scaricarlo qui
Transcription
scaricarlo qui
69 CODICE DEL CONSUMO 612 TITOLO IV DISPOSIZIONI RELATIVE A SINGOLI CONTRATTI CAPO I CONTRATTI RELATIVI ALL’ACQUISIZIONE DI UN DIRITTO DI GODIMENTO RIPARTITO DI BENI IMMOBILI 69 Definizioni. 1. Ai fini del presente capo si intende per: a) contratto: uno o più contratti della durata di almeno tre anni con i quali, verso pagamento di un prezzo globale, si costituisce, si trasferisce o si promette di costituire o trasferire, direttamente o indirettamente, un diritto reale ovvero un altro diritto avente ad oggetto il godimento di uno o più beni immobili, per un periodo determinato o determinabile dell’anno non inferiore ad una settimana; b) acquirente: il consumatore in favore del quale si costituisce, si trasferisce o si promette di costituire o di trasferire il diritto oggetto del contratto; c) venditore: la persona fisica o giuridica che, nell’ambito della sua attività professionale, costituisce, trasferisce o promette di costituire o di trasferire il diritto oggetto del contratto; al venditore è equiparato ai fini dell’applicazione del codice colui che, a qualsiasi titolo, promuove la costituzione, il trasferimento o la promessa di trasferimento del diritto oggetto del contratto; d) bene immobile: un immobile, anche con destinazione alberghiera, o parte di esso, per uso abitazione o per uso alberghiero o per uso turistico-ricettivo, su cui verte il diritto oggetto del contratto. [art. 2 dir. 1994/47/CE] Sommario: I. Osservazioni generali. - II. Nozione di multiproprietà. - III. Qualificazione giuridica del diritto reale di godimento a tempo parziale. - IV. Multiproprietà societaria. - V. Multiproprietà alberghiera. - VI. Ambito di applicazione della disciplina prevista dagli artt. 69-81. Presupposti oggettivi: premessa; - VII. (segue) il contratto. - VIII. Presupposti soggettivi di applicazione della disciplina. 1 I. Osservazioni generali. n Nell’art. 69 è con- fluita, senza modificazioni, la disposizione contenuta nell’ora abrogato art. 1 d.lgs. n. 427 del 1998, attraverso il quale è stata data attuazione 2 all’art. 2 dir. 1994/47/CE. n La locuzione «diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili» utilizzata nel d.lgs. n. 427 del 1998 (nonché nella versione italiana della dir. 1994/47/CE) è stata sostituita dall’espressione «diritto di godimento ripartito di beni immobili» (Sirgiovanni, Comm. ARC, 506, individua il fondamento della modifica nell’esigenza di evitare una confusione concettuale tra la periodicità del godimento annuale e la perpetuità del diritto; conf. Barela, 3 Comm. SS, 562). n La lett. d) è stata così sostituita dall’art. 4 l. n. 135 del 2001, che ha incluso nella definizione di bene immobile anche quello «con destinazione alberghiera» per «uso alber- ghiero o per uso turistico ricettivo». n In data 14 4 gennaio 2009 è stata adottata la dir. 2008/122/ CE, concernente la tutela dei consumatori per quanto riguarda taluni aspetti dei contratti di multiproprietà, dei contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine e dei contratti di rivendita e di scambio. Tale direttiva, che chiaramente incide in misura significativa (anche) sulla legislazione comunitaria in materia di timesharing, abroga la dir. 1994/47/CE, e dovrà essere attuata dagli Stati membri entro il 23 febbraio 2011 (art. 16). Fino a tale data, e comunque fino a quando lo Stato italiano non adotterà il relativo provvedimento di attuazione, la materia resta disciplina dagli artt. 69-81 in commento. II. Nozione di multiproprietà. n Con il termi- 1 ne multiproprietà o proprietà turnaria o timesharing la dottrina tradizionalmente indica il di- 613 Timesharing immobiliare ritto di godimento c.d. ripartito (o a tempo parziale) su beni immobili, ossia il diritto, attribuito a vario titolo, di godere di uno stesso bene, solitamente un edificio abitativo, per un periodo determinato dell’anno, sine o cum die, verso pagamento di un prezzo iniziale, cui si aggiungono spese periodiche di gestione. Pur nella ampia diversificazione delle varie tipologie, il nucleo costante del fenomeno viene quindi individuato nella coesistenza, sulla stessa unità immobiliare, di diritti di godimento facenti capo a soggetti diversi, ognuno destinato a ripetersi negli anni, ma limitato nell’esercizio ad uno o più periodi nell’arco dell’anno, di regola espresso in mesi o settimane (Tassoni, I diritti a tempo parziale su beni immobili, 5; Id., Manuale di dir. del turismo3, 223s.; Scardigno, Tr. Rescigno2, VII, 273; 2 Giuggioli, Timesharing e multiproprietà, 57). n Nel c.cons. manca una definizione di «multiproprietà»; l’art. 72 si limita a statuire che il venditore può utilizzare tale termine nel documento informativo, nel contratto e nella pubblicità commerciale solo se l’acquirente acquista un diritto di natura reale, mentre se il diritto è personale non si avrà tecnicamente «multiproprietà», ma una sorta di «multigodimento»; nondimeno, la precisazione del legislatore non è ancora entrata nel linguaggio comune, per il quale il termine «multiproprietà» viene tuttora utilizzato in senso ampio ed atecnico, per indicare genericamente tutte le forme di godimento turnario di beni, a vario titolo. L’espressione volutamente ampia di cui all’art. 69, lett. a) (da cui si ritiene possa comunque ricavarsi a contrario la definizione di multiproprietà: Di Rosa, Proprietà e contratto, 115), in particolare la precisazione contenuta nell’inciso «direttamente o indirettamente» (v. infra, VII, 3) e la previsione del trasferimento di un «altro diritto», diverso da quello reale, consentono comunque di riconoscere alla normativa in questione un ambito di applicazione assai vasto. Anche nella Relazione governativa al previgente d.lgs. n. 427 del 1998 si segnalava la consapevole neutralità del significato attribuito al termine, e si è volutamente evitato di individuare una precisa natura giuridica del diritto oggetto del contratto, proprio al fine di ricondurre nella sfera di operatività della normativa le diverse forme di «multiproprietà» riscontrabili nella prassi. Lo stesso legislatore comunitario aveva volutamente evitato di prendere posizione su tale aspetto problematico, proprio in considerazione delle profonde divergenze riscontrabili nelle legislazioni dei singoli Stati 3 sul punto (v. considerando 3, dir. 1994/47/CE). n Benché la molteplicità di contenuti giuridici che può assumere la multiproprietà renda particolarmente arduo ogni tentativo di classificazione 69 e di inquadramento sistematico del fenomeno, i vari modelli operativi affermatisi nella prassi sembrano tuttavia potersi ricondurre a due schemi fondamentali: la multiproprietà immobiliare e quella societaria. III. Qualificazione giuridica del diritto reale di godimento a tempo parziale. n Il fenomeno 1 della multiproprietà immobiliare (o reale o multicomproprietà) – che rappresenta la forma maggiormente diffusa nella prassi contrattuale italiana – consiste, dal punto di vista meramente descrittivo, nel frazionamento di un complesso immobiliare, e nella alienazione, separata, di ogni frazione a soggetti diversi, che acquistano un diritto di godere in modo esclusivo dell’unità immobiliare, per un determinato periodo di tempo dell’anno (di qui la formula «proprietà periodica»), alternato con gli altri multiproprietari dello stesso immobile, secondo una criterio turnario (di qui la formula «proprietà turnaria») (Ermini, in Cuffaro, I contratti di multiproprietà, 45; Calice, Vendita di diritti di «godimento ripartito» di beni immobili: formalismo e tutela dell’acquirente, 6; tale definizione, atecnica, era di uso comune anche prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 427 del 1998: v., ex plurimis, Alpa, in Alpa - Iasiello, La multiproprietà, 23s.; Morello, Multiproprietà, D. 4a ed., 492; Confortini, Multiproprietà, Enc. g. Treccani, 1). n L’esplicita menzione, nell’art. 72, del- 2 l’espressione «diritto reale» non consente di risolvere né l’annosa questione, su cui da anni si confrontano dottrina e giurisprudenza, relativa al corretto inquadramento del timesharing immobiliare nel sistema dei diritti reali, né la problematica relativa all’individuazione delle circostanze necessarie affinché un diritto di godimento turnario su di un immobile possa qualificarsi come reale (Morello, Proprietà e possesso, Tr. Gambero-Morello, I, 179; in giurisprudenza v. App. Genova 29-9-2000, G. merito 01, 358ss., nt. di Belfiore, in cui si precisa che la normativa italiana di recepimento della dir. 1994/47/CE nulla dice in ordine alla natura del diritto e all’applicabilità della disciplina già esistente in tema di proprietà, comunione, condominio o altri diritti). In generale deve osservarsi che anche prima dell’entrata in vigore dell’abrogato d.lgs. n. 427 del 1998 la dottrina prevalente ravvisava, nella situazione giuridica facente capo al multiproprietario immobiliare, un diritto di carattere reale, e quindi tutelabile erga omnes, e che richiede, per la sua valida costituzione e per l’opponibilità ai terzi, le formalità previste dalla ordinaria disciplina codicistica (v. gli autori richiamati infra, a sostegno delle diverse tesi prospettate in letteratura in merito alla natura giuridica del fenomeno; in giurispru- 69 CODICE DEL CONSUMO denza Trib. Chiavari 3-9-1993, Nuova g. civ. comm. 95, 950ss., nt. di Fusaro; App. Genova 29-9-2000, cit.; C 99/5494), mentre non ha avuto largo seguito quell’orientamento, minoritario, che ne affermava la natura personale in considerazione della necessaria cooperazione del gestore dei servizi occorrenti per il funzionamento del complesso immobiliare, per cui mancava il carattere dell’immediatezza propria di ogni diritto reale, e ravvisava nella fattispecie in discorso soltanto una variante del contratto di albergo (Granelli, R. d. civ. 79, II, 686; Lanzillo, R. d. comm. 83, I, 322; per una decisa critica a tale impostazione v. Santoro-Passarelli, R. 3 trim. 84, 23; Confortini, ivi, 3). n Il ventaglio di soluzioni prospettate in merito alla natura giuridica della multiproprietà immobiliare sono sostanzialmente riconducibili, pur nella varietà delle formulazioni proposte, a quattro impostazioni principali: a) teoria della comunione: ampi consensi riscuote tuttora in dottrina la tesi che riconduce la multiproprietà nello schema della comunione dell’unico diritto sull’unico bene in comproprietà (avallando la tendenza già emersa nella prassi ad assimilare la multiproprietà alla comunione del diritto di proprietà e al condominio negli edifici), caratterizzato da un patto relativo all’uso turnario del bene comune, e che mutua dalla disciplina della comproprietà le sole norme compatibili con la ratio dell’istituto in discorso. Due sono le possibili varianti: secondo lo schema contrattuale più diffuso si acquista una quota di comproprietà pro indiviso di un singolo e determinato appartamento facente parte di un complesso immobiliare, la quale comprende il suolo edificato, gli arredi e tutto quanto occorre per il godimento del bene; il multiproprietario acquista inoltre una corrispondente quota millesimale delle parti comuni dell’edificio (portineria, autorimessa, lavanderia, etc.). L’altro schema prevede invece l’acquisto in comproprietà dell’intero complesso, formato da una pluralità di alloggi e dalle attrezzatura destinate ai servizi comuni, con diritto esclusivo di utilizzo di una frazione determinata dell’immobile a favore del singolo comproprietario (Tassoni, I diritti a tempo parziale su beni immobili, 97; Giuggioli, ivi, 59s.; Pandolfini, in Cuffaro, I contratti di multiproprietà, 18s.). In entrambi i casi i cc.dd. multiproprietari sono comproprietari delle singole unità abitative e condomini del complesso (Santoro-Passarelli, ivi, 23; Id., Multiproprietà e comproprietà, in Ord. e dir. civ., 207ss.; Alpa, ivi, 28ss.; De Cupis, G. it. 83, IV, 193; Morello, Multiproprietà, D. 4a ed., 503, che parla di comproprietà con modalità concordate di godimento del bene comune; Id., in Proprietà e possesso, Tr. Gambaro- 614 Morello, 180, il quale evidenzia come tale impostazione consenta una standardizzazione dei contenuti del diritto, definendone alcune caratteristiche e rinviando per il resto alle norme sulla comunione; Mazzamuto, DPE CM, II, 79; Florit, La multiproprietà, 14ss.; Vincenti, Multiproprietà immobiliare. La multiproprietà come tipo di comunione, passim; Scardigno, ivi, 278; Bianca, La proprietà, 531s., secondo il quale i connotati della multiproprietà immobiliare valgono a specializzare la comunione, ma non a negare la ricorrenza di tale figura; Gazzoni, La trascrizione immobiliare2, Comm. Schlesinger, 647ss.; Natucci, La tipicità dei diritti reali2, 294, che discorre di multiproprietà come «comunione speciale». Nella letteratura manualistica v., ex plurimis, Trabucchi, Ist. dir. priv.44, 575; Trimarchi, Ist. dir. priv.18, 500; Paradiso, Corso ist. dir. priv., 179s. In giurisprudenza v. Trib. Bolzano 9-8-1993, Resp. civ. prev. 94, 291ss.; Trib. Bolzano 14-2-2000, R. g. edil. 01, I, 178ss.). L’inquadramento nello schema della comunione spiega la perpetuità e la pienezza del diritto in termini di contitolarità del medesimo; tutte le altre caratteristiche del timesharing (turnarietà del godimento, obbligo di non modificare l’alloggio, etc.) si configurano come obblighi assunti con contratto, e leciti ai sensi dell’art. 1322 c.c. Il multiproprietario, al momento della stipulazione del contratto, accetta due regolamenti: quello di comunione (regolamento contrattuale trascrivibile, che assicura il carattere reale al diritto del multiproprietario: Morello, Multiproprietà, D. 4a ed., 505), che regola i rapporti tra multiproprietari con riguardo alla multiproprietà, e quello di condominio, che riguarda l’intero complesso immobiliare, che concerne i rapporti fra i multiproprietari con riferimento alle parti comuni dell’edificio. Con l’accettazione del regolamento di comunione il multiproprietario si impegna, per sé e per i propri aventi causa, a qualsiasi titolo, a rispettare la destinazione del bene e a rispettare i turni di godimento, durante ciascuno dei quali l’esercizio del diritto del multiproprietario è esclusivo [sulla liceità della clausola di godimento turnario (o di divisione del godimento) dell’immobile, quale deroga al principio dell’uso promiscuo di cui all’art. 1102 c.c., v. Gazzoni, ivi, 648; Santoro-Passarelli, ivi, 24s., il quale precisa che, diversamente da quanto accade nella comunione, nella multiproprietà il patto del godimento separato nel tempo o nello spazio ha natura reale, ed è quindi opponibile ai terzi; conf. Gambaro, Il diritto di proprietà, Tr. CM, 662; Bianca, ivi, 531]. Il regolamento prevede inoltre la clausola di indivisibilità perpetua: la deroga all’art. 1111 c.c. – che fissa a dieci anni la durata massima del patto di rimanere in co- 615 Timesharing immobiliare munione – è giustificata dalle previsioni di cui agli artt. 1112 e 1119 c.c.: l’indivisibilità che caratterizza la multiproprietà non deriva dal patto di turnazione (che altrimenti sarebbe soggetto al limite di cui all’art. 1111, 2o co., ritenuto inderogabile; diversamente, nel senso che la turnarietà attribuisce al bene un vincolo di destinazione tale da renderlo indivisibile ex art. 1112 c.c., v. Natucci, ivi, 289s.), ma dall’oggettiva indivisibilità della cosa comune, non essendo le singole unità abitative suscettibili di frazionamento (Bianca, ivi, 530; Vincenti, ivi, 100ss., spec. 109; Santoro-Passarelli, ivi, 25, che ritiene inutile la clausola di indivisibilità, che di prassi viene inserita nel regolamento). Poiché trattasi di gravi limitazioni alle facoltà normalmente spettanti ad un comunista, ma comunque essenziali al conseguimento dello scopo, tali clausole hanno normalmente, nella prassi, efficacia reale (e tale aspetto viene in rilievo come ulteriore elemento di distinzione tra la multiproprietà e la comunione: Gambaro, ibidem; Florit, ivi, 15). Dubbi di liceità sussistono, invece, in merito alla clausola di esclusione dello jus adcrescendi, normalmente inserita nel regolamento di comunione nella forma della preventiva rinuncia alla possibilità dell’abbandono liberatorio (abbandono che comporterebbe per gli altri partecipanti il beneficio dell’acquisito della quota del rinunciante, il quale sarebbe liberato dall’obbligo di contribuire alle spese comuni ai sensi dell’art. 1104 c.c.): tale clausola non sarebbe ammissibile secondo quanto previsto dall’art. 1106 c.c. (Gazzoni, ivi, 649; contra Santoro-Passarelli, ivi, 26, che ammette la rinuncia alla quota, con conseguente accrescimento delle quote di tutti gli altri partecipanti alla comunione in proporzione delle rispettive quote, e salva la possibilità di attribuzione esclusiva ad un di loro, o anche ad un estraneo, del godimento dell’unità); b) teoria della multiproprietà come particolare forma del diritto di proprietà: secondo tale, originale, impostazione, si assiste alla coesistenza di una pluralità di diversi ed autonomi diritti di proprietà, che hanno ad oggetto la medesima cosa dal punto di vista empirico, ma beni diversi in senso giuridico, per cui l’unicità corporale della cosa non coincide con l’unità in senso giuridico; la multiproprietà viene così identificata in diritti di proprietà che si caratterizzano per il bene che ne è oggetto, il quale viene individuato attraverso moduli temporali aventi una funzione integrativa rispetto a quelli spaziali. Il tempo viene pertanto in considerazione quale elemento necessario per delimitare l’oggetto del diritto di proprietà; la frazione spazio-temporale (una sorta di divisione temporale del bene) di una unità immobiliare è, quindi, un vero e pro- 69 prio «bene», creato dall’autonomia privata. Tale tesi, si precisa, non contrasta con il principio del numerus clausus dei diritti reali, in quanto le parti non creano un diritto reale atipico, ma un nuovo «bene», la cui consistenza giuridico-economica risulta anche in funzione del tempo [Confortini, La multiproprietà, I, 3ss., spec. 41ss.; Id., Multiproprietà, Enc. g. Treccani, 4; Calice, ivi, 16, secondo la quale la diversa espressione «diritto di godimento ripartito» (in luogo di godimento a tempo parziale) utilizzata dal legislatore del 2005 avalla la tesi che ravvisa nella multiproprietà un diritto suddiviso in frazioni spazio-temporali; Galgano, Le categorie generali, le persone, la proprietà, Dir. civ. e comm., 592s.; Sangiorgi, Multiproprietà immobiliare e funzione del contratto, 63; Drudi, Contr. imp. 85, 243; Petrone, Multiproprietà, individuazione dell’oggetto e schemi reali tipici, 89ss.; Calò - Corda, R. crit. d. priv. 84, 873s.; Rescigno, Proprietà, Enc. D., 289s.; definisce convincente tale prospettiva Tassoni, ivi, 128, la quale evidenzia che anche i fautori di tale ricostruzione ricorrono alla disciplina codicistica in materia di condominio per individuare le regole idonee a disciplinare i rapporti tra proprietari di frazioni spazio-temporali di immobili). Secondo tale impostazione, il multiproprietario, al di fuori del turno assegnatogli, non potrà utilizzare l’immobile, perché negli altri periodi è di proprietà altrui. Anche Di Rosa, ivi, 82ss. e 119ss. nega la riconducibilità del fenomeno allo schema della comunione, definendo la multiproprietà una posizione giuridica soggettiva distinta da quelle finora conosciute, che organizza un nuovo modo di gestione di beni in presenza di una pluralità di titolari: un modello soggettivo di appartenenza, non riconducibile né alla proprietà né ad una forma di contitolarità, ma una situazione giuridica soggettiva esclusiva e limitata allo stesso tempo, che comporta due gruppi di poteri, relativi rispettivamente alla gestione della cosa e ad una situazione di appartenenza esclusiva (p. 146ss.); c) teoria della proprietà temporanea: parte minoritaria della dottrina, muovendo dalla ammissibilità, nel nostro ordinamento giuridico, di forme di proprietà a tempo, ravvisa nella multiproprietà un diritto di proprietà pieno, assoluto e perpetuo, ma il cui esercizio si esplica in periodi annuali limitati e ricorrenti (Lezza - Selvarolo, R. g. edil. 77, II, 32; v. anche Pelosi, R. d. civ. 83, 466, il quale sostiene che il diritto di proprietà, pur restando perpetuo, può essere limitato nel tempo a periodi intermittenti attraverso la combinazione di più termini iniziali e finali). Tale impostazione va incontro all’obiezione, condivisibile, per cui il potere di disposizione del multiproprietario, di- 69 CODICE DEL CONSUMO versamente dal godimento, è perpetuo, e non intermittente o ciclico (così Santoro-Passarelli, ivi, 21s.; in senso critico anche Confortini, La multiproprietà, I, 37); d) teoria della multiproprietà come diritto reale atipico: le parti, attraverso la stipulazione di un contratto atipico, darebbero vita ad un diritto reale atipico, ossia una situazione giuridica in cui confluiscono un nucleo avente carattere reale (derivante dal diritto di proprietà) e una serie di rapporti obbligatori, finalizzati a soddisfare gli interessi dei singoli soggetti, che impongono di non alterare la destinazione del bene, di provvedere alle spese di manutenzione e di gestione, e di osservare i periodi di godimento (Caselli, La multiproprietà2, 89ss.); è evidente che tale tesi pone il problema della sua compatibilità con il principio della tipicità dei diritti reali. In giurisprudenza v. App. Genova 29-9-2000, cit., che qualifica la multiproprietà come diritto reale atipico, ritenendo il principio del numerus clausus dei diritti reali derogabile a fronte dell’esigenza di trovare collocazione a figure emergenti nell’attuale realtà economico-giuridica). In dottrina si è comunque rilevato che le differenti teorie della multiproprietà immobiliare finiscono per individuare la disciplina applicabile innanzitutto nelle pattuizioni private, e poi, quantomeno in via analogica, nella disciplina del condominio e della comunione (Barenghi, in I contratti di utilizzazione di beni, Tr. Gabrielli-Rescigno, 517; Mo4 rello, ivi, 494). n Il multiproprietario può liberamente disporre del proprio diritto di godimento turnario, sia con atto inter vivos che mortis causa, a titolo oneroso o gratuito, con i limiti temporali e sostanziali inerenti (Santoro-Passarelli, ivi, 26). Può anche costituire diritti reali limitati sul proprio diritto, quali usufrutto, uso e abitazione, esercitabili nel periodo assegnato, mentre non sono compatibili con il sistema turnario il diritto di superficie e di enfiteusi (Di Rosa, ivi, 185; Gazzoni, Manuale dir. priv.13, 284; Calliano, Multiproprietà, App., Nov. D., 168s.); relativamente alle servitù, sono ammesse solo quelle compatibili con il godimento turnario, mentre sono escluse quelle che consistono in un peso che si esplica in modo continuo o comunque non temporaneo (Gazzoni, ibidem; contra, Di Rosa, ibidem, che esclude la possibilità di costituire qualsiasi tipo di servitù). Dubbi si registrano in merito all’ammissibilità di un diritto di ipoteca, in quanto l’art. 2825 c.c., nell’ammettere la garanzia reale su beni indivisi, ne rinvia la realizzazione al momento della divisione, mentre la multiproprietà si caratterizza per l’indivisibilità. La dottrina favorevole afferma che, così come accade in caso di condominio di edifici, l’ipoteca attribuirebbe al creditore il di- 616 ritto di espropriare, senza divisione, il bene ipotecato, con conseguente subingresso dell’acquirente, in sede di espropriazione forzata, in due comunioni: quella della porzione, comprensiva del separato godimento turnario, e nel condominio delle parti comuni dell’edificio (SantoroPassarelli, ivi, 27; in senso conforme, seppur sulla base di diverse argomentazioni, Vincenti, ivi, 118ss.; ammette la costituzione dell’ipoteca solo sul diritto di godimento turnario Calliano, ibidem). È invece pacificamente ammessa la costituzione di diritti personali di godimento, quali quelli derivanti da un contratto di locazione e comodato (Santoro-Passarelli, ivi, 26; Gazzoni, ibidem; Scardigno, ivi, 280). n La dottrina 5 che riconduce la multiproprietà immobiliare allo schema della comproprietà ritiene che il contratto costitutivo o traslativo del diritto reale vada trascritto ai sensi dell’art. 2643, n. 3, mentre si registrano dubbi in ordine alla trascrizione del regolamento di comunione, in cui sono inserite le clausole caratterizzanti la multiproprietà (patto di godimento turnario, indivisibilità, etc.: v. supra, 3). In proposito si afferma che l’opponibilità di tali clausole deriva già dall’art. 1107, 2o co., che dichiara il regolamento vincolante per gli aventi causa (Gazzoni, La trascrizione immobiliare2, Comm. Schlesinger, 650; contra Morello, ivi, 504s., secondo il quale l’opponibilità ai terzi consegue alla trascrizione del regolamento contrattuale e al titolo di acquisto della multiproprietà, in cui sono specificati i periodi di godimento assegnati e le unità che ne sono oggetto; così anche Bianca, ivi, 532s.). Sulla pubblicità della multiproprietà v. anche Zaccaria - Troiano, Gli effetti della trascrizione2, 88s. IV. Multiproprietà societaria. n Il secondo 1 modello di timesharing conosciuto dalla prassi è la c.d. multiproprietà societaria (o azionaria), in cui la società è titolare del diritto di proprietà sull’immobile, mentre i soci hanno un diritto personale di godimento, opponibile alla società, ma non ai terzi, che si configura come conseguenza della partecipazione sociale e come effetto diretto del contratto sociale (Morello, Multiproprietà e autonomia privata, 141; C pen. 31-1-1987), alla cui durata è strettamente correlata la sussistenza del diritto stesso; altri invece ritengono il diritto personale di godimento funzionalmente collegato al contratto di società, ma derivante comunque da un autonomo e distinto contratto attributivo (in questo secondo senso Confortini, La multiproprietà, I, 73ss., spec. 99ss.; Id., Multiproprietà, Enc. g. Treccani, 6s.; in giurisprudenza App. Venezia 30-6-1994; C 97/4088; C 99/5494). n Alla luce della previsione 2 legislativa di cui all’art. 72, che legittima l’uso del termine multiproprietà solo quando si trasfe- 617 Timesharing immobiliare risce un diritto di tipo reale, l’espressione «multiproprietà societaria», benché entrata nel linguaggio corrente, anche degli operatori del diritto, non è tecnicamente corretta (v. supra, II, 2); anche prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 427 del 1998 la dottrina non mancava di evidenziare l’improprietà terminologica della espressione, in considerazione della natura personale, e non reale, del diritto acquistato dal socio (Gambaro, ivi, 657). In ogni caso, è riconducibile nella sfera di operatività degli artt. 69-81: 3 v. infra, sub VI. n Normalmente la forma giuridica utilizzata per realizzare questo tipo di multiproprietà è quella della società per azioni (pur non essendo sconosciuto alla prassi il timesharing realizzato mediante una società semplice, una società cooperativa, o facendo ricorso allo schema dell’associazione in partecipazione: v. amplius Morello, ivi, 139s.; Tassoni, ivi, 66ss.; Id., R. d. civ. 88, II, 481; Pandolfini, ivi, 109ss.): la società proprietaria dell’immobile emette azioni ordinarie e privilegiate, e cede queste ultime agli aspiranti turnisti – le quali conferiscono al titolare, insieme al diritto di partecipazione e di voto nelle assemblee, l’uso turnario delle porzioni immobiliari –, assumendo l’obbligo di non cedere le prime fino a quando non saranno stati collocati tutti i turni. Realizzatasi tale condizione, la società distribuisce ad ogni multiproprietario le azioni ordinarie, in proporzione al valore dell’unità abitativa e al periodo di godimento spettante a ciascuno (Granelli, R. d. civ. 79, II, 695; Tassoni, I diritti a tempo parziale su beni immobili, 69s.). Tale meccanismo contempla due varianti: multiproprietà azionaria diretta, quando i soci acquistano il diritto di godimento turnario dell’unità immobiliare per effetto della titolarità delle azioni privilegiate (contra, Confortini, Multiproprietà, Enc. g. Treccani, 6s., secondo il quale le due situazioni giuridiche soggettive di multiproprietario e azionista non derivano dalla stessa fonte); indiretta quando la società attribuisce ai possessori di azioni privilegiate il diritto di godimento turnario con un ulteriore e separato contratto (normalmente un comodato o locazione), stipulato direttamente con i soci o con un’associazione non riconosciuta – a cui possono partecipare solo i soci azionisti privilegiati – che concede in sublocazione o in subcomodato agli associati le singole unità immobiliari (sui diversi schemi tecnicogiuridici con cui si attua questo tipo di multiproprietà v. Scardigno, ivi, 275ss.; Pastore - Re, R. 4 not. 00, 843ss.; Pandolfini, ivi, 111ss.). n Indipendentemente dallo schema contrattuale adottato, il multiproprietario societario sottoscrive, insieme al negozio traslativo della partecipazione sociale, il regolamento di multiproprietà, che 69 descrive le norme per l’uso del complesso immobiliare. n Si distingue tra multipr. azionaria 5 c.d. pura, quando la società esaurisce la propria attività nell’attribuzione in godimento ai soci del bene immobile; impura quando la società, oltre a concedere e regolare l’utilizzo delle unità immobiliari, gestisce anche i servizi e gli impianti ricreativi di cui il complesso è dotato (Confortini, ivi, 7; Giuggioli, ivi, 76). n La configu- 6 razione del diritto di cui è titolare il socio multiproprietario come profilo della partecipazione sociale ha sollevato in dottrina numerosi dubbi di ammissibilità, in relazione ad alcuni principi cardine in tema di diritto societario: in particolare, relativamente alla multiproprietà c.d. pura, si sottolinea la mancanza di uno scopo lucrativo, previsto dall’art. 2247 c.c. (in tali casi si discorre di «comunione di mero godimento» ex art. 2248 c.c., con conseguente applicazione della disciplina di cui agli artt. 1100 ss. c.c.: in argomento v. Granelli, ivi, 697; Confortini, ivi, 8; Tassoni, ivi, 76ss.; Scardigno, ivi, 276); un secondo ordine di problemi riguarda la legittimità (stante il disposto dell’art. 2345 c.c.) dell’obbligo del socio-multiproprietario di pagare le spese di gestione, relative al funzionamento della società e al godimento dell’alloggio e dei servizi accessori; si segnala, inoltre, che l’attribuzione del diritto al socio-multiproprietario appare incompatibile con il divieto, previsto dall’art. 2256 c.c., di utilizzare i beni appartenenti alla società per scopi ad essa estranei; ancora, si evidenzia la problematica relativa all’ammissibilità di diritti personali di godimento con durata ultratrentennale, e l’ammissibilità di un privilegio, incorporato nel titolo azionario, che non consista in una preferenza nella distribuzione degli utili e/o nel rimborso delle quote di liquidazione (per un’analisi delle varie problematiche sottese all’ammissibilità di tale formula v. Pandolfini, ivi, 120ss.; Caliendo, Not. 09, 207ss.). In dottrina alcune tra le perplessità segnalate sono state superate separando l’aspetto della partecipazione sociale – da intendersi come complesso di situazioni giuridiche soggettive facenti capo al socio per effetto della stipulazione del contratto di società o per la successione nella posizione di altro socio – da quello dei diritti estranei al vincolo sociale, che il socio ha nei confronti della società (Confortini, La multiproprietà, I, 104ss.; Id., Multiproprietà, Enc. g. Treccani, 6s., il quale precisa che non si è multiproprietari perché azionisti, né azionisti perché multiproprietari: le due situazioni, benché compatibili e collegate tra loro, derivano da fonti diverse). n In giuris- 7 prudenza si è riconosciuta l’ammissibilità della multiproprietà c.d. impura, ritenendo in tal caso sussistente lo scopo lucrativo richiesto dall’art. 69 CODICE DEL CONSUMO 2247 c.c.; la multiproprietà azionaria è inoltre reputata legittima in quanto il diritto di godimento sul bene, individuato con criteri spaziotemporali, è estraneo al vincolo sociale, perché deriva da un titolo autonomo, anche se collegato al contratto di società. Nella multipr. az. ci sarebbero, cioè, due distinti rapporti, sia pure tra loro collegati: il primo si costituisce tra la società e l’acquirente delle azioni (socio), il quale diviene titolare delle situazioni giuridiche proprie di tale status, tra le quali è compreso il diritto all’attiva partecipazione alla vita della società e alla percezione degli utili alla chiusura di ogni esercizio finanziario; il secondo sorge da un’autonoma e distinta convenzione conclusa dalla società con l’azionista, in forza della quale quest’ultimo acquista il diritto personale al godimento dell’unità immobiliare per il periodo stabilito. Poiché tale diritto non deriva dallo status di socio, ma dall’autonoma e separata convenzione, è escluso che si realizzi una violazione del divieto di cui all’art. 2256 c.c. (C 97/4088). 1 V. Multiproprietà alberghiera. n La multiproprietà alberghiera è caratterizzata dall’attribuzione in godimento turnario di unità immobiliari poste in complessi alberghieri, appartenenti a più proprietari in comunione indivisa (multiproprietà alberghiera immobiliare), o ad una società, alla quale partecipano gli acquirenti in multiproprietà (multiproprietà alberghiera azionaria). Tale forma di timesharing non integra un modello autonomo rispetto alla formula societaria o a quella immobiliare, in quanto lo schema organizzativo del godimento turnario dell’immobile adibito ad albergo può manifestarsi nell’uno o nell’altro di questi modelli; la particolarità del timesharing alberghiero viene così individuata in una serie di regole relative ai vincoli cui sono sottoposti gli immobili destinati ad attività ricettiva nonché attinenti al particolare statuto proprio dell’impresa alberghiera (Tassoni, ivi, 134; Florit, ivi, 16; Veneziano, DPE Lipari, II, 322; De Cristofaro, St. i. 99, 604). La specificità del bene oggetto del godimento turnario, la presenza di un’azienda alberghiera che rimane in attività al servizio dei multiproprietari e la disciplina speciale, soprattutto urbanistica, a cui sono sottoposti i complessi e le attività turisticoricettive hanno tuttavia fatto emergere problematiche specifiche tali da indurre la dottrina a considerare la multiproprietà in discorso come fattispecie meritevole di autonoma e specifica considerazione (Gambaro, ivi, 654ss.; Pandolfini, ivi, 20s., 162ss.; parlano di terzo schema multiproprietario di base, Giuggioli, ivi, 79ss.; Gaggero, Nuova g. civ. comm. 94, II, 26; Conforti2 ni, Multiproprietà, Enc. g. Treccani, 8). n Benché di regola si trasferisca una quota di compro- 618 prietà dell’intero immobile o di singole unità che lo compongono, quindi un diritto di natura reale (Di Rosa, ivi, 12; Tassoni, ivi, 158; contra, Lanzillo, ivi, 323s.), in tale ipotesi il godimento non è garantito in modo diretto, quale espressione del diritto di proprietà, bensì in modo indiretto, fondato su di una comproprietà dell’albergo o delle camere, che si esercita concretamente verso il gestore, e solo con la sua cooperazione; si è in proposito evidenziato come la realità del diritto del multiproprietario conviva con un prevalente aspetto obbligatorio, in quanto solo lo strumento del credito permette l’esercizio del diritto di godimento per il periodo stabilito, e l’unitarietà della gestione dei servizi propri della struttura ricettiva turistico-alberghiera, quali portineria, reception, cambio biancheria, pulizia, uso di piscine, beauty centre, ristorazione etc., svolge un ruolo preminente (Di Rosa, ivi, 9s.). n L’attività alberghiera viene 3 svolta da un gestore terzo (che può anche coincidere con il promotore o con il venditore), che riceve l’azienda alberghiera in affitto. I multiproprietari vantano, nei confronti del gestore, quale corrispettivo dell’affitto, un diritto di prenotazione avente ad oggetto l’unità abitativa prescelta – camera o appartamento e relativi servizi – per il periodo prestabilito, con un significativo sconto sulle ordinarie tariffe alberghiere applicate a terzi estranei (Di Rosa, ivi, 14). Il multiproprietario non può rinunciare ai servizi prestati dall’albergo, e, qualora decida di non godere dell’alloggio durante il periodo prestabilito, deve comunicarlo entro termini prestabiliti; ricorrente è la clausola con cui si attribuisce al gestore la facoltà di concedere in locazione a terzi il bene nell’ipotesi in cui il multiproprietario non ne fruisca nel periodo di sua spettanza, versando una parte del corrispettivo ricavato al multiproprietario (Gaggero, ivi, 22; Giuggioli, ivi, 80s.; Scardigno, ivi, 280; Florit, ivi, 17). n 4 Non di rado nella prassi i contratti di acquisto di diritti a tempo parziale su immobili facenti parte di un complesso alberghiero contengono clausole con cui si riserva al venditore non solo l’amministrazione dell’immobile, ma anche la proprietà delle parti comuni dell’edificio, al fine di assicurare allo stesso la gestione di alcuni servizi da vendere ai multiproprietari (Florit, ivi, 16s.). n Si parla di multiproprietà alberghiera anche 5 nell’ipotesi in cui il contratto non individua un’unità immobiliare determinata, ma si limita ad indicare l’«alloggio tipo» del complesso residenziale su cui l’acquirente potrà esercitare il proprio diritto (rileva Tassoni, ivi, 157s., che anche in questi casi, in cui è certamente necessaria la cooperazione del gestore del complesso per individuare l’unità immobiliare su cui il turnista 619 Timesharing immobiliare potrà esercitare il proprio diritto, è configurabile un diritto di natura reale, con conseguente legittimo utilizzo, da parte del venditore, del termine «multiproprietà»; contra Lanzillo, ivi, 323s., secondo la quale ha natura meramente personale e non reale il diritto dell’acquirente in tutti in quei casi in cui le modalità contrattuali inducano a configurarlo come una forma di prenotazione a tempo indeterminato; Florit, ivi, 6 17). n La dottrina ritiene la vendita di quote di comproprietà compatibile con il vincolo di destinazione turistico-ricettiva dell’immobile, in quanto non ne determina, di per sé, un mutamento di destinazione d’uso (nella specie, da alberghiera a residenziale, trasformando di fatto l’albergo in un condominio, e l’impresa alberghiera in un’impresa di servizi) (contra, la recente giurisprudenza amministrativa: T.A.R. Sicilia, sez. Palermo, 25-11-1996, n. 1516, G. amm. sic. 97, 153ss. e Cons. St., sez. V, 21-5-1999, n. 592, R. g. edil. 99, I, 1150, ove si esclude che l’attività di gestione immobiliare in multiproprietà possa essere ricompresa nella nozione di attività alberghiera), con conseguente perdita dei contributi e delle agevolazioni finanziarie collegate a tale vincolo di destinazione: poiché l’attività alberghiera è caratterizza dall’apertura al pubblico e dall’offerta dei servizi ad essa inerenti, si potrà ravvisare un cambiamento di destinazione d’uso solo nelle ipotesi in cui il godimento delle singole unità immobiliari sia fissato in modo permanente ed esclusivo in favore dei multiproprietari, senza possibilità, nel caso in cui non ne possano usufruirne nei periodi prestabiliti, di disporne a favore di clienti estranei all’operazione. Si è inoltre sottolineato che il trasferimento dell’immobile adibito ad albergo ai singoli multiproprietari non implica mutamento di destinazione ogni qualvolta il gestore si riservi la proprietà dei servizi comuni, e venga garantita la possibilità di attuare una gestione di tipo alberghiero (Morello, Multiproprietà, D. 4a ed., 498; Gaggero, ivi, 31s., il quale conferma la compatibilità della struttura multiproprietaria anche nelle ipotesi in cui non vi siano camere destinate all’utenza occasionale; Pandolfini, ivi, 168; Giuggioli, ivi, 84; Scardigno, ivi, 281ss. In giurisprudenza v. C 97/7957; C s.u. 90/5777). La compatibilità tra frazionamento in multiproprietà e destinazione alberghiera dell’immobile trova ora una decisa conferma nell’art. 1, 1o co., lett. d), come modificato dall’art. 4, 2o co., lett. a), l. n. 135 del 2001. VI. Ambito di applicazione della disciplina prevista dagli artt. 69-81. Presupposti oggettivi: premessa; n Gli artt. 69-81 non introducono un nuovo tipo contrattuale, ma si limitano a dettare una serie di norme applicabili ai contratti 69 che presentano le caratteristiche indicate dall’art. 69, lett. a)-d): tali disposizioni andranno pertanto ad integrare la disciplina di volta in volta applicabile al tipo contrattuale utilizzato dai soggetti (normalmente, ma non necessariamente, un contratto di compravendita). Anche in considerazione della chiara assenza di un intento di qualificazione del diritto di godimento turnario, la dottrina prevalente esclude, dunque, che il legislatore italiano abbia tipizzato legalmente una nuova figura di contratto, limitandosi ad illustrare (secondo una tecnica non di rado utilizzata nella normativa di derivazione comunitaria) l’operazione economica sottesa alla costituzione o al trasferimento di un diritto di godimento turnario, disciplinando alcuni profili comuni ad un «gruppo di contratti» che consentono di realizzare quel risultato, indipendentemente dalla circostanza che abbiano ad oggetto un diritto personale di godimento o un diritto reale [così De Nova, R. d. priv. 99, 5; Tassoni, ivi, 37; Id., Tr. Gabrielli-Minervini, 822s.; De Cristofaro, ibidem; De Marzo, Corr. giur. 99, 17, secondo il quale, data l’ampiezza della definizione con cui è stato delimitato l’ambito applicativo della disciplina, il legislatore ha inteso individuare un risultato giuridico, piuttosto che riferirsi ad uno o più specifiche tipologie contrattuali; Bulgarelli, R. not. 00, 536s.; De Rosa, ivi, 18; Barenghi, ivi, 507; Marasco, Comm. Franzoni, 332; Giuggioli, ivi, 111. Rileva Morello, Contr. 99, 62, che con l’attuazione della direttiva è stato tipizzato lo schema contrattuale, eliminando ogni dubbio sulla sua legittimità, ma trattandosi di uno schema generale, in esso possono rientrare cause contrattuali tipiche o atipiche: la soluzione proposta dall’autore converge, quindi, nella sostanza con la tesi dottrinale prevalente sopra descritta. La rilevanza pratica della definizione viene pertanto individuata (non nell’avere identificato la struttura sostanziale della multiproprietà, bensì) nell’averne legittimato l’ammissibilità]. VII. (segue) il contratto. n Con l’espressione 1 uno o più contratti – tecnicamente meno precisa rispetto alla corrispondente norma comunitaria, ove si discorreva di «contratto o insieme di contratti» – il legislatore ha inteso ricondurre alla sfera di operatività della disciplina tutte quelle operazioni che, anche se formalmente frazionate in una pluralità di distinti accordi, sono economicamente unitarie: tale ipotesi costituisce nella prassi la regola tanto nella multiproprietà reale (in cui l’atto di trasferimento del diritto reale di godimento sull’immobile è collegato ai regolamenti, di natura contrattuale, di comunione e di condominio), quanto in quella c.d. azionaria (in cui il contratto di compravendita mobi- 69 CODICE DEL CONSUMO liare delle azioni della società è normalmente collegato ad un contratto di comodato in favore dell’azionista titolare delle azioni privilegiate) (Tassoni, I diritti a tempo parziale su beni immobili, 200; Caselli, La multiproprietà. Commento, 6; De Marzo, ibidem, 17; Pandolfini, 2 ivi, 292). n La dottrina è unanime nell’affermare che il riferimento, oltre alla costituzione e al trasferimento, alla promessa di costituire o trasferire il diritto turnario consente di applicare la disciplina anche ai contratti preliminari. Dubbi sussistono, invece, in relazione alla possibilità di estenderne l’operatività anche ad atti prenegoziali, quali la proposta (irrevocabile) di acquisto: l’orientamento prevalente ritiene che, pur in assenza di uno specifico intervento legislativo di equiparazione di tale atto ai contratti di cui all’art. 69, lett. a) (come invece è previsto per i contratti negoziati fuori dai locali commerciali dall’art. 45, 2o co.), la disposizione sia comunque suscettibile di interpretazione estensiva, in considerazione della previsione di cui all’art. 70 (che sancisce l’obbligo del venditore di consegnare all’interessato un documento informativo), il quale si riferisce indirettamente anche alla proposta, dovendo l’acquirente essere posto nella condizione di conoscere tutte le caratteristiche del contratto che si impegna a stipulare; si evita in tal modo che la disciplina possa essere aggirata dal venditore, in particolare con riguardo al divieto di acconti di cui all’art. 74 (Caselli, ivi, 6; Pandolfini, ivi, 293s.; secondo Barenghi, ivi, 529, tale estensione deriva del principio secondo cui agli atti non strettamente contrattuali si applica la disciplina di protezione del consumatore ove sussistano gli altri presupposti individuati dalla norma). Si è peraltro sottolineato che il rinvio alla disciplina dei contratti con particolari modalità di acquisto previsto dall’art. 75 elimina ogni dubbio circa l’applicazione della disciplina del recesso anche a proposte di contratto aventi ad oggetto diritti di godimento turnario (Barela, ivi, 564; Ermini, 3 Comm. CBB, 427). n L’inciso «direttamente o indirettamente» va riferito, nonostante l’imprecisa formula legislativa, al godimento dell’immobile (anziché all’acquisto del diritto), e quindi la disciplina è applicabile anche quando il diritto di godimento non può essere esercitato dal titolare senza la necessaria cooperazione di un altro soggetto (come accade nel timesharing alberghiero: v. supra, V; secondo Tassoni, ivi, 200s. e Id., Tr. Gabrielli-Minervini, 828, si ha godimento indiretto solo quando il contratto non identifica l’unità immobiliare oggetto del diritto turnario, ma si limita ad individuare il tipo di alloggio a cui potrà accedere l’acquirente nel periodo indicato) nonché nelle ipotesi in cui l’attri- 620 buzione del godimento a tempo parziale è la conseguenza dell’acquisto di titoli azionari o altri diritti mobiliari (in dottrina v., ex plurimis, Barenghi ivi, 529s.; Morello, ivi, 60; De Cristofaro, ivi, 604ss.). L’utilizzo di tali avverbi rende pertanto legittima l’applicazione della disciplina in discorso alla multiproprietà alberghiera (ulteriormente confermata dal nuovo testo della lett. d). n Il contratto ha per oggetto, 4 indistintamente, un diritto reale o altro diritto (di carattere personale) di godimento di uno o più immobili: trova così legittimazione la c.d. multiproprietà societaria, a cui si applica la disciplina in commento (v. supra, IV). n La durata 5 minima triennale va riferita al diritto del multiproprietario (e non, come suggerisce impropriamente la formula legislativa, anche quella della corrispondente norma comunitaria, al contratto. Si è al riguardo precisato che di durata del contratto potrebbe parlarsi solo quando entrano in gioco diritti di carattere personale, mentre il contratto avente ad oggetto diritti reali ha efficacia istantanea, per cui è il diritto ad avere, eventualmente, una durata: De Nova, in De Nova - Giuggioli - Leo, La multiproprietà, 9). Incertezze si registrano in merito alla applicabilità della disciplina in commento ai contratti a tempo indeterminato; la soluzione positiva sembra essere suggerita dalla previsione della sola durata minima, e non anche massima (in senso favorevole Munari, Problemi giuridici della nuova disciplina della multiproprietà, 30; contra, seppur in termini dubitativi, Morello, ivi, 69, secondo il quale potrebbe configurarsi un’ipotesi di nullità per oggetto indeterminato o per mancanza di un elemento essenziale ove nel contratto non sia indicato il termine di durata ovvero lo stesso sia perpetuo). Nel caso in cui sia prevista una durata minima inferiore a tre anni, se risulta che le parti, ex art. 1362 c.c., erano intenzionate a concludere un contratto di timesharing, la durata minima è automaticamente ricondotta a tre anni, in forza dell’applicazione dell’art. 78 (al cui commento si rinvia). n La scelta di una dura- 6 ta minima settimanale del turno deriva dell’esigenza di evitare che venga snaturato lo schema della fruizione turnaria, come accadrebbe se fosse possibile fissare turni di un solo giorno [Tassoni, I diritti a tempo parziale su beni immobili, 195s., la quale tuttavia non esclude la possibilità di un’interpretazione estensiva della norma tale da estenderne l’applicazione anche in caso di turni di godimento di durata inferiore ad una settimana, in considerazione della ratio del provvedimento comunitario, finalizzato a creare una base minima di regole comuni per garantire il buon funzionamento del mercato nel settore del timesharing (come si evince dal 621 Timesharing immobiliare considerando 2 dir. 1994/47/CE), e che suggerisce di applicare la disciplina ogniqualvolta l’operazione presenti i medesimi profili di rischio per l’acquirente disinformato; Id., Tr. Gabrielli-Minervini, 831ss.)]. Il turno assegnato a ciascun multiproprietario deve inoltre essere determinato o determinabile. Si esclude che configuri una forma di multiproprietà il bonus alberghiero, in forza del quale si acquista il diritto di trascorrere vacanze in un circuito di villaggi turistici con sconti e prenotazioni garantite: diversamente dalla multiproprietà alberghiera, non è indicata l’unità immobiliare oggetto del diritto, reale o personale, di godimento, e non è determinato, né determinabile, il periodo di godimento; per le stesse ragioni non sono soggetti alla disciplina in esame le forme di godimento turnario derivanti da carte di appartenenza a clubs con diritti alberghieri (Morello, ivi, 60s.; 7 Ermini, ivi, 426; Pastore - Re, ivi, 852s.). n Ulteriore requisito necessario affinché il contratto possa essere assoggettato alla disciplina di cui agli artt. 69-81 è la previsione di un corrispettivo. Sono pertanto esclusi i contratti di donazione (anche in considerazione dell’estraneità dell’atto liberale all’attività professionale del venditore: Ciatti, Contr. impr. E. 99, 522) e, più in generale, tutti i trasferimenti a titolo gratuito. Poiché deve trattarsi del pagamento di un prezzo, ne deriva l’esclusione dei contratti a titolo oneroso in cui il corrispettivo del diritto di godimento non sia costituito da una somma di denaro (es. permuta). Infine il prezzo deve essere globale, da intendersi verosimilmente come una somma di denaro determinata una tantum quale corrispettivo del valore complessivo del diritto di godimento ceduto (di cui può comunque prevedersi un pagamento rateale, posto che il legislatore non ha inteso riferirsi alle modalità di esecuzione dell’obbligazione pecuniaria), e non come canone, da pagarsi periodicamente in corrispondenza dei periodi di esercizio del diritto (De Cristofaro, ivi, 605). Ne consegue l’esclusione, dall’ambito applicativo della disciplina in materia di godimento ripartito su immobili, dei contratti di locazione (la cui disciplina non è comunque applicabile in quanto il multiproprietario acquista il diritto alla fornitura di servizi che vanno oltre il godimento dell’immobile: De Nova, ivi, 7; anche il considerando 5 dir. 1994/47/ CE poneva in evidenza le modalità di pagamento come ulteriore tratto distintivo tra i contratti 8 di timesharing e la locazione). n Il diritto turnario di godimento deve avere ad oggetto beni immobili (per cui sono da ritenersi escluse dall’ambito di applicazione della disciplina tutte quelle forme di timesharing aventi ad oggetto beni diversi, quali aerei, auto, barche, roulottes), adibiti 69 ad uso abitativo (con esclusione, pertanto, di multiproprietà di uffici, negozi, magazzini), nonché, a seguito della modifica di cui alla l. n. 135 del 2001 (v. supra, sub I), uso alberghiero (strutture alberghiere) o per uso turistico-ricettivo (immobili utilizzati, ad esempio, per ragioni di studio). Il bene immobile deve essere determinato o, se in costruzione, determinabile. Il riferimento ad uno o più immobili si spiega con l’intenzione del legislatore di ricondurre nella sfera di operatività della disciplina anche le forme di multiproprietà aperta, ove è prevista la possibilità di sostituire il turno acquistato con altri turni relativi a periodi o immobili diversi, siti in altre località. VIII. Presupposti soggettivi di applicazione della disciplina. n La definizione di acquiren- 1 te di cui all’art. 69, 1o co., lett. b), è stata riformulata – rispetto a quella di cui al previgente art. 1 d.lgs. n. 427 del 1998 – e raccordata alla definizione generale di consumatore contenuta nell’art. 3, 1o co., lett. a), al cui commento pertanto si rinvia. L’espressione legislativa utilizzata, nel riferirsi a contratti stipulati in favore del consumatore, pare legittimare l’applicazione della disciplina non solo ai contratti conclusi personalmente dal consumatore medesimo, ma anche a quelli da altri stipulati, che intervengono nel procedimento formativo dell’atto negoziale nell’interesse del primo, come può accadere, ad esempio, nell’ipotesi in cui si utilizzi lo strumento del contratto (anche preliminare) per persona da nominare, o il contratto a favore di terzi. Ciò che rileva, ai fini dell’applicazione della normativa, è che la titolarità del diritto di godimento turnario, reale o personale, sia del consumatore (in dottrina si rinvengo cenni a tale aspetto in Tassoni, I diritti a tempo parziale su beni immobili, 207s.). n La definizione di 2 venditore di cui alla lett. c), ancorché non contenga l’aggettivo imprenditoriale, ricalca sostanzialmente quella di professionista prevista dall’art. 3, 1o co., lett. c), al cui commento pertanto si rinvia. n Il legislatore ha voluto tutelare 3 la posizione del consumatore anche nelle ipotesi in cui la stipulazione del contratto di timesharing venga mediato dall’intervento di un terzo. A questo scopo l’art. 69, 1o co., lett. c), ha equiparato al venditore, ai fini dell’applicazione del codice, il promotore, ossia colui che promuove la costituzione, il trasferimento o la promessa di trasferimento del diritto oggetto del contratto. Rientrano in tale categoria ogni persona, fisica o giuridica, ed enti non personificati che si pongono come intermediari tra venditore ed acquirente, intervenendo nella fase del collocamento dei diritti di godimento turnario (Lascialfari, in Cuffaro, I contratti di multiproprietà, 282); 70 CODICE DEL CONSUMO sono pertanto considerati promotori, ai sensi della disposizione in commento, gli agenti di commercio, i mediatori, i procacciatori e coloro che, a qualsiasi titolo, abbiano promosso la conclusione dell’affare: e ciò, non soltanto quando il terzo promotore figuri addirittura come parte formale del negozio, emettendo in nome del venditore la dichiarazione contrattuale, ma anche quando il promotore non abbia manifestato alcuna volontà negoziale, limitandosi a fare da tramite per l’incontro delle volontà delle parti (in questo senso è orientata la dottrina prevalente: v. De Cristofaro, ivi, 606; De Marzo, ivi, 18; Munari, ivi, 35; Di Ciommo, F. it. 99, V, 42; Tassoni, ivi, 204). Affinché il promotore possa essere equiparato al venditore è necessario che agisca nell’esercizio della propria attività professionale, ed è tenuto ad osservare gli obblighi imposti al venditore anche quando promuova la conclusione di contratti di timesharing fra soggetti che agiscano entrambi per scopi estranei alla propria attività professionale; se, dunque il consumatore intende rivendere il proprio diritto di godimento turnario (ad altro consumatore), la disciplina troverà applicazione solo se il titolare si avvale di un operatore professionale (De Cristofaro, ibidem; Tassoni, ivi, 205s.; Id., Tr. Gabrielli-Minervini, 838; Lascialfari, ivi, 283). Relativamente agli effetti di tale equiparazione, devono ritenersi estesi al promotore gli obblighi e divieti imposti al venditore, quali quelli previsti dagli artt. 70 (obbligo di consegnare il documento informativo, la cui estensione è specificamente prevista dalla lett. b), che pone a carico del promotore l’obbligo di indicare esattamente la propria qualità giuridica), 71, 3o co. (obbligo di fornire la traduzione del contratto), 72 (divieto di usare in modo impro- 70 622 prio il termine «multiproprietà»), 74 (divieto di acconti), 78 (nullità di patti di rinuncia o di clausole limitative di responsabilità), con conseguente applicazione, in caso di violazione, delle sanzioni di cui all’art. 81. Si esclude invece l’applicabilità dell’obbligo di prestare fideiussione bancaria o assicurativa a garanzia della corretta esecuzione del contratto e dell’ultimazione del lavoro, poiché il promotore si limita a svolgere una mera attività di intermediazione (Munari, ivi, 43s.; Barela, ivi, 568). n Poiché la normati- 4 va riguarda contratti stipulati tra professionisti e consumatori, sono esclusi dall’applicazione della disciplina quelli tra consumatori [la dottrina si è mostrata particolarmente critica nei confronti di tale scelta legislativa, ritenendo che la mancanza della professionalità del venditore non possa considerarsi ragione sufficiente per non accordare all’acquirente il diritto ad essere correttamente informato, nonché a disporre di un periodo di tempo per valutare l’opportunità dell’acquisto ed eventualmente recedere (De Cristofaro, ivi, 605s.; Munari, ivi, 41). Deve tuttavia convenirsi che la normativa è stata ideata con riferimento alla figura del venditore professionale, e presuppone un’organizzazione di tipo imprenditoriale: basti pensare alle norme che prevedono obblighi informativi durante la fase precontrattuale, in particolare l’obbligo di consegnare il documento informativo a chiunque ne faccia richiesta di cui all’art. 70 (Tassoni, Tr. Gabrielli-Minervini, 822; Morello - Tassoni Multiproprietà, Agg., D. 4a ed., 907)] ad eccezione delle ipotesi in cui il consumatore acquirente si avvalga dell’operato di un promotore professionale (v. supra, 3), nonché quelli tra professionisti. Documento informativo. 1. Il venditore è tenuto a consegnare ad ogni persona che richiede informazioni sul bene immobile un documento informativo in cui sono indicati con precisione i seguenti elementi: a) il diritto oggetto del contratto, con specificazione della natura e delle condizioni di esercizio di tale diritto nello Stato in cui è situato l’immobile; se tali ultime condizioni sono soddisfatte o, in caso contrario, quali occorre soddisfare; b) l’identità ed il domicilio del venditore, con specificazione della sua qualità giuridica, l’identità ed il domicilio del proprietario; c) se l’immobile è determinato: 1) la descrizione dell’immobile e la sua ubicazione; 2) gli estremi del permesso di costruire ovvero di altro titolo edilizio e delle leggi regionali che regolano l’uso dell’immobile con destinazione turistico-ricettiva e, per gli immobi- 623 Timesharing immobiliare 70 li situati all’estero, gli estremi degli atti che garantiscano la loro conformità alle prescrizioni vigenti in materia; d) se l’immobile non è ancora determinato: 1) gli estremi della concessione edilizia e delle leggi regionali che regolano l’uso dell’immobile con destinazione turistico-ricettiva e, per gli immobili situati all’estero, gli estremi degli atti che garantiscano la loro conformità alle prescrizioni vigenti in materia, nonché lo stato di avanzamento dei lavori di costruzione dell’immobile e la data entro la quale è prevedibile il completamento degli stessi; 2) lo stato di avanzamento dei lavori relativi ai servizi, quali il collegamento alla rete di distribuzione di gas, elettricità, acqua e telefono; 3) in caso di mancato completamento dell’immobile, le garanzie relative al rimborso dei pagamenti già effettuati e le modalità di applicazione di queste garanzie; e) i servizi comuni ai quali l’acquirente ha o avrà accesso, quali luce, acqua, manutenzione, raccolta di rifiuti, e le relative condizioni di utilizzazione; f) le strutture comuni alle quali l’acquirente ha o avrà accesso, quali piscina, sauna, ed altre, e le relative condizioni di utilizzazione; g) le norme applicabili in materia di manutenzione e riparazione dell’immobile, nonché in materia di amministrazione e gestione dello stesso; h) il prezzo globale, comprensivo di IVA, che l’acquirente verserà quale corrispettivo; la stima dell’importo delle spese, a carico dell’acquirente, per l’utilizzazione dei servizi e delle strutture comuni e la base di calcolo dell’importo degli oneri connessi all’occupazione dell’immobile da parte dell’acquirente, delle tasse e imposte, delle spese amministrative accessorie per la gestione, la manutenzione e la riparazione, nonché le eventuali spese di trascrizione del contratto; i) informazioni circa il diritto di recesso dal contratto con l’indicazione degli elementi identificativi della persona alla quale deve essere comunicato il recesso stesso, precisando le modalità della comunicazione e l’importo complessivo delle spese, specificando quelle che l’acquirente in caso di recesso è tenuto a rimborsare; informazioni circa le modalità per risolvere il contratto di concessione di credito connesso al contratto, in caso di recesso; l) le modalità per ottenere ulteriori informazioni. 2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche quando il venditore offre al pubblico un diritto che attribuisce il godimento su uno o più beni immobili sulla base di liste, elenchi, cataloghi o altre forme di comunicazione. In questo caso il documento informativo deve essere consegnato per ciascuno dei beni immobili oggetto dell’offerta. 3. Il venditore non può apportare modifiche agli elementi del documento di cui al comma 1, a meno che le stesse non siano dovute a circostanze indipendenti dalla sua volontà; in tale caso le modifiche devono essere comunicate alla parte interessata prima della conclusione del contratto ed inserite nello stesso. Tuttavia, dopo la consegna del documento informativo, le parti possono accordarsi per modificare il documento stesso. 4. Il documento di cui al comma 1 deve essere redatto nella lingua o in una delle lingue dello Stato membro in cui risiede la persona interessata oppure, a scelta di quest’ultima, nella lingua o in una delle lingue dello Stato di cui la persona stessa è cittadina, purché si tratti di lingue ufficiali dell’Unione europea. 5. Restano salve le disposizioni previste dal codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. [artt. 3, parr. 1-2, e 4 dir. 1994/47/CE] 70 CODICE DEL CONSUMO 624 Sommario: I. La fase precontrattuale: l’obbligo di consegnare il documento informativo. - II. I singoli elementi del documento informativo. - III. Inosservanza dell’obbligo di informazione. - IV. Le modifiche al contenuto del documento informativo. I. La fase precontrattuale: l’obbligo di conse1 gnare il documento informativo. n L’art. 70 ri- 2 3 4 5 produce il contenuto del previgente art. 2 del d.lgs. n. 427 del 1998 senza sostanziali modifiche, ad eccezione del 5o co., che, con una prescrizione pleonastica, fa salva l’applicazione delle disposizioni previste dal codice dei beni culturali (d.lgs. n. 42 del 2004). Con tale disposizione è stata data attuazione agli artt. 3, parr. 1 e 2, e 4, dir. 1994/47/CE. n L’art. 70 impone, a chi offre sul mercato immobili in timesharing, l’obbligo di consegnare a chiunque ne faccia richiesta un documento contenente una serie di elementi, da indicarsi con precisione, la cui conoscenza è reputata indispensabile affinché il potenziale acquirente possa consapevolmente valutare la convenienza e l’opportunità del contratto. L’adempimento dell’obbligo è, cioè, finalizzato a soddisfare quel diritto del consumatore «ad una adeguata informazione ed ad una corretta pubblicità», che l’art. 2 riconosce come fondamentale, e ad eliminare, o quantomeno contenere, l’asimmetria informativa che normalmente si riscontra nelle contrattazioni tra consumatore e professionista. La disposizione deve leggersi insieme all’art. 5, che impone al professionista di esprimere le informazioni in modo chiaro e comprensibile, in considerazione delle modalità di conclusione del contratto o delle caratteristiche del settore. n Il diritto del consumatore a ricevere il documento informativo è irrinunciabile, ai sensi dell’art. 78: un eventuale atto di rinuncia è pertanto nullo. n Il documento informativo rientra nella nozione di «pratica commerciale» di cui agli artt. 18ss., trattandosi evidentemente di dichiarazioni poste in essere da un professionista, oggettivamente correlate alla promozione e vendita di un bene destinato ad usi di natura privata, e conseguentemente è soggetto alla disciplina di cui al nuovo titolo III della parte II. n L’utilizzo del termine documento induce la dottrina ad escludere che il dovere del professionista possa dirsi adempiuto in caso di illustrazione orale di singoli elementi, e a reputare necessaria la consegna di una atto redatto per iscritto (non occorre la sottoscrizione delle parti contraenti: rileva in proposito Marasco, Comm. Franzoni, 339, che il concetto di «documento scritto» o di «informazione scritta», cui si riferisce il legislatore non coincide con il requisito formale della «forma scritta»). Ciò non significa che debba necessariamente essere su supporto cartaceo, riconoscendosi sotto questo profilo idoneo anche il documento illustrato e con- sultabile sull’eventuale sito internet del venditore; in generale può reputarsi sufficiente che le informazioni siano su di un supporto comunque durevole, che ne consenta la conservazione ed il successivo controllo, al fine di soddisfare le finalità informative sottese alla disciplina (Villanacci, Dir. cons. Villanacci, 250; Giuggioli, in De Nova - Giuggioli - Leo, La multiproprietà, 13; Sirgiovanni, Comm. ARC, 517, la quale ritiene tale generale idoneità confermata anche dal 2o co. dell’art. 70, ove fa generico riferimento ad altre forme di comunicazione; conf. Lascialfari, in Cuffaro, I contratti di multiproprietà, 321; Florit, La multiproprietà, 71; contra, Ermini, Comm. CBB, 431, secondo il quale il documento informatico è incompatibile con la «consegna» richiesta dall’art. 70). Anche la disposizione sulla lingua, di cui al 2o co., lascia intendere che il documento deve concretizzarsi in un testo linguistico, redatto mediante tracce grafiche da redigersi su supporto durevole (Calice, Vendita di diritti di «godimento ripartito» di beni immobili: formalismo e tutela dell’acquirente, 105). Del tutto inadeguata è, invece, la consegna di un filmato, anche se corredato di audio (in una delle lingue richieste dal 4o co.) che dia voce alle prescrizioni normative (Rossi Carleo, Not. 01, 630). n Ai sensi del 4o co. il documento deve 6 essere redatto nella lingua o in una delle lingue dello Stato membro di residenza della persona interessata, la quale può anche chiedere un documento redatto nella lingua dello Stato di cui ha la cittadinanza: è comunque necessario che si tratti di lingue ufficiali dell’Unione europea. Con tale prescrizione il legislatore ha operato una distribuzione del c.d. rischio linguistico, ossia di mancata comprensione del documento, e che viene addossato al venditore che predispone il testo (Marasco, ivi, 340; v. anche Cicala, Lingua straniera e testo contrattuale, 124ss.). n Sono 7 destinatari della consegna del documento chiunque ne faccia richiesta, sempre che si tratti di un soggetto che agisce per fini estranei ad un’attività professionale eventualmente svolta. Nonostante la generica formula legislativa, è da escludere che la norma trovi applicazione anche nel caso in cui la richiesta provenga da un professionista, per mancanza di uno dei requisiti soggettivi di applicazione della disciplina, ossia la qualifica di consumatore-acquirente richiesta dall’art. 69 (rileva inoltre Morello, Contr. 99, 63, che la lettura restrittiva è finalizzata a tutelare anche la posizione dello stesso venditore contro richieste provenienti da eventuali concorrenti). 625 Timesharing immobiliare 8 n Le informazioni devono essere fornite con precisione (non è stato invece riprodotto l’aggettivo succinte di cui all’art. 3 dir. 1994/47/CE): per stabilire il significato di tale criterio occorre far riferimento all’elaborazione giurisprudenziale sull’art. 1337 c.c., in quanto le indicazioni previste dalla disposizione mirano a specificare l’ambito della buona fede richiesta nella fase delle trattative (Morello, ibidem; Ciatti, Contr. impr. E. 99, 524). Tale prescrizione deve coordinarsi con quanto previsto dall’art. 35, che impone al professionista di redigere le clausole in modo chiaro e comprensibile; in caso di dubbio dovrà prevalere l’interpretazione più favorevole per il consumatore, ai sensi del 2o co. della disposizione richiamata (Morello, ibidem; 9 Lascialfari, ivi, 323; Marasco, ivi, 341). n Disparità di vedute si registrano in merito all’individuazione del momento in cui sorge l’obbligo di consegnare il documento. Parte della dottrina lo identifica nel momento in cui si instaura un primo contatto con il potenziale cliente: si reputa sufficiente anche una richiesta non supportata da una determinazione all’acquisto, e non è indispensabile che tra le parti sia già in corso una trattativa. A sostegno di tale interpretazione si adduce, oltre alla ampiezza del dato normativo – che si riferisce genericamente a chiunque richieda informazioni – anche la previsione secondo cui il documento deve specificare le modalità per ottenere ulteriori informazioni (lett. l): prescrizione giustificata, secondo tale prospettiva, dalla circostanza che le trattative non sono ancora state avviate (Munari, Problemi giuridici della nuova disciplina della multiproprietà, 61; Giuggioli, ivi, 13s., il quale tuttavia ritiene necessaria una specifica richiesta, che non comporti alcuna spesa a carico del venditore; Marasco, Contr. impr. 00, 1063; Lascialfari, ivi, 316ss.; Ermini, ivi, 431; Barela, Comm. SS, 573; Villanacci, ivi, 251). Secondo altra dottrina l’obbligo di consegna sorge solo quando il consumatore manifesta un apprezzabile interesse, e le parti hanno preso dei contatti per instaurare una trattativa con un minimo di serietà; a sostegno di tale lettura si evidenzia la necessità di tutelare la riservatezza del venditore (Morello, ibidem; Ciatti, ivi, 523). La prima interpretazione appare preferibile, anche in considerazione della ratio di tutela del consumatore, che trova adeguata soddisfazione laddove l’adempimento della consegna del documento informativo debba precedere, anziché presupporre, l’inizio delle trattative. Analogo criterio si ritiene trovi applicazione anche nell’ipotesi – contemplata dal 2o co. dell’art. 70, che rinvia espressamente a quanto statuito nel 1o co. – in cui il venditore offra al pubblico un diritto che 70 attribuisce il godimento su uno più immobili sulla base di liste, elenchi cataloghi ed altre forme di comunicazione (v. Villanacci, ibidem, il quale precisa che se l’attività promozionale è realizzata attraverso la predisposizione di opuscoli e depliants, l’obbligo di cui all’art. in commento sorge sempre con il primo contatto, e quindi al momento dell’offerta al pubblico, e non nella pregressa fase dell’invito ad offrire, pur riconoscendo che in tale seconda ipotesi l’individuazione del preciso momento di riferimento è concretamente più difficoltosa; in arg. v. anche Munari, ivi, 62ss.). n Il legislatore non ha imposto 10 un termine minimo tra la consegna del documento informativo e la stipulazione del contratto, necessario affinché il consumatore possa esprimere un consenso informato: conseguentemente, nulla impedisce al venditore di far sottoscrivere al consumatore il contratto subito dopo aver consegnato il documento, vanificandosi in tal modo la finalità della disposizione (De Cristofaro ivi, 607; v. anche Rossi Carleo, ivi, 627, la quale sottolinea che in questi contratti non esiste di fatto trattativa, in quanto il documento informativo preannuncia nella sostanza il contenuto del regolamento negoziale; conf. Barela, ivi, 574). Tale problema è in parte risolto dalla previsione di un più lungo termine per esercitare il diritto di recesso, che il legislatore accorda al consumatore nell’ipotesi in cui alcuni degli elementi del documento informativo non vengano riprodotti nel contratto (v. amplius sub art. 73), ma se il venditore non provvede neppure nei tre mesi successivi alla sottoscrizione dell’accordo, il consumatore che non esercita il diritto di recesso non dispone di ulteriori strumenti giuridici per vedere adempiuto l’obbligo informativo. In ogni caso, deve riconoscersi l’applicazione dei rimedi previsti dal c.c., per cui la mancata consegna in un tempo utile potrà eventualmente legittimare una richiesta risarcitoria per violazione del precetto di buona fede nella fase delle trattative e, se sussistono gli estremi del raggiro, l’annullabilità del contratto per dolo. II. I singoli elementi del documento informativo. n Il documento informativo deve innanzi- 1 tutto contenere indicazioni relative al diritto oggetto del contratto, con specificazione della natura (lett. a). La prescrizione va letta insieme all’art. 72, ai sensi del quale il venditore potrà utilizzare il termine «multiproprietà», anche nel documento informativo, solo se il diritto è reale: si tratta quindi di un’indicazione necessaria per consentire al consumatore di conoscere l’esatta tipologia di multiproprietà offerta. Dovrà inoltre descrivere la posizione giuridica del titolare del diritto, come, ad esempio, la comproprietà dell’unità immobiliare e delle parti comuni del- 70 CODICE DEL CONSUMO l’edificio, e la comproprietà di eventuali strutture ed infrastrutture del complesso turistico in cui si trova l’alloggio (Munari, ivi, 55). La natura del diritto – reale o personale – incide anche sulle condizioni di esercizio del diritto stesso, per cui il venditore dovrà descrivere con precisione tutte quelle incombenze che l’acquirente dovrà assolvere per godere del bene (ad es., con riferimento alla multiproprietà alberghiera, occorrerà evidenziare il carattere indiretto del godimento, e quindi, la necessaria cooperazione del gestore, l’obbligo di confermare le prenotazione, di pagare le spese, etc.; per la multiproprietà immobiliare, dovrà indicare l’obbligo di rispettare i regolamenti di comunione e condominio; per la multiproprietà societaria sarà necessario specificare se il titolo azionario incorpora il diritto personale di godimento del socio multiproprietario o la legittimazione del socio a stipulare il separato contratto attributivo del godimento), e le sue limitazioni, compreso il calendario dei periodi di godimento (Munari, ibidem, 55; Calice, ivi, 110; Vincenti, Nuove leggi civ. comm. 99, 59, sottolinea la necessità che sia fatta menzione dell’esistenza di eventuali ipoteche o di altre trascrizioni pregiudizievoli, che possano ostacolare, o addirittura impedire, anche in futuro, l’esercizio del diritto). Tali informazioni devono essere fornite secondo il sistema giuridico dello Stato in cui si trova il bene: diversamente dalla corrispondente norma comunitaria (art. 3 dir. 1994/47/CE ed il richiamato allegato lett. b), non si fa riferimento solo agli Stati membri, per cui l’obbligo sussiste relativamente all’ordinamento di qualsiasi Paese di ubicazione dell’immobile (questa è una delle ragioni per cui in dottrina si è sottolineato come lo sforzo richiesto al venditore rischi di essere sproporzionato rispetto all’interesse del consumatore: Giuggioli, Timesharing e multiproprietà, 156; Florit, ivi, 2 75s.). n Il documento deve specificare l’identità, il domicilio e la qualità giuridica (rappresentante, procuratore, etc.) del venditore (lett. b); se si tratta di persone giuridiche, occorrerà indicare le generalità dei legali rappresentanti e la sede sociale. Se il venditore non coincide con il proprietario dell’immobile, occorre anche l’indicazione dell’identità e del domicilio (ma non della qualità giuridica) di quest’ultimo: tale situazione si verifica in tutti i casi in cui il titolare del bene 3 si avvale dell’opera di un promotore. n Per immobile si intende sia la singola unità immobiliare (camera, appartamento), sia l’edificio o il complesso in cui è collocata, per cui le informazioni devono essere date con riferimento ad entrambe (Munari, ivi, 57s.; Giuggioli, ivi, 157). Per immobile determinato deve intendersi il complesso già costruito (o già edificato): secon- 626 do quanto prescritto dalla lett. c) è necessario che il documento contenga la sua descrizione, ubicazione e gli estremi del permesso di costruire o altro titolo edilizio (espressione volutamente generica, riferibile sia alle vecchie concessioni che ai nuovi permessi di costruire, secondo la nuova terminologia adottata dal t.u. edil. d.p.r. 6-6-2001, n. 380), nonché l’indicazione delle norme regionali che disciplinano l’uso dell’immobile con destinazione turistico-ricettiva (in riferimento alla c.d. multiproprietà alberghiera). Relativamente all’immobile in costruzione (o indeterminato: assolutamente oscure sono le ragioni che hanno indotto il legislatore a sostituire il riferimento all’«immobile in costruzione», originariamente presente nella lett. d) dell’art. 2, 1o co., d.lgs. n. 427 del 1998 con l’ambiguo ed inadeguato riferimento all’immobile «non determinato»), di cui alla successiva lett. d), occorrerà indicare, oltre ai dati richiesti per l’edificio già costruito e sopra richiamati, lo stato di avanzamento dei lavori, anche di quelli relativi ai servizi (collegamento alla rete di distribuzione di gas, elettricità, acqua e telefono), ed una stima della loro durata: è ammesso un margine di errore relativamente alla data indicata per la consegna nei limiti in cui il ritardo derivi da cause di forza maggiore o eventi fortuiti, mentre non rilevano esigenze proprie del venditore (Morello, ivi, 63). Devono inoltre essere indicate le garanzie relative al rimborso di pagamenti effettuati e le loro modalità di applicazione. In dottrina tale disposizione ha creato non pochi dubbi interpretativi. Innanzitutto si è posto il problema di individuare il tipo di garanzie che deve prestare il venditore, ed in particolare, se sia consentito solo l’utilizzo di fideiussioni bancarie o assicurative – come previsto dall’art. 76, 2o co., relativamente alle garanzie per l’ultimazione della costruzione dell’immobile – o anche altre forme di garanzie: la genericità del precetto depone a favore di questa seconda lettura, anche in forza della previsione di cui all’art. 1179 c.c., ai sensi del quale, quando sussiste un obbligo di garanzia senza indicazione del modo e della forma, il soggetto obbligato può adempiere, oltre che con idonea garanzia reale o personale, anche prestando altra sufficiente cautela: può pertanto ritenersi ammissibile il deposito delle somme ricevute dal consumatore-acquirente presso un depositario-terzo, su cui graverà l’obbligo di consegnarle al venditore o restituirle al consumatore, a seconda che l’immobile venga o meno realizzato (Ermini, ivi, 433; Florit, ivi, 79; in senso dubitativo, Giuggioli, ivi, 159). Ambiguo è altresì il riferimento alle modalità di applicazione delle garanzie: nonostante il riferimento testuale alla mancata ultimazione dei lavori, non 627 Timesharing immobiliare è chiaro se il professionista debba prestare garanzie anche per il semplice ritardo: a favore della soluzione positiva può invocarsi la previsione di cui al n. 1, lett. d), che impone al venditore una stima relativamente ai tempi di consegna. Tra gli elementi da indicare nel documento informativo il legislatore non ha previsto, a fianco delle garanzie relative al rimborso, quelle per l’ultimazione dei lavori – che ai sensi dell’art. 76, 2o co., devono essere menzionate nel contratto a pena di nullità: sul rapporto tra le due disposizioni v., infra, sub art. 76, IV – contravvenendo in tal modo a quanto previsto dall’allegato alla dir. 1994/47/CE, lett. d), n. 5, richiamato dall’art. 3, par. 1, dir. Se l’immobile, costruito o in corso di costruzione, è situato all’estero occorre indicare gli estremi degli atti che garantiscono la loro conformità alle prescrizioni vigenti in mate4 ria. n Il venditore ha l’obbligo di specificare nel documento informativo i servizi comuni (acqua, luce, manutenzione, raccolta rifiuti) e le strutture comuni (piscina, sauna e altre) a cui l’acquirente avrà accesso, nonché le condizioni per il loro utilizzo (lett. e ed f), oltre alle norme che disciplinano l’amministrazione, la gestione, la manutenzione e la riparazione dell’immobile (lett. g). Dovrà quindi essere indicata l’esistenza di un regolamento di condomino, e l’esistenza di assemblee per ciascuna unità o per l’intero com5 plesso. n La lett. h) puntualizza i costi che il potenziale acquirente potrà essere chiamato a sostenere in relazione al prodotto acquistato. Innanzitutto il consumatore deve essere preventivamente informato del prezzo globale, comprensivo di IVA (espressione certamente più precisa rispetto a quella dell’abrogato art. 2 d.lgs. n 427 del 1998, in cui si parlava di «prezzo che l’acquirente dovrà versare per l’esercizio del diritto oggetto del contratto»). Il documento deve inoltre contenere la stima dell’importo delle spese riconducibili al godimento turnario, che l’acquirente deve sopportare per avvalersi dei servizi e delle strutture comuni: relativamente ai costi connessi alla loro fruizione, si è in dottrina sottolineato che solo l’uso effettivo del servizio consente di calcolare il costo, e non è pertanto configurabile una stima preventiva e ragionevolmente attendibile; si è così ritenuto di identificare le spese in questione con quelle connesse alla semplice disponibilità del servizio e della struttura, indipendentemente dal loro effettivo utilizzo (Munari, ivi, 60; conf. Lascialfari, ivi, 335). Deve altresì essere indicata la base per calcolare l’ammontare degli oneri connessi all’occupazione dell’immobile da parte dell’acquirente, delle tasse e imposte, delle spese amministrative accessorie per la gestione, la manutenzione e la riparazione: è quindi necessario che venga- 70 no indicati i criteri di ripartizione delle spese comuni. Infine, è prescritta l’indicazione delle eventuali spese di trascrizione del contratto (sui costi di esercizio del diritto v. Tassoni, I diritti a tempo parziale su beni immobili, 117ss.). n Nel 6 documento devono essere indicate le informazioni relative al diritto di recesso, con indicazione del soggetto a cui deve essere comunicato, delle modalità di comunicazione e l’importo complessivo delle spese, con specificazione di quelle che dovranno essere rimborsate, oltre alle informazioni riguardanti la risoluzione dell’eventuale contratto di concessione del credito connesso all’acquisto (lett. i): su tali arg. v. amplius sub artt. 73 e 77. Devono infine essere specificate le altre modalità per ottenere ulteriori informazioni, quali ad es. i regolamento accessori (lett. l). III. Inosservanza dell’obbligo di informazione. n L’inosservanza dell’obbligo informativo di cui 1 al 1o co. dell’art. 70 è sanzionata dal successivo art. 81, che prevede – salvo che il fatto costituisca reato – una mera sanzione amministrativa, di importo diverso, da 500 a 3.000 euro, in relazione alla gravità della violazione, nel caso in cui il venditore contravvenga a quanto previsto nelle lett. a), b), c), n. 1, d), nn. 2 e 3, e), f), g), h) e i): la genericità del verbo utilizzato («contravviene») consente di ritenere applicabile la sanzione non solo in caso di omissione, ma anche quando le informazioni sono incomplete o (dolosamente o colposamente) erronee [sull’applicabilità della sanzione amministrativa si esprime la dottrina prevalente; contra, De Cristofaro, ivi, 607, secondo il quale – con riferimento al testo originario del d.lgs. n. 427 del 1998 – la norma, laddove richiama l’art. 2 (ora art. 70), va letta nel senso che si applica la sanzione amministrativa quando il venditore, nella redazione del contratto, contravviene alla norme sopra richiamate. A sostegno di tale interpretazione si invoca il necessario coordinamento con la norma sul diritto di recesso – art. 5 (ora art. 73), 2o co. –. Premesso che il contenuto del documento informativo deve essere riprodotto nel contratto, ai sensi dell’art. 3 (ora art. 71), 2o co., il combinato disposto delle due disposizioni dovrebbe condurre, secondo questa prospettiva, a ritenere applicabili, in caso di violazione, due sanzioni diverse, in relazione al diverso grado di rilevanza attribuito alla presenza di tali elementi nel testo contrattuale: la mancata inclusione dei dati richiamati nell’art. 5 (ora 73), 2o co., è sanzionata con il prolungamento del termine entro cui il consumatore può esercitare il diritto di recesso, mentre la mancata riproduzione degli elementi specificati nelle lett. d), nn. 2 e 3, e), f), e g), non contemplati dall’art. 5 (ora art. 73), ma presi in 70 CODICE DEL CONSUMO considerazione dall’art. 81, è sanzionata con l’applicazione della sanzione pecuniaria. La soluzione proposta consente così di individuare una sanzione per la mancata riproduzione di ogni elemento del documento informativo. Al di là delle intervenute modifiche nel testo dell’art. 81, tale interpretazione appare comunque difficilmente conciliabile con il dato letterale, che chiaramente ricollega la sanzione amministrativa alla violazione dell’obbligo legale di fornire informazioni nella fase precontrattuale]. Non è contemplata alcuna specifica sanzione amministrativa in caso di mancata consegna del documento informativo: tuttavia, posto che in tale ipotesi il venditore, nella sostanza contravviene alle norme elencate, può interpretarsi estensivamente l’art. 81, ed applicare la sanzione massi2 ma. (v. amplius sub art. 81). n Nonostante la previsione dell’obbligo di consegnare un documento informativo completo, chiaro e trasparente non sia accompagnata dalla predisposizione di specifiche sanzioni sul piano negoziale, la dottrina è concorde nel sostenere che la condotta del venditore possa comunque provocare conseguenze sia sotto il profilo risarcitorio, sia sotto il profilo della validità del contratto eventualmente concluso. Escluso che, nelle ipotesi in cui sia stato comunque stipulato il contratto, possa riconoscersi in capo al consumatore un prolungamento del termine per esercitare il diritto di recesso, in quanto l’art. 73 ricollega tale effetto alla incompletezza del testo contrattuale, e non anche del documento informativo, si ritiene possano trovare applicazione i rimedi generali previsti dal c.c.; in particolare, se il documento è incompleto, o alcuni degli elementi sono indicati in modo (dolosamente o colposamente) erroneo, o ancora il documento non venga affatto consegnato, ovvero venga consegnato ma redatto in una lingua diversa da quella prescritta (v. anche infra, 3), è possibile configurare il sorgere di una responsabilità per culpa in contrahendo, in quanto l’inadempimento (anche colposo) di un obbligo legale di informazione costituisce un comportamento contrario a buona fede ex art. 1337 c.c., con conseguente diritto del consumatore al ristoro del pregiudizio subito, nei limiti dell’interesse negativo (diritto che deve riconoscersi anche nell’ipotesi in cui, nonostante il comportamento scorretto del venditore, comunque si sia addivenuti alla conclusione di un contratto valido ed efficace: Giuggioli, in De Nova - Giuggioli - Leo, La multiproprietà, 22s.; Ciatti, ivi, 524s.). Sul piano della validità del contratto di timesharing eventualmente concluso, benché il mancato o inesatto adempimento, da parte del venditore, dell’obbligo di cui all’art. 70 non sia di per sé causa di 628 invalidità dell’atto, non si esclude che il consumatore possa chiederne l’annullamento qualora la condotta del venditore abbia determinato nel contraente un vizio nel procedimento formativo della volontà: è cioè possibile, qualora ne ricorrano gli estremi, ottenerne l’annullamento per errore o dolo (si tratterebbe, in tal caso, di dolo omissivo, derivante dalla reticenza del venditore che viola l’obbligo legale di fornire informazioni su di lui gravante ex art. 70). Se la violazione dell’obbligo informativo è stata intenzionale, ma non è stata determinante del consenso del consumatore, questi potrà comunque agire ai sensi dell’art. 1440 c.c. (De Cristofaro, ivi, 607; v. anche Munari, ivi, 82ss., che ipotizza la possibilità di riconoscere natura contrattuale alla responsabilità del venditore, in forza dello stretto collegamento esistente, dal punto di vista contenutistico, tra documento informativo e contratto; Giuggioli, Timesharing e multiproprietà, 163s.; Lascialfari, ivi, 341ss.; Di Rosa, Proprietà e contratto, 217). n Relativamente all’inosser- 3 vanza della prescrizione linguistica di cui al 4o co. dell’art. 70, parte della dottrina ritiene configurabile una responsabilità per culpa in contrahendo del venditore, ma esclude che possa avere ripercussioni sulla validità del contratto eventualmente concluso, in quanto trattasi di una prescrizione relativa alla fase precontrattuale (v. gli autori citati supra, 2, cui adde Cicala, Lingua straniera e testo contrattuale, 106; contra Barela ivi, 586, secondo la quale la formulazione del documento informativo in una lingua non comprensibile all’acquirente è causa di nullità del successivo contratto eventualmente stipulato, in quanto l’acquirente, non beneficiando dell’informativa, non può avere formato scientemente la propria volontà. Contro tale ricostruzione può tuttavia obiettarsi che se la nullità dovesse discendere dalla circostanza che il consumatore non ha potuto manifestare un consenso informato, allora quella sanzione dovrebbe applicarsi anche in caso di mancata consegna del documento informativo, e più genericamente in tutte le ipotesi in cui, per incompletezza o erroneità del documento stesso, il consumatore non ha formato consapevolmente la propria volontà. Tuttavia, la presenza di una dichiarazione negoziale, ancorché viziata nel suo procedimento formativo esclude che possa ravvisarsi nella fattispecie un’ipotesi di nullità; piuttosto potrà ammettersi l’annullabilità del contratto qualora ne ricorrano gli estremi in base alla disciplina del codice civile). n L’inosservanza da parte del 4 professionista dell’obbligo legale di informazione di cui all’art. 70 legittima il consumatore ad interrompere le trattative, a prescindere dal livello di maturazione raggiunto, senza alcuna 629 Timesharing immobiliare 5 conseguenza risarcitoria a suo carico. n L’obbli- go di consegnare il documento informativo grava certamente anche sul promotore, mentre qualche perplessità desta un’eventuale responsabilità per l’inesattezza o la non veridicità delle informazioni in esso contenute, posto che vengono fornite da un soggetto terzo (proprietario o costruttore). Pur riconoscendo in capo all’intermediario anche l’obbligo di verificare la correttezza e la veridicità di quanto indicato nel documento, in dottrina si ritiene che il promotore possa considerarsi responsabile per l’erroneità dei dati a cui può accedere direttamente (relativamente ai quali grava su di esso un’obbligazione di risultato), nonché per quelli forniti dal proprietario o dal costruttore la cui inesattezza sarebbe emersa a seguito di un esame diligente (in tal caso si tratta di obbligazione di mezzi) (Giuggioli, De Nova - Giuggioli - Leo, La multiproprietà, 23s.; conf. Lascialfari, ivi, 343). 6 n Poiché il documento informativo rientra nella nozione di «pratica commerciale», e tenuto conto che la consegna di un documento completo e veritiero è oggetto di un obbligo legale di informazione previsto dal diritto comunitario, le informazioni in esso contenute sono considerate rilevanti sulla base di un giudizio di valutazione ex ante, ed è esclusa ogni forma di discrezionalità in merito, secondo quanto prescritto dall’art. 22, 5o co.: ne consegue, pertanto che il mancato inserimento di un qualsiasi elemento elencato nell’art. 70 integra un’omissione ingannevole ai sensi dell’art. 22. IV. Le modifiche al contenuto del documento 1 informativo. n Il 3o co. dell’art. 70 vieta al venditore di modificare unilateralmente il contenuto del documento informativo, salvo in casi eccezionali (v. infra, 2), al fine di evitare che l’acquirente riceva «sorprese all’ultimo minuto», e stipuli un contratto con contenuto difforme dal documento informativo. Il venditore deve quindi assicurare, nei limiti del possibile, la corrispondenza tra il contenuto del documento informativo e il regolamento contrattuale: in tal modo si garantisce al consumatore un’informazione preventiva precisa e completa (Munari, ivi, 50, che definisce il documento come base tendenzialmente definitiva per lo svolgimento delle trattative; così anche Scardigno, Tr. Rescigno2, VII, 295; si v. altresì Rossi Carleo, ivi, 627, secondo la quale il documento informativo si profila come anticipazione e integrazione del regolamento contrattuale, in quanto proteso a predi2 sporre il contenuto del contratto). n La modifica unilaterale è eccezionalmente ammessa quanto è resa necessaria da circostanze non dipendenti dalla volontà del venditore: le modifiche devono però essere, in tal caso, comunicate al consuma- 70 tore interessato prima della stipulazione del contratto, ed inserite nel testo del regolamento contrattuale. Diversamente dalla corrispondente norma comunitaria (art. 3, par. 2, dir. 1994/47/ CE), in base alla quale le modifiche avrebbero dovuto trovare esplicita indicazione nel contratto, il 3o co. dell’art. 70 dispone che debbono essere semplicemente inserite nel testo contrattuale, per cui possono facilmente confondersi, dal punto di vista grafico, con le altre previsioni contrattuali: l’espressa indicazione (ad es. in grassetto, o comunque con caratteri diversi da quelli utilizzati per il regolamento negoziale) avrebbe invece attirato, anche visivamente, l’attenzione dell’acquirente, inducendolo eventualmente a chiedere ulteriori informazioni e chiarimenti, in ossequio all’esigenza di trasparenza e chiarezza che dovrebbe permeare l’intera disciplina (Vincenti, ivi, 61). n Sono invece legittime 3 le modifiche concordate dalle parti di qualsiasi elemento del documento; proprio tale possibilità, nonché la soppressione dell’obbligo di indicare esplicitamente tali rettifiche nel regolamento contrattuale, hanno indotto parte della dottrina a ritenere che la conclusione di un contratto contenente modificazioni non previamente comunicate all’acquirente possa essere interpretata nel senso di volontà tacita di rettificazione (Giuggioli, Timesharing e multiproprietà, 162). n Il rifiuto del venditore alla stipulazione 4 del contratto a causa del mancato consenso dell’acquirente alla modificazione degli elementi inseriti nel documento integra un’ipotesi di interruzione ingiustificata delle trattative, ed è fonte di responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. (Giuggioli, in De Nova - Giuggioli Leo, La multiproprietà, 26; Florit, ivi, 85). n 5 L’inosservanza di tale prescrizione – e, quindi, l’inserimento di modifiche non necessarie, o non comunicate alle parti interessate, o non concordate – determina, nella sostanza, una difformità tra il contenuto del documento informativo consegnato al consumatore ed il contratto, e quindi si risolve in una violazione anche dell’art. 71, a mente del quale il contratto deve contenere tutti gli elementi di cui all’art. 70. Tale condotta, tuttavia, non è in alcun modo sanzionata dalla disciplina in commento, né con l’applicazione di sanzioni pecuniarie, né con un prolungamento del termine entro cui il consumatore può recedere da contratto (prolungamento previsto solo nel caso in cui non vengano riprodotti alcuni degli elementi di cui all’art. 70: v. amplius sub art. 71). Parte della dottrina afferma che nel caso in cui il venditore ponga in essere modifiche unilaterali al di fuori delle ipotesi eccezionali legislativamente ammesse, sia necessario, ancora una volta, invocare i principi generali previsti dal 71 CODICE DEL CONSUMO c.c., per cui il consumatore potrà pretendere il risarcimento del danno per violazione, nella fase delle trattative, del canone di buona fede ex art. 1337 c.c., e, qualora sussistano gli estremi, potrà agire per l’annullamento del contratto per errore e dolo (Sirgiovanni, ivi, 520; Caselli, La multiproprietà. Commento, 21; Marasco, ivi, 1064ss.; Morello, ivi, 65; Villanacci, ivi, 252s.; Ciatti, ivi, 524, il quale ritiene eccessivo andare oltre la previsione del rimedio risarcitorio e ritenere inefficaci le modifiche apportate. Ritengono che nel caso di specie possa ipotizzarsi un vero e proprio inadempimento contrattuale da parte del venditore Tassoni, ivi, 212; Scardigno, ivi, 295): tale prospettiva implica, in sostanza, che in caso di difformità fra documento informativo e contratto prevalgono le clausole inserite al momento della stipulazione del contratto stesso. Contro tale ricostruzione si è obiettato che il divieto di modifiche unilaterali ha senso solo se si muove dal presupposto che il contenuto del documento informativo è parte integrante del regolamento contrattuale, ed è pertanto vincolante per le parti, sia nel senso che la clausole non riprodotte devono comunque considerarsi applicabili, sia nel senso che in caso di difformità (non giustificata ex art. 70, 3o co.) possono eventualmente considerarsi prevalenti. Alla base di questa interpretazione si colloca la grave lacuna del legislatore italiano, che non ha dato espressa attuazione alla prescrizione di cui all’art. 3, par. 2, dir. 1994/47/CE, che imponeva agli Stati membri di stabilire, nelle normative di 71 630 recepimento, che tutte le informazioni da inserirsi nel documento dovessero considerarsi «parte integrante del contratto»; non è, dunque, stato esplicitamente previsto alcun inserimento automatico. Tale lacuna si ritiene superabile proprio ammettendo che la vincolatività del documento informativo sia implicitamente presupposta dal divieto di cui all’art. 70, 3o co.: il divieto per il professionista di modificare, al di fuori dei casi eccezionali espressamente previsti, il documento informativo al momento della redazione del contratto ha senso, secondo questa prospettiva, solo riconoscendone l’obbligatorietà e l’automatica applicabilità. Tale lettura – che si ritiene imposta dalla necessità di interpretare la normativa in commento in senso conforme alla direttiva a cui dà attuazione – comporta che le clausole del documento informativo sono operative anche in caso di mancata riproduzione, e in caso di difformità (salvo si tratti clausole concordate o imposte da circostanze non riconducili alla sfera di controllo del venditore, certamente ammissibili) i dubbi andranno risolti alla luce del criterio di cui all’art. 35, 2o co., e quindi con prevalenza dell’interpretazione più favorevole al consumatore (De Cristofaro, ivi, 607s.; sembra ammettere un inserimento automatico anche Di Rosa, ivi, 218; in senso critico Lascialfari, ivi, 360ss.; ritiene che in caso di difformità tra documento e contratto il primo debba considerarsi prevalente ex art. 35 se più favorevole per il consumatore anche Barela, ivi, 582). Requisiti del contratto. 1. Il contratto deve essere redatto per iscritto a pena di nullità; esso è redatto nella lingua italiana e tradotto nella lingua o in una delle lingue dello Stato membro in cui risiede l’acquirente oppure, a scelta di quest’ultimo, nella lingua o in una delle lingue dello Stato di cui egli è cittadino, purché si tratti di lingue ufficiali dell’Unione europea. 2. Il contratto contiene, oltre a tutti gli elementi di cui all’articolo 70, comma 1, lettere da a) a i), i seguenti ulteriori elementi: a) l’identità ed il domicilio dell’acquirente; b) la durata del contratto ed il termine a partire dal quale il consumatore può esercitare il suo diritto di godimento; c) una clausola in cui si afferma che l’acquisto non comporta per l’acquirente altri oneri, obblighi o spese diversi da quelli stabiliti nel contratto; d) la possibilità o meno di partecipare ad un sistema di scambio ovvero di vendita del diritto oggetto del contratto, nonché i costi eventuali qualora il sistema di scambio ovvero di vendita sia organizzato dal venditore o da un terzo da questi designato nel contratto; e) la data ed il luogo di sottoscrizione del contratto. 3. Il venditore deve fornire all’acquirente la traduzione del contratto nella lingua dello Sta- 79 CODICE DEL CONSUMO di diritto della risoluzione del contratto di concessione di credito. Sono inoltre nulle le clausole che derogano alla competenza territoriale determinata ai sensi dell’art. 79, nonché quelle che non riconoscono le condizioni di tutela previste dalla normativa qualora le parti abbiano scelto di applicare al contratto una legislazione diversa da quella italiana, ai sensi dell’art. 80. L’art. 78, nella parte in cui nega validità alle clausole di esonero da responsabilità, costituisce applicazione specifica del principio generale di cui all’art. 1229 c.c.: deve peraltro sottolinearsi che la norma speciale ha una sfera di operatività più ampia, sanzionando con la nullità anche le clausole che limitano o escludono la responsabilità del professionista per colpa lieve. Non rientrano invece nella previsione di cui all’art. 78 le clausole con cui le parti escludono o limitano la responsabilità del venditore o del promotore in relazione all’inadempimento di obblighi non previsti dalla legge, ma liberamente assunti dal professionista nei confronti dell’acquirente: queste clausole, però, se rientrano nella black list di cui all’art. 36, saranno nulle quantunque 4 oggetto di trattativa. n La nullità di cui all’art. 78 opera anche con riguardo a tutti quegli atti e patti con cui si introducono deroghe alla disciplina in tema di timesharing (per tale interpre5 tazione della disposizione v. supra, I, 2). n Alla nullità della clausola si accompagna una sanzione amministrativa: la violazione dell’art. 78 è punita anche con sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art. 81, 1o co. IV. Il regime della nullità applicabile al contratto di timesharing: rapporti con l’art. 143 e con i principi generali dell’ordinamento giuri1 dico. n Con l’entrata in vigore del c.cons. la previsione di cui all’art. 78 (anche in forza della ampia sfera di operatività della disposizione ricostruita in via interpretativa dalla dottrina con riferimento al previgente art. 9 d.lgs. n. 427 del 654 1998) è divenuta sostanzialmente superflua: l’irrinunciabilità dei diritti attribuiti dal c.cons. e l’inderogabilità della disciplina in esso contenuta è infatti prevista con il precetto generale di cui all’art. 143, per cui un’attenta opera di coordinamento avrebbe dovuto comportare la sua abrogazione. Deve tuttavia segnalarsi che la coesistenza delle due disposizioni non crea particolari difficoltà interpretative ed applicative, in quanto la norma c.d. speciale è sostanzialmente identica al precetto generale: per la ricostruzione del regime applicabile alla nullità che colpisce gli atti con cui si introducono deroghe alle disposizione del c.cons. – e quindi anche agli artt. 69-81 – si rinvia, pertanto, al commento sub art. 143, in particolare per le valutazioni in ordine alla legittimazione ad agire, alla rilevabilità d’ufficio e alle ripercussioni della declaratoria di nullità della singola clausola sull’intero contratto in cui è inserita (sotto questo ultimo profilo occorre ribadire che la normativa relativa al timesharing contiene una deroga all’art. 78 e, quindi all’art. 143, laddove estende la nullità all’intero contratto per la mancata menzione espressa delle garanzia fideiussorie, secondo quanto previsto dall’art. 76, 3o co.). n Sono inve- 2 ce sottratte alla sfera di operatività dell’art. 78 (e, quindi, dell’art. 143), e al conseguente regime di nullità ricostruito in via interpretativa, quelle ipotesi in cui l’invalidità del contratto, ancorché prevista dalla disciplina del contratto di timesharing, sia comunque riconducibile al regime normativo generale: in caso di inosservanza della forma scritta di cui all’art. 1350 c.c. (di cui l’art. 71 costituisce una puntuale applicazione) o di mancanza di un elemento essenziale del contratto trova, dunque, applicazione la disciplina prevista dagli artt. 1418 ss., con conseguente legittimazione ad agire assoluta e rilevabilità d’ufficio illimitata. 79 Competenza territoriale inderogabile. 1. Per le controversie derivanti dall’applicazione del presente capo, la competenza territoriale inderogabile è del giudice del luogo di residenza o di domicilio dell’acquirente, se ubicati nel territorio dello Stato. Sommario: I. Osservazioni generali. Ambito di applicazione della disposizione. - II. Il giudice competente per territorio a conoscere delle controversie inerenti a contratti di timesharing immobiliare stipulati da consumatori residenti o domiciliati in Italia. - III. Il giudice competente per territorio a conoscere delle controversie inerenti a contratti di timesharing immobiliare stipulati da consumatori non domiciliati né residenti in Italia e ciononostante spettanti (in via eccezionale) alla competenza giurisdizionale dell’autorità giudiziaria italiana. I. Osservazioni generali. Ambito di applica1 zione della disposizione. n L’art. in commento reca una disposizione che il legislatore italiano ha introdotto di sua spontanea ed autonoma ini- 655 2 3 4 5 6 Timesharing immobiliare ziativa, senza essere a ciò obbligato dalla dir. 1994/47/CE, la quale non affronta affatto il problema dei criteri di individuazione del giudice nazionale competente per territorio a conoscere delle controversie inerenti ai contratti che rientrano nel suo ambito di operatività. n Il legislatore italiano ha così ripetuto, anche per i contratti aventi ad oggetto l’attribuzione di diritti di godimento ripartito di beni immobili, la scelta fatta per i contratti conclusi fuori dai locali commerciali e per i contratti stipulati a distanza, con riferimento ai quali l’art. 63 c.cons. reca una disposizione sostanzialmente identica a quella inserita nell’art. in commento. n La disposizione vale soltanto per i giudizi civili, non invece per i procedimenti amministrativi instaurati per l’accertamento delle infrazioni e l’irrogazione delle sanzioni di cui all’art. 81 c.cons. n L’art. in commento trova applicazione non soltanto alle controversie che il consumatore instauri nei confronti del professionista/venditore lamentando la violazione di una o più disposizioni inserite nel Capo I del Titolo IV della Parte III del c.cons. (e segnatamente negli artt. 69-78 c.cons.) ovvero facendo valere diritti e pretese fondate su di una di tali disposizioni (in primis, proprio il diritto di recesso e i diritti conseguenti al suo esercizio, di cui all’art. 73 c.cons.), ma a qualsiasi controversia instaurata (a prescindere dalla circostanza che la parte attrice sia il consumatore o il professionista/venditore) per far valere diritti fondati su di un contratto (e/o sul mancato o inesatto adempimento di un contratto) suscettibile di essere ricompreso nella nozione di cui all’art. 69, lett. a), c.cons., quand’anche si tratti di diritti contemplati da disposizioni diverse dagli artt. 69-78 c.cons. (ad es., giudizio promosso dal venditore per ottenere la condanna del consumatore al pagamento del corrispettivo pattuito per l’acquisto del diritto di godimento ripartito e/o la risoluzione del contratto per mancato adempimento della relativa obbligazione; giudizio promosso dal consumatore per ottenere la condanna del professionista alla consegna dell’immobile ovvero – trattandosi di compravendite – per ottenere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo in applicazione della garanzia per vizi o per evizione o per la riscontrata mancanza, nell’immobile, di qualità essenziali o promesse; ancora, giudizio instaurato per ottenere l’annullamento del contratto per vizi del volere, etc.). n Affinché l’art. in commento possa trovare applicazione, è inoltre indispensabile che il consumatore/acquirente – nel momento della proposizione della domanda giudiziale con la quale la controversia viene instaurata – abbia il proprio domicilio o la propria residenza nel territorio dello Stato italiano. n Presupposto im- 79 plicito è ovviamente che, in applicazione dei criteri dettati dal reg. CE n. 44/2001, la controversia appartenga alla competenza giurisdizionale dell’autorità giudiziaria italiana, ciò che ad es. deve escludersi quando un consumatore residente o domiciliato in Italia abbia stipulato un contratto per l’acquisto di un diritto di godimento ripartito su di un immobile situato all’estero e in relazione a tale contratto venga instaurata una controversia suscettibile di essere considerata vertente «in materia di diritti reali immobiliari e di contratti d’affitto di immobili» nel senso di cui all’art. 22, n. 1, del reg. CE n. 44/2001, nel qual caso la competenza giurisdizionale spetta in via esclusiva all’autorità giudiziaria dello Stato nel quale l’immobile è situato (cfr. anche infra, sub III, 3). II. Il giudice competente per territorio a conoscere delle controversie inerenti a contratti di timesharing immobiliare stipulati da consumatori residenti o domiciliati in Italia. n Ancorché l’art. non lo statuisca espressamente, quella in esso contemplata è una competenza esclusiva, sicché alle controversie soggette alla disposizione non si applica nessuna delle regole sulla competenza territoriale dettate dal c.p.c., nemmeno quelle dettate dall’art. 21 c.p.c. (così anche Marasco, Comm. Franzoni, 365). n Trattasi altresì di una competenza inderogabile: ne consegue che, diversamente dal principio generale desunto dalla giurisprudenza dalla statuizione contenuta nella lett. u) del 2o co. dell’art. 33 c.cons. (in forza del quale le controversie inerenti a qualsivoglia contratto stipulato da un consumatore con un professionista appartengono alla competenza territoriale esclusiva del giudice del luogo di residenza o domicilio del consumatore), il precetto dettato dall’art. in commento non può essere derogato nemmeno attraverso pattuizioni concluse a seguito e sulla base di una trattativa individuale intercorsa fra consumatore e professionista (C 01/10086; Tassoni, Tr. Gabrielli-Minervini, 849s.; Busoni, Comm. Vettori, 681): qualsiasi pattuizione derogatoria sarebbe pertanto nulla ex art. 143, 1o co., c.cons. n Sembra peraltro doversi ritenere che il giudice (diverso da quello del luogo di residenza o domicilio del consumatore) eventualmente adito dal consumatore o dal professionista (in conformità alla clausola derogatoria) non possa dichiarare d’ufficio la nullità di tale clausola (e conseguentemente declinare la propria competenza) se, dopo averne accertato (d’ufficio) la inammissibilità e aver informato il consumatore della possibilità di dichiararne la nullità, il consumatore medesimo ciononostante si opponga a tale declaratoria e manifesti la volontà di svolgere il procedimento presso il giudice adito. n Il domi- 1 2 3 4 79 5 1 2 3 CODICE DEL CONSUMO cilio cui la norma fa riferimento è soltanto quello effettivo, e non quello elettivo (Ermini, Comm. Cuffaro, 458). n Sugli ulteriori profili processuali della norma in commento, che come già ricordato è formulata in termini identici a quella dell’art. 63 c.cons., v. amplius il commento a quest’ultima disposizione. III. Il giudice competente per territorio a conoscere delle controversie inerenti a contratti di timesharing immobiliare stipulati da consumatori non domiciliati né residenti in Italia e ciononostante spettanti (in via eccezionale) alla competenza giurisdizionale dell’autorità giudiziaria italiana. n Quanto alle controversie inerenti a contratti di timesharing immobiliare stipulati da consumatori che non abbiano in Italia né la residenza né il domicilio, un problema di individuazione del giudice competente per territorio può evidentemente porsi soltanto nell’ipotesi in cui debba riconoscersi che le controversie in questione appartengono (anche, o soltanto) alla competenza giurisdizionale dell’autorità giudiziaria italiana, e non dell’autorità giudiziaria di uno Stato diverso dall’Italia. n Ciò deve in linea di principio escludersi tutte le volte in cui il contratto di timesharing sia stato concluso dal consumatore (non residente in Italia) con un professionista (con sede in Italia) che svolga le proprie attività commerciali o professionali nello Stato in cui il consumatore medesimo è domiciliato o comunque «diriga» tali attività, con qualsiasi mezzo, verso tale Stato membro (o verso una pluralità di Stati che comprenda tale Stato membro): in questi casi, infatti, la competenza giurisdizionale a conoscere della controversia spetta necessariamente all’autorità giudiziaria dello Stato nel quale il consumatore è domiciliato se a promuovere la domanda è il professionista, mentre se ad instaurare la lite è il consumatore quest’ultimo può scegliere se radicarla davanti ai giudici dello Stato nel quale è domiciliato ovvero davanti ai giudici dello Stato nel quale il professionista ha la propria sede (art. 15, 1o co., lett. c), e art. 16, reg. CE n. 44/2001). n Soltanto nelle ipotesi in cui la controversia inerente al contratto di timesharing si presti ad essere considerata come una controversia «in materia di diritti reali immobiliari e di contratti d’affitto di immobili» nel senso di cui all’art. 22, n. 1, del reg. CE n. 44/2001 (ciò che deve peraltro sicuramente negarsi sia nei casi in cui il contratto attribuisca al consumatore – oltre al diritto di godimento dell’immobile – anche il diritto alla fruizione di una serie di servizi di valore pari o superiore all’immobile, sia nel- 656 l’ipotesi in cui quello stipulato dal consumatore sia un contratto di adesione a un club che, a fronte della corresponsione di un prezzo globale, consenta agli aderenti di acquisire un diritto di uso a tempo parziale su un bene immobile designato unicamente per tipo e ubicazione e preveda l’iscrizione degli aderenti ad un’organizzazione che consenta uno scambio del loro diritto d’uso: CG 13-10-2005, in causa C-73/04, Klein), deve ritenersi che essa spetti alla competenza giurisdizionale esclusiva dell’autorità giudiziaria dello Stato nel quale l’immobile è situato, quale che sia lo Stato nel quale le parti sono domiciliate. n Nelle ipotesi (tendenzialmente eccezionali) 4 in cui la controversia relativa ad un contratto di timesharing immobiliare stipulato da un consumatore non residente in Italia appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice italiano, occorre distinguere. Qualora ciò sia dovuto alla circostanza che l’immobile si trova in Italia e che la controversia verte «in materia di diritti reali immobiliari e di contratti d’affitto di immobili», nel senso di cui all’art. 22, n. 1, del reg. CE n. 44/2001, il giudice competente per territorio dovrebbe essere quello del luogo in cui è situato l’immobile. Qualora per contro ciò sia dovuto alla circostanza che il consumatore residente all’estero decide di convenire in giudizio la propria controparte (professionista la cui sede di trovi in Italia) davanti ai giudici dello Stato italiano (anziché davanti ai giudici dello Stato in cui è domiciliato), avvalendosi dell’opzione in tal senso accordatagli dall’art. 16, reg. CE n. 44/ 2001, il giudice competente per territorio è senz’altro quello del luogo nel quale si trova la sede del professionista. Infine, qualora ciò sia dovuto alla circostanza che non ricorrono i presupposti contemplati dall’art. 15, 1o co., lett. c), del reg. CE n. 44/2001 e la controversia appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice italiano (trattandosi di contratti aventi ad oggetto beni immobili situati nel territorio italiano che un professionista con sede in Italia abbia stipulato con un consumatore residente all’estero nell’esercizio di un’attività imprenditoriale che non viene svolta nel territorio dello Stato in cui il consumatore risiede né viene in alcun modo «diretta» verso tale Stato), il giudice competente per territorio è, alternativamente, quello del luogo in cui ha sede il professionista ovvero (ove diverso) quello del luogo in cui si trova l’immobile oggetto del diritto di godimento a tempo parziale attribuito al consumatore dal contratto. 114 CODICE DEL CONSUMO l’interpretazione dell’art. 13, dir. e quella dell’art. 153 Tr. CE proposte dai giudici di Lussemburgo, in quanto contrastanti con i principi di sussidiarietà e di proporzionalità, oltre che con il principio di promozione di una più elevata tutela dei consumatori (Cafaggi, DPE Lipari, IV, 535). In quest’ottica l’art. 13 avrebbe come obiettivo quello di salvaguardare i principi generali degli ordinamenti giuridici degli Stati membri e di consentire contestualmente agli Stati uno sviluppo delle politiche di tutela dei consumatori coerente con i principi di diritto europeo. Ne consegue che la funzione delle opzioni lasciate agli Stati è semplicemente quella di individuare le aree nelle quali è consentito ridurre la tutela. Dove, invece, le opzioni non vengono definite dalla dir., gli Stati possono esercitare la loro discrezionalità nella direzione di una maggiore tutela dei consumatori (Cafag9 gi, ivi, 536). n In una posizione intermedia si pone l’opinione di Castronovo, DPE CM, II, 229, secondo cui la dir. non sembrerebbe compromettere un trattamento più favorevole al danneggiato quando questo sia previsto da una normativa nazionale anteriore alla disciplina comunitaria, mentre impedirebbe un trattamento non uniforme quando derivi da una disciplina interna adottata in un momento successivo alla noti10 fica della dir. n La nostra giurisprudenza non sembra volersi far carico della complessità della questione: cfr. C 05/8981, D. e resp. 06, 261 nt. Bitetto, secondo cui la disciplina della responsabilità da prodotti difettosi si affianca e non si sostituisce alla previsione codicistica della re- 114 Responsabilità del produttore. nato da difetti del suo prodotto. 750 sponsabilità per danno ingiusto. Ancora più decisi i toni utilizzati dai giudici di merito: v. T. Venezia 14-2-2005, D. e resp. 05, 1125, in cui si afferma che la disciplina del d.p.r. 224/1988, lungi dal costituire il diritto comune in materia, è soltanto uno degli strumenti approntati dal sistema giuridico a tutela dell’utilizzatore di un prodotto viziato; Trib. Roma 12-5-2004, Resp. civ. prev., 05, 217ss., nt. Della Bella. Per una più approfondita analisi del dato giurisprudenziale v. infra, sub art. 127, II. n Dal 18o conside- 11 rando alla dir. emerge con chiarezza il compito, in capo alla Commissione, di monitorare costantemente l’applicazione della disciplina comunitaria, anche per la formulazione di eventuali proposte di modifica. Ne sono derivate, fino ad oggi, tre relazioni: la prima del 13 dicembre 1995 [doc. Commissione COM (95) 617]; la seconda del 31-1-2001 [doc. Commissione COM (2000) 893 def]; la terza del 14-9-2006 [doc. Commissione COM (2006) 496 def.]. In arg. v. Fairgrieve - Hovells, Mod. Law. Rw. 07, 962ss. n Merita segnalazione il Libro Verde del 28 lu- 12 glio 1999 sulla responsabilità civile per danno da prodotti difettosi, con cui la Commissione si è posta lo scopo di valutare gli effetti connessi all’applicazione della dir. e i relativi costi e benefici per quanto riguarda, in particolare, il livello di protezione offerto ai danneggiati e ai costi sostenuti dalle imprese. Altra finalità è quella di individuare gli aspetti che meritano una revisione. Un’analisi dettagliata può leggersi in Bellisario, Comm. ARC, 739. 1. Il produttore è responsabile del danno cagio- Sommario: I. Natura della responsabilità. - II. La legittimazione attiva al risarcimento del danno derivante da prodotto difettoso. - III. La giurisprudenza applicativa del d.p.r. n. 224 del 1988. - IV. I criteri di individuazione della legge nazionale applicabile alla responsabilità del produttore. - V. Un’analisi comparata (cenni). 1 I. Natura della responsabilità. n La norma in epigrafe configura, in piena sintonia con la dir. 1985/374/CEE e con formulazione identica rispetto alla previgente normativa (art. 1 d.p.r. n. 224 del 1988), nel caso di danni derivanti da prodotto difettoso, una responsabilità extracontrattuale del produttore a prescindere da eventuali rapporti negoziali pregressi tra il soggetto danneggiato e il produttore stesso (Castronovo, La nuova resp. civ.3, 687ss.; Stella, Resp. civ. prev. 2 06, 1590; Cafaggi, DPE Lipari, IV, 555ss.). n La norma sembrerebbe contenere una negazione del fondamento colpevole della responsabilità del produttore a favore di un modello oggettivo (c.d. strict liability), che si basa sul mero rapporto di causalità tra il difetto del prodotto e il danno. In realtà, per capire la reale portata del principio fissato dall’art. in commento è necessario richiamare altre norme-chiave, ora contenute nel Codice del Consumo: l’art. 117 che chiarisce quando un prodotto deve considerarsi difettoso (e cioè quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutta una serie di circostanze indicate dalla di- 751 Responsabilità per danno cagionato da prodotti difettosi sposizione stessa); l’art. 118 contenente le ipotesi in cui la responsabilità del produttore è esclusa; l’art. 120 che impone al danneggiato la dimostrazione del difetto, del danno e del nesso di causalità tra il primo e il secondo. È, infatti, importante sottolineare come le cause di esclusione della responsabilità prescindano dall’assenza 3 di colpa: Castronovo, ibidem. n Premesso che la responsabilità oggettiva non è una categoria definibile in astratto in termini unitari, ma comprende diversi sistemi come la responsabilità assoluta (che non ammette la prova liberatoria a favore del produttore e ricomprende normalmente anche la responsabilità per i c.d. rischi da sviluppo) e la responsabilità per rischio di impresa (finalizzata a rendere il produttore responsabile per i danni causati dal prodotto, senza la necessità di ulteriori indagini circa la sussistenza nel caso concreto di un difetto), deve evidenziarsi come la responsabilità oggettiva prevista dalla norma in commento venga circoscritta all’esistenza di un difetto, che viene a giocare un ruolo da protagonista, e non invece agganciata con immediatezza all’esistenza di un pregiudizio sofferto dall’utente. Si tratta di una responsabilità oggettiva relativa poiché si consente al produttore di escluderla o quando – facendo riferimento ai tre criteri contemplati al 1o co., art. 117 c.cons. – riesca a provare nel prodotto difettoso il possesso della sicurezza che ci si può legittimamente attendere dallo stesso oppure nelle sei ipotesi elencate all’art. 118 c.cons. (Castronovo, ivi, 700; Alpa, Il diritto dei consumatori, 372ss.; Id., Contr. imp. 88, 573; Cabella Pisu, Contr. imp. 08, 631. Viene definita oggettiva e relativa anche nel Libro Verde della Commis4 sione, ivi, 17). n La natura oggettiva della responsabilità viene affermata in modo indifferente rispetto al tipo di difetto inerente al prodotto, che può essere di progettazione (e riguardare così l’intera serie prodotta), di fabbricazione (relativo ad un singolo esemplare di una serie immune da difetti) o consistente nella carenza di informazioni circa l’utilizzo corretto del bene (v. Castronovo, ivi, 689; amplius, supra, sub Nota introduttiva). Tuttavia, leggendo il 3o co. dell’art. 117 c.cons., si scopre che, solo nel caso di difetto di fabbricazione, è possibile un’immediata qualificazione in termini di difettosità. Come vedremo in sede di commento dell’art. 117 c.cons., si tratta di una regola più rigorosa (per altro non contemplata nella dir.), finalizzata a permettere al giudice, nel caso riscontri questo tipo di difetto, di prescindere dai criteri indicati dal legislatore per la concretizzazione della clausola generale della mancanza di sicurezza contenuta nella prima parte dell’art. 117 c.cons. (Ponzanelli, La resp. per prodotti e servizi di- 114 fettosi, in Ponzanelli, La resp. civ. Tredici variazioni sul tema, 351). Per le altre tipologie di difetti, il produttore convenuto potrebbe invocare le circostanze di modo, di uso e di tempo previste dalla norma appena richiamata per escludere la difettosità del prodotto. La dottrina ha sottolineato come questa controprova, in qualche modo, comporti un ritorno ad un giudizio sulla colpa del produttore (v. Ponzanelli, in Pardolesi - Ponzanelli, La responsabilità per danno da prodotti difettosi, Nuove leggi civ. comm. 89, 506; Id., R. d. civ. 95, II, 215ss. che giudica questa anomalia uno degli aspetti più delicati della normativa. Lo stesso a. ha rammentato come la dottrina nord-americana consideri la responsabilità per difetti di fabbricazione in termini chiaramente oggettivi, avvicinandosi invece ad una negligence rule nel caso di difetti di progettazione e di informazione: Ponzanelli, D. e resp. 99, 1065. In arg. Carfì, Comm. CBB, 559ss.; Martorana, Resp. civ. prev. 96, 378ss.). n Vedremo infra sub art. 117 come autorevole dottrina contrasti l’idea del difetto quale fulcro del giudizio di responsabilità del produttore: Castronovo, La nuova resp. civile3, 689ss. n I giudici comunitari hanno chiarito che, quando viene intentata un’azione contro una società erroneamente considerata il produttore di un prodotto in realtà fabbricato da un’altra società, in linea di principio spetti al diritto nazionale stabilire le condizioni in base alle quali può verificarsi la sostituzione di una parte ad un’altra nell’ambito di un’azione siffatta. Nel valutare le condizioni cui è subordinata tale sostituzione, il giudice nazionale deve tuttavia assicurare che sia rispettato l’ambito di applicazione ratione personae della dir., determinato dagli artt. 1 e 3 della medesima (CG 9-2-2006, in C-127/04, Declan O’Byrne). II. La legittimazione attiva al risarcimento del danno derivante da prodotto difettoso. n La legittimazione attiva alla pretesa risarcitoria spetta a chiunque abbia subito un danno a causa di un prodotto difettoso. È legittimato non solo chi abbia acquistato il bene o chi ne faccia uso sulla base di un rapporto contrattuale, di cortesia o semplicemente di fatto, ma anche chi, pur non essendo utilizzatore del prodotto difettoso, venga a trovarsi nella sua zona di rischio e subisca un pregiudizio a causa dell’uso da parte di altri (il c.d. bystander): Carnevali, in Alpa e aa., La responsabilità per danno da prodotti difettosi, 7; Nicolini, Danni da prodotti agroalimentari difettosi, 295s. n Ci si è chiesti se la normativa in esame si applichi solo nel caso in cui l’utente danneggiato sia un consumatore oppure anche quando il soggetto si serva della cosa per un uso imprenditoriale e professionale. Sul pun- 5 6 1 2 114 CODICE DEL CONSUMO to si è messo in luce come la dir. 1985/374/CEE non sia riferita testualmente alla protezione del consumatore e non contenga, a differenza di altre direttive, una definizione di consumatore come soggetto destinatario della tutela offerta dalla dir. stessa (Castronovo, ivi, 721). Nessuna disposizione del d.p.r. n. 224 del 1988, inoltre, limitava il raggio di applicazione della normativa al danneggiato da un prodotto utilizzato per uso personale e privato. Così la giurisprudenza non ha trovato difficoltà ad applicare la disciplina della responsabilità del produttore anche all’utente danneggiato durante lo svolgimento della sua attività lavorativa: Trib. Milano 31-12003, Resp. civ. prev. 03, 1151 nt. Della Bella; F. it. 03, I, 1260; D. e resp. 03, 634, 634 nt. Bitetto; App. Milano 21-2-2007, D. e resp. 07, 1220 nt. Bitetto, F. it. 07, I, 2886; Trib. Forlì, sez. dist. Cesena, 25-11-2003, F. it. 04, I, 1631; Trib. Monza 11-9-1995, Resp. civ. prev. 96, 371, nt. Martorana (v. infra sub III). In senso critico v., però, Galgano, in Alpa - Bin - Cendon, La responsabilità del produttore, Tratt. Galgano, XIII, 12, secondo cui il risarcimento del danno all’imprenditore non rientra nella normativa di derivazione comunitaria, rimanendo assoggettato ai 3 principi di diritto comune. n La circostanza che la normativa sia confluita ora nel codice dedicato alla tutela dei consumatori ha fatto sorgere dubbi e perplessità nei primi commentatori (Stella, ivi, 1599). La generica dizione (danneggiato), contenuta al 1o co. dell’art. 120 c.cons. e l’espressa limitazione, posta dall’art. 123, 1o co., lett. b), con riguardo al risarcimento dei danni a cose, portano tuttavia ad affermare che la normativa, almeno per quanto riguarda i danni all’integrità fisica, trova applicazione indipendentemente dalle caratteristiche soggettive degli utilizzatori (Cafaggi, in Patti, Il danno da prodotti in Italia-Austria-Repubblica federale di 4 Germania-Svizzera, 91). n La Suprema Corte ha avuto modo di precisare che la disciplina della responsabilità da prodotti difettosi tutela gli utilizzatori danneggiati anche quando risultino privi di un titolo abilitante all’uso del prodotto (C 05/12750, D. e resp. 06, 259 nt. Bitetto riguardante l’esplosione per terra (e non per aria) di un fuoco di artificio utilizzato in modo improprio). III. La giurisprudenza applicativa del d.p.r. n. 1 224 del 1988. n Un eloquente silenzio giurisprudenziale, comune peraltro a tutti gli Stati membri, caratterizza gli anni successivi all’entrata in vigore del d.p.r. n. 224 del 1988. Le ragioni dell’underlitigation sono state individuate nella difficoltà di provare l’esistenza del difetto, nelle stringenti limitazioni relative a prescrizione e decadenza e nell’inapplicabilità della disci- 752 plina ai danni a cose inferiori a 387 euro che, notoriamente, costituiscono le ipotesi più ricorrenti di danni da prodotto difettoso (cfr. Franzoni, D. e resp. 98, 823ss.; Ponzanelli, La resp. per prodotti e servizi difettosi: il modello italiano, 358ss.). Molto probabilmente, poi, il criterio oggettivo di imputazione ha indotto le imprese a preferire una composizione stragiudiziale della controversia, anche al fine di salvare la propria reputazione commerciale (v. Cabella Pisu, ivi, 619). Proponiamo qui una veloce carrellata delle (poche) decisioni applicative della disciplina, rinviando una disamina più approfondita delle motivazioni dei giudici ai commenti dei successivi articoli interessati dalle pronunce. n Va premesso che la Supr. Corte, in armonia con l’espressa previsione normativa (art. 127), ha subito precisato che la disciplina dettata da d.p.r. 24 maggio 1988, n. 224 è priva di efficacia retroattiva e pertanto non applicabile ai fatti verificatesi prima della sua entrata in vigore (C 02/13158; C 03/5164; C 04/19134). n Il d.p.r. n. 224 del 1988 ha trovato per la prima volta applicazione presso il Trib. Monza 21-7-1993 (Resp. civ. prev. 94, 141ss. nt. Dassi; Corr. giur. 93, 1456; F. it. 94, I, 251; D. comun. scambi int. 93, 639 nt. Caiola; Rass. d. civ. 96, 393, nt. Mariani): si è configurata una responsabilità in capo al produttore di una mountain bike che, sottoposta ad un normale utilizzo lungo un tracciato collinare, si ruppe a causa del cedimento del piantone della forcella con conseguente distacco della ruota anteriore e caduta del ciclista. Questi riportò un’invalidità temporanea e postumi permanenti sia pure di lieve entità. n Decisamente più gravi furono le lesioni (valutabili nella misura del 50% di riduzione dell’efficienza psicofisica) riportate da un giovane a causa del crollo di un letto a castello. Trib. Milano 14-4-1995, D. e resp. 96, 381, nt. Ponzanelli, ha condannato al risarcimento del danno il produttore-progettista e la società venditrice, che aveva provveduto al montaggio del mobile presso l’abitazione degli acquirenti. Si era, infatti, il giudice convinto dell’insicurezza del prodotto rispetto all’uso al quale era destinato in quanto non offriva le necessarie condizioni di sicurezza sia in relazione alla tecnica di costruzione (il letto era instabile a causa dell’errato rapporto base-altezza) sia in relazione alle avvertenze fornite (nella specie si è ritenuto insufficiente il riferimento al fissaggio del letto al muro nella forma del mero consiglio). n È stato giudicato responsabile il produttore di una macchina tessile (un orditoio), che aveva, durante il suo normale utilizzo, cagionato un grave danno alla persona al titolare di un’impresa artigiana, agganciato e risucchiato dal gruppo di trascinamento del subbio (Trib. Mon- 2 3 4 5 753 Responsabilità per danno cagionato da prodotti difettosi za 11-9-1995, Resp. civ. prev. 96, 371, nt. Marto6 rana). n Merita segnalazione anche un prece- dente di legittimità (C 95/10274, D. e resp. 96, 87, nt. Cossu; Resp. civ. prev. 96, 372 con commento di Martorana), in cui la S.C., pur non potendo fare applicazione del d.p.r. n. 224 del 1988 in quanto entrato in vigore successivamente ai fatti di causa, ha ritenuto opportuno farvi riferimento. Il caso riguardava le lesioni subite da un bambino di 12 anni mentre giocava in un giardino di proprietà del Comune. Questi, salito in piedi sul bracciolo del sedile dell’altalena, perse l’equilibrio e, nell’aggrapparsi allo snodo del gioco, si ferì gravemente alla mano tanto da dover subire l’amputazione del pollice. La Cass., giudicando le modalità di utilizzazione del prodotto del tutto abnormi, estranee alla funzione tipica del bene e quindi non prevedibili, ha 7 escluso una responsabilità del fabbricante. n Trib. Roma 17-3-1998, F. it. 98, I, 3660, nt. Palmieri, D. e resp. 98, 1147, nt. Ponzanelli, ha applicato il d.p.r. n. 224 del 1988 al «classico» caso dell’esplosione della bottiglia nelle mani del consumatore (v., supra, sub Nota introduttiva). Il giudice ha condannato al risarcimento la società produttrice della bottiglia di vetro contenente acqua minerale, ritenendo che il prodotto presentasse un grado di sicurezza inferiore a quello che ci si poteva legittimamente attendere tenuto conto dell’uso a cui lo stesso era destinato e dei comportamenti che, in relazione ad es8 so, potevano ragionevolmente prevedersi. n Si segnala anche la decisione del G.p. Monza 20-31997, n. 1386, A. civ. 97, 876, nt. Santarsiere), in cui ha trovato accoglimento la richiesta risarcitoria dell’attrice rivolta nei confronti di una società produttrice di condimenti per il riso che, mangiando un’insalata di riso, si era trovata un frammento di ferro in bocca, che aveva cagiona9 to la frattura di due premolari. n La trama delle decisioni di merito si è, negli ultimi anni, improvvisamente infittita, coinvolgendo questioni molto interessanti, come quelle relative alla risarcibilità dei danni morali e all’estensione della protezione offerta dalla disciplina in commento a soggetti diversi dal consumatore (v. supra). Trib. Milano 31-1-2003, D. e resp. 03, 634 nt. Bitetto, ha riconosciuto il diritto ad un ristoro patrimoniale per i danni fisici da inabilità temporanea e per i postumi permanenti nonché per i pregiudizi economici derivanti dalla perdita di occasioni di lavoro ad un giardiniere, infortunatosi mentre svolgeva la sua attività professionale a causa del cedimento di due pioli di una scala di alluminio allungabile. Viene contestualmente negato il risarcimento del danno morale, argomentando che la responsabilità da prodotto difettoso prescinde da un’indagine sulla colpevo- 114 lezza. La decisione è stata confermata dalla App. Milano 21-2-2007, D. e resp. 07, 1220, nt. Bitetto, F. it. 07, I, 2886, che riconosce altresì un ristoro ai danni morali. n Un’interessante decisione (Trib. Vercelli 5-2-2003, D. e resp. 03, 1001, nt. Ponzanelli; G. it. 04, I, 546, nt. Giovanardi; commentata anche da Guerrini, Resp. civ. prev. 05, 1447) ha fondato la responsabilità di una società produttrice di macchinette da caffè su un difetto di informazione circa il potenziale pregiudizio derivante dall’utilizzo del prodotto, esploso improvvisamente causando, tra l’altro, gravi lesioni all’occhio dell’attrice, che si trovava in prossimità dei fornelli. Come vedremo (infra, sub art. 117), non viene ritenuto sufficiente il generico suggerimento, contenuto nelle istruzioni, di controllare lo stato di usura degli accessori, in particolare della valvola, componente che garantisce la sicurezza complessiva del prodotto. n Di fronte ad un caso di gravi lesioni fisiche imputabili all’improvviso cedimento dello sterzo di un motociclo (Trib. Roma 3-11-2003, F. it. 04, I, 1632, nt. Bitetto; D. e resp. 04, 529ss., nt. Ponzanelli) e ad un incidente con esiti mortali per uno dei passeggeri dovuto a presunti problemi al sistema frenante dell’autovettura, messi in luce da avvertimenti della casa produttrice che invitava i proprietari di una determinata serie di macchine a recarsi presso i concessionari per una verifica dei freni (Trib. Roma 4-12-2003, F. it. 04, I, 1631, nt. Bitetto; D. e resp. 04, 527ss., nt. Ponzanelli), i giudici di merito hanno dimostrato una rinnovata sensibilità, affermando che qualsiasi causa ignota, o semplicemente probabile, che abbia provocato un pregiudizio al consumatore, deve considerarsi imputabile al produttore. n Trib. Forlì, sez. dist. Cesena, 25-11-2003, F. it. 04, I, 1631, ha giudicato responsabile la società produttrice di celle frigorifere installate su automezzi per i danni derivanti dal cedimento improvviso della struttura refrigerante, che aveva causato la perdita della merce trasportata. n Trib. La Spezia 26-102005, Resp. civ. prev. 06, 465ss., nt. Gorgoni; D. e resp. 06, 173ss., nt. Ponzanelli, ha condannato al risarcimento del danno biologico e dei danni patrimoniali il produttore di calzature rivelatesi difettose per la presenza di una bolla d’aria nell’attaccatura del tacco. n Trib. Benevento 242-2006, D. e resp. 06, 1254ss., nt. Ponzanelli si è trovato a decidere sulla difettosità di un manico (in plastica) di una confezione di sei bottiglie (in vetro) di acqua minerale. n Che il trend stia cambiando pare confermato da recenti decisioni di legittimità, in contrasto su aspetti, fondamentali e delicati, riguardanti la distribuzione e il contenuto dei carichi probatori. Estremo rigore ha dimostrato la S.C. con sent. 15-3-2007, n. 10 11 12 13 14 15 114 CODICE DEL CONSUMO 6007 (F. it. 07, I, 2415, nt. Palmieri; D. e resp. 07, 1216ss., nt. Bitetto; Resp. civ. prev. 07, 1587, nt. Gorgoni): si è negata la responsabilità di un produttore di una tintura per capelli, che aveva scatenato ad un’ignara consumatrice una grave forma allergica, non ritenendosi raggiunta la prova della difettosità del prodotto: secondo i giudici di legittimità quest’ultima non può essere dedotta semplicemente dalla circostanza che il danno è stato provocato dall’utilizzazione del prodotto stesso. Pochi mesi più tardi in un caso riguardante una protesi mammaria, impiantata su una paziente a seguito di un intervento di mastectomia totale e svuotatosi a distanza di due anni con conseguente dispersione della sostanza salina in essa contenuta nei tessuti circostanti, la Cass. si è discostata da queste conclusioni. Affrontando il problema della prova del difetto del prodotto, il Supremo Collegio ha escluso, grazie ad una lettura sistematica delle previsioni normative ora contenute gli artt. 120 e 118, 1o co., lett. b), c.cons. che il danneggiato debba provare la sussistenza del difetto del prodotto fin dal momento della messa in circolazione dello stesso; è sufficiente che questi dimostri che l’uso del bene ha comportato risultati anomali rispetto alle normali aspettative, tali da evidenziare la mancanza di sicurezza che ci si poteva attendere ai sensi dell’art. 117 c.cons. Sarà compito del produttore dimostrare che il difetto non esisteva quando il prodotto è stato messo in circolazione (C 07/20985, D. e resp. 08, 290ss. nt. Bitetto e Pardolesi; F. it. 08, I, 143, nt. Bitetto; Resp. civ. prev. 08, 350, nt. Carnevali; Corr. giur. 08, 811ss., nt. Di Palma; Nuova g. civ. comm. 07, I, 785ss.; Resp. civ. 07, 1014ss., nt. Tuo16 zzo). n Il percorso è stato ricostruito da Bitetto, R. crit. d. priv. 08, 137ss.; L.Villani, Resp. civ. prev. 07, 1238ss. IV. I criteri di individuazione della legge nazionale applicabile alla responsabilità del pro1 duttore. n Il reg. CE n. 864/2007 (c.d. reg. «Roma II») reca una norma speciale riguardante i conflitti di leggi in materia di responsabilità da prodotto. L’art. 5 reg. – applicabile a partire dall’11-1-2009 in luogo dell’art. 63 l. 31-5-1995, n. 218 – prevede a tale riguardo dei criteri di collegamento operanti «a cascata». Questi richiamano: la legge del paese di residenza della vittima, se il prodotto è stato commercializzato in tale paese; altrimenti, la legge del paese in cui è stato acquistato il prodotto, sempre che si tratti di un prodotto commercializzato in tale paese; in mancanza anche di quest’ultimo requisito, la legge del paese in cui il danno si è verificato, a patto che il prodotto sia stato ivi commercializzato. Si applicherà invece la legge del paese di abituale residenza del produttore qualora la commercializzazione nei paesi ora indicati non 754 potesse essere da questi ragionevolmente prevista. Nel caso in cui il presunto responsabile e la vittima del danno risiedano nello stesso paese, la responsabilità risulterà comunque soggetta alla legge di tale paese. In via eccezionale, se dal complesso delle circostanze del caso risulti che il fatto illecito presenta «collegamenti manifestamente più stretti» con un paese diverso da quello designato dalle previsioni appena ricordate, la legge regolatrice della responsabilità sarà quella di quest’altro paese; un siffatto collegamento, precisa la norma, potrebbe fondarsi «su una relazione preesistente tra le parti, quale un contratto, che presenti uno stretto collegamento con il fatto illecito in questione». Cfr. Castronovo, DPECM, II, 231. Gli aspetti internazional-privatistici (e in particolare il reg. «Roma II» sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali) sono indagati in questo Commentario da Franzina, infra sub parte IV, cui si rinvia per ogni riferimento. n L’art. 63 l. 31-5- 2 1995, n. 218 di riforma del diritto internazionale privato stabilisce che la responsabilità per danno da prodotto è regolata, a scelta del danneggiato, dalla legge dello Stato in cui si trova il domicilio o l’amministrazione del produttore, oppure da quella dello Stato in cui il prodotto è stato acquistato, a meno che il produttore provi che il prodotto vi è stato immesso in commercio senza il suo consenso. In arg. Saravalle, Commentario della l. 31 maggio 1995, n. 218, art. 63, Nuove leggi civ. comm. 96. Si vedano anche le considerazioni critiche di Castronovo, La nuova resp. civile3, 735s. V. Un’analisi comparata (cenni). n Nonostan- 1 te la proclamata aspirazione ad un’armonizzazione globale (v. supra, sub Nota introduttiva, IV), le modalità di attuazione della dir. 1985/ 374/CEE nei diversi Stati membri hanno evidenziato alcune differenze. Le più significative verranno richiamate in sede di commento dei successivi articoli. In generale si vedano le osservazioni critiche di Somma, Temi e problemi di diritto comparato. IV. Diritto comunitario vs. diritto comune europeo, 120ss., secondo cui i provvedimenti attuativi della dir., epifania di una politica comunitaria in tema di consumatori di chiara ispirazione liberista, avrebbero prodotto un’armonizzazione verso il basso, ossia un allineamento su livelli minimi di tutela, peggiorativi rispetto a quanto precedentemente accordato dai singoli ordinamenti. n Il primo Stato mem- 2 bro a dare attuazione alla dir. è stato il Regno Unito con il Consumer Protection Act del 15-51987, in vigore dall’1-3-1988 in Inghilterra, Galles e Scozia. La legge inglese, che prevede ulteriori norme in materia di sicurezza dei prodotti e impone la trasparenza dei prezzi, include tra le 755 Responsabilità per danno cagionato da prodotti difettosi difese concesse al produttore quella relativa ai rischi da sviluppo e non prevede alcun massimale al risarcimento dei danni causati da prodotti recanti tutti lo stesso difetto. In arg. v. l’ampia ricostruzione di Whittaker, Liability for Products: English Law, French Law and European Harmonization, 583ss. Cfr., inoltre, Alpa - Bessone, La responsabilità del produttore4, 303ss.; 3 Van Dam, European Tort Law, 370ss. n In Germania la trasposizione delle norme comunitarie è avvenuta con l. 15-12-1989, Produkthaftungsgesetz (in vigore dall’1-1-1990), che esclude espressamente dal suo campo di applicazione i danni derivanti da farmaci, il cui risarcimento è specificamente disciplinato dalla Arzneimittelgesetz (su cui v. Carnevali, Resp. civ. prev. 03, 291ss.; Thiene, St. i. 02, 1030ss.). Il rischio da sviluppo viene lasciato a carico dei danneggiati (ad esclusione dei preparati medici) e viene previsto un massimale al risarcimento dei pregiudizi provocati da un prodotto o da una serie di prodotti affetti dal medesimo difetto. Vengono specificati in modo analitico i danni che devono essere risarciti in caso di morte o lesione derivanti da prodotto difettoso, identificati nelle spese mediche sostenute, nei mancati guadagni sofferti durante il periodo di malattia, nelle spese funerarie, nella perdita di sostegno economico subita da un terzo a causa della morte o della malattia della vittima. In arg. v. Castronovo, La nuova resp. civile3, 670; Bülow, in Bülow - Artz, Handbuch Verbraucherprivatrecht, 500ss.; Schulz - Halbgewachs, Germany, in Hodges, Product Liability. European Laws and practice, 359ss.; Alpa - Bessone, La responsabilità del produttore4, 300ss.; Hohloch, in Patti, Il danno da prodotti in Italia-Austria-Repubblica federale di Germania-Svizzera, 263ss.; Benacchio, La responsabilità del produttore, in Diritto privato della Comunità europea. Fonti, modelli, regole4, 4 372. n Con 10 anni di ritardo e in seguito ad un iter alquanto tormentato, la Francia ha dato attuazione alla dir. europea con l. 19-5-1998, n. 389, inserendo la nuova normativa all’interno del codice civile, creando un nuovo titolo IV bis nel libro III, De la responsabilità du fait des produits défectueux, (artt. da 1386-1 a 1386-18), collocato alla fine della disciplina riguardante la re- 115 115 sponsabilità aquiliana. Come abbiamo visto (supra sub nota introduttiva, IV), le deviazioni del legislatore francese rispetto al testo comunitario (la mancata previsione della franchigia nel caso di risarcimento dei danni patrimoniali e la parificazione della responsabilità del distributore a quella oggettiva del produttore) sono state severamente censurate dalla Corte di Giustizia. Tra le particolarità della normativa francese va segnalata la scelta (influenzata dalla nota vicenda del «sangue contaminato» che sconvolse l’opinione pubblica francese negli anni ’90) di accollare alle imprese il rischio da sviluppo dei danni causati «da un elemento del corpo umano o dai prodotti da esso derivati». Cfr. Nepi, R. d. imp. 99, 263; Iannucelli, D. e resp. 99, 383; Alpa Bessone, ivi, 311ss.; Modica Donà delle Rose, Resp. civ. prev. 01, 1312ss.; Whittaker, ivi, 450ss. n La Spagna ha recepito la dir. con l. 6-7- 5 1994, n. 22, che si pone come legge speciale sulla responsabilità del produttore, che non deroga alla l.q. per la difesa dei consumatori e degli utenti n. 26 del 1984 (v. supra, sub Nota introduttiva, IV). Il legislatore si è avvalso della facoltà di limitare la responsabilità per danni da morte o da lesioni personali, derivanti da prodotti identici e che presentino tutti la stessa tipologia di difetto. Si è esclusa la possibilità per il produttore di avvalersi della clausola di esonero relativa ai rischi da sviluppo qualora i danni siano derivati da medicinali o da prodotti alimentari destinati al consumo umano. Cfr. amplius Jimenez De Parga Cabrera, Contr. imp. E. 96, 605ss. n Gli unici due Paesi che hanno scelto di 6 non lasciare in alcun modo a carico dei danneggiati il rischio da sviluppo sono stati il Lussemburgo e la Finlandia. Per una panoramica del recepimento negli altri paesi europei Hodges (a cura di), Product Liability. European Laws and practice; Aa.Vv., European product liability; Mazzo, La responsabilità del produttore agricolo, 83ss. n Il modello europeo è stato esportato 7 con successo in altre realtà giuridiche: significativa è l’esperienza giapponese descritta in M. Ferrari, D. e resp. 08, 384ss. Un’analisi sulla più consolidata esperienza d’oltre Atlantico può leggersi in Ponzanelli, D. e resp. 99, 1066; Palazzo, E. d. priv. 01, 685ss. Prodotto e produttore. 1. Prodotto, ai fini del presente titolo, è ogni bene mobile, anche se incorporato in altro bene mobile o immobile. 2. Si considera prodotto anche l’elettricità. 2 bis. Produttore, ai fini del presente titolo, è il fabbricante del prodotto finito o di una sua componente, il produttore della materia prima, nonché, per i prodotti agricoli del suolo e per 139 CODICE DEL CONSUMO genera costi, ricavi, profitti e perdite e giustifica il sostegno finanziario dello Stato» (Cons. St. 3 27-4-2004, n. 2555, ivi, c. 4, nella motivazione). n Relativamente alla tipologia delle pubblicazioni destinatarie delle agevolazioni si può affermare che devono avere natura cartacea (sono esclusi i formati elettronici) e periodica, devono essere a contenuto non commerciale ma diffusivo di informazioni ai consumatori e agli utenti e devono altresì essere accessibili alla collettività (e quindi vendibili anche al pubblico, non riservate agli associati) (Gattamelata, Comm. CBB, 516ss.; T.A.R. Lazio 21-6-2002, n. 5669, ivi, c. 41, nella motivazione; Cons. St. 27-4-2004, n. 2555, ivi, c. 4, nella motivazione; T.A.R. Lazio, I, 22-5-2003, n. 4601, TAR 03, I, 2480; Cons. St., IV, 8-6-2000, n. 3232, Cons. Stato 00, I, 1393). IV. Agevolazioni e contributi non esplicita1 mente contemplati dall’art. 138. n Il 1o co. dell’art. 148 della l. 23 dicembre 2000, n. 388 (c.d. legge finanziaria 2001) destina le entrate derivanti dalle sanzioni amministrative irrogate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) ad iniziative a vantaggio dei consumatori. Dette entrate sono riassegnate con decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica ad un apposito fondo iscritto nello stato di previsione del Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato (ora Ministero dello Sviluppo Economico). Le iniziative da destinarsi a vantaggio dei consumatori sono individuate di volta in volta con decreto del Ministro dello Sviluppo Economico sentite le competenti Commissioni parlamentari. Le suddette attività a favore dei consumatori vengono svolte dalle associazioni dei consumatori oltre che da altri soggetti competenti, tra cui, ad esempio, Unioncamere che ha ricevuto un finanziamento ex l. 338/2000 per 922 promuovere lo strumento della conciliazione delle controversie tra operatori professionali e consumatori. n Un’altra previsione di contribu- 2 to è prevista dalla l. 5-3-2001, n. 57, recante Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati. L’art. 2, 3o co., della legge autorizza il CNCU a cofinanziare programmi di informazione e orientamento rivolti agli utenti dei servizi assicurativi promossi dalle associazioni dei consumatori in particolare sui premi relativi all’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore (Belli, Comm. Tripodi-Belli, 532). n Fi- 3 nanziamenti alle associazioni di consumatori sono, inoltre, previsti da leggi regionali solitamente per attività di informazione, consulenza ed assistenza al consumatore sul territorio locale. I requisiti per accedere a tali finanziamenti non sono necessariamente gli stessi richiesti alle associazioni nazionali per l’iscrizione nell’elenco di cui all’art. 137, prescindendo ad esempio dal numero minimo di associati o dall’iscrizione dell’associazione all’elenco stesso (favorendo in tal modo la crescita e il sostentamento di realtà associative locali). Di seguito si riporta l’elenco delle leggi regionali a cui fare riferimento per verificare i presupposti, le modalità e i termini di accesso ai finanziamenti: Abruzzo l.r. 30/2001, Basilicata l.r. 40/2000, Calabria r.r. 4/2005, Campania l.r. 19/2002, Emilia Romagna l.r. 45/1992, Friuli Venezia Giulia l.r. 16/2004, Lazio l.r. 44/1992, Liguria l.r. 44/1992, Liguria l.r. 26/2002, Lombardia l.r. 6/2003, Marche l.r. 15/1998, Molise l.r. 43/2005, Piemonte l.r. 24/2009, Puglia r.r. 19/2006, Sicilia l.r. 7/1994, Toscana l.r. 1/2000, Umbria l.r. 34/1987, l.r. 44/1988, l.r. 17/1996, Veneto l.r. 27/2009, Alto Adige l.r. 15/1992, Trentino l.r. 8/1997, Valle d’Aosta l.r. 6/2004. TITOLO II ACCESSO ALLA GIUSTIZIA 139 Legittimazione ad agire. 1. Le associazioni dei consumatori e degli utenti inserite nell’elenco di cui all’articolo 137 sono legittimate ad agire, ai sensi dell’articolo 140, a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti. Oltre a quanto disposto dall’articolo 2, le dette associazioni sono legittimate ad agire nelle ipotesi di violazione degli interessi collettivi dei consumatori contemplati nelle materie disciplinate dal presente codice, nonché dalle seguenti disposizioni legislative: 923 Procedimenti inibitori a tutela degli interessi collettivi dei consumatori 139 a) legge 6 agosto 1990, n. 223, e successive modificazioni, ivi comprese quelle di cui al testo unico della radiotelevisione, di cui al decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, e legge 30 aprile 1998, n. 122, concernenti l’esercizio delle attività televisive; b) decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 541, come modificato dal decreto legislativo 18 febbraio 1997, n. 44, e legge 14 ottobre 1999, n. 362, concernente la pubblicità dei medicinali per uso umano. 2. Gli organismi pubblici indipendenti nazionali e le organizzazioni riconosciuti in altro Stato dell’Unione europea ed inseriti nell’elenco degli enti legittimati a proporre azioni inibitorie a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, possono agire, ai sensi del presente articolo e secondo le modalità di cui all’articolo 140, nei confronti di atti o comportamenti lesivi per i consumatori del proprio Paese, posti in essere in tutto o in parte sul territorio dello Stato. Sommario: I. La legittimazione ad agire. - II. L’ambito oggettivo di applicazione della norma. 1 I. La legittimazione ad agire. n La norma in epigrafe individua, innanzitutto, i soggetti muniti di legittimazione ad agire «a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti». In particolare, da un punto di vista della tecnica legislativa, si può notare come a tal fine l’articolo in commento «scorpori», riproducendo pressoché testualmente, parte del 1o co. e l’intero 1o co. bis del previgente art. 3 della l. 281/1998 (così, Petrillo, Comm. ARC, 819; si rammenta che il 1o co. bis era stato inserito nel corpo dell’art. 3 dall’art. 2 del d.lgs. 224/2001; per esaustive indicazioni sui numerosi contributi dottrinali dedicati alla l. 281/1998, v. da ultimo Donzelli, La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, 781s., nt. 61). Il risultato è l’attribuzione della legittimazione de qua ad una duplice categoria di soggetti: da un lato, ai sensi del 1o co., alle «associazioni dei consumatori e degli utenti inserite nell’elenco di cui all’art. 137 [del codice del consumo]»; dall’altro, in forza del 2o co., a quegli organismi e organizzazioni riconosciuti in un altro Stato dell’Unione Europea «ed inseriti nell’elenco degli enti legittimati a proporre azioni a tutela degli interessi collettivi dei consumatori» (elenco pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea), i quali potranno agire ai sensi del 1o co. dell’articolo in epigrafe a tutela dei consumatori del proprio paese, nel caso di illeciti c.d. transfrontalieri, ossia quando l’atto o il comportamento lesivo dei consumatori stessi si sia verificato, in tutto o in parte, in Italia. Relativamente a quest’ultimo precetto, si è notato come esso potrebbe aprire le porte al fenomeno del c.d. forum shopping, vale a dire a scegliere lo Stato in cui agire, in base all’esito «che in quello Stato avrà avuto un’azione simile» (Peduto, Comm. SS, 1042; quest’autore solleva, altresì, qualche dubbio sulla concreta praticabilità di tale norma, alla luce dei «plurimi criteri di in- dividuazione del foro competente tra cui, non da ultimo, il foro del consumatore»). n A diffe- 2 renza di quanto avviene all’art. 37, tra i soggetti legittimati non vengono menzionate né le associazioni rappresentative dei professionisti, né le Camere di commercio (Belli, Comm. TripodiBelli, 632, il quale afferma che tale scelta, quanto alla Camere di commercio, ha manifestato la preferenza di attribuire a tali enti «compiti di coordinamento e di regolamentazione»). n Poi- 3 ché l’elenco di cui all’art. 137 deve essere aggiornato con cadenza annuale, si è giustamente notato come il novero dei soggetti legittimati ad agire possa variare nel tempo, e ciò tenuto pure conto che tale aggiornamento presuppone «un’attenta verifica della permanenza dei requisiti legali in capo a ciascuna associazione iscritta» (v. Lepri, in Italia, Codice del consumo, 926). n Quanto alla giurisprudenza, la legittima- 4 zione ad agire de qua è stata esclusa, affermandosi l’insussistenza della lesione di un interesse collettivo, nel caso di «ricorso presentato da un’associazione di consumatori con cui si impugna un avviso di accertamento fiscale diretto ad un singolo contribuente» (T.A.R. Puglia Lecce, sez. II, 19-5-2007, n. 1921, F. amm. TAR 07, 1789); ancora, una pronuncia di merito ha affermato che «le associazioni dei consumatori sono prive di legittimazione ad agire per la tutela dell’interesse diffuso alla salubrità dell’ambiente lamentato da soggetti che non siano fruitori del servizio o del bene che si assume lesivo di tale interesse» (Trib. Lamezia Terme 16-7-2006, Resp. civ. prev. 07, 1697). Di particolare interesse, appare quella giurisprudenza amministrativa, secondo la quale la legittimazione ad causam prevista dalla norma in epigrafe, per quanto ampia, non può comprendere ogni attività di tipo pubblicistico «che si rifletta economicamente, in modo diretto o indiretto, sui cittadini, dovendo 139 CODICE DEL CONSUMO al contrario essere commisurata a quegli atti che siano idonei a interferire con specificità e immediatezza sulla posizione dei consumatori e degli utenti» (T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 11-122007, n. 16105, F. amm. TAR 07, 3867, in un caso di specie in cui un’associazione di consumatori impugnava la disciplina di una gara bandita da un comune per l’affidamento dei servizi di gestione e riscossione delle contravvenzione elevate per infrazioni al codice della strada; conf., sul principio di diritto, T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 6-2-2008, n. 582, Il merito 08, 59); diversamente, sempre nella prospettiva dei rapporti con la pubblica amministrazione, un’altra decisione di merito ha riconosciuto la sussistenza della legittimazione in capo a un’associazione di consumatori a contestare la legittimità di un provvedimento tariffario relativo a un servizio pubblico (nella specie, si trattava di quello idrico), argomentando che dal combinato disposto degli artt. 139 e 140 del c.cons. si desume «l’attribuzione alle associazioni di un ampio diritto di azione posto a difesa di un interesse legittimo collettivo, diritto che non può dirsi precluso con riguardo alla contestazione dei provvedimenti di carattere generale come quello di tariffazione in materia di servizi pubblici» (T.A.R. Lazio Latina 24-6-2006, n. 406, F. amm. TAR 06, 2121). Si segnala, poi, un’importante decisione del Cons. St., che ha chiarito come nell’ambito della tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti, la legittimazione ad agire discenda direttamente dalla legge (e precisamente dal 1o co. dell’articolo in commento) e, pertanto, «la sola previsione statutaria non potrebbe assegnare ad articolazioni locali dell’ente associativo la contitolarità della predetta legittimazione, che resta in capo all’ente di carattere nazionale accreditato in sede ministeriale» (Cons. St., a.p., 11-12007, n. 2, F. amm. C.d.S. 07, 834, nt. Tarasco; ivi 07, 464, nt. Bertoldini; Il merito 07, 5, 83). Infine, merita di essere ricordata un’altra pronuncia dello stesso organo giudiziario, secondo la quale «è inammissibile l’appello proposto da un’associazione di consumatori – sebbene inserita nell’elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale, istituito presso il Ministero dello sviluppo economico, in applicazione dell’art. 137, 1o co., d.lg. 6 settembre 2005, n. 206 (codice del consumo) – nel caso in cui la stessa non abbia partecipato in alcun modo, pur avendone titolo, al giudizio di primo grado» (Cons. St., a.p., 11-12007, n. 1, Guida d. 07, 6, 69 nt. Caruso, ove si è affermato che «non possono estendersi alle associazioni dei consumatori – in quanto normative speciali, derogatorie dei principi generali e, pertanto, non suscettibili di applicazione analo- 924 gica – l’art. 83/12 t.u. per i giudizi elettorali approvato con d.p.r. 16 maggio 1960, n. 570 e l’art. 146, 11o co. del codice dei beni culturali e del paesaggio, approvato con d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, mediante i quali è stata espressamente ampliata in ipotesi peculiari la legittimazione ad appellare le sentenze di primo grado, riconoscendola anche a chi, pur essendo legittimato, non abbia proposto il ricorso originario, ovvero non abbia comunque partecipato al giudizio di primo grado»; in precedenza, v. Cons. St., sez. VI, 6-6-2006, n. 3408, F. amm. 06, 1870). II. L’ambito oggettivo di applicazione della norma. n L’articolo in epigrafe, oltre ad individuare i soggetti ai quali spetta la legittimazione ad agire, traccia anche i confini oggettivi di quest’ultima. A tale proposito, i primi commentatori della norma in esame – proseguendo nel raffronto con il suo più immediato precedente, ossia l’art. 3 della l. 281/1998 – hanno osservato che l’art. 139 del codice del consumo ha un ambito applicativo più esteso (Petrillo, ivi, 819s.; Armone, Comm. CBB, 660s.; Miconi, Comm. Franzoni, 652). Così, gli interessi collettivi a tutela dei quali è conferita la legittimazione, non sono solo quelli individuati all’art. 2 dello stesso codice, ma tutti quelli che trovano in quest’ultimo la propria disciplina, e, ancora, quelli in materia di esercizio di attività televisive (materia che, per quanto qui interessa, non è più regolata dalla l. 223/1990 e dalla l. 122/1998, ma dal d.lgs. 31-7-2005, n. 177, recante t.u. della radiotelevisione: G. De Cristofaro, Nuove leggi civ. comm. 06, 801s.; Id., St. i. 08, 273s.) e di pubblicità dei medicinali per uso umano (anche in questo caso, il richiamo normativo è da considerare superato, giacché il d.lgs. n. 541 del 1992 è stato interamente abrogato dal d.lgs. 24-4-2006, n. 219). Uno dei primi (e più attenti) commentatori del c.cons. ha ritenuto «oscuro» il significato della frase «oltre a quanto disposto dall’art. 2», con cui esordisce il precetto sulla portata oggettiva della norma in esame; precisamente, secondo questo studioso, potrebbe sostenersi che il legislatore, inserendo tali parole, abbia voluto attribuire alle associazioni la legittimazione a convenire in giudizio professionisti a fronte di comportamenti che, pur non violando alcuna disposizione del codice, tuttavia risultino lesivi dei diritti collettivi fondamentali riconosciuti e garantiti dall’art. 2, 2o co., del codice del consumo: così, più o meno testualmente, G. De Cristofaro, Nuove leggi civ. comm. 06, cit., 802, il quale aggiunge che, optando per questa interpretazione, ne conseguirebbe che le associazioni potrebbero reputarsi legittimate ad agire per la tutela degli interessi collettivi dei consumatori, «anche a fronte della violazione di prescrizioni inserite 925 Procedimenti inibitori a tutela degli interessi collettivi dei consumatori in provvedimenti normativi non specificamente ed esclusivamente rivolti a tutelare i soli consumatori (quali, ad es., gli artt. 115-120 del t.u.b., svariate disposizioni del codice delle assicurazioni [...]), qualora siffatta violazione si sostanzi altresì nella lesione di uno (o più) dei diritti consumatori riconosciuti come «fondamentali» a norma del 2o co. dell’art. c.cons.». Ci si è domandati, se l’espressione «materie disciplinate in questo codice» comprenda anche le materie contenute in altri provvedimenti legislativi, ma richiamati dal codice del consumo (il dubbio è prospettato e risolto in senso positivo da G. De Cristofaro, ivi, 801, ove si evocano «gli artt. 121-127 del t.u. bancario e il d.lgs. 9-4-2003, n. 70, in materia di commercio elettronico, nonché il d.lgs. 31-3-1998, n. 114, recante riforma della disciplina del commercio»). Quanto ai richiami di cui alle lett. a) e b) del 1o co. della norma in epigrafe (necessari perché si riferiscono a provvedimenti legislativi estranei, da un punto di vista normativo, al codice del consumo: Petrillo, ivi, 820; in proposito, si è notato che la ratio della scelta legislativa è da individuare nella delicatezza di questi settori dell’esperienza giuridica, che rende «opportuno consentire anche forme di tutela collettiva»: Benucci, Comm. Vettori, 1079), si sostiene la necessità di una loro lettura correttiva, nel senso che la violazione di alcune soltanto delle disposizioni di tali provvedimenti (e non di una qualsiasi di esse) legittima le associazioni ad agire nei confronti di colui che se ne 140 140 renda responsabile (così, G. De Cristofaro, ivi, 802, il quale indicava, rispettivamente, gli artt. 4, 37, 38, 39 e 40 del d.lgs. 177/2005 e gli artt. 113128 del d.lgs. 219/2006). Infine, in merito all’interrogativo sulla tassatività dell’intera elencazione di materie menzionata dall’articolo in commento, vi è chi ritiene che essa sarebbe incompleta, perché le associazioni di cui all’art. 137 potrebbero senz’altro considerarsi legittimate ad agire a tutela di interessi collettivi dei consumatori anche a fronte della violazione degli artt. 121-127 del d.lgs. 385/1993 (testo unico in materia bancaria e creditizia), del d.lgs. 9-42003, n. 70, «recante attuazione della dir. 2000/ 31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno», del d.lgs. 16-12-2004, n. 30, «recante attuazione della dir. 2003/33/CE in materia di pubblicità e di sponsorizzazione dei prodotti del tabacco», e, infine, dell’art. 32 bis del d.lgs. 24-2-1998, n. 58, (testo unico in materia di intermediazione finanziaria): così, ancora, G. De Cristofaro, S. i. 08, cit., 274 (a tale riguardo, peraltro, si potrebbe anche ritenere – diversamente, ma non condivisibilmente – che il repertorio di norme indicato dall’articolo in epigrafe sia da reputare tassativo, e ciò pure alla luce di quanto disposto dal successivo art. 144: per questo argomento, v. Peduto, ivi, 1044, il quale, però, se ben intendo, non assume una posizione netta sul punto). Procedura. 1. I soggetti di cui all’articolo 139 sono legittimati nei casi ivi previsti ad agire a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti richiedendo al tribunale: a) di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti; b) di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate; c) di ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento può contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate. 2. Le associazioni di cui al comma 1, nonché i soggetti di cui all’articolo 139, comma 2, possono attivare, prima del ricorso al giudice, la procedura di conciliazione dinanzi alla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura competente per territorio, a norma dell’articolo 2, comma 4, lettera a), della legge 29 dicembre 1993, n. 580, nonché agli altri organismi di composizione extragiudiziale per la composizione delle controversie in materia di consumo a norma dell’articolo 141. La procedura è, in ogni caso, definita entro sessanta giorni. 3. Il processo verbale di conciliazione, sottoscritto dalle parti e dal rappresentante dell’organismo di composizione extragiudiziale adito, è depositato per l’omologazione nella cancelleria del tribunale del luogo nel quale si è svolto il procedimento di conciliazione. 140 CODICE DEL CONSUMO 926 4. Il tribunale, in composizione monocratica, accertata la regolarità formale del processo verbale, lo dichiara esecutivo con decreto. Il verbale di conciliazione omologato costituisce titolo esecutivo. 5. In ogni caso l’azione di cui al comma 1 può essere proposta solo dopo che siano decorsi quindici giorni dalla data in cui le associazioni abbiano richiesto al soggetto da esse ritenuto responsabile, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, la cessazione del comportamento lesivo degli interessi dei consumatori e degli utenti. 6. Il soggetto al quale viene chiesta la cessazione del comportamento lesivo ai sensi del comma 5, o che sia stato chiamato in giudizio ai sensi del comma 1, può attivare la procedura di conciliazione di cui al comma 2 senza alcun pregiudizio per l’azione giudiziale da avviarsi o già avviata. La favorevole conclusione, anche nella fase esecutiva, del procedimento di conciliazione viene valutata ai fini della cessazione della materia del contendere. 7. Con il provvedimento che definisce il giudizio di cui al comma 1 il giudice fissa un termine per l’adempimento degli obblighi stabiliti e, anche su domanda della parte che ha agito in giudizio, dispone, in caso di inadempimento, il pagamento di una somma di denaro da 516 euro a 1.032 euro, per ogni inadempimento ovvero giorno di ritardo rapportati alla gravità del fatto. In caso di inadempimento degli obblighi risultanti dal verbale di conciliazione di cui al comma 3 le parti possono adire il tribunale con procedimento in camera di consiglio affinché, accertato l’inadempimento, disponga il pagamento delle dette somme di denaro. Tali somme di denaro sono versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze al fondo da istituire nell’àmbito di apposita unità previsionale di base dello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, per finanziare iniziative a vantaggio dei consumatori. 8. Nei casi in cui ricorrano giusti motivi di urgenza, l’azione inibitoria si svolge a norma degli articoli da 669 bis a 669 quaterdecies del codice di procedura civile. 9. Fatte salve le norme sulla litispendenza, sulla continenza, sulla connessione e sulla riunione dei procedimenti, le disposizioni di cui al presente articolo non precludono il diritto ad azioni individuali dei consumatori che siano danneggiati dalle medesime violazioni. 10. Per le associazioni di cui all’articolo 139 l’azione inibitoria prevista dall’articolo 37 in materia di clausole vessatorie nei contratti stipulati con i consumatori, si esercita ai sensi del presente articolo. 11. Resta ferma la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di servizi pubblici ai sensi dell’articolo 33 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80. 12. Restano salve le procedure conciliative di competenza dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di cui all’articolo 1, comma 11, della legge 31 luglio 1997, n. 249. Sommario: I. Premessa. - II. Competenza e giurisdizione. - III. I provvedimenti: a) l’inibitoria; - IV. (segue) b) le misure idonee a correggere e/o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate; - V. (segue) c) la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani. - VI. La procedura di conciliazione. - VII. La richiesta preventiva di cessazione del comportamento lesivo. - VIII. L’inibitoria cautelare. - IX. Le misure coercitive indirette previste al 7o comma. - X. Concorso di azioni collettive promosse da più enti legittimati. - XI. I rapporti tra l’azione collettiva e l’azione individuale del singolo consumatore o utente. - XII. I rapporti con l’azione prevista dal d.lgs. 198/2009. I. Premessa. n L’articolo in epigrafe, prevedendo un’azione inibitoria collettiva di carattere generale a tutela degli interessi dei consumatori e degli utenti, rappresenta la sostanziale trasposizione di quanto già disposto dall’art. 3 della l. 281/1998 (Armone, Comm. CBB, 664); il codice del consumo, peraltro, riprende quest’ultima norma, apportandovi gli adattamenti resi necessari dalle modifiche legislative successive all’entrata in vigore della l.q. sui consumatori (Barto- 927 Procedimenti inibitori a tutela degli interessi collettivi dei consumatori lomucci, Comm. ARC, 822s.), nonché, secondo parte della dottrina, introducendo alcuni miglioramenti (G. De Cristofaro, Nuove leggi civ. comm. 06, 803; diversamente, altri studiosi ritengono che, con l’articolo in esame, il legislatore abbia perso l’occasione per innovare la vecchia disciplina e risolvere alcuni dei problemi che essa, e ancor prima l’art. 1469 sexies c.c., avevano sollevato all’attenzione degli interpreti: Petrillo, Comm. ARC, 838s.; Peduto, Comm. SS, 1050). Detto ciò, l’indubbia continuità esistente tra le norme testé ricordate (ma, in particolare, l’art. 3, l. 281/1998) e la disposizione che si commenta, permette di considerare tuttora valide, anche con riferimento a quest’ultimo, larga parte delle ricostruzioni teoriche e delle soluzioni applicative a cui erano pervenute la dottrina e la giurisprudenza formatesi precedentemente all’emanazione del codice del consumo (che, dunque, in questa sede, saranno spesso richiamate, anche senza specificare, salvo quando sia strettamente necessario, che si riferiscono al quadro normativo previgente). 1 II. Competenza e giurisdizione. n La competenza per materia a conoscere dell’azione disciplinata dall’articolo in commento spetta al tribunale, così come si ricava dal 1o co. della norma stessa; è opinione comune che tale organo decida in formazione monocratica, giacché, non essendo prevista alcuna riserva di collegialità (a differenza di quanto vale per le cause di cui all’art. 140 bis: v. art. 50 bis, 1o co., n. 7 bis, c.p.c.), trova applicazione il precetto generale di cui all’art. 50 ter c.p.c. (Lepri, in Italia, Codice del consumo, 935; Peduto, ivi, 1050; Armone, ivi, 664, tutti sottolineando come, diversamente da quel che si poteva ritenere nel vigore dell’art. 3 della l. 281/1998, oggi si debba senz’altro escludere ogni ipotesi di competenza del giudice di pace; Minervini, Contr. imp. 06, 638). In dottrina, non sono mancate critiche alla scelta del legislatore, sostenendosi che l’importanza e la delicatezza degli interessi in gioco suggeriva di devolvere tali controversie al tribunale in formazione collegiale, analogamente a quanto era previsto (prima della recente abrogazione del rito societario per effetto della l. 69/2009) dall’art. 1, 3o co., d.lgs. 5/2003 per i giudizi in materia societaria proposti dalle associazione dei consu2 matori (così, Petrillo, ivi, 841s.). n Riguardo, invece, alla competenza per territorio, è da ritenere che, nel silenzio della norma, essa vada determinata utilizzando i criteri ordinari stabiliti nel codice di rito (artt. 18ss. c.p.c.) (Peduto, ivi, 1051; conf., con riferimento all’art. 3 l. 281/1998, Marengo, Garanzie processuali e tutela dei consumatori, 137; Minervini, ivi, 637s., Id., Tratt. Roppo, IV, 597s.; Id., Dei contratti del consuma- 140 tore in generale, 99, il quale, peraltro, esclude espressamente l’applicabilità dell’art. 20 c.p.c.), e ciò – si è osservato (Riccio, Comm. Rolli, 975) – a differenza delle azioni individuali del singolo consumatore, per le quali è competente il giudice del luogo della residenza o del domicilio elettivo del consumatore (così, C s.u. 03/14669, F. it. 03, I, 3298, nt. Palmieri; D. giust. 03, 41, 42, nt. Colasanti; G. it. 04, 729, nt. D’Ascola; Giust. civ. 04, I. 2693, nt. Lipari; Nuovo dir. 04, 497, nt. Zamagni; D. formazione 04, 818, nt. Tallero, interpretando il previgente art. 1469 bis, 3o co., n. 19, c.c., oggi sostituito dall’analogo art. 33, lett. u). n Quanto alla giurisdizione, i primi commentatori della norma in epigrafe sostengono che, in forza del combinato disposto del 1o e dell’11o co., essa appartenga sempre all’autorità giudiziaria ordinaria, salva la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di servizi pubblici ex art. 33 d.lgs. 80/1998, norma riformulata dal ben noto intervento additivo della Consulta (Corte Cost. 6-7-2004, n. 204, F. it. 04, I, 2594) (Armone, ibidem; Lepri, ivi, 943; Trib. Roma [ord.] 23-5-2008, F. it. 08, I, 2674, oss. A.D. De Santis). Si è affermato, altresì, che nel caso di violazioni compiute in Italia da un soggetto straniero, la giurisdizione del nostro Stato sussista anche quando il convenuto non sia domiciliato o residente nel territorio della Repubblica, trattandosi di materia richiamata dall’art. 3, 2o co., l. 218/1995 (Armone, ivi, 665). III. I provvedimenti: a) l’inibitoria; n Con l’azione collettiva prevista dal 1o co. della norma in commento (le cui lett. a, b e c, riproducono senza alcuna variazione, nemmeno lessicale, quanto già stabilito all’art. 3, 1o co., l. 281/1998), è possibile domandare tre diversi tipi di provvedimenti: a) l’inibitoria (in via ordinaria e/o cautelare); b) le misure idonee a correggere e/o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate; c) la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani. n Dunque, non diversamente dai previgenti artt. 1469 sexies c.c. e 3, 6o co., l. 281/1998 (nonché dall’art. 8 del d.lgs. 231/ 2002, tuttora in vigore), la norma in epigrafe stabilisce che il giudice adito, qualora ne accerti la illegittimità, possa inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti. n Sotto il profilo dogmatico, l’inquadramento dell’azione collettiva inibitoria è assai controverso e incerto: così, se taluno ritiene che gli enti esponenziali agiscano per la tutela di un diritto soggettivo proprio, altri ravvisano nell’azione in esame un’ipotesi di legittimazione straordinaria, o di mera azione, o, ancora, di legittimazione sui generis (per un’esaustiva rassegna critica delle diverse opinioni sul punto e per un’attenta analisi di come il dibattito dottrinale 3 1 2 3 140 CODICE DEL CONSUMO si sia sviluppato in corrispondenza del mutare del dato normativo, v. da ultimo, con tutti i possibili riferimenti bibliografici, la diffusa trattazione monografica di Donzelli, La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, spec. 785ss., 4 794ss.). n L’inibitoria prevista dalla norma in commento può essere disposta in via ordinaria, e dunque con la sentenza che definisce il giudizio nel merito (c.d. inibitoria finale); oppure, in forza di un provvedimento cautelare, emanato nel corso del giudizio o prima di esso (si parla, allora, di inibitoria provvisoria o cautelare), però, in questo caso, solo ricorrendo il requisito dei «giusti motivi d’urgenza» (8o co.). In entrambe le ipotesi è da ritenere, con la dottrina maggioritaria (che si è espressa talvolta con riferimento all’azione inibitoria in genere e altre volte, invece, riguardo alle particolari figure disciplinate nelle norme poc’anzi ricordate), che si tratti di un provvedimento inquadrabile nell’ambito della tutela di condanna (ex multis, Tommaseo, in Clausole vessatorie nei contratti del consumatore, Comm. Schlesinger, 1156; Micheli, R. d. proc. 59, 212ss.; Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile5, 750s.; Giussani, R. d. priv. 97, 345; conf., da ultimo, Carnevale, R. d. proc. 07, 63ss., ed ivi un’attenta disamina critica dell’annoso dibattito relativo alla qualificazione sistematica dell’inibitoria), anche se non mancano studiosi che hanno attribuito a tale figura natura latamente costitutiva (Montesano, R. d. proc. 97, 1ss., spec. 3; Id., R. trim. 95, 775ss., spec. 778; Id., La tutela giurisdizionale dei diritti2, 222ss.; Marinucci, R. d. proc. 05, 135; Nicotina, G. it. 99, 2223; secondo Ferri, R. d. proc. 96, 938, «non è lontano dal vero chi prospetta nella condanna inibitoria un duplice contenuto, per un verso di mera condanna, quando il diritto possa essere tutelato mediante modificazioni materiali e coercibili e, sotto altro aspetto, anche un profilo costitutivo-determinativo di obblighi che devono caratterizzare in concreto il comportamento del soggetto passivo») o di mero accertamento (Attardi, Diritto processuale civile3, I, 107s., il quale, peraltro, riteneva che il giudizio inibitorio di cui all’art. 1469 sexies c.c. avesse carattere costitutivo, in quanto «volto a costituire l’obbligo per il professionista, o l’associazione dei professionisti che utilizzino condizioni generali di contratto, di non inserire tra le condizioni stesse quelle di cui sia accertata l’abusività, ed ovviamente di non utilizzare quei moduli o formulari che le contengono»). Tralasciando per il momento l’inibitoria cautelare che, per la peculiarità dei problemi che solleva, sarà oggetto di specifica trattazione(v. infra sub par. VIII), si può osservare come il legislatore del 2005, confermando la scelta già attuata con 928 la l. 281/1998, abbia voluto individuare, una volta ancora, nell’azione inibitoria lo strumento che «offre la risposta più efficace alle istanze di tutela dei consumatori e degli utenti» (Benucci, Comm. Vettori, 1092, il quale richiama, a tale proposito, le acute e limpide considerazioni svolte dalla Pagni, Tutela individuale e tutela collettiva nella nuova disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti (Prime riflessioni sull’art. 3 L. 30 luglio 1998, n. 281), in Aa.Vv., La disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, a cura di A. Barba, 144s.). Il provvedimento inibitorio – che, come recita la norma, è finalizzato alla cessazione dell’attività lesiva degli interessi dei consumatori e degli utenti – potrà consistere sia nell’imposizione di un obbligo di fare, qualora la condotta illecita abbia carattere omissivo, sia nell’imposizione di un obbligo di non fare, nel caso in cui la condotta fosse di tipo commissivo (così, pressoché testualmente, Pagni, ivi, 145). IV. (segue) b) le misure idonee a correggere e/o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate; n Quanto alle «misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate» (formula estremamente ampia, oltre cha vaga: Chiarloni, R. trim. 05, 402; conf., Benucci, ivi, 1095; Granieri, D. e resp. 98, 920), la dottrina prevalente ritiene che esse rappresentino un rimedio autonomo rispetto all’inibitoria e non ne costituiscano, come reputano invece alcuni studiosi, uno strumento di attuazione (a favore dell’opinione maggioritaria, v., da ultimo, Marinucci, ivi, 138; anche Conti, Corr. giur. 06, 1279, valorizza tale autonomia, affermando che i provvedimenti de quibus possono essere adottati «anche se la vicenda concreta non si presti all’emanazione di un ordine inibitorio»). Se nessuno dubita che tali misure assolvano a una funzione ripristinatoria, nel senso di ristabilire lo stato di fatto preesistente, mediante la pronuncia di una condanna ad una prestazione di fare (v., p. es., Benucci, ivi, 1095ss.; Minervini, ivi, 114; conf., da ultimo, in giurisprudenza, Trib. Roma [ord.] 23-5-2008, F. it. 08, I, 2674, oss. A.D. De Santis; Trib. Palermo 202-2008, ivi, 2475, nt. Palmieri), un’attenta studiosa ha sostenuto che esse possono anche concretarsi in sentenze di mero accertamento (Marinucci, ivi, 148ss., che fa l’esempio di una pronuncia dichiarativa dell’illegittimità o dell’illiceità di un comportamento, o, ancora, della nullità di un contratto; conf., in giurisprudenza, Trib. Palermo 22-6-2006, Corr. giur. 06, 1268, nt. Conti; Banca, borsa, tit. cred. 08, 3, 367, nt. Dagna). Ancora – ma, in passato, la questione è sempre stata controversa, riguardando i rapporti tra azione collettiva e azione individuale (in 929 Procedimenti inibitori a tutela degli interessi collettivi dei consumatori argomento v. infra sub par. XI) – si è affermato che tali misure non potrebbero mai concretarsi in sentenze di condanna al risarcimento di un danno o alla restituzione di somme (Marinucci, ivi, 140ss.; conf., Balena, R. d. civ. 06, Atti del Convegno per il cinquantenario della Rivista, 562; Marengo, ivi, 138; Toffoletto - Stabilini, Tutela giurisdizionale collettiva dei diritti dei consumatori e legge antitrust, in Aa.Vv., La disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, a cura di A. Barba, 233; in giurisprudenza, v. Trib. Torino 20-11-2006, F. it. 07, 1298; contra, p. es., sul primo punto, Pagni, ivi, 153; Camero Della Valle, La nuova disciplina dei diritti dei consumatori, 155ss.), né in sentenze di condanna generica (Marinucci, ivi, 140ss.). Ebbene, è importante notare come tale contrasto di opinioni sembri ormai definitivamente superato e risolto alla luce dell’introduzione del nuovo art. 140 bis, il quale, disciplinando un apposito rimedio collettivo risarcitorio (v. infra il commento ad locum), dovrebbe comportare che dalle «misure idonee previste dalla lett. b) vanno escluse le condanne al risarcimento o alla restituzione di somme a vantaggio dei singoli consumatori» (così, Donzelli, ivi, 815s.) Sempre in dottrina, si è posta in rilievo la discrezionalità del giudice, il quale potrà assumere il provvedimento più adatto, tenendo conto, di volta in volta, della situazione concretamente dedotta in giudizio (Marinucci, ivi, 149; così, anche Benucci, ivi, 1096 e, ancor prima, Conti, Corr. giur. 01, 393, i quali ritengono, con le parole di quest’ultimo, che tale precetto presenti addirittura connotati «creativi», rappresentando il «preludio ad una nuova visione dei poteri del giudice»; Marengo, ivi, 139, il quale ritiene che, nell’assumere tali misure, il giudice non sia vincolato all’osservanza del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., purché sia rispettata «la garanzia del contraddittorio nei confronti della parte destinata a subire gli effetti del provvedimento emanando»; Battelli, in Tripodi, Battelli, Codice del consumatore, 198; conf., in giurisprudenza, Trib. Roma 2-5-2007, Resp. civ. 08, 426, nt. Iurilli, ove si afferma che tali provvedimenti non sono puntualmente identificati dal legislatore «perché possano meglio adattarsi alle situazioni concrete», precisandosi, altresì, che «le sollecitazioni» provenienti dalla parte con riferimento alla tipologia di misura da adottare, «non danno luogo ad altrettante domande assoggettate a termini o preclusioni»). Infine, va ricordato che la maggioranza degli studiosi reputa senz’altro ammissibile l’assunzione delle misure de quibus anche nel giudizio volto alla pronuncia dell’inibitoria cautelare (Conti, ivi, 395s.; Camero, 140 Della Valle, ivi, 209; conf., direi, Minervini, ivi, 114s.; contra, Colagrande, Nuove leggi civ. comm. 98, 737). V. (segue) c) la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani. n Oltre all’ini- 1 bitoria e all’assunzione delle misure illustrate nel precedente paragrafo, il giudice può anche ordinare «la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento può contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate» (da ultimo, per un’applicazione concreta di tale misura, v. Trib. Palermo 20-2-2008, F. it. 08, I, 2475, nt. Palmieri). n Tale previsione evoca 2 l’art. 120 c.p.c. («Pubblicità della sentenza»), norma che, conviene rammentarlo, è stata recentemente novellata dalla l. 69/2009 di riforma parziale del processo civile. Al riguardo, va detto che, se interpretato alla lettera, questo articolo del codice di rito sembrerebbe stabilire un vincolo funzionale tra la «divulgazione» della sentenza civile e la riparazione del danno (non patrimoniale) subito dalla parte vincitrice; diversamente, questa strumentalità non sussiste nel caso dell’azione collettiva disciplinata dalla norma in esame, ove la pubblicazione del provvedimento sulla stampa quotidiana è, secondo una parte autorevole della dottrina, strumento non risarcitorio (così ritiene, p. es., Tommaseo, ivi, 1193, nt. 115; contra, Chiné, in Alpa - Levi, I diritti dei consumatori e degli utenti, 53, e, se ben intendo, Pagni, ivi, 154; nel senso, invece, che la natura di tale strumento «oscilla tra il risarcimento in forma specifica e la sanzione», v. Armone, ivi, 671), ma volto a eliminare gli effetti della violazione accertata e a modificare lo stato di fatto lesivo del diritto. Se dunque a una prima lettura, le due norme parrebbero fondarsi su presupposti diversi, in realtà non è così. Infatti, dottrina e giurisprudenza prevalenti interpretano l’istituto della divulgazione della sentenza civile in modo meno restrittivo di quanto si desume dalla lettera dell’art. 120 c.p.c.: la pubblicazione a mezzo stampa non avrebbe solo lo scopo di tutelare il diritto individuale al risarcimento del danno, ma risponderebbe alla più ampia esigenza di presidiare l’interesse generale a che non circolino false rappresentazioni della realtà giuridica, assolvendo altresì a una funzione insieme sanzionatoria e compulsoria (Cavallone, La divulgazione della sentenza civile, 43ss., 63s., 66; Tommaseo, ivi, 1193, nt. 117; Chiarloni, Misure coercitive e tutela dei diritti, 116, nt. 14; La China, Le disposizioni generali del processo civile, 661ss.: C 98/11603, Giust. civ. 99, I, 1401, nt. Albertini; contra, Grasso, Dei poteri del giudice, in Allorio, Commentario del 140 3 4 5 6 CODICE DEL CONSUMO codice di procedura civile, 1340ss.). Ponendosi in tale prospettiva – una volta negata la funzione esclusivamente risarcitoria della divulgazione della sentenza civile – bisogna dare atto che l’art. 140, 1o co., lett. c, laddove risponde non solo a esigenze restitutorie (e, per taluni, risarcitorie: v. supra), ma anche sanzionatorie e complusorie (Benucci, ivi, 1097s.), diventa una norma tutto sommato superflua, giacché meramente ricognitiva di quanto prevede l’art. 120 c.p.c. (nel senso che, pure in mancanza della disposizione speciale, il giudice potrebbe ugualmente ordinare la pubblicazione del provvedimento per eliminare le violazioni accertate, sulla base di quanto previsto, in via generale, dall’articolo del codice di rito). n Premesso ciò, non vi è dubbio che la pubblicazione della sentenza inibitoria si possa rivelare uno strumento particolarmente utile, tenuto conto che i destinatari dell’ordine giudiziale sono normalmente «soggetti sensibili all’esigenza di tutelare la propria immagine nell’ambiente degli operatori economici» (così, seppure riguardo alla inibitoria prevista dall’art. 1469 sexies c.c., Tommaseo, ivi, 1193). n La pubblicazione può essere disposta sia a completamento della pronuncia di inibitoria, sia contestualmente all’adozione delle misure idonee di cui alla lett. b (così, con riferimento all’art. 3 l. 281/1998, Marengo, ivi, 139). n Analogamente all’art. 120 c.p.c, e a differenza di quanto sostenuto da alcuni studiosi riguardo all’art. 1469 sexies c.c., la formulazione della norma in commento pare inequivoca nel subordinare la pubblicazione della sentenza inibitoria all’istanza di parte, escludendo dunque un’iniziativa ufficiosa (conf., Benucci, ivi, 1097; Armone, ivi, 671, seppure dubitativamente; entrambi questi autori ricordano come tale conclusione sembrerebbe rafforzata dal confronto con la diversa formulazione dell’art. 37, 3o co., c.cons., riguardo al quale si reputa che il potere attribuito al giudice di pubblicare il provvedimento «in uno o più giornali, di cui uno almeno a diffusione nazionale», sia esercitabile anche d’ufficio). n È da ritenere, come sostenuto da alcuni studiosi con riferimento all’analogo disposto dell’ult. co. dell’art. 1469 sexies c.c. (Tommaseo, op. ult. cit., 1193s.; Montesano, Tutela giurisdizionale dei consumatori e dei concessionari di servizi di pubblica utilità nelle normative sulle clausole abusive e sulle autorità di regolazione, cit., 3; Giussani, ivi, 348; Id., Inibitoria (azione), Enc. g. Treccani, 3; conf., relativamente alla norma in commento, Battelli, ivi, 199; Miconi, Comm. Franzoni, 660), che nell’ottica di un’interpretazione evolutiva, al giudice sia permesso ordinare la divulgazione del provvedimento anche tramite altri mezzi di 930 comunicazione diversi dalla stampa, quali ad esempio la radio e la televisione, oppure la rete internet (si rammenta che, sebbene ad altri fini, la giurisprudenza di merito ha già da tempo equiparato internet a un organo di stampa: Trib. Napoli 8-8-1997, D. g. 97, 472; ma, soprattutto, bisogna ricordare che l’estensione poc’anzi evocata è oggi espressamente prevista dal nuovo testo dell’art. 120 c.p.c., come modificato dalla l. 69/2009). n Secondo la giurisprudenza di meri- 7 to, contrastata peraltro da una parte della dottrina, la pubblicazione può essere richiesta (ed eventualmente concessa) non solo nel giudizio di merito, ma anche in quello cautelare (Trib. Roma [ord.] 28-6-2003, G. it. 05, 1033; Contr. 03, 1034; in motivazione, Trib. Torino [ord.] 3-10-2000, Giust. civ. 01, I, 813, nt. Plaia; F. it. 00, I, 3622; Corr. giur. 01, 389, nt. Conti; conf., in dottrina, Conti, ivi 395s.; Giussani, ibidem, ma con riferimento al diverso testo dell’art. 1469 sexies c.c.; contra, Sacchettini, Guida d. 05, 116; Colagrande, ivi, 737). VI. La procedura di conciliazione. n I co. 2, 3, 1 4 e 6, nel disciplinare la procedura di conciliazione, riprendono, con alcune modificazioni, quanto già previsto dall’art. 3 della l. 281/1998 (in generale, si è sottolineata l’importanza sistematica di tali disposizioni, in quanto consentirebbero «il superamento dei dubbi, non di rado avanzati, in merito alla validità di una transazione tra l’associazione dei consumatori ed il professionista, in considerazione della pretesa natura indisponibile degli interessi collettivi di cui la prima è portatrice»: Minervini, ivi, 119). Cominciando dalla legittimazione ad avviare tale procedura, essa spetta a tutti i soggetti menzionati all’art. 139, e dunque sia alle associazioni dei consumatori e degli utenti inserite nell’elenco di cui all’art. 137, sia agli organismi pubblici indipendenti e alle organizzazioni, riconosciuti in altro Stato dell’Unione europea ed oggi evocati all’art. 139, 2o co. (Bartolomucci, ivi, 823; Armone, ivi, 665). Si ritiene, invece, che tale legittimazione non appartenga né al singolo consumatore, né ad altri enti diversi da quelli indicati all’art. 139 (Armone, ibidem; conf., sulla prima parte, Peduto, ivi, 1059; al riguardo, precisa Bartolumucci, ivi, 825, che il singolo consumatore, pur non potendo agire ai sensi della norma in commento, sarà comunque legittimato a promuovere le procedure di composizione extragiudiziale previste all’art. 141). Sempre dal punto di vista attivo, la legittimazione a promuovere la conciliazione non spetta nemmeno, salvo quanto previsto dal 6o co. (v. infra), al professionista o all’associazione nazionale rappresentativa a livello nazionale degli interessi di tale categoria (così, Bartolomucci, ivi, 825s., il 931 2 3 4 5 Procedimenti inibitori a tutela degli interessi collettivi dei consumatori quale individua la ratio di tale esclusione nella volontà di fornire maggiore tutela dei diritti alla parte debole del contratto, Armone, ivi, 665s.). n Per quanto concerne la legittimazione passiva, non vi è dubbio che essa spetti al professionista o all’associazione rappresentativa di quest’ultimo (Bartolomucci, ivi, 826), autori del comportamento o dell’atto lesivo (Armone, ivi, 666). n Una delle novità dell’art. 140 rispetto alla disciplina previgente è rappresentata dal novero degli organismi di fronte ai quali è possibile esperire il tentativo di conciliazione. Il 2o co. della norma in commento prevede, infatti, che la procedura conciliativa possa essere avviata non solo presso le camere di commercio (come già disponeva l’abrogato art. 3, 2o co, l. 281/1998), ma anche dinanzi gli altri organismi di composizione extragiudiziale in materia di consumo previsti dall’art. 141 (Bartolomucci, ibidem; Armone, ibidem). n In dottrina è opinione comune che il tentativo di conciliazione in esame abbia carattere preventivo, ma facoltativo, e dunque non si configuri quale condizione di procedibilità (Bartolomucci, ivi, 827, il quale argomenta tale opinione, richiamando l’espressione «possono» che si legge nell’incipit del 2o co.; Armone, ibidem, 666; Minervini, ivi, 120); in proposito, non manca chi ritiene che sarebbe stato più opportuno rendere obbligatorio tale adempimento (Lepri, ivi, 936). n La dottrina non è concorde circa il momento in cui può essere attivata la procedura conciliativa de qua. Infatti, secondo alcuni studiosi, mentre il tentativo di conciliazione promosso dall’associazione dei consumatori (o degli utenti) avrebbe carattere preventivo e non potrebbe essere attivato dopo l’instaurazione del giudizio (Minervini, ivi, 120, invocando l’inciso «prima del ricorso al giudice» che si legge all’art. 140, 2o co.; conf., direi, Armone, ibidem), diversamente il tentativo di conciliazione promosso dal professionista – alla luce del chiaro disposto dell’art. 140, 6o co., il quale prevede che, nell’ipotesi di conciliazione promossa dal soggetto a cui viene chiesta la cessazione del comportamento lesivo, l’esito positivo di tale incombenza venga valutato dal giudice procedente, anche in fase esecutiva, quale cessazione della materia del contendere – avrebbe carattere tanto preventivo quanto successivo (così, ancora, Minervini, ibidem, il quale definisce «sorprendente» questa diversità di disciplina). Tale opinione, tuttavia, non è condivisa da altri commentatori che, proprio argomentando dal precetto testé ricordato, sostengono invece che anche la procedura conciliativa avviata dalle associazioni dei consumatori e dagli altri soggetti legittimati a norma dell’art. 139, 2o co., potrebbe essere esperita in qualunque momento 140 del processo (Bartolomucci, ivi, 834, il quale asserisce, peraltro, che l’accordo raggiunto in seguito a una conciliazione promossa dalle associazioni durante la pendenza del giudizio civile, avrà effetto meramente contrattuale e, a differenza di quanto avviene per la conciliazione preventiva, v. infra, non potrà assumere efficacia di titolo esecutivo; conf., sul primo principio, Peduto, ivi, 1059). n Detto ciò, si può notare co- 6 me, da un punto di vista procedurale, la disciplina dell’istituto riproduca quella già prevista all’art. 3 della l. 281/1998, con la conseguenza, tra l’altro, che, anche nel nuovo contesto legislativo, si ripropongono gli stessi problemi interpretativi sollevati da quest’ultima norma. Così, per quanto concerne la competenza territoriale delle Camere di commercio, si ritiene che, nel silenzio della legge, si debbano applicare i criteri ordinari del codice di rito (Peduto, ivi, 1060; Armone, ibidem), anche se non manca chi suggerisce di avvalersi del c.d. foro del consumatore (Bartolomucci, ibidem, il quale ricorda l’origine giurisprudenziale di questo criterio; al riguardo, peraltro, Armone, ibidem, osserva che, nella specie, tale foro non sarebbe facilmente individuabile). n Poiché la norma in commento 7 non fornisce indicazioni circa le modalità secondo cui si deve svolgere la procedura conciliativa, si reputano applicabili i regolamenti degli enti a cui si rivolgono, di volta in volta, le parti, «nel rispetto delle Raccomandazioni della Commissione europea 1998/257/CE e 2001/310/CE (entrambe richiamate all’art. 141)» (così, ancora Bartolomucci, ivi, 827s.). n Il termine di sessan- 8 ta giorni entro il quale deve concludersi la procedura conciliativa ha natura ordinatoria (Armone, ibidem, che afferma ciò, rilevando come la legge non preveda alcun sanzione per la sua inosservanza) e taluno ritiene che possa essere derogato dalla parti (Bartolomucci, ivi, 828; in proposito, questo autore precisa che, ovviamente, la procedura deve considerarsi «conclusa», sia nel caso di esito positivo, sia nell’ipotesi di fallimento del tentativo, sia ancora quando esso non abbia avuto luogo per rifiuto del professionista). In assenza di ogni indicazione normativa, è dubbio quale sia il dies a quo per la decorrenza di tale termine; tra le varie alternative (che secondo Bartolomucci, ibidem, potrebbero essere le seguenti: dalla richiesta di attivazione della procedura conciliativa; dalla ricezione della domanda da parte del professionista; dalla data della risposta di quest’ultimo, ovvero dall’inutile spirare del termine per tale adempimento; dalla nomina del conciliatore), sembrano privilegiarsi quella del deposito della domanda di conciliazione presso l’organismo competente oppure quella della piena instaurazione del con- 140 CODICE DEL CONSUMO traddittorio (Caggia, in Barba, La disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, 279; Armone, ibidem), ma non manca chi opta per quella della «investitura dell’organismo di conciliazione» (e, cioè, se ben intendo, della nomina del 9 conciliatore: Peduto, ivi, 1060). n Il verbale di conciliazione è sottoscritto dalle parti e dal rappresentante dell’organismo di conciliazione prescelto, da individuarsi nel conciliatore stesso (Bartolomucci, ivi, 828s.), oppure, secondo altri, anche in un funzionario dell’organismo stesso (Armone, ibidem). Il 3o e il 4o co. dell’articolo in commento prevedono che il verbale di conciliazione acquisti efficacia di titolo esecutivo per effetto dell’omologazione del tribunale, organo che provvede (in formazione monocratica e non collegiale) con decreto e dopo avere accertato la regolarità formale del verbale stesso (Lepri, ivi, 936; Marengo, ivi, 140; Minervini, ivi, 122; ma per una diversa impostazione v. Caggia, ivi, 283, secondo il quale il controllo non si deve limitare «alla verifica dell’avvenuto rispetto del principio [del] contraddittorio e delle fondamentali garanzie di difesa», ma estendersi fino «alla verifica dell’esistenza del requisito di indipendenza e di imparzialità dell’organismo conciliativo e la conduzione della procedura secondo quei criteri diretti ad agevolare la partecipazione consapevole del consumatore»). Il diritto di domandare l’omologazione (depositando il verbale nella cancelleria del tribunale del luogo nel quale si è svolto il procedimento di conciliazione) spetta alla parte interessata (così, Bartolomucci, ivi, 831, il quale reputa che a tale incombenza possa procedere anche l’organismo di conciliazione su impulso di entrambe le 10 parti). n Per concludere, occorre ricordare che il rinvio all’art. 33, d.lgs. 80/1998, non ribadisce soltanto la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di servizi pubblici (v. supra), ma comporta altresì il richiamo alla speciale procedura conciliativa disciplinata all’art. 2, 24o co., l. 481/1995 (Bartolumucci, ivi, 836; Armone, ibidem, il quale rammenta, inoltre, che, ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo in epigrafe, restano salve le procedure conciliative di competenza dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di cui all’art. 1, 11o co., l. 249/ 1997). VII. La richiesta preventiva di cessazione del 1 comportamento lesivo. n Il 5o co. della norma in epigrafe – il cui testo è identico a quello dell’art. 3, 5o co., l. 281/1998 – stabilisce che l’esercizio dell’azione collettiva sia subordinato al decorso del termine di quindici giorni dalla data in cui le associazioni abbiano richiesto al soggetto ritenuto responsabile, a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, la cessazio- 932 ne del comportamento lesivo degli interessi dei consumatori e degli utenti. Tale adempimento – che si considera modellato su quello già previsto dall’[abrogato] art. 22 l. 990/1969, in materia di azione del danneggiato contro l’impresa assicuratrice della responsabilità civile derivante dalla circolazione del veicolo danneggiante (ma v. ora, in senso analogo, l’art. 145 d.lgs. 209/2005, Codice delle assicurazioni private) (ex multis, Lepri, ivi, 936; Pagni, ivi, 157; Armone, ivi, 667), e che trova la propria ratio nel favore verso ogni meccanismo normativo che agisca da filtro nei confronti della giurisdizione (Granieri, D. e resp. 98, 921) – rappresenta, secondo parte della dottrina, una condizione di proponibilità della domanda (Pagni, ivi, 162; Lepri, ibidem; Armone, ibidem), la cui assenza, per la giurisprudenza formatasi riguardo al predetto art. 22 (ma applicabile pure alla norma de qua: Pagni, ivi, 162), sarebbe rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio (C 07/6960, Guida d. 07, 22, 37; C 06/18493; C 04/23696; Pagni, ibidem; Armone, ibidem; le pronunce testé citate precisano, peraltro, che tale regime di rilevabilità incontra un limite nella «preclusione del giudicato»), con conseguente chiusura in rito del processo (e cassazione senza rinvio, ove il difetto sia sollevato davanti alla Corte Suprema: così, testualmente, Pagni, ibidem). Coerentemente a questa impostazione, parte della dottrina ritiene che, dovendo preesistere alla domanda, la richiesta dell’associazione non possa essere contenuta nella citazione introduttiva del giudizio (Pagni, ibidem, aggiungendo che tale possibilità sarebbe da escludere, anche qualora si fissasse l’udienza di comparizione oltre il quindicesimo giorno dalla notifica; Armone, ibidem). n Detto 2 ciò, occorre notare peraltro che l’indirizzo teorico e applicativo appena ricordato non è l’unico esistente: altri studiosi, infatti, optano per una ricostruzione sistematica dagli effetti meno drastici, inquadrando l’onere della previa diffida come «condizione di procedibilità» (e, dunque, non di «proponibilità») (così, Marengo, ivi, 137; Chiné, in Alpa - Levi, I diritti dei consumatori e degli utenti, 50s.; Benucci, ivi, 1089, nt. 49). Per chi si pone in questa prospettiva, l’omessa osservanza di tale adempimento costituirebbe un vizio rilevabile solo su istanza di parte e non oltre la fase di primo grado (Marengo, ibidem); un vizio la cui declaratoria determinerebbe la mera sospensione del processo, in attesa che la parte onerata provveda alla diffida (Marengo, ibidem; secondo la Benucci, ibidem, la mancata richiesta preventiva di cessazione del comportamento lesivo costituirebbe «una preclusione solo temporale della pronuncia del giudice, il quale [non sarebbe tenuto a dichiarare senz’altro 933 3 4 5 6 1 Procedimenti inibitori a tutela degli interessi collettivi dei consumatori inammissibile la domanda, ma] dovrebbe lasciar decorrere il termine di 15 giorni, dopodiché potrebbe validamente pronunciarsi e il decorso potrebbe compiersi anche dopo la notificazione della citazione». n La dottrina maggioritaria, argomentando sull’inciso «in ogni caso» che si legge nel 5o co. della norma in esame, sostiene che la richiesta di cessazione dell’attività lesiva si renda necessaria anche qualora si sia verificato il fallimento del tentativo di conciliazione (Bartolomucci, ivi, 831; Armone, ibidem; conf., sull’art. 3, l. 281/1998, Camero - Della Valle, ivi, 205s.; contra – a quanto si apprende da Bartolomucci, ivi, 831, nel testo e a nt. 15 – Minervini, La conciliazione stragiudiziale delle controversie. Il ruolo delle Camere di Commercio, 52s., nonché, forse, in base a un passaggio non del tutto limpido della motivazione, anche Cons. St., sez. VI, [ord.], 15-12-1998, n. 1884, F. it. 99, III, 74, nt. Palmieri, spec. 76; G. it. 99, 627; Corr. giur. 99, 494, nt. De Marzo; Urbanistica e appalti 99, 173, nt. Della Valle). n Ancora, la maggioranza degli studiosi esclude che l’intimazione de qua sia necessaria nell’ipotesi in cui si promuova l’azione inbitoria in via cautelare, ai sensi dell’8o co. della norma in epigrafe: ciò in quanto il termine di quindici giorni sarebbe incompatibile con la natura urgente di questa forma di tutela (Benucci, ivi, 1089; Armone, ibidem; Pagni, ivi, 163; Colagrande, ivi, 738, nt. 129; Camero - Della Valle, ivi, 207; Sacchettini, ivi, 116; contra, Chiné, ivi, 50, nonché, ma con riferimento alla richiesta, in via cautelare, di «misure non inibitorie», Cons. St., sez. VI, [ord.], 15-12-1998, n. 1884, cit.). n Quanto alla natura della diffida, la dottrina ritiene che si tratti di un atto recettizio, affermando altresì che il termine comincia a decorrere dal ricevimento della diffida stessa (Sacchettini, ivi, 116; Camero - Della Valle, ivi, 206; Armone, ibidem). n Il 6o co. della norma in commento prevede che, in seguito alla richiesta di cessazione del comportamento lesivo, la parte intimata possa attivare la procedura conciliativa; tale precetto, che non trova un precedente nell’art. 3 della l. 281/1998 (Armone, ibidem), riconoscendo anche al professionista o a un’associazione di professionisti il diritto di fare ricorso alla conciliazione, dimostrerebbe come tale procedura sia nella piena disponibilità delle parti (così ancora Armone, ibidem, richiamando l’opinione di Bartolomucci, ivi, 833). VIII. L’inibitoria cautelare. n L’articolo che si commenta – analogamente a quanto già disponeva l’art. 3, l. 281/1998, e, ancora prima, l’art. 1469 sexies c.c. – prevede all’8o co. che, qualora ricorrano «giusti motivi d’urgenza», l’inibitoria possa essere domandata anche in via 140 cautelare, applicandosi, in questo caso, la disciplina processuale di cui agli artt. 669 bis-669 quaterdecies c.p.c. (sulla natura cautelare dell’inibitoria de qua, la dottrina e la giurisprudenza sono pressoché unanimi, pur non mancando autorevoli voci di dissenso: ex multis; Tommaseo, ivi, 1213ss.; Consolo - De Cristofaro, Corr. giur. 97, 480s.; Pagni, ivi, 194ss.; Minervini, Contr. imp. 06, cit., 646ss.; Id., Tr. GabrielliMinervini, I, 494ss.; contra, qualificando tale procedimento come «sommario non cautelare», v. Carratta, in Lanfranchi, Giusto processo civile e procedimenti decisori sommari, 137ss., e, con qualche perplessità, Chiarloni, R. trim. 05, cit., 400s.). n È opinione comune che la formula- 2 zione di tale precetto sia destinata a riproporre le notevoli incertezze interpretative già sorte in passato (sotto l’imperio delle norme poc’anzi evocate), circa il significato da attribuire all’espressione «giusti motivi d’urgenza» (Lepri, ivi, 938s.; sull’argomento, per una panoramica delle varie opinioni, v. tra gli altri Conte, G. it. 98, 2000ss., spec. 2003ss.; Greco, D. e resp. 00, 5ss.; Carbonara, in Lanfranchi, La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, 483ss.; Palmigiano, Comm. CBB, 648ss.). Personalmente, ritengo che per dare un senso a questa controversa locuzione (che, a mio avviso, esprime ellitticamente entrambi i requisiti necessari per avere accesso alla tutela cautelare, ossia il fumus boni iuris e il periculum in mora: conf., Minervini, Contr. imp. 06, cit., 647; Id., Dei contratti dei consumatori in generale, cit., 109) sia fondamentale evitare automatismi o eccessivi irrigidimenti, assumendo invece un atteggiamento duttile il quale, d’altra parte, sembra trovare conferma nel richiamo operato dal legislatore alla generica urgenza nel provvedere, piuttosto che al più puntuale pregiudizio «imminente e irreparabile», che funge da condizione di ammissibilità della tutela cautelare atipica ex art. 700 c.p.c. Quindi, se è vero che l’inibitoria cautelare riecheggia, per struttura e funzione, i provvedimenti d’urgenza che il giudice pronuncia ai sensi della norma codicistica appena citata (Lepri, ivi, 939), diversi sono i presupposti di applicabilità: nel primo caso, infatti, il pregiudizio affermato può essere genericamente urgente; nell’altro, invece, il legislatore ha «tipizzato» il pregiudizio con i requisiti (ben più difficili da dimostrare) dell’imminenza e dell’irreparabilità (conf., nella sostanza, Benucci, ivi, 1098; Lepri, ivi, 941; in precedenza, v. in tal senso Pagni, ivi, 197, la quale ribadisce, incisivamente, che ««giusti motivi d’urgenza» non dovrà in alcun caso essere considerato un sinonimo del «pregiudizio imminente e irreparabile»»; Giussani, D. e resp. 98, 1064, che definisce «meno grave» il peri- 140 CODICE DEL CONSUMO culum richiesto per l’inibitoria d’urgenza rispetto a quello dell’art. 700 c.p.c.; Carratta, ivi, 141; Petrillo, in Lanfranchi, Giusto processo civile e procedimenti decisori sommari, 174; in giurisprudenza, v. in tal senso, Trib. Latina 13-7-2006, Il merito 07, 5, 14, nonché, nella sostanza, Trib. Roma [ord.] 23-5-2008, F. it. 08, I, 2674, spec. 2687s., oss. A.D. De Santis; Trib. Roma [ord.] 3 30-4-2008, ivi, 2679, oss. A.D. De Santis). n Quanto alla giurisprudenza di merito, copiosa e articolata, nel tempo si sono andati affermando vari orientamenti, maturati soprattutto sotto l’imperio dei previgenti artt. 1469 sexies c.c. e 3 l. 281/1998: così, alcune decisioni privilegiano il criterio c.d. qualitativo, considerando determinante la natura «essenziale» o «primaria» del diritto o dell’interesse leso (v., p. es., Trib. Roma 27-7-1998, F. it. 98, I, 3332, ntt. Palmieri, Armone; Giust. civ. 99, I, 2520; D. econ. ass. 98, 991, nt. Negri), altre quello c.d. quantitativo, e quindi attribuendo rilievo prevalente alla potenziale diffusione del fenomeno lesivo (Trib. Roma [ord.] 2-8-1997, F. it. 97, I, 3010, nt. Lener; Giust. civ. 98, I, 269, nt. Corsini; G. it. 98, 1620, nt. Cesaro; Resp. civ. prev. 98, 477, nt. Bitetti; Corr. giur. 98, 944, nt. Musio; Dir. com. scamb. int. 98, 217, nt. Troianello; Nuova g. civ. comm. 99, I, 247, nt. Conte; R. d. sport. 97, 530, nt. Granieri), altre ancora li richiamano entrambi Trib. Palermo [ord.] 5-9-1997, Vita not. 98, 836, nt. Palmigiano; F. it. 97, I, 3009, nt. Lener), talora evocando pure contestualmente la nozione di irreparabilità, ossia il più caratteristico dei requisiti richiesti per la concessione della tutela cautelare atipica di diritto comune (v. spec. Trib. Torino [ord.] 17-5-2002, G. it. 02, 2334, nt. Togliatto; D. e resp. 03, 75, nt. Giussani, ove si sostiene, appunto, che bisogna «guardare alla natura dei diritti suscettibili di pregiudizio ed alla diffusione o potenziale diffusività del danno, oltre che alla sua irreparabilità»; ma contra, nel senso di escludere che l’irreparabilità del pregiudizio rappresenti una condizione per la pronuncia dell’inibitoria cautelare, v. le già ricordate Trib. Roma [ord.] 23-5-2008, cit.; Trib. Roma [ord.] 30-4-2008, cit.; altre volte ancora, dopo avere affermato che «occorre disancorare il concetto stesso di periculum in mora dalla dimensione individualistica del conflitto e ragionare, invece, in termini di incidenza collettiva del comportamento contrattuale abusivo», sottolineando altresì la necessità di valorizzare «la specificità dell’interesse collettivo leso alla correttezza, trasparenza ed equità dell’attività imprenditoriale nella erogazione di beni e servizi di uso comune», si è concluso per la sussistenza dei giusti motivi d’urgenza, quando il danno risulti essere «di fatto irrisarcibile» per la estrema dif- 934 ficoltà che incontrerebbero i consumatori nel ripetere le somme indebitamente pagate: Trib. Roma [ord.] 28-6-2003, G. it. 05, 1033; Trib. Roma [ord.] 14-3-2003, Contr. 03, 1031, con ampia nota redazionale); non mancano poi provvedimenti (che sul punto, a mio avviso, sono da criticare), per i quali l’indagine sulla sussistenza del periculum sembrerebbe quasi totalmente assorbita in quella del fumus, affermandosi che i giusti motivi d’urgenza sussistono (in re ipsa) in caso di prosecuzione dell’attività illecita (prosecuzione che, nel caso di specie, era avvenuta nonostante fosse stato disposto il sequestro penale dei locali in cui si svolgeva: Trib. Torino 3-102000, cit.). IX. Le misure coercitive indirette previste al 7o comma. n La prima parte del 7o co. della di- 1 sposizione in epigrafe, prevedendo una misura coercitiva di natura patrimoniale finalizzata a garantire l’effettiva attuazione dei provvedimenti pronunciati all’esito del giudizio di merito, riprende quanto già stabiliva il 5o co. bis, dell’art. 3, l. 218/1998 (su quest’ultima norma v., tra gli altri, diffusamente, Amadei, Giust. civ. 02, II, 385ss.), ma apportandovi alcune modifiche e integrazioni volte ad assicurare una più agevole e proficua attivazione di questo importante meccanismo processuale (Lepri, ivi, 937; Benucci, ivi, 1103s.; da ultimo, per un’applicazione concreta di tale misura, v. la già ricordata Trib. Palermo 20-2-2008, F. it. 08, I, 2475, nt. Palmieri). La dottrina concorda nel porre in rilievo l’utilità di una forma di esecuzione indiretta, considerato che l’inibitoria si concreta in un obbligo di non fare, obbligo di per sé infungibile e, dunque, non attuabile forzatamente mediante le procedure esecutive (c.d. dirette) regolate nel codice di rito (Peduto, ivi, 1062; Benucci, ivi, 1103; in generale, sull’argomento v., se vuoi, Vullo, R d. proc. 04, 727ss.; in proposito, va senz’altro ricordato, che oggi l’art. 614 bis c.p.c., introdotto nel corpo del codice di rito dalla recente l. 69/2009, prevede una misura coercitiva di natura patrimoniale e di applicazione generalizzata, volta proprio a permettere l’attuazione delle sentenze e degli altri provvedimenti di condanna all’adempimento di obbligazioni od obblighi infungibili, misura che, peraltro, a mio avviso non dovrebbe trovare applicazione quando, come nel caso di specie, esiste già una forma specifica di esecuzione indiretta). n Premesso 2 ciò, la norma in esame prevede innanzitutto che il giudice, qualora accolga la domanda proposta ai sensi del 1o co., sia tenuto a fissare un termine entro il quale il professionista convenuto debba adempiere agli obblighi posti a suo carico con il provvedimento giudiziale. Lo stesso giudice, [su istanza di parte o anche d’ufficio (Benucci, ivi, 935 3 4 5 6 Procedimenti inibitori a tutela degli interessi collettivi dei consumatori 1104; Lepri, ibidem; Peduto, ivi, 1063; Minervini, Contr. imp. 06, cit., 653; Id., Dei contratti del consumatore in generale, cit., 116s.) ma non su richiesta dei colegittimati rimasti estranei al giudizio (Benucci, ibidem; Lepri, ivi, 938)] stabilisce la somma, compresa tra i 516 e i 1.032 euro, che il professionista dovrà pagare in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, somma che sarà determinata tenendo conto anche della gravità del fatto. Tale somma non è destinata al creditore, bensì allo Stato (e poi riassegnata da quest’ultimo a un fondo per finanziare iniziative a vantaggio dei consumatori). Dunque, la prima caratteristica che distingue la disciplina appena illustrata da quella previgente consiste nell’esplicita previsione che la pronuncia della misura coercitiva sia «contestuale» a quella con cui è fissato il termine per adempiere, precedendo quindi l’inadempimento stesso (Benucci, ivi, 1104; Peduto, ibidem; Lepri, ivi, 937s.). In secondo luogo, la norma in esame non si riferisce più solo al «ritardo nell’adempimento», ma anche, espressamente, all’inadempimento tout court dell’ordine del giudice, con formula probabilmente più adatta a comprendere tutta la gamma dei provvedimenti e delle misure che possono essere impartiti in tale materia (Petrillo, ivi, 842). n Mentre taluno ritiene che la misura coercitiva de qua possa essere adottata solo in caso di inibitoria ordinaria (Armone, ivi, 671; Sacchettini, ivi, 118), altri la ammettono anche con riferimento all’inibitoria d’urgenza prevista all’8o co. (Minervini, Contr. imp. 06, cit., 653; Riccio, ivi, 981). n Sempre il 7o co. dell’articolo in epigrafe prevede poi che, qualora le parti abbiano trovato un accordo consacrato in un verbale di conciliazione, in caso di inadempimento degli obblighi risultanti da quest’ultimo, la parte interessata potrà adire il Tribunale che, con procedimento in camera di consiglio, accertato l’inadempimento stesso, disporrà il pagamento della predetta somma di denaro. In questa ipotesi, dunque, a differenza della precedente, la misura coercitiva è fissata dopo che si è realizzato l’inadempimento (Benucci, ibidem, la quale osserva che tale forma di esecuzione indiretta si ritiene applicabile anche quando si raggiunga la composizione extragiudiziale della controversia ex art. 141). n A mio avviso, considerato che la misura coercitiva si concreta sempre in un provvedimento di condanna al pagamento di una somma di denaro, l’esecuzione forzata dovrà avvenire nelle forme dell’espropriazione regolata nel terzo libro del codice di rito (per una diversa opinione, v. invece Armone, ivi, 672; Riccio, ivi, 982). n Qualora si considerasse ammissibile l’azione inibitoria individuale, e cioè promossa dal singolo consuma- 140 tore o utente (ma su questo delicato problema, v. infra sub par. XI), vi è chi ritiene che questi ultimi non potrebbero utilizzare gli strumenti di coercizione indiretta testé illustrati (Benucci, ivi, 1095). n Per concludere, è il caso di ricordare come una parte della dottrina reputi che la misura coercitiva prevista nella prima parte del 7o co. sia riconducibile, seppure con alcune particolarità, al modello dell’astreinte di diritto francese (Benucci, ivi, 1103ss.; Amadei, ivi, passim; conf., direi, Belli, Comm. Tripodi-Belli, 662), mentre altri studiosi ravvisano maggiori analogie con la Geldstrafe di diritto tedesco (Minervini, R. d. priv. 03, 512; Peduto, ibidem). X. Concorso di azioni collettive promosse da più enti legittimati. n Poiché la titolarità dell’azione collettiva spetta a una pluralità di enti, ci si è domandati quali siano gli effetti della proposizione della domanda nei confronti degli altri co-legittimati, sia nel caso che essi abbiano proposto un’analoga domanda, sia qualora non abbiano esercitato l’azione de qua. Ebbene, secondo l’opinione di un’attenta studiosa, la situazione di cui l’imprenditore è titolare passivo va ricostruita «come un’obbligazione indivisibile di cui gli enti appaiono concreditori», con il conseguente richiamo alla disciplina delle obbligazioni indivisibili e, in particolare, della regola dell’art. 1306 c.c., e ancora, da un punto di vista processuale, con l’applicazione dei principi propri del c.d. litisconsorzio unitario (Pagni, ivi, 164ss., spec. 167s.; in senso sostanzialmente conforme, Odorisio, in Lanfranchi, La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, 487; Giussani, D. e resp. 98, cit., 1063, nel testo e nt. 12). n Ciò comporta, segnatamente: a) che l’azione può essere proposta da uno degli enti senza la partecipazione necessaria degli altri; b) che la formazione successiva del litisconsorzio può avvenire mediante i meccanismi processuali dell’intervento volontario (art. 105 c.p.c.), dell’intervento coatto iussu iudicis (art. 107 c.p.c.), o della chiamata su istanza di parte (art. 106 c.p.c.); c) che se la causa si è svolta con pluralità di parti in primo grado, essa è inscindibile in fase di impugnazione; d) che quando più azioni collettive siano proposte separatamente, sarebbe assai opportuno che esse «fossero trattate congiuntamente e decise con un’unica sentenza» (Pagni, ivi, 168s.; conf., Armone, ivi, 672; Riccio, ivi, 982s.). n Al riguardo, si segnala una recente decisione di merito, secondo la quale, «le associazioni rappresentative degli interessi collettivi dei consumatori, iscritte nell’elenco tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico, sono legittimate ad intervenire nel giudizio promosso da altri enti colegittimati, purché rispettino la condizione di proponibilità costituita 7 1 2 3 140 CODICE DEL CONSUMO dall’intimazione al professionista convenuto, con lettera raccomandata, della cessazione della condotta presuntivamente illecita» (Trib. Roma [ord.] 23-5-2008, F. it. 08, I, 2674, oss. A.D. De 4 Santis). n Ancora, in dottrina vi è chi ritiene che, in applicazione del già ricordato art. 1306 c.c., il giudicato di accoglimento della domanda produca effetti anche nei confronti degli altri co-legittimati, mentre quello sfavorevole non si estenderebbe a essi (Pagni, ivi, 169s.; Odorisio, ibidem; Armone, ibidem; a conclusioni non diverse giungono anche coloro i quali affermano che, in caso di accoglimento si determinerebbe il «venir meno dell’interesse ad agire» degli altri legittimati, mentre in caso di rigetto «la vessatorietà della clausola può essere rimessa in discussione sia in sede collettiva, sia nel contesto di un giudizio concernente il singolo consumatore [ma su questo punto v. infra]»: così, esprimendosi riguardo all’abrogato art. 1469 sexies c.c., Consolo - De Cristofaro, ivi, 481s.; conf., da ultimo, riguardo all’art. 37, Minervini, Contr. imp. 06, cit., 660); tuttavia, altre voci dottrinali dissentono da questa opinione, sostenendo che tale estensione si produrrebbe sia in caso di accoglimento che di rigetto della domanda (Tarzia, R. d. proc. 97, 641; Montesano, ivi, 7ss., spec. 10s.; Giussani, Postilla di aggiornamento, Inibitoria (azione) – I. Diritto processuale civile, cit., 1, con specifico riferimento all’art. 3 l. 281/ 1998; Danovi, R. d. proc. 96, 1073ss.). XI. I rapporti tra l’azione collettiva e l’azione individuale del singolo consumatore o utente. 1 n In merito alla questione, assai delicata e dibattuta, del coordinamento tra l’azione collettiva e l’azione individuale del singolo consumatore, la norma in commento si limita a riproporre al 9o co. quanto già prevedeva l’art. 3, 7o co., della l. 281/1998: la disciplina dell’azione collettiva non preclude il diritto ad azioni individuali dei singoli consumatori (o utenti) che siano danneggiati dalle medesime violazioni, salve le norme in materia di litispendenza, continenza, connessione e riunione di procedimenti (al riguardo, si osserva giustamente l’[estrema] improbabilità del verificarsi di un’ipotesi di litispendenza tra l’azione collettiva e quella individuale, stante la diversità di soggetti e di causa petendi e/o petitum: Armone, ivi, 673; Chiné, ivi, 37; Camero, 2 Della Valle, ivi 185s.; Riccio, ivi, 982). n In dottrina si è molto discusso sui rapporti esistenti tra l’azione collettiva e quella individuale (per un’esaustiva trattazione di questo tema, molto complesso e caratterizzato da un ventaglio di opinioni particolarmente articolato e, a ben vedere, non sempre limpidissimo, v. da ultimo Donzelli, ivi, 794ss.). Al riguardo, vi è chi, muovendo dalla «ontologica contrapposizione 936 tra interessi collettivi ed interessi individuali», afferma che tali azioni costituirebbero «sfere di tutela giuridica giammai sovrapponibili, con esclusione di ogni profilo di plurioffensività» (le parole tra virgolette sono di Donzelli, ivi, 802): sul piano concreto ciò comporta che il petitum immediato dell’azione collettiva potrebbe essere solo il rimedio inibitorio (o l’assunzione degli altri provvedimenti previsti dalla norma in epigrafe), ma mai la tutela risarcitoria (dei diritti individuali omogenei) (Marinucci, ivi, 140ss.; Marengo, ivi, 138); dal canto suo, il singolo consumatore sarebbe sempre escluso dall’area dei legittimati ad agire verso gli illeciti collettivi (sul punto v., pressoché testualmente, Donzelli, ivi, 793) e, secondo alcuni, potrebbe avvalersi esclusivamente della tutela risarcitoria, ma non di quella generale preventiva (Colagrande, ivi, 727; Carratta, ivi, 128; Mazzamuto - Plaia, E. d. priv. 99, 678s.; Belli, ivi, 637). Altri autori, invece, sostengono che sussisterebbe un perfetto rapporto di concorrenza tra azione collettiva e azione individuale: dunque, come spiega efficacemente un attento studioso (Donzelli, ivi, 804), «il singolo, oltre a poter esercitare l’azione in riferimento agli illeciti che lo colpiscono in via differenziata, potrebbe ricorrere al giudice per attivare il sindacato giurisdizionale anche sui comportamenti indifferentemente lesivi della collettività dei consumatori a cui appunto appartiene e, parimenti, l’ente esponenziale, oltre ad essere legittimato ad agire nell’ultima ipotesi ora indicata, potrebbe anche andare – per così dire – in soccorso del consumatore in riferimento agli illeciti che lo riguardano a titolo personale»; questo significa, per talune voci dottrinali, che da un lato il singolo consumatore (utente) potrebbe accedere non solo alla tutela risarcitoria ma pure a quella a carattere inbitorio e preventivo prevista dalla norma in epigrafe (Pagni, ivi, 144; conf., con alcune precisazioni e con motivazioni in parte differenti, Odorisio, ivi, 495ss.; Benucci, ivi, 1094s.), dall’altro che l’azione collettiva può condurre, oltre che alla pronuncia dell’inibitoria (nonché delle altre misure di cui alle lett. b e c dell’articolo in commento), anche all’assunzione di un provvedimento consistente nell’ordine «al responsabile del comportamento lesivo di pagare una somma di denaro a titolo di risarcimento a tutti coloro che possano essere stati danneggiati dall’acquisto» (Pagni, ivi, 153; a questo orientamento dottrinale sembrano aderire anche Benucci, ivi, 1080s., nonché gli altri studiosi citati da Donzelli, ivi, 814, nt. 120, al quale si rinvia per approfondimenti; conf., sull’ultimo principio enunciato, v. anche Camero - Della Valle, ivi, 155ss.). Ebbene, come già detto (v. supra sub par. IV), que- 937 Procedimenti inibitori a tutela degli interessi collettivi dei consumatori sto quadro dottrinale va oggi (almeno parzialmente) rivisto, alla luce dell’introduzione dell’art. 140 bis, norma che, prevedendo e disciplinando espressamente una forma di tutela collettiva risarcitoria, dovrebbe senz’altro escluderla 3 dal perimetro operativo dell’art. 140. n Un altro problema assai controverso e per il quale, specie in dottrina, è stata suggerita una notevole varietà di soluzioni, è quello relativo agli effetti del giudicato (inibitorio) formatosi a conclusione dell’azione collettiva sulla controversia individuale promossa dal singolo consumatore o utente (sul punto, v. da ultimo Donzelli, ivi, 826ss.). Così, taluno ritiene che il giudicato produca i propri effetti solo inter partes, affermando che l’accertamento compiuto in sede di giudizio collettivo non vincoli il giudice chiamato a valutare il comportamento lesivo in un giudizio individuale, giudice che quindi ben potrebbe pronunciarsi in senso contrario (così, Cian, St. i. 96, 418; se ben intendo, Ferri, R. d. proc. 96, 940s.; Moretti, R. d. proc. 97, 887ss.; Carratta, ivi, 137; Minervini, ivi, 659s.; Id., Dei contratti del consumatore in generale, cit., 123s.); altri propendono, diversamente, per l’efficacia ultra partes del giudicato, senza distinguere tra pronuncia di accoglimento e di rigetto (Armone, in Barenghi, La nuova disciplina delle clausole vessatorie nel codice civile, 249ss., ove peraltro, nel caso di rigetto, si riconosceva comunque al consumatore di far valere la vessatorietà della clausola ex art. 1469 ter, 1o co. [v. ora art. 34, 1o co.]); altri ancora, ed è la tesi direi prevalente, sostengono invece che il consumatore, parte del giudizio individuale, potrebbe giovarsi degli effetti favorevoli che conseguono al giudicato sostanziale formatosi nell’ambito del giudizio collettivo, mentre nel caso di pronuncia di rigetto, l’estensione degli effetti sfavorevoli del giudicato al consumatore terzo rispetto al processo collettivo, dovrebbe considerarsi preclusa dal diritto di difesa e dal principio del contraddittorio [v., spec., Tommaseo, ivi, 1203ss.; Pagni, ivi, 185s.; Bellelli, Nuove leggi civ. comm. 97, 1270ss.; Marinucci, ivi, 155; Chiné, Consumatore (contratti del), Enc. D., Agg., IV, 430s.; Odorisio, ivi, 509s.; Lapertosa, R. d. proc. 98, 724s.; Libertini, Contr. imp. E. 96, 567ss., seppure con una specificazione, per l’ipotesi di clausole vessatorie, riguardo al caso dell’esistenza di un’eventuale trattativa individuale); dubbioso sul punto, Giussani, ivi, 2; Id., R. d. priv. 97, cit., 337ss.]. Ebbene, a fronte di un panorama dottrinale così poco uniforme, una commentatrice dell’articolo in epigrafe ha osservato, con un certo rammarico, come il legislatore del codice del consumo abbia perso una buona occasione per dettare una regola univoca che risolvesse 140 una volta per tutte l’annosa questione, magari guardando alle legislazioni di altri Stati comunitari «che, in materia di tutela degli interessi collettivi disciplinano esplicitamente l’efficacia soggettiva della pronuncia, con ampia tendenza a riconoscere efficacia ultra partes alla stessa» (Petrillo, ivi, 840s.). XII. I rapporti con l’azione prevista dal d.lgs. 198/2009. n Il recentissimo d.lgs. 20-12-2009, 1 n. 198 ha introdotto una nuova azione, devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e finalizzata a garantire l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici. Per ciò che interessa in questa sede, l’art. 2 di tale provvedimento legislativo regola i rapporti tra la nuova azione e i giudizi instaurati, «in relazione alle medesime condotte», ai sensi degli artt. 139, 140 e 140 bis, d.lgs. 206/2005 (n.b.: la norma menziona, insieme a questi ultimi, anche altri e diversi giudizi volti ad accertare le predette condotte, giudizi ai quali, benché in realtà esulino dall’oggetto di questo commento, dedicherò un cenno in conclusione del paragrafo). In particolare, tale disciplina sembra ispirata al criterio della «prevalenza» di questi ultimi: infatti, in virtù dell’art. 2 (1o co.), l’eventuale pendenza di un giudizio promosso ai sensi degli artt. 139, 140 e 140 bis, d.lgs. 206/2005 è motivo di «improponibilità» della nuova azione di cui al d.lgs. 198/2009. Inoltre, sempre ai sensi del citato art. 2 (2o co.), l’instaurazione di uno dei giudizi previsti agli artt. 139 e 140, d.lgs. 205/2006 (si noti che, per questa fattispecie, la norma non evoca più l’art. 140 bis) dopo che sia stata promossa l’azione ex d.lgs. 198/2009 comporta la sospensione di questa fino alla definizione dei primi: ancora, tale azione diventa improcedibile, «a seguito del passaggio in giudicato della sentenza che definisce nel merito il giudizio instaurato ai sensi dei citati articoli 139 e 140», mentre «in ogni altro caso» la causa promossa ai sensi della nuova legge deve essere riassunta entro centoventi giorni dalla sua definizione «con pronuncia non di merito», diversamente determinandosi «la perenzione» della controversia stessa. Infine, l’ult. co. dell’art. 2 prevede – evidentemente allo scopo di permettere o rendere più agevole l’operare di tale disciplina – che il soggetto contro cui sia stato proposto il ricorso ai sensi dell’art. 1 d.lgs. 198/2009 abbia l’onere di comunicare immediatamente al giudice l’eventuale pendenza di alcuno dei giudizi di cui agli artt. 139, 140 e 140 bis, d.lgs. 205/2006, o la successiva instaurazione di alcuno dei giudizi di cui ai predetti artt. 139 e 140, affinché il giudice stesso possa assumere i relativi provvedimenti. n Quanto agli 2 altri giudizi di mero accertamento delle medesime condotte oggetto dell’azione introdotta dal 140 bis CODICE DEL CONSUMO d.lgs. 198/2009 (giudizi diversi da quelli già previsti dal codice del consumo), la disciplina è sostanzialmente analoga a quella illustrata nel precedente paragrafo. Così: 1) la loro eventuale pendenza determina l’improponibilità della nuova azione; 2) se instaurati successivamente a quest’ultima, ne provocano la sospensione fino alla loro definizione; 3) entro centoventi giorni 140 bis 938 dalla loro definizione, la causa promossa ai sensi del d.lgs 198/2009 deve essere riassunta a pena di «perenzione»; 4) colui contro il quale sia stato proposta quest’ultima azione ha l’onere di comunicare immediatamente al giudice l’eventuale pendenza o la successiva instaurazione di uno dei predetti giudizi. Azione di classe. 1. I diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti di cui al comma 2 sono tutelabili anche attraverso l’azione di classe, secondo le previsioni del presente articolo. A tal fine ciascun componente della classe, anche mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa, può agire per l’accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni. 2. L’azione tutela: a) i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione identica, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi degli articoli 1341 e 1342 del codice civile; b) i diritti identici spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale; c) i diritti identici al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali. 3. I consumatori e utenti che intendono avvalersi della tutela di cui al presente articolo aderiscono all’azione di classe, senza ministero di difensore. L’adesione comporta rinuncia a ogni azione restitutoria o risarcitoria individuale fondata sul medesimo titolo, salvo quanto previsto dal comma 15. L’atto di adesione, contenente, oltre all’elezione di domicilio, l’indicazione degli elementi costitutivi del diritto fatto valere con la relativa documentazione probatoria, è depositato in cancelleria, anche tramite l’attore, nel termine di cui al comma 9, lettera b). Gli effetti sulla prescrizione ai sensi degli articoli 2943 e 2945 del codice civile decorrono dalla notificazione della domanda e, per coloro che hanno aderito successivamente, dal deposito dell’atto di adesione. 4. La domanda è proposta al tribunale ordinario avente sede nel capoluogo della regione in cui ha sede l’impresa, ma per la Valle d’Aosta è competente il tribunale di Torino, per il Trentino-Alto Adige e il Friuli-Venezia Giulia è competente il tribunale di Venezia, per le Marche, l’Umbria, l’Abruzzo e il Molise è competente il tribunale di Roma e per la Basilicata e la Calabria è competente il tribunale di Napoli. Il tribunale tratta la causa in composizione collegiale. 5. La domanda si propone con atto di citazione notificato anche all’ufficio del pubblico ministero presso il tribunale adìto, il quale può intervenire limitatamente al giudizio di ammissibilità. 6. All’esito della prima udienza il tribunale decide con ordinanza sull’ammissibilità della domanda, ma può sospendere il giudizio quando sui fatti rilevanti ai fini del decidere è in corso un’istruttoria davanti a un’autorità indipendente ovvero un giudizio davanti al giudice amministrativo. La domanda è dichiarata inammissibile quando è manifestamente infondata, quando sussiste un conflitto di interessi ovvero quando il giudice non ravvisa l’identità dei diritti individuali tutelabili ai sensi del comma 2, nonché quando il proponente non appare in