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CODICE DEL CONSUMO
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TITOLO IV
DISPOSIZIONI RELATIVE A SINGOLI CONTRATTI
CAPO I
CONTRATTI RELATIVI ALL’ACQUISIZIONE DI UN DIRITTO
DI GODIMENTO RIPARTITO DI BENI IMMOBILI
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Definizioni. 1. Ai fini del presente capo si intende per:
a) contratto: uno o più contratti della durata di almeno tre anni con i quali, verso pagamento di un prezzo globale, si costituisce, si trasferisce o si promette di costituire o trasferire, direttamente o indirettamente, un diritto reale ovvero un altro diritto avente ad oggetto
il godimento di uno o più beni immobili, per un periodo determinato o determinabile dell’anno non inferiore ad una settimana;
b) acquirente: il consumatore in favore del quale si costituisce, si trasferisce o si promette
di costituire o di trasferire il diritto oggetto del contratto;
c) venditore: la persona fisica o giuridica che, nell’ambito della sua attività professionale, costituisce, trasferisce o promette di costituire o di trasferire il diritto oggetto del contratto;
al venditore è equiparato ai fini dell’applicazione del codice colui che, a qualsiasi titolo, promuove la costituzione, il trasferimento o la promessa di trasferimento del diritto oggetto del
contratto;
d) bene immobile: un immobile, anche con destinazione alberghiera, o parte di esso, per
uso abitazione o per uso alberghiero o per uso turistico-ricettivo, su cui verte il diritto oggetto
del contratto.
[art. 2 dir. 1994/47/CE]
Sommario: I. Osservazioni generali. - II. Nozione di multiproprietà. - III. Qualificazione giuridica del
diritto reale di godimento a tempo parziale. - IV. Multiproprietà societaria. - V. Multiproprietà alberghiera. - VI. Ambito di applicazione della disciplina prevista dagli artt. 69-81. Presupposti oggettivi:
premessa; - VII. (segue) il contratto. - VIII. Presupposti soggettivi di applicazione della disciplina.
1 I. Osservazioni generali. n Nell’art. 69 è con-
fluita, senza modificazioni, la disposizione contenuta nell’ora abrogato art. 1 d.lgs. n. 427 del
1998, attraverso il quale è stata data attuazione
2 all’art. 2 dir. 1994/47/CE. n La locuzione «diritto
di godimento a tempo parziale di beni immobili» utilizzata nel d.lgs. n. 427 del 1998 (nonché
nella versione italiana della dir. 1994/47/CE) è
stata sostituita dall’espressione «diritto di godimento ripartito di beni immobili» (Sirgiovanni,
Comm. ARC, 506, individua il fondamento della
modifica nell’esigenza di evitare una confusione
concettuale tra la periodicità del godimento annuale e la perpetuità del diritto; conf. Barela,
3 Comm. SS, 562). n La lett. d) è stata così sostituita dall’art. 4 l. n. 135 del 2001, che ha incluso
nella definizione di bene immobile anche quello
«con destinazione alberghiera» per «uso alber-
ghiero o per uso turistico ricettivo». n In data 14 4
gennaio 2009 è stata adottata la dir. 2008/122/
CE, concernente la tutela dei consumatori per
quanto riguarda taluni aspetti dei contratti di
multiproprietà, dei contratti relativi ai prodotti
per le vacanze di lungo termine e dei contratti di
rivendita e di scambio. Tale direttiva, che chiaramente incide in misura significativa (anche) sulla legislazione comunitaria in materia di timesharing, abroga la dir. 1994/47/CE, e dovrà essere attuata dagli Stati membri entro il 23 febbraio
2011 (art. 16). Fino a tale data, e comunque fino
a quando lo Stato italiano non adotterà il relativo provvedimento di attuazione, la materia resta disciplina dagli artt. 69-81 in commento.
II. Nozione di multiproprietà. n Con il termi- 1
ne multiproprietà o proprietà turnaria o timesharing la dottrina tradizionalmente indica il di-
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Timesharing immobiliare
ritto di godimento c.d. ripartito (o a tempo parziale) su beni immobili, ossia il diritto, attribuito
a vario titolo, di godere di uno stesso bene, solitamente un edificio abitativo, per un periodo
determinato dell’anno, sine o cum die, verso pagamento di un prezzo iniziale, cui si aggiungono
spese periodiche di gestione. Pur nella ampia diversificazione delle varie tipologie, il nucleo costante del fenomeno viene quindi individuato
nella coesistenza, sulla stessa unità immobiliare,
di diritti di godimento facenti capo a soggetti diversi, ognuno destinato a ripetersi negli anni,
ma limitato nell’esercizio ad uno o più periodi
nell’arco dell’anno, di regola espresso in mesi o
settimane (Tassoni, I diritti a tempo parziale su
beni immobili, 5; Id., Manuale di dir. del turismo3, 223s.; Scardigno, Tr. Rescigno2, VII, 273;
2 Giuggioli, Timesharing e multiproprietà, 57). n
Nel c.cons. manca una definizione di «multiproprietà»; l’art. 72 si limita a statuire che il venditore può utilizzare tale termine nel documento
informativo, nel contratto e nella pubblicità
commerciale solo se l’acquirente acquista un diritto di natura reale, mentre se il diritto è personale non si avrà tecnicamente «multiproprietà»,
ma una sorta di «multigodimento»; nondimeno,
la precisazione del legislatore non è ancora entrata nel linguaggio comune, per il quale il termine «multiproprietà» viene tuttora utilizzato in
senso ampio ed atecnico, per indicare genericamente tutte le forme di godimento turnario di
beni, a vario titolo. L’espressione volutamente
ampia di cui all’art. 69, lett. a) (da cui si ritiene
possa comunque ricavarsi a contrario la definizione di multiproprietà: Di Rosa, Proprietà e
contratto, 115), in particolare la precisazione
contenuta nell’inciso «direttamente o indirettamente» (v. infra, VII, 3) e la previsione del trasferimento di un «altro diritto», diverso da quello reale, consentono comunque di riconoscere
alla normativa in questione un ambito di applicazione assai vasto. Anche nella Relazione governativa al previgente d.lgs. n. 427 del 1998 si
segnalava la consapevole neutralità del significato attribuito al termine, e si è volutamente evitato di individuare una precisa natura giuridica
del diritto oggetto del contratto, proprio al fine
di ricondurre nella sfera di operatività della normativa le diverse forme di «multiproprietà» riscontrabili nella prassi. Lo stesso legislatore comunitario aveva volutamente evitato di prendere posizione su tale aspetto problematico, proprio in considerazione delle profonde divergenze riscontrabili nelle legislazioni dei singoli Stati
3 sul punto (v. considerando 3, dir. 1994/47/CE). n
Benché la molteplicità di contenuti giuridici che
può assumere la multiproprietà renda particolarmente arduo ogni tentativo di classificazione
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e di inquadramento sistematico del fenomeno, i
vari modelli operativi affermatisi nella prassi
sembrano tuttavia potersi ricondurre a due
schemi fondamentali: la multiproprietà immobiliare e quella societaria.
III. Qualificazione giuridica del diritto reale
di godimento a tempo parziale. n Il fenomeno 1
della multiproprietà immobiliare (o reale o
multicomproprietà) – che rappresenta la forma
maggiormente diffusa nella prassi contrattuale
italiana – consiste, dal punto di vista meramente descrittivo, nel frazionamento di un complesso immobiliare, e nella alienazione, separata, di
ogni frazione a soggetti diversi, che acquistano
un diritto di godere in modo esclusivo dell’unità
immobiliare, per un determinato periodo di
tempo dell’anno (di qui la formula «proprietà
periodica»), alternato con gli altri multiproprietari dello stesso immobile, secondo una criterio
turnario (di qui la formula «proprietà turnaria») (Ermini, in Cuffaro, I contratti di multiproprietà, 45; Calice, Vendita di diritti di «godimento ripartito» di beni immobili: formalismo
e tutela dell’acquirente, 6; tale definizione, atecnica, era di uso comune anche prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 427 del 1998: v., ex plurimis, Alpa, in Alpa - Iasiello, La multiproprietà, 23s.; Morello, Multiproprietà, D. 4a ed.,
492; Confortini, Multiproprietà, Enc. g. Treccani, 1). n L’esplicita menzione, nell’art. 72, del- 2
l’espressione «diritto reale» non consente di risolvere né l’annosa questione, su cui da anni si
confrontano dottrina e giurisprudenza, relativa
al corretto inquadramento del timesharing immobiliare nel sistema dei diritti reali, né la problematica relativa all’individuazione delle circostanze necessarie affinché un diritto di godimento turnario su di un immobile possa qualificarsi come reale (Morello, Proprietà e possesso, Tr. Gambero-Morello, I, 179; in giurisprudenza v. App. Genova 29-9-2000, G. merito 01,
358ss., nt. di Belfiore, in cui si precisa che la
normativa italiana di recepimento della dir.
1994/47/CE nulla dice in ordine alla natura del
diritto e all’applicabilità della disciplina già esistente in tema di proprietà, comunione, condominio o altri diritti). In generale deve osservarsi
che anche prima dell’entrata in vigore dell’abrogato d.lgs. n. 427 del 1998 la dottrina prevalente ravvisava, nella situazione giuridica facente capo al multiproprietario immobiliare, un
diritto di carattere reale, e quindi tutelabile erga omnes, e che richiede, per la sua valida costituzione e per l’opponibilità ai terzi, le formalità previste dalla ordinaria disciplina codicistica
(v. gli autori richiamati infra, a sostegno delle
diverse tesi prospettate in letteratura in merito
alla natura giuridica del fenomeno; in giurispru-
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CODICE DEL CONSUMO
denza Trib. Chiavari 3-9-1993, Nuova g. civ.
comm. 95, 950ss., nt. di Fusaro; App. Genova
29-9-2000, cit.; C 99/5494), mentre non ha avuto
largo seguito quell’orientamento, minoritario,
che ne affermava la natura personale in considerazione della necessaria cooperazione del gestore dei servizi occorrenti per il funzionamento
del complesso immobiliare, per cui mancava il
carattere dell’immediatezza propria di ogni diritto reale, e ravvisava nella fattispecie in discorso soltanto una variante del contratto di albergo (Granelli, R. d. civ. 79, II, 686; Lanzillo, R. d. comm. 83, I, 322; per una decisa critica
a tale impostazione v. Santoro-Passarelli, R.
3 trim. 84, 23; Confortini, ivi, 3). n Il ventaglio di
soluzioni prospettate in merito alla natura giuridica della multiproprietà immobiliare sono sostanzialmente riconducibili, pur nella varietà
delle formulazioni proposte, a quattro impostazioni principali: a) teoria della comunione: ampi
consensi riscuote tuttora in dottrina la tesi che
riconduce la multiproprietà nello schema della
comunione dell’unico diritto sull’unico bene in
comproprietà (avallando la tendenza già emersa nella prassi ad assimilare la multiproprietà
alla comunione del diritto di proprietà e al condominio negli edifici), caratterizzato da un patto relativo all’uso turnario del bene comune, e
che mutua dalla disciplina della comproprietà le
sole norme compatibili con la ratio dell’istituto
in discorso. Due sono le possibili varianti: secondo lo schema contrattuale più diffuso si acquista una quota di comproprietà pro indiviso
di un singolo e determinato appartamento facente parte di un complesso immobiliare, la
quale comprende il suolo edificato, gli arredi e
tutto quanto occorre per il godimento del bene;
il multiproprietario acquista inoltre una corrispondente quota millesimale delle parti comuni
dell’edificio (portineria, autorimessa, lavanderia, etc.). L’altro schema prevede invece l’acquisto in comproprietà dell’intero complesso, formato da una pluralità di alloggi e dalle attrezzatura destinate ai servizi comuni, con diritto
esclusivo di utilizzo di una frazione determinata
dell’immobile a favore del singolo comproprietario (Tassoni, I diritti a tempo parziale su beni
immobili, 97; Giuggioli, ivi, 59s.; Pandolfini,
in Cuffaro, I contratti di multiproprietà, 18s.).
In entrambi i casi i cc.dd. multiproprietari sono
comproprietari delle singole unità abitative e
condomini del complesso (Santoro-Passarelli, ivi, 23; Id., Multiproprietà e comproprietà, in
Ord. e dir. civ., 207ss.; Alpa, ivi, 28ss.; De Cupis, G. it. 83, IV, 193; Morello, Multiproprietà,
D. 4a ed., 503, che parla di comproprietà con
modalità concordate di godimento del bene comune; Id., in Proprietà e possesso, Tr. Gambaro-
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Morello, 180, il quale evidenzia come tale impostazione consenta una standardizzazione dei
contenuti del diritto, definendone alcune caratteristiche e rinviando per il resto alle norme sulla comunione; Mazzamuto, DPE CM, II, 79;
Florit, La multiproprietà, 14ss.; Vincenti, Multiproprietà immobiliare. La multiproprietà come
tipo di comunione, passim; Scardigno, ivi, 278;
Bianca, La proprietà, 531s., secondo il quale i
connotati della multiproprietà immobiliare valgono a specializzare la comunione, ma non a negare la ricorrenza di tale figura; Gazzoni, La
trascrizione immobiliare2, Comm. Schlesinger,
647ss.; Natucci, La tipicità dei diritti reali2, 294,
che discorre di multiproprietà come «comunione speciale». Nella letteratura manualistica v.,
ex plurimis, Trabucchi, Ist. dir. priv.44, 575; Trimarchi, Ist. dir. priv.18, 500; Paradiso, Corso ist.
dir. priv., 179s. In giurisprudenza v. Trib. Bolzano 9-8-1993, Resp. civ. prev. 94, 291ss.; Trib.
Bolzano 14-2-2000, R. g. edil. 01, I, 178ss.). L’inquadramento nello schema della comunione
spiega la perpetuità e la pienezza del diritto in
termini di contitolarità del medesimo; tutte le
altre caratteristiche del timesharing (turnarietà
del godimento, obbligo di non modificare l’alloggio, etc.) si configurano come obblighi assunti con contratto, e leciti ai sensi dell’art. 1322 c.c.
Il multiproprietario, al momento della stipulazione del contratto, accetta due regolamenti:
quello di comunione (regolamento contrattuale
trascrivibile, che assicura il carattere reale al diritto del multiproprietario: Morello, Multiproprietà, D. 4a ed., 505), che regola i rapporti tra
multiproprietari con riguardo alla multiproprietà, e quello di condominio, che riguarda l’intero
complesso immobiliare, che concerne i rapporti
fra i multiproprietari con riferimento alle parti
comuni dell’edificio. Con l’accettazione del regolamento di comunione il multiproprietario si
impegna, per sé e per i propri aventi causa, a
qualsiasi titolo, a rispettare la destinazione del
bene e a rispettare i turni di godimento, durante
ciascuno dei quali l’esercizio del diritto del multiproprietario è esclusivo [sulla liceità della clausola di godimento turnario (o di divisione del godimento) dell’immobile, quale deroga al principio dell’uso promiscuo di cui all’art. 1102 c.c., v.
Gazzoni, ivi, 648; Santoro-Passarelli, ivi, 24s.,
il quale precisa che, diversamente da quanto accade nella comunione, nella multiproprietà il
patto del godimento separato nel tempo o nello
spazio ha natura reale, ed è quindi opponibile ai
terzi; conf. Gambaro, Il diritto di proprietà, Tr.
CM, 662; Bianca, ivi, 531]. Il regolamento prevede inoltre la clausola di indivisibilità perpetua:
la deroga all’art. 1111 c.c. – che fissa a dieci anni
la durata massima del patto di rimanere in co-
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Timesharing immobiliare
munione – è giustificata dalle previsioni di cui
agli artt. 1112 e 1119 c.c.: l’indivisibilità che caratterizza la multiproprietà non deriva dal patto
di turnazione (che altrimenti sarebbe soggetto
al limite di cui all’art. 1111, 2o co., ritenuto inderogabile; diversamente, nel senso che la turnarietà attribuisce al bene un vincolo di destinazione tale da renderlo indivisibile ex art. 1112
c.c., v. Natucci, ivi, 289s.), ma dall’oggettiva indivisibilità della cosa comune, non essendo le
singole unità abitative suscettibili di frazionamento (Bianca, ivi, 530; Vincenti, ivi, 100ss.,
spec. 109; Santoro-Passarelli, ivi, 25, che ritiene inutile la clausola di indivisibilità, che di prassi viene inserita nel regolamento). Poiché trattasi di gravi limitazioni alle facoltà normalmente
spettanti ad un comunista, ma comunque essenziali al conseguimento dello scopo, tali clausole
hanno normalmente, nella prassi, efficacia reale
(e tale aspetto viene in rilievo come ulteriore
elemento di distinzione tra la multiproprietà e la
comunione: Gambaro, ibidem; Florit, ivi, 15).
Dubbi di liceità sussistono, invece, in merito alla
clausola di esclusione dello jus adcrescendi, normalmente inserita nel regolamento di comunione nella forma della preventiva rinuncia alla
possibilità dell’abbandono liberatorio (abbandono che comporterebbe per gli altri partecipanti il beneficio dell’acquisito della quota del
rinunciante, il quale sarebbe liberato dall’obbligo di contribuire alle spese comuni ai sensi dell’art. 1104 c.c.): tale clausola non sarebbe ammissibile secondo quanto previsto dall’art. 1106
c.c. (Gazzoni, ivi, 649; contra Santoro-Passarelli, ivi, 26, che ammette la rinuncia alla quota, con conseguente accrescimento delle quote
di tutti gli altri partecipanti alla comunione in
proporzione delle rispettive quote, e salva la
possibilità di attribuzione esclusiva ad un di loro, o anche ad un estraneo, del godimento dell’unità); b) teoria della multiproprietà come particolare forma del diritto di proprietà: secondo
tale, originale, impostazione, si assiste alla coesistenza di una pluralità di diversi ed autonomi diritti di proprietà, che hanno ad oggetto la medesima cosa dal punto di vista empirico, ma beni
diversi in senso giuridico, per cui l’unicità corporale della cosa non coincide con l’unità in senso
giuridico; la multiproprietà viene così identificata in diritti di proprietà che si caratterizzano per
il bene che ne è oggetto, il quale viene individuato attraverso moduli temporali aventi una
funzione integrativa rispetto a quelli spaziali. Il
tempo viene pertanto in considerazione quale
elemento necessario per delimitare l’oggetto del
diritto di proprietà; la frazione spazio-temporale
(una sorta di divisione temporale del bene) di
una unità immobiliare è, quindi, un vero e pro-
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prio «bene», creato dall’autonomia privata. Tale
tesi, si precisa, non contrasta con il principio del
numerus clausus dei diritti reali, in quanto le
parti non creano un diritto reale atipico, ma un
nuovo «bene», la cui consistenza giuridico-economica risulta anche in funzione del tempo
[Confortini, La multiproprietà, I, 3ss., spec.
41ss.; Id., Multiproprietà, Enc. g. Treccani, 4;
Calice, ivi, 16, secondo la quale la diversa
espressione «diritto di godimento ripartito» (in
luogo di godimento a tempo parziale) utilizzata
dal legislatore del 2005 avalla la tesi che ravvisa
nella multiproprietà un diritto suddiviso in frazioni spazio-temporali; Galgano, Le categorie
generali, le persone, la proprietà, Dir. civ. e
comm., 592s.; Sangiorgi, Multiproprietà immobiliare e funzione del contratto, 63; Drudi, Contr. imp. 85, 243; Petrone, Multiproprietà, individuazione dell’oggetto e schemi reali tipici, 89ss.;
Calò - Corda, R. crit. d. priv. 84, 873s.; Rescigno, Proprietà, Enc. D., 289s.; definisce convincente tale prospettiva Tassoni, ivi, 128, la quale
evidenzia che anche i fautori di tale ricostruzione ricorrono alla disciplina codicistica in materia di condominio per individuare le regole idonee a disciplinare i rapporti tra proprietari di
frazioni spazio-temporali di immobili). Secondo
tale impostazione, il multiproprietario, al di fuori del turno assegnatogli, non potrà utilizzare
l’immobile, perché negli altri periodi è di proprietà altrui. Anche Di Rosa, ivi, 82ss. e 119ss.
nega la riconducibilità del fenomeno allo schema della comunione, definendo la multiproprietà una posizione giuridica soggettiva distinta da
quelle finora conosciute, che organizza un nuovo modo di gestione di beni in presenza di una
pluralità di titolari: un modello soggettivo di appartenenza, non riconducibile né alla proprietà
né ad una forma di contitolarità, ma una situazione giuridica soggettiva esclusiva e limitata allo stesso tempo, che comporta due gruppi di poteri, relativi rispettivamente alla gestione della
cosa e ad una situazione di appartenenza esclusiva (p. 146ss.); c) teoria della proprietà temporanea: parte minoritaria della dottrina, muovendo
dalla ammissibilità, nel nostro ordinamento giuridico, di forme di proprietà a tempo, ravvisa
nella multiproprietà un diritto di proprietà pieno, assoluto e perpetuo, ma il cui esercizio si
esplica in periodi annuali limitati e ricorrenti
(Lezza - Selvarolo, R. g. edil. 77, II, 32; v. anche Pelosi, R. d. civ. 83, 466, il quale sostiene
che il diritto di proprietà, pur restando perpetuo, può essere limitato nel tempo a periodi intermittenti attraverso la combinazione di più
termini iniziali e finali). Tale impostazione va
incontro all’obiezione, condivisibile, per cui il
potere di disposizione del multiproprietario, di-
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CODICE DEL CONSUMO
versamente dal godimento, è perpetuo, e non
intermittente o ciclico (così Santoro-Passarelli, ivi, 21s.; in senso critico anche Confortini,
La multiproprietà, I, 37); d) teoria della multiproprietà come diritto reale atipico: le parti, attraverso la stipulazione di un contratto atipico,
darebbero vita ad un diritto reale atipico, ossia
una situazione giuridica in cui confluiscono un
nucleo avente carattere reale (derivante dal diritto di proprietà) e una serie di rapporti obbligatori, finalizzati a soddisfare gli interessi dei
singoli soggetti, che impongono di non alterare
la destinazione del bene, di provvedere alle spese di manutenzione e di gestione, e di osservare
i periodi di godimento (Caselli, La multiproprietà2, 89ss.); è evidente che tale tesi pone il
problema della sua compatibilità con il principio
della tipicità dei diritti reali. In giurisprudenza v.
App. Genova 29-9-2000, cit., che qualifica la
multiproprietà come diritto reale atipico, ritenendo il principio del numerus clausus dei diritti
reali derogabile a fronte dell’esigenza di trovare
collocazione a figure emergenti nell’attuale
realtà economico-giuridica). In dottrina si è comunque rilevato che le differenti teorie della
multiproprietà immobiliare finiscono per individuare la disciplina applicabile innanzitutto nelle
pattuizioni private, e poi, quantomeno in via
analogica, nella disciplina del condominio e della comunione (Barenghi, in I contratti di utilizzazione di beni, Tr. Gabrielli-Rescigno, 517; Mo4 rello, ivi, 494). n Il multiproprietario può liberamente disporre del proprio diritto di godimento turnario, sia con atto inter vivos che mortis causa, a titolo oneroso o gratuito, con i limiti
temporali e sostanziali inerenti (Santoro-Passarelli, ivi, 26). Può anche costituire diritti reali
limitati sul proprio diritto, quali usufrutto, uso e
abitazione, esercitabili nel periodo assegnato,
mentre non sono compatibili con il sistema turnario il diritto di superficie e di enfiteusi (Di
Rosa, ivi, 185; Gazzoni, Manuale dir. priv.13,
284; Calliano, Multiproprietà, App., Nov. D.,
168s.); relativamente alle servitù, sono ammesse
solo quelle compatibili con il godimento turnario, mentre sono escluse quelle che consistono
in un peso che si esplica in modo continuo o comunque non temporaneo (Gazzoni, ibidem;
contra, Di Rosa, ibidem, che esclude la possibilità di costituire qualsiasi tipo di servitù). Dubbi
si registrano in merito all’ammissibilità di un diritto di ipoteca, in quanto l’art. 2825 c.c., nell’ammettere la garanzia reale su beni indivisi, ne
rinvia la realizzazione al momento della divisione, mentre la multiproprietà si caratterizza per
l’indivisibilità. La dottrina favorevole afferma
che, così come accade in caso di condominio di
edifici, l’ipoteca attribuirebbe al creditore il di-
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ritto di espropriare, senza divisione, il bene ipotecato, con conseguente subingresso dell’acquirente, in sede di espropriazione forzata, in due
comunioni: quella della porzione, comprensiva
del separato godimento turnario, e nel condominio delle parti comuni dell’edificio (SantoroPassarelli, ivi, 27; in senso conforme, seppur
sulla base di diverse argomentazioni, Vincenti,
ivi, 118ss.; ammette la costituzione dell’ipoteca
solo sul diritto di godimento turnario Calliano,
ibidem). È invece pacificamente ammessa la costituzione di diritti personali di godimento, quali
quelli derivanti da un contratto di locazione e
comodato (Santoro-Passarelli, ivi, 26; Gazzoni, ibidem; Scardigno, ivi, 280). n La dottrina 5
che riconduce la multiproprietà immobiliare allo schema della comproprietà ritiene che il contratto costitutivo o traslativo del diritto reale vada trascritto ai sensi dell’art. 2643, n. 3, mentre
si registrano dubbi in ordine alla trascrizione del
regolamento di comunione, in cui sono inserite
le clausole caratterizzanti la multiproprietà
(patto di godimento turnario, indivisibilità, etc.:
v. supra, 3). In proposito si afferma che l’opponibilità di tali clausole deriva già dall’art. 1107,
2o co., che dichiara il regolamento vincolante
per gli aventi causa (Gazzoni, La trascrizione
immobiliare2, Comm. Schlesinger, 650; contra
Morello, ivi, 504s., secondo il quale l’opponibilità ai terzi consegue alla trascrizione del regolamento contrattuale e al titolo di acquisto della
multiproprietà, in cui sono specificati i periodi
di godimento assegnati e le unità che ne sono
oggetto; così anche Bianca, ivi, 532s.). Sulla
pubblicità della multiproprietà v. anche Zaccaria - Troiano, Gli effetti della trascrizione2, 88s.
IV. Multiproprietà societaria. n Il secondo 1
modello di timesharing conosciuto dalla prassi è
la c.d. multiproprietà societaria (o azionaria), in
cui la società è titolare del diritto di proprietà
sull’immobile, mentre i soci hanno un diritto
personale di godimento, opponibile alla società,
ma non ai terzi, che si configura come conseguenza della partecipazione sociale e come effetto diretto del contratto sociale (Morello,
Multiproprietà e autonomia privata, 141; C pen.
31-1-1987), alla cui durata è strettamente correlata la sussistenza del diritto stesso; altri invece
ritengono il diritto personale di godimento funzionalmente collegato al contratto di società, ma
derivante comunque da un autonomo e distinto
contratto attributivo (in questo secondo senso
Confortini, La multiproprietà, I, 73ss., spec.
99ss.; Id., Multiproprietà, Enc. g. Treccani, 6s.; in
giurisprudenza App. Venezia 30-6-1994; C
97/4088; C 99/5494). n Alla luce della previsione 2
legislativa di cui all’art. 72, che legittima l’uso
del termine multiproprietà solo quando si trasfe-
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Timesharing immobiliare
risce un diritto di tipo reale, l’espressione «multiproprietà societaria», benché entrata nel linguaggio corrente, anche degli operatori del diritto, non è tecnicamente corretta (v. supra, II,
2); anche prima dell’entrata in vigore del d.lgs.
n. 427 del 1998 la dottrina non mancava di evidenziare l’improprietà terminologica della
espressione, in considerazione della natura personale, e non reale, del diritto acquistato dal socio (Gambaro, ivi, 657). In ogni caso, è riconducibile nella sfera di operatività degli artt. 69-81:
3 v. infra, sub VI. n Normalmente la forma giuridica utilizzata per realizzare questo tipo di multiproprietà è quella della società per azioni (pur
non essendo sconosciuto alla prassi il timesharing realizzato mediante una società semplice,
una società cooperativa, o facendo ricorso allo
schema dell’associazione in partecipazione: v.
amplius Morello, ivi, 139s.; Tassoni, ivi, 66ss.;
Id., R. d. civ. 88, II, 481; Pandolfini, ivi, 109ss.):
la società proprietaria dell’immobile emette
azioni ordinarie e privilegiate, e cede queste ultime agli aspiranti turnisti – le quali conferiscono al titolare, insieme al diritto di partecipazione e di voto nelle assemblee, l’uso turnario delle
porzioni immobiliari –, assumendo l’obbligo di
non cedere le prime fino a quando non saranno
stati collocati tutti i turni. Realizzatasi tale condizione, la società distribuisce ad ogni multiproprietario le azioni ordinarie, in proporzione al
valore dell’unità abitativa e al periodo di godimento spettante a ciascuno (Granelli, R. d. civ.
79, II, 695; Tassoni, I diritti a tempo parziale su
beni immobili, 69s.). Tale meccanismo contempla due varianti: multiproprietà azionaria diretta, quando i soci acquistano il diritto di godimento turnario dell’unità immobiliare per effetto della titolarità delle azioni privilegiate (contra, Confortini, Multiproprietà, Enc. g. Treccani, 6s., secondo il quale le due situazioni giuridiche soggettive di multiproprietario e azionista
non derivano dalla stessa fonte); indiretta quando la società attribuisce ai possessori di azioni
privilegiate il diritto di godimento turnario con
un ulteriore e separato contratto (normalmente
un comodato o locazione), stipulato direttamente con i soci o con un’associazione non riconosciuta – a cui possono partecipare solo i soci
azionisti privilegiati – che concede in sublocazione o in subcomodato agli associati le singole
unità immobiliari (sui diversi schemi tecnicogiuridici con cui si attua questo tipo di multiproprietà v. Scardigno, ivi, 275ss.; Pastore - Re, R.
4 not. 00, 843ss.; Pandolfini, ivi, 111ss.). n Indipendentemente dallo schema contrattuale adottato, il multiproprietario societario sottoscrive,
insieme al negozio traslativo della partecipazione sociale, il regolamento di multiproprietà, che
69
descrive le norme per l’uso del complesso immobiliare. n Si distingue tra multipr. azionaria 5
c.d. pura, quando la società esaurisce la propria
attività nell’attribuzione in godimento ai soci
del bene immobile; impura quando la società,
oltre a concedere e regolare l’utilizzo delle unità
immobiliari, gestisce anche i servizi e gli impianti ricreativi di cui il complesso è dotato (Confortini, ivi, 7; Giuggioli, ivi, 76). n La configu- 6
razione del diritto di cui è titolare il socio multiproprietario come profilo della partecipazione
sociale ha sollevato in dottrina numerosi dubbi
di ammissibilità, in relazione ad alcuni principi
cardine in tema di diritto societario: in particolare, relativamente alla multiproprietà c.d. pura, si
sottolinea la mancanza di uno scopo lucrativo,
previsto dall’art. 2247 c.c. (in tali casi si discorre
di «comunione di mero godimento» ex art. 2248
c.c., con conseguente applicazione della disciplina di cui agli artt. 1100 ss. c.c.: in argomento v.
Granelli, ivi, 697; Confortini, ivi, 8; Tassoni,
ivi, 76ss.; Scardigno, ivi, 276); un secondo ordine di problemi riguarda la legittimità (stante il
disposto dell’art. 2345 c.c.) dell’obbligo del socio-multiproprietario di pagare le spese di gestione, relative al funzionamento della società e
al godimento dell’alloggio e dei servizi accessori; si segnala, inoltre, che l’attribuzione del diritto al socio-multiproprietario appare incompatibile con il divieto, previsto dall’art. 2256 c.c., di
utilizzare i beni appartenenti alla società per
scopi ad essa estranei; ancora, si evidenzia la
problematica relativa all’ammissibilità di diritti
personali di godimento con durata ultratrentennale, e l’ammissibilità di un privilegio, incorporato nel titolo azionario, che non consista in una
preferenza nella distribuzione degli utili e/o nel
rimborso delle quote di liquidazione (per
un’analisi delle varie problematiche sottese all’ammissibilità di tale formula v. Pandolfini,
ivi, 120ss.; Caliendo, Not. 09, 207ss.). In dottrina alcune tra le perplessità segnalate sono state
superate separando l’aspetto della partecipazione sociale – da intendersi come complesso di situazioni giuridiche soggettive facenti capo al socio per effetto della stipulazione del contratto di
società o per la successione nella posizione di altro socio – da quello dei diritti estranei al vincolo sociale, che il socio ha nei confronti della società (Confortini, La multiproprietà, I, 104ss.;
Id., Multiproprietà, Enc. g. Treccani, 6s., il quale
precisa che non si è multiproprietari perché
azionisti, né azionisti perché multiproprietari: le
due situazioni, benché compatibili e collegate
tra loro, derivano da fonti diverse). n In giuris- 7
prudenza si è riconosciuta l’ammissibilità della
multiproprietà c.d. impura, ritenendo in tal caso
sussistente lo scopo lucrativo richiesto dall’art.
69
CODICE DEL CONSUMO
2247 c.c.; la multiproprietà azionaria è inoltre
reputata legittima in quanto il diritto di godimento sul bene, individuato con criteri spaziotemporali, è estraneo al vincolo sociale, perché
deriva da un titolo autonomo, anche se collegato al contratto di società. Nella multipr. az. ci sarebbero, cioè, due distinti rapporti, sia pure tra
loro collegati: il primo si costituisce tra la società
e l’acquirente delle azioni (socio), il quale diviene titolare delle situazioni giuridiche proprie di
tale status, tra le quali è compreso il diritto all’attiva partecipazione alla vita della società e
alla percezione degli utili alla chiusura di ogni
esercizio finanziario; il secondo sorge da un’autonoma e distinta convenzione conclusa dalla
società con l’azionista, in forza della quale quest’ultimo acquista il diritto personale al godimento dell’unità immobiliare per il periodo stabilito. Poiché tale diritto non deriva dallo status
di socio, ma dall’autonoma e separata convenzione, è escluso che si realizzi una violazione del
divieto di cui all’art. 2256 c.c. (C 97/4088).
1 V. Multiproprietà alberghiera. n La multiproprietà alberghiera è caratterizzata dall’attribuzione in godimento turnario di unità immobiliari poste in complessi alberghieri, appartenenti a
più proprietari in comunione indivisa (multiproprietà alberghiera immobiliare), o ad una società, alla quale partecipano gli acquirenti in multiproprietà (multiproprietà alberghiera azionaria). Tale forma di timesharing non integra un
modello autonomo rispetto alla formula societaria o a quella immobiliare, in quanto lo schema
organizzativo del godimento turnario dell’immobile adibito ad albergo può manifestarsi nell’uno o nell’altro di questi modelli; la particolarità del timesharing alberghiero viene così individuata in una serie di regole relative ai vincoli
cui sono sottoposti gli immobili destinati ad attività ricettiva nonché attinenti al particolare statuto proprio dell’impresa alberghiera (Tassoni,
ivi, 134; Florit, ivi, 16; Veneziano, DPE Lipari,
II, 322; De Cristofaro, St. i. 99, 604). La specificità del bene oggetto del godimento turnario, la
presenza di un’azienda alberghiera che rimane
in attività al servizio dei multiproprietari e la disciplina speciale, soprattutto urbanistica, a cui
sono sottoposti i complessi e le attività turisticoricettive hanno tuttavia fatto emergere problematiche specifiche tali da indurre la dottrina a
considerare la multiproprietà in discorso come
fattispecie meritevole di autonoma e specifica
considerazione (Gambaro, ivi, 654ss.; Pandolfini, ivi, 20s., 162ss.; parlano di terzo schema multiproprietario di base, Giuggioli, ivi, 79ss.; Gaggero, Nuova g. civ. comm. 94, II, 26; Conforti2 ni, Multiproprietà, Enc. g. Treccani, 8). n Benché di regola si trasferisca una quota di compro-
618
prietà dell’intero immobile o di singole unità
che lo compongono, quindi un diritto di natura
reale (Di Rosa, ivi, 12; Tassoni, ivi, 158; contra,
Lanzillo, ivi, 323s.), in tale ipotesi il godimento
non è garantito in modo diretto, quale espressione del diritto di proprietà, bensì in modo indiretto, fondato su di una comproprietà dell’albergo o delle camere, che si esercita concretamente verso il gestore, e solo con la sua cooperazione; si è in proposito evidenziato come la
realità del diritto del multiproprietario conviva
con un prevalente aspetto obbligatorio, in quanto solo lo strumento del credito permette l’esercizio del diritto di godimento per il periodo stabilito, e l’unitarietà della gestione dei servizi
propri della struttura ricettiva turistico-alberghiera, quali portineria, reception, cambio biancheria, pulizia, uso di piscine, beauty centre, ristorazione etc., svolge un ruolo preminente (Di
Rosa, ivi, 9s.). n L’attività alberghiera viene 3
svolta da un gestore terzo (che può anche coincidere con il promotore o con il venditore), che
riceve l’azienda alberghiera in affitto. I multiproprietari vantano, nei confronti del gestore,
quale corrispettivo dell’affitto, un diritto di prenotazione avente ad oggetto l’unità abitativa
prescelta – camera o appartamento e relativi
servizi – per il periodo prestabilito, con un significativo sconto sulle ordinarie tariffe alberghiere
applicate a terzi estranei (Di Rosa, ivi, 14). Il
multiproprietario non può rinunciare ai servizi
prestati dall’albergo, e, qualora decida di non
godere dell’alloggio durante il periodo prestabilito, deve comunicarlo entro termini prestabiliti;
ricorrente è la clausola con cui si attribuisce al
gestore la facoltà di concedere in locazione a
terzi il bene nell’ipotesi in cui il multiproprietario non ne fruisca nel periodo di sua spettanza,
versando una parte del corrispettivo ricavato al
multiproprietario (Gaggero, ivi, 22; Giuggioli,
ivi, 80s.; Scardigno, ivi, 280; Florit, ivi, 17). n 4
Non di rado nella prassi i contratti di acquisto di
diritti a tempo parziale su immobili facenti parte
di un complesso alberghiero contengono clausole con cui si riserva al venditore non solo l’amministrazione dell’immobile, ma anche la proprietà delle parti comuni dell’edificio, al fine di
assicurare allo stesso la gestione di alcuni servizi
da vendere ai multiproprietari (Florit, ivi, 16s.).
n Si parla di multiproprietà alberghiera anche 5
nell’ipotesi in cui il contratto non individua
un’unità immobiliare determinata, ma si limita
ad indicare l’«alloggio tipo» del complesso residenziale su cui l’acquirente potrà esercitare il
proprio diritto (rileva Tassoni, ivi, 157s., che anche in questi casi, in cui è certamente necessaria
la cooperazione del gestore del complesso per
individuare l’unità immobiliare su cui il turnista
619
Timesharing immobiliare
potrà esercitare il proprio diritto, è configurabile un diritto di natura reale, con conseguente legittimo utilizzo, da parte del venditore, del termine «multiproprietà»; contra Lanzillo, ivi,
323s., secondo la quale ha natura meramente
personale e non reale il diritto dell’acquirente in
tutti in quei casi in cui le modalità contrattuali
inducano a configurarlo come una forma di prenotazione a tempo indeterminato; Florit, ivi,
6 17). n La dottrina ritiene la vendita di quote di
comproprietà compatibile con il vincolo di destinazione turistico-ricettiva dell’immobile, in
quanto non ne determina, di per sé, un mutamento di destinazione d’uso (nella specie, da alberghiera a residenziale, trasformando di fatto
l’albergo in un condominio, e l’impresa alberghiera in un’impresa di servizi) (contra, la recente giurisprudenza amministrativa: T.A.R. Sicilia,
sez. Palermo, 25-11-1996, n. 1516, G. amm. sic.
97, 153ss. e Cons. St., sez. V, 21-5-1999, n. 592,
R. g. edil. 99, I, 1150, ove si esclude che l’attività
di gestione immobiliare in multiproprietà possa
essere ricompresa nella nozione di attività alberghiera), con conseguente perdita dei contributi e delle agevolazioni finanziarie collegate a
tale vincolo di destinazione: poiché l’attività alberghiera è caratterizza dall’apertura al pubblico e dall’offerta dei servizi ad essa inerenti, si
potrà ravvisare un cambiamento di destinazione
d’uso solo nelle ipotesi in cui il godimento delle
singole unità immobiliari sia fissato in modo
permanente ed esclusivo in favore dei multiproprietari, senza possibilità, nel caso in cui non ne
possano usufruirne nei periodi prestabiliti, di disporne a favore di clienti estranei all’operazione. Si è inoltre sottolineato che il trasferimento
dell’immobile adibito ad albergo ai singoli multiproprietari non implica mutamento di destinazione ogni qualvolta il gestore si riservi la proprietà dei servizi comuni, e venga garantita la
possibilità di attuare una gestione di tipo alberghiero (Morello, Multiproprietà, D. 4a ed., 498;
Gaggero, ivi, 31s., il quale conferma la compatibilità della struttura multiproprietaria anche
nelle ipotesi in cui non vi siano camere destinate
all’utenza occasionale; Pandolfini, ivi, 168;
Giuggioli, ivi, 84; Scardigno, ivi, 281ss. In giurisprudenza v. C 97/7957; C s.u. 90/5777). La
compatibilità tra frazionamento in multiproprietà e destinazione alberghiera dell’immobile
trova ora una decisa conferma nell’art. 1, 1o co.,
lett. d), come modificato dall’art. 4, 2o co., lett.
a), l. n. 135 del 2001.
VI. Ambito di applicazione della disciplina
prevista dagli artt. 69-81. Presupposti oggettivi: premessa; n Gli artt. 69-81 non introducono
un nuovo tipo contrattuale, ma si limitano a dettare una serie di norme applicabili ai contratti
69
che presentano le caratteristiche indicate dall’art. 69, lett. a)-d): tali disposizioni andranno
pertanto ad integrare la disciplina di volta in
volta applicabile al tipo contrattuale utilizzato
dai soggetti (normalmente, ma non necessariamente, un contratto di compravendita). Anche
in considerazione della chiara assenza di un intento di qualificazione del diritto di godimento
turnario, la dottrina prevalente esclude, dunque,
che il legislatore italiano abbia tipizzato legalmente una nuova figura di contratto, limitandosi
ad illustrare (secondo una tecnica non di rado
utilizzata nella normativa di derivazione comunitaria) l’operazione economica sottesa alla costituzione o al trasferimento di un diritto di godimento turnario, disciplinando alcuni profili
comuni ad un «gruppo di contratti» che consentono di realizzare quel risultato, indipendentemente dalla circostanza che abbiano ad oggetto
un diritto personale di godimento o un diritto
reale [così De Nova, R. d. priv. 99, 5; Tassoni,
ivi, 37; Id., Tr. Gabrielli-Minervini, 822s.; De
Cristofaro, ibidem; De Marzo, Corr. giur. 99,
17, secondo il quale, data l’ampiezza della definizione con cui è stato delimitato l’ambito applicativo della disciplina, il legislatore ha inteso individuare un risultato giuridico, piuttosto che riferirsi ad uno o più specifiche tipologie contrattuali; Bulgarelli, R. not. 00, 536s.; De Rosa,
ivi, 18; Barenghi, ivi, 507; Marasco, Comm.
Franzoni, 332; Giuggioli, ivi, 111. Rileva Morello, Contr. 99, 62, che con l’attuazione della
direttiva è stato tipizzato lo schema contrattuale, eliminando ogni dubbio sulla sua legittimità,
ma trattandosi di uno schema generale, in esso
possono rientrare cause contrattuali tipiche o
atipiche: la soluzione proposta dall’autore converge, quindi, nella sostanza con la tesi dottrinale prevalente sopra descritta. La rilevanza pratica della definizione viene pertanto individuata
(non nell’avere identificato la struttura sostanziale della multiproprietà, bensì) nell’averne legittimato l’ammissibilità].
VII. (segue) il contratto. n Con l’espressione 1
uno o più contratti – tecnicamente meno precisa
rispetto alla corrispondente norma comunitaria,
ove si discorreva di «contratto o insieme di contratti» – il legislatore ha inteso ricondurre alla
sfera di operatività della disciplina tutte quelle
operazioni che, anche se formalmente frazionate in una pluralità di distinti accordi, sono economicamente unitarie: tale ipotesi costituisce
nella prassi la regola tanto nella multiproprietà
reale (in cui l’atto di trasferimento del diritto
reale di godimento sull’immobile è collegato ai
regolamenti, di natura contrattuale, di comunione e di condominio), quanto in quella c.d. azionaria (in cui il contratto di compravendita mobi-
69
CODICE DEL CONSUMO
liare delle azioni della società è normalmente
collegato ad un contratto di comodato in favore
dell’azionista titolare delle azioni privilegiate)
(Tassoni, I diritti a tempo parziale su beni immobili, 200; Caselli, La multiproprietà. Commento, 6; De Marzo, ibidem, 17; Pandolfini,
2 ivi, 292). n La dottrina è unanime nell’affermare
che il riferimento, oltre alla costituzione e al trasferimento, alla promessa di costituire o trasferire il diritto turnario consente di applicare la disciplina anche ai contratti preliminari. Dubbi
sussistono, invece, in relazione alla possibilità di
estenderne l’operatività anche ad atti prenegoziali, quali la proposta (irrevocabile) di acquisto:
l’orientamento prevalente ritiene che, pur in assenza di uno specifico intervento legislativo di
equiparazione di tale atto ai contratti di cui all’art. 69, lett. a) (come invece è previsto per i
contratti negoziati fuori dai locali commerciali
dall’art. 45, 2o co.), la disposizione sia comunque
suscettibile di interpretazione estensiva, in considerazione della previsione di cui all’art. 70
(che sancisce l’obbligo del venditore di consegnare all’interessato un documento informativo), il quale si riferisce indirettamente anche alla proposta, dovendo l’acquirente essere posto
nella condizione di conoscere tutte le caratteristiche del contratto che si impegna a stipulare; si
evita in tal modo che la disciplina possa essere
aggirata dal venditore, in particolare con riguardo al divieto di acconti di cui all’art. 74 (Caselli, ivi, 6; Pandolfini, ivi, 293s.; secondo Barenghi, ivi, 529, tale estensione deriva del principio
secondo cui agli atti non strettamente contrattuali si applica la disciplina di protezione del
consumatore ove sussistano gli altri presupposti
individuati dalla norma). Si è peraltro sottolineato che il rinvio alla disciplina dei contratti
con particolari modalità di acquisto previsto
dall’art. 75 elimina ogni dubbio circa l’applicazione della disciplina del recesso anche a proposte di contratto aventi ad oggetto diritti di godimento turnario (Barela, ivi, 564; Ermini,
3 Comm. CBB, 427). n L’inciso «direttamente o
indirettamente» va riferito, nonostante l’imprecisa formula legislativa, al godimento dell’immobile (anziché all’acquisto del diritto), e quindi la disciplina è applicabile anche quando il diritto di godimento non può essere esercitato dal
titolare senza la necessaria cooperazione di un
altro soggetto (come accade nel timesharing alberghiero: v. supra, V; secondo Tassoni, ivi,
200s. e Id., Tr. Gabrielli-Minervini, 828, si ha godimento indiretto solo quando il contratto non
identifica l’unità immobiliare oggetto del diritto
turnario, ma si limita ad individuare il tipo di alloggio a cui potrà accedere l’acquirente nel periodo indicato) nonché nelle ipotesi in cui l’attri-
620
buzione del godimento a tempo parziale è la
conseguenza dell’acquisto di titoli azionari o altri diritti mobiliari (in dottrina v., ex plurimis,
Barenghi ivi, 529s.; Morello, ivi, 60; De Cristofaro, ivi, 604ss.). L’utilizzo di tali avverbi
rende pertanto legittima l’applicazione della disciplina in discorso alla multiproprietà alberghiera (ulteriormente confermata dal nuovo testo della lett. d). n Il contratto ha per oggetto, 4
indistintamente, un diritto reale o altro diritto
(di carattere personale) di godimento di uno o
più immobili: trova così legittimazione la c.d.
multiproprietà societaria, a cui si applica la disciplina in commento (v. supra, IV). n La durata 5
minima triennale va riferita al diritto del multiproprietario (e non, come suggerisce impropriamente la formula legislativa, anche quella della
corrispondente norma comunitaria, al contratto.
Si è al riguardo precisato che di durata del contratto potrebbe parlarsi solo quando entrano in
gioco diritti di carattere personale, mentre il
contratto avente ad oggetto diritti reali ha efficacia istantanea, per cui è il diritto ad avere,
eventualmente, una durata: De Nova, in De Nova - Giuggioli - Leo, La multiproprietà, 9). Incertezze si registrano in merito alla applicabilità
della disciplina in commento ai contratti a tempo indeterminato; la soluzione positiva sembra
essere suggerita dalla previsione della sola durata minima, e non anche massima (in senso favorevole Munari, Problemi giuridici della nuova
disciplina della multiproprietà, 30; contra, seppur in termini dubitativi, Morello, ivi, 69, secondo il quale potrebbe configurarsi un’ipotesi
di nullità per oggetto indeterminato o per mancanza di un elemento essenziale ove nel contratto non sia indicato il termine di durata ovvero lo
stesso sia perpetuo). Nel caso in cui sia prevista
una durata minima inferiore a tre anni, se risulta
che le parti, ex art. 1362 c.c., erano intenzionate
a concludere un contratto di timesharing, la durata minima è automaticamente ricondotta a tre
anni, in forza dell’applicazione dell’art. 78 (al
cui commento si rinvia). n La scelta di una dura- 6
ta minima settimanale del turno deriva dell’esigenza di evitare che venga snaturato lo schema
della fruizione turnaria, come accadrebbe se
fosse possibile fissare turni di un solo giorno
[Tassoni, I diritti a tempo parziale su beni immobili, 195s., la quale tuttavia non esclude la
possibilità di un’interpretazione estensiva della
norma tale da estenderne l’applicazione anche
in caso di turni di godimento di durata inferiore
ad una settimana, in considerazione della ratio
del provvedimento comunitario, finalizzato a
creare una base minima di regole comuni per
garantire il buon funzionamento del mercato
nel settore del timesharing (come si evince dal
621
Timesharing immobiliare
considerando 2 dir. 1994/47/CE), e che suggerisce di applicare la disciplina ogniqualvolta
l’operazione presenti i medesimi profili di rischio per l’acquirente disinformato; Id., Tr. Gabrielli-Minervini, 831ss.)]. Il turno assegnato a
ciascun multiproprietario deve inoltre essere
determinato o determinabile. Si esclude che
configuri una forma di multiproprietà il bonus
alberghiero, in forza del quale si acquista il diritto di trascorrere vacanze in un circuito di villaggi turistici con sconti e prenotazioni garantite:
diversamente dalla multiproprietà alberghiera,
non è indicata l’unità immobiliare oggetto del
diritto, reale o personale, di godimento, e non è
determinato, né determinabile, il periodo di godimento; per le stesse ragioni non sono soggetti
alla disciplina in esame le forme di godimento
turnario derivanti da carte di appartenenza a
clubs con diritti alberghieri (Morello, ivi, 60s.;
7 Ermini, ivi, 426; Pastore - Re, ivi, 852s.). n Ulteriore requisito necessario affinché il contratto
possa essere assoggettato alla disciplina di cui
agli artt. 69-81 è la previsione di un corrispettivo. Sono pertanto esclusi i contratti di donazione (anche in considerazione dell’estraneità dell’atto liberale all’attività professionale del venditore: Ciatti, Contr. impr. E. 99, 522) e, più in
generale, tutti i trasferimenti a titolo gratuito.
Poiché deve trattarsi del pagamento di un prezzo, ne deriva l’esclusione dei contratti a titolo
oneroso in cui il corrispettivo del diritto di godimento non sia costituito da una somma di denaro (es. permuta). Infine il prezzo deve essere
globale, da intendersi verosimilmente come una
somma di denaro determinata una tantum quale
corrispettivo del valore complessivo del diritto
di godimento ceduto (di cui può comunque prevedersi un pagamento rateale, posto che il legislatore non ha inteso riferirsi alle modalità di
esecuzione dell’obbligazione pecuniaria), e non
come canone, da pagarsi periodicamente in corrispondenza dei periodi di esercizio del diritto
(De Cristofaro, ivi, 605). Ne consegue l’esclusione, dall’ambito applicativo della disciplina in
materia di godimento ripartito su immobili, dei
contratti di locazione (la cui disciplina non è comunque applicabile in quanto il multiproprietario acquista il diritto alla fornitura di servizi che
vanno oltre il godimento dell’immobile: De Nova, ivi, 7; anche il considerando 5 dir. 1994/47/
CE poneva in evidenza le modalità di pagamento come ulteriore tratto distintivo tra i contratti
8 di timesharing e la locazione). n Il diritto turnario di godimento deve avere ad oggetto beni immobili (per cui sono da ritenersi escluse dall’ambito di applicazione della disciplina tutte quelle
forme di timesharing aventi ad oggetto beni diversi, quali aerei, auto, barche, roulottes), adibiti
69
ad uso abitativo (con esclusione, pertanto, di
multiproprietà di uffici, negozi, magazzini), nonché, a seguito della modifica di cui alla l. n. 135
del 2001 (v. supra, sub I), uso alberghiero (strutture alberghiere) o per uso turistico-ricettivo
(immobili utilizzati, ad esempio, per ragioni di
studio). Il bene immobile deve essere determinato o, se in costruzione, determinabile. Il riferimento ad uno o più immobili si spiega con l’intenzione del legislatore di ricondurre nella sfera
di operatività della disciplina anche le forme di
multiproprietà aperta, ove è prevista la possibilità di sostituire il turno acquistato con altri turni
relativi a periodi o immobili diversi, siti in altre
località.
VIII. Presupposti soggettivi di applicazione
della disciplina. n La definizione di acquiren- 1
te di cui all’art. 69, 1o co., lett. b), è stata riformulata – rispetto a quella di cui al previgente
art. 1 d.lgs. n. 427 del 1998 – e raccordata alla
definizione generale di consumatore contenuta
nell’art. 3, 1o co., lett. a), al cui commento pertanto si rinvia. L’espressione legislativa utilizzata, nel riferirsi a contratti stipulati in favore del
consumatore, pare legittimare l’applicazione
della disciplina non solo ai contratti conclusi
personalmente dal consumatore medesimo, ma
anche a quelli da altri stipulati, che intervengono nel procedimento formativo dell’atto negoziale nell’interesse del primo, come può accadere, ad esempio, nell’ipotesi in cui si utilizzi lo
strumento del contratto (anche preliminare)
per persona da nominare, o il contratto a favore
di terzi. Ciò che rileva, ai fini dell’applicazione
della normativa, è che la titolarità del diritto di
godimento turnario, reale o personale, sia del
consumatore (in dottrina si rinvengo cenni a tale aspetto in Tassoni, I diritti a tempo parziale
su beni immobili, 207s.). n La definizione di 2
venditore di cui alla lett. c), ancorché non contenga l’aggettivo imprenditoriale, ricalca sostanzialmente quella di professionista prevista
dall’art. 3, 1o co., lett. c), al cui commento pertanto si rinvia. n Il legislatore ha voluto tutelare 3
la posizione del consumatore anche nelle ipotesi in cui la stipulazione del contratto di timesharing venga mediato dall’intervento di un terzo.
A questo scopo l’art. 69, 1o co., lett. c), ha equiparato al venditore, ai fini dell’applicazione del
codice, il promotore, ossia colui che promuove
la costituzione, il trasferimento o la promessa di
trasferimento del diritto oggetto del contratto.
Rientrano in tale categoria ogni persona, fisica
o giuridica, ed enti non personificati che si pongono come intermediari tra venditore ed acquirente, intervenendo nella fase del collocamento
dei diritti di godimento turnario (Lascialfari,
in Cuffaro, I contratti di multiproprietà, 282);
70
CODICE DEL CONSUMO
sono pertanto considerati promotori, ai sensi
della disposizione in commento, gli agenti di
commercio, i mediatori, i procacciatori e coloro
che, a qualsiasi titolo, abbiano promosso la conclusione dell’affare: e ciò, non soltanto quando
il terzo promotore figuri addirittura come parte
formale del negozio, emettendo in nome del
venditore la dichiarazione contrattuale, ma anche quando il promotore non abbia manifestato
alcuna volontà negoziale, limitandosi a fare da
tramite per l’incontro delle volontà delle parti
(in questo senso è orientata la dottrina prevalente: v. De Cristofaro, ivi, 606; De Marzo, ivi,
18; Munari, ivi, 35; Di Ciommo, F. it. 99, V, 42;
Tassoni, ivi, 204). Affinché il promotore possa
essere equiparato al venditore è necessario che
agisca nell’esercizio della propria attività professionale, ed è tenuto ad osservare gli obblighi
imposti al venditore anche quando promuova la
conclusione di contratti di timesharing fra soggetti che agiscano entrambi per scopi estranei
alla propria attività professionale; se, dunque il
consumatore intende rivendere il proprio diritto di godimento turnario (ad altro consumatore), la disciplina troverà applicazione solo se il
titolare si avvale di un operatore professionale
(De Cristofaro, ibidem; Tassoni, ivi, 205s.; Id.,
Tr. Gabrielli-Minervini, 838; Lascialfari, ivi,
283). Relativamente agli effetti di tale equiparazione, devono ritenersi estesi al promotore gli
obblighi e divieti imposti al venditore, quali
quelli previsti dagli artt. 70 (obbligo di consegnare il documento informativo, la cui estensione è specificamente prevista dalla lett. b), che
pone a carico del promotore l’obbligo di indicare esattamente la propria qualità giuridica),
71, 3o co. (obbligo di fornire la traduzione del
contratto), 72 (divieto di usare in modo impro-
70
622
prio il termine «multiproprietà»), 74 (divieto di
acconti), 78 (nullità di patti di rinuncia o di
clausole limitative di responsabilità), con conseguente applicazione, in caso di violazione, delle
sanzioni di cui all’art. 81. Si esclude invece l’applicabilità dell’obbligo di prestare fideiussione
bancaria o assicurativa a garanzia della corretta
esecuzione del contratto e dell’ultimazione del
lavoro, poiché il promotore si limita a svolgere
una mera attività di intermediazione (Munari,
ivi, 43s.; Barela, ivi, 568). n Poiché la normati- 4
va riguarda contratti stipulati tra professionisti
e consumatori, sono esclusi dall’applicazione
della disciplina quelli tra consumatori [la dottrina si è mostrata particolarmente critica nei confronti di tale scelta legislativa, ritenendo che la
mancanza della professionalità del venditore
non possa considerarsi ragione sufficiente per
non accordare all’acquirente il diritto ad essere
correttamente informato, nonché a disporre di
un periodo di tempo per valutare l’opportunità
dell’acquisto ed eventualmente recedere (De
Cristofaro, ivi, 605s.; Munari, ivi, 41). Deve
tuttavia convenirsi che la normativa è stata
ideata con riferimento alla figura del venditore
professionale, e presuppone un’organizzazione
di tipo imprenditoriale: basti pensare alle norme che prevedono obblighi informativi durante
la fase precontrattuale, in particolare l’obbligo
di consegnare il documento informativo a
chiunque ne faccia richiesta di cui all’art. 70
(Tassoni, Tr. Gabrielli-Minervini, 822; Morello - Tassoni Multiproprietà, Agg., D. 4a ed.,
907)] ad eccezione delle ipotesi in cui il consumatore acquirente si avvalga dell’operato di un
promotore professionale (v. supra, 3), nonché
quelli tra professionisti.
Documento informativo. 1. Il venditore è tenuto a consegnare ad ogni persona che
richiede informazioni sul bene immobile un documento informativo in cui sono indicati con precisione i seguenti elementi:
a) il diritto oggetto del contratto, con specificazione della natura e delle condizioni di
esercizio di tale diritto nello Stato in cui è situato l’immobile; se tali ultime condizioni sono
soddisfatte o, in caso contrario, quali occorre soddisfare;
b) l’identità ed il domicilio del venditore, con specificazione della sua qualità giuridica,
l’identità ed il domicilio del proprietario;
c) se l’immobile è determinato:
1) la descrizione dell’immobile e la sua ubicazione;
2) gli estremi del permesso di costruire ovvero di altro titolo edilizio e delle leggi regionali che regolano l’uso dell’immobile con destinazione turistico-ricettiva e, per gli immobi-
623
Timesharing immobiliare
70
li situati all’estero, gli estremi degli atti che garantiscano la loro conformità alle prescrizioni
vigenti in materia;
d) se l’immobile non è ancora determinato:
1) gli estremi della concessione edilizia e delle leggi regionali che regolano l’uso dell’immobile con destinazione turistico-ricettiva e, per gli immobili situati all’estero, gli estremi
degli atti che garantiscano la loro conformità alle prescrizioni vigenti in materia, nonché lo
stato di avanzamento dei lavori di costruzione dell’immobile e la data entro la quale è prevedibile il completamento degli stessi;
2) lo stato di avanzamento dei lavori relativi ai servizi, quali il collegamento alla rete
di distribuzione di gas, elettricità, acqua e telefono;
3) in caso di mancato completamento dell’immobile, le garanzie relative al rimborso
dei pagamenti già effettuati e le modalità di applicazione di queste garanzie;
e) i servizi comuni ai quali l’acquirente ha o avrà accesso, quali luce, acqua, manutenzione, raccolta di rifiuti, e le relative condizioni di utilizzazione;
f) le strutture comuni alle quali l’acquirente ha o avrà accesso, quali piscina, sauna, ed
altre, e le relative condizioni di utilizzazione;
g) le norme applicabili in materia di manutenzione e riparazione dell’immobile, nonché
in materia di amministrazione e gestione dello stesso;
h) il prezzo globale, comprensivo di IVA, che l’acquirente verserà quale corrispettivo; la
stima dell’importo delle spese, a carico dell’acquirente, per l’utilizzazione dei servizi e delle
strutture comuni e la base di calcolo dell’importo degli oneri connessi all’occupazione dell’immobile da parte dell’acquirente, delle tasse e imposte, delle spese amministrative accessorie per la gestione, la manutenzione e la riparazione, nonché le eventuali spese di trascrizione
del contratto;
i) informazioni circa il diritto di recesso dal contratto con l’indicazione degli elementi
identificativi della persona alla quale deve essere comunicato il recesso stesso, precisando le
modalità della comunicazione e l’importo complessivo delle spese, specificando quelle che
l’acquirente in caso di recesso è tenuto a rimborsare; informazioni circa le modalità per risolvere il contratto di concessione di credito connesso al contratto, in caso di recesso;
l) le modalità per ottenere ulteriori informazioni.
2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche quando il venditore offre al pubblico un diritto che attribuisce il godimento su uno o più beni immobili sulla base di liste, elenchi, cataloghi o altre forme di comunicazione. In questo caso il documento informativo deve
essere consegnato per ciascuno dei beni immobili oggetto dell’offerta.
3. Il venditore non può apportare modifiche agli elementi del documento di cui al comma
1, a meno che le stesse non siano dovute a circostanze indipendenti dalla sua volontà; in tale
caso le modifiche devono essere comunicate alla parte interessata prima della conclusione del
contratto ed inserite nello stesso. Tuttavia, dopo la consegna del documento informativo, le
parti possono accordarsi per modificare il documento stesso.
4. Il documento di cui al comma 1 deve essere redatto nella lingua o in una delle lingue dello Stato membro in cui risiede la persona interessata oppure, a scelta di quest’ultima, nella lingua o in una delle lingue dello Stato di cui la persona stessa è cittadina, purché si tratti di lingue ufficiali dell’Unione europea.
5. Restano salve le disposizioni previste dal codice dei beni culturali e del paesaggio di cui
al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
[artt. 3, parr. 1-2, e 4 dir. 1994/47/CE]
70
CODICE DEL CONSUMO
624
Sommario: I. La fase precontrattuale: l’obbligo di consegnare il documento informativo. - II. I singoli
elementi del documento informativo. - III. Inosservanza dell’obbligo di informazione. - IV. Le modifiche al contenuto del documento informativo.
I. La fase precontrattuale: l’obbligo di conse1 gnare il documento informativo. n L’art. 70 ri-
2
3
4
5
produce il contenuto del previgente art. 2 del
d.lgs. n. 427 del 1998 senza sostanziali modifiche, ad eccezione del 5o co., che, con una prescrizione pleonastica, fa salva l’applicazione delle disposizioni previste dal codice dei beni culturali (d.lgs. n. 42 del 2004). Con tale disposizione
è stata data attuazione agli artt. 3, parr. 1 e 2, e
4, dir. 1994/47/CE. n L’art. 70 impone, a chi offre sul mercato immobili in timesharing, l’obbligo di consegnare a chiunque ne faccia richiesta
un documento contenente una serie di elementi,
da indicarsi con precisione, la cui conoscenza è
reputata indispensabile affinché il potenziale acquirente possa consapevolmente valutare la
convenienza e l’opportunità del contratto.
L’adempimento dell’obbligo è, cioè, finalizzato
a soddisfare quel diritto del consumatore «ad
una adeguata informazione ed ad una corretta
pubblicità», che l’art. 2 riconosce come fondamentale, e ad eliminare, o quantomeno contenere, l’asimmetria informativa che normalmente si riscontra nelle contrattazioni tra consumatore e professionista. La disposizione deve leggersi insieme all’art. 5, che impone al professionista di esprimere le informazioni in modo chiaro e comprensibile, in considerazione delle
modalità di conclusione del contratto o delle caratteristiche del settore. n Il diritto del consumatore a ricevere il documento informativo è irrinunciabile, ai sensi dell’art. 78: un eventuale atto di rinuncia è pertanto nullo. n Il documento
informativo rientra nella nozione di «pratica
commerciale» di cui agli artt. 18ss., trattandosi
evidentemente di dichiarazioni poste in essere
da un professionista, oggettivamente correlate
alla promozione e vendita di un bene destinato
ad usi di natura privata, e conseguentemente è
soggetto alla disciplina di cui al nuovo titolo III
della parte II. n L’utilizzo del termine documento induce la dottrina ad escludere che il dovere
del professionista possa dirsi adempiuto in caso
di illustrazione orale di singoli elementi, e a reputare necessaria la consegna di una atto redatto per iscritto (non occorre la sottoscrizione delle parti contraenti: rileva in proposito Marasco,
Comm. Franzoni, 339, che il concetto di «documento scritto» o di «informazione scritta», cui si
riferisce il legislatore non coincide con il requisito formale della «forma scritta»). Ciò non significa che debba necessariamente essere su supporto cartaceo, riconoscendosi sotto questo profilo idoneo anche il documento illustrato e con-
sultabile sull’eventuale sito internet del venditore; in generale può reputarsi sufficiente che le
informazioni siano su di un supporto comunque
durevole, che ne consenta la conservazione ed il
successivo controllo, al fine di soddisfare le finalità informative sottese alla disciplina (Villanacci, Dir. cons. Villanacci, 250; Giuggioli, in
De Nova - Giuggioli - Leo, La multiproprietà,
13; Sirgiovanni, Comm. ARC, 517, la quale ritiene tale generale idoneità confermata anche
dal 2o co. dell’art. 70, ove fa generico riferimento ad altre forme di comunicazione; conf. Lascialfari, in Cuffaro, I contratti di multiproprietà, 321; Florit, La multiproprietà, 71; contra,
Ermini, Comm. CBB, 431, secondo il quale il
documento informatico è incompatibile con la
«consegna» richiesta dall’art. 70). Anche la disposizione sulla lingua, di cui al 2o co., lascia intendere che il documento deve concretizzarsi in
un testo linguistico, redatto mediante tracce grafiche da redigersi su supporto durevole (Calice,
Vendita di diritti di «godimento ripartito» di beni
immobili: formalismo e tutela dell’acquirente,
105). Del tutto inadeguata è, invece, la consegna
di un filmato, anche se corredato di audio (in
una delle lingue richieste dal 4o co.) che dia voce
alle prescrizioni normative (Rossi Carleo, Not.
01, 630). n Ai sensi del 4o co. il documento deve 6
essere redatto nella lingua o in una delle lingue
dello Stato membro di residenza della persona
interessata, la quale può anche chiedere un documento redatto nella lingua dello Stato di cui
ha la cittadinanza: è comunque necessario che si
tratti di lingue ufficiali dell’Unione europea.
Con tale prescrizione il legislatore ha operato
una distribuzione del c.d. rischio linguistico, ossia di mancata comprensione del documento, e
che viene addossato al venditore che predispone
il testo (Marasco, ivi, 340; v. anche Cicala, Lingua straniera e testo contrattuale, 124ss.). n Sono 7
destinatari della consegna del documento chiunque ne faccia richiesta, sempre che si tratti di un
soggetto che agisce per fini estranei ad un’attività professionale eventualmente svolta. Nonostante la generica formula legislativa, è da escludere che la norma trovi applicazione anche nel
caso in cui la richiesta provenga da un professionista, per mancanza di uno dei requisiti soggettivi di applicazione della disciplina, ossia la qualifica di consumatore-acquirente richiesta dall’art. 69 (rileva inoltre Morello, Contr. 99, 63,
che la lettura restrittiva è finalizzata a tutelare
anche la posizione dello stesso venditore contro
richieste provenienti da eventuali concorrenti).
625
Timesharing immobiliare
8 n Le informazioni devono essere fornite con
precisione (non è stato invece riprodotto l’aggettivo succinte di cui all’art. 3 dir. 1994/47/CE):
per stabilire il significato di tale criterio occorre
far riferimento all’elaborazione giurisprudenziale sull’art. 1337 c.c., in quanto le indicazioni
previste dalla disposizione mirano a specificare
l’ambito della buona fede richiesta nella fase
delle trattative (Morello, ibidem; Ciatti, Contr. impr. E. 99, 524). Tale prescrizione deve
coordinarsi con quanto previsto dall’art. 35, che
impone al professionista di redigere le clausole
in modo chiaro e comprensibile; in caso di dubbio dovrà prevalere l’interpretazione più favorevole per il consumatore, ai sensi del 2o co. della disposizione richiamata (Morello, ibidem;
9 Lascialfari, ivi, 323; Marasco, ivi, 341). n Disparità di vedute si registrano in merito all’individuazione del momento in cui sorge l’obbligo
di consegnare il documento. Parte della dottrina
lo identifica nel momento in cui si instaura un
primo contatto con il potenziale cliente: si reputa sufficiente anche una richiesta non supportata da una determinazione all’acquisto, e non è
indispensabile che tra le parti sia già in corso
una trattativa. A sostegno di tale interpretazione si adduce, oltre alla ampiezza del dato normativo – che si riferisce genericamente a chiunque richieda informazioni – anche la previsione
secondo cui il documento deve specificare le
modalità per ottenere ulteriori informazioni (lett.
l): prescrizione giustificata, secondo tale prospettiva, dalla circostanza che le trattative non
sono ancora state avviate (Munari, Problemi
giuridici della nuova disciplina della multiproprietà, 61; Giuggioli, ivi, 13s., il quale tuttavia
ritiene necessaria una specifica richiesta, che
non comporti alcuna spesa a carico del venditore; Marasco, Contr. impr. 00, 1063; Lascialfari, ivi, 316ss.; Ermini, ivi, 431; Barela, Comm.
SS, 573; Villanacci, ivi, 251). Secondo altra
dottrina l’obbligo di consegna sorge solo quando il consumatore manifesta un apprezzabile interesse, e le parti hanno preso dei contatti per
instaurare una trattativa con un minimo di serietà; a sostegno di tale lettura si evidenzia la necessità di tutelare la riservatezza del venditore
(Morello, ibidem; Ciatti, ivi, 523). La prima interpretazione appare preferibile, anche in considerazione della ratio di tutela del consumatore,
che trova adeguata soddisfazione laddove
l’adempimento della consegna del documento
informativo debba precedere, anziché presupporre, l’inizio delle trattative. Analogo criterio
si ritiene trovi applicazione anche nell’ipotesi –
contemplata dal 2o co. dell’art. 70, che rinvia
espressamente a quanto statuito nel 1o co. – in
cui il venditore offra al pubblico un diritto che
70
attribuisce il godimento su uno più immobili sulla base di liste, elenchi cataloghi ed altre forme
di comunicazione (v. Villanacci, ibidem, il quale precisa che se l’attività promozionale è realizzata attraverso la predisposizione di opuscoli e
depliants, l’obbligo di cui all’art. in commento
sorge sempre con il primo contatto, e quindi al
momento dell’offerta al pubblico, e non nella
pregressa fase dell’invito ad offrire, pur riconoscendo che in tale seconda ipotesi l’individuazione del preciso momento di riferimento è concretamente più difficoltosa; in arg. v. anche Munari, ivi, 62ss.). n Il legislatore non ha imposto 10
un termine minimo tra la consegna del documento informativo e la stipulazione del contratto, necessario affinché il consumatore possa
esprimere un consenso informato: conseguentemente, nulla impedisce al venditore di far sottoscrivere al consumatore il contratto subito dopo
aver consegnato il documento, vanificandosi in
tal modo la finalità della disposizione (De Cristofaro ivi, 607; v. anche Rossi Carleo, ivi, 627,
la quale sottolinea che in questi contratti non
esiste di fatto trattativa, in quanto il documento
informativo preannuncia nella sostanza il contenuto del regolamento negoziale; conf. Barela,
ivi, 574). Tale problema è in parte risolto dalla
previsione di un più lungo termine per esercitare il diritto di recesso, che il legislatore accorda
al consumatore nell’ipotesi in cui alcuni degli
elementi del documento informativo non vengano riprodotti nel contratto (v. amplius sub art.
73), ma se il venditore non provvede neppure
nei tre mesi successivi alla sottoscrizione dell’accordo, il consumatore che non esercita il diritto
di recesso non dispone di ulteriori strumenti
giuridici per vedere adempiuto l’obbligo informativo. In ogni caso, deve riconoscersi l’applicazione dei rimedi previsti dal c.c., per cui la mancata consegna in un tempo utile potrà eventualmente legittimare una richiesta risarcitoria per
violazione del precetto di buona fede nella fase
delle trattative e, se sussistono gli estremi del
raggiro, l’annullabilità del contratto per dolo.
II. I singoli elementi del documento informativo. n Il documento informativo deve innanzi- 1
tutto contenere indicazioni relative al diritto oggetto del contratto, con specificazione della natura (lett. a). La prescrizione va letta insieme all’art. 72, ai sensi del quale il venditore potrà utilizzare il termine «multiproprietà», anche nel
documento informativo, solo se il diritto è reale:
si tratta quindi di un’indicazione necessaria per
consentire al consumatore di conoscere l’esatta
tipologia di multiproprietà offerta. Dovrà inoltre descrivere la posizione giuridica del titolare
del diritto, come, ad esempio, la comproprietà
dell’unità immobiliare e delle parti comuni del-
70
CODICE DEL CONSUMO
l’edificio, e la comproprietà di eventuali strutture ed infrastrutture del complesso turistico in
cui si trova l’alloggio (Munari, ivi, 55). La natura del diritto – reale o personale – incide anche
sulle condizioni di esercizio del diritto stesso, per
cui il venditore dovrà descrivere con precisione
tutte quelle incombenze che l’acquirente dovrà
assolvere per godere del bene (ad es., con riferimento alla multiproprietà alberghiera, occorrerà evidenziare il carattere indiretto del godimento, e quindi, la necessaria cooperazione del
gestore, l’obbligo di confermare le prenotazione, di pagare le spese, etc.; per la multiproprietà
immobiliare, dovrà indicare l’obbligo di rispettare i regolamenti di comunione e condominio;
per la multiproprietà societaria sarà necessario
specificare se il titolo azionario incorpora il diritto personale di godimento del socio multiproprietario o la legittimazione del socio a stipulare
il separato contratto attributivo del godimento),
e le sue limitazioni, compreso il calendario dei
periodi di godimento (Munari, ibidem, 55; Calice, ivi, 110; Vincenti, Nuove leggi civ. comm.
99, 59, sottolinea la necessità che sia fatta menzione dell’esistenza di eventuali ipoteche o di altre trascrizioni pregiudizievoli, che possano
ostacolare, o addirittura impedire, anche in futuro, l’esercizio del diritto). Tali informazioni
devono essere fornite secondo il sistema giuridico dello Stato in cui si trova il bene: diversamente dalla corrispondente norma comunitaria (art.
3 dir. 1994/47/CE ed il richiamato allegato lett.
b), non si fa riferimento solo agli Stati membri,
per cui l’obbligo sussiste relativamente all’ordinamento di qualsiasi Paese di ubicazione dell’immobile (questa è una delle ragioni per cui in
dottrina si è sottolineato come lo sforzo richiesto al venditore rischi di essere sproporzionato
rispetto all’interesse del consumatore: Giuggioli, Timesharing e multiproprietà, 156; Florit, ivi,
2 75s.). n Il documento deve specificare l’identità,
il domicilio e la qualità giuridica (rappresentante, procuratore, etc.) del venditore (lett. b); se si
tratta di persone giuridiche, occorrerà indicare
le generalità dei legali rappresentanti e la sede
sociale. Se il venditore non coincide con il proprietario dell’immobile, occorre anche l’indicazione dell’identità e del domicilio (ma non della
qualità giuridica) di quest’ultimo: tale situazione
si verifica in tutti i casi in cui il titolare del bene
3 si avvale dell’opera di un promotore. n Per immobile si intende sia la singola unità immobiliare (camera, appartamento), sia l’edificio o il
complesso in cui è collocata, per cui le informazioni devono essere date con riferimento ad entrambe (Munari, ivi, 57s.; Giuggioli, ivi, 157).
Per immobile determinato deve intendersi il
complesso già costruito (o già edificato): secon-
626
do quanto prescritto dalla lett. c) è necessario
che il documento contenga la sua descrizione,
ubicazione e gli estremi del permesso di costruire o altro titolo edilizio (espressione volutamente generica, riferibile sia alle vecchie concessioni
che ai nuovi permessi di costruire, secondo la
nuova terminologia adottata dal t.u. edil. d.p.r.
6-6-2001, n. 380), nonché l’indicazione delle norme regionali che disciplinano l’uso dell’immobile con destinazione turistico-ricettiva (in riferimento alla c.d. multiproprietà alberghiera). Relativamente all’immobile in costruzione (o indeterminato: assolutamente oscure sono le ragioni
che hanno indotto il legislatore a sostituire il riferimento all’«immobile in costruzione», originariamente presente nella lett. d) dell’art. 2, 1o
co., d.lgs. n. 427 del 1998 con l’ambiguo ed inadeguato riferimento all’immobile «non determinato»), di cui alla successiva lett. d), occorrerà
indicare, oltre ai dati richiesti per l’edificio già
costruito e sopra richiamati, lo stato di avanzamento dei lavori, anche di quelli relativi ai servizi (collegamento alla rete di distribuzione di gas,
elettricità, acqua e telefono), ed una stima della
loro durata: è ammesso un margine di errore relativamente alla data indicata per la consegna
nei limiti in cui il ritardo derivi da cause di forza
maggiore o eventi fortuiti, mentre non rilevano
esigenze proprie del venditore (Morello, ivi,
63). Devono inoltre essere indicate le garanzie
relative al rimborso di pagamenti effettuati e le
loro modalità di applicazione. In dottrina tale
disposizione ha creato non pochi dubbi interpretativi. Innanzitutto si è posto il problema di
individuare il tipo di garanzie che deve prestare
il venditore, ed in particolare, se sia consentito
solo l’utilizzo di fideiussioni bancarie o assicurative – come previsto dall’art. 76, 2o co., relativamente alle garanzie per l’ultimazione della costruzione dell’immobile – o anche altre forme di
garanzie: la genericità del precetto depone a favore di questa seconda lettura, anche in forza
della previsione di cui all’art. 1179 c.c., ai sensi
del quale, quando sussiste un obbligo di garanzia senza indicazione del modo e della forma, il
soggetto obbligato può adempiere, oltre che con
idonea garanzia reale o personale, anche prestando altra sufficiente cautela: può pertanto ritenersi ammissibile il deposito delle somme ricevute dal consumatore-acquirente presso un
depositario-terzo, su cui graverà l’obbligo di
consegnarle al venditore o restituirle al consumatore, a seconda che l’immobile venga o meno
realizzato (Ermini, ivi, 433; Florit, ivi, 79; in
senso dubitativo, Giuggioli, ivi, 159). Ambiguo
è altresì il riferimento alle modalità di applicazione delle garanzie: nonostante il riferimento
testuale alla mancata ultimazione dei lavori, non
627
Timesharing immobiliare
è chiaro se il professionista debba prestare garanzie anche per il semplice ritardo: a favore
della soluzione positiva può invocarsi la previsione di cui al n. 1, lett. d), che impone al venditore una stima relativamente ai tempi di consegna. Tra gli elementi da indicare nel documento
informativo il legislatore non ha previsto, a fianco delle garanzie relative al rimborso, quelle per
l’ultimazione dei lavori – che ai sensi dell’art. 76,
2o co., devono essere menzionate nel contratto a
pena di nullità: sul rapporto tra le due disposizioni v., infra, sub art. 76, IV – contravvenendo
in tal modo a quanto previsto dall’allegato alla
dir. 1994/47/CE, lett. d), n. 5, richiamato dall’art.
3, par. 1, dir. Se l’immobile, costruito o in corso
di costruzione, è situato all’estero occorre indicare gli estremi degli atti che garantiscono la loro conformità alle prescrizioni vigenti in mate4 ria. n Il venditore ha l’obbligo di specificare nel
documento informativo i servizi comuni (acqua,
luce, manutenzione, raccolta rifiuti) e le strutture comuni (piscina, sauna e altre) a cui l’acquirente avrà accesso, nonché le condizioni per il
loro utilizzo (lett. e ed f), oltre alle norme che
disciplinano l’amministrazione, la gestione, la
manutenzione e la riparazione dell’immobile
(lett. g). Dovrà quindi essere indicata l’esistenza
di un regolamento di condomino, e l’esistenza di
assemblee per ciascuna unità o per l’intero com5 plesso. n La lett. h) puntualizza i costi che il potenziale acquirente potrà essere chiamato a sostenere in relazione al prodotto acquistato. Innanzitutto il consumatore deve essere preventivamente informato del prezzo globale, comprensivo di IVA (espressione certamente più
precisa rispetto a quella dell’abrogato art. 2 d.lgs. n 427 del 1998, in cui si parlava di «prezzo
che l’acquirente dovrà versare per l’esercizio del
diritto oggetto del contratto»). Il documento deve inoltre contenere la stima dell’importo delle
spese riconducibili al godimento turnario, che
l’acquirente deve sopportare per avvalersi dei
servizi e delle strutture comuni: relativamente ai
costi connessi alla loro fruizione, si è in dottrina
sottolineato che solo l’uso effettivo del servizio
consente di calcolare il costo, e non è pertanto
configurabile una stima preventiva e ragionevolmente attendibile; si è così ritenuto di identificare le spese in questione con quelle connesse
alla semplice disponibilità del servizio e della
struttura, indipendentemente dal loro effettivo
utilizzo (Munari, ivi, 60; conf. Lascialfari, ivi,
335). Deve altresì essere indicata la base per calcolare l’ammontare degli oneri connessi all’occupazione dell’immobile da parte dell’acquirente, delle tasse e imposte, delle spese amministrative accessorie per la gestione, la manutenzione
e la riparazione: è quindi necessario che venga-
70
no indicati i criteri di ripartizione delle spese comuni. Infine, è prescritta l’indicazione delle
eventuali spese di trascrizione del contratto (sui
costi di esercizio del diritto v. Tassoni, I diritti a
tempo parziale su beni immobili, 117ss.). n Nel 6
documento devono essere indicate le informazioni relative al diritto di recesso, con indicazione del soggetto a cui deve essere comunicato,
delle modalità di comunicazione e l’importo
complessivo delle spese, con specificazione di
quelle che dovranno essere rimborsate, oltre alle informazioni riguardanti la risoluzione dell’eventuale contratto di concessione del credito
connesso all’acquisto (lett. i): su tali arg. v. amplius sub artt. 73 e 77. Devono infine essere specificate le altre modalità per ottenere ulteriori
informazioni, quali ad es. i regolamento accessori (lett. l).
III. Inosservanza dell’obbligo di informazione.
n L’inosservanza dell’obbligo informativo di cui 1
al 1o co. dell’art. 70 è sanzionata dal successivo
art. 81, che prevede – salvo che il fatto costituisca reato – una mera sanzione amministrativa,
di importo diverso, da 500 a 3.000 euro, in relazione alla gravità della violazione, nel caso in cui
il venditore contravvenga a quanto previsto nelle lett. a), b), c), n. 1, d), nn. 2 e 3, e), f), g), h) e
i): la genericità del verbo utilizzato («contravviene») consente di ritenere applicabile la sanzione non solo in caso di omissione, ma anche
quando le informazioni sono incomplete o (dolosamente o colposamente) erronee [sull’applicabilità della sanzione amministrativa si esprime
la dottrina prevalente; contra, De Cristofaro,
ivi, 607, secondo il quale – con riferimento al testo originario del d.lgs. n. 427 del 1998 – la norma, laddove richiama l’art. 2 (ora art. 70), va letta nel senso che si applica la sanzione amministrativa quando il venditore, nella redazione del
contratto, contravviene alla norme sopra richiamate. A sostegno di tale interpretazione si invoca il necessario coordinamento con la norma sul
diritto di recesso – art. 5 (ora art. 73), 2o co. –.
Premesso che il contenuto del documento informativo deve essere riprodotto nel contratto, ai
sensi dell’art. 3 (ora art. 71), 2o co., il combinato
disposto delle due disposizioni dovrebbe condurre, secondo questa prospettiva, a ritenere
applicabili, in caso di violazione, due sanzioni
diverse, in relazione al diverso grado di rilevanza attribuito alla presenza di tali elementi nel testo contrattuale: la mancata inclusione dei dati
richiamati nell’art. 5 (ora 73), 2o co., è sanzionata con il prolungamento del termine entro cui il
consumatore può esercitare il diritto di recesso,
mentre la mancata riproduzione degli elementi
specificati nelle lett. d), nn. 2 e 3, e), f), e g), non
contemplati dall’art. 5 (ora art. 73), ma presi in
70
CODICE DEL CONSUMO
considerazione dall’art. 81, è sanzionata con
l’applicazione della sanzione pecuniaria. La soluzione proposta consente così di individuare
una sanzione per la mancata riproduzione di
ogni elemento del documento informativo. Al di
là delle intervenute modifiche nel testo dell’art.
81, tale interpretazione appare comunque difficilmente conciliabile con il dato letterale, che
chiaramente ricollega la sanzione amministrativa alla violazione dell’obbligo legale di fornire
informazioni nella fase precontrattuale]. Non è
contemplata alcuna specifica sanzione amministrativa in caso di mancata consegna del documento informativo: tuttavia, posto che in tale
ipotesi il venditore, nella sostanza contravviene
alle norme elencate, può interpretarsi estensivamente l’art. 81, ed applicare la sanzione massi2 ma. (v. amplius sub art. 81). n Nonostante la
previsione dell’obbligo di consegnare un documento informativo completo, chiaro e trasparente non sia accompagnata dalla predisposizione di specifiche sanzioni sul piano negoziale, la
dottrina è concorde nel sostenere che la condotta del venditore possa comunque provocare
conseguenze sia sotto il profilo risarcitorio, sia
sotto il profilo della validità del contratto eventualmente concluso. Escluso che, nelle ipotesi in
cui sia stato comunque stipulato il contratto,
possa riconoscersi in capo al consumatore un
prolungamento del termine per esercitare il diritto di recesso, in quanto l’art. 73 ricollega tale
effetto alla incompletezza del testo contrattuale,
e non anche del documento informativo, si ritiene possano trovare applicazione i rimedi generali previsti dal c.c.; in particolare, se il documento è incompleto, o alcuni degli elementi sono indicati in modo (dolosamente o colposamente) erroneo, o ancora il documento non
venga affatto consegnato, ovvero venga consegnato ma redatto in una lingua diversa da quella
prescritta (v. anche infra, 3), è possibile configurare il sorgere di una responsabilità per culpa in
contrahendo, in quanto l’inadempimento (anche colposo) di un obbligo legale di informazione costituisce un comportamento contrario a
buona fede ex art. 1337 c.c., con conseguente diritto del consumatore al ristoro del pregiudizio
subito, nei limiti dell’interesse negativo (diritto
che deve riconoscersi anche nell’ipotesi in cui,
nonostante il comportamento scorretto del venditore, comunque si sia addivenuti alla conclusione di un contratto valido ed efficace: Giuggioli, in De Nova - Giuggioli - Leo, La multiproprietà, 22s.; Ciatti, ivi, 524s.). Sul piano della
validità del contratto di timesharing eventualmente concluso, benché il mancato o inesatto
adempimento, da parte del venditore, dell’obbligo di cui all’art. 70 non sia di per sé causa di
628
invalidità dell’atto, non si esclude che il consumatore possa chiederne l’annullamento qualora
la condotta del venditore abbia determinato nel
contraente un vizio nel procedimento formativo
della volontà: è cioè possibile, qualora ne ricorrano gli estremi, ottenerne l’annullamento per
errore o dolo (si tratterebbe, in tal caso, di dolo
omissivo, derivante dalla reticenza del venditore
che viola l’obbligo legale di fornire informazioni
su di lui gravante ex art. 70). Se la violazione
dell’obbligo informativo è stata intenzionale,
ma non è stata determinante del consenso del
consumatore, questi potrà comunque agire ai
sensi dell’art. 1440 c.c. (De Cristofaro, ivi, 607;
v. anche Munari, ivi, 82ss., che ipotizza la possibilità di riconoscere natura contrattuale alla responsabilità del venditore, in forza dello stretto
collegamento esistente, dal punto di vista contenutistico, tra documento informativo e contratto; Giuggioli, Timesharing e multiproprietà,
163s.; Lascialfari, ivi, 341ss.; Di Rosa, Proprietà e contratto, 217). n Relativamente all’inosser- 3
vanza della prescrizione linguistica di cui al 4o
co. dell’art. 70, parte della dottrina ritiene configurabile una responsabilità per culpa in contrahendo del venditore, ma esclude che possa
avere ripercussioni sulla validità del contratto
eventualmente concluso, in quanto trattasi di
una prescrizione relativa alla fase precontrattuale (v. gli autori citati supra, 2, cui adde Cicala, Lingua straniera e testo contrattuale, 106;
contra Barela ivi, 586, secondo la quale la formulazione del documento informativo in una
lingua non comprensibile all’acquirente è causa
di nullità del successivo contratto eventualmente stipulato, in quanto l’acquirente, non beneficiando dell’informativa, non può avere formato
scientemente la propria volontà. Contro tale ricostruzione può tuttavia obiettarsi che se la nullità dovesse discendere dalla circostanza che il
consumatore non ha potuto manifestare un consenso informato, allora quella sanzione dovrebbe applicarsi anche in caso di mancata consegna
del documento informativo, e più genericamente in tutte le ipotesi in cui, per incompletezza o
erroneità del documento stesso, il consumatore
non ha formato consapevolmente la propria volontà. Tuttavia, la presenza di una dichiarazione
negoziale, ancorché viziata nel suo procedimento formativo esclude che possa ravvisarsi nella
fattispecie un’ipotesi di nullità; piuttosto potrà
ammettersi l’annullabilità del contratto qualora
ne ricorrano gli estremi in base alla disciplina
del codice civile). n L’inosservanza da parte del 4
professionista dell’obbligo legale di informazione di cui all’art. 70 legittima il consumatore ad
interrompere le trattative, a prescindere dal livello di maturazione raggiunto, senza alcuna
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Timesharing immobiliare
5 conseguenza risarcitoria a suo carico. n L’obbli-
go di consegnare il documento informativo grava certamente anche sul promotore, mentre
qualche perplessità desta un’eventuale responsabilità per l’inesattezza o la non veridicità delle
informazioni in esso contenute, posto che vengono fornite da un soggetto terzo (proprietario
o costruttore). Pur riconoscendo in capo all’intermediario anche l’obbligo di verificare la correttezza e la veridicità di quanto indicato nel documento, in dottrina si ritiene che il promotore
possa considerarsi responsabile per l’erroneità
dei dati a cui può accedere direttamente (relativamente ai quali grava su di esso un’obbligazione di risultato), nonché per quelli forniti dal
proprietario o dal costruttore la cui inesattezza
sarebbe emersa a seguito di un esame diligente
(in tal caso si tratta di obbligazione di mezzi)
(Giuggioli, De Nova - Giuggioli - Leo, La
multiproprietà, 23s.; conf. Lascialfari, ivi, 343).
6 n Poiché il documento informativo rientra nella
nozione di «pratica commerciale», e tenuto conto che la consegna di un documento completo e
veritiero è oggetto di un obbligo legale di informazione previsto dal diritto comunitario, le informazioni in esso contenute sono considerate
rilevanti sulla base di un giudizio di valutazione
ex ante, ed è esclusa ogni forma di discrezionalità in merito, secondo quanto prescritto dall’art.
22, 5o co.: ne consegue, pertanto che il mancato
inserimento di un qualsiasi elemento elencato
nell’art. 70 integra un’omissione ingannevole ai
sensi dell’art. 22.
IV. Le modifiche al contenuto del documento
1 informativo. n Il 3o co. dell’art. 70 vieta al venditore di modificare unilateralmente il contenuto del documento informativo, salvo in casi eccezionali (v. infra, 2), al fine di evitare che l’acquirente riceva «sorprese all’ultimo minuto», e
stipuli un contratto con contenuto difforme dal
documento informativo. Il venditore deve quindi assicurare, nei limiti del possibile, la corrispondenza tra il contenuto del documento informativo e il regolamento contrattuale: in tal modo si garantisce al consumatore un’informazione preventiva precisa e completa (Munari, ivi,
50, che definisce il documento come base tendenzialmente definitiva per lo svolgimento delle
trattative; così anche Scardigno, Tr. Rescigno2,
VII, 295; si v. altresì Rossi Carleo, ivi, 627, secondo la quale il documento informativo si profila come anticipazione e integrazione del regolamento contrattuale, in quanto proteso a predi2 sporre il contenuto del contratto). n La modifica
unilaterale è eccezionalmente ammessa quanto
è resa necessaria da circostanze non dipendenti
dalla volontà del venditore: le modifiche devono
però essere, in tal caso, comunicate al consuma-
70
tore interessato prima della stipulazione del
contratto, ed inserite nel testo del regolamento
contrattuale. Diversamente dalla corrispondente norma comunitaria (art. 3, par. 2, dir. 1994/47/
CE), in base alla quale le modifiche avrebbero
dovuto trovare esplicita indicazione nel contratto, il 3o co. dell’art. 70 dispone che debbono essere semplicemente inserite nel testo contrattuale, per cui possono facilmente confondersi, dal
punto di vista grafico, con le altre previsioni
contrattuali: l’espressa indicazione (ad es. in
grassetto, o comunque con caratteri diversi da
quelli utilizzati per il regolamento negoziale)
avrebbe invece attirato, anche visivamente, l’attenzione dell’acquirente, inducendolo eventualmente a chiedere ulteriori informazioni e chiarimenti, in ossequio all’esigenza di trasparenza e
chiarezza che dovrebbe permeare l’intera disciplina (Vincenti, ivi, 61). n Sono invece legittime 3
le modifiche concordate dalle parti di qualsiasi
elemento del documento; proprio tale possibilità, nonché la soppressione dell’obbligo di indicare esplicitamente tali rettifiche nel regolamento contrattuale, hanno indotto parte della
dottrina a ritenere che la conclusione di un contratto contenente modificazioni non previamente comunicate all’acquirente possa essere interpretata nel senso di volontà tacita di rettificazione (Giuggioli, Timesharing e multiproprietà,
162). n Il rifiuto del venditore alla stipulazione 4
del contratto a causa del mancato consenso dell’acquirente alla modificazione degli elementi
inseriti nel documento integra un’ipotesi di interruzione ingiustificata delle trattative, ed è
fonte di responsabilità precontrattuale ex art.
1337 c.c. (Giuggioli, in De Nova - Giuggioli Leo, La multiproprietà, 26; Florit, ivi, 85). n 5
L’inosservanza di tale prescrizione – e, quindi,
l’inserimento di modifiche non necessarie, o non
comunicate alle parti interessate, o non concordate – determina, nella sostanza, una difformità
tra il contenuto del documento informativo consegnato al consumatore ed il contratto, e quindi
si risolve in una violazione anche dell’art. 71, a
mente del quale il contratto deve contenere tutti
gli elementi di cui all’art. 70. Tale condotta, tuttavia, non è in alcun modo sanzionata dalla disciplina in commento, né con l’applicazione di
sanzioni pecuniarie, né con un prolungamento
del termine entro cui il consumatore può recedere da contratto (prolungamento previsto solo
nel caso in cui non vengano riprodotti alcuni degli elementi di cui all’art. 70: v. amplius sub art.
71). Parte della dottrina afferma che nel caso in
cui il venditore ponga in essere modifiche unilaterali al di fuori delle ipotesi eccezionali legislativamente ammesse, sia necessario, ancora una
volta, invocare i principi generali previsti dal
71
CODICE DEL CONSUMO
c.c., per cui il consumatore potrà pretendere il
risarcimento del danno per violazione, nella fase
delle trattative, del canone di buona fede ex art.
1337 c.c., e, qualora sussistano gli estremi, potrà
agire per l’annullamento del contratto per errore e dolo (Sirgiovanni, ivi, 520; Caselli, La
multiproprietà. Commento, 21; Marasco, ivi,
1064ss.; Morello, ivi, 65; Villanacci, ivi, 252s.;
Ciatti, ivi, 524, il quale ritiene eccessivo andare
oltre la previsione del rimedio risarcitorio e ritenere inefficaci le modifiche apportate. Ritengono che nel caso di specie possa ipotizzarsi un vero e proprio inadempimento contrattuale da
parte del venditore Tassoni, ivi, 212; Scardigno, ivi, 295): tale prospettiva implica, in sostanza, che in caso di difformità fra documento informativo e contratto prevalgono le clausole inserite al momento della stipulazione del contratto stesso. Contro tale ricostruzione si è obiettato
che il divieto di modifiche unilaterali ha senso
solo se si muove dal presupposto che il contenuto del documento informativo è parte integrante
del regolamento contrattuale, ed è pertanto vincolante per le parti, sia nel senso che la clausole
non riprodotte devono comunque considerarsi
applicabili, sia nel senso che in caso di difformità (non giustificata ex art. 70, 3o co.) possono
eventualmente considerarsi prevalenti. Alla base di questa interpretazione si colloca la grave
lacuna del legislatore italiano, che non ha dato
espressa attuazione alla prescrizione di cui all’art. 3, par. 2, dir. 1994/47/CE, che imponeva
agli Stati membri di stabilire, nelle normative di
71
630
recepimento, che tutte le informazioni da inserirsi nel documento dovessero considerarsi
«parte integrante del contratto»; non è, dunque,
stato esplicitamente previsto alcun inserimento
automatico. Tale lacuna si ritiene superabile
proprio ammettendo che la vincolatività del documento informativo sia implicitamente presupposta dal divieto di cui all’art. 70, 3o co.: il divieto per il professionista di modificare, al di fuori
dei casi eccezionali espressamente previsti, il
documento informativo al momento della redazione del contratto ha senso, secondo questa
prospettiva, solo riconoscendone l’obbligatorietà e l’automatica applicabilità. Tale lettura – che
si ritiene imposta dalla necessità di interpretare
la normativa in commento in senso conforme alla direttiva a cui dà attuazione – comporta che le
clausole del documento informativo sono operative anche in caso di mancata riproduzione, e
in caso di difformità (salvo si tratti clausole concordate o imposte da circostanze non riconducili
alla sfera di controllo del venditore, certamente
ammissibili) i dubbi andranno risolti alla luce
del criterio di cui all’art. 35, 2o co., e quindi con
prevalenza dell’interpretazione più favorevole
al consumatore (De Cristofaro, ivi, 607s.; sembra ammettere un inserimento automatico anche Di Rosa, ivi, 218; in senso critico Lascialfari, ivi, 360ss.; ritiene che in caso di difformità tra
documento e contratto il primo debba considerarsi prevalente ex art. 35 se più favorevole per
il consumatore anche Barela, ivi, 582).
Requisiti del contratto. 1. Il contratto deve essere redatto per iscritto a pena di nullità; esso è redatto nella lingua italiana e tradotto nella lingua o in una delle lingue dello Stato membro in cui risiede l’acquirente oppure, a scelta di quest’ultimo, nella lingua o in
una delle lingue dello Stato di cui egli è cittadino, purché si tratti di lingue ufficiali dell’Unione
europea.
2. Il contratto contiene, oltre a tutti gli elementi di cui all’articolo 70, comma 1, lettere da a)
a i), i seguenti ulteriori elementi:
a) l’identità ed il domicilio dell’acquirente;
b) la durata del contratto ed il termine a partire dal quale il consumatore può esercitare il
suo diritto di godimento;
c) una clausola in cui si afferma che l’acquisto non comporta per l’acquirente altri oneri,
obblighi o spese diversi da quelli stabiliti nel contratto;
d) la possibilità o meno di partecipare ad un sistema di scambio ovvero di vendita del diritto oggetto del contratto, nonché i costi eventuali qualora il sistema di scambio ovvero di
vendita sia organizzato dal venditore o da un terzo da questi designato nel contratto;
e) la data ed il luogo di sottoscrizione del contratto.
3. Il venditore deve fornire all’acquirente la traduzione del contratto nella lingua dello Sta-
79
CODICE DEL CONSUMO
di diritto della risoluzione del contratto di concessione di credito. Sono inoltre nulle le clausole che derogano alla competenza territoriale determinata ai sensi dell’art. 79, nonché quelle che
non riconoscono le condizioni di tutela previste
dalla normativa qualora le parti abbiano scelto
di applicare al contratto una legislazione diversa
da quella italiana, ai sensi dell’art. 80. L’art. 78,
nella parte in cui nega validità alle clausole di
esonero da responsabilità, costituisce applicazione specifica del principio generale di cui all’art. 1229 c.c.: deve peraltro sottolinearsi che la
norma speciale ha una sfera di operatività più
ampia, sanzionando con la nullità anche le clausole che limitano o escludono la responsabilità
del professionista per colpa lieve. Non rientrano
invece nella previsione di cui all’art. 78 le clausole con cui le parti escludono o limitano la responsabilità del venditore o del promotore in
relazione all’inadempimento di obblighi non
previsti dalla legge, ma liberamente assunti dal
professionista nei confronti dell’acquirente:
queste clausole, però, se rientrano nella black
list di cui all’art. 36, saranno nulle quantunque
4 oggetto di trattativa. n La nullità di cui all’art. 78
opera anche con riguardo a tutti quegli atti e
patti con cui si introducono deroghe alla disciplina in tema di timesharing (per tale interpre5 tazione della disposizione v. supra, I, 2). n Alla
nullità della clausola si accompagna una sanzione amministrativa: la violazione dell’art. 78 è
punita anche con sanzione pecuniaria, ai sensi
dell’art. 81, 1o co.
IV. Il regime della nullità applicabile al contratto di timesharing: rapporti con l’art. 143 e
con i principi generali dell’ordinamento giuri1 dico. n Con l’entrata in vigore del c.cons. la
previsione di cui all’art. 78 (anche in forza della
ampia sfera di operatività della disposizione ricostruita in via interpretativa dalla dottrina con
riferimento al previgente art. 9 d.lgs. n. 427 del
654
1998) è divenuta sostanzialmente superflua: l’irrinunciabilità dei diritti attribuiti dal c.cons. e
l’inderogabilità della disciplina in esso contenuta è infatti prevista con il precetto generale di
cui all’art. 143, per cui un’attenta opera di coordinamento avrebbe dovuto comportare la sua
abrogazione. Deve tuttavia segnalarsi che la
coesistenza delle due disposizioni non crea particolari difficoltà interpretative ed applicative,
in quanto la norma c.d. speciale è sostanzialmente identica al precetto generale: per la ricostruzione del regime applicabile alla nullità che
colpisce gli atti con cui si introducono deroghe
alle disposizione del c.cons. – e quindi anche agli
artt. 69-81 – si rinvia, pertanto, al commento sub
art. 143, in particolare per le valutazioni in ordine alla legittimazione ad agire, alla rilevabilità
d’ufficio e alle ripercussioni della declaratoria di
nullità della singola clausola sull’intero contratto in cui è inserita (sotto questo ultimo profilo
occorre ribadire che la normativa relativa al timesharing contiene una deroga all’art. 78 e,
quindi all’art. 143, laddove estende la nullità all’intero contratto per la mancata menzione
espressa delle garanzia fideiussorie, secondo
quanto previsto dall’art. 76, 3o co.). n Sono inve- 2
ce sottratte alla sfera di operatività dell’art. 78
(e, quindi, dell’art. 143), e al conseguente regime di nullità ricostruito in via interpretativa,
quelle ipotesi in cui l’invalidità del contratto, ancorché prevista dalla disciplina del contratto di
timesharing, sia comunque riconducibile al regime normativo generale: in caso di inosservanza
della forma scritta di cui all’art. 1350 c.c. (di cui
l’art. 71 costituisce una puntuale applicazione) o
di mancanza di un elemento essenziale del contratto trova, dunque, applicazione la disciplina
prevista dagli artt. 1418 ss., con conseguente legittimazione ad agire assoluta e rilevabilità d’ufficio illimitata.
79
Competenza territoriale inderogabile. 1. Per le controversie derivanti dall’applicazione del presente capo, la competenza territoriale inderogabile è del giudice del
luogo di residenza o di domicilio dell’acquirente, se ubicati nel territorio dello Stato.
Sommario: I. Osservazioni generali. Ambito di applicazione della disposizione. - II. Il giudice competente per territorio a conoscere delle controversie inerenti a contratti di timesharing immobiliare stipulati da consumatori residenti o domiciliati in Italia. - III. Il giudice competente per territorio a conoscere delle controversie inerenti a contratti di timesharing immobiliare stipulati da consumatori non
domiciliati né residenti in Italia e ciononostante spettanti (in via eccezionale) alla competenza giurisdizionale dell’autorità giudiziaria italiana.
I. Osservazioni generali. Ambito di applica1 zione della disposizione. n L’art. in commento
reca una disposizione che il legislatore italiano
ha introdotto di sua spontanea ed autonoma ini-
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Timesharing immobiliare
ziativa, senza essere a ciò obbligato dalla dir.
1994/47/CE, la quale non affronta affatto il problema dei criteri di individuazione del giudice
nazionale competente per territorio a conoscere
delle controversie inerenti ai contratti che rientrano nel suo ambito di operatività. n Il legislatore italiano ha così ripetuto, anche per i contratti aventi ad oggetto l’attribuzione di diritti di
godimento ripartito di beni immobili, la scelta
fatta per i contratti conclusi fuori dai locali commerciali e per i contratti stipulati a distanza, con
riferimento ai quali l’art. 63 c.cons. reca una disposizione sostanzialmente identica a quella inserita nell’art. in commento. n La disposizione
vale soltanto per i giudizi civili, non invece per i
procedimenti amministrativi instaurati per l’accertamento delle infrazioni e l’irrogazione delle
sanzioni di cui all’art. 81 c.cons. n L’art. in commento trova applicazione non soltanto alle controversie che il consumatore instauri nei confronti del professionista/venditore lamentando
la violazione di una o più disposizioni inserite
nel Capo I del Titolo IV della Parte III del
c.cons. (e segnatamente negli artt. 69-78 c.cons.)
ovvero facendo valere diritti e pretese fondate
su di una di tali disposizioni (in primis, proprio il
diritto di recesso e i diritti conseguenti al suo
esercizio, di cui all’art. 73 c.cons.), ma a qualsiasi
controversia instaurata (a prescindere dalla circostanza che la parte attrice sia il consumatore o
il professionista/venditore) per far valere diritti
fondati su di un contratto (e/o sul mancato o
inesatto adempimento di un contratto) suscettibile di essere ricompreso nella nozione di cui all’art. 69, lett. a), c.cons., quand’anche si tratti di
diritti contemplati da disposizioni diverse dagli
artt. 69-78 c.cons. (ad es., giudizio promosso dal
venditore per ottenere la condanna del consumatore al pagamento del corrispettivo pattuito
per l’acquisto del diritto di godimento ripartito
e/o la risoluzione del contratto per mancato
adempimento della relativa obbligazione; giudizio promosso dal consumatore per ottenere la
condanna del professionista alla consegna dell’immobile ovvero – trattandosi di compravendite – per ottenere la risoluzione del contratto o
la riduzione del prezzo in applicazione della garanzia per vizi o per evizione o per la riscontrata
mancanza, nell’immobile, di qualità essenziali o
promesse; ancora, giudizio instaurato per ottenere l’annullamento del contratto per vizi del
volere, etc.). n Affinché l’art. in commento possa trovare applicazione, è inoltre indispensabile
che il consumatore/acquirente – nel momento
della proposizione della domanda giudiziale con
la quale la controversia viene instaurata – abbia
il proprio domicilio o la propria residenza nel
territorio dello Stato italiano. n Presupposto im-
79
plicito è ovviamente che, in applicazione dei criteri dettati dal reg. CE n. 44/2001, la controversia appartenga alla competenza giurisdizionale
dell’autorità giudiziaria italiana, ciò che ad es.
deve escludersi quando un consumatore residente o domiciliato in Italia abbia stipulato un
contratto per l’acquisto di un diritto di godimento ripartito su di un immobile situato all’estero e
in relazione a tale contratto venga instaurata
una controversia suscettibile di essere considerata vertente «in materia di diritti reali immobiliari e di contratti d’affitto di immobili» nel senso di cui all’art. 22, n. 1, del reg. CE n. 44/2001,
nel qual caso la competenza giurisdizionale
spetta in via esclusiva all’autorità giudiziaria
dello Stato nel quale l’immobile è situato (cfr.
anche infra, sub III, 3).
II. Il giudice competente per territorio a conoscere delle controversie inerenti a contratti di
timesharing immobiliare stipulati da consumatori residenti o domiciliati in Italia. n Ancorché l’art. non lo statuisca espressamente, quella
in esso contemplata è una competenza esclusiva,
sicché alle controversie soggette alla disposizione non si applica nessuna delle regole sulla competenza territoriale dettate dal c.p.c., nemmeno
quelle dettate dall’art. 21 c.p.c. (così anche Marasco, Comm. Franzoni, 365). n Trattasi altresì
di una competenza inderogabile: ne consegue
che, diversamente dal principio generale desunto dalla giurisprudenza dalla statuizione contenuta nella lett. u) del 2o co. dell’art. 33 c.cons.
(in forza del quale le controversie inerenti a
qualsivoglia contratto stipulato da un consumatore con un professionista appartengono alla
competenza territoriale esclusiva del giudice del
luogo di residenza o domicilio del consumatore), il precetto dettato dall’art. in commento
non può essere derogato nemmeno attraverso
pattuizioni concluse a seguito e sulla base di una
trattativa individuale intercorsa fra consumatore e professionista (C 01/10086; Tassoni, Tr.
Gabrielli-Minervini, 849s.; Busoni, Comm. Vettori, 681): qualsiasi pattuizione derogatoria sarebbe pertanto nulla ex art. 143, 1o co., c.cons. n
Sembra peraltro doversi ritenere che il giudice
(diverso da quello del luogo di residenza o domicilio del consumatore) eventualmente adito
dal consumatore o dal professionista (in conformità alla clausola derogatoria) non possa dichiarare d’ufficio la nullità di tale clausola (e conseguentemente declinare la propria competenza)
se, dopo averne accertato (d’ufficio) la inammissibilità e aver informato il consumatore della
possibilità di dichiararne la nullità, il consumatore medesimo ciononostante si opponga a tale
declaratoria e manifesti la volontà di svolgere il
procedimento presso il giudice adito. n Il domi-
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CODICE DEL CONSUMO
cilio cui la norma fa riferimento è soltanto quello effettivo, e non quello elettivo (Ermini,
Comm. Cuffaro, 458). n Sugli ulteriori profili
processuali della norma in commento, che come
già ricordato è formulata in termini identici a
quella dell’art. 63 c.cons., v. amplius il commento a quest’ultima disposizione.
III. Il giudice competente per territorio a conoscere delle controversie inerenti a contratti di
timesharing immobiliare stipulati da consumatori non domiciliati né residenti in Italia e ciononostante spettanti (in via eccezionale) alla
competenza giurisdizionale dell’autorità giudiziaria italiana. n Quanto alle controversie inerenti a contratti di timesharing immobiliare stipulati da consumatori che non abbiano in Italia
né la residenza né il domicilio, un problema di
individuazione del giudice competente per territorio può evidentemente porsi soltanto nell’ipotesi in cui debba riconoscersi che le controversie
in questione appartengono (anche, o soltanto)
alla competenza giurisdizionale dell’autorità
giudiziaria italiana, e non dell’autorità giudiziaria di uno Stato diverso dall’Italia. n Ciò deve in
linea di principio escludersi tutte le volte in cui il
contratto di timesharing sia stato concluso dal
consumatore (non residente in Italia) con un
professionista (con sede in Italia) che svolga le
proprie attività commerciali o professionali nello Stato in cui il consumatore medesimo è domiciliato o comunque «diriga» tali attività, con
qualsiasi mezzo, verso tale Stato membro (o
verso una pluralità di Stati che comprenda tale
Stato membro): in questi casi, infatti, la competenza giurisdizionale a conoscere della controversia spetta necessariamente all’autorità giudiziaria dello Stato nel quale il consumatore è domiciliato se a promuovere la domanda è il professionista, mentre se ad instaurare la lite è il
consumatore quest’ultimo può scegliere se radicarla davanti ai giudici dello Stato nel quale è
domiciliato ovvero davanti ai giudici dello Stato
nel quale il professionista ha la propria sede
(art. 15, 1o co., lett. c), e art. 16, reg. CE n.
44/2001). n Soltanto nelle ipotesi in cui la controversia inerente al contratto di timesharing si
presti ad essere considerata come una controversia «in materia di diritti reali immobiliari e di
contratti d’affitto di immobili» nel senso di cui
all’art. 22, n. 1, del reg. CE n. 44/2001 (ciò che
deve peraltro sicuramente negarsi sia nei casi in
cui il contratto attribuisca al consumatore – oltre al diritto di godimento dell’immobile – anche il diritto alla fruizione di una serie di servizi
di valore pari o superiore all’immobile, sia nel-
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l’ipotesi in cui quello stipulato dal consumatore
sia un contratto di adesione a un club che, a
fronte della corresponsione di un prezzo globale, consenta agli aderenti di acquisire un diritto
di uso a tempo parziale su un bene immobile designato unicamente per tipo e ubicazione e preveda l’iscrizione degli aderenti ad un’organizzazione che consenta uno scambio del loro diritto
d’uso: CG 13-10-2005, in causa C-73/04, Klein),
deve ritenersi che essa spetti alla competenza
giurisdizionale esclusiva dell’autorità giudiziaria
dello Stato nel quale l’immobile è situato, quale
che sia lo Stato nel quale le parti sono domiciliate. n Nelle ipotesi (tendenzialmente eccezionali) 4
in cui la controversia relativa ad un contratto di
timesharing immobiliare stipulato da un consumatore non residente in Italia appartenga alla
competenza giurisdizionale del giudice italiano,
occorre distinguere. Qualora ciò sia dovuto alla
circostanza che l’immobile si trova in Italia e
che la controversia verte «in materia di diritti
reali immobiliari e di contratti d’affitto di immobili», nel senso di cui all’art. 22, n. 1, del reg. CE
n. 44/2001, il giudice competente per territorio
dovrebbe essere quello del luogo in cui è situato
l’immobile. Qualora per contro ciò sia dovuto
alla circostanza che il consumatore residente all’estero decide di convenire in giudizio la propria controparte (professionista la cui sede di
trovi in Italia) davanti ai giudici dello Stato italiano (anziché davanti ai giudici dello Stato in
cui è domiciliato), avvalendosi dell’opzione in
tal senso accordatagli dall’art. 16, reg. CE n. 44/
2001, il giudice competente per territorio è
senz’altro quello del luogo nel quale si trova la
sede del professionista. Infine, qualora ciò sia
dovuto alla circostanza che non ricorrono i presupposti contemplati dall’art. 15, 1o co., lett. c),
del reg. CE n. 44/2001 e la controversia appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice italiano (trattandosi di contratti aventi ad oggetto beni immobili situati nel territorio italiano
che un professionista con sede in Italia abbia stipulato con un consumatore residente all’estero
nell’esercizio di un’attività imprenditoriale che
non viene svolta nel territorio dello Stato in cui
il consumatore risiede né viene in alcun modo
«diretta» verso tale Stato), il giudice competente per territorio è, alternativamente, quello del
luogo in cui ha sede il professionista ovvero
(ove diverso) quello del luogo in cui si trova
l’immobile oggetto del diritto di godimento a
tempo parziale attribuito al consumatore dal
contratto.
114
CODICE DEL CONSUMO
l’interpretazione dell’art. 13, dir. e quella dell’art. 153 Tr. CE proposte dai giudici di Lussemburgo, in quanto contrastanti con i principi di
sussidiarietà e di proporzionalità, oltre che con
il principio di promozione di una più elevata tutela dei consumatori (Cafaggi, DPE Lipari, IV,
535). In quest’ottica l’art. 13 avrebbe come
obiettivo quello di salvaguardare i principi generali degli ordinamenti giuridici degli Stati
membri e di consentire contestualmente agli
Stati uno sviluppo delle politiche di tutela dei
consumatori coerente con i principi di diritto
europeo. Ne consegue che la funzione delle opzioni lasciate agli Stati è semplicemente quella
di individuare le aree nelle quali è consentito ridurre la tutela. Dove, invece, le opzioni non
vengono definite dalla dir., gli Stati possono
esercitare la loro discrezionalità nella direzione
di una maggiore tutela dei consumatori (Cafag9 gi, ivi, 536). n In una posizione intermedia si pone l’opinione di Castronovo, DPE CM, II, 229,
secondo cui la dir. non sembrerebbe compromettere un trattamento più favorevole al danneggiato quando questo sia previsto da una normativa nazionale anteriore alla disciplina comunitaria, mentre impedirebbe un trattamento non
uniforme quando derivi da una disciplina interna adottata in un momento successivo alla noti10 fica della dir. n La nostra giurisprudenza non
sembra volersi far carico della complessità della
questione: cfr. C 05/8981, D. e resp. 06, 261 nt.
Bitetto, secondo cui la disciplina della responsabilità da prodotti difettosi si affianca e non si
sostituisce alla previsione codicistica della re-
114
Responsabilità del produttore.
nato da difetti del suo prodotto.
750
sponsabilità per danno ingiusto. Ancora più decisi i toni utilizzati dai giudici di merito: v. T.
Venezia 14-2-2005, D. e resp. 05, 1125, in cui si
afferma che la disciplina del d.p.r. 224/1988, lungi dal costituire il diritto comune in materia, è
soltanto uno degli strumenti approntati dal sistema giuridico a tutela dell’utilizzatore di un
prodotto viziato; Trib. Roma 12-5-2004, Resp.
civ. prev., 05, 217ss., nt. Della Bella. Per una
più approfondita analisi del dato giurisprudenziale v. infra, sub art. 127, II. n Dal 18o conside- 11
rando alla dir. emerge con chiarezza il compito,
in capo alla Commissione, di monitorare costantemente l’applicazione della disciplina comunitaria, anche per la formulazione di eventuali
proposte di modifica. Ne sono derivate, fino ad
oggi, tre relazioni: la prima del 13 dicembre
1995 [doc. Commissione COM (95) 617]; la seconda del 31-1-2001 [doc. Commissione COM
(2000) 893 def]; la terza del 14-9-2006 [doc.
Commissione COM (2006) 496 def.]. In arg. v.
Fairgrieve - Hovells, Mod. Law. Rw. 07, 962ss.
n Merita segnalazione il Libro Verde del 28 lu- 12
glio 1999 sulla responsabilità civile per danno da
prodotti difettosi, con cui la Commissione si è
posta lo scopo di valutare gli effetti connessi all’applicazione della dir. e i relativi costi e benefici per quanto riguarda, in particolare, il livello
di protezione offerto ai danneggiati e ai costi sostenuti dalle imprese. Altra finalità è quella di
individuare gli aspetti che meritano una revisione. Un’analisi dettagliata può leggersi in Bellisario, Comm. ARC, 739.
1. Il produttore è responsabile del danno cagio-
Sommario: I. Natura della responsabilità. - II. La legittimazione attiva al risarcimento del danno derivante da prodotto difettoso. - III. La giurisprudenza applicativa del d.p.r. n. 224 del 1988. - IV. I criteri
di individuazione della legge nazionale applicabile alla responsabilità del produttore. - V. Un’analisi
comparata (cenni).
1 I. Natura della responsabilità. n La norma in
epigrafe configura, in piena sintonia con la dir.
1985/374/CEE e con formulazione identica rispetto alla previgente normativa (art. 1 d.p.r. n.
224 del 1988), nel caso di danni derivanti da prodotto difettoso, una responsabilità extracontrattuale del produttore a prescindere da eventuali
rapporti negoziali pregressi tra il soggetto danneggiato e il produttore stesso (Castronovo, La
nuova resp. civ.3, 687ss.; Stella, Resp. civ. prev.
2 06, 1590; Cafaggi, DPE Lipari, IV, 555ss.). n La
norma sembrerebbe contenere una negazione
del fondamento colpevole della responsabilità
del produttore a favore di un modello oggettivo
(c.d. strict liability), che si basa sul mero rapporto di causalità tra il difetto del prodotto e il danno. In realtà, per capire la reale portata del principio fissato dall’art. in commento è necessario
richiamare altre norme-chiave, ora contenute
nel Codice del Consumo: l’art. 117 che chiarisce
quando un prodotto deve considerarsi difettoso
(e cioè quando non offre la sicurezza che ci si
può legittimamente attendere tenuto conto di
tutta una serie di circostanze indicate dalla di-
751
Responsabilità per danno cagionato da prodotti difettosi
sposizione stessa); l’art. 118 contenente le ipotesi in cui la responsabilità del produttore è esclusa; l’art. 120 che impone al danneggiato la dimostrazione del difetto, del danno e del nesso di
causalità tra il primo e il secondo. È, infatti, importante sottolineare come le cause di esclusione della responsabilità prescindano dall’assenza
3 di colpa: Castronovo, ibidem. n Premesso che
la responsabilità oggettiva non è una categoria
definibile in astratto in termini unitari, ma comprende diversi sistemi come la responsabilità assoluta (che non ammette la prova liberatoria a
favore del produttore e ricomprende normalmente anche la responsabilità per i c.d. rischi da
sviluppo) e la responsabilità per rischio di impresa (finalizzata a rendere il produttore responsabile per i danni causati dal prodotto, senza la necessità di ulteriori indagini circa la sussistenza nel caso concreto di un difetto), deve evidenziarsi come la responsabilità oggettiva prevista dalla norma in commento venga circoscritta
all’esistenza di un difetto, che viene a giocare un
ruolo da protagonista, e non invece agganciata
con immediatezza all’esistenza di un pregiudizio
sofferto dall’utente. Si tratta di una responsabilità oggettiva relativa poiché si consente al produttore di escluderla o quando – facendo riferimento ai tre criteri contemplati al 1o co., art. 117
c.cons. – riesca a provare nel prodotto difettoso
il possesso della sicurezza che ci si può legittimamente attendere dallo stesso oppure nelle sei
ipotesi elencate all’art. 118 c.cons. (Castronovo, ivi, 700; Alpa, Il diritto dei consumatori,
372ss.; Id., Contr. imp. 88, 573; Cabella Pisu,
Contr. imp. 08, 631. Viene definita oggettiva e
relativa anche nel Libro Verde della Commis4 sione, ivi, 17). n La natura oggettiva della responsabilità viene affermata in modo indifferente rispetto al tipo di difetto inerente al prodotto,
che può essere di progettazione (e riguardare
così l’intera serie prodotta), di fabbricazione
(relativo ad un singolo esemplare di una serie
immune da difetti) o consistente nella carenza
di informazioni circa l’utilizzo corretto del bene
(v. Castronovo, ivi, 689; amplius, supra, sub
Nota introduttiva). Tuttavia, leggendo il 3o co.
dell’art. 117 c.cons., si scopre che, solo nel caso
di difetto di fabbricazione, è possibile un’immediata qualificazione in termini di difettosità. Come vedremo in sede di commento dell’art. 117
c.cons., si tratta di una regola più rigorosa (per
altro non contemplata nella dir.), finalizzata a
permettere al giudice, nel caso riscontri questo
tipo di difetto, di prescindere dai criteri indicati
dal legislatore per la concretizzazione della
clausola generale della mancanza di sicurezza
contenuta nella prima parte dell’art. 117 c.cons.
(Ponzanelli, La resp. per prodotti e servizi di-
114
fettosi, in Ponzanelli, La resp. civ. Tredici variazioni sul tema, 351). Per le altre tipologie di
difetti, il produttore convenuto potrebbe invocare le circostanze di modo, di uso e di tempo
previste dalla norma appena richiamata per
escludere la difettosità del prodotto. La dottrina
ha sottolineato come questa controprova, in
qualche modo, comporti un ritorno ad un giudizio sulla colpa del produttore (v. Ponzanelli, in
Pardolesi - Ponzanelli, La responsabilità per
danno da prodotti difettosi, Nuove leggi civ.
comm. 89, 506; Id., R. d. civ. 95, II, 215ss. che
giudica questa anomalia uno degli aspetti più
delicati della normativa. Lo stesso a. ha rammentato come la dottrina nord-americana consideri la responsabilità per difetti di fabbricazione
in termini chiaramente oggettivi, avvicinandosi
invece ad una negligence rule nel caso di difetti
di progettazione e di informazione: Ponzanelli, D. e resp. 99, 1065. In arg. Carfì, Comm.
CBB, 559ss.; Martorana, Resp. civ. prev. 96,
378ss.). n Vedremo infra sub art. 117 come autorevole dottrina contrasti l’idea del difetto quale
fulcro del giudizio di responsabilità del produttore: Castronovo, La nuova resp. civile3, 689ss.
n I giudici comunitari hanno chiarito che, quando viene intentata un’azione contro una società
erroneamente considerata il produttore di un
prodotto in realtà fabbricato da un’altra società,
in linea di principio spetti al diritto nazionale
stabilire le condizioni in base alle quali può verificarsi la sostituzione di una parte ad un’altra
nell’ambito di un’azione siffatta. Nel valutare le
condizioni cui è subordinata tale sostituzione, il
giudice nazionale deve tuttavia assicurare che
sia rispettato l’ambito di applicazione ratione
personae della dir., determinato dagli artt. 1 e 3
della medesima (CG 9-2-2006, in C-127/04, Declan O’Byrne).
II. La legittimazione attiva al risarcimento del
danno derivante da prodotto difettoso. n La
legittimazione attiva alla pretesa risarcitoria
spetta a chiunque abbia subito un danno a causa
di un prodotto difettoso. È legittimato non solo
chi abbia acquistato il bene o chi ne faccia uso
sulla base di un rapporto contrattuale, di cortesia o semplicemente di fatto, ma anche chi, pur
non essendo utilizzatore del prodotto difettoso,
venga a trovarsi nella sua zona di rischio e subisca un pregiudizio a causa dell’uso da parte di
altri (il c.d. bystander): Carnevali, in Alpa e
aa., La responsabilità per danno da prodotti difettosi, 7; Nicolini, Danni da prodotti agroalimentari difettosi, 295s. n Ci si è chiesti se la normativa in esame si applichi solo nel caso in cui
l’utente danneggiato sia un consumatore oppure
anche quando il soggetto si serva della cosa per
un uso imprenditoriale e professionale. Sul pun-
5
6
1
2
114
CODICE DEL CONSUMO
to si è messo in luce come la dir. 1985/374/CEE
non sia riferita testualmente alla protezione del
consumatore e non contenga, a differenza di altre direttive, una definizione di consumatore come soggetto destinatario della tutela offerta dalla dir. stessa (Castronovo, ivi, 721). Nessuna disposizione del d.p.r. n. 224 del 1988, inoltre, limitava il raggio di applicazione della normativa
al danneggiato da un prodotto utilizzato per uso
personale e privato. Così la giurisprudenza non
ha trovato difficoltà ad applicare la disciplina
della responsabilità del produttore anche all’utente danneggiato durante lo svolgimento
della sua attività lavorativa: Trib. Milano 31-12003, Resp. civ. prev. 03, 1151 nt. Della Bella;
F. it. 03, I, 1260; D. e resp. 03, 634, 634 nt. Bitetto; App. Milano 21-2-2007, D. e resp. 07, 1220
nt. Bitetto, F. it. 07, I, 2886; Trib. Forlì, sez. dist.
Cesena, 25-11-2003, F. it. 04, I, 1631; Trib. Monza 11-9-1995, Resp. civ. prev. 96, 371, nt. Martorana (v. infra sub III). In senso critico v., però,
Galgano, in Alpa - Bin - Cendon, La responsabilità del produttore, Tratt. Galgano, XIII, 12,
secondo cui il risarcimento del danno all’imprenditore non rientra nella normativa di derivazione comunitaria, rimanendo assoggettato ai
3 principi di diritto comune. n La circostanza che
la normativa sia confluita ora nel codice dedicato alla tutela dei consumatori ha fatto sorgere
dubbi e perplessità nei primi commentatori
(Stella, ivi, 1599). La generica dizione (danneggiato), contenuta al 1o co. dell’art. 120
c.cons. e l’espressa limitazione, posta dall’art.
123, 1o co., lett. b), con riguardo al risarcimento
dei danni a cose, portano tuttavia ad affermare
che la normativa, almeno per quanto riguarda i
danni all’integrità fisica, trova applicazione indipendentemente dalle caratteristiche soggettive
degli utilizzatori (Cafaggi, in Patti, Il danno da
prodotti in Italia-Austria-Repubblica federale di
4 Germania-Svizzera, 91). n La Suprema Corte ha
avuto modo di precisare che la disciplina della
responsabilità da prodotti difettosi tutela gli utilizzatori danneggiati anche quando risultino privi di un titolo abilitante all’uso del prodotto (C
05/12750, D. e resp. 06, 259 nt. Bitetto riguardante l’esplosione per terra (e non per aria) di
un fuoco di artificio utilizzato in modo improprio).
III. La giurisprudenza applicativa del d.p.r. n.
1 224 del 1988. n Un eloquente silenzio giurisprudenziale, comune peraltro a tutti gli Stati
membri, caratterizza gli anni successivi all’entrata in vigore del d.p.r. n. 224 del 1988. Le ragioni dell’underlitigation sono state individuate
nella difficoltà di provare l’esistenza del difetto,
nelle stringenti limitazioni relative a prescrizione e decadenza e nell’inapplicabilità della disci-
752
plina ai danni a cose inferiori a 387 euro che, notoriamente, costituiscono le ipotesi più ricorrenti di danni da prodotto difettoso (cfr. Franzoni,
D. e resp. 98, 823ss.; Ponzanelli, La resp. per
prodotti e servizi difettosi: il modello italiano,
358ss.). Molto probabilmente, poi, il criterio oggettivo di imputazione ha indotto le imprese a
preferire una composizione stragiudiziale della
controversia, anche al fine di salvare la propria
reputazione commerciale (v. Cabella Pisu, ivi,
619). Proponiamo qui una veloce carrellata delle (poche) decisioni applicative della disciplina,
rinviando una disamina più approfondita delle
motivazioni dei giudici ai commenti dei successivi articoli interessati dalle pronunce. n Va premesso che la Supr. Corte, in armonia con
l’espressa previsione normativa (art. 127), ha subito precisato che la disciplina dettata da d.p.r.
24 maggio 1988, n. 224 è priva di efficacia retroattiva e pertanto non applicabile ai fatti verificatesi prima della sua entrata in vigore (C
02/13158; C 03/5164; C 04/19134). n Il d.p.r. n.
224 del 1988 ha trovato per la prima volta applicazione presso il Trib. Monza 21-7-1993 (Resp.
civ. prev. 94, 141ss. nt. Dassi; Corr. giur. 93,
1456; F. it. 94, I, 251; D. comun. scambi int. 93,
639 nt. Caiola; Rass. d. civ. 96, 393, nt. Mariani): si è configurata una responsabilità in capo al
produttore di una mountain bike che, sottoposta ad un normale utilizzo lungo un tracciato
collinare, si ruppe a causa del cedimento del
piantone della forcella con conseguente distacco
della ruota anteriore e caduta del ciclista. Questi
riportò un’invalidità temporanea e postumi permanenti sia pure di lieve entità. n Decisamente
più gravi furono le lesioni (valutabili nella misura del 50% di riduzione dell’efficienza psicofisica) riportate da un giovane a causa del crollo di
un letto a castello. Trib. Milano 14-4-1995, D. e
resp. 96, 381, nt. Ponzanelli, ha condannato al
risarcimento del danno il produttore-progettista
e la società venditrice, che aveva provveduto al
montaggio del mobile presso l’abitazione degli
acquirenti. Si era, infatti, il giudice convinto dell’insicurezza del prodotto rispetto all’uso al quale era destinato in quanto non offriva le necessarie condizioni di sicurezza sia in relazione alla
tecnica di costruzione (il letto era instabile a
causa dell’errato rapporto base-altezza) sia in
relazione alle avvertenze fornite (nella specie si
è ritenuto insufficiente il riferimento al fissaggio
del letto al muro nella forma del mero consiglio). n È stato giudicato responsabile il produttore di una macchina tessile (un orditoio), che
aveva, durante il suo normale utilizzo, cagionato
un grave danno alla persona al titolare di un’impresa artigiana, agganciato e risucchiato dal
gruppo di trascinamento del subbio (Trib. Mon-
2
3
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753
Responsabilità per danno cagionato da prodotti difettosi
za 11-9-1995, Resp. civ. prev. 96, 371, nt. Marto6 rana). n Merita segnalazione anche un prece-
dente di legittimità (C 95/10274, D. e resp. 96,
87, nt. Cossu; Resp. civ. prev. 96, 372 con commento di Martorana), in cui la S.C., pur non
potendo fare applicazione del d.p.r. n. 224 del
1988 in quanto entrato in vigore successivamente ai fatti di causa, ha ritenuto opportuno farvi
riferimento. Il caso riguardava le lesioni subite
da un bambino di 12 anni mentre giocava in un
giardino di proprietà del Comune. Questi, salito
in piedi sul bracciolo del sedile dell’altalena,
perse l’equilibrio e, nell’aggrapparsi allo snodo
del gioco, si ferì gravemente alla mano tanto da
dover subire l’amputazione del pollice. La Cass.,
giudicando le modalità di utilizzazione del prodotto del tutto abnormi, estranee alla funzione
tipica del bene e quindi non prevedibili, ha
7 escluso una responsabilità del fabbricante. n
Trib. Roma 17-3-1998, F. it. 98, I, 3660, nt. Palmieri, D. e resp. 98, 1147, nt. Ponzanelli, ha applicato il d.p.r. n. 224 del 1988 al «classico» caso
dell’esplosione della bottiglia nelle mani del
consumatore (v., supra, sub Nota introduttiva).
Il giudice ha condannato al risarcimento la società produttrice della bottiglia di vetro contenente acqua minerale, ritenendo che il prodotto
presentasse un grado di sicurezza inferiore a
quello che ci si poteva legittimamente attendere
tenuto conto dell’uso a cui lo stesso era destinato e dei comportamenti che, in relazione ad es8 so, potevano ragionevolmente prevedersi. n Si
segnala anche la decisione del G.p. Monza 20-31997, n. 1386, A. civ. 97, 876, nt. Santarsiere),
in cui ha trovato accoglimento la richiesta risarcitoria dell’attrice rivolta nei confronti di una
società produttrice di condimenti per il riso che,
mangiando un’insalata di riso, si era trovata un
frammento di ferro in bocca, che aveva cagiona9 to la frattura di due premolari. n La trama delle
decisioni di merito si è, negli ultimi anni, improvvisamente infittita, coinvolgendo questioni
molto interessanti, come quelle relative alla risarcibilità dei danni morali e all’estensione della
protezione offerta dalla disciplina in commento
a soggetti diversi dal consumatore (v. supra).
Trib. Milano 31-1-2003, D. e resp. 03, 634 nt. Bitetto, ha riconosciuto il diritto ad un ristoro patrimoniale per i danni fisici da inabilità temporanea e per i postumi permanenti nonché per i
pregiudizi economici derivanti dalla perdita di
occasioni di lavoro ad un giardiniere, infortunatosi mentre svolgeva la sua attività professionale
a causa del cedimento di due pioli di una scala di
alluminio allungabile. Viene contestualmente
negato il risarcimento del danno morale, argomentando che la responsabilità da prodotto difettoso prescinde da un’indagine sulla colpevo-
114
lezza. La decisione è stata confermata dalla
App. Milano 21-2-2007, D. e resp. 07, 1220, nt.
Bitetto, F. it. 07, I, 2886, che riconosce altresì
un ristoro ai danni morali. n Un’interessante decisione (Trib. Vercelli 5-2-2003, D. e resp. 03,
1001, nt. Ponzanelli; G. it. 04, I, 546, nt. Giovanardi; commentata anche da Guerrini, Resp.
civ. prev. 05, 1447) ha fondato la responsabilità
di una società produttrice di macchinette da caffè su un difetto di informazione circa il potenziale pregiudizio derivante dall’utilizzo del prodotto, esploso improvvisamente causando, tra
l’altro, gravi lesioni all’occhio dell’attrice, che si
trovava in prossimità dei fornelli. Come vedremo (infra, sub art. 117), non viene ritenuto sufficiente il generico suggerimento, contenuto nelle
istruzioni, di controllare lo stato di usura degli
accessori, in particolare della valvola, componente che garantisce la sicurezza complessiva
del prodotto. n Di fronte ad un caso di gravi lesioni fisiche imputabili all’improvviso cedimento dello sterzo di un motociclo (Trib. Roma
3-11-2003, F. it. 04, I, 1632, nt. Bitetto; D. e resp.
04, 529ss., nt. Ponzanelli) e ad un incidente
con esiti mortali per uno dei passeggeri dovuto a
presunti problemi al sistema frenante dell’autovettura, messi in luce da avvertimenti della casa
produttrice che invitava i proprietari di una determinata serie di macchine a recarsi presso i
concessionari per una verifica dei freni (Trib.
Roma 4-12-2003, F. it. 04, I, 1631, nt. Bitetto; D.
e resp. 04, 527ss., nt. Ponzanelli), i giudici di
merito hanno dimostrato una rinnovata sensibilità, affermando che qualsiasi causa ignota, o
semplicemente probabile, che abbia provocato
un pregiudizio al consumatore, deve considerarsi imputabile al produttore. n Trib. Forlì, sez.
dist. Cesena, 25-11-2003, F. it. 04, I, 1631, ha giudicato responsabile la società produttrice di celle frigorifere installate su automezzi per i danni
derivanti dal cedimento improvviso della struttura refrigerante, che aveva causato la perdita
della merce trasportata. n Trib. La Spezia 26-102005, Resp. civ. prev. 06, 465ss., nt. Gorgoni; D.
e resp. 06, 173ss., nt. Ponzanelli, ha condannato al risarcimento del danno biologico e dei danni patrimoniali il produttore di calzature rivelatesi difettose per la presenza di una bolla d’aria
nell’attaccatura del tacco. n Trib. Benevento 242-2006, D. e resp. 06, 1254ss., nt. Ponzanelli si è
trovato a decidere sulla difettosità di un manico
(in plastica) di una confezione di sei bottiglie (in
vetro) di acqua minerale. n Che il trend stia
cambiando pare confermato da recenti decisioni
di legittimità, in contrasto su aspetti, fondamentali e delicati, riguardanti la distribuzione e il
contenuto dei carichi probatori. Estremo rigore
ha dimostrato la S.C. con sent. 15-3-2007, n.
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CODICE DEL CONSUMO
6007 (F. it. 07, I, 2415, nt. Palmieri; D. e resp. 07,
1216ss., nt. Bitetto; Resp. civ. prev. 07, 1587, nt.
Gorgoni): si è negata la responsabilità di un
produttore di una tintura per capelli, che aveva
scatenato ad un’ignara consumatrice una grave
forma allergica, non ritenendosi raggiunta la
prova della difettosità del prodotto: secondo i
giudici di legittimità quest’ultima non può essere dedotta semplicemente dalla circostanza che
il danno è stato provocato dall’utilizzazione del
prodotto stesso. Pochi mesi più tardi in un caso riguardante una protesi mammaria, impiantata su
una paziente a seguito di un intervento di mastectomia totale e svuotatosi a distanza di due anni con conseguente dispersione della sostanza salina in essa contenuta nei tessuti circostanti, la
Cass. si è discostata da queste conclusioni. Affrontando il problema della prova del difetto del prodotto, il Supremo Collegio ha escluso, grazie ad
una lettura sistematica delle previsioni normative
ora contenute gli artt. 120 e 118, 1o co., lett. b),
c.cons. che il danneggiato debba provare la sussistenza del difetto del prodotto fin dal momento
della messa in circolazione dello stesso; è sufficiente che questi dimostri che l’uso del bene ha comportato risultati anomali rispetto alle normali
aspettative, tali da evidenziare la mancanza di sicurezza che ci si poteva attendere ai sensi dell’art.
117 c.cons. Sarà compito del produttore dimostrare che il difetto non esisteva quando il prodotto è
stato messo in circolazione (C 07/20985, D. e resp.
08, 290ss. nt. Bitetto e Pardolesi; F. it. 08, I, 143,
nt. Bitetto; Resp. civ. prev. 08, 350, nt. Carnevali; Corr. giur. 08, 811ss., nt. Di Palma; Nuova g. civ.
comm. 07, I, 785ss.; Resp. civ. 07, 1014ss., nt. Tuo16 zzo). n Il percorso è stato ricostruito da Bitetto,
R. crit. d. priv. 08, 137ss.; L.Villani, Resp. civ. prev.
07, 1238ss.
IV. I criteri di individuazione della legge nazionale applicabile alla responsabilità del pro1 duttore. n Il reg. CE n. 864/2007 (c.d. reg. «Roma II») reca una norma speciale riguardante i
conflitti di leggi in materia di responsabilità da
prodotto. L’art. 5 reg. – applicabile a partire
dall’11-1-2009 in luogo dell’art. 63 l. 31-5-1995,
n. 218 – prevede a tale riguardo dei criteri di collegamento operanti «a cascata». Questi richiamano: la legge del paese di residenza della vittima, se il prodotto è stato commercializzato in
tale paese; altrimenti, la legge del paese in cui è
stato acquistato il prodotto, sempre che si tratti
di un prodotto commercializzato in tale paese;
in mancanza anche di quest’ultimo requisito, la
legge del paese in cui il danno si è verificato, a
patto che il prodotto sia stato ivi commercializzato. Si applicherà invece la legge del paese di
abituale residenza del produttore qualora la
commercializzazione nei paesi ora indicati non
754
potesse essere da questi ragionevolmente prevista. Nel caso in cui il presunto responsabile e la
vittima del danno risiedano nello stesso paese,
la responsabilità risulterà comunque soggetta
alla legge di tale paese. In via eccezionale, se dal
complesso delle circostanze del caso risulti che il
fatto illecito presenta «collegamenti manifestamente più stretti» con un paese diverso da quello designato dalle previsioni appena ricordate,
la legge regolatrice della responsabilità sarà
quella di quest’altro paese; un siffatto collegamento, precisa la norma, potrebbe fondarsi «su
una relazione preesistente tra le parti, quale un
contratto, che presenti uno stretto collegamento
con il fatto illecito in questione». Cfr. Castronovo, DPECM, II, 231. Gli aspetti internazional-privatistici (e in particolare il reg. «Roma
II» sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali) sono indagati in questo Commentario da Franzina, infra sub parte IV, cui si
rinvia per ogni riferimento. n L’art. 63 l. 31-5- 2
1995, n. 218 di riforma del diritto internazionale
privato stabilisce che la responsabilità per danno da prodotto è regolata, a scelta del danneggiato, dalla legge dello Stato in cui si trova il domicilio o l’amministrazione del produttore, oppure da quella dello Stato in cui il prodotto è
stato acquistato, a meno che il produttore provi
che il prodotto vi è stato immesso in commercio
senza il suo consenso. In arg. Saravalle, Commentario della l. 31 maggio 1995, n. 218, art. 63,
Nuove leggi civ. comm. 96. Si vedano anche le
considerazioni critiche di Castronovo, La nuova resp. civile3, 735s.
V. Un’analisi comparata (cenni). n Nonostan- 1
te la proclamata aspirazione ad un’armonizzazione globale (v. supra, sub Nota introduttiva,
IV), le modalità di attuazione della dir. 1985/
374/CEE nei diversi Stati membri hanno evidenziato alcune differenze. Le più significative
verranno richiamate in sede di commento dei
successivi articoli. In generale si vedano le osservazioni critiche di Somma, Temi e problemi di
diritto comparato. IV. Diritto comunitario vs. diritto comune europeo, 120ss., secondo cui i provvedimenti attuativi della dir., epifania di una politica comunitaria in tema di consumatori di
chiara ispirazione liberista, avrebbero prodotto
un’armonizzazione verso il basso, ossia un allineamento su livelli minimi di tutela, peggiorativi
rispetto a quanto precedentemente accordato
dai singoli ordinamenti. n Il primo Stato mem- 2
bro a dare attuazione alla dir. è stato il Regno
Unito con il Consumer Protection Act del 15-51987, in vigore dall’1-3-1988 in Inghilterra, Galles e Scozia. La legge inglese, che prevede ulteriori norme in materia di sicurezza dei prodotti
e impone la trasparenza dei prezzi, include tra le
755
Responsabilità per danno cagionato da prodotti difettosi
difese concesse al produttore quella relativa ai
rischi da sviluppo e non prevede alcun massimale al risarcimento dei danni causati da prodotti
recanti tutti lo stesso difetto. In arg. v. l’ampia
ricostruzione di Whittaker, Liability for Products: English Law, French Law and European
Harmonization, 583ss. Cfr., inoltre, Alpa - Bessone, La responsabilità del produttore4, 303ss.;
3 Van Dam, European Tort Law, 370ss. n In Germania la trasposizione delle norme comunitarie
è avvenuta con l. 15-12-1989, Produkthaftungsgesetz (in vigore dall’1-1-1990), che esclude
espressamente dal suo campo di applicazione i
danni derivanti da farmaci, il cui risarcimento è
specificamente disciplinato dalla Arzneimittelgesetz (su cui v. Carnevali, Resp. civ. prev. 03,
291ss.; Thiene, St. i. 02, 1030ss.). Il rischio da
sviluppo viene lasciato a carico dei danneggiati
(ad esclusione dei preparati medici) e viene previsto un massimale al risarcimento dei pregiudizi provocati da un prodotto o da una serie di
prodotti affetti dal medesimo difetto. Vengono
specificati in modo analitico i danni che devono
essere risarciti in caso di morte o lesione derivanti da prodotto difettoso, identificati nelle
spese mediche sostenute, nei mancati guadagni
sofferti durante il periodo di malattia, nelle spese funerarie, nella perdita di sostegno economico subita da un terzo a causa della morte o della
malattia della vittima. In arg. v. Castronovo, La
nuova resp. civile3, 670; Bülow, in Bülow - Artz, Handbuch Verbraucherprivatrecht, 500ss.;
Schulz - Halbgewachs, Germany, in Hodges,
Product Liability. European Laws and practice,
359ss.; Alpa - Bessone, La responsabilità del
produttore4, 300ss.; Hohloch, in Patti, Il danno
da prodotti in Italia-Austria-Repubblica federale
di Germania-Svizzera, 263ss.; Benacchio, La responsabilità del produttore, in Diritto privato
della Comunità europea. Fonti, modelli, regole4,
4 372. n Con 10 anni di ritardo e in seguito ad un
iter alquanto tormentato, la Francia ha dato attuazione alla dir. europea con l. 19-5-1998, n.
389, inserendo la nuova normativa all’interno
del codice civile, creando un nuovo titolo IV bis
nel libro III, De la responsabilità du fait des produits défectueux, (artt. da 1386-1 a 1386-18), collocato alla fine della disciplina riguardante la re-
115
115
sponsabilità aquiliana. Come abbiamo visto (supra sub nota introduttiva, IV), le deviazioni del
legislatore francese rispetto al testo comunitario
(la mancata previsione della franchigia nel caso
di risarcimento dei danni patrimoniali e la parificazione della responsabilità del distributore a
quella oggettiva del produttore) sono state severamente censurate dalla Corte di Giustizia. Tra
le particolarità della normativa francese va segnalata la scelta (influenzata dalla nota vicenda
del «sangue contaminato» che sconvolse l’opinione pubblica francese negli anni ’90) di accollare alle imprese il rischio da sviluppo dei danni
causati «da un elemento del corpo umano o dai
prodotti da esso derivati». Cfr. Nepi, R. d. imp.
99, 263; Iannucelli, D. e resp. 99, 383; Alpa Bessone, ivi, 311ss.; Modica Donà delle Rose,
Resp. civ. prev. 01, 1312ss.; Whittaker, ivi,
450ss. n La Spagna ha recepito la dir. con l. 6-7- 5
1994, n. 22, che si pone come legge speciale sulla
responsabilità del produttore, che non deroga
alla l.q. per la difesa dei consumatori e degli
utenti n. 26 del 1984 (v. supra, sub Nota introduttiva, IV). Il legislatore si è avvalso della facoltà di limitare la responsabilità per danni da
morte o da lesioni personali, derivanti da prodotti identici e che presentino tutti la stessa tipologia di difetto. Si è esclusa la possibilità per il
produttore di avvalersi della clausola di esonero
relativa ai rischi da sviluppo qualora i danni siano derivati da medicinali o da prodotti alimentari destinati al consumo umano. Cfr. amplius
Jimenez De Parga Cabrera, Contr. imp. E. 96,
605ss. n Gli unici due Paesi che hanno scelto di 6
non lasciare in alcun modo a carico dei danneggiati il rischio da sviluppo sono stati il Lussemburgo e la Finlandia. Per una panoramica del recepimento negli altri paesi europei Hodges (a
cura di), Product Liability. European Laws and
practice; Aa.Vv., European product liability;
Mazzo, La responsabilità del produttore agricolo, 83ss. n Il modello europeo è stato esportato 7
con successo in altre realtà giuridiche: significativa è l’esperienza giapponese descritta in M.
Ferrari, D. e resp. 08, 384ss. Un’analisi sulla più
consolidata esperienza d’oltre Atlantico può
leggersi in Ponzanelli, D. e resp. 99, 1066; Palazzo, E. d. priv. 01, 685ss.
Prodotto e produttore. 1. Prodotto, ai fini del presente titolo, è ogni bene mobile, anche se incorporato in altro bene mobile o immobile.
2. Si considera prodotto anche l’elettricità.
2 bis. Produttore, ai fini del presente titolo, è il fabbricante del prodotto finito o di una sua
componente, il produttore della materia prima, nonché, per i prodotti agricoli del suolo e per
139
CODICE DEL CONSUMO
genera costi, ricavi, profitti e perdite e giustifica
il sostegno finanziario dello Stato» (Cons. St.
3 27-4-2004, n. 2555, ivi, c. 4, nella motivazione). n
Relativamente alla tipologia delle pubblicazioni
destinatarie delle agevolazioni si può affermare
che devono avere natura cartacea (sono esclusi i
formati elettronici) e periodica, devono essere a
contenuto non commerciale ma diffusivo di informazioni ai consumatori e agli utenti e devono
altresì essere accessibili alla collettività (e quindi vendibili anche al pubblico, non riservate agli
associati) (Gattamelata, Comm. CBB, 516ss.;
T.A.R. Lazio 21-6-2002, n. 5669, ivi, c. 41, nella
motivazione; Cons. St. 27-4-2004, n. 2555, ivi, c.
4, nella motivazione; T.A.R. Lazio, I, 22-5-2003,
n. 4601, TAR 03, I, 2480; Cons. St., IV, 8-6-2000,
n. 3232, Cons. Stato 00, I, 1393).
IV. Agevolazioni e contributi non esplicita1 mente contemplati dall’art. 138. n Il 1o co.
dell’art. 148 della l. 23 dicembre 2000, n. 388
(c.d. legge finanziaria 2001) destina le entrate
derivanti dalle sanzioni amministrative irrogate
dall’Autorità garante della concorrenza e del
mercato (AGCM) ad iniziative a vantaggio dei
consumatori. Dette entrate sono riassegnate con
decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e
della programmazione economica ad un apposito fondo iscritto nello stato di previsione del Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato (ora Ministero dello Sviluppo Economico). Le iniziative da destinarsi a vantaggio dei
consumatori sono individuate di volta in volta
con decreto del Ministro dello Sviluppo Economico sentite le competenti Commissioni parlamentari. Le suddette attività a favore dei consumatori vengono svolte dalle associazioni dei
consumatori oltre che da altri soggetti competenti, tra cui, ad esempio, Unioncamere che ha
ricevuto un finanziamento ex l. 338/2000 per
922
promuovere lo strumento della conciliazione
delle controversie tra operatori professionali e
consumatori. n Un’altra previsione di contribu- 2
to è prevista dalla l. 5-3-2001, n. 57, recante Disposizioni in materia di apertura e regolazione
dei mercati. L’art. 2, 3o co., della legge autorizza
il CNCU a cofinanziare programmi di informazione e orientamento rivolti agli utenti dei servizi assicurativi promossi dalle associazioni dei
consumatori in particolare sui premi relativi all’assicurazione obbligatoria della responsabilità
civile derivante dalla circolazione dei veicoli a
motore (Belli, Comm. Tripodi-Belli, 532). n Fi- 3
nanziamenti alle associazioni di consumatori sono, inoltre, previsti da leggi regionali solitamente per attività di informazione, consulenza ed assistenza al consumatore sul territorio locale. I
requisiti per accedere a tali finanziamenti non
sono necessariamente gli stessi richiesti alle associazioni nazionali per l’iscrizione nell’elenco
di cui all’art. 137, prescindendo ad esempio dal
numero minimo di associati o dall’iscrizione dell’associazione all’elenco stesso (favorendo in tal
modo la crescita e il sostentamento di realtà associative locali). Di seguito si riporta l’elenco
delle leggi regionali a cui fare riferimento per
verificare i presupposti, le modalità e i termini
di accesso ai finanziamenti: Abruzzo l.r.
30/2001, Basilicata l.r. 40/2000, Calabria r.r.
4/2005, Campania l.r. 19/2002, Emilia Romagna
l.r. 45/1992, Friuli Venezia Giulia l.r. 16/2004,
Lazio l.r. 44/1992, Liguria l.r. 44/1992, Liguria
l.r. 26/2002, Lombardia l.r. 6/2003, Marche l.r.
15/1998, Molise l.r. 43/2005, Piemonte l.r.
24/2009, Puglia r.r. 19/2006, Sicilia l.r. 7/1994,
Toscana l.r. 1/2000, Umbria l.r. 34/1987, l.r.
44/1988, l.r. 17/1996, Veneto l.r. 27/2009, Alto
Adige l.r. 15/1992, Trentino l.r. 8/1997, Valle
d’Aosta l.r. 6/2004.
TITOLO II
ACCESSO ALLA GIUSTIZIA
139
Legittimazione ad agire. 1. Le associazioni dei consumatori e degli utenti inserite nell’elenco di cui all’articolo 137 sono legittimate ad agire, ai sensi dell’articolo
140, a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti. Oltre a quanto disposto
dall’articolo 2, le dette associazioni sono legittimate ad agire nelle ipotesi di violazione degli
interessi collettivi dei consumatori contemplati nelle materie disciplinate dal presente codice,
nonché dalle seguenti disposizioni legislative:
923
Procedimenti inibitori a tutela degli interessi collettivi dei consumatori
139
a) legge 6 agosto 1990, n. 223, e successive modificazioni, ivi comprese quelle di cui al testo unico della radiotelevisione, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, e legge 30
aprile 1998, n. 122, concernenti l’esercizio delle attività televisive;
b) decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 541, come modificato dal decreto legislativo
18 febbraio 1997, n. 44, e legge 14 ottobre 1999, n. 362, concernente la pubblicità dei medicinali per uso umano.
2. Gli organismi pubblici indipendenti nazionali e le organizzazioni riconosciuti in altro
Stato dell’Unione europea ed inseriti nell’elenco degli enti legittimati a proporre azioni inibitorie a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, possono agire, ai sensi del presente articolo e secondo le modalità di cui
all’articolo 140, nei confronti di atti o comportamenti lesivi per i consumatori del proprio
Paese, posti in essere in tutto o in parte sul territorio dello Stato.
Sommario: I. La legittimazione ad agire. - II. L’ambito oggettivo di applicazione della norma.
1 I. La legittimazione ad agire.
n La norma in
epigrafe individua, innanzitutto, i soggetti muniti di legittimazione ad agire «a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti».
In particolare, da un punto di vista della tecnica
legislativa, si può notare come a tal fine l’articolo in commento «scorpori», riproducendo pressoché testualmente, parte del 1o co. e l’intero 1o
co. bis del previgente art. 3 della l. 281/1998 (così, Petrillo, Comm. ARC, 819; si rammenta che
il 1o co. bis era stato inserito nel corpo dell’art. 3
dall’art. 2 del d.lgs. 224/2001; per esaustive indicazioni sui numerosi contributi dottrinali dedicati alla l. 281/1998, v. da ultimo Donzelli, La
tutela giurisdizionale degli interessi collettivi,
781s., nt. 61). Il risultato è l’attribuzione della legittimazione de qua ad una duplice categoria di
soggetti: da un lato, ai sensi del 1o co., alle «associazioni dei consumatori e degli utenti inserite
nell’elenco di cui all’art. 137 [del codice del consumo]»; dall’altro, in forza del 2o co., a quegli
organismi e organizzazioni riconosciuti in un altro Stato dell’Unione Europea «ed inseriti nell’elenco degli enti legittimati a proporre azioni a
tutela degli interessi collettivi dei consumatori»
(elenco pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea), i quali potranno agire ai
sensi del 1o co. dell’articolo in epigrafe a tutela
dei consumatori del proprio paese, nel caso di illeciti c.d. transfrontalieri, ossia quando l’atto o il
comportamento lesivo dei consumatori stessi si
sia verificato, in tutto o in parte, in Italia. Relativamente a quest’ultimo precetto, si è notato
come esso potrebbe aprire le porte al fenomeno
del c.d. forum shopping, vale a dire a scegliere
lo Stato in cui agire, in base all’esito «che in
quello Stato avrà avuto un’azione simile» (Peduto, Comm. SS, 1042; quest’autore solleva, altresì, qualche dubbio sulla concreta praticabilità
di tale norma, alla luce dei «plurimi criteri di in-
dividuazione del foro competente tra cui, non
da ultimo, il foro del consumatore»). n A diffe- 2
renza di quanto avviene all’art. 37, tra i soggetti
legittimati non vengono menzionate né le associazioni rappresentative dei professionisti, né le
Camere di commercio (Belli, Comm. TripodiBelli, 632, il quale afferma che tale scelta, quanto alla Camere di commercio, ha manifestato la
preferenza di attribuire a tali enti «compiti di
coordinamento e di regolamentazione»). n Poi- 3
ché l’elenco di cui all’art. 137 deve essere aggiornato con cadenza annuale, si è giustamente
notato come il novero dei soggetti legittimati ad
agire possa variare nel tempo, e ciò tenuto pure
conto che tale aggiornamento presuppone
«un’attenta verifica della permanenza dei requisiti legali in capo a ciascuna associazione iscritta» (v. Lepri, in Italia, Codice del consumo,
926). n Quanto alla giurisprudenza, la legittima- 4
zione ad agire de qua è stata esclusa, affermandosi l’insussistenza della lesione di un interesse
collettivo, nel caso di «ricorso presentato da
un’associazione di consumatori con cui si impugna un avviso di accertamento fiscale diretto ad
un singolo contribuente» (T.A.R. Puglia Lecce,
sez. II, 19-5-2007, n. 1921, F. amm. TAR 07,
1789); ancora, una pronuncia di merito ha affermato che «le associazioni dei consumatori sono
prive di legittimazione ad agire per la tutela dell’interesse diffuso alla salubrità dell’ambiente
lamentato da soggetti che non siano fruitori del
servizio o del bene che si assume lesivo di tale
interesse» (Trib. Lamezia Terme 16-7-2006, Resp. civ. prev. 07, 1697). Di particolare interesse,
appare quella giurisprudenza amministrativa,
secondo la quale la legittimazione ad causam
prevista dalla norma in epigrafe, per quanto ampia, non può comprendere ogni attività di tipo
pubblicistico «che si rifletta economicamente, in
modo diretto o indiretto, sui cittadini, dovendo
139
CODICE DEL CONSUMO
al contrario essere commisurata a quegli atti che
siano idonei a interferire con specificità e immediatezza sulla posizione dei consumatori e degli
utenti» (T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 11-122007, n. 16105, F. amm. TAR 07, 3867, in un caso di specie in cui un’associazione di consumatori impugnava la disciplina di una gara bandita da
un comune per l’affidamento dei servizi di gestione e riscossione delle contravvenzione elevate per infrazioni al codice della strada; conf.,
sul principio di diritto, T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 6-2-2008, n. 582, Il merito 08, 59); diversamente, sempre nella prospettiva dei rapporti
con la pubblica amministrazione, un’altra decisione di merito ha riconosciuto la sussistenza
della legittimazione in capo a un’associazione di
consumatori a contestare la legittimità di un
provvedimento tariffario relativo a un servizio
pubblico (nella specie, si trattava di quello idrico), argomentando che dal combinato disposto
degli artt. 139 e 140 del c.cons. si desume «l’attribuzione alle associazioni di un ampio diritto
di azione posto a difesa di un interesse legittimo
collettivo, diritto che non può dirsi precluso con
riguardo alla contestazione dei provvedimenti
di carattere generale come quello di tariffazione
in materia di servizi pubblici» (T.A.R. Lazio Latina 24-6-2006, n. 406, F. amm. TAR 06, 2121). Si
segnala, poi, un’importante decisione del Cons.
St., che ha chiarito come nell’ambito della tutela
degli interessi collettivi dei consumatori e degli
utenti, la legittimazione ad agire discenda direttamente dalla legge (e precisamente dal 1o co.
dell’articolo in commento) e, pertanto, «la sola
previsione statutaria non potrebbe assegnare ad
articolazioni locali dell’ente associativo la contitolarità della predetta legittimazione, che resta
in capo all’ente di carattere nazionale accreditato in sede ministeriale» (Cons. St., a.p., 11-12007, n. 2, F. amm. C.d.S. 07, 834, nt. Tarasco;
ivi 07, 464, nt. Bertoldini; Il merito 07, 5, 83).
Infine, merita di essere ricordata un’altra pronuncia dello stesso organo giudiziario, secondo
la quale «è inammissibile l’appello proposto da
un’associazione di consumatori – sebbene inserita nell’elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale, istituito presso il Ministero dello sviluppo economico, in applicazione dell’art. 137, 1o
co., d.lg. 6 settembre 2005, n. 206 (codice del
consumo) – nel caso in cui la stessa non abbia
partecipato in alcun modo, pur avendone titolo,
al giudizio di primo grado» (Cons. St., a.p., 11-12007, n. 1, Guida d. 07, 6, 69 nt. Caruso, ove si è
affermato che «non possono estendersi alle associazioni dei consumatori – in quanto normative speciali, derogatorie dei principi generali e,
pertanto, non suscettibili di applicazione analo-
924
gica – l’art. 83/12 t.u. per i giudizi elettorali approvato con d.p.r. 16 maggio 1960, n. 570 e l’art.
146, 11o co. del codice dei beni culturali e del
paesaggio, approvato con d.lgs. 22 gennaio 2004,
n. 42, mediante i quali è stata espressamente
ampliata in ipotesi peculiari la legittimazione ad
appellare le sentenze di primo grado, riconoscendola anche a chi, pur essendo legittimato,
non abbia proposto il ricorso originario, ovvero
non abbia comunque partecipato al giudizio di
primo grado»; in precedenza, v. Cons. St., sez.
VI, 6-6-2006, n. 3408, F. amm. 06, 1870).
II. L’ambito oggettivo di applicazione della
norma. n L’articolo in epigrafe, oltre ad individuare i soggetti ai quali spetta la legittimazione
ad agire, traccia anche i confini oggettivi di quest’ultima. A tale proposito, i primi commentatori della norma in esame – proseguendo nel raffronto con il suo più immediato precedente, ossia l’art. 3 della l. 281/1998 – hanno osservato
che l’art. 139 del codice del consumo ha un ambito applicativo più esteso (Petrillo, ivi, 819s.;
Armone, Comm. CBB, 660s.; Miconi, Comm.
Franzoni, 652). Così, gli interessi collettivi a tutela dei quali è conferita la legittimazione, non
sono solo quelli individuati all’art. 2 dello stesso
codice, ma tutti quelli che trovano in quest’ultimo la propria disciplina, e, ancora, quelli in materia di esercizio di attività televisive (materia
che, per quanto qui interessa, non è più regolata
dalla l. 223/1990 e dalla l. 122/1998, ma dal d.lgs.
31-7-2005, n. 177, recante t.u. della radiotelevisione: G. De Cristofaro, Nuove leggi civ.
comm. 06, 801s.; Id., St. i. 08, 273s.) e di pubblicità dei medicinali per uso umano (anche in
questo caso, il richiamo normativo è da considerare superato, giacché il d.lgs. n. 541 del 1992 è
stato interamente abrogato dal d.lgs. 24-4-2006,
n. 219). Uno dei primi (e più attenti) commentatori del c.cons. ha ritenuto «oscuro» il significato
della frase «oltre a quanto disposto dall’art. 2»,
con cui esordisce il precetto sulla portata oggettiva della norma in esame; precisamente, secondo questo studioso, potrebbe sostenersi che il legislatore, inserendo tali parole, abbia voluto attribuire alle associazioni la legittimazione a convenire in giudizio professionisti a fronte di comportamenti che, pur non violando alcuna disposizione del codice, tuttavia risultino lesivi dei
diritti collettivi fondamentali riconosciuti e garantiti dall’art. 2, 2o co., del codice del consumo:
così, più o meno testualmente, G. De Cristofaro, Nuove leggi civ. comm. 06, cit., 802, il quale
aggiunge che, optando per questa interpretazione, ne conseguirebbe che le associazioni potrebbero reputarsi legittimate ad agire per la tutela
degli interessi collettivi dei consumatori, «anche
a fronte della violazione di prescrizioni inserite
925
Procedimenti inibitori a tutela degli interessi collettivi dei consumatori
in provvedimenti normativi non specificamente
ed esclusivamente rivolti a tutelare i soli consumatori (quali, ad es., gli artt. 115-120 del t.u.b.,
svariate disposizioni del codice delle assicurazioni [...]), qualora siffatta violazione si sostanzi
altresì nella lesione di uno (o più) dei diritti consumatori riconosciuti come «fondamentali» a
norma del 2o co. dell’art. c.cons.». Ci si è domandati, se l’espressione «materie disciplinate
in questo codice» comprenda anche le materie
contenute in altri provvedimenti legislativi, ma
richiamati dal codice del consumo (il dubbio è
prospettato e risolto in senso positivo da G. De
Cristofaro, ivi, 801, ove si evocano «gli artt.
121-127 del t.u. bancario e il d.lgs. 9-4-2003, n.
70, in materia di commercio elettronico, nonché
il d.lgs. 31-3-1998, n. 114, recante riforma della
disciplina del commercio»). Quanto ai richiami
di cui alle lett. a) e b) del 1o co. della norma in
epigrafe (necessari perché si riferiscono a provvedimenti legislativi estranei, da un punto di vista normativo, al codice del consumo: Petrillo,
ivi, 820; in proposito, si è notato che la ratio della scelta legislativa è da individuare nella delicatezza di questi settori dell’esperienza giuridica,
che rende «opportuno consentire anche forme
di tutela collettiva»: Benucci, Comm. Vettori,
1079), si sostiene la necessità di una loro lettura
correttiva, nel senso che la violazione di alcune
soltanto delle disposizioni di tali provvedimenti
(e non di una qualsiasi di esse) legittima le associazioni ad agire nei confronti di colui che se ne
140
140
renda responsabile (così, G. De Cristofaro, ivi,
802, il quale indicava, rispettivamente, gli artt. 4,
37, 38, 39 e 40 del d.lgs. 177/2005 e gli artt. 113128 del d.lgs. 219/2006). Infine, in merito all’interrogativo sulla tassatività dell’intera elencazione di materie menzionata dall’articolo in
commento, vi è chi ritiene che essa sarebbe incompleta, perché le associazioni di cui all’art.
137 potrebbero senz’altro considerarsi legittimate ad agire a tutela di interessi collettivi dei
consumatori anche a fronte della violazione degli artt. 121-127 del d.lgs. 385/1993 (testo unico
in materia bancaria e creditizia), del d.lgs. 9-42003, n. 70, «recante attuazione della dir. 2000/
31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare
il commercio elettronico, nel mercato interno»,
del d.lgs. 16-12-2004, n. 30, «recante attuazione
della dir. 2003/33/CE in materia di pubblicità e
di sponsorizzazione dei prodotti del tabacco», e,
infine, dell’art. 32 bis del d.lgs. 24-2-1998, n. 58,
(testo unico in materia di intermediazione finanziaria): così, ancora, G. De Cristofaro, S. i.
08, cit., 274 (a tale riguardo, peraltro, si potrebbe anche ritenere – diversamente, ma non condivisibilmente – che il repertorio di norme indicato dall’articolo in epigrafe sia da reputare tassativo, e ciò pure alla luce di quanto disposto dal
successivo art. 144: per questo argomento, v. Peduto, ivi, 1044, il quale, però, se ben intendo,
non assume una posizione netta sul punto).
Procedura. 1. I soggetti di cui all’articolo 139 sono legittimati nei casi ivi previsti
ad agire a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti richiedendo
al tribunale:
a) di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti;
b) di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate;
c) di ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione
nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento può contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate.
2. Le associazioni di cui al comma 1, nonché i soggetti di cui all’articolo 139, comma 2, possono attivare, prima del ricorso al giudice, la procedura di conciliazione dinanzi alla camera
di commercio, industria, artigianato e agricoltura competente per territorio, a norma dell’articolo 2, comma 4, lettera a), della legge 29 dicembre 1993, n. 580, nonché agli altri organismi di
composizione extragiudiziale per la composizione delle controversie in materia di consumo a
norma dell’articolo 141. La procedura è, in ogni caso, definita entro sessanta giorni.
3. Il processo verbale di conciliazione, sottoscritto dalle parti e dal rappresentante dell’organismo di composizione extragiudiziale adito, è depositato per l’omologazione nella cancelleria del tribunale del luogo nel quale si è svolto il procedimento di conciliazione.
140
CODICE DEL CONSUMO
926
4. Il tribunale, in composizione monocratica, accertata la regolarità formale del processo
verbale, lo dichiara esecutivo con decreto. Il verbale di conciliazione omologato costituisce titolo esecutivo.
5. In ogni caso l’azione di cui al comma 1 può essere proposta solo dopo che siano decorsi
quindici giorni dalla data in cui le associazioni abbiano richiesto al soggetto da esse ritenuto
responsabile, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, la cessazione del comportamento lesivo degli interessi dei consumatori e degli utenti.
6. Il soggetto al quale viene chiesta la cessazione del comportamento lesivo ai sensi del
comma 5, o che sia stato chiamato in giudizio ai sensi del comma 1, può attivare la procedura
di conciliazione di cui al comma 2 senza alcun pregiudizio per l’azione giudiziale da avviarsi
o già avviata. La favorevole conclusione, anche nella fase esecutiva, del procedimento di conciliazione viene valutata ai fini della cessazione della materia del contendere.
7. Con il provvedimento che definisce il giudizio di cui al comma 1 il giudice fissa un termine per l’adempimento degli obblighi stabiliti e, anche su domanda della parte che ha agito
in giudizio, dispone, in caso di inadempimento, il pagamento di una somma di denaro da 516
euro a 1.032 euro, per ogni inadempimento ovvero giorno di ritardo rapportati alla gravità
del fatto. In caso di inadempimento degli obblighi risultanti dal verbale di conciliazione di cui
al comma 3 le parti possono adire il tribunale con procedimento in camera di consiglio affinché, accertato l’inadempimento, disponga il pagamento delle dette somme di denaro. Tali
somme di denaro sono versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate con
decreto del Ministro dell’economia e delle finanze al fondo da istituire nell’àmbito di apposita
unità previsionale di base dello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico,
per finanziare iniziative a vantaggio dei consumatori.
8. Nei casi in cui ricorrano giusti motivi di urgenza, l’azione inibitoria si svolge a norma
degli articoli da 669 bis a 669 quaterdecies del codice di procedura civile.
9. Fatte salve le norme sulla litispendenza, sulla continenza, sulla connessione e sulla riunione dei procedimenti, le disposizioni di cui al presente articolo non precludono il diritto ad
azioni individuali dei consumatori che siano danneggiati dalle medesime violazioni.
10. Per le associazioni di cui all’articolo 139 l’azione inibitoria prevista dall’articolo 37 in
materia di clausole vessatorie nei contratti stipulati con i consumatori, si esercita ai sensi del
presente articolo.
11. Resta ferma la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di servizi
pubblici ai sensi dell’articolo 33 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80.
12. Restano salve le procedure conciliative di competenza dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di cui all’articolo 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249.
Sommario: I. Premessa. - II. Competenza e giurisdizione. - III. I provvedimenti: a) l’inibitoria; - IV.
(segue) b) le misure idonee a correggere e/o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate; - V.
(segue) c) la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani. - VI. La procedura di conciliazione. - VII. La richiesta preventiva di cessazione del comportamento lesivo. - VIII. L’inibitoria cautelare. - IX. Le misure coercitive indirette previste al 7o comma. - X. Concorso di azioni collettive promosse da più enti legittimati. - XI. I rapporti tra l’azione collettiva e l’azione individuale del singolo
consumatore o utente. - XII. I rapporti con l’azione prevista dal d.lgs. 198/2009.
I. Premessa. n L’articolo in epigrafe, prevedendo un’azione inibitoria collettiva di carattere
generale a tutela degli interessi dei consumatori
e degli utenti, rappresenta la sostanziale trasposizione di quanto già disposto dall’art. 3 della l.
281/1998 (Armone, Comm. CBB, 664); il codice
del consumo, peraltro, riprende quest’ultima
norma, apportandovi gli adattamenti resi necessari dalle modifiche legislative successive all’entrata in vigore della l.q. sui consumatori (Barto-
927
Procedimenti inibitori a tutela degli interessi collettivi dei consumatori
lomucci, Comm. ARC, 822s.), nonché, secondo
parte della dottrina, introducendo alcuni miglioramenti (G. De Cristofaro, Nuove leggi civ.
comm. 06, 803; diversamente, altri studiosi ritengono che, con l’articolo in esame, il legislatore abbia perso l’occasione per innovare la vecchia disciplina e risolvere alcuni dei problemi
che essa, e ancor prima l’art. 1469 sexies c.c.,
avevano sollevato all’attenzione degli interpreti:
Petrillo, Comm. ARC, 838s.; Peduto, Comm.
SS, 1050). Detto ciò, l’indubbia continuità esistente tra le norme testé ricordate (ma, in particolare, l’art. 3, l. 281/1998) e la disposizione che
si commenta, permette di considerare tuttora
valide, anche con riferimento a quest’ultimo,
larga parte delle ricostruzioni teoriche e delle
soluzioni applicative a cui erano pervenute la
dottrina e la giurisprudenza formatesi precedentemente all’emanazione del codice del consumo
(che, dunque, in questa sede, saranno spesso richiamate, anche senza specificare, salvo quando
sia strettamente necessario, che si riferiscono al
quadro normativo previgente).
1 II. Competenza e giurisdizione. n La competenza per materia a conoscere dell’azione disciplinata dall’articolo in commento spetta al tribunale, così come si ricava dal 1o co. della norma stessa; è opinione comune che tale organo
decida in formazione monocratica, giacché, non
essendo prevista alcuna riserva di collegialità (a
differenza di quanto vale per le cause di cui all’art. 140 bis: v. art. 50 bis, 1o co., n. 7 bis, c.p.c.),
trova applicazione il precetto generale di cui all’art. 50 ter c.p.c. (Lepri, in Italia, Codice del
consumo, 935; Peduto, ivi, 1050; Armone, ivi,
664, tutti sottolineando come, diversamente da
quel che si poteva ritenere nel vigore dell’art. 3
della l. 281/1998, oggi si debba senz’altro escludere ogni ipotesi di competenza del giudice di
pace; Minervini, Contr. imp. 06, 638). In dottrina, non sono mancate critiche alla scelta del legislatore, sostenendosi che l’importanza e la delicatezza degli interessi in gioco suggeriva di devolvere tali controversie al tribunale in formazione collegiale, analogamente a quanto era
previsto (prima della recente abrogazione del rito societario per effetto della l. 69/2009) dall’art.
1, 3o co., d.lgs. 5/2003 per i giudizi in materia societaria proposti dalle associazione dei consu2 matori (così, Petrillo, ivi, 841s.). n Riguardo,
invece, alla competenza per territorio, è da ritenere che, nel silenzio della norma, essa vada determinata utilizzando i criteri ordinari stabiliti
nel codice di rito (artt. 18ss. c.p.c.) (Peduto, ivi,
1051; conf., con riferimento all’art. 3 l. 281/1998,
Marengo, Garanzie processuali e tutela dei consumatori, 137; Minervini, ivi, 637s., Id., Tratt.
Roppo, IV, 597s.; Id., Dei contratti del consuma-
140
tore in generale, 99, il quale, peraltro, esclude
espressamente l’applicabilità dell’art. 20 c.p.c.),
e ciò – si è osservato (Riccio, Comm. Rolli, 975)
– a differenza delle azioni individuali del singolo
consumatore, per le quali è competente il giudice del luogo della residenza o del domicilio elettivo del consumatore (così, C s.u. 03/14669, F. it.
03, I, 3298, nt. Palmieri; D. giust. 03, 41, 42, nt.
Colasanti; G. it. 04, 729, nt. D’Ascola; Giust.
civ. 04, I. 2693, nt. Lipari; Nuovo dir. 04, 497, nt.
Zamagni; D. formazione 04, 818, nt. Tallero,
interpretando il previgente art. 1469 bis, 3o co.,
n. 19, c.c., oggi sostituito dall’analogo art. 33,
lett. u). n Quanto alla giurisdizione, i primi commentatori della norma in epigrafe sostengono
che, in forza del combinato disposto del 1o e
dell’11o co., essa appartenga sempre all’autorità
giudiziaria ordinaria, salva la giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo in materia
di servizi pubblici ex art. 33 d.lgs. 80/1998, norma riformulata dal ben noto intervento additivo
della Consulta (Corte Cost. 6-7-2004, n. 204, F.
it. 04, I, 2594) (Armone, ibidem; Lepri, ivi, 943;
Trib. Roma [ord.] 23-5-2008, F. it. 08, I, 2674,
oss. A.D. De Santis). Si è affermato, altresì, che
nel caso di violazioni compiute in Italia da un
soggetto straniero, la giurisdizione del nostro
Stato sussista anche quando il convenuto non
sia domiciliato o residente nel territorio della
Repubblica, trattandosi di materia richiamata
dall’art. 3, 2o co., l. 218/1995 (Armone, ivi, 665).
III. I provvedimenti: a) l’inibitoria; n Con
l’azione collettiva prevista dal 1o co. della norma in commento (le cui lett. a, b e c, riproducono senza alcuna variazione, nemmeno lessicale,
quanto già stabilito all’art. 3, 1o co., l. 281/1998),
è possibile domandare tre diversi tipi di provvedimenti: a) l’inibitoria (in via ordinaria e/o cautelare); b) le misure idonee a correggere e/o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate; c) la pubblicazione del provvedimento su
uno o più quotidiani. n Dunque, non diversamente dai previgenti artt. 1469 sexies c.c. e 3, 6o
co., l. 281/1998 (nonché dall’art. 8 del d.lgs. 231/
2002, tuttora in vigore), la norma in epigrafe stabilisce che il giudice adito, qualora ne accerti la
illegittimità, possa inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti. n Sotto il profilo dogmatico, l’inquadramento dell’azione collettiva inibitoria è assai
controverso e incerto: così, se taluno ritiene che
gli enti esponenziali agiscano per la tutela di un
diritto soggettivo proprio, altri ravvisano nell’azione in esame un’ipotesi di legittimazione
straordinaria, o di mera azione, o, ancora, di legittimazione sui generis (per un’esaustiva rassegna critica delle diverse opinioni sul punto e per
un’attenta analisi di come il dibattito dottrinale
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2
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140
CODICE DEL CONSUMO
si sia sviluppato in corrispondenza del mutare
del dato normativo, v. da ultimo, con tutti i possibili riferimenti bibliografici, la diffusa trattazione monografica di Donzelli, La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, spec. 785ss.,
4 794ss.). n L’inibitoria prevista dalla norma in
commento può essere disposta in via ordinaria,
e dunque con la sentenza che definisce il giudizio nel merito (c.d. inibitoria finale); oppure, in
forza di un provvedimento cautelare, emanato
nel corso del giudizio o prima di esso (si parla,
allora, di inibitoria provvisoria o cautelare), però, in questo caso, solo ricorrendo il requisito
dei «giusti motivi d’urgenza» (8o co.). In entrambe le ipotesi è da ritenere, con la dottrina
maggioritaria (che si è espressa talvolta con riferimento all’azione inibitoria in genere e altre
volte, invece, riguardo alle particolari figure disciplinate nelle norme poc’anzi ricordate), che si
tratti di un provvedimento inquadrabile nell’ambito della tutela di condanna (ex multis,
Tommaseo, in Clausole vessatorie nei contratti
del consumatore, Comm. Schlesinger, 1156; Micheli, R. d. proc. 59, 212ss.; Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile5, 750s.; Giussani, R. d. priv. 97, 345; conf., da ultimo, Carnevale, R. d. proc. 07, 63ss., ed ivi un’attenta disamina critica dell’annoso dibattito relativo alla qualificazione sistematica dell’inibitoria), anche se
non mancano studiosi che hanno attribuito a tale figura natura latamente costitutiva (Montesano, R. d. proc. 97, 1ss., spec. 3; Id., R. trim. 95,
775ss., spec. 778; Id., La tutela giurisdizionale
dei diritti2, 222ss.; Marinucci, R. d. proc. 05, 135;
Nicotina, G. it. 99, 2223; secondo Ferri, R. d.
proc. 96, 938, «non è lontano dal vero chi prospetta nella condanna inibitoria un duplice contenuto, per un verso di mera condanna, quando
il diritto possa essere tutelato mediante modificazioni materiali e coercibili e, sotto altro aspetto, anche un profilo costitutivo-determinativo di
obblighi che devono caratterizzare in concreto il
comportamento del soggetto passivo») o di mero accertamento (Attardi, Diritto processuale
civile3, I, 107s., il quale, peraltro, riteneva che il
giudizio inibitorio di cui all’art. 1469 sexies c.c.
avesse carattere costitutivo, in quanto «volto a
costituire l’obbligo per il professionista, o l’associazione dei professionisti che utilizzino condizioni generali di contratto, di non inserire tra le
condizioni stesse quelle di cui sia accertata
l’abusività, ed ovviamente di non utilizzare quei
moduli o formulari che le contengono»). Tralasciando per il momento l’inibitoria cautelare
che, per la peculiarità dei problemi che solleva,
sarà oggetto di specifica trattazione(v. infra sub
par. VIII), si può osservare come il legislatore
del 2005, confermando la scelta già attuata con
928
la l. 281/1998, abbia voluto individuare, una volta ancora, nell’azione inibitoria lo strumento
che «offre la risposta più efficace alle istanze di
tutela dei consumatori e degli utenti» (Benucci,
Comm. Vettori, 1092, il quale richiama, a tale
proposito, le acute e limpide considerazioni
svolte dalla Pagni, Tutela individuale e tutela
collettiva nella nuova disciplina dei diritti dei
consumatori e degli utenti (Prime riflessioni sull’art. 3 L. 30 luglio 1998, n. 281), in Aa.Vv., La
disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, a cura di A. Barba, 144s.). Il provvedimento
inibitorio – che, come recita la norma, è finalizzato alla cessazione dell’attività lesiva degli interessi dei consumatori e degli utenti – potrà consistere sia nell’imposizione di un obbligo di fare,
qualora la condotta illecita abbia carattere
omissivo, sia nell’imposizione di un obbligo di
non fare, nel caso in cui la condotta fosse di tipo
commissivo (così, pressoché testualmente, Pagni, ivi, 145).
IV. (segue) b) le misure idonee a correggere e/o
eliminare gli effetti dannosi delle violazioni
accertate; n Quanto alle «misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate» (formula estremamente ampia, oltre cha vaga: Chiarloni, R. trim. 05, 402;
conf., Benucci, ivi, 1095; Granieri, D. e resp. 98,
920), la dottrina prevalente ritiene che esse rappresentino un rimedio autonomo rispetto all’inibitoria e non ne costituiscano, come reputano
invece alcuni studiosi, uno strumento di attuazione (a favore dell’opinione maggioritaria, v.,
da ultimo, Marinucci, ivi, 138; anche Conti,
Corr. giur. 06, 1279, valorizza tale autonomia,
affermando che i provvedimenti de quibus possono essere adottati «anche se la vicenda concreta non si presti all’emanazione di un ordine
inibitorio»). Se nessuno dubita che tali misure
assolvano a una funzione ripristinatoria, nel senso di ristabilire lo stato di fatto preesistente, mediante la pronuncia di una condanna ad una prestazione di fare (v., p. es., Benucci, ivi, 1095ss.;
Minervini, ivi, 114; conf., da ultimo, in giurisprudenza, Trib. Roma [ord.] 23-5-2008, F. it. 08,
I, 2674, oss. A.D. De Santis; Trib. Palermo 202-2008, ivi, 2475, nt. Palmieri), un’attenta studiosa ha sostenuto che esse possono anche concretarsi in sentenze di mero accertamento (Marinucci, ivi, 148ss., che fa l’esempio di una pronuncia dichiarativa dell’illegittimità o dell’illiceità di un comportamento, o, ancora, della nullità di un contratto; conf., in giurisprudenza,
Trib. Palermo 22-6-2006, Corr. giur. 06, 1268, nt.
Conti; Banca, borsa, tit. cred. 08, 3, 367, nt. Dagna). Ancora – ma, in passato, la questione è
sempre stata controversa, riguardando i rapporti tra azione collettiva e azione individuale (in
929
Procedimenti inibitori a tutela degli interessi collettivi dei consumatori
argomento v. infra sub par. XI) – si è affermato
che tali misure non potrebbero mai concretarsi
in sentenze di condanna al risarcimento di un
danno o alla restituzione di somme (Marinucci,
ivi, 140ss.; conf., Balena, R. d. civ. 06, Atti del
Convegno per il cinquantenario della Rivista,
562; Marengo, ivi, 138; Toffoletto - Stabilini,
Tutela giurisdizionale collettiva dei diritti dei
consumatori e legge antitrust, in Aa.Vv., La disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti,
a cura di A. Barba, 233; in giurisprudenza, v.
Trib. Torino 20-11-2006, F. it. 07, 1298; contra, p.
es., sul primo punto, Pagni, ivi, 153; Camero Della Valle, La nuova disciplina dei diritti dei
consumatori, 155ss.), né in sentenze di condanna
generica (Marinucci, ivi, 140ss.). Ebbene, è importante notare come tale contrasto di opinioni
sembri ormai definitivamente superato e risolto
alla luce dell’introduzione del nuovo art. 140
bis, il quale, disciplinando un apposito rimedio
collettivo risarcitorio (v. infra il commento ad
locum), dovrebbe comportare che dalle «misure
idonee previste dalla lett. b) vanno escluse le
condanne al risarcimento o alla restituzione di
somme a vantaggio dei singoli consumatori»
(così, Donzelli, ivi, 815s.) Sempre in dottrina,
si è posta in rilievo la discrezionalità del giudice,
il quale potrà assumere il provvedimento più
adatto, tenendo conto, di volta in volta, della situazione concretamente dedotta in giudizio
(Marinucci, ivi, 149; così, anche Benucci, ivi,
1096 e, ancor prima, Conti, Corr. giur. 01, 393, i
quali ritengono, con le parole di quest’ultimo,
che tale precetto presenti addirittura connotati
«creativi», rappresentando il «preludio ad una
nuova visione dei poteri del giudice»; Marengo,
ivi, 139, il quale ritiene che, nell’assumere tali
misure, il giudice non sia vincolato all’osservanza del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., purché sia rispettata «la garanzia del contraddittorio nei confronti della parte destinata a subire
gli effetti del provvedimento emanando»; Battelli, in Tripodi, Battelli, Codice del consumatore, 198; conf., in giurisprudenza, Trib. Roma 2-5-2007, Resp. civ. 08, 426, nt. Iurilli, ove si
afferma che tali provvedimenti non sono puntualmente identificati dal legislatore «perché
possano meglio adattarsi alle situazioni concrete», precisandosi, altresì, che «le sollecitazioni»
provenienti dalla parte con riferimento alla tipologia di misura da adottare, «non danno luogo ad altrettante domande assoggettate a termini o preclusioni»). Infine, va ricordato che la
maggioranza degli studiosi reputa senz’altro
ammissibile l’assunzione delle misure de quibus
anche nel giudizio volto alla pronuncia dell’inibitoria cautelare (Conti, ivi, 395s.; Camero,
140
Della Valle, ivi, 209; conf., direi, Minervini,
ivi, 114s.; contra, Colagrande, Nuove leggi civ.
comm. 98, 737).
V. (segue) c) la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani. n Oltre all’ini- 1
bitoria e all’assunzione delle misure illustrate
nel precedente paragrafo, il giudice può anche
ordinare «la pubblicazione del provvedimento
su uno o più quotidiani a diffusione nazionale
oppure locale nei casi in cui la pubblicità del
provvedimento può contribuire a correggere o
eliminare gli effetti delle violazioni accertate»
(da ultimo, per un’applicazione concreta di tale
misura, v. Trib. Palermo 20-2-2008, F. it. 08, I,
2475, nt. Palmieri). n Tale previsione evoca 2
l’art. 120 c.p.c. («Pubblicità della sentenza»),
norma che, conviene rammentarlo, è stata recentemente novellata dalla l. 69/2009 di riforma
parziale del processo civile. Al riguardo, va detto che, se interpretato alla lettera, questo articolo del codice di rito sembrerebbe stabilire un
vincolo funzionale tra la «divulgazione» della
sentenza civile e la riparazione del danno (non
patrimoniale) subito dalla parte vincitrice; diversamente, questa strumentalità non sussiste
nel caso dell’azione collettiva disciplinata dalla
norma in esame, ove la pubblicazione del provvedimento sulla stampa quotidiana è, secondo
una parte autorevole della dottrina, strumento
non risarcitorio (così ritiene, p. es., Tommaseo,
ivi, 1193, nt. 115; contra, Chiné, in Alpa - Levi,
I diritti dei consumatori e degli utenti, 53, e, se
ben intendo, Pagni, ivi, 154; nel senso, invece,
che la natura di tale strumento «oscilla tra il risarcimento in forma specifica e la sanzione», v.
Armone, ivi, 671), ma volto a eliminare gli effetti della violazione accertata e a modificare lo
stato di fatto lesivo del diritto. Se dunque a una
prima lettura, le due norme parrebbero fondarsi su presupposti diversi, in realtà non è così. Infatti, dottrina e giurisprudenza prevalenti interpretano l’istituto della divulgazione della sentenza civile in modo meno restrittivo di quanto
si desume dalla lettera dell’art. 120 c.p.c.: la
pubblicazione a mezzo stampa non avrebbe solo lo scopo di tutelare il diritto individuale al
risarcimento del danno, ma risponderebbe alla
più ampia esigenza di presidiare l’interesse generale a che non circolino false rappresentazioni della realtà giuridica, assolvendo altresì a una
funzione insieme sanzionatoria e compulsoria
(Cavallone, La divulgazione della sentenza civile, 43ss., 63s., 66; Tommaseo, ivi, 1193, nt. 117;
Chiarloni, Misure coercitive e tutela dei diritti,
116, nt. 14; La China, Le disposizioni generali
del processo civile, 661ss.: C 98/11603, Giust. civ.
99, I, 1401, nt. Albertini; contra, Grasso, Dei
poteri del giudice, in Allorio, Commentario del
140
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4
5
6
CODICE DEL CONSUMO
codice di procedura civile, 1340ss.). Ponendosi
in tale prospettiva – una volta negata la funzione esclusivamente risarcitoria della divulgazione della sentenza civile – bisogna dare atto che
l’art. 140, 1o co., lett. c, laddove risponde non
solo a esigenze restitutorie (e, per taluni, risarcitorie: v. supra), ma anche sanzionatorie e
complusorie (Benucci, ivi, 1097s.), diventa una
norma tutto sommato superflua, giacché meramente ricognitiva di quanto prevede l’art. 120
c.p.c. (nel senso che, pure in mancanza della disposizione speciale, il giudice potrebbe ugualmente ordinare la pubblicazione del provvedimento per eliminare le violazioni accertate, sulla base di quanto previsto, in via generale, dall’articolo del codice di rito). n Premesso ciò,
non vi è dubbio che la pubblicazione della sentenza inibitoria si possa rivelare uno strumento
particolarmente utile, tenuto conto che i destinatari dell’ordine giudiziale sono normalmente
«soggetti sensibili all’esigenza di tutelare la propria immagine nell’ambiente degli operatori
economici» (così, seppure riguardo alla inibitoria prevista dall’art. 1469 sexies c.c., Tommaseo,
ivi, 1193). n La pubblicazione può essere disposta sia a completamento della pronuncia di inibitoria, sia contestualmente all’adozione delle
misure idonee di cui alla lett. b (così, con riferimento all’art. 3 l. 281/1998, Marengo, ivi,
139). n Analogamente all’art. 120 c.p.c, e a differenza di quanto sostenuto da alcuni studiosi
riguardo all’art. 1469 sexies c.c., la formulazione
della norma in commento pare inequivoca nel
subordinare la pubblicazione della sentenza inibitoria all’istanza di parte, escludendo dunque
un’iniziativa ufficiosa (conf., Benucci, ivi, 1097;
Armone, ivi, 671, seppure dubitativamente; entrambi questi autori ricordano come tale conclusione sembrerebbe rafforzata dal confronto
con la diversa formulazione dell’art. 37, 3o co.,
c.cons., riguardo al quale si reputa che il potere
attribuito al giudice di pubblicare il provvedimento «in uno o più giornali, di cui uno almeno
a diffusione nazionale», sia esercitabile anche
d’ufficio). n È da ritenere, come sostenuto da
alcuni studiosi con riferimento all’analogo disposto dell’ult. co. dell’art. 1469 sexies c.c.
(Tommaseo, op. ult. cit., 1193s.; Montesano,
Tutela giurisdizionale dei consumatori e dei concessionari di servizi di pubblica utilità nelle normative sulle clausole abusive e sulle autorità di
regolazione, cit., 3; Giussani, ivi, 348; Id., Inibitoria (azione), Enc. g. Treccani, 3; conf., relativamente alla norma in commento, Battelli,
ivi, 199; Miconi, Comm. Franzoni, 660), che
nell’ottica di un’interpretazione evolutiva, al
giudice sia permesso ordinare la divulgazione
del provvedimento anche tramite altri mezzi di
930
comunicazione diversi dalla stampa, quali ad
esempio la radio e la televisione, oppure la rete
internet (si rammenta che, sebbene ad altri fini,
la giurisprudenza di merito ha già da tempo
equiparato internet a un organo di stampa: Trib.
Napoli 8-8-1997, D. g. 97, 472; ma, soprattutto,
bisogna ricordare che l’estensione poc’anzi evocata è oggi espressamente prevista dal nuovo
testo dell’art. 120 c.p.c., come modificato dalla l.
69/2009). n Secondo la giurisprudenza di meri- 7
to, contrastata peraltro da una parte della dottrina, la pubblicazione può essere richiesta (ed
eventualmente concessa) non solo nel giudizio
di merito, ma anche in quello cautelare (Trib.
Roma [ord.] 28-6-2003, G. it. 05, 1033; Contr.
03, 1034; in motivazione, Trib. Torino [ord.]
3-10-2000, Giust. civ. 01, I, 813, nt. Plaia; F. it.
00, I, 3622; Corr. giur. 01, 389, nt. Conti; conf.,
in dottrina, Conti, ivi 395s.; Giussani, ibidem,
ma con riferimento al diverso testo dell’art.
1469 sexies c.c.; contra, Sacchettini, Guida d.
05, 116; Colagrande, ivi, 737).
VI. La procedura di conciliazione. n I co. 2, 3, 1
4 e 6, nel disciplinare la procedura di conciliazione, riprendono, con alcune modificazioni,
quanto già previsto dall’art. 3 della l. 281/1998
(in generale, si è sottolineata l’importanza sistematica di tali disposizioni, in quanto consentirebbero «il superamento dei dubbi, non di rado
avanzati, in merito alla validità di una transazione tra l’associazione dei consumatori ed il professionista, in considerazione della pretesa natura indisponibile degli interessi collettivi di cui la
prima è portatrice»: Minervini, ivi, 119). Cominciando dalla legittimazione ad avviare tale
procedura, essa spetta a tutti i soggetti menzionati all’art. 139, e dunque sia alle associazioni
dei consumatori e degli utenti inserite nell’elenco di cui all’art. 137, sia agli organismi pubblici
indipendenti e alle organizzazioni, riconosciuti
in altro Stato dell’Unione europea ed oggi evocati all’art. 139, 2o co. (Bartolomucci, ivi, 823;
Armone, ivi, 665). Si ritiene, invece, che tale legittimazione non appartenga né al singolo consumatore, né ad altri enti diversi da quelli indicati all’art. 139 (Armone, ibidem; conf., sulla
prima parte, Peduto, ivi, 1059; al riguardo, precisa Bartolumucci, ivi, 825, che il singolo consumatore, pur non potendo agire ai sensi della
norma in commento, sarà comunque legittimato
a promuovere le procedure di composizione extragiudiziale previste all’art. 141). Sempre dal
punto di vista attivo, la legittimazione a promuovere la conciliazione non spetta nemmeno,
salvo quanto previsto dal 6o co. (v. infra), al professionista o all’associazione nazionale rappresentativa a livello nazionale degli interessi di tale categoria (così, Bartolomucci, ivi, 825s., il
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5
Procedimenti inibitori a tutela degli interessi collettivi dei consumatori
quale individua la ratio di tale esclusione nella
volontà di fornire maggiore tutela dei diritti alla
parte debole del contratto, Armone, ivi, 665s.).
n Per quanto concerne la legittimazione passiva,
non vi è dubbio che essa spetti al professionista
o all’associazione rappresentativa di quest’ultimo (Bartolomucci, ivi, 826), autori del comportamento o dell’atto lesivo (Armone, ivi, 666). n
Una delle novità dell’art. 140 rispetto alla disciplina previgente è rappresentata dal novero degli organismi di fronte ai quali è possibile esperire il tentativo di conciliazione. Il 2o co. della
norma in commento prevede, infatti, che la procedura conciliativa possa essere avviata non solo presso le camere di commercio (come già disponeva l’abrogato art. 3, 2o co, l. 281/1998), ma
anche dinanzi gli altri organismi di composizione extragiudiziale in materia di consumo previsti dall’art. 141 (Bartolomucci, ibidem; Armone, ibidem). n In dottrina è opinione comune
che il tentativo di conciliazione in esame abbia
carattere preventivo, ma facoltativo, e dunque
non si configuri quale condizione di procedibilità (Bartolomucci, ivi, 827, il quale argomenta
tale opinione, richiamando l’espressione «possono» che si legge nell’incipit del 2o co.; Armone, ibidem, 666; Minervini, ivi, 120); in proposito, non manca chi ritiene che sarebbe stato più
opportuno rendere obbligatorio tale adempimento (Lepri, ivi, 936). n La dottrina non è concorde circa il momento in cui può essere attivata
la procedura conciliativa de qua. Infatti, secondo alcuni studiosi, mentre il tentativo di conciliazione promosso dall’associazione dei consumatori (o degli utenti) avrebbe carattere preventivo e non potrebbe essere attivato dopo
l’instaurazione del giudizio (Minervini, ivi, 120,
invocando l’inciso «prima del ricorso al giudice»
che si legge all’art. 140, 2o co.; conf., direi, Armone, ibidem), diversamente il tentativo di conciliazione promosso dal professionista – alla luce del chiaro disposto dell’art. 140, 6o co., il quale prevede che, nell’ipotesi di conciliazione promossa dal soggetto a cui viene chiesta la cessazione del comportamento lesivo, l’esito positivo
di tale incombenza venga valutato dal giudice
procedente, anche in fase esecutiva, quale cessazione della materia del contendere – avrebbe
carattere tanto preventivo quanto successivo
(così, ancora, Minervini, ibidem, il quale definisce «sorprendente» questa diversità di disciplina). Tale opinione, tuttavia, non è condivisa da
altri commentatori che, proprio argomentando
dal precetto testé ricordato, sostengono invece
che anche la procedura conciliativa avviata dalle
associazioni dei consumatori e dagli altri soggetti legittimati a norma dell’art. 139, 2o co., potrebbe essere esperita in qualunque momento
140
del processo (Bartolomucci, ivi, 834, il quale
asserisce, peraltro, che l’accordo raggiunto in
seguito a una conciliazione promossa dalle associazioni durante la pendenza del giudizio civile,
avrà effetto meramente contrattuale e, a differenza di quanto avviene per la conciliazione
preventiva, v. infra, non potrà assumere efficacia di titolo esecutivo; conf., sul primo principio,
Peduto, ivi, 1059). n Detto ciò, si può notare co- 6
me, da un punto di vista procedurale, la disciplina dell’istituto riproduca quella già prevista all’art. 3 della l. 281/1998, con la conseguenza, tra
l’altro, che, anche nel nuovo contesto legislativo, si ripropongono gli stessi problemi interpretativi sollevati da quest’ultima norma. Così, per
quanto concerne la competenza territoriale delle Camere di commercio, si ritiene che, nel silenzio della legge, si debbano applicare i criteri
ordinari del codice di rito (Peduto, ivi, 1060;
Armone, ibidem), anche se non manca chi suggerisce di avvalersi del c.d. foro del consumatore (Bartolomucci, ibidem, il quale ricorda l’origine giurisprudenziale di questo criterio; al riguardo, peraltro, Armone, ibidem, osserva che,
nella specie, tale foro non sarebbe facilmente individuabile). n Poiché la norma in commento 7
non fornisce indicazioni circa le modalità secondo cui si deve svolgere la procedura conciliativa,
si reputano applicabili i regolamenti degli enti a
cui si rivolgono, di volta in volta, le parti, «nel rispetto delle Raccomandazioni della Commissione europea 1998/257/CE e 2001/310/CE (entrambe richiamate all’art. 141)» (così, ancora
Bartolomucci, ivi, 827s.). n Il termine di sessan- 8
ta giorni entro il quale deve concludersi la procedura conciliativa ha natura ordinatoria (Armone, ibidem, che afferma ciò, rilevando come
la legge non preveda alcun sanzione per la sua
inosservanza) e taluno ritiene che possa essere
derogato dalla parti (Bartolomucci, ivi, 828; in
proposito, questo autore precisa che, ovviamente, la procedura deve considerarsi «conclusa»,
sia nel caso di esito positivo, sia nell’ipotesi di
fallimento del tentativo, sia ancora quando esso
non abbia avuto luogo per rifiuto del professionista). In assenza di ogni indicazione normativa,
è dubbio quale sia il dies a quo per la decorrenza di tale termine; tra le varie alternative (che
secondo Bartolomucci, ibidem, potrebbero essere le seguenti: dalla richiesta di attivazione
della procedura conciliativa; dalla ricezione della domanda da parte del professionista; dalla data della risposta di quest’ultimo, ovvero dall’inutile spirare del termine per tale adempimento;
dalla nomina del conciliatore), sembrano privilegiarsi quella del deposito della domanda di
conciliazione presso l’organismo competente
oppure quella della piena instaurazione del con-
140
CODICE DEL CONSUMO
traddittorio (Caggia, in Barba, La disciplina dei
diritti dei consumatori e degli utenti, 279; Armone, ibidem), ma non manca chi opta per quella
della «investitura dell’organismo di conciliazione» (e, cioè, se ben intendo, della nomina del
9 conciliatore: Peduto, ivi, 1060). n Il verbale di
conciliazione è sottoscritto dalle parti e dal rappresentante dell’organismo di conciliazione prescelto, da individuarsi nel conciliatore stesso
(Bartolomucci, ivi, 828s.), oppure, secondo altri, anche in un funzionario dell’organismo stesso (Armone, ibidem). Il 3o e il 4o co. dell’articolo in commento prevedono che il verbale di conciliazione acquisti efficacia di titolo esecutivo
per effetto dell’omologazione del tribunale, organo che provvede (in formazione monocratica
e non collegiale) con decreto e dopo avere accertato la regolarità formale del verbale stesso
(Lepri, ivi, 936; Marengo, ivi, 140; Minervini,
ivi, 122; ma per una diversa impostazione v.
Caggia, ivi, 283, secondo il quale il controllo
non si deve limitare «alla verifica dell’avvenuto
rispetto del principio [del] contraddittorio e delle fondamentali garanzie di difesa», ma estendersi fino «alla verifica dell’esistenza del requisito di indipendenza e di imparzialità dell’organismo conciliativo e la conduzione della procedura secondo quei criteri diretti ad agevolare la
partecipazione consapevole del consumatore»).
Il diritto di domandare l’omologazione (depositando il verbale nella cancelleria del tribunale
del luogo nel quale si è svolto il procedimento di
conciliazione) spetta alla parte interessata (così,
Bartolomucci, ivi, 831, il quale reputa che a tale incombenza possa procedere anche l’organismo di conciliazione su impulso di entrambe le
10 parti). n Per concludere, occorre ricordare che il
rinvio all’art. 33, d.lgs. 80/1998, non ribadisce
soltanto la giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo in materia di servizi pubblici (v.
supra), ma comporta altresì il richiamo alla speciale procedura conciliativa disciplinata all’art.
2, 24o co., l. 481/1995 (Bartolumucci, ivi, 836;
Armone, ibidem, il quale rammenta, inoltre,
che, ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo in
epigrafe, restano salve le procedure conciliative
di competenza dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di cui all’art. 1, 11o co., l. 249/
1997).
VII. La richiesta preventiva di cessazione del
1 comportamento lesivo. n Il 5o co. della norma
in epigrafe – il cui testo è identico a quello dell’art. 3, 5o co., l. 281/1998 – stabilisce che l’esercizio dell’azione collettiva sia subordinato al decorso del termine di quindici giorni dalla data in
cui le associazioni abbiano richiesto al soggetto
ritenuto responsabile, a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, la cessazio-
932
ne del comportamento lesivo degli interessi dei
consumatori e degli utenti. Tale adempimento –
che si considera modellato su quello già previsto
dall’[abrogato] art. 22 l. 990/1969, in materia di
azione del danneggiato contro l’impresa assicuratrice della responsabilità civile derivante dalla
circolazione del veicolo danneggiante (ma v.
ora, in senso analogo, l’art. 145 d.lgs. 209/2005,
Codice delle assicurazioni private) (ex multis,
Lepri, ivi, 936; Pagni, ivi, 157; Armone, ivi, 667),
e che trova la propria ratio nel favore verso ogni
meccanismo normativo che agisca da filtro nei
confronti della giurisdizione (Granieri, D. e resp. 98, 921) – rappresenta, secondo parte della
dottrina, una condizione di proponibilità della
domanda (Pagni, ivi, 162; Lepri, ibidem; Armone, ibidem), la cui assenza, per la giurisprudenza
formatasi riguardo al predetto art. 22 (ma applicabile pure alla norma de qua: Pagni, ivi, 162),
sarebbe rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e
grado del giudizio (C 07/6960, Guida d. 07, 22,
37; C 06/18493; C 04/23696; Pagni, ibidem; Armone, ibidem; le pronunce testé citate precisano, peraltro, che tale regime di rilevabilità incontra un limite nella «preclusione del giudicato»), con conseguente chiusura in rito del processo (e cassazione senza rinvio, ove il difetto
sia sollevato davanti alla Corte Suprema: così,
testualmente, Pagni, ibidem). Coerentemente a
questa impostazione, parte della dottrina ritiene
che, dovendo preesistere alla domanda, la richiesta dell’associazione non possa essere contenuta nella citazione introduttiva del giudizio
(Pagni, ibidem, aggiungendo che tale possibilità
sarebbe da escludere, anche qualora si fissasse
l’udienza di comparizione oltre il quindicesimo
giorno dalla notifica; Armone, ibidem). n Detto 2
ciò, occorre notare peraltro che l’indirizzo teorico e applicativo appena ricordato non è l’unico
esistente: altri studiosi, infatti, optano per una
ricostruzione sistematica dagli effetti meno drastici, inquadrando l’onere della previa diffida
come «condizione di procedibilità» (e, dunque,
non di «proponibilità») (così, Marengo, ivi, 137;
Chiné, in Alpa - Levi, I diritti dei consumatori e
degli utenti, 50s.; Benucci, ivi, 1089, nt. 49). Per
chi si pone in questa prospettiva, l’omessa osservanza di tale adempimento costituirebbe un vizio rilevabile solo su istanza di parte e non oltre
la fase di primo grado (Marengo, ibidem); un
vizio la cui declaratoria determinerebbe la mera
sospensione del processo, in attesa che la parte
onerata provveda alla diffida (Marengo, ibidem; secondo la Benucci, ibidem, la mancata richiesta preventiva di cessazione del comportamento lesivo costituirebbe «una preclusione solo temporale della pronuncia del giudice, il quale [non sarebbe tenuto a dichiarare senz’altro
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Procedimenti inibitori a tutela degli interessi collettivi dei consumatori
inammissibile la domanda, ma] dovrebbe lasciar
decorrere il termine di 15 giorni, dopodiché potrebbe validamente pronunciarsi e il decorso
potrebbe compiersi anche dopo la notificazione
della citazione». n La dottrina maggioritaria, argomentando sull’inciso «in ogni caso» che si legge nel 5o co. della norma in esame, sostiene che
la richiesta di cessazione dell’attività lesiva si
renda necessaria anche qualora si sia verificato
il fallimento del tentativo di conciliazione (Bartolomucci, ivi, 831; Armone, ibidem; conf., sull’art. 3, l. 281/1998, Camero - Della Valle, ivi,
205s.; contra – a quanto si apprende da Bartolomucci, ivi, 831, nel testo e a nt. 15 – Minervini, La conciliazione stragiudiziale delle controversie. Il ruolo delle Camere di Commercio, 52s.,
nonché, forse, in base a un passaggio non del
tutto limpido della motivazione, anche Cons.
St., sez. VI, [ord.], 15-12-1998, n. 1884, F. it. 99,
III, 74, nt. Palmieri, spec. 76; G. it. 99, 627; Corr.
giur. 99, 494, nt. De Marzo; Urbanistica e appalti 99, 173, nt. Della Valle). n Ancora, la maggioranza degli studiosi esclude che l’intimazione
de qua sia necessaria nell’ipotesi in cui si promuova l’azione inbitoria in via cautelare, ai sensi dell’8o co. della norma in epigrafe: ciò in
quanto il termine di quindici giorni sarebbe incompatibile con la natura urgente di questa forma di tutela (Benucci, ivi, 1089; Armone, ibidem; Pagni, ivi, 163; Colagrande, ivi, 738, nt.
129; Camero - Della Valle, ivi, 207; Sacchettini, ivi, 116; contra, Chiné, ivi, 50, nonché, ma
con riferimento alla richiesta, in via cautelare, di
«misure non inibitorie», Cons. St., sez. VI,
[ord.], 15-12-1998, n. 1884, cit.). n Quanto alla
natura della diffida, la dottrina ritiene che si
tratti di un atto recettizio, affermando altresì
che il termine comincia a decorrere dal ricevimento della diffida stessa (Sacchettini, ivi, 116;
Camero - Della Valle, ivi, 206; Armone, ibidem). n Il 6o co. della norma in commento prevede che, in seguito alla richiesta di cessazione
del comportamento lesivo, la parte intimata
possa attivare la procedura conciliativa; tale
precetto, che non trova un precedente nell’art. 3
della l. 281/1998 (Armone, ibidem), riconoscendo anche al professionista o a un’associazione di
professionisti il diritto di fare ricorso alla conciliazione, dimostrerebbe come tale procedura sia
nella piena disponibilità delle parti (così ancora
Armone, ibidem, richiamando l’opinione di
Bartolomucci, ivi, 833).
VIII. L’inibitoria cautelare. n L’articolo che
si commenta – analogamente a quanto già disponeva l’art. 3, l. 281/1998, e, ancora prima,
l’art. 1469 sexies c.c. – prevede all’8o co. che,
qualora ricorrano «giusti motivi d’urgenza»,
l’inibitoria possa essere domandata anche in via
140
cautelare, applicandosi, in questo caso, la disciplina processuale di cui agli artt. 669 bis-669
quaterdecies c.p.c. (sulla natura cautelare dell’inibitoria de qua, la dottrina e la giurisprudenza sono pressoché unanimi, pur non mancando
autorevoli voci di dissenso: ex multis; Tommaseo, ivi, 1213ss.; Consolo - De Cristofaro,
Corr. giur. 97, 480s.; Pagni, ivi, 194ss.; Minervini, Contr. imp. 06, cit., 646ss.; Id., Tr. GabrielliMinervini, I, 494ss.; contra, qualificando tale
procedimento come «sommario non cautelare»,
v. Carratta, in Lanfranchi, Giusto processo civile e procedimenti decisori sommari, 137ss., e,
con qualche perplessità, Chiarloni, R. trim. 05,
cit., 400s.). n È opinione comune che la formula- 2
zione di tale precetto sia destinata a riproporre
le notevoli incertezze interpretative già sorte in
passato (sotto l’imperio delle norme poc’anzi
evocate), circa il significato da attribuire all’espressione «giusti motivi d’urgenza» (Lepri,
ivi, 938s.; sull’argomento, per una panoramica
delle varie opinioni, v. tra gli altri Conte, G. it.
98, 2000ss., spec. 2003ss.; Greco, D. e resp. 00,
5ss.; Carbonara, in Lanfranchi, La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi,
483ss.; Palmigiano, Comm. CBB, 648ss.). Personalmente, ritengo che per dare un senso a
questa controversa locuzione (che, a mio avviso,
esprime ellitticamente entrambi i requisiti necessari per avere accesso alla tutela cautelare,
ossia il fumus boni iuris e il periculum in mora:
conf., Minervini, Contr. imp. 06, cit., 647; Id.,
Dei contratti dei consumatori in generale, cit.,
109) sia fondamentale evitare automatismi o eccessivi irrigidimenti, assumendo invece un atteggiamento duttile il quale, d’altra parte, sembra
trovare conferma nel richiamo operato dal legislatore alla generica urgenza nel provvedere,
piuttosto che al più puntuale pregiudizio «imminente e irreparabile», che funge da condizione
di ammissibilità della tutela cautelare atipica ex
art. 700 c.p.c. Quindi, se è vero che l’inibitoria
cautelare riecheggia, per struttura e funzione, i
provvedimenti d’urgenza che il giudice pronuncia ai sensi della norma codicistica appena citata
(Lepri, ivi, 939), diversi sono i presupposti di applicabilità: nel primo caso, infatti, il pregiudizio
affermato può essere genericamente urgente;
nell’altro, invece, il legislatore ha «tipizzato» il
pregiudizio con i requisiti (ben più difficili da dimostrare) dell’imminenza e dell’irreparabilità
(conf., nella sostanza, Benucci, ivi, 1098; Lepri,
ivi, 941; in precedenza, v. in tal senso Pagni, ivi,
197, la quale ribadisce, incisivamente, che ««giusti motivi d’urgenza» non dovrà in alcun caso essere considerato un sinonimo del «pregiudizio
imminente e irreparabile»»; Giussani, D. e resp.
98, 1064, che definisce «meno grave» il peri-
140
CODICE DEL CONSUMO
culum richiesto per l’inibitoria d’urgenza rispetto a quello dell’art. 700 c.p.c.; Carratta, ivi, 141;
Petrillo, in Lanfranchi, Giusto processo civile
e procedimenti decisori sommari, 174; in giurisprudenza, v. in tal senso, Trib. Latina 13-7-2006,
Il merito 07, 5, 14, nonché, nella sostanza, Trib.
Roma [ord.] 23-5-2008, F. it. 08, I, 2674, spec.
2687s., oss. A.D. De Santis; Trib. Roma [ord.]
3 30-4-2008, ivi, 2679, oss. A.D. De Santis). n
Quanto alla giurisprudenza di merito, copiosa e
articolata, nel tempo si sono andati affermando
vari orientamenti, maturati soprattutto sotto
l’imperio dei previgenti artt. 1469 sexies c.c. e 3
l. 281/1998: così, alcune decisioni privilegiano il
criterio c.d. qualitativo, considerando determinante la natura «essenziale» o «primaria» del diritto o dell’interesse leso (v., p. es., Trib. Roma
27-7-1998, F. it. 98, I, 3332, ntt. Palmieri, Armone; Giust. civ. 99, I, 2520; D. econ. ass. 98, 991,
nt. Negri), altre quello c.d. quantitativo, e quindi attribuendo rilievo prevalente alla potenziale
diffusione del fenomeno lesivo (Trib. Roma
[ord.] 2-8-1997, F. it. 97, I, 3010, nt. Lener;
Giust. civ. 98, I, 269, nt. Corsini; G. it. 98, 1620,
nt. Cesaro; Resp. civ. prev. 98, 477, nt. Bitetti;
Corr. giur. 98, 944, nt. Musio; Dir. com. scamb.
int. 98, 217, nt. Troianello; Nuova g. civ. comm.
99, I, 247, nt. Conte; R. d. sport. 97, 530, nt.
Granieri), altre ancora li richiamano entrambi
Trib. Palermo [ord.] 5-9-1997, Vita not. 98, 836,
nt. Palmigiano; F. it. 97, I, 3009, nt. Lener), talora evocando pure contestualmente la nozione
di irreparabilità, ossia il più caratteristico dei requisiti richiesti per la concessione della tutela
cautelare atipica di diritto comune (v. spec.
Trib. Torino [ord.] 17-5-2002, G. it. 02, 2334, nt.
Togliatto; D. e resp. 03, 75, nt. Giussani, ove si
sostiene, appunto, che bisogna «guardare alla
natura dei diritti suscettibili di pregiudizio ed alla diffusione o potenziale diffusività del danno,
oltre che alla sua irreparabilità»; ma contra, nel
senso di escludere che l’irreparabilità del pregiudizio rappresenti una condizione per la pronuncia dell’inibitoria cautelare, v. le già ricordate Trib. Roma [ord.] 23-5-2008, cit.; Trib. Roma
[ord.] 30-4-2008, cit.; altre volte ancora, dopo
avere affermato che «occorre disancorare il concetto stesso di periculum in mora dalla dimensione individualistica del conflitto e ragionare,
invece, in termini di incidenza collettiva del
comportamento contrattuale abusivo», sottolineando altresì la necessità di valorizzare «la specificità dell’interesse collettivo leso alla correttezza, trasparenza ed equità dell’attività imprenditoriale nella erogazione di beni e servizi di uso
comune», si è concluso per la sussistenza dei
giusti motivi d’urgenza, quando il danno risulti
essere «di fatto irrisarcibile» per la estrema dif-
934
ficoltà che incontrerebbero i consumatori nel ripetere le somme indebitamente pagate: Trib.
Roma [ord.] 28-6-2003, G. it. 05, 1033; Trib. Roma [ord.] 14-3-2003, Contr. 03, 1031, con ampia
nota redazionale); non mancano poi provvedimenti (che sul punto, a mio avviso, sono da criticare), per i quali l’indagine sulla sussistenza
del periculum sembrerebbe quasi totalmente assorbita in quella del fumus, affermandosi che i
giusti motivi d’urgenza sussistono (in re ipsa) in
caso di prosecuzione dell’attività illecita (prosecuzione che, nel caso di specie, era avvenuta nonostante fosse stato disposto il sequestro penale
dei locali in cui si svolgeva: Trib. Torino 3-102000, cit.).
IX. Le misure coercitive indirette previste al 7o
comma. n La prima parte del 7o co. della di- 1
sposizione in epigrafe, prevedendo una misura
coercitiva di natura patrimoniale finalizzata a
garantire l’effettiva attuazione dei provvedimenti pronunciati all’esito del giudizio di merito, riprende quanto già stabiliva il 5o co. bis, dell’art. 3, l. 218/1998 (su quest’ultima norma v., tra
gli altri, diffusamente, Amadei, Giust. civ. 02, II,
385ss.), ma apportandovi alcune modifiche e integrazioni volte ad assicurare una più agevole e
proficua attivazione di questo importante meccanismo processuale (Lepri, ivi, 937; Benucci,
ivi, 1103s.; da ultimo, per un’applicazione concreta di tale misura, v. la già ricordata Trib. Palermo 20-2-2008, F. it. 08, I, 2475, nt. Palmieri).
La dottrina concorda nel porre in rilievo l’utilità
di una forma di esecuzione indiretta, considerato che l’inibitoria si concreta in un obbligo di
non fare, obbligo di per sé infungibile e, dunque, non attuabile forzatamente mediante le
procedure esecutive (c.d. dirette) regolate nel
codice di rito (Peduto, ivi, 1062; Benucci, ivi,
1103; in generale, sull’argomento v., se vuoi,
Vullo, R d. proc. 04, 727ss.; in proposito, va
senz’altro ricordato, che oggi l’art. 614 bis c.p.c.,
introdotto nel corpo del codice di rito dalla recente l. 69/2009, prevede una misura coercitiva
di natura patrimoniale e di applicazione generalizzata, volta proprio a permettere l’attuazione
delle sentenze e degli altri provvedimenti di
condanna all’adempimento di obbligazioni od
obblighi infungibili, misura che, peraltro, a mio
avviso non dovrebbe trovare applicazione quando, come nel caso di specie, esiste già una forma
specifica di esecuzione indiretta). n Premesso 2
ciò, la norma in esame prevede innanzitutto che
il giudice, qualora accolga la domanda proposta
ai sensi del 1o co., sia tenuto a fissare un termine
entro il quale il professionista convenuto debba
adempiere agli obblighi posti a suo carico con il
provvedimento giudiziale. Lo stesso giudice, [su
istanza di parte o anche d’ufficio (Benucci, ivi,
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Procedimenti inibitori a tutela degli interessi collettivi dei consumatori
1104; Lepri, ibidem; Peduto, ivi, 1063; Minervini, Contr. imp. 06, cit., 653; Id., Dei contratti del
consumatore in generale, cit., 116s.) ma non su
richiesta dei colegittimati rimasti estranei al giudizio (Benucci, ibidem; Lepri, ivi, 938)] stabilisce la somma, compresa tra i 516 e i 1.032 euro,
che il professionista dovrà pagare in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento,
somma che sarà determinata tenendo conto anche della gravità del fatto. Tale somma non è
destinata al creditore, bensì allo Stato (e poi
riassegnata da quest’ultimo a un fondo per finanziare iniziative a vantaggio dei consumatori). Dunque, la prima caratteristica che distingue la disciplina appena illustrata da quella previgente consiste nell’esplicita previsione che la
pronuncia della misura coercitiva sia «contestuale» a quella con cui è fissato il termine per
adempiere, precedendo quindi l’inadempimento
stesso (Benucci, ivi, 1104; Peduto, ibidem; Lepri, ivi, 937s.). In secondo luogo, la norma in
esame non si riferisce più solo al «ritardo nell’adempimento», ma anche, espressamente, all’inadempimento tout court dell’ordine del giudice, con formula probabilmente più adatta a
comprendere tutta la gamma dei provvedimenti
e delle misure che possono essere impartiti in
tale materia (Petrillo, ivi, 842). n Mentre taluno ritiene che la misura coercitiva de qua possa
essere adottata solo in caso di inibitoria ordinaria (Armone, ivi, 671; Sacchettini, ivi, 118), altri la ammettono anche con riferimento all’inibitoria d’urgenza prevista all’8o co. (Minervini,
Contr. imp. 06, cit., 653; Riccio, ivi, 981). n Sempre il 7o co. dell’articolo in epigrafe prevede poi
che, qualora le parti abbiano trovato un accordo
consacrato in un verbale di conciliazione, in caso di inadempimento degli obblighi risultanti da
quest’ultimo, la parte interessata potrà adire il
Tribunale che, con procedimento in camera di
consiglio, accertato l’inadempimento stesso, disporrà il pagamento della predetta somma di
denaro. In questa ipotesi, dunque, a differenza
della precedente, la misura coercitiva è fissata
dopo che si è realizzato l’inadempimento (Benucci, ibidem, la quale osserva che tale forma di
esecuzione indiretta si ritiene applicabile anche
quando si raggiunga la composizione extragiudiziale della controversia ex art. 141). n A mio avviso, considerato che la misura coercitiva si concreta sempre in un provvedimento di condanna
al pagamento di una somma di denaro, l’esecuzione forzata dovrà avvenire nelle forme dell’espropriazione regolata nel terzo libro del codice di rito (per una diversa opinione, v. invece
Armone, ivi, 672; Riccio, ivi, 982). n Qualora si
considerasse ammissibile l’azione inibitoria individuale, e cioè promossa dal singolo consuma-
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tore o utente (ma su questo delicato problema,
v. infra sub par. XI), vi è chi ritiene che questi
ultimi non potrebbero utilizzare gli strumenti di
coercizione indiretta testé illustrati (Benucci,
ivi, 1095). n Per concludere, è il caso di ricordare
come una parte della dottrina reputi che la misura coercitiva prevista nella prima parte del 7o
co. sia riconducibile, seppure con alcune particolarità, al modello dell’astreinte di diritto francese (Benucci, ivi, 1103ss.; Amadei, ivi, passim;
conf., direi, Belli, Comm. Tripodi-Belli, 662),
mentre altri studiosi ravvisano maggiori analogie con la Geldstrafe di diritto tedesco (Minervini, R. d. priv. 03, 512; Peduto, ibidem).
X. Concorso di azioni collettive promosse da
più enti legittimati. n Poiché la titolarità dell’azione collettiva spetta a una pluralità di enti,
ci si è domandati quali siano gli effetti della proposizione della domanda nei confronti degli altri co-legittimati, sia nel caso che essi abbiano
proposto un’analoga domanda, sia qualora non
abbiano esercitato l’azione de qua. Ebbene, secondo l’opinione di un’attenta studiosa, la situazione di cui l’imprenditore è titolare passivo va
ricostruita «come un’obbligazione indivisibile di
cui gli enti appaiono concreditori», con il conseguente richiamo alla disciplina delle obbligazioni indivisibili e, in particolare, della regola dell’art. 1306 c.c., e ancora, da un punto di vista
processuale, con l’applicazione dei principi propri del c.d. litisconsorzio unitario (Pagni, ivi,
164ss., spec. 167s.; in senso sostanzialmente conforme, Odorisio, in Lanfranchi, La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, 487;
Giussani, D. e resp. 98, cit., 1063, nel testo e nt.
12). n Ciò comporta, segnatamente: a) che
l’azione può essere proposta da uno degli enti
senza la partecipazione necessaria degli altri; b)
che la formazione successiva del litisconsorzio
può avvenire mediante i meccanismi processuali
dell’intervento volontario (art. 105 c.p.c.), dell’intervento coatto iussu iudicis (art. 107 c.p.c.),
o della chiamata su istanza di parte (art. 106
c.p.c.); c) che se la causa si è svolta con pluralità
di parti in primo grado, essa è inscindibile in fase di impugnazione; d) che quando più azioni
collettive siano proposte separatamente, sarebbe assai opportuno che esse «fossero trattate
congiuntamente e decise con un’unica sentenza» (Pagni, ivi, 168s.; conf., Armone, ivi, 672;
Riccio, ivi, 982s.). n Al riguardo, si segnala una
recente decisione di merito, secondo la quale,
«le associazioni rappresentative degli interessi
collettivi dei consumatori, iscritte nell’elenco tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico, sono legittimate ad intervenire nel giudizio
promosso da altri enti colegittimati, purché rispettino la condizione di proponibilità costituita
7
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2
3
140
CODICE DEL CONSUMO
dall’intimazione al professionista convenuto,
con lettera raccomandata, della cessazione della
condotta presuntivamente illecita» (Trib. Roma
[ord.] 23-5-2008, F. it. 08, I, 2674, oss. A.D. De
4 Santis). n Ancora, in dottrina vi è chi ritiene
che, in applicazione del già ricordato art. 1306
c.c., il giudicato di accoglimento della domanda
produca effetti anche nei confronti degli altri
co-legittimati, mentre quello sfavorevole non si
estenderebbe a essi (Pagni, ivi, 169s.; Odorisio,
ibidem; Armone, ibidem; a conclusioni non diverse giungono anche coloro i quali affermano
che, in caso di accoglimento si determinerebbe il
«venir meno dell’interesse ad agire» degli altri
legittimati, mentre in caso di rigetto «la vessatorietà della clausola può essere rimessa in discussione sia in sede collettiva, sia nel contesto di un
giudizio concernente il singolo consumatore
[ma su questo punto v. infra]»: così, esprimendosi riguardo all’abrogato art. 1469 sexies c.c.,
Consolo - De Cristofaro, ivi, 481s.; conf., da
ultimo, riguardo all’art. 37, Minervini, Contr.
imp. 06, cit., 660); tuttavia, altre voci dottrinali
dissentono da questa opinione, sostenendo che
tale estensione si produrrebbe sia in caso di accoglimento che di rigetto della domanda (Tarzia, R. d. proc. 97, 641; Montesano, ivi, 7ss.,
spec. 10s.; Giussani, Postilla di aggiornamento,
Inibitoria (azione) – I. Diritto processuale civile,
cit., 1, con specifico riferimento all’art. 3 l. 281/
1998; Danovi, R. d. proc. 96, 1073ss.).
XI. I rapporti tra l’azione collettiva e l’azione
individuale del singolo consumatore o utente.
1 n In merito alla questione, assai delicata e dibattuta, del coordinamento tra l’azione collettiva e
l’azione individuale del singolo consumatore, la
norma in commento si limita a riproporre al 9o
co. quanto già prevedeva l’art. 3, 7o co., della l.
281/1998: la disciplina dell’azione collettiva non
preclude il diritto ad azioni individuali dei singoli consumatori (o utenti) che siano danneggiati dalle medesime violazioni, salve le norme in
materia di litispendenza, continenza, connessione e riunione di procedimenti (al riguardo, si osserva giustamente l’[estrema] improbabilità del
verificarsi di un’ipotesi di litispendenza tra
l’azione collettiva e quella individuale, stante la
diversità di soggetti e di causa petendi e/o petitum: Armone, ivi, 673; Chiné, ivi, 37; Camero,
2 Della Valle, ivi 185s.; Riccio, ivi, 982). n In
dottrina si è molto discusso sui rapporti esistenti
tra l’azione collettiva e quella individuale (per
un’esaustiva trattazione di questo tema, molto
complesso e caratterizzato da un ventaglio di
opinioni particolarmente articolato e, a ben vedere, non sempre limpidissimo, v. da ultimo
Donzelli, ivi, 794ss.). Al riguardo, vi è chi,
muovendo dalla «ontologica contrapposizione
936
tra interessi collettivi ed interessi individuali»,
afferma che tali azioni costituirebbero «sfere di
tutela giuridica giammai sovrapponibili, con
esclusione di ogni profilo di plurioffensività» (le
parole tra virgolette sono di Donzelli, ivi, 802):
sul piano concreto ciò comporta che il petitum
immediato dell’azione collettiva potrebbe essere solo il rimedio inibitorio (o l’assunzione degli
altri provvedimenti previsti dalla norma in epigrafe), ma mai la tutela risarcitoria (dei diritti
individuali omogenei) (Marinucci, ivi, 140ss.;
Marengo, ivi, 138); dal canto suo, il singolo consumatore sarebbe sempre escluso dall’area dei
legittimati ad agire verso gli illeciti collettivi (sul
punto v., pressoché testualmente, Donzelli, ivi,
793) e, secondo alcuni, potrebbe avvalersi esclusivamente della tutela risarcitoria, ma non di
quella generale preventiva (Colagrande, ivi,
727; Carratta, ivi, 128; Mazzamuto - Plaia, E.
d. priv. 99, 678s.; Belli, ivi, 637). Altri autori, invece, sostengono che sussisterebbe un perfetto
rapporto di concorrenza tra azione collettiva e
azione individuale: dunque, come spiega efficacemente un attento studioso (Donzelli, ivi,
804), «il singolo, oltre a poter esercitare l’azione
in riferimento agli illeciti che lo colpiscono in
via differenziata, potrebbe ricorrere al giudice
per attivare il sindacato giurisdizionale anche
sui comportamenti indifferentemente lesivi della collettività dei consumatori a cui appunto appartiene e, parimenti, l’ente esponenziale, oltre
ad essere legittimato ad agire nell’ultima ipotesi
ora indicata, potrebbe anche andare – per così
dire – in soccorso del consumatore in riferimento agli illeciti che lo riguardano a titolo personale»; questo significa, per talune voci dottrinali,
che da un lato il singolo consumatore (utente)
potrebbe accedere non solo alla tutela risarcitoria ma pure a quella a carattere inbitorio e preventivo prevista dalla norma in epigrafe (Pagni,
ivi, 144; conf., con alcune precisazioni e con motivazioni in parte differenti, Odorisio, ivi,
495ss.; Benucci, ivi, 1094s.), dall’altro che l’azione collettiva può condurre, oltre che alla pronuncia dell’inibitoria (nonché delle altre misure
di cui alle lett. b e c dell’articolo in commento),
anche all’assunzione di un provvedimento consistente nell’ordine «al responsabile del comportamento lesivo di pagare una somma di denaro a titolo di risarcimento a tutti coloro che
possano essere stati danneggiati dall’acquisto»
(Pagni, ivi, 153; a questo orientamento dottrinale sembrano aderire anche Benucci, ivi, 1080s.,
nonché gli altri studiosi citati da Donzelli, ivi,
814, nt. 120, al quale si rinvia per approfondimenti; conf., sull’ultimo principio enunciato, v.
anche Camero - Della Valle, ivi, 155ss.). Ebbene, come già detto (v. supra sub par. IV), que-
937
Procedimenti inibitori a tutela degli interessi collettivi dei consumatori
sto quadro dottrinale va oggi (almeno parzialmente) rivisto, alla luce dell’introduzione dell’art. 140 bis, norma che, prevedendo e disciplinando espressamente una forma di tutela collettiva risarcitoria, dovrebbe senz’altro escluderla
3 dal perimetro operativo dell’art. 140. n Un altro
problema assai controverso e per il quale, specie
in dottrina, è stata suggerita una notevole varietà di soluzioni, è quello relativo agli effetti del
giudicato (inibitorio) formatosi a conclusione
dell’azione collettiva sulla controversia individuale promossa dal singolo consumatore o utente (sul punto, v. da ultimo Donzelli, ivi, 826ss.).
Così, taluno ritiene che il giudicato produca i
propri effetti solo inter partes, affermando che
l’accertamento compiuto in sede di giudizio collettivo non vincoli il giudice chiamato a valutare
il comportamento lesivo in un giudizio individuale, giudice che quindi ben potrebbe pronunciarsi in senso contrario (così, Cian, St. i. 96,
418; se ben intendo, Ferri, R. d. proc. 96, 940s.;
Moretti, R. d. proc. 97, 887ss.; Carratta, ivi,
137; Minervini, ivi, 659s.; Id., Dei contratti del
consumatore in generale, cit., 123s.); altri propendono, diversamente, per l’efficacia ultra partes del giudicato, senza distinguere tra pronuncia di accoglimento e di rigetto (Armone, in Barenghi, La nuova disciplina delle clausole vessatorie nel codice civile, 249ss., ove peraltro, nel
caso di rigetto, si riconosceva comunque al consumatore di far valere la vessatorietà della clausola ex art. 1469 ter, 1o co. [v. ora art. 34, 1o co.]);
altri ancora, ed è la tesi direi prevalente, sostengono invece che il consumatore, parte del giudizio individuale, potrebbe giovarsi degli effetti
favorevoli che conseguono al giudicato sostanziale formatosi nell’ambito del giudizio collettivo, mentre nel caso di pronuncia di rigetto,
l’estensione degli effetti sfavorevoli del giudicato al consumatore terzo rispetto al processo collettivo, dovrebbe considerarsi preclusa dal diritto di difesa e dal principio del contraddittorio
[v., spec., Tommaseo, ivi, 1203ss.; Pagni, ivi,
185s.; Bellelli, Nuove leggi civ. comm. 97,
1270ss.; Marinucci, ivi, 155; Chiné, Consumatore (contratti del), Enc. D., Agg., IV, 430s.; Odorisio, ivi, 509s.; Lapertosa, R. d. proc. 98, 724s.;
Libertini, Contr. imp. E. 96, 567ss., seppure con
una specificazione, per l’ipotesi di clausole vessatorie, riguardo al caso dell’esistenza di
un’eventuale trattativa individuale); dubbioso
sul punto, Giussani, ivi, 2; Id., R. d. priv. 97, cit.,
337ss.]. Ebbene, a fronte di un panorama dottrinale così poco uniforme, una commentatrice
dell’articolo in epigrafe ha osservato, con un
certo rammarico, come il legislatore del codice
del consumo abbia perso una buona occasione
per dettare una regola univoca che risolvesse
140
una volta per tutte l’annosa questione, magari
guardando alle legislazioni di altri Stati comunitari «che, in materia di tutela degli interessi collettivi disciplinano esplicitamente l’efficacia
soggettiva della pronuncia, con ampia tendenza
a riconoscere efficacia ultra partes alla stessa»
(Petrillo, ivi, 840s.).
XII. I rapporti con l’azione prevista dal d.lgs.
198/2009. n Il recentissimo d.lgs. 20-12-2009, 1
n. 198 ha introdotto una nuova azione, devoluta
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e finalizzata a garantire l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi
pubblici. Per ciò che interessa in questa sede,
l’art. 2 di tale provvedimento legislativo regola i
rapporti tra la nuova azione e i giudizi instaurati, «in relazione alle medesime condotte», ai
sensi degli artt. 139, 140 e 140 bis, d.lgs. 206/2005
(n.b.: la norma menziona, insieme a questi ultimi, anche altri e diversi giudizi volti ad accertare
le predette condotte, giudizi ai quali, benché in
realtà esulino dall’oggetto di questo commento,
dedicherò un cenno in conclusione del paragrafo). In particolare, tale disciplina sembra ispirata al criterio della «prevalenza» di questi ultimi:
infatti, in virtù dell’art. 2 (1o co.), l’eventuale
pendenza di un giudizio promosso ai sensi degli
artt. 139, 140 e 140 bis, d.lgs. 206/2005 è motivo
di «improponibilità» della nuova azione di cui al
d.lgs. 198/2009. Inoltre, sempre ai sensi del citato art. 2 (2o co.), l’instaurazione di uno dei giudizi previsti agli artt. 139 e 140, d.lgs. 205/2006
(si noti che, per questa fattispecie, la norma non
evoca più l’art. 140 bis) dopo che sia stata promossa l’azione ex d.lgs. 198/2009 comporta la sospensione di questa fino alla definizione dei primi: ancora, tale azione diventa improcedibile, «a
seguito del passaggio in giudicato della sentenza
che definisce nel merito il giudizio instaurato ai
sensi dei citati articoli 139 e 140», mentre «in
ogni altro caso» la causa promossa ai sensi della
nuova legge deve essere riassunta entro centoventi giorni dalla sua definizione «con pronuncia non di merito», diversamente determinandosi «la perenzione» della controversia stessa. Infine, l’ult. co. dell’art. 2 prevede – evidentemente
allo scopo di permettere o rendere più agevole
l’operare di tale disciplina – che il soggetto contro cui sia stato proposto il ricorso ai sensi dell’art. 1 d.lgs. 198/2009 abbia l’onere di comunicare immediatamente al giudice l’eventuale pendenza di alcuno dei giudizi di cui agli artt. 139,
140 e 140 bis, d.lgs. 205/2006, o la successiva instaurazione di alcuno dei giudizi di cui ai predetti artt. 139 e 140, affinché il giudice stesso possa
assumere i relativi provvedimenti. n Quanto agli 2
altri giudizi di mero accertamento delle medesime condotte oggetto dell’azione introdotta dal
140 bis
CODICE DEL CONSUMO
d.lgs. 198/2009 (giudizi diversi da quelli già previsti dal codice del consumo), la disciplina è sostanzialmente analoga a quella illustrata nel
precedente paragrafo. Così: 1) la loro eventuale
pendenza determina l’improponibilità della
nuova azione; 2) se instaurati successivamente a
quest’ultima, ne provocano la sospensione fino
alla loro definizione; 3) entro centoventi giorni
140 bis
938
dalla loro definizione, la causa promossa ai sensi
del d.lgs 198/2009 deve essere riassunta a pena
di «perenzione»; 4) colui contro il quale sia stato
proposta quest’ultima azione ha l’onere di comunicare immediatamente al giudice l’eventuale pendenza o la successiva instaurazione di uno
dei predetti giudizi.
Azione di classe. 1. I diritti individuali omogenei dei consumatori e degli
utenti di cui al comma 2 sono tutelabili anche attraverso l’azione di classe, secondo le previsioni del presente articolo. A tal fine ciascun componente della classe, anche
mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa, può agire per l’accertamento
della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni.
2. L’azione tutela:
a) i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti
di una stessa impresa in situazione identica, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi
degli articoli 1341 e 1342 del codice civile;
b) i diritti identici spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale;
c) i diritti identici al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da
pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali.
3. I consumatori e utenti che intendono avvalersi della tutela di cui al presente articolo aderiscono all’azione di classe, senza ministero di difensore. L’adesione comporta rinuncia a
ogni azione restitutoria o risarcitoria individuale fondata sul medesimo titolo, salvo quanto
previsto dal comma 15. L’atto di adesione, contenente, oltre all’elezione di domicilio, l’indicazione degli elementi costitutivi del diritto fatto valere con la relativa documentazione probatoria, è depositato in cancelleria, anche tramite l’attore, nel termine di cui al comma 9, lettera b). Gli effetti sulla prescrizione ai sensi degli articoli 2943 e 2945 del codice civile decorrono dalla notificazione della domanda e, per coloro che hanno aderito successivamente, dal
deposito dell’atto di adesione.
4. La domanda è proposta al tribunale ordinario avente sede nel capoluogo della regione
in cui ha sede l’impresa, ma per la Valle d’Aosta è competente il tribunale di Torino, per il
Trentino-Alto Adige e il Friuli-Venezia Giulia è competente il tribunale di Venezia, per le
Marche, l’Umbria, l’Abruzzo e il Molise è competente il tribunale di Roma e per la Basilicata
e la Calabria è competente il tribunale di Napoli. Il tribunale tratta la causa in composizione
collegiale.
5. La domanda si propone con atto di citazione notificato anche all’ufficio del pubblico
ministero presso il tribunale adìto, il quale può intervenire limitatamente al giudizio di ammissibilità.
6. All’esito della prima udienza il tribunale decide con ordinanza sull’ammissibilità della
domanda, ma può sospendere il giudizio quando sui fatti rilevanti ai fini del decidere è in corso un’istruttoria davanti a un’autorità indipendente ovvero un giudizio davanti al giudice amministrativo. La domanda è dichiarata inammissibile quando è manifestamente infondata,
quando sussiste un conflitto di interessi ovvero quando il giudice non ravvisa l’identità dei diritti individuali tutelabili ai sensi del comma 2, nonché quando il proponente non appare in

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