthropologist Douglas Fry
also shows that war is absolutely not that universal. The notion that war has always been with
us, that it was there with the first man, is a myth.
Some findings show different things.
SC
JG
SC
JG
SC
JG
SC
What do you think the findings show, in your view?
Well, for example, the killer ape thesis goes
back to archeologist Raymond Dart’s discovery
of the Australopithecus, a predecessor of humans found in Africa. The specimen consistently
showed a fossilized skull fractured with a particular pair of holes. Dart interpreted this as indisputable evidence that man’s earliest ancestors
were murderers. They used animal leg bones as
weapons, he argued, as they cause paired fractures on the skull. This is portrayed precisely in
the opening sequence of 2001: A Space Odyssey, the film popularizing Robert Ardrey’s killer ape theories, which inspired Arthur Clarke
and Stanley Kubrick to depict an animal boneturned-weapon giving birth to civilization. But
lately a different image of the australopithecines
came to light. When anthropologist C.K. Brain
examined the same collection of skulls, he arrived at a more plausible story—an extinct leopard, found at the same geological layers, had
two canine teeth corresponding exactly with the
paired holes on the skulls. So, the murderous killer apes, so colorfully described by Dart and Ardrey, turned out to be merely lunch for leopards.
So it seems the popular depiction of our human
ancestors in 2001: A Space Odyssey is completely
off the chart.
Politics have always used conceptions of nature in
order to justify different regimes of power. We appeal
to nature in order to justify what is a contingent cultural
fact. So I don’t think the question is ever going to be
resolved one way or another: are we killer apes or are
we hippy chimps? Do we want to kill each other or do
we want to get along?
War is a historical phenomenon, but it’s not because it is prevalent today that it cannot be abolished. At one point slavery was naturalized as it
had alleged genetic underpinnings, or for that
matter rape, was justified by the fact that it was
an innate impulse. But that does not mean it
could not be eliminated.
Violence is a phenomenon with a history, right? To
disavow that history in the name of a principled idea
of non-violence is to risk amnesia, so it is important
to understand the history of violence from which we
spring. The problem with most modern states like the
US or Britain, or Belgium, is that we disavow the history
of violence out of which those states were constituted.
Even when that history is a glorious or a revolutionary
history, as for most people that we would identify as
oppressed, this would mean a memory of violence.
You cite Fanon here: “Historical amnesia is the
luxury of the oppressor.”
The history of violence amongst the average English
person in 2012 with regard to Ireland is less than
minimal, whereas the average Irish person from the
Republic—and indeed from the North—can to this day
recount a history of violence. But then, does that mean
accepting that violence is a phenomenon of history?
Or if history is considered as a history of violence and
counter-violence is that to conclude that violence is
inevitable? I think it is to conclude that violence can be
suspended in optimal circumstances.
JG
Violence longs to breed. War is contagious. But
ultimately can one wage war on war? Your reading of Walter Benjamin’s Critique of Violence addresses on the crucial question: can a struggle
against violence avoid becoming itself a violent
struggle? To Benjamin the law itself has a violent origin and is enforced by violence. So given
this contradiction, to what extent is a non-violent
resolution of conflict possible?
SC
We have to study this question on a case-by-case
basis, as the idea of a global philosophical answer
is always going to miss the point. So it is an ongoing
dialogue. For example, Mahatma Gandhi initiated a
successful non-violent resistance to British imperial
rule in India by mobilizing the new and the old, by
mobilizing techniques that he had learned by reading
people like Kropotkin, a Russian anarchist, and
articulating elements of Hindu traditions, which he
called Shatyagraha. Combining the old and the new is
political genius, and it worked until the civil war and the
partition of India and Pakistan. But would it have worked
during the French colonial regime of Algeria? No.
JG
Gene Sharp’s nonviolent action versus Arundhati
Roy’s particular take on the Tamil as part of the
situation in India? Or the Zappatistas in the midnineties in Chiapas?
SC
You go context by context. I am against a principal,
global idea of non-violence, stating that all acts
of violence have to be rejected. That is simply a
disavowal of history. By saying that, resistance to
French colonial rule in Algeria was wrong because
it was violent, you miss something important about
GRIMONPREZ,
JOHAN
119
what was happening there. But are we therefore
condemned to an unending cycle of violence?
No, violence can be transformed. One example I
know a little is the Irish case. People who twenty
years ago were killing each other, the loyalist
paramilitaries in the North of Ireland, and Sinn Fein,
the Irish Republican Army, are now negotiating in
the Northern Irish Parliament. Is it perfect? No, it is
not perfect. But they are not killing each other. So
how did that happen? It happened through a series
of compromises, exhaustion with violence, and the
former colonial power, Britain, taking responsibility
for its history to some extent.
JG
SC
JG
SC
120
In 2004, George W. Bush declared: “The reason
why I’m so strong on democracy is democracies
don’t go to war with each other. And that’s why
I’m such a strong believer that the way forward
in the Middle East, the broader Middle East, is to
promote democracy.” War in name of democracy.
You called anarchism direct democracy?
The history of anarchism doesn’t fit in with the major arc
of history. You know, modern anarchism really began
with the diggers in the 1640s, people from the London
area, who went out to the country and started to dig,
thus reclaiming the common.
JG
SC
JG
Like the Transition Town movement, with their
variation of a local barter economy, such as timebanking, etc.
I am very sympathetic towards that. In cities like
Cleveland and Detroit, disused urban blocks are being
turned into farms. I call that anarchism, an effort to
determine your own existence, the desire for autonomy
and control of the resources at your disposal.
JG
But then how do you protect that autonomous
zone?
SC
What usually happens is that human beings are
alienated from what they understand as their desires
by a set of institutions. Political disappointment is a
motivating force in ethical and philosophical thinking—
as David Byrne said, “This is not my beautiful car, this
is not my beautiful house and you ask yourself, how
did I get here?” So when this becomes intolerable,
people are emboldened to do something about it, as
with Occupy. Judith Butler calls this the “carefully
crafted fuck-you.” Now, the history of resistance is
overwhelmingly a history of non-violent resistance.
As it builds confidence, it confronts institutions, in
particular the police and the law. It’s usually at this
point, often in confrontation with the police, that a
non-violent movement becomes a victim of violence
and has to negotiate a situation of violence: do you
react, or not?
JG
And the belief in non-violence is transgressed to
protect that non-violent space?
SC
In my view, violence is sometimes necessary, but never
justifiable. Let’s take the case of Dietrich Bonhoeffer, the
Christian pastor who was killed shortly before the end
of the Second World War. He was committed to pacifism,
but then he got involved in the attempted assassination
of Hitler and was executed. In the unpublished
site in City of Words. He paraphrases novelist Alfred Döblin: “language is a form of loving others,
language lets us know why we are together.” He
elaborates on “us” as storytellers, meaning stories shape why we are together as a “we.” We
talked earlier how language can just do the opposite: concoct stories to justify war, to masquerade war as a peace process.
writings produced during his captivity, he invokes die
Bereitschaft zur Schuldübernahme, the preparedness
to take guilt on to oneself. Someone committed to nonviolence, might find himself ready to take on a situation
of guilt, in this case by trying to kill Hitler.
SC
Hardt and Negri point out that today’s imperial peace obscures a state of constant war. This
perpetual war pervades all aspects of life: what
we eat, what we consume, what we talk about.
We have become avid consumers of fear. Legally,
we are now all terrorists until proven innocent.
It’s the domestication of fear by a corporatocracy serving its economic greed in the interest of a
global war industry.
Heidegger noted during the Second World War, or
shortly thereafter, that we are going to live in societies
where the line between peace and war will become
increasingly difficult to draw. Peace is war, and war is
peace.
This reminds me of Richard Holbrooke’s dictum:
“bombing for peace…” But can’t peace be looked
at on its own terms? Peace is often defined as absence of war, but peace might be something else
altogether. The factors leading to peaceful conflict resolution are not the same as those leading
to war. It’s quite different to suggest the installment of a peace room (as proposed by futurist
Barbara Marx Hubbard) rather than that of a war
room, as the latter implies that war will always
be with us.
This takes us back to Hobbes’ critique of democracy, in
whiche everything can mean anything, and truth is a lie,
war is peace, black is white, day is night and so forth.
It’s like the media space we live in today: opinions seem
to be constantly re-described. For Hobbes that’s why
you need the Leviathan. You need the state, the king,
to say this is what it means, and if you don’t agree with
that, we kill you.
JG
Though ingrained in its particular history, could
the Leviathan not be redefined today?
SC
Well, this would be the fantasy of the United Nations:
the fantasy of a world state, or some kind of Leviathan,
as a way to resolve conflicts. That could easily come
about, but it is against the interests of the hegemonic
states. And this comes back to the film: how the
hegemonic state functions through the shadow world of
the arms trade. If you could abolish the arms trade, then
a new Leviathan might be possible.
JG
SC
JG
Even if you would abolish the arms trade, this Leviathan might fail? Maybe the arms trade is merely a symptom of something much deeper.
What do you think it is a symptom of?
Well, why don’t we explore the politics of love,
which might be linked to this? You emphasize in
your new book that “How to love?” becomes the
crucial question, that it is stronger than death.
But in an interview with Tom McCarthy you referred once to “language as an act of murder.”
Now, Alberto Manguel claims exactly the oppo-
SC
JG
SC
JG
SC
JG
SC
JG
SC
JG
SC
JG
Yes, “language as an act of murder,” is the Maurice
Blanchot thing. If I say “Iphone,” or “hold my Iphone,”
it is a different thing. By placing the object under a
concept, I kill it, I subsume it. He contrasts that with
a more poetic idea of language: letting things be the
things that they are, without placing an object under a
concept, but using concepts to brush against objects
and let them be the objects that they are.
SIMON CRITCHLEY
est philosophe et professeur à la New School de New
York. Il a été, entre autres, directeur des programmes du
Collège International de Philosophie de Paris, président
de la British Society for Phenomenology et chercheur
au Getty Research Institute. Il s’occupe en particulier
de philosophie continentale et phénoménologie. Ses
recherches portent principalement sur la relation entre
l’éthique et la politique dans la philosophie.
SC
JG
But then you have to believe that objects are objects, that things are things.
Language is that dimension that can let matter, matter.
It is a question of letting material things be the things
they are without trying to subsume them.
Still, matter remains that undefined a priori.
Cognitive scientists assume our mind and brain
emerge from matter, but fail to define what matter really is, whereas quantum physicists have
come to question matter altogether.
Okay, the universe is alive in some sense.
In the sense of a participatory universe. We’re
all entangled in one way or another. It’s a notion
of inter-subjectivity, an understanding of sharing. You share a reality and realities may be coconstructed. Matter included. Like sharing a garden…
Philosophically it’s like different forms of idealism: it is
the entirety of that which is in a sense connected to me,
subsumable within me. Could matter be part of that?
One philosophical view that unites both is Spinoza’s,
who has a completely material idea of the universe. But
he calls that God.
And he includes himself, and also everyone else,
as part of that idea.
Yes. Through the intellect I can participate in that. I
would love to believe that.
SC
But let’s go back to the politics of love. So, everything is fair in love and war? I’m joking!
Of course it’s a joke. All love is war, not war is love.
We live in a society deprived of something essential, not even aware of what we actually miss,
since we lack the stories and concepts. This is
not dissimilar to the final scene of Godard’s film
Alphaville, which depicts a society in which every word relating to the idea of love has been
banned. And this woman, in love with the protagonist, is trying to express her feelings, but she
doesn’t find the words, as the concept of love is
foreign to her.
JG
Alors, de quoi parle-t-on ?
J’ai rassemblé certaines réflexions sur le nouveau film que nous préparons et qui traite du
commerce mondial des armes. Vous avez vousmême abordé ce genre d’idées dans Nonviolent Violence, le chapitre final de votre nouveau
livre ; peut-être pourrions-nous commencer
par là ? Je suis tombé récemment sur le débat
qui oppose le singe tueur au chimpanzé hippie.
Dans les années soixante, le dramaturge Robert Ardrey soutenait que ce qui nous sépare du
singe c’est notre propension innée à tuer. C’est
la guerre qui « a conduit aux grandes réussites
de l’homme occidental. Les rêves ont pu inspirer notre amour pour la liberté, mais seules la
guerre et les armes l’ont fait nôtre ». Le primatologue Richard Wrangham reprend cette théorie dans Demonic Males (1996). D’après lui, ce
n’est pas notre différence mais plutôt notre ressemblance avec les chimpanzés qui nous rend
enclins à la guerre. Il affirme que la violence des
chimpanzés « a ouvert la voie à la guerre humaine, en faisant de l’homme moderne le rescapé confus d’une propension à l’agression
mortelle qui perdure depuis cinq millions d’années ». En résumé, le déterminisme biologique
tend à condamner la nature humaine à un état
de guerre permanent. Il exclut toute notion
d’empathie ou de coopération en minimisant
nos capacités à concevoir la paix. Et Demonic
Males est même devenu un point de référence
pour les politiciens chargés de définir la politique étrangère des États Unis. Francis Fukuyama, qui fut au service du Département d’État
sous l’administration Bush fils, le cite comme le
livre préféré de la Secrétaire d’État Hillary Clinton. Il attribua à Saddam Hussein l’étiquette du
« mâle démoniaque » type.
L’histoire de la politique s’intéresse en réalité à
d’autres conceptions de la nature humaine ; que l’être
humain soit foncièrement bon ou mauvais, que nous
soyons des singes tueurs ou des chimpanzés hippies
est un débat d’un autre temps. Le point de référence
moderne, comme il s’est imposé de Thomas Hobbes
à Jean-Jacques Rousseau, veut que, pour Hobbes, la
condition naturelle des êtres humains soit l’état de
guerre et qu’un État soit nécessaire pour le prévenir.
Quant à Rousseau, il pense que les être humains sont
bons par nature et que la méchanceté est le résultat
social de l’ État ; mais, selon lui, si nous parvenons à
nous libérer du joug de l’État, alors c’est une tradition
de coopération ou d’anarchie qui prévaudra.
Et il existe une troisième voie, comme le dit le
Marquis de Sade : « Nous sommes mauvais par
nature, alors laissez-nous l’être ».
GRIMONPREZ,
JOHAN
121
SC
JG
SC
122
L’étude approfondie de Steven Pinker, The Better Angels of our Nature, montre que la violence est en déclin dans l’histoire de l’humanité, et que nous tendons progressivement vers les
« meilleurs anges de notre nature ». Cette idée est
partiellement partagée par le Léviathan, dans lequel Hobbes soutient que les sociétés humaines
sont capables d’évoluer vers des systèmes de
gouvernement plus grands et moins exclusifs où
la paix est la règle la plus fréquente. Rousseau
considérait l’État comme la cause des effusions
de sang, tandis qu’Hobbes y voyait le remède.
Hobbes a écrit le Léviathan en exil à Paris pendant la
guerre civile anglaise. La société anglaise ayant été
détruite par un conflit révolutionnaire, on développe
alors l’idée que l’état de nature est un état de guerre.
Comment peut-on donc résoudre un état de guerre
civile ? Eh bien, en imposant l’État comme forme
d’autorité. Pour Hobbes, les citoyens ont la possibilité
de se libérer du roi, le dieu mortel, le Léviathan. Mis
à part cela, ils doivent se soumettre à l’autorité. On
pourrait dire que c’est une solution autoritaire pour
éliminer la violence ; mais je trouve déconcertant que la
plupart des gens prétendent que la violence diminue au
cours de l’histoire. Prenez quelqu’un comme Nietzsche,
sa thèse est que le préjudice physique est une chose,
mais que nous les Européens Chrétiens nous avons
appris à sublimer la violence physique en violence
psychologique, et c’est ce que nous appelons moralité !
Donc, d’une certaine manière, l’État fonctionne à
travers la sublimation de la violence, une violence que
nous ne percevons pas nécessairement comme telle ;
ce qui signifie obéissance et acceptation des normes
qui régissent la société. Alors non, je ne comprends
vraiment pas cette affirmation selon laquelle la violence
diminue au cours de l’Histoire.
JG
Concernant l’État, vous partagez donc le point de
vue de Rousseau ?
SC
Oui, je suis d’accord avec Rousseau. Tout va à l’encontre
de sa vision, mais c’est ce que signifie avoir une opinion.
Je considère l’État comme une restriction de l’existence
humaine ; il requiert une situation de guerre permanente
ou, tout du moins, la menace d’une guerre. Je parle
de la projection idéologique de l’autre, de l’idée qu’il
existe un choc des civilisations. Évidemment, la vérité
est bien pire ; si vous lisez les écrits d’Oussama Ben
Laden, la chose fascinante c’est que pour lui Al-Qaïda
est une réponse à l’invasion américaine des terres
arabes, notamment à l’utilisation de l’Arabie Saoudite
comme base pour la première Guerre du Golfe, et plus
loin encore aux continuelles ingérences des pouvoirs
occidentaux dans le monde arabe.
JG
SC
JG
Au départ, Al-Qaïda désignait un carnet d’adresses
du FBI ; ce nom fut en effet attribué à une base
de données contenant les noms de ceux que le
FBI finançait pour se battre aux côtés d’Oussama
contre les Soviétiques en Afghanistan.
L’ennemi n’est que pur fantasme, on est d’accord ? Mais
l’État, d’un point de vue idéologique, requiert l’existence
d’un ennemi contre lequel se battre ; alors que dans les
faits, la réalité est beaucoup plus complexe, comme le
SC
John Perkins parle de « corporatocratie ». Dans
Confessions d’un assassin financier, il révèle
l’existence d’un lien direct entre les multinationales, les banques, le gouvernement et les médias, tandis que les lois et la politique sont essentiellement créées par cette corporatocratie
qui n’est mue que par ses intérêts personnels
et par sa propre avidité. Andrew Feinstein analyse cette question du point de vue du commerce
des armes dans The Shadow World, le livre qui
a inspiré le nouveau film. D’une certaine manière, le darwinisme social a célébré cette idée
de la « survie du plus apte » (expression inventée par Herbert Spencer et faussement attribuée
à Darwin) pour justifier une idéologie économique basée sur la compétition effrénée et l’avidité, aboutissant souvent à une course aux armements. Cependant, les conditions actuelles
de notre crise financière montrent que quelque
chose échappe à tout contrôle. Et si cette notion de « survie du plus apte » pouvait être observée sous un autre angle ? Les études menées
par Frans de Waal sur les bonobos, les fameux
chimpanzés hippies, nous racontent une toute
autre histoire. Aussi proche des humains, génétiquement parlant, que le chimpanzé, le bonobo a toute sa place dans le débat sur les origines
de la conflictualité. Les enquêtes de De Waal
sur l’« empathie » et l’attention qu’il porte à des
thèmes tels que la « coopération » ou la « résolution du conflit » contrebalancent notamment le
célèbre paradigme de l’avidité. Par ailleurs, l’individu le plus apte est souvent le plus à même
de coopérer. L’un des aspects du comportement
humain que les chimpanzés ne peuvent éclairer
c’est que plus encore que de déclarer la guerre
nous nous efforçons de maintenir la paix, écrit De
Waal dans Le singe en nous (2006).
Les êtres humains sont dénaturés par les différents
régimes sociaux au sein desquels ils évoluent et qui
les montent les uns contre les autres ; et à travers
l’individualisme, pour utiliser ce terme, tout ce que
l’appareil idéologique et notamment les médias tentent
de promouvoir c’est un esprit de fausse conflictualité.
Quand les êtres humains pensent pouvoir agir de
concert et coopérer, comme on peut le voir dans les
interstices de l’Histoire, alors il n’existe pas de plus
grand pouvoir sur terre ! Le mouvement Occupy Wall
Street illustre précisément cette idée que les hommes
peuvent se réunir, se respecter et s’impliquer dans
des débats collectifs sans aucune autorité structurée.
La chose incroyable à propos du Zuccotti Park, quand
j’étais là-bas, c’était ce sentiment de compassion,
vous savez, c’était une manière différente de nouer
des liens.
JG
Le mouvement Occupy a eu un écho limité par
rapport à sa véritable ampleur.
SC
Les télévisions de ce pays sont irrécupérables. Elles
affichent avantageusement des points de vue opposés
mais, que vous regardiez Fox News ou MSNBC, la
structure oligarchique qu’elles soutiennent est la même.
La première chose intéressante dans le mouvement
ce genre de lésion ils s’armaient de fémurs d’animaux. C’est ce qui est représenté précisément
dans la scène d’ouverture de 2001, l’Odyssée de
l’espace, le film qui a rendu populaire la théorie du singe tueur de Robert Ardrey ; et c’est de
cette théorie que se sont inspirés Arthur Clarke
et Stanley Kubrick pour mettre en scène un os
animal devenant une arme à l’origine de la civilisation. Mais plus tard, les Australopithèques ont
été dépeints d’une autre façon. Lorsque l’anthropologue C.K. Brain a examiné la même collection
de crânes, il est arrivé à une conclusion beaucoup plus plausible : une espèce disparue de léopard, retrouvée dans les mêmes couches géologiques, possédait deux canines correspondant
parfaitement aux trous visibles sur les crânes. Et
ainsi, les singes tueurs et sanguinaires, décrits de
façon si pittoresque par Dart et Audrey, n’étaient
en réalité que le repas d’un léopard. Il semble
donc que la représentation populaire de nos ancêtres proposée dans 2001, l’Odyssée de l’espace
soit totalement hors propos.
Occupy, ce sont les questions qui ont été posées par les
médias : « Qui sont vos leaders et que voulez-vous ? » ;
la deuxième chose c’est le refus d’Occupy de répondre
à ces questions mais aussi de se pourvoir de leaders
qui auraient été dénoncés par ces mêmes médias.
Évidemment, ce qui s’est affirmé et qui se développe
depuis 10-15 ans, sur le modèle de Seattle, ce sont
les médias sociaux, qui tiennent compte de choses
différentes. La question de l’accès à l’information se
partage donc entre les projections idéologiques des
chaînes télévisées et ce nouvel univers incarné par les
médias sociaux.
montrent clairement le commerce de l’armement et le
marché de la défense de ce monde de l’ombre.
Oui allez, célébrons notre malignité !
JG
Réinventant ainsi l’espace de ce que l’on nomme
le contrat social ?
SC
Eh bien, il existe des situations, en Égypte ou en
Tunisie par exemple, où les médias traditionnels sont
là pour véhiculer le message du gouvernement ; les
médias sociaux, de leur côté, se chargent du potentiel
d’émancipation. Si les conditions sont plus libérales,
les conséquences sont évidemment plus ambiguës. La
campagne présidentielle d’Obama de 2008 se distingue
par son utilisation sophistiquée des médias virtuels, une
première dans ce domaine. De la même manière, le Tea
Party et l’extrême droite sont experts dans l’art d’utiliser
les médias sociaux.
JG
SC
JG
SC
JG
SC
Chris Hedges, journaliste pour le NYT, a qualifié Obama de Président Calvin Klein : une campagne publicitaire rondement menée mais suivie
de grandes déceptions.
C’est vrai. C’est ce qui devait arriver. Mais si on avait
maintenu la promesse d’un radicalisme populaire, nul
besoin de Occupy, n’est-ce pas ? Eh oui, ce furent trois
années de dérive et de déception.
Neuf jours après qu’Obama a décidé d’envoyer
30 000 soldats supplémentaires en Afghanistan, il a déclaré dans son discours d’acceptation
du Prix Nobel que « la guerre, sous une forme
ou sous une autre, est apparue avec le premier
homme ». Ce qui implique que la guerre fait partie intégrante de la nature humaine et qu’elle a
toujours été en nous. Et pourtant, les faits historiques ont prouvé que ces allégations sont
fausses. L’archéologue Brian Ferguson affirme
que la guerre est une invention humaine relativement récente. Par ailleurs, les restes anthropologiques témoignent, dans certaines régions,
de longues périodes sans guerre. L’anthropologue Douglas Fry démontre lui aussi que la guerre
n’est pas si universelle que ça. En réalité, le fait
que la guerre ait toujours existé, qu’elle soit née
avec le premier homme est un mythe. Certaines
découvertes montrent autre chose.
Et à votre avis, que montrent ces découvertes ?
Eh bien, par exemple, la thèse du singe tueur remonte aux découvertes de l’archéologue Raymond Dart concernant l’Australopithecus, un ancêtre de l’homme originaire d’Afrique. Les divers
fragments de crânes fossilisés présentaient deux
trous bien particuliers, preuve irréfutable, selon
Dart, que les plus vieux ancêtres du genre humain
étaient des meurtriers. D’après lui, pour causer
La politique a toujours utilisé les conceptions de la
nature pour justifier les différents régimes de pouvoir.
Nous en appelons à la nature pour justifier d’un fait
culturel contingent. Pour cette raison, je ne crois pas
que le problème puisse être résolu d’une quelconque
manière : sommes-nous des singes tueurs ou des
chimpanzé hippies ? Voulons-nous nous entretuer ou
bien vivre en harmonie ?
JG
La guerre est un phénomène historique, mais ce
n’est pas parce qu’aujourd’hui elle est partout
qu’on ne peut pas l’abolir. À un moment donné,
on a fait de l’esclavage un phénomène naturel en
alléguant de prétendus arguments génétiques,
et on a justifié le viol par le simple fait qu’il était
inné, mais ça ne signifie pas qu’on ne peut pas les
supprimer.
SC
La violence est un phénomène doté d’une histoire, n’estce pas ? Désavouer cette histoire au nom d’un principe
de non-violence nous conduirait à l’amnésie, il faut donc
commencer par comprendre cette histoire de la violence
dont nous sommes issus. Le problème de nombreux
États modernes, comme les États Unis, la Grande
Bretagne ou la Belgique, c’est qu’ils renient l’histoire de
la violence qui les a fait naître. Même si cette histoire
est glorieuse ou révolutionnaire, le fait qu’un grand
nombre de personnes puissent être considérées comme
opprimées crée une mémoire de la violence.
JG
« L’amnésie de l’Histoire est le luxe de l’oppresseur », pour citer Fanon.
SC
Pour la moyenne des Anglais en 2012, l’histoire de la
violence à l’égard de l’Irlande est plus que minime,
tandis que la moyenne des Irlandais de la République, et
à plus forte raison les Irlandais du Nord, peut raconter
aujourd’hui une histoire de violence. Mais alors, fautil accepter que cette violence soit un phénomène
historique ? Et même si l’Histoire est une histoire de
violence et de contre-violence, doit-on en conclure que
la violence est inévitable ? Ce qu’il faut en conclure, je
crois, c’est que la violence peut être suspendue si les
circonstances sont optimales.
GRIMONPREZ,
JOHAN
123
JG
SC
JG
SC
124
JG
SC
La violence n’a de cesse de se reproduire. La
guerre est contagieuse. Mais en définitive, peuton déclarer la guerre à la guerre ? Votre lecture de
Critique de la violence de Walter Benjamin mène
à cette question cruciale : une lutte contre la violence peut-elle éviter de devenir elle-même une
lutte violente ? Pour Benjamin, la loi a elle aussi une origine violente, elle s’impose par la force.
Étant donné cette contradiction, dans quelle mesure un conflit peut-il être résolu sans violence ?
Il faut raisonner au cas par cas, l’idée consistant
à apporter une réponse philosophique globale à
ce problème est vouée à l’échec. C’est un dialogue
permanent. Pour donner un exemple, le Mahatma
Gandhi a mené, avec succès, une résistance nonviolente contre la domination britannique de l’Inde ;
pour cela, il mobilisa le nouveau et l’ancien, il appliqua
des techniques qu’il avait apprises en lisant des auteurs
comme Kropotkine, un anarchiste russe, et il articula
des éléments de la tradition hindoue, ce qu’il appela le
Shatyagraha. Réussir à combiner l’ancien et le nouveau
est le propre du génie politique et cela a fonctionné
jusqu’à la guerre civile et la séparation de l’Inde et du
Pakistan. Mais cela aurait-il marché dans le cas du
système colonial français en Algérie ? Non.
JG
SC
Mais comment protégez-vous cette zone autonome ?
SC
Ce qui se passe habituellement c’est que les êtres
humains évoluent dans un système institutionnel qui
les éloigne de ce qu’ils considèrent être leurs désirs.
La déception politique est une force motivante pour la
pensée éthique et philosophique, et comme le dit David
Byrne « Cette belle voiture n’est pas à moi, cette belle
maison non plus et vous vous demandez : mais comment
en suis-je arrivé là ? ». Alors quand tout cela devient
intolérable, comme dans le cas de Occupy, les gens sont
encouragés à faire quelque chose, ce que Judith Butler
nomme « un je-vous-emmerde soigneusement élaboré ».
Aujourd’hui, l’histoire de la résistance s’apparente
majoritairement à une histoire de la résistance nonviolente ; mais quand elle gagne en assurance, elle se
met à affronter les institutions, notamment la police
et la loi. C’est généralement à ce moment-là que le
mouvement non-violent devient victime de la violence,
en particulier dans ses affrontements avec la police,
quand il doit résoudre une situation violente : est-ce que
vous réagissez ou pas ?
George W. Bush a déclaré en 2004 : « La raison
pour laquelle je défends si ardemment la démocratie c’est que les démocraties ne se font pas la
guerre. Et c’est pour cela que je crois fermement
que la voie à suivre au Moyen Orient, le plus largement possible, c’est de promouvoir la démocratie ». La guerre au nom de la démocratie. Vous
avez qualifié la démocratie directe d’anarchie ?
L’histoire de l’anarchie ne trouve que rarement sa
place au cours de l’Histoire. Vous savez, l’anarchie
moderne commence réellement vers 1640 avec les
Diggers, des gens qui quittèrent la région de Londres
pour la campagne où ils commencèrent à bêcher et à
revendiquer la propriété des communaux. L’agriculture
serait donc un exemple de l’endroit où se produit
actuellement ce phénomène.
JG
SC
JG
SC
JG
Je suis très favorable à ce mouvement. Dans des
villes comme Cleveland ou Détroit, on est en train de
transformer de vieux pâtés de maisons abandonnés
en fermes. J’appelle ça de l’anarchie, cette volonté de
déterminer sa propre existence, ce désir de devenir
autonome en exploitant les ressources disponibles.
JG
L’action non-violente de Gene Sharp vs l’interprétation particulière que fait Arundhati Roy de la
révolte Tamoule, ou les Zapatistes du Chiapas au
milieu des années quatre-vingt dix ?
On procède au cas par cas. Je suis opposé à une idée
globale de non-violence, qui signifierait que tout acte de
violence est à bannir. Ce n’est qu’un désaveu de l’Histoire.
Si on se limite à affirmer que la résistance algérienne contre
le colonialisme français était illégitime car violente alors
on perd quelque chose d’important à propos de ce qui
s’est passé. Mais sommes-nous, de ce fait, condamnés
à un cycle éternel de violence ? Non, la violence peut
être transformée. Un exemple que je connais un peu,
c’est l’Irlande. Alors qu’il y a vingt ans ils s’entretuaient,
aujourd’hui les paramilitaires loyalistes du Nord de l’Ireland,
le Sinn Fein et l’IRA négocient au sein du Parlement nordirlandais. Est-ce là la solution parfaite ? Non, elle n’est pas
parfaite, mais au moins ils ne se massacrent plus. Comment
en sont-ils arrivés là ? À travers une série de compromis,
l’épuisement dû à la violence et une prise de responsabilité
de l’ancienne puissance coloniale, la Grande Bretagne, à
l’égard de sa propre histoire.
Comme le mouvement Transition Town qui propose une économie alternative locale basée sur
le troc, à l’image de la banque d’autrefois, etc.
SC
JG
SC
Et l’on transgresse sa foi en la non-violence pour
protéger cet espace non-violent ?
De mon point de vue, la violence est parfois nécessaire
mais elle n’est jamais justifiable. Prenons le cas de
Dietrich Bonhoeffer, le pasteur luthérien assassiné peu
avant la fin de la Seconde Guerre mondiale. C’était un
pacifiste convaincu mais il fut impliqué dans la tentative
d’assassinat contre Hitler et exécuté. Dans ses écrits
inédits de captivité, il nomme « die Bereitschaft zur
Schuldübernahme » le fait d’être prêt à assumer sa
propre culpabilité. Quelqu’un ayant dédié sa vie à la nonviolence peut se retrouver à assumer une situation de
culpabilité, dans ce cas la tentative d’assassiner Hitler.
Hardt et Negri affirment que la paix impérialiste
actuelle masque, en réalité, un état de conflit
permanent. Cette guerre perpétuelle imprègne
tous les aspects de notre vie : ce que nous mangeons, ce que nous consommons, ce dont nous
parlons. Nous sommes devenus des consommateurs avides de peur et, d’un point de vue légal,
nous sommes tous des terroristes jusqu’à ce que
nous prouvions notre innocence. Voilà comment
une corporatocratie parvient à domestiquer la
peur pour servir sa propre avidité économique et
les intérêts de l’industrie mondiale de la guerre.
Pendant la Seconde Guerre mondiale, ou juste après,
Heidegger souligne que nous sommes destinés à vivre
dans des sociétés où la frontière entre paix et guerre
sera de plus en plus difficile à tracer. La paix, c’est la
guerre et vice versa.
JG
SC
JG
Ça me rappelle le dicton de Richard Holbrooke :
« Bombarder pour la paix… » Mais ne peut-on
pas analyser la paix en des termes qui lui soient
propres ? On la définit souvent comme l’absence
de guerre, mais ce peut être quelque chose de
totalement différent. Les facteurs qui conduisent
à la résolution pacifique d’un conflit sont différents de ceux qui mènent à la guerre. Il est assez
différent de suggérer l’instauration d’un comité
pour la paix (comme le proposa la futuriste Barbara Marx Hubbard) en faveur d’un comité pour
la guerre, sous-entendu que la guerre sera toujours présente parmi nous.
Cela nous ramène à Hobbes et à sa critique de la
démocratie, où rien n’a de signification précise, où
la vérité est assimilable au mensonge, la guerre à
la paix, le noir au blanc, le jour à la nuit et ainsi de
suite. C’est comme l’espace médiatique dans lequel
nous vivons aujourd’hui : les opinions semblent
constamment re-décrites. Et selon Hobbes,
c’est pour cela que nous avons besoin du Léviathan.
Nous avons besoin de l’État, du roi, pour nous
expliquer le sens des choses, et si nous ne sommes
pas d’accord, il nous tue.
Mais aujourd’hui, ne pourrait-on pas redéfinir le
Léviathan, enraciné comme il l’est dans sa propre
histoire ?
Eh bien, ce serait le fantasme des Nations Unis,
le fantasme d’un État mondial ou d’une sorte de
Léviathan qui puisse résoudre les conflits.
C’est une chose qui pourrait facilement exister si
elle n’allait pas à l’encontre de l’intérêt des États
hégémoniques. Et nous en revenons au film :
comment fonctionne l’État hégémonique à travers
le monde souterrain des ventes d’armes.
Si l’on pouvait éradiquer le trafic d’armes,
alors un nouveau Léviathan pourrait voir le jour.
Même si l’on éradiquait le trafic d’armes, ce Léviathan pourrait-il échouer ? Peut-être que le
commerce des armes n’est que le symptôme de
quelque chose de plus profond.
SC
Oui, « le langage comme meurtre », c’est ce que dit
Maurice Blanchot. Si je dis « iPhone », ou tiens-moi mon
iPhone, j’exprime deux concepts différents. En pensant
un objet sous un concept, je l’anéantis, je le subsume.
Il oppose ça à une idée plus poétique du langage, qui
permet aux choses d’être ce qu’elles sont, qui ne pense
pas un objet sous un concept mais qui effleure les
objets grâce aux concepts et les laisse être ce qu’il sont
vraiment.
JG
Mais pour cela vous devez croire que les objets
sont des objets, que les choses sont des choses.
SC
Le langage est une dimension qui laisse la possibilité à
la matière d’être ce qu’elle est. Tout l’enjeu est de laisser
les choses matérielles être ce qu’elles sont et ne pas
tenter de les subsumer.
JG
Toutefois, la matière reste un a priori indéfini, de
la même manière que la science cognitive considère que notre esprit et notre cerveau sont issus
de la matière, sans parvenir à définir ce qu’est
réellement la matière, tandis que la physique
quantique a totalement remis en question la notion de matière.
SC
JG
SC
JG
De quoi pourrait-il être le symptôme selon vous ?
Eh bien, pourquoi n’explorons-nous pas la politique de l’amour, elle pourrait avoir un lien ?
Dans votre nouveau livre, vous insistez sur le fait
que la manière dont on aime devient la question
cruciale, qu’elle est plus forte que la mort.
Mais dans une interview avec Tom McCarthy,
vous faisiez référence au « langage comme à un
meurtre ».
Aujourd’hui, Albert Manguel affirme exactement
le contraire dans La Cité des mots, et paraphrase
l’écrivain Alfred Döblin : « Le langage est une façon d’aimer l’autre, il nous fait comprendre
pourquoi nous sommes ensemble ». Il approfondit le concept du « nous » narrateurs, à savoir
des histoires qui tentent de formuler ce qui fait
le « nous ».
Quoi qu’il en soit, nous venons de dire que le
langage peut avoir l’effet contraire : inventer des
histoires dans le but de justifier la guerre, de la
faire passer pour un processus de paix.
SC
JG
SC
JG
Très bien, dans un certain sens l’univers est vivant.
Dans le sens d’un univers participatif. D’une façon ou d’une autre, nous sommes tous en relation les uns aux autres, c’est le concept d’intersubjectivité, la compréhension du partage, on
partage une réalité. Et les réalités peuvent être
co-construites. Y compris la matière. Comme
partager un jardin…
D’un point de vue philosophique, ce sont différentes
formes d’idéalisme : il s’agit de tout ce qui est, d’une
certaine manière, relié à moi, de tout ce qui m’est
subsumable. La matière peut-elle en faire partie ?
Spinoza est celui qui synthétise ces deux visions : son
idée de l’univers est totalement matérielle mais il la
nomme Dieu.
Et dans cette idée il s’inclut lui-même et les
autres.
Oui, on peut y prendre part grâce à son intellect.
J’aimerais y croire.
Mais revenons à la politique de l’amour. Donc,
en amour comme à la guerre tout est permis ? Je
plaisante !
Bien sûr que c’est une plaisanterie, l’amour est une
guerre mais la guerre, ce n’est pas de l’amour.
Nous vivons dans une société privée de quelque
chose d’essentiel et nous n’avons même pas
conscience de ce qui nous manque, car il s’agit
d’histoires et de concepts. Nous ne sommes
pas loin de la scène finale du film Alphaville
de Godard, qui représente une société où tous
les mots liés à l’idée d’amour ont été bannis.
Et cette femme, amoureuse du protagoniste,
tente d’exprimer ses sentiments mais elle n’y
parvient pas, puisque le concept d’amour lui
est étranger.
GRIMONPREZ,
JOHAN
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GRIMONPREZ,
JOHAN
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JOHAN GRIMONPREZ
MAYBE THE SKY IS REALLY GREEN
AND WE’RE JUST COLORBLIND,
A WE TUBE-O-THEQUE BY JOHAN GRIMONPREZ
(THANKS TO CHARLOTTE LÉOUZON), 2012