Guida pratica di Medicina Interna

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Guida pratica di Medicina Interna
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EMATOLOGIA
Il sangue deve essere considerato un sistema dinamico in cui le variazioni dipendono dall’equilibrio fra produzione e distribuzione dei suoi componenti. La volemia normale è di
circa 70 ml/kg (pari a circa 1/14 del peso corporeo).
PRODUZIONE
pool
circolante
Inibizione della produzione:
disturbo aplastico
DISTRUZIONE
Aumento della distruzione:
disturbo cateretico
Una diminuzione degli elementi cellulari del sangue può essere dovuta a:
a) diminuita emopoiesi
b) maggiore consumo/perdita
c) combinazione di a) e b).
Il volume di sangue circolante (plasma e cellule) e la percentuale di eritrociti possono essere normali, aumentati o diminuiti. Risultano così vari quadri possibili che si manifestano con frequenza diversa.
L’ematocrito è la percentuale di volume ematico costituita dagli eritrociti. Poiché nel soggetto sano gli eritrociti rappresentano il 96% della quota corpuscolata, l’ematocrito consente di valutare la quantità di eritrociti circolanti.
Gli elementi cellulari del sangue si distribuiscono in compartimenti definiti (teoria dei
pool):
1. pool delle cellule staminali:
piccola riserva di cellule indifferenziate di I ordine nel midollo osseo, da cui si sviluppano le cellule staminali della mielo-, eritro- e trombopoiesi (cellule staminali di II ordine) che costituiscono gli elementi precursori del
2. pool proliferativo e di maturazione
viene stimolato quando la periferia segnala un aumento del fabbisogno.
3. pool di riserva
il numero di cellule è venti volte maggiore del pool funzionale.
4. pool funzionale:
in condizioni normali, si riscontrano in circolo solo cellule mature provenienti dal midollo osseo (es. eritrociti maturi).
Cellule del sangue
Leucopoiesi
Trombopoiesi
Eritropoiesi
Granulopoiesi
Mielopoiesi
Sistema reticolo istiocitario
Linfopoiesi
Sistema
linfo-reticolare
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CITOCHINE
Le citochine sono glicoproteine con azione regolatrice sul controllo della crescita e della
differenziazione cellulare, in particolare del sistema ematopoietico (emopoiesi, funzioni di
difesa).
1. Interferone (IFN)
— IFN-α: prodotto da linfoblasti e leucociti; a scopo terapeutico vengono abitualmente impiegati l’IFN-α-2b e gli ancora più efficaci IFN-α-con 1 (= «consensus interferon») e PEG-IFN-α-2b
— IFN-β: interferone fibroblastico (da fibroblasti)
— IFN-γ: interferone immune (da linfociti T).
Effetto:
— azione immunologica: attivazione dei macrofagi, cellule «natural killer» (NK), cellule T citotossiche ecc.
— azione antivirale: ad es. nel trattamento dell’epatite virale B o C cronica
— azione antitumorale (antiproliferativa): ad es. trattamento della leucemia a cellule
capellute, dei linfomi cutanei a cellule T, della papillomatosi laringea, delle malattie mieloproliferative, del sarcoma di Kaposi, ecc.
Effetti collaterali della terapia con interferone:
— frequenti:
• reazione locale in sede d’inoculazione
• sintomatologia similinfluenzale con febbre, mialgie e cefalea
• effetti collaterali gastroenterici
• piastrino- e leucopenia
— rari:
• effetti collaterali neurotossici: depressione, disgeusia, confusione mentale, turbe
della memoria, vertigine, parestesie, polineuropatia, ecc.
• riacutizzazione di malattie autoimmuni
• induzione di autoanticorpi
• epatotossicità con aumento di γ-GT e bilirubina.
Controindicazioni alla terapia con interferone:
— epatite autoimmune e altre malattie autoimmuni
— cirrosi epatica scompensata (Child C)
— immunosoppressione
— depressione in anamnesi
— gravidanza
— trombocitopenia (< 50.000/µl)
— leucocitopenia (< 2.000/µl)
— bilirubina > 2,5 mg/dl
— tossicodipendenze
— neoplasie maligne (ad eccezione del sarcoma di Kaposi).
2. Interleuchine (IL)
Si definiscono con questo termine un gruppo di proteine regolatorie (IL-1, ..., IL-18)
che partecipano ai processi di comunicazione intercellulare tra linfociti, granulociti e
macrofagi (attivazione, proliferazione, differenziazione dei linfociti; attivazione di granulociti e macrofagi; ecc.). Poiché il numero dei sinonimi delle varie interleuchine è assai elevato, ci si astiene dall’indicarli in questa sede.
IL-2 provoca la differenziazione dei linfociti del sangue periferico nelle cosiddette cellule LAK (lymphokine-activated-killer), che lisano il tessuto tumorale senza distruggere
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il tessuto sano. La terapia con cellule LAK indotte da IL-2 è altamente tossica. Nel trattamento con «linfociti infiltranti il tumore» (TIL) i linfociti T isolati dal tessuto tumorale proveniente dal paziente, vengono attivati con IL-2 e quindi reinfusi nel paziente.
IL-11 = fattore stimolante le colonie megacariocitiche.
Effetti collaterali della terapia con IL-2:
— simili a quelli da interferone (vedi sopra)
— inoltre «capillary leakage syndrome» con edemi, ascite, shock terapia: C1-inibitore.
3. Fattori di crescita della mielopoiesi - colony stimulating factors (CSF)
— GM-CSF: CSF granulocito-macrofagico = molgramostim
— G-CSF: CSF granulocitario = lenograstim, filgrastim
— M-CSF: CSF macrofagico
— EPO:
eritropoietina
— Trombopoietina
— MGDF (fattore di crescita e sviluppo dei megacariociti)
I fattori di crescita trovano impiego terapeutico:
— terapia con EPO dell’anemia da malattie renali, infiammatorie e tumorali
— impiego dell’EPO in caso di autotrasfusione
— prevenzione e terapia con GM-CSF, G-CSF, trombopoietina e MGDF della depressione del midollo osseo indotta da citostatici.
(Espansione dei precursori mieloidi + riduzione da 5 a 1 giorno della maturazione
post-mitotica riduzione del 30% della durata della fase di neutropenia dopo chemioterapia intensiva).
Effetti collaterali: dolori ossei e muscolari (20%), cefalea, astenia, aumento transitorio
di uricemia, LDH e FA.
4. Fattori di necrosi tumorale (TNF)
— TNF-α (da monociti/macrofagi)
— TNF-β (da linfociti)
I TNF possono portare ad una necrosi tumorale emorragica senza distruggere il tessuto
sano.
La terapia è relativamente tossica.
Effetti collaterali della terapia con TNF: simili a quelli da interferone.
I bloccanti del recettore per il TNF-α (etanercept) e gli anticorpi monoclonali antiTNF-a (infliximab) vengono utilizzati nel trattamento dell’artrite reumatoide.
5. Chemochine
Sono proteine chemotattiche (se ne conoscono più di 40) che vengono prodotte da leucociti, cellule endoteliali e cheratinociti, durante la risposta a un’infezione acuta. Svolgono la loro azione intracellulare dopo essersi legate a recettori specifici. Non concorrono solo alla migrazione leucocitaria, ma anche all’emopoiesi, all’attivazione dei linfociti T e alla degranulazione dei leucociti. Se ne conoscono due gruppi principali (CXC,
CC) e un gruppo secondario (C, linfotactina). Le chemochine α o CXC sono attive
principalmente sui neutrofili, mentre le chemochine β o CC agiscono generalmente su
monociti, linfociti, basofili ed eosinofili. Dei recettori per le chemochine α sono noti ad
oggi solo CXCR1-4. Per le chemochine β sono stati identificati ad oggi i recettori
CCR1-5. CXCR4, CCR5, CCR3 fungono da corecettore per HIV-1.
Le chemochine sono intensamente espresse in corso di malattie autoimmuni, tumori,
aterosclerosi e processi infiammatori cronici.
Le chemochine non hanno ancora applicazioni terapeutiche.
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MALATTIE DELLA SERIE ROSSA
Eritropoiesi
L’eritropoiesi nel midollo osseo e gli eritrociti circolanti formano una unità funzionale, l’eritrone. Gli eritrociti nel midollo osseo sono suddivisi in base alla dimensione del nucleo:
— proeritroblasto (E1)
— eritroblasto basofilo (E2)
— eritroblasto policromatofilo (E3)
— normoblasto policromatofilo (E4)
— normoblasto acidofilo (E5)
— E5 elimina il nucleo trasformandosi così in reticolocito.
Rapporto normale dell’eritropoiesi verso la granulopoiesi = 1:3.
Da un proeritroblasto (E1) derivano 16 eritrociti.
Periodo di sviluppo normale da E1 fino al reticolocito: 5 giorni; mediante stimolazione con
eritropoietina la trasformazione può avvenire in 2 giorni.
Trasformazione del reticolocito in eritrocito: 1-2 giorni.
Emivita degli eritrociti: 120 giorni.
Una piccola parte degli eritrociti è distrutta di solito già nel midollo osseo (= eritropoiesi
inefficace). Nell’anemia megaloblastica da mancanza di vitamina B12 o di acido folico l’eritropoiesi inefficace aumenta patologicamente.
Emocateresi (nel SRE)
Il catabolismo degli eritrociti avviene prevalentemente nel sistema monocito-macrofagico
della milza. In caso di splenomegalia si accumula e viene distrutto nella milza un numero
maggiore di cellule.
eritrocito
stroma
emoglobina (legata, nel sangue, alla aptoglobina)
globina
ferro
eme
bilirubina (indiretta = legata all’albumina circolante)
glicuronizzazione nel fegato
(bilirubina diretta che passa nelle urine)
Elementi necessari per l’eritropoiesi
Tra tutte le sostanze necessarie, due sono particolarmente importanti e indispensabili a tal
punto che la loro carenza provoca malattia:
1. ferro (la cui carenza è responsabile dell’80% delle anemie)
2. vitamina B12 e acido folico (anemie megaloblastiche).
L’eritropoiesi è regolata da un meccanismo O2-dipendente, tramite un fattore di crescita
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emopoietico, l’eritropoietina, che nel periodo post-natale si forma principalmente nei reni
(90%), mentre nel periodo fetale la sede di produzione principale è il fegato. Lo stimolo fisiologico per la formazione di eritropoietina da parte dei fibroblasti peritubulari è rappresentato dall’ipossia tissutale. L’eritropoietina, legandosi al recettore specifico presente alla
superficie cellulare, promuove la differenziazione delle cellule staminali di 1° ordine ad
eritroblasti nonché l’ulteriore differenziazione dell’eritropoiesi sino a reticolociti ed eritrociti. Viene così impedita l’apoptosi precoce.
Concentrazione plasmatica normale dell’eritropoietina: 10-25 U/l.
Un aumento della concentrazione di eritropoietina si riscontra in caso di:
— carenza sistemica di O2 (anemie, insufficienza cardiaca/polmonare)
— carenza locale di O2 (cisti renali, idronefrosi)
— ipernefroma (sintesi paraneoplastica di eritropoietina).
Concentrazione diminuita di eritropoietina in:
— policitemia vera (proliferazione neoplastica che interessa soprattutto la linea eritroide)
— insufficienza renale (anemia renale) in cui è assente l’aumento dell’eritropoietina tipico
delle anemie.
Gli eritrociti più giovani contengono ancora residui di RNA sotto forma di sostanza reticolare o filiforme (evidenziabile con colorazione sopravitale). Tali cellule, dette reticolociti,
hanno una vita media massima di 2 giorni e rappresentano il 3-18‰ delle emazie. La quota di reticolociti presenti nel sangue periferico e di eritroblasti nel midollo può dare indicazioni sul tipo di anemia:
a) iperrigenerativa: reticolociti ed eritroblasti aumentati
b) ipo- o arigenerativa: reticolociti ed eritroblasti diminuiti.
Nel primo caso si tratta di una anemia in cui è abnormemente aumentato il consumo periferico di eritrociti circolanti, per cui il midollo osseo compensa rigenerando grosse quantità
di cellule, ma il bilancio rimane negativo.
Nel secondo caso si ha un difetto di proliferazione nel midollo osseo.
Nomenclatura morfologica degli eritrociti
— acantociti = eritrociti raggrinziti a superficie spinosa, ad es. in corso di carenza di piruvato-chinasi
— anisocitosi = dimensione irregolare degli eritrociti senza modifica di forma (qualsiasi
tipo di anemia)
— anulociti = eritrociti a forma d’anello, con MCH ridotta (in caso di ipocromia marcata)
— punteggiatura basofila degli eritrociti = in caso di eritropoiesi aumentata o alterata (intossicazione da piombo, talassemia)
— dacriociti = forme a lacrima (ad es. osteomielofibrosi)
— ellissociti = eritrociti ovali (clinicamente irrilevante nella ellissocitosi ereditaria, causata da mutazioni diverse a carico del gene della spectrina o del gene della proteina 4.1)
— schistociti = frammentociti = eritrociti rotti (ad es. sindrome emolitico-uremica (SEU),
porpora trombotica trombocitopenica (PTT), in caso di protesi valvolare)
— corpuscoli di Heinz = emoglobina denaturata e precipitata (ad es. mancanza di G-6-PD
oppure metemoglobinemia)
— corpuscoli di Howell-Jolly = residui di nuclei negli eritrociti (splenectomia)
— macrociti = eritrociti di forma normale ma con diametro maggiore (> 8,5 µ) e MCV
aumentato, spesso ipercromici (ad es. alcoolismo, carenza di acido folico, carenza di vitamina B12)
— megalociti = eritrociti ipercromici ingranditi, leggermente ovali (carenza di vitamina B12
o acido folico)
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— microciti = eritrociti di forma normale ma con diametro minore (< 6,8 µ), spesso ipocromici (ad es. nell’anemia sideropenica)
— normociti = eritrociti normali, della dimensione di 6,8-7,3 µ, più chiari al centro
— poichilocitosi = pronunciate modifiche di forma degli eritrociti (tutte le anemie gravi)
— cellule falciformi = gli eritrociti assumono forma di falce a causa dell’emoglobina abnorme (HbS) (anemia a cellule falciformi)
— sferociti = piccoli, discoidi, a forma rotonda, senza zona chiara centrale (sferocitosi)
— cellule a bersaglio = eritrociti ipocromici con ispessimento centrale (talassemia).
ANEMIA
Definizione: diminuita concentrazione dell’emoglobina, oppure ridotto ematocrito, oppure
numero degli eritrociti al di sotto della norma:
emoglobina (Hb): < 13,5 g/dl (M)
< 12,0 g/dl (F)
eritrociti:
ematocrito (Ht): < 40% (M)
< 37% (F)
< 4,3 milioni/µl (M)
< 3,9 milioni/µl (F)
I valori di Hb e di Ht sono reciprocamente correlati e sono i parametri decisivi per la diagnosi di anemia. Il numero degli eritrociti non sempre si correla al valore di Hb e non è
quindi un parametro sensibile per una definizione di anemia (ad es. anemia da carenza di
ferro con Hb diminuita ma numero di eritrociti ancora normale).
Classificazione dei tipi di anemia
Principio
Eziologia
Forme di anemia
1. Diminuita
produzione
1. alterazioni a carico delle
cellule staminali eritropoietiche
2. alterazioni a carico delle
cellule eritropoietiche
differenziate
3. alterazioni dell’emoglobina
4. carenza di eritropoietina
anemia aplastica
sindromi mielodisplastiche
anemia megaloblastica da
carenza di vitamina B12
o di acido folico
anemia sideropenica
anemia da malattia renale
2. Aumentata
distruzione degli
eritrociti
1. difetti eritrocitari
anemie emolitiche da causa
eritrocitaria
— difetti di membrana
— difetti enzimatici
— difetti dell’emoglobina
anemie emolitiche da causa
extraeritrocitaria
— iso/autoanticorpi
— farmaci
— malattie infettive
— noxae fisico-chimiche
— disturbi metabolici
— forme rare
2. cause extraeritrocitarie
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3. Perdita di eritrociti
emorragia
anemia post-emorragica
4. Ridistribuzione
degli eritrociti
«pooling» delle cellule ematiche
in caso di splenomegalia
ipersplenismo
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Classificazione delle anemie in base al volume corpuscolare medio (MCV) e alla concentrazione corpuscolare media di emoglobina (MCH)
Anemia microcitica
ipocromica
Anemia normocitica
normocromica
Anemia macrocitica
ipercromica
(MCH + MCV )
(MCH + MCV normali)
(MCH + MCV )
sideremia talassemia
sindrome mielodisplastica
reticolociti anemia emolitica
anemia post-emorragica
reticolociti normali
anemia megaloblastica
(carenza di vitamina B12
o di acido folico)
sideremia e ferritina anemia sideropenica
reticolociti anemia aplastica
anemia da malattia renale
sideremia , ferritina anemia da infiammazione, infezione, tumore
Metabolismo del ferro
Fabbisogno giornaliero di ferro:
uomo
1 mg
donna
in età fertile 2 mg
in gravidanza 3 mg
Il contenuto medio di ferro in un uomo di 70 kg è di circa 3,5 g (50 mg/kg peso corporeo), in una donna di 60 kg è di circa 2,1 g (35 mg/kg peso corporeo).
Il ferro corporeo è così distribuito:
— ferro eminico (70%)
— ferro di deposito (18%): in sede intracellulare, sottoforma di ferritina ed emosiderina
— ferro funzionale (12%): mioglobina ed enzimi contenenti ferro
— ferro da trasporto (0,1%): ferro legato alla transferrina.
Emoglobina
La maggior parte del ferro si trova quindi legata all’emoglobina. 1 g di emoglobina (Hb)
contiene 3,4 mg di ferro; pertanto: un uomo di 70 kg, con un valore di Hb pari a 15 g/100
ml ed un volume di sangue circolante di 5.000 ml possiede:
3,4 mg
1 g Hb
×
15 g Hb
× 5000 ml = 2,55 g Hb-ferro
100 ml
Quindi 1 ml di sangue contiene 0,5 mg di ferro.
L’omeostasi del ferro è assicurata da due meccanismi:
— recupero del ferro eminico libero e funzionale da parte dei macrofagi del sistema reticolo-istiocitario. Il ferro può essere qui direttamente accumulato sottoforma di ferritina
o emosiderina, oppure può essere subito ceduto alla transferrina circolante
— assorbimento intestinale: la regolazione della quantità di ferro nell’organismo è assicurata dalla quota di assorbimento del ferro nel primo tratto dell’intestino tenue, dove viene assorbito solo il Fe++. La biodisponibilità del ferro alimentare è < 10% in condizioni di equilibrio del bilancio del ferro, e può aumentare sino al 25% in caso di mancanza di ferro.
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A livello delle cellule della mucosa si trova un sistema di trasporto di cui fanno parte
due proteine citoplasmatiche:
1. transferrina della mucosa: per il ferro a rapido turnover (pool di trasporto)
2. ferritina della mucosa: per il ferro a lento turnover (pool di riserva).
Trasporto del ferro nel sangue
Nel sangue, il ferro si trova legato alla transferrina (una β1-globulina). In condizioni normali, la capacità di legare ferro della transferrina è sfruttata solo per un terzo.
Una bassa sideremia si trova nelle seguenti condizioni:
1. sideropenia (vedi sotto)
2. infiammazioni croniche, infezioni e tumori = ridotta liberazione di ferro dal SRE.
La sideropenia aumenta la concentrazione della transferrina. Infezioni, infiammazioni o tumori abbassano il livello di transferrina.
Deposito del ferro
La ferritina e l’emosiderina si trovano all’interno delle cellule (SRE + parenchima) nel fegato (1/3), nel midollo osseo (1/3) e nella milza e altri tessuti (ad es. tessuto muscolare).
a) Ferritina: è costituita da un guscio proteico (apoferritina) e dai nuclei di micelle di
idrossido di ferro difosfato. La ferritina accumula ferro in forma biologica e protegge le
cellule dagli effetti tossici del ferro ionizzato.
Analisi della concentrazione della ferritina:
— tramite radioimmuno-assay (RIA)
— tramite colorazione, ad es. eseguendo un puntato osteo-midollare (reazione col blu
di Berlino)
— tramite microscopia elettronica (le particelle hanno dimensioni di 6-7 nm).
Il livello di ferritina sierica è strettamente correlato alle riserve corporee di ferro.
La concentrazione di ferritina segue un andamento inverso a quello della transferrina;
nell’anemia sideropenica, ferritina sierica diminuita; nell’anemia da infezioni, infiammazioni e tumori, ferritina sierica normale o aumentata.
Valori ridotti di ferritina indicano carenza di ferro.
Memo: una sideropenia pre-latente è riconoscibile già molto prima dell’esaurimento
delle scorte di ferro da una ridotta concentrazione di ferritina (dunque ancora a concentrazione normale di ferro e di transferrina nel siero)!
Nota: durante una reazione di fase acuta (infiammazione, trauma, neoplasia) si verifica
una ridistribuzione del ferro nei macrofagi, in assenza di un deficit di ferro. In questo
caso la ferritina è aumentata mentre la transferrina è diminuita.
b) Emosiderina (non idrosolubile): è visibile al microscopio ottico sotto forma di granuli
color ocra (che appaiono blu dopo reazione al blu di Berlino). Al microscopio elettronico si rilevano aggregati intracellulari lisosomiali di emosiderina (siderosomi) conseguenti ad autofagia cellulare delle particelle denaturate di ferritina. In caso di abbondanza di ferro i granuli di emosiderina appaiono aumentati nei macrofagi e nelle cellule parenchimali (ad es. nel fegato).
SIDEROPENIA ED ANEMIA SIDEROPENICA
Epidemiologia: in Europa interessa circa il 10% delle donne in età fertile, più del 50% nei
Paesi in via di sviluppo. È l’anemia più frequente: 80% di tutte le anemie. L’80% delle anemie sideropeniche si riscontra nelle donne (perché perdono Fe con la mestruazione; il fabbisogno di Fe aumenta durante la gravidanza e l’allattamento).
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Eziologia
1. carenze dietetiche (in neonati e bambini, vegetariani). Apporto alimentare quotidiano consigliato: uomini 12 mg, donne in età fertile 15 mg
2. assorbimento insufficiente: acloridria, sindrome da gastroresezione, sindrome da
malassorbimento
3. aumento del fabbisogno (sviluppo, gravidanza, allattamento, attività sportiva); anche
in caso di anemia macrocitica trattata con vitamina B12 o folati
4. perdita di ferro: i casi di sideropenia più frequenti (80%) sono dovuti ad emorragie
croniche, tra le quali:
— emorragie a livello del tratto digerente (ulcera, gastrite erosiva, emorragia da varici esofagee, ernia iatale, carcinoma, diverticolosi del colon, emorroidi, infestazione da anchilostoma, ecc.)
— metromenorragie nella donna
— altri tipi di emorragia (tratto urogenitale, orofaringe, naso, polmoni)
— emorragie da interventi chirurgici o traumi
— perdite da emodialisi, frequenti prelievi e donazioni
— sanguinamento da diatesi emorragica
— raramente, da sanguinamento indotto volontariamente (sindrome di Münchhausen: disturbo nevrotico in cui il paziente si provoca o simula una malattia o un
reperto obiettivo).
Clinica
Si parla di sideropenia o di carenza di ferro latente quando i sintomi dovuti alla carenza di ferro si manifestano ancora prima della comparsa dell’anemia.
1. Sintomi a carico di cute e mucose:
— unghie fragili, incavate e concave (coilonichia), perdita diffusa di capelli, afte
orali ricorrenti, disidrosi cutanea e prurito;
— sindrome di Plummer-Vinson: atrofia sideropenica della mucosa della lingua,
dell’orofaringe e dell’esofago, con dolori urenti e disfagia dolorosa;
— ragadi della commissura labiale.
Diagnosi differenziale delle ragadi della commissura labiale (sinonimi: cheilite angolare, perleche, boccheruola):
— nei bambini: infezione da streptococco o eczema atopico;
— negli anziani: frequenti infezioni da candida, in presenza di fattori predisponenti (oltre alle rughe dovute all’età).
2. Disturbi aspecifici psichici o neurologici:
cefalea, deficit di concentrazione, irritabilità, «restless legs», pica (= picacismo) =
abnorme desiderio alimentare di sostanze non commestibili (diagnosi differenziale =
gravidanza).
3. Sintomi generali dell’anemia
— pallore della cute (poco significativo) e delle mucose (più significativo).
Nota: formulare una diagnosi di anemia basandosi soltanto sull’aspetto (pallore)
può portare ad errata diagnosi. Vi sono soggetti con cute costituzionalmente pallida da vasi poco superficiali o da vasocostrizione
— astenia, eventuale dispnea da sforzo (diminuito apporto di O2).
Diagnosi errata: insufficienza cardiaca!
— eventuale soffio sistolico (non organico, bensì dovuto a turbolenza del flusso, da
diminuita viscosità ematica).
Diagnosi differenziale: endocardite lenta con vizio valvolare ed anemia infettivo-tossiemica.
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Laboratorio: stadi della carenza di ferro:
1. Sideropenia pre-latente (deficit dei depositi di ferro):
— ferritina sierica e ferro nel midollo osseo diminuiti
— assorbimento di 59Fe aumentato
2. Sideropenia latente (eritropoiesi in carenza di ferro):
— ferro sierico diminuito, transferrina aumentata, sideroblasti midollari diminuiti
3. Sideropenia manifesta = anemia sideropenica
— emoglobina, eritrociti, ematocrito diminuiti.
Nota: le anemie sideropeniche provocano primitivamente una minore produzione di emoglobina e solo secondariamente anche di eritrociti! Con Hb diminuita
pertanto il numero degli eritrociti può ancora essere inizialmente nei limiti di
norma.
— Morfologia:
poichilocitosi: eritrociti di forma irregolare
anisocitosi: eritrociti di diversa dimensione
eritrociti microcitici: MCV (mean corpuscular volume) = volume corpuscolare
medio < 85 fl.
eritrociti ipocromici scarsamente colorati: MCH (mean corpuscular hemoglobin)
= emoglobina corpuscolare media < 28 pg
Hb (g/dl)
MCH =
× 10 = [pg]
eritrociti (106/µl)
Ht (%)
MCV =
× 10 = [fl]
eritrociti (106/µl)
Nota: l’MCHC (mean corpuscular hemoglobin concentration = Hb:Ht) è poco
importante per la diagnostica dell’anemia.
Diagnosi differenziale
1. Anemia ipocromica
Anemia da
infiammazione,
infezione, tumori
Anemia
sideropenica
Sindromi
mielodisplastiche
β-talassemia
Ferro sierico
⇓
⇓
⇑
n - ↑
Transferrina
(= capacità totale
di legare il ferro)
↓
⇑
⇓
n - ↓
Ferritina sierica
↑
⇓
⇑
n - ↑
Reperto midollare ferro nei
macrofagi
mancanza di
forte accumulo di
accumulo di ferro ferro, sideroblasti
patologici
abbondante
accumulo di ferro
Particolarità
sintomi della
siderosi organica
sideropenia,
spesso emorragie
occulte
cellule target
nello striscio di
sangue, segni di
emolisi, HbA2
aumentata
malattia di base!
Nota: le anemie da infezione, infiammazione e tumore sono nel 75% dei casi normocromiche, nel 25% lievemente ipocromiche.
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Cause molto rare di anemia ipocromica: intossicazione da piombo, carenza di vitamina B6, carenza di rame
diagnosi: dosare queste sostanze nel siero.
2. Idremia gravidica: anemia da emodiluizione per ritenzione idrica in corso di gravidanza possibile calo dell’Hb sino a 10 g/dl.
Diagnosi
1. anemia da sideropenia:
— anamnesi/clinica
— laboratorio (Hb, eritrociti, ferro, ferritina diminuiti; transferrina aumentata)
2. chiarimento della causa:
in caso di diagnosi di anemia sideropenica, occorre sempre risalire alla sua eziologia; la causa più frequente è un sanguinamento.
— ricerca a livello del tratto gastro-intestinale della sede dell’emorragia: ricerca del
sangue occulto nelle feci (ad es. hemoccult test), oppure indagini gastroenterologiche
— esclusione di emorragie a livello del tratto urogenitale (indagini urologiche e ginecologiche)
— considerare altre cause di emorragia, come ad es. emorragia gengivale/dal naso,
grossi ematomi ecc.
— esclusione di un alterato assorbimento del ferro, tramite test specifico: misurazione della sideremia prima e dopo 2 ore dall’assunzione di 100 mg di Fe++: è
normale l’aumento della sideremia pari al doppio del valore basale.
Terapia
1. Terapia eziologica
2. Terapia sintomatica sostitutiva
Indicazioni: carenza reale di apporto esogeno di ferro. Per via orale viene solitamente somministrato ferro bivalente.
La somministrazione parenterale di ferro è indicata solamente in caso di:
— quadri infiammatori gastrointestinali
— sindrome da malassorbimento
— grave intolleranza alla terapia per via orale (ad es. formazione di ulcere).
Controindicazioni: anemia da infiammazione, infezione, tumore; altre anemie con
valori normali di ferritina; emosiderosi ed emocromatosi con valori patologicamente elevati di ferritina.
Effetti collaterali
1. Terapia orale: colorazione scura delle feci (diagnosi differenziale: feci picee), dispepsia in caso di intolleranza gastrica somministrare il ferro durante o dopo
i pasti (sebbene in tal modo l’assorbimento sia inferiore che a stomaco vuoto).
Con la terapia orale il pericolo di sovradosaggio è presente solo nella rara emocromatosi; con la somministrazione parenterale è presente anche nei casi eterozigoti clinicamente asintomatici.
2. Terapia parenterale:
— il ferro ionico è mal tollerato se somministrato e.v.: emicrania, sensazione di
caldo, nausea, vomito, sapore di metallo, dolori precordiali, talvolta collasso,
shock anafilattico (mai somministrare ferro per via parenterale in soggetti
con reazioni allergiche!)
— rischio di tromboflebite!
— pericolo di sovradosaggio (rispettare la corretta posologia).
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Interazioni: il ferro non deve essere assunto per via orale contemporaneamente a tetracicline, antiacidi, colestiramina (che possono alterarne l’assorbimento).
Dosaggio
1. Terapia orale: 100-200 mg di ferro bivalente/die, suddiviso in 2 somministrazioni.
Nota: solo il ferro bivalente è ben assorbito a livello intestinale (circa 20%); è
pertanto utilizzato per la terapia orale.
La somministrazione orale di ferro deve proseguire per almeno 3 mesi (per ripristinare le riserve di ferro). In caso di adeguata risposta alla terapia, la quota
reticolocitaria e l’Hb aumentano entro una settimana. Il mancato aumento significa una terapia inefficace (ad es. assunzione irregolare o inadeguata del preparato a base di ferro), alterazioni dell’assorbimento, una diagnosi errata (anemia
di altra genesi!) oppure sanguinamento persistente (non riconosciuto). Emoglobina e ferritina sierica devono normalizzarsi.
Le compresse di ferro possono essere radioopache nel tratto gastro-intestinale
(diagnosi differenziale: calcoli biliari o renali) e le feci possono assumere un colore nerastro (diagnosi differenziale: feci picee).
Nei bambini, l’assunzione accidentale di compresse di ferro può provocare intossicazioni mortali (dose letale: circa 3 g di ferro bivalente solfato)! Pertanto, i
preparati a base di ferro vanno tenuti lontani dalla portata dei bambini! Antidoto: deferoxamina.
2. Terapia parenterale:
— la terapia parenterale deve sempre essere solo a base di ferro trivalente
— evitare iniezioni miste; in particolare non iniettare contemporaneamente sostanze riducenti, come la vitamina C!
Essendo molto bassa la capacità del plasma di legare il ferro (biodisponibilità:
3-4 mg di ferro/1 plasma; il che corrisponde a 20 mg in dose singola per una
persona adulta!) tutto il ferro somministrato per via parenterale che supera questa quantità è tossico.
Fabbisogno totale massimo: regola empirica: deficit di Hb in g/dl × 250 = dose
totale in mg.
L’indicatore più attendibile di un adeguato apporto di ferro è la normalizzazione dell’Hb e della ferritina sierica!
Iniezione intramuscolare di solo ferro, solo in casi eccezionali, qualora la somministrazione per via orale o endovenosa non sia possibile, ad esempio in caso
di sindrome da malassorbimento o impossibilità di accesso venoso. La somministrazione intramuscolare provoca dolore, iperpigmentazione cutanea in sede di
inoculazione.
Prevenzione: somministrazione di ferro in gravidanza.
ANEMIE MEGALOBLASTICHE
Definizione: carenza di vitamina B12 e/o acido folico con disturbi nella sintesi del DNA e
nella maturazione del nucleo nella mielopoiesi nonché comparsa di megaloblasti.
Sintomi tipici: anemia megaloblastica, sintomi neurologici e gastrointestinali.
Epidemiologia: le anemie megaloblastiche sono più frequenti per carenza di vitamina B12.
Incidenza: 9/100.000/anno.
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Fisiopatologia: acido folico e vitamina B12 rivestono particolare importanza nella sintesi
dei precursori del DNA. Invece dell’uracile viene incorporata nel DNA, quale desossinucleotide, la timina (uracile metilato). L’acido folico si riduce a tetra- o diidrofolato e
funge in questa forma da coenzima nel trasferimento delle unità C1.
Tetraidrofolato
Serina,
formiminoglutammato
Reduttasi (bloccata dal metotrexate)
purina
metionina
Diidrofolato
Sintesi
del DNA
dTMP (desossitimidinmonofosfato)
Pool di cessione
del C1
dUMP (desossiuridin-monofosfato)
La vitamina B12, un composto ciclico porfirino-simile contenente cobalto, è un coenzima essenziale per la sintesi del DNA. La vitamina B12 (sintetizzata nel colon umano da
microorganismi) non è assorbibile e pertanto l’essere umano dipende dall’apporto alimentare di origine animale (fegato, carne, latte, uova).
La vitamina B12 si trova nell’organismo in due forme attive: adenosilcobalamina, necessaria per la trasformazione del metilmalonil-CoA in succinil-CoA. Qualora manchi
l’adenosilcobalamina, si verifica un accumulo dei precursori con formazione di acidi
grassi non fisiologici (il cui accumulo nei lipidi neuronali è verosimilmente causa dei
disturbi che si presentano a carico del SNC). La metilcobalamina è necessaria per la
trasformazione dell’omocisteina in metionina. Qualora vi sia carenza di metilcobalamina, si ha un disturbo a livello del metabolismo dell’acido folico (con alterata sintesi del
DNA e ripercussioni a carico dell’emopoiesi).
vitamina B12
5-metil-THF
THF
omocisteina
metionina
Metabolismo della vitamina B12: la presenza del cosiddetto fattore intrinseco è premessa
necessaria per l’assorbimento di vitamina B12 a livello della porzione terminale dell’ileo.
Si tratta di un glicopeptide prodotto dalle cellule parietali della mucosa dello stomaco.
Nel plasma la vitamina B12 è legata alla glicoproteina transcobalamina II, che è l’accettore diretto per la vitamina B12 assorbibile, che ha una breve emivita (T1/2 = 1 ora).
Tuttavia, in seguito, la vitamina B12 si lega in gran parte alla transcobalamina I (che ha
una lunga emivita: T1/2 = alcuni giorni) per essere trasportata al fegato, al midollo osseo e ad altri tessuti a rapida proliferazione. Solitamente nel fegato vengono immagazzinati ca. 2 mg di vitamina B12, mentre altri 2 mg vengono immagazzinati in sedi extraepatiche (normalmente tale scorta di vitamina basterebbe, con apporto discontinuo,
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per almeno 3 anni, essendo l’emivita biologica della vitamina B12 di 450-750 giorni). Il
fabbisogno giornaliero è di ca. 5 µg.
Valori normali di vitamina B12 nel plasma: 210-910 pg/ml
Metabolismo dell’acido folico: l’acido folico è contenuto negli alimenti (verdure, fegato)
sotto forma di poliglutammato e viene scisso, a livello dell’intestino tenue, in monoglutammato. Tale scissione può essere disturbata dai contraccettivi orali e da alcuni farmaci (ad es. difenilidantoina). Ciò può costituire una delle cause di carenza di acido folico. L’assorbimento di acido folico avviene prevalentemente a livello del digiuno. La
riserva di acido folico nel fegato (ca. 5 mg) è sufficiente, in caso di mancato apporto,
per circa 3 mesi.
Fabbisogno giornaliero: 100 µg (in gravidanza 400 µg).
Concentrazione plasmatica normale di acido folico: 3-15 ng/ml.
Tipi di anemia megaloblastica
1. Carenza di vitamina B12
— carenze dietetiche (alimentazione vegetariana) (rare)
— carenza di fattore intrinseco
• esiti di gastroresezione
• «anemia perniciosa» (malattia di Biermer): tale quadro è caratterizzato da gastrite atrofica di tipo A con acloridria pentagastrino-refrattaria, verosimilmente dovuta alla formazione di auto-anticorpi contro le cellule parietali gastriche
e contro il fattore intrinseco stesso. È più frequente negli anziani, F > M.
— sindrome da malassorbimento (vedi il relativo capitolo)
— aumentato consumo dovuto a parassitosi (tenia)
— ipercrescita batterica (ad es. in caso di «sindrome dell’ansa cieca»)
2. Carenza di acido folico
— carenze dietetiche (alcoolismo, diete non variate in pazienti anziani)
— aumentato fabbisogno (emolisi, gravidanza)
Diagnosi differenziale: cause di anemia in corso di gravidanza:
• anemia fisiologica della gravidanza (pseudoanemia causata da emodiluizione
da ritenzione idrica)
• anemia sideropenica
• anemia megaloblastica da carenza di acido folico
— sindrome da malassorbimento
— alterazioni del metabolismo dell’acido folico dovuti a particolari farmaci (difenilidantoina, v. sopra)
— terapia con antagonisti dell’acido folico (metotrexate, pirimetamina, trimethoprim) e triamterene.
Clinica
Triade sintomatologica della carenza di vitamina B12: disturbi ematologici, gastrointestinali e neurologici.
1. Sindrome ematologica:
sintomi generali da anemia: astenia, affaticabilità, pallore. Nei casi gravi il colore
della cute è giallo paglia o caffelatte, dovuto a pallore e ittero modesto (causa dell’ittero: eritropoiesi inefficace con emolisi intramidollare delle cellule eritropoietiche) (diagnosi errata: epatopatia).
2. Sindrome gastrointestinale:
— gastrite atrofica autoimmune di tipo A con acloridria in caso di anemia perniciosa
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— alterazioni trofiche della mucosa, glossite atrofica (tipo Hunter) con lingua liscia e arrossata e parestesie linguali urenti.
3. Sindrome neurologica:
degenerazione spinale funicolare e demielinizzazione:
— dei cordoni posteriori: parestesie e deficit della sensibilità vibratoria e del senso
di posizione (atassia spinale)
— della via piramidale: paresi spastica, segni piramidali.
Si manifestano sintomi e segni da polineuropatia con parestesie dolorose a carico di
mani e piedi (formicolio, andatura atassica). Eventuale areflessia delle estremità inferiori, occasionalmente anche sintomi psicotici.
Il sintomo precoce meglio evidenziabile è la comparsa di un deficit delle sensibilità
profonde, in particolare della sensibilità vibratoria (esame con diapason).
Nota: così come esiste sideropenia associata ad una sintomatologia a carico di cute
e mucose senza anemia, allo stesso modo può aversi carenza di vitamina B12 associata a deficit neurologici senza contemporanea anemia. Di conseguenza, in caso di
deficit neurologici sfumati, occorre considerare sempre anche la possibile carenza
di vitamina B12.
Clinica della carenza di acido folico:
— comparsa di anemia megaloblastica senza sintomi neurologici
— la carenza di acido folico aumenta in gravidanza il rischio di difetti embrionali del
tubo neurale (frequenza 1:1000). È pertanto indicata una supplementazione di acido
folico nelle donne che desiderano una gravidanza riduzione del rischio di difetti
del tubo neurale del 70% circa.
Laboratorio
1. Striscio periferico:
anemia megalocitica: i megalociti hanno un volume corpuscolare medio aumentato
(MCV > 98 fl) e sono ipercromici (MCH > 34 pg). Comunque la concentrazione di
emoglobina non è aumentata in assoluto (MCHC normale); frequenti leucopenia e
trombocitopenia (pancitopenia), granulociti con nucleo ipersegmentato.
2. Midollo osseo:
disturbi della maturazione e alterazioni nelle 3 linee cellulari ematopoietiche: eritro-, granulo- e trombopoiesi «inefficaci» (al contrario, le cellule staminali restano
intatte);
iperplasia eritropoietica: mentre nel midollo osseo normale il rapporto delle cellule
granulopoietiche verso quelle eritropoietiche è di circa 3:1, questo indice G/E si
sposta a favore dell’eritropoiesi (ad es. a valori attorno a 1:1). Al posto dei normoblasti si formano i megaloblasti, ossia cellule con citoplasma largo, grossi nuclei a
struttura di cromatina instabile e spesso distacco del nucleo dovuto ad alterazioni
nella maturazione. Alterazioni anche della granulopoiesi con i tipici bastoncelli giganti e cellule immature giganti (metamielociti giganti).
3. Segni di eritropoiesi inefficace con emolisi:
— sideremia aumentata (diminuisce dopo terapia con B12; in seguito può manifestarsi sideropenia)
— LDH aumentata
— bilirubina indiretta aumentata.
Nota: è possibile dimostrare l’esistenza di una eritropoiesi inefficace determinando la clearance plasmatica del 59Fe.
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4. Il dosaggio della vitamina B12 o dell’acido folico nel plasma ne documenta la carenza.
5. Dimostrazione di diminuito assorbimento di vitamina B12 tramite il test di Schilling,
eseguibile con due metodiche (con una o due molecole test marcate con radioisotopi *): dopo somministrazione orale delle molecole marcate se ne valuta l’attività
nelle urine.
*Co-B12 senza FI
*Co-B12 con FI
normale
normale
Malassorbimento ileale
Gastrite cronica atrofica di tipo A
con deficit di FI
normale
Soggetto normale
FI = fattore intrinseco
Diagnosi differenziale
Alterazioni megaloblastiche nella sindrome mielodisplastica.
Diagnosi
— anamnesi/clinica
— laboratorio: crasi ematica completa
dosaggio della vitamina B12 e dell’acido folico
(non iniziare prima un trattamento alla cieca con vitamina B12 o acido folico!)
— esame del midollo osseo.
Diagnosi di un’anemia perniciosa
— test di Schilling patologico, parte I (parte II normale)
— presenza di autoanticorpi:
• > 90% ha anticorpi verso le cellule parietali (talvolta presenti anche in soggetti
sani)
• ca. il 70% ha anticorpi verso il fattore intrinseco
• ca. il 40% ha anticorpi verso la tiroide (evtl. con ipotiroidismo)
— diagnostica dello stomaco:
analisi dei succhi gastrici (acloridria pentagastrino-refrattaria) + gastroscopia/biopsia
(gastrite cronica atrofica di tipo A).
Dimostrazione di carenza di acido folico
1. diminuita concentrazione di acido folico nel sangue
2. test di Schilling normale
3. figlu test urinario: in caso di carenza di acido folico, dopo somministrazione orale
di istidina aumenta l’escrezione urinaria di formiminoglutammato perché, a causa
della carenza di acido folico, viene inibito uno dei passaggi metabolici nel catabolismo dell’istidina a glutammato.
Terapia
A) Carenza di vitamina B12
1. Terapia della patologia di base:
ad es. in caso di sindrome da «ansa cieca» terapia a cicli con doxiciclina; eventualmente si procede per via chirurgica, trasformando un Billroth II in Billroth
I; chemioterapia antiparassitaria, ecc.
2. Terapia sostitutiva con vitamina B12:
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a) somministrazione parenterale: è la via di somministrazione più frequente,
obbligatoria in fase iniziale del trattamento e nei pazienti con ridotta compliance.
Si preferisce l’idrossicobalamina alla cianocobalamina perché la prima viene
eliminata più lentamente (maggiore legame all’albumina sierica).
La somministrazione per via intramuscolare è consigliata in caso di ridotto
assorbimento intestinale.
— Dose iniziale: schemi variabili di dosaggio, ad esempio 100 µg/die i.m.
per 3 settimane.
— Dose di mantenimento: 100 µg/mese i.m. oppure 500 µg ogni 3 mesi
i.m. (per tutta la vita).
b) somministrazione orale: anche in caso di carenza di fattore intrinseco viene
assorbito circa l’1% della dose di vitamina B12 assunta per os. Pertanto è
possibile una terapia di mantenimento orale ad alta dose (2.000 µg/die), peraltro costosa.
Già dal 2° giorno si manifesta l’efficacia della vitamina B12; infatti a livello midollare scompaiono i megaloblasti e compare una grossa popolazione di normoblasti. Al 4°-5° giorno si ha una crisi reticolocitaria nel sangue periferico che
raggiunge il massimo dopo 10-12 giorni, e successivamente aumenta anche il
numero di eritrociti.
Nota: in questa fase praticare terapia sostitutiva anche con potassio e ferro (aumentato fabbisogno da aumentata eritropoiesi). Questa fase può condurre a
trombocitosi con aumentato rischio di tromboembolia. In caso di degenerazione
spinale funicolare si somministrano dosi maggiori di vitamina B12. Il trattamento dell’anemia da carenza di vitamina B12 con acido folico è controindicato, in
quanto diminuisce sì l’anemia, ma i sintomi neurologici non vengono assolutamente influenzati, o addirittura peggiorano!
L’idrossicobalamina ad alte dosi agisce anche da antidoto nell’intossicazione da
cianidina (formazione di cianocobalamina atossica).
3. In caso di gastrite cronica atrofica di tipo A:
occorre effettuare una gastroscopia almeno 1 volta all’anno a causa dell’alto rischio di carcinoma gastrico.
B) Carenza di acido folico
1. Terapia di fondo (es. astinenza alcoolica, eliminazione della malnutrizione).
2. Terapia sostitutiva con acido folico (5 mg/die per os).
Nota: sono rare le anemie da mancanza di vitamina B6 (piridossina), che sono ipocromiche. Ricerca mediante test da carico con triptofano (turbe nel catabolismo del triptofano: aumentata eliminazione nelle urine dell’acido xanturenico).
ANEMIE EMOLITICHE
Definizione: Emolisi: riduzione del tempo di sopravvivenza degli eritrociti dai normali 120
giorni sino a poche settimane o giorni (il test di sopravvivenza eritrocitaria con globuli rossi marcati con 51Cr o 111In non è un’indagine di routine). Si distinguono: emolisi
intra- ed extravascolare. Se un concomitante incremento dell’emopoiesi mantiene costanti i livelli di emoglobina, si parla di emolisi compensata; altrimenti si parla di anemia emolitica.
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Classificazione delle anemie emolitiche
1. Anemie emolitiche da cause corpuscolari:
— difetti ereditari della membrana degli eritrociti:
ad es. sferocitosi ed ellissocitosi
— difetti enzimatici ereditari degli eritrociti:
(anemie emolitiche enzimopeniche)
• difetti nel ciclo dell’esosomonofosfato: ad es. deficit di glucosio-6-fosfato-deidrogenasi
• difetti della glicolisi: ad es. deficit di piruvato-chinasi
— difetti ereditari nella sintesi dell’emoglobina (emoglobinopatie):
• emoglobine anomale (varianti di Hb a struttura anomala)
• talassemie (varianti nelle quali si formano in quantità minore una o più catene polipeptidiche normali di Hb).
— alterazioni acquisite della membrana eritrocitaria = emoglobinuria parossistica
notturna.
2. Anemie emolitiche da cause extracorpuscolari:
— anemie isoimmunoemolitiche, da isoanticorpi (= alloanticorpi)
• incompatibilità Rh materno-fetale
• incidenti da trasfusione
— anemie autoimmunoemolitiche
• da auto-anticorpi che reagiscono a caldo
• da auto-anticorpi che reagiscono a freddo
• emoglobinuria parossistica a frigore
— anemie emolitiche da farmaci → 3 meccanismi patogenetici:
• tipo fenacetina (il farmaco agisce da aptene)
• tipo penicillina (il farmaco si lega alla membrana eritrocitaria)
• tipo α-metildopa (il farmaco induce la comparsa di autoanticorpi)
— emolisi nelle malattie infettive (ad es. malaria)
— anemie emolitiche da cause fisiche o chimiche
• anemie emolitiche da causa meccanica, con frammentociti (protesi valvolare)
• danneggiamento termico degli eritrociti (ustioni)
• noxe chimiche (ad es. veleno di serpente)
— anemie emolitiche da disturbi metabolici: sindrome di Zieve (alterazioni epatiche da tossicità alcoolica, anemia emolitica, iperlipidemia)
— anemie emolitiche microangiopatiche
• sindrome emolitica-uremica = sindrome di Gasser
• porpora trombotica-trombocitopenica = sindrome di Moschkowitz
• forme da farmaci (ad es. mitomicina C)
• forme in caso di carcinomi metastatizzanti.
Fisiopatologia
Gli eritrociti più vecchi vengono rimossi dal torrente circolatorio dopo un’emivita di
120 giorni. L’85% di questa emolisi fisiologica avviene in sede extravascolare nel SRE.
La sede emocateretica principale è la milza. In caso di emolisi patologica rilevante, gli
eritrociti vengono distrutti anche nel fegato e nel midollo osseo. L’emolisi intravascolare è secondaria alla saturazione della capacità emocateretica del SRE e/o alla notevole rapidità dell’emolisi stessa. In queste situazioni l’emoglobina si lega all’aptoglobina.
Se per la forte entità dell’emolisi intravascolare viene superata la capacità di legame
dell’aptoglobina, compare emoglobina libera nel plasma, che si trasforma in derivati
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ematinici; questi vengono trasportati dall’emopexina al SRE. L’emopexina entra quindi
in gioco solo successivamente all’aptoglobina. Il parametro più sensibile in corso di
emolisi intravascolare è la diminuzione dell’aptoglobina. L’aptoglobina è una proteina
di fase acuta e può quindi aumentare in caso di infezioni, infiammazioni croniche, neoplasie. Il deficit congenito di aptoglobina è raro (1‰ della popolazione dell’Europa
centrale). Dalla determinazione aggiuntiva dell’emopexina si può valutare l’entità dell’emolisi intravascolare. In corso di emolisi marcata, se i livelli di aptoglobina non sono più misurabili, si registrano anche livelli diminuiti di emopexina.
Schema dell’emolisi intravascolare
Hb
Hb-aptoglobina
SRE
RENI
PLASMA
bilirubina
indiretta*
(+ albumina)
FEGATO
bilirubina
diretta**
INTESTINO
urobilinogeno***
Legenda:
* Bilirubina legata all’albumina (cosiddetta bilirubina non coniugata od indiretta alla diazo-reazione colorimetrica di van den Bergh, e che non si riscontra nelle urine).
Se la quantità di bilirubina aumenta fino a 3 volte rispetto al normale, si raggiunge il limite massimo del sistema di glicuronizzazione nel fegato e la bilirubina indiretta aumenta nel siero e si
giunge così a iperbilirubinemia.
In condizioni normali, l’85% della bilirubina si produce nel processo demolitivo della Hb degli
eritrociti vecchi, il 15% deriva dal catabolismo di eme-proteine (mioglobina, citocromi, catalasi)
e dalle cellule eritropoietiche immature del midollo osseo (eritropoiesi inefficace fisiologica).
** Bilirubina glicuronata: diretta - eliminata nelle urine.
*** Urobilinogeno: il suo riassorbimento a livello intestinale in condizioni normali è così scarso che
l’urobilinogeno non è rilevabile nelle urine. Solo in caso di anemia emolitica la quantità di urobilinogeno è così elevata da farlo comparire nelle urine.
Nota: in caso di emolisi intravascolare l’aptoglobina è diminuita. Le emolisi extravascolari si accompagnano a riduzione dell’aptoglobina solo quando, nel contesto di una
crisi emolitica, è saturata la capacità emocateretica del SRE e compare quindi emoglobina libera intravascolare. A partire da livelli di emoglobina di 500 mg/l, il siero assume un colore giallo-rossastro. Emoglobinuria compare, in corso di emolisi massiva,
quando è saturata la capacità di riassorbimento tubulare.
Tutte le emolisi croniche portano ad una stimolazione dell’eritropoiesi (ipossia eritropoietina). Aspetti tipici:
a) nel midollo osseo: proliferazione eritroblastica con maturazione normale. Il rapporto leuco/eritroblastico si sposta a favore della serie rossa.
b) nel sangue periferico: reticolocitosi (a condizione che il midollo sia normale).
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Esami di laboratorio
Emolisi intravascolare
–
–
–
–
Hb libera nel siero
aptoglobina
emoglobinuria
emosiderinuria
siero rossastro
+ urine scure
+
Emolisi extravascolare
}
normale
–
–
Eccezione:
crisi emolitica
(vedi sopra)
L’emopexina diminuisce in caso di emolisi intravascolare massiva quando l’aptoglobina non è più dosabile.
Nota: in corso di emolisi, il livello di aptoglobina può essere normale come conseguenza di una non corretta tecnica del prelievo ematico.
Segni generici di emolisi
— LDH e HBDH (= isoenzima 1 dell’LDH), sideremia aumentata
— bilirubina indiretta aumentata e urobilinogenuria
— reticolociti aumentati
— emivita degli eritrociti ridotta
— Hb, eritrociti ed ematocrito diminuiti in caso di anemia emolitica.
Morfologia degli eritrociti in caso di anemie emolitiche
1. Sferociti:
eritrociti sferici per difetto di membrana con resistenza osmotica diminuita. Al microscopio: aspetto a disco piccolo e spesso, senza zona chiara centrale.
Eziologia: sferocitosi ereditaria.
2. Cellule a bersaglio:
eritrociti ipocromici con ispessimento centrale, ad es. talassemia.
3. Cellule falciformi:
a causa dell’emoglobina abnorme (HbS) gli eritrociti assumono la forma di falce
(anemia falciforme).
4. Emazie frammentate (= schistociti):
eziologia: anemie emolitiche microangiopatiche, danno meccanico (valvole cardiache artificiali).
5. Agglutinazione degli eritrociti:
eziologia: anemia emolitica autoimmune.
6. Corpi di Heinz:
precipitati di emoglobina intraeritrocitari, ad es. in caso di deficit di glucosio-6-Pdeidrogenasi o di anomalie dell’Hb, Met-Hb.
7. Parassiti intraeritrocitari: malaria.
Decorso
1. Emolisi croniche:
— emolisi compensata
La bilirubina plasmatica è ancora normale, la vita media degli eritrociti è diminuita ed è compensata dall’aumento dell’eritropoiesi (sino a 10 volte il valore
normale) segni d’emolisi senza anemia.
— anemia emolitica
L’emolisi è maggiore della capacità di compensazione del midollo: segni di
emolisi con anemia.
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— l’infezione da parvovirus B19 può provocare, in corso di anemia emolitica, una
crisi aplastica transitoria.
I sintomi principali di emolisi cronica conclamata sono: sintomi generali (astenia,
affaticabilità, dispnea da sforzo, vertigini), eventuale ittero, splenomegalia e calcolosi biliare pigmentata.
2. Crisi emolitica acuta:
— spontanea: per es. incidente da trasfusione
— esacerbazione di un’emolisi cronica.
Sintomi della crisi emolitica acuta:
— febbre, brividi, eventualmente collasso
— ittero, iperbilirubinemia (febbre + ittero diagnosi differenziale: affezioni delle vie biliari)
— emoglobinuria con urina color birra scura: pericolo di insufficienza renale acuta!
— tumefazione e dolore splenico, dolori lombari.
Diagnosi differenziale
Anemia con sideremia aumentata
1. anemia emolitica, talassemia
2. anemia megaloblastica
3. sindromi mielodisplastiche
4. anemia aplastica
Rapporto LDH/GOT (AST):
> 12: emolisi
< 12: malattie del fegato e delle vie biliari
Rapporto LDH/HBDH:
< 1,3: infarto miocardico, emolisi
> 1,6: malattie del fegato
Un aumento dell’LDH è presente anche in corso di eritropoiesi inefficace (ad es. anemia
megaloblastica).
Emolisi
Ittero ostruttivo
Ittero epatocellulare
Siero: bilirubina indiretta
bilirubina diretta
+ +
–
(+)
+ +
+
+
Urina: bilirubina
urobilinogeno
–
+ +
+ +
–
+
+
scure
event. acoliche
chiare
Feci
In caso di emolisi pura, il valore della bilirubina totale non è più di 5 volte maggiore del
valore massimo normale (eccezione: neonati).
ANEMIE EMOLITICHE DA DIFETTO CORPUSCOLARE
1. DIFETTI EREDITARI DELLA MEMBRANA DEGLI ERITROCITI
SFEROCITOSI
Epidemiologia: è la forma ereditaria più frequente nell’Europa settentrionale; prevalenza
1:5.000.
Eziologia: deficit quantitativo di uno dei due componenti della membrana eritrocitaria:
— deficit da spectrina, nella forma autosomica recessiva
— deficit di anchirina, nella forma autosomica dominante.
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Patogenesi
Difetto di membrana dell’eritrocita disturbo della permeabilità agli ioni con ingresso di Na+ e acqua negli eritrociti forma sferica degli eritrociti fagocitosi degli
sferociti nella milza con diminuita sopravvivenza eritrocitaria.
Clinica
— anemia e/o ittero nell’età infantile
— nel 95% dei casi anamnesi famigliare positiva (nel 5% neomutazione)
— crisi emolitiche con ittero, febbre, dolenzia all’addome superiore
— splenomegalia; calcoli di bilirubina.
Complicanze
— evtl. crisi aplastiche pericolose per la vita (ad es. scatenate da infezioni da parvovirus B19/megaloeritema)
— calcoli biliari di bilirubina.
Laboratorio
— anemia normocromica + segni di emolisi: reticolocitosi, bilirubina indiretta aumentata, LDH aumentata, aptoglobina diminuita
— eritrociti sferici con piccolo diametro (senza zona centrale chiara) e resistenza
osmotica diminuita.
Nota: l’emolisi di eritrociti normali risospesi in soluzione salina inizia a concentrazioni
di NaCl ≤ 0,46%. Se l’emolisi compare a concentrazioni di NaCl > 0,46%, ciò indica
che la resistenza osmotica è diminuita.
Terapia
Evtl. splenectomia.
Indicazioni: crisi emolitiche recidivanti.
Mediante splenectomia si toglie il filtro che elimina prematuramente dal sangue gli sferociti deformati. Dopo la splenectomia si normalizza l’emivita degli eritrociti, pur rimanendo il difetto di membrana e la forma sferica degli eritrociti.
Se possibile, non splenectomizzare bambini < 5 anni per elevato pericolo di sepsi
(pneumococchi, Haemophilus). Forma più grave: sindrome OPSI («overwhelming postsplenectomy infection»).
Prima della splenectomia è raccomandabile una scintigrafia della milza al fine di individuare eventuali milze accessorie, in quanto in presenza di milze accessorie non individuate può continuare l’anemia emolitica. In questi casi mancano i tipici corpuscoli di
Jolly (= residui di cromatina) che si trovano negli eritrociti dopo la splenectomia per
tutta la vita, a condizione che non vi siano milze accessorie. Prima della splenectomia,
vaccinazione contro pneumococco ed Haemophilus influenzae!
Prevenzione antitrombotica postoperatoria per trombocitosi transitoria.
A causa dell’aumentata eritropoiesi si verifica un aumento del fabbisogno di acido folico evtl. apporto terapeutico.
2. DIFETTI ENZIMATICI EREDITARI DEGLI ERITROCITI
Caratteristiche delle anemie emolitiche enzimopeniche:
— emolisi congenita
— evtl. anamnesi famigliare positiva
— morfologia eritrocitaria abitualmente normale
— test di Coombs negativo
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— resistenze osmotiche eritrocitarie normali
— emoglobina normale
— in caso di decorso a poussées, pensare al deficit di glucosio-6-P-deidrogenasi.
DEFICIT DI GLUCOSIO-6-P-DEIDROGENASI
Sinonimo: favismo.
Epidemiologia
Dopo il diabete mellito è la malattia ereditaria più frequente.
Più frequente nelle popolazioni dell’Africa, dell’Asia e negli abitanti dei Paesi mediterranei (in Israele fino al 60%):
• variante A (Africa occidentale, popolazione di colore negli USA): attività dell’enzima
G-6-PD 5-15% del normale
• variante mediterranea con attività nettamente ridotta a meno dell’1% del normale
(negli emi- ed omozigoti).
Ereditarietà
Recessiva legata al cromosoma X (come emofilia): gli uomini e le donne omozigoti si
ammalano sempre. Le donne eterozigoti hanno due popolazioni di eritrociti (una senza
ed una con deficit di G-6-PD) e possono essere sane o malate.
Nota: i portatori eterozigoti risultano più resistenti al plasmodio della malaria rispetto
al resto della popolazione (come nell’anemia falciforme).
Fisiopatologia
Il deficit di G-6-PD conduce ad una ridotta sintesi di glutatione ridotto (che protegge
gli eritrociti dai danni dell’ossidazione).
Clinica
Crisi emolitiche da stress ossidativo: infezioni, assunzione di fave (favismo) e determinati farmaci (antimalarici come chinina, primachina, clorochina, sulfonamidici, acido
acetilsalicilico ed altri).
Si formano perossidi che non possono essere smaltiti per il deficit di G-6-PD danneggiando così gli eritrociti. È tipica la formazione di corpuscoli interni di Heinz (prodotti di denaturazione dell’emoglobina): nell’intervallo libero da emolisi non si trovano
corpuscoli di Heinz negli eritrociti.
Diagnosi differenziale
— sferocitosi (resistenza osmotica diminuita)
— anomalie dell’Hb (elettroforesi Hb)
— emoglobinuria notturna parossistica (test dell’emolisi acida)
— anemia emolitica autoimmune (test di Coombs positivo).
Diagnosi
— anamnesi/clinica (crisi emolitiche dopo assunzione di farmaci)
— dimostrazione documentata della diminuita attività di G-6-PD negli eritrociti.
Terapia
Non è possibile un trattamento specifico.
Prognosi
Evitare noxe scatenanti informazione al paziente ed evtl. cartellino per il paziente
con indicazione della malattia («carta di identità»).
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DEFICIT DI PIRUVATO-CHINASI
Epidemiologia: è il più frequente tra i deficit ereditari degli enzimi della glicolisi eritrocitaria.
Ereditarietà: autosomica recessiva.
Patogenesi: l’eritrocita maturo non ha mitocondri; pertanto fonte di energia è la glicolisi.
Mediante ATP viene mantenuta la quota di Na+/K+ alla membrana. Difetti enzimatici
ereditari che riguardano la glicolisi possono portare ad anemie emolitiche.
Clinica: anemie emolitiche solo negli omozigoti, spesso splenomegalia, nello striscio ematico acantociti (eritrociti raggrinziti con spicule).
Diagnosi differenziale: altre cause di anemia emolitica (vedi sopra).
Diagnosi: anamnesi/clinica
Dimostrazione della diminuzione d’attività della PK eritrocitaria.
Terapia: se emolisi prevalentamente splenica ( scintigrafia), evt. splenectomia.
3. EMOGLOBINOPATIE
Emoglobine anomale: la maggior parte delle 300 emoglobine anomale note si differenzia
dalla Hb normale per la sostituzione di un solo aminoacido. In un primo tempo si usarono lettere maiuscole, più tardi il luogo dove fu riscontrata oppure il luogo di nascita
del primo paziente. Le emoglobine anomale S, C, D ed E sono frequenti in alcune popolazioni dell’Africa e dell’Asia, mentre le altre forme sono molto rare. In Europa le
emoglobine anomale sono più frequenti nelle popolazioni mediterranee.
ANEMIA FALCIFORME
Epidemiologia: emoglobinopatia più frequente. Il 20-40% della popolazione nell’Africa
tropicale ed il 5-10% nella popolazione nera dell’America sono portatori eterozigoti.
Eziologia: malattia ereditaria autosomica dominante con alterazione qualitativa dell’emoglobina. I pazienti con cellule falciformi nelle regioni mediterranee sono generalmente
omozigoti per l’aplotipo Benin, i pazienti dell’Africa centrale hanno generalmente l’aplotipo Bantu. La mutazione puntiforme nel locus della β-globina sul cromosoma 11
comporta la produzione dell’emoglobina abnorme, chiamata anche HbS. Nell’HbS, in
posizione 6 della catena β, l’acido glutammico è sostituito da valina.
Patogenesi: nei portatori omozigoti di HbS l’Hb è formata per l’80% da HbS e per il 20%
da HbF. Per riduzione l’HbS precipita. Gli eritrociti assumono l’aspetto falciforme, perdono la loro normale deformabilità ed ostruiscono la microcircolazione provocando così infarti in vari organi.
Clinica: i portatori eterozigoti sono prevalentemente asintomatici. Malattia manifesta nell’omozigote in età neonatale: anemia emolitica e crisi vaso-occlusive dolorose con infarti in vari organi (es. milza, rene, cervello, ossa), epatosplenomegalia.
Attenzione: in caso di anemia falciforme i dolori addominali possono simulare un addome acuto!
Complicanze: aumentata suscettibilità alle infezioni batteriche (secondaria ad atrofia splenica da infarti splenici recidivanti), ad es. infezioni polmonari da pneumococco o emo-
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filo, osteomielite, sepsi; complicanze da infarti d’organo, crisi aplastiche da parvovirus
B19 (megaloeritema), alterazioni scheletriche (necrosi ossee asettiche, osteoporosi, disturbi della crescita).
Diagnosi: microscopio: test delle cellule falciformi: eritrociti falciformi dopo aggiunta di
una soluzione al 2% di solfuro sodico e copertura con vetrino coprioggetti; elettroforesi dell’emoglobina.
Terapia
1. causale: trapianto allogenico di midollo osseo o cellule staminali nei pazienti omozigoti
2. sintomatica: evitare stati di ipossia (anche altitudine > 2.000 m e i voli in aereo) e
disidratazione, evitare infezioni (profilassi con penicillina a partire dal 3º mese di
vita sino almeno al 5º anno). Le crisi vaso-occlusive dolorose sono trattate con idratazione (infusioni) e analgesici. Le trasfusioni di sangue vanno eseguite solo su
stretta indicazione, ad es. crisi aplastica o insufficienza d’organo (exsanguino-trasfusione). In caso di crisi dolorose gravi e frequenti, evtl. terapia con idrossiurea.
Immunizzazione attiva contro infezioni da pneumococco ed emofilo.
Prognosi
Negli omozigoti il decorso dipende dalla gravità, una parte dei pazienti muore presto,
altri raggiungono l’età adulta. I casi eterozigoti non accusano quasi mai disturbi.
Fattori prognostici sfavorevoli nella prima infanzia:
— attacchi di dattilite (dolori e incapacità funzionale a mani e piedi)
— valori di emoglobina < 7 g/dl
— leucocitosi in assenza di infezioni.
Nota: portatori HbS eterozigoti sono più resistenti ai plasmodi della malaria della restante popolazione (come nella mancanza di G-6-PD).
TALASSEMIE
Disturbo quantitativo – non qualitativo – della sintesi dell’emoglobina: alterazione genetica
della sintesi di globina. La β talassemia comporta la riduzione della sintesi delle catene β;
nella α talassemia (rara) è ridotta la sintesi di catene α.
Composizione dell’emoglobina negli eritrociti normali:
Neonato
Adulto
HbA1 (αα/ββ): 20-40%
HbA2 (αα/δδ): 0,5-1,5%
HbF (αα/γγ): 60-80%
HbA1 (αα/ββ): 97%
HbA2 (αα/δδ): 2,5%
HbF (αα/γγ): tracce (< 0,5%)
+
Hb
A1
Elettroforesi dell’emoglobina
F
S
A2
–
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β-TALASSEMIA
Epidemiologia
È la talassemia più frequente. Tra le popolazioni del Mediterraneo la talassemia e la
mancanza di ferro sono le cause più frequenti di anemia ipocromica.
Patogenesi
Diminuita produzione di catene β compensazione con catene γ o δ che quindi aumentano. Eritropoiesi inefficace con emolisi intra- ed extra-midollare.
Clinica
Forma minor, eterozigote, con sintomatologia più mite:
— eventuale lieve splenomegalia + dato anamnestico del Paese d’origine (Mediterraneo)
— anemia ipocromica microcitica
— sideremia normale o aumentata (a differenza dell’anemia sideropenica)
— eritrociti a bersaglio
— punteggiatura basofila degli eritrociti
— segni di emolisi
— resistenza osmotica aumentata (nella sferocitosi è diminuita)
— HbF aumentata nel 50% dei casi
— HbA2 sempre aumentata.
Forma major (anemia di Cooley), omozigote:
— epato-splenomegalia già nel terzo mese di vita
— anemia emolitica grave (microcitica, ipocromica; anisopoichilocitosi)
— disturbi dell’accrescimento, modificazioni scheletriche da iperplasia midollare (ad
es. «cranio a spazzola» all’indagine radiologica), danni d’organo da emosiderosi
— HbF sempre fortemente aumentata
— HbA2 variabile.
Thalassemia intermedia = talassemia di media gravità, geneticamente omozigote o eterozigote.
Diagnosi
— dato anamnestico del Paese d’origine
— elementi clinici
— elettroforesi dell’Hb.
Terapia
Thalassemia minor: nessun trattamento.
Thalassemia major:
— terapia causale: trattamento curativo con trapianto allogenico di midollo osseo o
cellule staminali in presenza di donatore HLA-identico tra i fratelli (terapia genica
in fase di studio)
— terapia sintomatica: somministrazione regolare, ogni 3 settimane, di concentrati eritrocitari (mantenere l’emoglobina a livelli > 10 g/dl); terapia di rimozione del ferro
con deferoxamina a partire dal 3º anno di vita (infusioni sottocutanee notturne).
Prognosi
Forma minor: favorevole.
Forma major: guarigione con trapianto di midollo (> 90%); con terapia sintomatica ottimale la spettanza di vita è > 40 anni. In assenza di terapia adeguata, morte precoce
per complicanze (cardiomiopatia da accumulo di ferro, cachessia, infezioni).
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α-TALASSEMIA
È una forma rara, osservata soprattutto nel sud-est asiatico; è caratterizzata dalla diminuita
produzione di catene α:
— forma eterozigote: elettroforesi della Hb normale!
— forma omozigote: elettroforesi della Hb:
a) tetramero di γ (Hb di Bart). Comporta idrope fetale: incompatibile con la vita!
b) tetramero di β (HbH): compatibile con la vita, anemia emolitica.
4. ALTERAZIONI ACQUISITE DELLA MEMBRANA ERITROCITARIA
EMOGLOBINURIA PAROSSISTICA NOTTURNA (EPN)
Sinonimo: malattia di Marchiafava.
Definizione
Malattia clonale acquisita delle cellule staminali ematopoietiche (sono interessate tutte
le tre serie cellulari) determinata dall’alterazione del sistema di ancoraggio rappresentato dal fosfatidil-inositolo-glicano (PIG) = glicosil-fosfatidil-inositolo (GPI). È l’unica
anemia emolitica da difetto corpuscolare acquisita.
Epidemiologia: incidenza < 1/100.000/anno; picco di frequenza tra i 25 e i 45 anni; M:F
= 1:1.
Eziologia: mutazione acquisita del gene PIG-A sul cromosoma X della cellula staminale
ematopoietica, che regola la biosintesi della proteina d’ancoraggio PIG-A.
Patogenesi
Sono coinvolte la eritro-, granulo- e megacariopoiesi. La causa dell’emolisi è un deficit
di legame dei fattori di membrana che regolano il complemento (DAF = decay accelerating factor [CD55], MIRL = membrane inhibitor of reactive hemolysis [CD59]). Il legame di queste proteine alla membrana cellulare avviene mediante il sistema d’ancoraggio PIG, la cui sintesi è ridotta nelle cellule EPN midollari. Ne conseguono un aumento dell’emolisi complemento-mediata e un’attivazione delle piastrine con tendenza
alla trombosi. Esiste una stretta parentela tra l’EPN e l’anemia aplastica.
Clinica
— quadro clinico d’esordio molto variabile
— decorso tipico a poussées (dopo infezioni, stress, assunzione di farmaci, ecc.) con
episodi emolitici soprattutto notturni con urine mattutine scure
— dolori addominali, lombari e cefalea
— frequenti episodi tromboembolici
— talvolta anemia emolitica cronica
— anemia iposideremica da perdita cronica di ferro
— epatosplenomegalia.
Laboratorio: segni di emolisi, emoglobinuria, emosiderinuria, evtl. pancitopenia.
Midollo osseo: aspecifico, abitualmente iperplasia della serie eritropoietica.
Complicanze
— trombosi della porta, trombosi delle vene sovraepatiche (sindrome di Budd-Chiari),
episodi tromboembolici dei vasi cerebrali, trombosi della vena splenica, necrosi cutanea
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— aumentato rischio di evoluzione a sindrome mielodisplastica o leucemia mieloide
acuta.
Diagnosi
— anamnesi, clinica
— anemia, evtl. pancitopenia
— emolisi (aumento di LDH e bilirubina indiretta; riduzione dell’aptoglobina; emoglobinuria)
— test dell’emolisi acida (test di Ham) e test al saccarosio («sugar-water test»): emolisi complemento-mediata provocata dall’acidificazione del campione di sangue o
dal suo trattamento con soluzione di saccarosio
— indagini di genetica molecolare per dimostrare la mutazione del gene PIG-A
— valutazione in citometria a flusso per documentare la presenza di leucociti deficitari in PIG.
Diagnosi differenziale
— altre anemie emolitiche
— anemia aplastica
— sindrome mielodisplastica.
Terapia
• trasfusione di concentrati eritrocitari lavati (privi di plasma), in quanto l’apporto di
complemento può scatenare crisi emolitiche
• apporto di ferro e acido folico
• trattamento anticoagulante a scopo preventivo, con dicumarolici (l’eparina può attivare il complemento)
• in caso di crisi emolitica: corticosteroidi (ad es. prednisone 20-60 mg/die)
• fattori di crescita emopoietici (EPO, G-CSF)
• in caso di ipoplasia midollare evtl. androgeni
• in caso di decorso aplastico grave, crisi emolitiche gravi, o conclamata tendenza alla
trombosi: trapianto di cellule staminali o di midollo allogenico.
Prognosi
Decorso molto variabile. Tempo medio di sopravvivenza: 10 anni. La causa di morte
più frequente sono le trombosi. Alcuni pazienti sviluppano un’anemia aplastica, una
sindrome mielodisplastica oppure una leucemia mieloide acuta. È possibile un decorso
protratto per decenni, con normale spettanza di vita.
ANEMIE EMOLITICHE CAUSATE DA ANTICORPI
Richiami: definizione di reazioni immuni:
1. tra specie diverse (per es. uomo-maiale) = sistema xenogenico, con etero-antigeni e
produzione di etero-anticorpi.
2. nell’ambito della stessa specie, ma con diverso corredo genetico (per es. tra soggetti diversi) = sistema allogenico con iso(allo)-antigeni e produzione di iso(allo)-anticorpi.
3. nell’ambito della stessa specie e con corredo genetico identico (per es. gemelli identici)
= sistema isogenico (o singenico).
4. nello stesso individuo = sistema autologo con autoantigeni ed eventualmente formazione di autoanticorpi.
Gli antigeni non sono necessariamente proteine o polisaccaridi ad alto peso molecolare; an-
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che sostanze a basso peso molecolare possono diventare antigeni completi legandosi a proteine proprie del corpo. Queste sostanze vengono chiamate apteni (aptene + proteina corporea = antigene intero). Per la reazione fra anticorpo ed aptene non è necessaria la presenza della proteina corporea. Nella sierologia dei gruppi sanguigni, in base al tipo di reazione antigene-anticorpo (Ag-Ab) si distinguono due tipi di anticorpi:
1. emolisine (lisi cellulare)
2. agglutinine (agglutinazione)
Gli eritrociti danneggiati vengono fagocitati nella milza e fegato.
Anticorpi anti-emazie
1. Ab-IgM (PM di circa 900.000)
per la loro maggior dimensione, possono unire a ponte due eritrociti, permettendo l’agglutinazione; per questo si chiamano Ab «completi»; reagiscono a freddo.
Tipologia: — isoagglutinine del sistema AB0
— agglutinine che reagiscono a freddo (crioagglutinine).
2. Ab-IgG (PM circa 150.000) non sono in grado di indurre agglutinazione = Ab «incompleti»:
Tipologia: — isoagglutinine del sistema Rh
— auto-Ab che reagiscono a caldo
Per la dimostrazione di anticorpi anti-emazie, si usa il test di Coombs, effettuato con siero
di coniglio sensibilizzato con globuline umane (= siero di Coombs):
a) Test di Coombs diretto:
rivela Ab «incompleti» fissati sulle emazie.
b) Test di Coombs indiretto:
rivela Ab incompleti liberi nel siero.
(Importante per la prova di sensibilizzazione durante la gravidanza, cioè per rivelare la
presenza di Ab «incompleti» nel siero della madre da incompatibilità Rh tra madre e
feto). (se possibile inserire qui la figura «Test di Coombs»)
Test di Coombs
Test di Coombs diretto
Eritrociti con anticorpi incompleti adesi alla
membrana (lavati).
Siero di Coombs = anticorpi bivalenti anti γ globuline umane.
Agglutinazione = dimostrazione della presenza
di un anticorpo incompleto legato all’eritrocita.
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continua da pag. 29
Test di Coombs indiretto
In una 2ª fase aggiunta del siero di Coombs.
Siero da esaminare con anticorpo
incompleto.
Eritrociti del test noti
Adesione dell’anticorpo all’eritrocita,
nessuna agglutinazione.
Agglutinazione = dimostrazione della presenza
di anticorpo incompleto nel siero.
A. EMOLISI DA ISO-ANTICORPI (= ALLO-ANTICORPI)
REAZIONE EMOLITICA TRASFUSIONALE
Eziologia
1. reazioni emolitiche immediate gravi sono per lo più la conseguenza di una trasfusione AB0-incompatibile donatore-ricevente
2. reazioni emolitiche trasfusionali più lievi si manifestano quando il ricevente possiede anticorpi anti-eritrocitari irregolari = anticorpi che non possiedono la specificità
anti-A oppure anti-B. Gli anticorpi irregolari possono essere riconosciuti ai test di
compatibilità per la determinazione del gruppo sanguigno.
Clinica
• sudorazione profusa, febbre, brivido scuotente
• dispnea, trachipnea, ipotensione
• prurito, orticaria, eritema
• cefalea e rachialgia
• nausea e vomito
• emoglobinuria con urine rosso scure
• ittero tardivo.
Laboratorio
1. emoglobina libera nel plasma e nell’urina (colorazione rossa)
2. aptoglobina diminuita, eventualmente emopexina diminuita (solo quando l’aptoglobina non è più dosabile), LDH e bilirubina indiretta aumentate
3. emoglobina, eritrociti ed ematocrito: mancato aumento o persino crollo post-trasfusionale.
Complicanze: shock, insufficienza renale acuta, DIC.
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Diagnosi differenziale
Reazioni trasfusionali non emolitiche
1. reazioni allergiche da anticorpi reagenti con antigeni HLA presenti su leucociti e
piastrine
2. reazioni settiche da contaminazione batterica della sacca di sangue
3. reazioni febbrili da pirogeni presenti nella sacca.
Diagnosi: anamnesi + clinica + diagnostica sierologica.
Terapia
1. immediata interruzione della trasfusione, mantenimento dell’accesso venoso; sigillare sterilmente la sacca di sangue e inviarla al centro trasfusionale (unitamente alla
scheda di reazione trasfusionale) insieme a 2 prelievi del paziente (sangue intero e
con EDTA)
2. monitoraggio e trattamento delle complicanze
(mantenimento della volemia e infusione di una soluzione di bicarbonato di sodio
per prevenire l’insufficienza renale acuta; terapia antiallergica; dialisi in caso di insufficienza renale acuta; ecc.).
Prevenzione
1. eseguire una corretta determinazione del gruppo sanguigno (sistemi AB0, Rh, Kell)
+ test per la ricerca degli anticorpi (in caso di test positivo caratterizzazione degli
anticorpi)
2. procedere alla trasfusione solo dopo risultato negativo della interreazione (test di
compatibilità): è obbligatoria la compatibilità tra siero del ricevente ed eritrociti del
donatore! È facoltativa la compatibilità tra siero del donatore ed eritrociti del ricevente
3. controllare la corrispondenza dei dati del paziente con quelli riportati sul cartellino identificativo della sacca! Attenzione alla data di scadenza e all’integrità degli
emoderivati!
4. subito prima di trasfondere l’emocomponente, il medico incaricato deve eseguire o
far eseguire sotto suo controllo il test di caratterizzazione AB0 («bedside test») = si
determina il gruppo AB0 del ricevente tramite anticorpi anti-A e anti-B. Il bedside
test è consigliabile anche prima di un’autotrasfusione
5. non associare alla trasfusione alcuna infusione/iniezione (ad eccezione di soluzioni
saline isotoniche)
6. garantire un adeguato sistema di trasfusione e di conservazione della sacca sino al
momento della trasfusione
7. minimizzare i fattori «estranei» mediante:
— autotrasfusione in caso di intervento programmato
— autotrasfusione meccanica («recycling») del sangue perso in corso di intervento
chirurgico.
MALATTIA EMOLITICA DEL NEONATO
1. Eritroblastosi da incompatibilità Rh
Circostanza critica: donna Rh-negativa con feto Rh-positivo (10% di tutte le gravidanze): al passaggio di sangue dal feto alla madre in corso di precedenti gravidanze, aborti o interventi pre-natali, segue la sensibilizzazione della madre con formazione (nella
31
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maggioranza dei casi) di anticorpi anti-D di classe IgG che possono attraversare la placenta. In assenza di precedente sensibilizzazione della madre, il primo figlio è sano. Se
questa donna viene fecondata da un uomo Rh-positivo e il feto è Rh-positivo, il nuovo
contatto con l’antigene ha per effetto (effetto «booster») un’anemia emolitica a carico
del feto, che nei casi più gravi provoca ittero nucleare (hydrops congenitus universalis)
e morte fetale. In casi più rari, gli anticorpi antieritrocitari irregolari diretti contro altri
antigeni del sistema Rh (c, C, e, E) o contro l’antigene Kell, provocano una malattia
emolitica neonatale.
Diagnosi
— feto:
reticolociti, eritroblasti, bilirubina indiretta aumentati
test di Coombs diretto positivo, anemia
— madre: test di Coombs indiretto positivo.
Terapia
a) sostituzione del sangue mediante trasfusioni nel bambino (evtl. già a livello intrauterino) eliminazione degli anticorpi circolanti, degli eritrociti danneggiati
e della bilirubina
b) in caso di idrope fetale, parto prematuro dopo la 33ª settimana di gravidanza.
Prevenzione
Prevenzione della sensibilizzazione della madre tramite somministrazione di immunoglobulina anti-D subito dopo la nascita del bambino Rh-positivo (anche dopo
aborti e amniocentesi). Con la profilassi anti-D, la frequenza di eritroblastosi Rh è
diminuita dallo 0,6% allo 0,07% di tutte le nascite.
2. Eritroblastosi da incompatibilità AB0
Nel caso critico di un feto A oppure B e madre 0, la madre può formare, oltre agli alloanticorpi di tipo IgM che non attraversano la placenta, anche anticorpi di classe IgG
che invece l’attraversano. Questi ultimi possono provocare nel bambino una lieve emolisi, senza danni intrauterini.
Terapia
I casi di eritroblastosi da incompatibilità AB0 che richiedono terapia sono molto rari. La fototerapia post-natale può solitamente evitare l’exanguinotrasfusione. Gli ultravioletti trasformano la bilirubina indiretta presente a livello cutaneo in sostanze
non tossiche che vengono eliminate per via biliare o urinaria.
B. EMOLISI DA AUTO-ANTICORPI
ANEMIE EMOLITICHE AUTOIMMUNI (AEAI)
1. Causate da auto-anticorpi IgG (Ab «incompleti» che reagiscono a caldo)
Epidemiologia
Il 70% dei pazienti ha autoanticorpi che reagiscono a caldo.
Eziologia
— idiopatica (45%)
— secondaria (55%):
• linfomi non Hodgkin (compresa la leucemia linfatica cronica = LLC)
• lupus eritematoso sistemico (LES)
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• AEAI da farmaci: ad es. da penicillina, cefalosporine, α-metildopa ecc.
• infezioni virali.
Patogenesi
Autoanticorpi caldi del tipo IgG si legano a temperatura corporea agli eritrociti
senza provocare emolisi. Gli eritrociti ricoperti da autoanticorpi vengono fagocitati nella milza e nel fegato. Nei casi gravi la vita degli eritrociti è ridotta a pochi
giorni. Una anemia si manifesta, con decorso cronico, quando l’eritropoiesi, che può
essere aumentata fino a 10 volte la norma, non è più in grado di compensare la perdita degli eritrociti.
Clinica
— anemia emolitica
— evtl. crisi emolitiche
Nota: una VES molto elevata con alterata sedimentazione delle emazie nella provetta, può suggerire la presenza di auto-Ab antiemazie. Si possono riscontrare difficoltà ad eseguire la determinazione del gruppo sanguigno e le prove di compatibilità.
Diagnosi
— tener presente quanto sopra esposto in caso di caduta inspiegabile dell’emoglobina e in caso di segni indiretti della presenza di eventuali autoanticorpi caldi
(vedi sopra)
— segni di anemia emolitica (vedi sopra)
— test di Coombs diretto positivo.
Con elevato titolo di autoanticorpi – quando tutti gli eritrociti sono ricoperti da
autoanticorpi – diventa positivo anche il test di Coombs indiretto.
— esclusione di una AEAI secondaria:
• anamnesi dei farmaci, cessazione dell’emolisi dopo sospensione dei farmaci
sospetti
• diagnostica per LES e linfomi non-Hodgkin.
Nota: una AEAI secondaria può precedere per lungo tempo la malattia di base;
pertanto sarebbe bene ricontrollare ogni tanto la diagnosi di AEAI idiopatica!
2. Causate da auto-anticorpi IgM (agglutinine fredde)
Epidemiologia: il 15% dei pazienti ha agglutinine fredde.
Eziologia
— raramente idiopatiche: come nella «malattia da agglutinine fredde» con aumento di IgM monoclonali (catene k o λ)
— secondarie: «sindrome delle agglutinine fredde» (forme più frequenti):
• acuta: dopo infezione da Mycoplasma pneumoniae o dopo mononucleosi (=
infezione da EBV), con aumento di IgM policlonali; durata: generalmente solo 2-3 mesi
• cronica: in caso di linfomi non-Hodgkin, con aumento di IgM monoclonali
(malattia di Waldenström).
Patogenesi
Di solito tutti gli esseri umani possiedono Ab freddi ad un titolo fino a 1:32. Da
questo dipende la frequente «pseudo-agglutinazione» riscontrata nella determinazione dei gruppi sanguigni (scompare dopo riscaldamento). Solamente temperature attorno ai 4°C determinano agglutinazione a freddo fisiologica.
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La «sindrome da agglutinine fredde» comporta titoli anticorpali molto più elevati,
fino a 1:1.000.
Unitamente all’aumento del titolo, si ha un intervallo termico più ampio. Una diminuzione della temperatura su valori attorno a 20-25°C comporta in questi pazienti
una emoagglutinazione; all’esposizione al freddo comparsa di acrocianosi ed emolisi complemento-mediata.
Molto rara è la forma congenita da agglutinine fredde che presenta titoli di Ab freddi ancora più elevati (più di 1:1.000). Questi pazienti tollerano un abbassamento di
temperatura intravasale solamente fino a 30°C, cosicché un loro soggiorno in un clima freddo provoca sempre una crisi emolitica (febbre, collasso, urina color birra
scura per emoglobinuria).
Clinica
Il manifestarsi passeggero di agglutinine fredde policlonali dopo malattie infettive è
asintomatico nell’adulto; nel bambino può provocare emolisi transitoria.
Agglutinine fredde monoclonali ad alto titolo, quando si ha un abbassamento della
temperatura, portano a:
— dolori e colorazione blu delle estremità (acrocianosi) reversibile col riscaldamento
Diagnosi differenziale: nella sindrome di Raynaud vasocostrittiva si ha pallore
delle dita
— anemia emolitica
— nella malattia da agglutinine fredde evtl. crisi emolitiche con febbre, collasso,
emoglobinuria (urine scure tipo birra), ittero
— sintomi indiretti: difficoltà nel prelievo del sangue (agglutinazione degli eritrociti nell’ago), difficoltà nella conta degli eritrociti, nella preparazione di uno
striscio ematico e nel test di compatibilità.
VES a temperatura ambiente molto aumentata, a 37°C (termostato) VES normale!
Diagnosi
— anamnesi/clinica
— segni di anemia emolitica
— presenza di segni indiretti di autoanticorpi anti-eritrocitari
— dimostrazione di agglutinine fredde: agglutinazione di eritrociti di gruppo 0 con
incubazione a 4°C del siero del paziente.
Nota: prima di interventi chirurgici in ipotermia escludere la presenza di agglutinine fredde.
3. AEAI da emolisina bifasica di tipo IgG
Sinonimo: emoglobinuria parossistica a frigore.
Epidemiologia: molto rara.
Eziologia: idiopatica, postinfettiva (lue, da virus).
Diagnosi:
Test di Donath-Landsteiner: le emolisine bifasiche si legano alle basse temperature
(frigorifero) con il complemento agli eritrociti causando l’emolisi con l’aumento
della temperatura (37°C).
Terapia delle AEAI
A. Causale
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1. sospensione dei farmaci scatenanti!
2. trattamento delle malattie causali.
B. Sintomatica
AEAI da autoanticorpi caldi
1. corticosteroidi: remissione temporanea nel 30% dei casi per la durata del trattamento
2. eventuale somministrazione endovenosa di immunoglobuline ad alta dose (blocco transitorio del SRE)
3. splenectomia nell’emolisi prevalentemente splenica (esame con eritrociti marcati con 51Cr) e decorso cronico.
Successo: 50-75%
4. come ultima ratio, terapia immunosoppressiva.
AEAI da agglutinine fredde
1. la protezione dal freddo è la cosa più importante e sufficiente nei casi più leggeri
2. tentativo con interferone-α
3. immunosoppressori in presenza di anemia emolitica accentuata
Nota: i corticosteroidi non sono efficaci
4. eventualmente plasmaferesi nei casi gravi (per eliminare gli autoanticorpi) associata ad immunosoppressori.
Evitare se possibile trasfusioni di sangue (solo con valori HB < 7 g/dl) e solo con eritrociti lavati (possibilmente da donatore HLA identico). Se il test di Coombs indiretto è positivo (alto titolo di autoanticorpi caldi circolanti), è quasi sempre impossibile ottenere delle
sacche di eritrociti compatibili (prova di compatibilità positiva da autoanticorpi caldi). Nelle situazioni che richiedono trasfusioni prendere in considerazione eventualmente eritrociti
di gruppo 0 Rh-negativo (somministrando corticosteroidi).
In caso di emolisi acuta conclamata, prevenzione del tromboembolismo (eparina a bassa
dose).
ANEMIA DA PATOLOGIA RENALE
Definizione: anemia iporigenerativa normocromica, normocitica che si sviluppa nel corso
di una insufficienza renale cronica (creatininemia > 3,5 mg/dl e clearance della creatinina < 30 ml/min).
Eziologia
Causa principale: deficit di eritropoietina, secondaria all’insufficienza renale.
Cause secondarie: ridotta emivita degli eritrociti, carenza di ferro, dialisi inadeguata,
accumulo di alluminio, fibrosi midollare da iperparatiroidismo, ecc.
Clinica: la pelle assume color caffè-latte (pallore anemico e pigmentazione della cute da
urocromi).
Laboratorio
Di solito eritrociti normocromici (MCH normale), reticolociti diminuiti; il dosaggio dell’EPO, peraltro abitualmente non necessario, mostra valori nell’ambito della norma,
mancando l’aumento della produzione di EPO tipico delle anemie.
Diagnosi differenziale
— anemia sideropenica: frequente in corso di insufficienza renale per perdita di sangue (prelievi, emodialisi, eventuale sanguinamento gastro-enterico)
Diagnosi: sideremia e ferritina diminuite
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— carenza di acido folico
Diagnosi: anemia megaloblastica, livelli di acido folico ridotti.
Diagnosi
Anamnesi (insufficienza renale) + clinica (anemia normocromica, reticolociti diminuiti).
Terapia
1. somministrazione di eritropoietina umana ricombinante (r-hu-EPO) = Epoetina-β.
Indicazioni: pazienti in dialisi e pre-dialisi con anemia renale sintomatica.
Effetti collaterali: sintomi simil-influenzali, trombocitosi transitoria (pericolo di
trombosi), sviluppo di ipertensione arteriosa (30%) oppure peggioramento di una
ipertensione preesistente, soprattutto in caso di dosaggio troppo elevato controllare i valori pressori prima dell’inizio del trattamento.
Dosaggio: inizialmente circa 75 U/kg di peso corporeo, 3 volte alla settimana, per
via sottocutanea, sino a raggiungere un valore di emoglobina di 10-12 g/dl e di
ematocrito di 33-36%. Successivamente, dose di mantenimento ridotta. La terapia
con EPO dell’anemia renale migliora la qualità di vita e lo stato immunitario dei
pazienti.
2. trapianto di rene (nuova produzione di eritropoietina)
3. in caso di sideropenia, terapia sostitutiva con ferro (i pazienti in dialisi perdono per
ripetuti prelievi di sangue o per dialisi un minimo di 1,5 l di sangue all’anno = 800
mg di ferro!; evtl. ulteriori perdite ematiche da diatesi emorragica uremica)
4. con la somministrazione di eritropoietina le trasfusioni di sangue non sono più necessarie e solo indicate se Hb < 7 g/dl (ad es. per emorragia). Infondere solo eritrociti lavati, vaccinare precocemente il paziente contro l’epatite B (rimane il rischio
di epatite C e HIV, nonostante i donatori vengano testati).
Nota: si è dimostrato che alcune trasfusioni prima di un trapianto renale migliorano la prognosi del trapianto, a condizione che sia il donatore di sangue che il paziente abbiano in
comune almeno 1 antigene HLA-DR.
ANEMIA APLASTICA
Definizione: insufficienza midollare con aplasia/ipoplasia del midollo osseo e pancitopenia
(danno a carico delle cellule staminali).
Devono essere soddisfatti almeno 2 dei 3 criteri della tabella:
3 livelli di gravità
Granulociti
Piastrine
Reticolociti
AA non grave
AA grave
AA molto grave
< 1.500/µl
< 500/µl
< 200/µl
< 50.000/µl
< 20.000/µl
< 20.000/µl
< 60.000/µl
< 20.000/µl
< 20.000/µl
Epidemiologia: malattia rara; in Europa ha un’incidenza di circa 0,2/100.000/anno (in Cina 2/100.000/anno); spesso correlata a variazioni ormonali (adolescenza, vecchiaia, gravidanza); in alcuni pazienti è presente un’associazione significativa con particolari antigeni HLA (DR2, DPW3).
Eziologia: la pancitopenia può essere:
1. congenita (rara), es.: anemia di Fanconi
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2. acquisita (forma più frequente):
– idiopatica (causa ignota), 70% dei casi
– secondaria:
• farmaci (circa 10%): cloramfenicolo, fenilbutazone tra gli antiinfiammatori
non steroidei (FANS), sali d’oro, colchicina, fenitoina.
Nota: il cloramfenicolo può, con meccanismo dose-dipendente, condurre a
danno midollare reversibile. In rari casi geneticamente determinati (1:50.000)
può comparire un’anemia aplastica grave con meccanismo non dose-dipendente (reazione «idiosincrasica»).
• sostanze tossiche: benzolo: almeno il 10% di tutte le anemie aplastiche è causato dall’esposizione professionale al benzolo. Un’esposizione professionale di
50 ppm-anno (durata × esposizione massima) comporta un rischio di malattia
del 5%, che aumenta al 10% con un’esposizione di 100 ppm-anno (dati
OMS).
• radiazioni ionizzanti
• infezioni virali (circa 5% dei casi): ad es. virus epatitici, virus herpetici, parvovirus B19, ecc.
Patogenesi
In soggetti geneticamente predisposti, una noxa esogena (ad es. virus, farmaco) porta ad
una reazione autoimmune diretta contro il tessuto ematopoietico. In alcuni pazienti sono presenti linfociti T autoreattivi, diretti contro le cellule staminali emopoietiche.
Clinica
Il quadro clinico è determinato dalla mancanza dei singoli elementi ematici.
Nota: la pancitopenia rappresenta il grado massimo di un danno a carico del midollo
osseo. In certi casi, prima della pancitopenia si ha una mono- o bicitopenia (in circa il
15% dei casi).
anemia
granulocitopenia
infezioni
febbre
necrosi
micosi (cute o mucose orifiziali!)
petecchie
emorragie (gengivorragia, rinorragia)
pallore
dispnea*
astenia*
trombocitopenia
*Diagnosi differenziale: insufficienza cardiaca.
La VES è già aumentata per via dell’anemia.
Diagnosi differenziale
1. pancitopenia con midollo normo- o ipercellulare
— sindrome mielodisplastica
— ipersplenismo («pooling» delle cellule ematiche nella milza ingrossata)
— carenza di vitamina B12 o di acido folico (anemia megaloblastica con reperto midollare tipico, livelli ridotti di vitamina B12 o acido folico)
2. emoglobinuria parossistica notturna (emosiderinuria)
3. lupus eritematoso sistemico (anticorpi anti-nucleo)
4. infiltrazione del midollo osseo da leucemie, linfomi maligni, carcinomi
5. osteomielosclerosi (biopsia del midollo osseo).
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Diagnosi
1. quadro ematologico periferico + citologia e istologia del midollo osseo = pancitopenia + midollo aplastico con sostituzione da parte di tessuto adiposo e iperplasia
linfo-plasmocitoide (diagnosi differenziale: plasmocitoma oligocellulare)
2. indagini aggiuntive utili alla diagnosi differenziale.
Terapia
A. Sintomatica
Trasfusioni di emazie e piastrine; i famigliari non possono essere donatori fino a
che si considera la possibilità di un trapianto di midollo. Per evitare una sensibilizzazione contro gli antigeni HLA, si possono infondere concentrati eritrocitari e piastrinici depleti in leucociti (utilizzare filtri per leucociti!).
Le emorragie dovute a mancanza di piastrine si possono arrestare solo tramite trasfusione di piastrine (vita delle piastrine 8-10 giorni). Più efficaci sono le trasfusioni con separatore cellulare in connessione diretta col donatore HLA-compatibile.
Profilassi e terapia delle infezioni: isolamento in ambienti privi di germi, con uso di
antibiotici, antimicotici, cura del cavo orale.
B. Causale
1. Trapianto allogenico di midollo osseo o cellule staminali da un famigliare di
primo grado isto-compatibile. Il donatore deve essere HLA-identico e, in coltura
linfocitaria mista, non deve esserci stimolazione tra i linfociti del donatore e del
ricevente (negatività della MLC). La somministrazione del midollo al ricevente
avviene per via endovenosa normale, dopo terapia citostatica intensiva (= condizionamento per la immunosoppressione del ricevente).
Indicazioni:
anemia aplastica grave e molto grave in pazienti < 50 anni.
Complicanze:
— effetti collaterali tossici della terapia di
condizionamento
per i dettagli, vedere il capitolo
— infezioni
sulle leucemie acute
— reazione graft versus host (acuta-cronica)
— rigetto del trapianto cause:
• sensibilizzazione del ricevente da trasfusioni prima del trapianto pertanto: programmare per tempo il trapianto, ridurre al minimo le trasfusioni e utilizzare filtri per leucociti; prima del trapianto non usare i famigliari come donatori
• immunosoppressione (condizionamento) insufficiente
• numero insufficiente di cellule staminali nel trapianto.
2. Terapia con immunosoppressori
Indicazioni:
— anemia aplastica non grave
— nell’anemia aplastica grave o molto grave, in caso di mancanza di un donatore isto-compatibile in famiglia
— eventualmente nell’anemia aplastica grave in pazienti > 25 anni (in caso di
controindicazione al trapianto di midollo o di cellule staminali).
Vengono impiegati: globuline antilinfocitarie/antitimociti (GAL/GAT), prednisolone e ciclosporina A.
Complicanza precoce più frequente: sepsi.
Il rischio di recidiva dell’anemia aplastica è del 35% circa.
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Complicanze tardive: aumentata frequenza di affezioni clonali del midollo osseo
(fino al 20% entro 10 anni): emoglobinuria parossistica notturna, sindrome mielodisplastica e leucemia acuta.
3. Altre misure terapeutiche
— in caso di eziologia virale dell’anemia aplastica (ad es. parvovirus B19): tentativo terapeutico con immunoglobuline 7S
— citochine (GM-CSF, G-CSF, MGDF, trombopoietina): in sperimentazione
clinica.
Prognosi
Mortalità in adulti senza trattamento: 70%. Un segno prognosticamente importante è il numero dei granulociti al momento della diagnosi. Il 75% circa dei pazienti sottoposti a trapianto di midollo o di cellule staminali provenienti da un famigliare risulta guarito a 10 anni dal trapianto. Poiché i risultati del trapianto da donatore non imparentato sono sfavorevoli, questa opzione terapeutica non è considerata di prima scelta. Dopo terapia immunosoppressiva, sopravvive a 10 anni il 50% circa dei pazienti, che mostrano però una remissione ematologica solo parziale e presentano complicanze tardive.
Nota: la pancitopenia rappresenta il grado più elevato di danno cui può incorrere il midollo osseo. D’altra parte esiste anche la possibilità che il danno si limiti ad una delle serie
cellulari ematiche:
— aplasia isolata dei granulociti («pure white cell aplasia»)
— aplasia isolata della trombocitopoiesi (trombocitopenia amegacariocitaria)
— aplasia isolata della linea eritropoietica («pure red cell aplasia»), rara:
a) congenita (sindrome di Diamond-Blackfan)
b) acquisita.
Cause
1. fattori genetici
2. associazione con timoma (es. guarigione dopo timectomia)
3. infezione da parvovirus B19 (diagnosi: presenza del virus, eritroblasti giganti nel
midollo osseo)
4. altre cause: neoplasie, farmaci, forme post-partum, ecc.
Decorso
a. acuto (guarigione entro 1 mese; più frequente nei bambini)
b. cronico (più frequente negli adulti).
Terapia
• causale
• sintomatica: terapia di supporto, immunosoppressori.
APPENDICE
ANTIGENI HLA
Gli antigeni HLA (Human Leukocyte Antigens) sono geneticamente determinati e sono paragonabili agli antigeni del sistema AB0. Si trovano sulla superficie di tutte le cellule nucleate dell’uomo e sono importanti nel riconoscimento tra self e non-self. La produzione di
anticorpi contro gli antigeni HLA ha luogo solo dopo trasfusioni di sangue, durante la gravidanza (la madre ha antigeni HLA diversi da quelli del padre) e nei soggetti trapiantati.
L’informazione genetica per la produzione degli antigeni HLA è localizzata sul cromosoma
6, nella regione del cosiddetto MHC (major histocompatibility complex).
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Tre classi di geni con loci diversi ed una moltitudine di alleli codificano la sintesi degli antigeni HLA:
DP
DQ
DR
C2
Bf
C4A
C4B
B
C
A
Classe II
Classe III
Classe I
cromosoma n. 6 con mappa genica del sistema HLA (MHC)
Gli antigeni HLA della classe I si trovano su tutte le cellule con nuclei, quelli di classe II
prevalentemente su linfociti B e macrofagi.
I geni della classe III codificano la sintesi dei fattori del complemento C2, C4 e del proattivatore (Bf) C3.
Nella ricerca di un donatore di midollo osseo, si distinguono 3 possibilità:
— ricerca di donatore tra i fratelli = Core Family Donor Search (CFDS): probabilità di
successo del 30%
— ricerca di donatore tra gli altri famigliari, esclusi i fratelli = Extended Family Donor
Search (EFDS): probabilità di successo circa 5%
— ricerca di donatori tra soggetti estranei (non consanguinei) = Unrelated Marrow Donor
Search (UMDS) = probabilità di successo da 1:30.000 a 1:100.000, e anche inferiore
(probabilità di successo solo per casistiche molto ampie di donatori).
I trapianti di midollo da donatore consanguineo HLA - compatibile hanno probabilità di
successo più elevate rispetto ad un donatore non consanguineo.
Rilevanti ai fini del trapianto sono 4 loci HLA: A, B, DR, DQ. Poiché ogni individuo eredita da ciascun genitore una specificità per ogni locus, nella ricerca di un donatore si devono considerare 8 specificità. Per rilevare le singole specificità esistono prove sierologiche
(con antisieri specifici) e prove di genetica molecolare (ad es. PCR). Tramite la coltura
linfocitaria mista (Mixed Lymphocyte Culture = MLC) si riconoscono differenze tra ricevente e donatore per quanto riguarda i geni HLA di classe II, inducendo questi una proliferazione di cellule T.
MALATTIE DEI GLOBULI BIANCHI E DEGLI ORGANI EMOPOIETICI
Schema del sistema immunitario
Ag specifico
Ag aspecifico
Umorale
Anticorpi
Sistema del
complemento
Cellulo-mediato
Linfociti T e B
Granulociti
Macrofagi
SISTEMA DEL COMPLEMENTO
Il sistema del complemento è una componente essenziale del sistema di difesa umorale ed
è composto da più fattori (C1-9) attivabili in due modi:
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1. Via classica:
attivazione tramite immunocomplessi: una molecola IgM oppure 2 molecole IgG possono fissare C1 dopo contatto con antigeni attraverso il frammento Fc. Questo provoca
una attivazione a cascata degli altri fattori complementari (sequenza C1 - C4 - C2 - C3 C5 fino a C9).
2. Via alterna:
indipendentemente da una reazione antigene-anticorpo, gli antigeni batterici possono ad
esempio attivare C3 direttamente, seguiti da una attivazione a cascata di C5-9.
Gli inibitori impediscono l’attivazione spontanea o indotta del sistema del complemento
(nell’edema angioneurotico ereditario manca ad esempio l’inibitore di C1).
Significato del sistema del complemento
1. Difesa da microorganismi:
— stimolazione della fagocitosi (tramlite C3b)
— citolisi di cellule bersaglio ricoperte di anticorpi tramite il prodotto finale della catena di attivazione del complemento (MAC = membrane attacking complex).
Pazienti con disturbi del sistema del complemento hanno una ridotta capacità di difesa contro le infezioni batteriche.
2. Partecipazione alla manifestazione di reazioni infiammatorie acute:
durante la cascata di attivazione del complemento si formano prodotti di scissione che
agiscono come mediatori dell’infiammazione: ad esempio C3a, attirando i granulociti
(chemiotassi), provoca la liberazione di istamina dai mastociti.
Cause di deficit acquisiti del complemento
1. sintesi ridotta (cirrosi epatica, malnutrizione)
2. consumo aumentato in corso di malattie autoimmuni con immunocomplessi circolanti
3. alcune infezioni.
SISTEMA RETICOLO ENDOTELIALE (SRE)
Sistema cellulare funzionale unitario, composto da macrofagi mononucleati, che svolgono
azione di difesa. Aschoff e Landau lo denominarono sistema reticoloendoteliale (SRE).
Più tardi venne definito reticoloistiocitario (SRI) ed oggi è conosciuto come sistema monocito-fagocitico (SMF) o sistema monocito-macrofagico (SMM).
I fagociti mononucleati (macrofagi) del sangue sono i monociti e nel tessuto connettivo sono gli istiociti. A livello della milza, dei linfonodi e del midollo osseo si comportano come
cellule reticolari fagocitanti, site tra i sinusoidi.
GRANULOCITI
I granulociti assicurano la difesa cellulare aspecifica, in particolare contro batteri e funghi
(chemiotassi, fagocitosi e batteriocidia).
Normalmente il 90% dei granulociti si trova nel midollo osseo, solo il 2-3% nel sangue
circolante e il resto nei tessuti. Segnali umorali (ad es. interleuchina-1, fattore complementare C3) provocano una mobilizzazione dei granulociti del midollo al sangue.
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Schema della granulocitopoiesi
MIDOLLO OSSEO
SANGUE
Pool di cellule
staminali
cellula staminale
totipotente
Pool di proliferazione
mieloblasti
promielociti
mielociti
cellula staminale
orientata in senso
granulopoietico
Pool di maturazione
a partire dai
metamielociti
Pool di riserva
Il volume cellulare
è 20 volte
maggiore del pool
funzionale
Pool funzionale
1. pool circolante
2. pool marginale
Il periodo di permanenza dei
granulociti nel sangue
periferico è di 6-10 ore, nei
tessuti di 3-5 giorni
7-10 giorni
Colony stimulating factors (CSF):
GM-CSF: stimola la formazione
di granulociti e macrofagi
G-CSF: stimola la granulopoiesi
feed
back
Granulociti neutrofili e forme immature: distribuzione nel midollo osseo e nel sangue
Valori normali di riferimento nel sangue
0 - 1%
citoplasma basofilo
mieloblasto
nucleolo
(freccia)
promielocito
0 - 5%
metacromasia
mielocito
30 - 80%
0 - 1%
citoplasma ossifilo
metamielocito
neutrofilo
con nucleo
a bastoncino
n. con nucleo
segmentato
n. con nucleo
ipersegmentato
granuli grossolani
(frecce)
iato leucemico
leucemia acuta
spostamento a sinistra della formula
leucemia mieloide cronica (LMC)
Nel sangue i granulociti si dividono in un pool marginale attorno alle pareti dei vasi ed in
un pool circolante nel sangue. Il periodo di permanenza dei granulociti nel sangue periferico è di 1-2 giorni (T1/2 ca. 7 h). Grazie alla loro mobilità ameboide i granulociti possono
abbandonare i capillari e migrare nei tessuti o attraversare le mucose. La loro distruzione
ha luogo nel SRE.
Gli elementi della granulocitopoiesi capaci di divisione mitotica sono il mieloblasto, il promielocita ed il mielocita (parte proliferativa). Dal metamielocita in poi non si hanno più
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mitosi. Il periodo di maturazione dal mieloblasto fino al granulocita maturo con nucleo
segmentato è di ca. 10 giorni, i granulociti maturi vivono 4-5 giorni. Nel caso di un arresto della proliferazione, la riserva di cellule granulocitopoietiche nel midollo osseo è sufficiente per 7-10 giorni (corrispondente al periodo di maturazione dei granulociti); quindi
una granulocitopenia seria si osserva solo dopo circa 1 settimana (ad es. terapia con citostatici). Un midollo osseo già sofferente ha una riserva diminuita, cosicché la granulocitopenia si stabilisce più velocemente (ad es. terapia con citostatici in caso di midollo con infiltrazione leucemica). La riserva principale del midollo osseo è costituita dal mielocita semimaturo, nel sangue periferico dal granulocita polimorfonucleato. Questo vale con due eccezioni:
1. stimolazione del midollo osseo (ad es. infiammazione):
nel sangue la distribuzione quantitativa dei granulociti si sposta a sinistra, verso gli
elementi più giovani (aumentato consumo di cellule mature). Nel midollo osseo si ha
uno spostamento a destra, verso elementi più maturi (stimolo proliferativo e maturazione accelerata).
2. deplezione midollare (ad es. citostatici):
nel midollo osseo si osserva una mancanza di maturazione cellulare, con predominanza
di forme molto giovani (spostamento a sinistra). La diminuzione del numero di cellule
nuove immesse in circolo, provoca una relativa predominanza nel sangue di cellule
vecchie (reticolocitopenia, aumento di neutrofili ipersegmentati) (spostamento a destra).
Sindromi da mielopoiesi extramidollare
In condizioni normali, la capacità di mobilizzazione (dal midollo al sangue circolante) degli elementi cellulari ematici si attua solo a partire da un determinato grado di sviluppo:
— per la granulopoiesi dai granulociti giovani (= metamielociti)
— per l’eritropoiesi dai reticolociti.
Questo fenomeno è un elemento protettivo affinché nessun elemento cellulare immaturo e
non funzionale venga mobilizzato verso la periferia. Questa protezione è peculiare del midollo e non degli altri organi emopoietici.
In caso di sindrome da mielopoiesi extramidollare vengono mobilizzati nel sangue anche
elementi immaturi della serie mielopoietica ed eritropoietica, provenienti da aree emopoietiche presenti nella milza e nel fegato = quadro ematologico leuco-eritroblastico.
Cause
1. malattie mieloproliferative (in particolare osteomielosclerosi)
2. neoplasie maligne infiltranti il midollo osseo (leucemie, linfomi maligni, carcinomi)
3. osteosclerosi generalizzata di Abbers-Schönberg.
Modificazioni reattive
Una infezione batterica acuta comporta tipiche variazioni a carico dei globuli bianchi e
delle proteine sieriche.
Secondo Schilling si possono distinguere tre fasi:
1. fase di lotta neutrofila:
— granulocitosi con aumento di α2-globuline
— spostamento a sinistra della formula leucocitaria
— granulazioni tossiche dei neutrofili (anche in assenza di leucocitosi!)
2. fase di superamento monocitaria con aumento di α2-globuline e di γ-globuline
3. fase di guarigione linfocitaria-eosinofila con aumento di γ-globuline.
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Diagnosi differenziale di una granulocitosi neutrofila (= neutrofili > 7.500/µl)
— In base alla patogenesi:
• aumentata produzione e immissione in circolo (midollo osseo sangue) in caso
di infezioni, policitemia, tumori, terapia steroidea, stress (effetto dell’adrenalina)
• spostamento quantitativo dal pool marginale a quello circolante in caso di infezione, intossicazione, ipossia, adrenalina
• inibizione del passaggio dal pool circolante a quello marginale in caso di terapia
cronica con steroidi.
— In base alla eziologia:
• cause fisiologiche: neonati, stress, sovraffaticamento, gravidanza
• infezioni: soprattutto batteriche: rari sono i casi con quota leucocitaria normale o
diminuita (tifo, brucellosi)
• infiammazione: febbre reumatica, connettiviti, pancreatite, ascessi
• neoplasie: affezioni mieloproliferative
• necrosi tissutali: infarto cardiaco, polmonare, ustioni ed altro
• disturbi metabolici: gotta, crisi tireotossica, coma diabetico e uremico
• farmaci: ad es. steroidi, adrenalina, litio
• altro: in seguito a splenectomia, coliti, emorragia acuta, emolisi acuta, traumi,
shock, fumo (leucocitosi da fumo).
Diagnosi differenziale di una eosinofilia (= eosinofili > 450/µl)
1. fase di guarigione linfocitaria/eosinofila dopo infezioni batteriche
2. malattie allergiche
3. malattie parassitarie si manifestano con eosinofilia marcata: ad es. infestazioni da
vermi, compreso l’infiltrato polmonare eosinofilo (durante il passaggio di larve di
ascaride), trichinosi, ecc.
4. affezioni cutanee croniche
5. neoplasie: ad es. malattia di Hodgkin, malattie mielo-proliferative, carcinomi metastatizzati
6. altre cause: ad es. sindrome di Churg-Strauss e vasculiti da ipersensibilità, endocardite di Löffler, malattia di Addison, ecc.
GRANULOCITOPENIA
Sinonimo: neutropenia.
Definizione: diminuzione dei granulociti neutrofili < 1.830/µl (dipende dai valori di riferimento).
Eziologia
I. Granulocitopenia da alterazioni della mielopoiesi midollare
A. Granulocitopoiesi diminuita (alterazione aplastica):
1. danneggiamento del midollo osseo:
— sostanze chimiche (ad es. benzolo)
— farmaci:
• dipendente dal dosaggio, da tossicità (ad es. citostatici, immunosoppressori, AZT, cloramfenicolo)
• indipendente dal dosaggio per reazioni legate al tipo di farmaco (ad es.
fenilbutazone, sali d’oro, in casi rari anche cloramfenicolo)
— irradiazioni
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— autoanticorpi contro le cellule staminali (in alcuni casi di neutropenia autoimmune)
2. infiltrazione del midollo osseo: leucemie, carcinomi, linfomi maligni
3. osteomielosclerosi
B. Disturbi di maturazione della granulocitopoiesi
1. rari disturbi congeniti della mielopoiesi:
sindrome di Kostmann: arresto maturativo della mielopoiesi allo stadio di promielocita; neutropenia ciclica: neutropenia periodica ogni 3 settimane; entrambe
queste forme possono essere trattate con successo con G-CSF
2. sindrome mielodisplastica
3. carenza di vitamina B12 e di acido folico con granulo-eritro-trombopoiesi inefficace.
II. Granulocitopenie da aumentata distruzione cellulare
A. Neutropenie immunologiche (relativamente rare)
1. Da autoanticorpi (poco frequenti)
— idiopatiche (ad es. neutropenia autoimmune nei bambini piccoli)
— neutropenie autoimmuni secondarie a malattie di base note:
• fase acuta dopo infezioni (ad es. mononucleosi)
• fase cronica nell’infezione da HIV
• linfomi maligni
• lupus eritematoso sistemico (LES), sindrome di Felty, sindrome di Sjögren
— granulocitopenia immunologica da farmaci (vedi cap. Agranulocitosi)
2. Da iso-anticorpi contro i granulociti:
neutropenia alloimmune del neonato da anticorpi IgG materni anti-granulociti
del figlio.
B. Granulocitopenie non immunologiche
1. da consumo: infezioni batteriche
2. alterazioni di distribuzione: ipersplenismo (pooling dei granulociti nella milza
ingrossata)
3. infezioni virali.
III. Alterazioni miste di produzione e distruzione cellulare
Clinica
Neutropenie > 1.000/µl sono quasi sempre asintomatiche, mentre il rischio di infezione
aumenta costantemente tra 1.000 e 500/µl; con valori < 500/µl vi è sempre infezione,
soprattutto di tipo batterico fino alla sepsi. In questo caso i segni infiammatori sono
poco evidenti.
Diagnosi
1. anamnesi (dei farmaci)/clinica
2. conta dei granulociti (valori assoluti)
3. citologia e istologia del midollo osseo
4. evtl. esami specialistici (ad es. autoanticorpi anti-granulociti).
Terapia
1. causale: sospensione dei farmaci sospetti, trattamento dell’eventuale malattia di base
2. sintomatica:
— protezione da infezioni, in caso di elevata granulocitopenia (< 500/µl) trattamento in locali asettici, evtl. bonifica anti-batterica; in caso di febbre o infezione somministrare antibiotici ad ampio spettro, dopo esecuzione di emocoltura e
tamponi (vedi cap. Febbre)
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— in caso di disturbi della mielopoiesi somministrare fattori di crescita della granulocitopoiesi (G-CSF e GM-CSF)
— nella neutropenia autoimmune si può intervenire con la seguente sequenza:
• corticosteroidi
• immunoglobuline ad alta dose e.v. (blocco del SRE)
• immunosoppressori.
AGRANULOCITOSI
Definizione: granulocitopenia immunologica indotta da farmaci, con improvvisa distruzione di tutti i granulociti e in parte anche dei precursori della granulopoiesi. Conta granulocitaria < 500/µl.
Eziologia
I farmaci che più frequentemente possono indurre tali reazioni sono numerosi; i più importanti sono:
— l’analgesico metamizolo (rischio di agranulocitosi 1:1.700)
— FANS e l’antiaggregante piastrinico ticlopidina
— i tireostatici metimazolo e carbimazolo
— sulfonamide, sulfalazina, cotrimossazolo
— il neurolettico clozapina; l’antidepressivo clomipramina.
Patogenesi: il farmaco funge da aptene; quando si lega alle proteine plasmatiche, si viene
a formare un antigene completo, in grado di stimolare la produzione di anticorpi specifici. I complessi antigene-anticorpo così formatisi, si legano alla superficie dei granulociti, provocando una granulocitolisi complemento-mediata.
Clinica: esordio acuto, con febbre accompagnata da brivido scuotente, ulcerazioni multiple
delle mucose e delle tonsille, eventualmente sepsi. La conta dei granulociti può calare
sino a 0, per poi aumentare dopo una settimana dalla sospensione del farmaco.
Midollo osseo: inibizione della maturazione dei granulociti con prevalenza dei promielociti (midollo promielocitico) con eritro- e trombopoiesi normali.
Terapia: sospensione di tutti i farmaci sin qui assunti; porre il paziente in locale asettico;
in caso di febbre, antibiotico-terapia con antibiotici ad ampio spettro (vedi cap. Febbre),
somministrazione di G-CSF (granulocyte colony stimulating factor) e GM-CSF (granulocyte macrophage colony stimulating factor).
Alterazioni della funzione granulocitaria
Epidemiologia: sono forme rare, prevalentemente congenite, con aumentata suscettibilità
alle infezioni batteriche.
1. Difetti dell’adesività leucocitaria (LAD):
deficit di proteine d’adesione e d’aderenza;
deficit ereditario autosomico recessivo delle 3 molecole d’adesione (integrine). Le
mutazioni a carico della catena β delle molecole di adesione ne sono la base molecolare. Le conseguenze sono alterazioni a carico di chemiotassi, aderenza e funzione fagocitaria dei granulociti.
Tipici sono il ritardo di caduta del cordone ombelicale, la persistenza della granulocitosi fisiologica del neonato e l’aumentata suscettibilità alle infezioni. Questi difetti
possono essere corretti tramite trapianto di midollo osseo o di cellule staminali.
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2. Sindrome con iper-IgE (sindrome di Job):
marcato incremento delle IgE. Tipiche le infezioni stafilococciche di cute (ascessi
«freddi», senza segni di infiammazione) e polmoni (polmoniti).
3. Sindrome di Chediak-Steinbrinck-Higashi:
alterazione ereditaria autosomica recessiva dei granulociti, con presenza di granuli
giganti, aumentata suscettibilità alle infezioni, albinismo parziale.
4. Granulomatosi settica progressiva:
affezione ereditaria prevalentemente X-linked, correlata ad un’alterazione dell’attività ossidasica NADPH-dipendente dei granulociti; come conseguenza, i batteri, dopo una normale fagocitosi, non possono venire distrutti in sede intracellulare.
5. «Sindrome del leucocita pigro»:
ridotta mobilità dei granulociti.
6. Deficit di mieloperossidasi granulocitaria con facilità alle infezioni micotiche.
LINFOCITI
Cellule staminali linfopoietiche
Precursore T
Timo
Precursore B
Organi linfatici primari
Distribuzione delle
competenze immunologiche
Borsa di Fabrizio
Lamina propria
dell’intestino tenue
Organi linfatici secondari
(milza, linfonodi)
Linfociti T
Antigene
Linfociti B
macrofagi
linfociti T-helper
linfociti T-suppressor
T-linfociti effettori
1. Linfociti T citotossici
2. Produzione di linfochine
Immunità cellulomediata
Ruolo
1.
2.
3.
4.
Cellule memoria
Plasmacellule
Anticorpi
Immunità umorale
dei linfociti T
difesa nelle infezioni da miceti, virus, micobatteri della lebbra e della tubercolosi
difesa contro i tumori
ipersensibilità di tipo ritardato
rigetto del trapianto.
Da un punto di vista funzionale, le cellule T-helper si distinguono in:
cellule TH1: producono prevalentemente le citochine interleuchina-2 e interferone-γ e stimolano preferenzialmente la risposta immunitaria cellulo-mediata;
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cellule TH2: producono principalmente le interleuchine 4 e 5 e regolano preferenzialmente la
risposta immunitaria umorale (anticorpo-mediata).
Tipizzazione fenotipica dei linfociti e dei monociti in base ai marcatori di superficie (CD)
Popolazione cellulare
Antigene
di superficie
timociti
cellule T totali
cellule T-helper
cellule T-suppressor
monociti
cellule B
rapporto T-helper/T-suppressor (T4/T8)
CD 1
CD 3
CD 4
CD 8
CD 14
CD 19 + 79
–
Valori normali
nel sangue circolante
(cellule/µl)
750
500
220
170
170
–
- 1.350
- 1.900
- 1.580
- 1.350
- 1.210
>1
I linfociti B producono immunoglobuline = anticorpi
(le IgD non sono qui rappresentate)
IgG
IgA
IgM
IgE
• pm 145.000
• la maggior parte
neutralizza tossine
batteriche e virus
• fissano il
complemento
• passano la
membrana
placentare!
• facilitano l’aderenza
dei fagociti ai
batteri
• reazione tardiva
della risposta
immunologica
• 4 sottoclassi,
numerosi allotipi.
• esempi:
isoagglutinine
Rhesus,
autoanticorpi
caldi.
• pm 160.000
• si trovano in tutti i
secreti, dove
esercitano una
difesa delle
mucose
• non passano la
membrana
placentare
• pm 970.000
• fissano il
complemento
• agglutinanti
• esercitano una
difesa di prima
linea (reazione
precoce della
risposta
immunitaria)
• non passano la
membrana
placentare
• esempi:
isoagglutinine AB0, agglutinine
fredde, fattore
reumatoide, M. di
Waldenström; si
dosano per
evidenziare infezioni
virali recenti.
• pm 190.000
• si legano come
anticorpi sessili ai
mastociti e ai
granulociti basofili
• il contatto con
l’antigene specifico
comporta degranulazione dei mastociti e liberazione
di amine biologicamente attive (ad es.
istamina), reazione
allergica tipo I
• esempi:
orticaria, edema di
Quincke,
anafilassi, asma
bronchiale allergico,
gastroenterite
allergica; infezioni
parassitarie.
Valori normali:
7-16 g/l
emivita: circa 3
settimane
Valori normali:
0,7-4 g/l
emivita: 6 gg.
Valori normali:
0,4-2,3 g/l
emivita: 5 gg.
Valori normali:
12-240 µg/l
emivita: 2 gg.
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Rappresentazione schematica di una IgG
2
Sito di legame del monocita
Ponti disolfuro
FC
Attivazione del complemento
1 = catena L (κ o λ)
2 = catena H (γ)
Fab
1
1
Sito di legame dell’antigene
IMMUNODEFICIENZE
Sinonimo: immunodeficit.
Eziologia
1. Immunodeficienze primitive congenite:
— difetti delle cellule B con sindrome da deficit anticorpale:
• agammaglobulinemia di Bruton:
frequenza 1:20.000; trasmissione ereditaria legata al cromosoma X (gene
XLA): le donne sono portatrici e i figli maschi sono malati. Mancata maturazione da precursori a cellule B mature assenza di plasmacellule e linfociti B.
• common variable immunodeficiency (CVID):
sindrome da deficit anticorpale clinicamente analoga alla agammaglobulinemia di Bruton, ma non ereditaria.
• ipogammaglobulinemia transitoria:
compare occasionalmente nei bambini piccoli sino alla fine del 2° anno d’età
• deficit selettivo di IgA:
è l’immunodeficit più frequente (1:500); nel 60% dei casi riscontro occasionale in soggetti asintomatici; nel 30% dei casi infezioni respiratorie e nel 10%
gastrointestinali ricorrenti
• deficit di sottoclassi IgG (soprattutto IgG2 e IgG4)
— difetti delle cellule T:
• sindrome di Di George:
frequenza 1:20.000, generalmente neomutazione; aplasia del timo e delle paratiroidi ( tetania perinatale) con assenza di immunità cellulo-mediata, correggibile con trapianto di timo
— difetti combinati delle cellule B e T:
i difetti isolati delle cellule T sono molto rari. La cooperazione cellulare T-B riduce abitualmente anche la produzione di immunoglobuline.
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• severe combined immunodeficiency (SCID):
ipoplasia di tutti i tessuti linfatici, compreso il timo. Ne esistono numerose varianti, ad es.:
– difetto del gene dell’enzima adenosin-deaminasi (ADA)
– difetto della proteina Z-attivante (ZAP)
– in caso di SCID a trasmissione ereditaria legata al cromosoma X (X-SCID)
è presente un difetto del gene IL-2R-γ.
• sindrome di Nezeloff: forma particolare di SCID con normalità delle cellule B.
• atassia-teleangectasia (sindrome di Louis-Bar):
ereditarietà autosomica recessiva; associazione con atassia + teleangectasia
• sindrome di Wiskott-Aldrich:
ereditarietà recessiva legata al cromosoma X; associazione con trombocitopenia + eczemi
• candidiasi mucocutanea cronica: difetto dei linfociti T e dei macrofati nella
produzione di linfochine.
2. Immunodeficienze secondarie acquisite:
— difetti delle cellule B (sindrome da deficit anticorpale): ad es.
• sindrome protido-disperdente da causa enterica o renale
• linfomi non Hodgkin di tipo B, in particolare plasmocitoma e LLC
• splenectomia, radioterapia
— difetti delle cellule T:
• infezioni virali: HIV, CMV, EBV e virus del morbillo
• infezioni batteriche da micobatterio tubercolare o della lebbra
• carenza di proteine (malnutrizione)
• linfomi di Hodgkin e non Hodgkin di tipo T
• trattamento con corticosteroidi, immunosoppressori
— difetti combinati delle cellule B e T:
• ad es. terapia citostatica, uremia, ustioni, politrauma.
Clinica
1. aumentata suscettibilità alle infezioni batteriche (in particolare delle vie respiratorie)
in caso di difetti delle cellule B, oppure alle infezioni virali e micotiche in caso di
difetti delle cellule T
2. aumentata suscettibilità a tumori e affezioni autoimmuni.
Diagnosi
Anamnesi, clinica + laboratorio.
1. quadro ematologico, conta dei linfociti, caratterizzazione fenotipica dei linfociti T,
B, T-helper e T-suppressor, rapporto T4/T8
2. dosaggio delle immunoglobuline: IgG con loro sottoclassi, IgA, IgM
3. test cutanei con antigeni cosiddetti «richiamo» per valutare la funzione delle cellule T
4. analisi del sistema del complemento
5. ricerche specifiche: ad es. biopsia con immunoistologia del midollo osseo e dei
linfonodi.
Terapia
1. Causale:
ad es. in caso di SCID trapianto di midollo osseo o di cellule staminali (eventualmente già intrauterino); in caso di SCID con deficit di ADA terapia genica; in caso di sindrome di Di George trapianto di timo; correzione delle cause delle immunodeficienze secondarie (acquisite).
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2. Sintomatica:
— profilassi delle infezioni: misure igieniche, eventualmente locali asettici, misure
selettive di decontaminazione, profilassi mirata a particolari affezioni (ad es.
profilassi della polmonite da Pneumocystis carinii, tramite somministrazione di
cotrimossazolo), ecc.
— in caso di infezioni: chemioterapia antimicrobica
— in caso di sindrome da deficit anticorpale e aumentata suscettibilità alle infezioni: terapia sostitutiva con IgG; in caso di infezioni virali eventualmente anche
con preparati iperimmuni virus-specifici. La terapia sostitutiva e.v. con preparati
di IgG polivalenti (300-400 mg/kg di peso corporeo ogni 4 settimane) è superiore alla somministrazione i.m. In caso di deficit di IgA l’indicazione alla somministrazione di immunoglobuline deve essere attentamente valutata, poiché può
provocare reazioni anafilattiche. Si deve preliminarmente eseguire un test per la
ricerca di auto-anticorpi anti-IgA ed è consigliabile impiegare preparati di IgG
depleti in IgA. In caso di necessità di emotrasfusione, utilizzare solo concentrati eritrocitari lavati
— somministrazione di citochine nell’ambito di studi controllati
— in caso di immunizzazione attiva utilizzare solamente vaccini ad agente ucciso.
LINFOCITOSI
Linfocitosi assoluta (> 4.000/µl):
1. reattiva:
— infezioni virali (ad es. mononucleosi infettiva, rosolia, ecc.)
— «fase di guarigione linfocitaria» di infezioni batteriche
— tubercolosi, sifilide, pertosse, malattia di Bang; spesso i bambini reagiscono a
varie infezioni con una linfocitosi reattiva.
2. neoplastica: leucemia linfatica cronica (LLC).
Diagnosi differenziale: linfocitosi relativa in seguito a granulocitopenia o agranulocitosi.
LINFOCITOPENIA
Linfocitopenia (< 1.500/µl):
1. sindrome di Cushing, terapia steroidea, situazioni di stress
2. terapia con citostatici, in particolare immunosoppressori
3. malattia di Hodgkin, tubercolosi miliare, AIDS, ecc.
LINFOMI MALIGNI
Definizione: neoplasie del sistema linfatico, classificabili in 2 gruppi:
1. Malattia di Hodgkin
2. Linfomi non-Hodgkin (LNH)
Forme particolari
1. plasmocitoma: affezione appartenente al gruppo dei LNH che di regola si manifesta con intensa proliferazione di plasmacellule nel midollo osseo, per cui non
vi è coinvolgimento dei linfonodi
2. leucemia linfatica cronica (LLC): è un LNH con decorso leucemico e basso grado di malignità.
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LINFOMA DI HODGKIN
Sinomini: malattia di Hodgkin, linfogranulomatosi maligna.
Definizione: linfoma maligno, il cui segno istologico è la cellula gigante di Sternberg, la
quale si forma dalla cellula mononucleata di Hodgkin. Queste cellule sono probabilmente di origine monoclonale e nella maggior parte dei casi si distinguono dalle cellule B. Nello stadio precoce si ha una malattia linfonodale localizzata. Nello stadio avanzato diventa una affezione sistemica che si manifesta anche negli organi extralinfatici
(midollo osseo, fegato).
Epidemiologia: incidenza: 3/100.000/anno; M:F = 3:2
Due picchi d’età in Europa e negli USA (non negli altri Paesi del mondo): intorno al
30° e al 60° anno d’età.
Eziologia: ignota (virus di Epstein-Barr?)
Anatomia patologica: due rilievi principali:
1. cellule giganti di Sternberg-Reed
che derivano da cellule mononucleate cosiddette «cellule di Hodgkin» (con antigeni di superficie CD15 e CD30). Tipici sono i nucleoli assai grossi.
2. citologia varia da accumulo di cellule linfatiche reattive («cellule astanti»); tendenza a cicatrizzare.
Classificazione istologica sec. l’OMS, 1999:
1. sclerosi nodulare (82% dei casi)
2. cellularità mista (14%)
3. prevalenza linfocitaria (3%)
4. deplezione linfocitaria (1%)
In questa classificazione il sottotipo «predominanza linfocitaria» non viene considerato e
viene definito «paragranuloma nodulare».
Nota: la morfologia cellulare cambia sotto trattamento: si osserva anzitutto una obiettiva citopenia con tendenza alla sclerosi. Per questo si raccomanda di fare una classificazione
istologica prima di iniziare la terapia.
Diffusione della malattia
la linfogranulomatosi di solito inizia in regione latero-cervicale. Ha una diffusione anzitutto linfatica, ma anche ematogena e per contiguità.
Particolarità immunologiche
la diminuzione di cellule T nel sangue porta alla diminuzione della immunità cellulare
predisposizione aumentata alle infezioni, ad esempio: TBC, miceti e virus (Zooster!); negatività della intradermoreazione alla tubercolina.
Stadi della M. di Hodgkin secondo la «Ann Arbor Classification»:
— solo stadiazione clinica (SC)
— stadiazione «patologica» dopo indagini invasive (SP)
Nota: lo stadio di diffusione ha valore prognostico decisivo.
I
Interessamento di una stazione linfonodale (IN) o di una sede extralinfatica (IE)
II
Interessamento di due o più stazioni linfonodali sullo stesso versante diaframmatico
(IIN) o di una sede extra-linfatica e una o più stazioni linfonodali sullo stesso versante
diaframmatico (IIE).
continua a pag. 53
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Pagina 53
continua da pag. 52
III
Interessamento di stazioni linfonodali da ambedue i versanti diaframmatici (IIIN) con interessamento localizzato di organi extralinfatici (IIIE). La localizzazione subfrenica viene
suddivisa in:
III 1: coinvolgimento della milza (ilo), linfonodi celiaci e portali (interessamento del tronco celiaco superiore)
III 2: coinvolgimento dei linfonodi paraaortici, iliaci, mesenterici ed inguinali (interessamento del tronco celiaco inferiore)
IV
Coinvolgimento disseminato di uno o più organi extralinfatici, con o senza coinvolgimento dei linfonodi: H = fegato, L = polmone, M = midollo osseo, O = scheletro, P =
pleura, D = cute, S = milza, N = linfonodi
Inoltre: stadio A: assenza di sintomatologia sistemica
stadio B: febbre (> 38°C) e/o sudorazione notturna e/o calo ponderale (oltre il 10% negli ultimi 6 mesi) senza altri motivi apparenti
Durante e al termine della terapia si devono ricontrollare i reperti patologici (restaging).
Fattori di rischio per gli stadi clinici I e II che richiedono un trattamento combinato chemio/radioterapico (sec. Gruppo di studio tedesco sul linfoma di Hodgkin):
1. estesa tumefazione mediastinica (> 1/3 del diametro toracico trasverso)
2. interessamento extra-linfonodale (stadio E)
3. coinvolgimento massivo della milza
4. interessamento ≥ 3 stazioni linfonodali
5. VES elevata (stadio A > 50 mm/h; stadio B > 30 mm/h).
Clinica
1. Sintomi generali:
— febbre* (> 38°C); tipica, ma non molto frequente è la presenza di febbre ondulante di Pel-Ebstein; in caso di interessamento addominale, la febbre è molto
frequente
— sudorazioni notturne*
— calo ponderale* > 10% del peso corporeo, in 6 mesi
— astenia, affaticabilità, eventualmente prurito
— dolori localizzati ai linfonodi dopo assunzione di alcool (rari)
(* cosiddetti sintomi di tipo B).
2. Linfoadenomegalia:
(presente nell’80-90% dei casi, al momento della diagnosi)
— forma periferica, superficiale (70% dei casi):
generalmente a livello della regione cervicale (più raro in regione ascellare o
inguinale), pacchetti linfonodali non dolenti («sacco di patate»); diagnosi differenziale con una tumefazione linfonodale di altra natura:
• linfomi non Hodgkin, metastasi neoplastiche loco-regionali
• infezioni locali
• malattie infettive (mononucleosi, toxoplasmosi, rosolia, HIV)
— mediastinica (1/3 dei casi, con tosse stizzosa); diagnosi differenziale con:
• TBC ilare
• sarcoidosi
• linfomi non-Hodgkin
• carcinoma bronchiale ed altri.
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— forma addominale (isolata nel 5%)
spesso associata a febbre! Diagnosi differenziale con tumori gastro-intestinali.
3. Presenza di epato-splenomegalia
4. Laboratorio
frequente aumento della VES, eventuale aumento dell’LDH, eventuale anemia;
rilievo tipico è una linfocitopenia assoluta (< 1.000/µl nel 25% dei casi all’inizio,
nel 60% nel procedere della malattia), eventuale eosinofilia (~ 1/3 dei casi).
Con questo non si è ancora esaurita la possibile sintomatologia della malattia di
Hodgkin: si possono osservare quadri neurologici, disturbi endocrinologici, manifestazioni polmonari o a carico dello scheletro, sintomatologia del tratto urogenitale.
Diagnosi
1. Certezza istologica
mediante biopsia (eventualmente ripetuta) dei linfonodi ingrossati o sospetti. I linfonodi inguinali sono spesso soggetti ad alterazioni aspecifiche cosicché la loro biopsia non ha grande valore diagnostico.
Nota: per ragioni prognostiche e terapeutiche, è indispensabile una diagnosi istologica di certezza.
2. Registrazione di tutte le manifestazioni (per la stadiazione)
— anamnesi (sintomi di tipo B?)
— studio approfondito dei linfonodi periferici
— laboratorio
— torace: radiografia standard in 2 proiezioni e tomografia computerizzata
— addome: ecografia, tomografia computerizzata
— scintigrafia dello scheletro, evtl. RMN: una scintigrafia del midollo osseo normale esclude una sostanziale infiltrazione nel midollo osseo. Sospetti focolai
scintigrafici possono essere verificati quali focolai infiltrati tramite immagini
mirate alla RMN e possono essere confermati con biopsia mirata.
— eventuale biopsia epatica (in caso di interessamento infra-diaframmatico)
— linfangiografia e laparotomia diagnostica non sono richieste, in quanto di solito
sono sufficienti i reperti alla tomografia computerizzata.
3. Monitoraggio della tossicità della terapia:
ECG, ecocardiografia, funzione polmonare
4. In caso di desiderio di procreazione, eventuale conservazione dello sperma.
Terapia
Obiettivo curativo: remissione completa = scomparsa di tutte le manifestazioni della
malattia; la strategia terapeutica deve sempre muoversi nell’ambito di studi clinici controllati.
1. Gruppo a prognosi favorevole
Stadi I/II A B senza fattori di rischio
Irradiazione:
Irradiazione delle stazioni linfonodali infiltrate e di quelle tributarie (irradiazione a
campo allargato). In caso di localizzazione sovradiaframmatica campo «a mantellina» + linfonodi paraaortici e ilo splenico; in caso di interessamento infra-diaframmatico campo «a Y rovesciata» che comprende l’ilo splenico + campo «a T» sovradiaframmatico adiacente.
Dose: 35-45 Gray con dosi singole di circa 2 Gray per 5 volte alla settimana per 4
settimane (tecnica megavoltaica con acceleratore lineare). Nel 25% dei casi com-
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paiono recidive che nel 70% dei casi possono essere trattate con successo con la
chemioterapia.
Effetti collaterali dell’irradiazione
— Reazione acuta: nausea, vomito, astenia, dermatite, mucosite; in caso di irradiazione dell’addome si manifesta talvolta diarrea, in caso di irradiazione a campo
allargato deplezione midollare con leuco- e trombocitopenia.
— Conseguenze post-terapeutiche con tecnica «a mantello»
• polmonite (20% dei casi) con dispnea e tosse irritativa, event. lieve fibrosi
polmonare radioindotta; trattamento: corticosteroidi per via inalatoria o, nei
casi più gravi, per via sistemica
• pericardite, event. accompagnata da versamento pericardico e cardiomegalia
(5-10% dei casi)
• complicanze neurologiche: possono comparire sindrome di Lhermitte con parestesie a carico degli arti superiori (15% dei casi), sindrome dell’a. spinale
anteriore (dovuta a endoarterite obliterante radioindotta), talvolta paralisi e deficit radicolari
• ipotiroidismo in caso di irradiazione della tiroide
• menopausa radioindotta in caso di irradiazione delle ovaie
• azoospermia transitoria in caso di irradiazione dei testicoli
Non è stato documentato alcun rischio malformativo o di danno a bambini nati
da un genitore precedentemente trattato con radio- o chemioterapia.
— Complicanze tardive: neoplasie secondarie (rischio maggiore in caso di associazione di chemio- e radioterapia): tumori solidi, linfomi non-Hodgkin, leucemia
mieloide acuta.
2. Gruppo a prognosi intermedia
Stadi I/II A B con fattori di rischio nonché stadio III A senza fattori di rischio
Chemioterapia associata ad irradiazione: 4 cicli di polichemioterapia e successivamente irradiazione a «campi estesi».
La maggioranza dei pazienti ha una remissione completa con la sola radioterapia,
comunque la metà di questi ha una recidiva. Per questo motivo si adotta la chemio/radioterapia associata.
3. Gruppo a prognosi sfavorevole
Stadi III A con fattori di rischio nonché stadi III B e IV A B
Terapia di scelta: polichemioterapia
La terapia standard è una polichemioterapia di 8 cicli, pari circa a 8 mesi totali di
terapia. Si basa sulla somministrazione dello schema COPP (ciclofosfamide, vincristina, procarbazina, prednisone) e dello schema ABVD (doxorubicina, bleomicina,
velbe, dacarbazina) non a resistenza crociata remissione completa nel 75% dei
casi; sopravvivenza a 5 anni: 50% dei casi.
Nota: differenza tra schema MOPP e COPP: nel MOPP si impiega mustargen al
posto della ciclofosfamide. Lo schema BEACOPP contiene i farmaci dello schema
COPP/ABVD con l’aggiunta di etoposide; è più efficace dello schema COPP/
ABVD.
Effetti collaterali: vedi cap. Terapia antineoplastica medica.
L’associazione di terapia radiante è indicata solo in caso di massa linfomatosa residua e principalmente di grossi conglomerati linfonodali con diametro > 5 cm
(«bulky disease»).
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Strategia terapeutica nella malattia di Hodgkin recidivante
— Pazienti con recidiva dopo sola terapia radiante:
chemioterapia, con prognosi favorevole a lungo termine nel 50-80% dei casi.
— Pazienti con recidiva dopo chemioterapia: 3 gruppi
• durata della remissione completa ≥ 12 mesi: nuovo ciclo di chemioterapia, con
buone probabilità di remissione a lungo termine
• durata della remissione completa < 12 mesi
• mancato raggiungimento della remissione completa (resistenza primaria alla terapia).
La prognosi per i pazienti del 2° e 3° gruppo è sfavorevole e necessita di strategie
terapeutiche intensive:
— Terapia di «salvataggio»: nuova polichemioterapia intensiva a scopo curativo.
Sono possibili in alternativa uno schema chemioterapico a dosi più elevate con
somministrazione di fattori di crescita emopoietici, oppure una chemioterapia
mieloablativa ad alte dosi. Dopo una chemioterapia mieloablativa ad alte dosi,
si deve ripristinare la capacità emopoietica tramite trapianto di midollo osseo o
di cellule staminali del sangue periferico:
• trapianto di cellule staminali autologhe (prelevate al paziente stesso, durante
una precedente fase di remissione completa)
• trapianto allogenico di midollo osseo o cellule staminali (da donatore diverso
HLA-compatibile).
In caso di trapianto di cellule staminali autologhe si devono rimuovere dalle cellule staminali circolanti le cellule neoplastiche residue («purging»). In caso di
cellule da trapiantare provenienti da altro donatore questo problema non sussiste.
Vantaggi del trapianto di cellule staminali rispetto al trapianto di midollo osseo:
• facile recupero di cellule staminali dal sangue circolante mediante leucoaferesi
• veloce rigenerazione dell’emopoiesi dopo trapianto di cellule staminali (circa
9 giorni) rispetto al trapianto di midollo osseo (2-3 settimane)
• in caso di infiltrazione neoplastica del midollo, il rischio di contaminazione da
eventuali cellule neoplastiche residue è inferiore nel trapianto di cellule staminali rispetto al trapianto di midollo.
Vantaggi del donatore autologo rispetto all’allogenico:
• nessuna reazione graft-versus-host, poche complicanze, bassa mortalità da terapia
• nessun problema legato alla disponibilità di donatori.
Indicazioni: pazienti con malattia di Hodgkin recidivante che non rispondono
più ad una chemioterapia (vedi sopra). Limite di età per trapianti di midollo osseo e cellule staminali allogeniche: < 50 anni.
Complicanze
• granulocitopenia + riduzione delle difese immunitarie sepsi, infezioni (ad
es. pneumopatia interstiziale da Pneumocystis carinii o cytomegalovirus in caso di trapianto allogenico). Con la somministrazione di fattori di crescita emopoietici (G - CSF e GM-CSF) si supera più velocemente la granulocitopenia
• trombocitopenia con tendenza ad emorragie
• nel trapianto allogenico di midollo e di cellule staminali, anche reazione graftversus-host e rigetto (per i dettagli vedi capp. Anemia aplastica e Leucemie
acute).
Risultati: il 50% dei trapiantati ha una remissione completa, di cui la metà a lungo termine.
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— In fase di sperimentazione clinica: immunoterapia adiuvante con anticorpi monoclonali coniugati a tossine (tossine accoppiate ad anticorpi monoclonali diretti contro l’antigene Ki1 delle cellule neoplastiche di Hodgkin).
Monitoraggio
I 2/3 di tutte le recidive si manifestano nei primi due anni e oltre il 90% entro i primi
cinque anni dopo il termine della terapia primaria; sono pertanto necessari controlli regolari nei primi anni. Tramite PCR si possono rilevare anche piccolissime quantità di
cellule neoplastiche residue.
Modalità di monitoraggio
— anamnesi intermedia (sintomi B?) + esame clinico + screening di laboratorio
— radiografia toracica, ecografia addominale
— scintigrafia dello scheletro in caso di interessamento osseo primitivo
— esami istologici di linfoadenomegalie sospette
— evtl. esame del midollo osseo in caso di modifiche poco chiare del quadro ematico.
Prognosi: dipende da:
— estensione (staging)
— sintomi B e fattori di rischio/fattori prognostici (vedi staging).
Percentuali di guarigione
— gruppo a prognosi favorevole (vedi sopra) ~ 90%
— gruppo a prognosi intermedia ~ 70%
— gruppo a prognosi sfavorevole ~ 50%
La prognosi favorevole complessiva è in realtà falsata dalla tossicità a lungo termine
della chemio- e radioterapia:
— rischio aumentato di seconda neoplasia (complicanza tardiva più importante): tumori solidi, in particolare carcinomi mammari e tiroidei (11% entro 15 anni dalla
terapia radiante); leucemia mieloide acuta (~ 1% all’anno entro i primi 10 anni dall’inizio della terapia); linfomi non-Hodgkin
— tossicità cardiaca da antraciclinici e irradiazione mediastinica
— tossicità polmonare da irradiazione e bleomicina
— tossicità gonadica con infertilità e amenorrea
— disturbi a carico della funzione tiroidea.
Al fine di ridurre gli effetti collaterali precoci e tardivi indotti dalla terapia, è necessario identificare per tempo i pazienti a basso rischio e trattarli con schemi terapeutici poco tossici.
LINFOMI NON-HODGKIN (LNH)
Definizione: neoplasie maligne clonali che nascono dai linfociti B o T del tessuto linfatico
(forma particolare: plasmocitoma a manifestazione primaria nel midollo osseo). Il 30%
dei LNH ha manifestazioni di tipo leucemico.
Epidemiologia: 5-10/100.000/anno; frequenza in aumento; M:F = 1,5:1.
Il picco di frequenza è in età avanzata (il LNH linfoblastico ha un secondo picco nelle
prime due decadi di vita). Pazienti con AIDS hanno un’incidenza di LNH da 1 a 1000
volte superiore.
Classificazione dei LNH secondo criteri morfologici e immunoistochimici:
1. Classificazione di Kiel, secondo il prof. Lennert:
distinzione dei LNH tra «-citico = a basso grado di malignità» e «-blastico = ad alto grado di malignità».
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2. Revised European American Lymphoma (R.E.A.L.) Classification, dell’International
Lymphoma Study Group (ILSG):
distinzione tra neoplasie dei precursori delle cellule B o T e neoplasie delle cellule
B o T periferiche (dipendente dallo stadio di sviluppo delle cellule linfomatose)
3. Classificazione OMS, 1999; versione della classificazione R.E.A.L. accettata a livello internazionale
4. Classificazione clinica dei LNH.
Stipite B-linfocitario (80-85% dei casi)
Stipite T-linfocitario (15-20% dei casi)
I.
I.
Linfomi «indolenti»
– leucemia linfatica cronica
– immunocitoma (m. di Waldeström)
– leucemia a cellule capellute
– linfoma a cellule B della zona marginale
• extra-nodale (MALT)
• nodale (monocitoide)
• splenico
– linfoma follicolare del centro germinativo
(grado I e II)
Linfomi «indolenti»
– micosi fungoide
– leucemia/linfoma a cellule T dell’adulto
II. Linfomi aggressivi
– plasmocitoma/mieloma multiplo
– linfoma a cellule mantellari
– linfoma follicolare del centro germinativo
(grado III)
– linfoma diffuso a grandi cellule B (comprese le
varianti immunoblastiche, centroblastiche, e
diffuse a grandi cellule)
– linfoma a cellule B mediastinico
– linfoma a cellule B Burkitt-simile
II. Linfomi aggressivi
– linfomi a cellule T non specificati
– linfomi angioimmunoblastici
– linfomi angiocentrici
– linfomi intestinali a cellule T
– linfomi anaplastici a grandi cellule T e «null»
III. Linfomi molto aggressivi
– linfoma linfoblastico dei precursori B
– linfoma di Burkitt
III. Linfomi molto aggressivi
– linfoma linfoblastico dei precursori T
– leucemia/linfoma a cellule T dell’adulto
Eziologia
1. virus:
— HTLV 1 è stato trovato in linfomi a cellule T nel sud del Giappone
— virus di Epstein-Barr (EBV): si trova costantemente nei due tipi di linfoma di
Burkitt, endemico in Africa e associato all’HIV. Nei casi di linfoma di Burkitt
sporadico, l’EBV è presente invece solo nel 15% dei casi
— HHV-8 = virus herpetico del sarcoma di Kaposi (KSHV): gioca un ruolo nell’eziologia del sarcoma di Kaposi e dei LNH
2. batteri: un’infezione cronica pluriennale della mucosa gastrica da Helicobacter pylori può portare all’insorgenza di un linfoma gastrico MALT a basso grado di malignità. La terapia eradicante dell’Helicobacter pylori può condurre a guarigione!
3. mutazioni tumore-specifiche: quali marcatori molecolari, si trovano accumuli clonospecifici di segmenti genici e translocazioni (vedi tabella a pagina seguente).
Le translocazioni cromosomiche giocano un ruolo nella patogenesi dei linfomi, ad es. mediante inibizione della «morte programmata» delle cellule (apoptosi) in caso di t(14;18),
oppure inattivazione dei geni tumore-soppressivi.
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Tipo di LNH
Gene localizzazione cromosomica
Conseguenze
di tipo B
gene della catena pesante delle
immunoglobuline 14q
riarrangiamento Ig monoclonalità delle cellule B
di tipo T
gene del recettore delle cellule
T varie localizzazioni
riarrangiamento TCR monoclonalità delle cellule T
Linfoma di Burkitt
IGHV/MYC 6(8;14)
dell’oncoproteina c-myc
Linfoma follicolare
del centro germinativo
IGHV/BCL2 t(14;18)
della proteina bcl-2 nei
centri germinativi neoplastici
Linfomi anaplastici
a grandi cellule (ALCL)
ALK/NPM t(2;5)
della proteina di fusione
(chinasi)
Linfomi della zona
mantellare, raramente
LLC
IGHV/CCND1 t(11;14)
di una ciclina D
Leucemia linfatica
acuta, tipo T
IGHV/MYC t(8;14)
riarrangiamento del recettore
α della cellula T
Stadiazione (staging)
La classificazione in 4 stadi dei LNH segue, come per la m. di Hodgkin, la classificazione di Ann-Arbor. Si distinguono un interessamento primitivo nodale e uno extra-nodale. I rari casi di LNH extra-nodali si manifestano soprattutto nel tratto gastroenterico
(prevalentemente linfomi a cellule B del tipo MALT) oppure a livello cutaneo (linfomi
cutanei a cellule T); ma possono essere coinvolti anche altri organi (per es. SNC).
Stadio
Manifestazione primitiva
nodale (70%)
Manifestazione primitiva
extra-nodale (30%)
I
interessam. di una regione linfonodale
interessam. di un organo o tessuto extra-linfatico (IE)
II1
interessam. di zone linfonodali adiacenti sopra
o sotto il diaframma (II1) o di una regione linfonodale con passaggio localizzato ad un vicino
organo o tessuto (II1E)
interessam. di un organo extra-linfatico inclusi i
linfonodi regionali (II1) o di un altro organo extra-linfatico vicino (II1E) sopra o sotto il diaframma
interessam. di due regioni linfonodali non vicine o più di due regioni linfonodali vicine sopra
o sotto il diaframma (II2) incluso un interessamento localizzato di un organo o tessuto extralinfatico (II2E)
interessam. di un organo extra-linfatico e linfonodale che va oltre i linfonodi regionali e che
può comprendere anche un ulteriore interessamento localizzato di un organo (II2E)
interessam. di regioni linfonodali sopra e sotto
il diaframma (III) incluso un interessam. localizzato di un organo o tessuto extralinfatico (IIIE)
o della milza (IIIS) o di ambedue (IIISE)
interessam. linfonodale e di un organo extralinfatico sopra e sotto il diaframma incluso un
interessam. localizzato di un organo o tessuto
extralinfatico (IIIE) o della milza (IIIS) o di ambedue (IIISE)
interessam. linfonodale con interessam. diffuso
o disseminato di organi o tessuti extra-linfatici
interessam. diffuso o disseminato di un organo
con o senza interessam. linfonodale
II2
III
IV
Inoltre: A: senza manifestazioni generali
B: con febbre e/o sudorazioni notturne e/o perdita ponderale (> 10% negli ultimi 6 mesi)
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Il tessuto linfatico comprende: linfonodi, milza, timo, anello faringeo di Waldeyer; appendice e placche di Peyer.
Si considerano ad alto rischio i pazienti nello stadio III/IV con due o più fattori di rischio:
aumento delle LDH, localizzazioni extra-nodali multiple, condizioni generali scadenti.
Nota: per la leucemia linfatica cronica e il plasmacitoma vale una stadiazione diversa (vedi
i relativi capitoli).
Clinica
Linfoadenomegalia, sintomi generali (febbre, sudorazione notturna, calo ponderale = sintomi B sfavorevoli dal punto di vista prognostico), evtl. manifestazioni cutanee; in caso
di interessamento del midollo osseo (50% dei casi): anemia, leucocito- e trombocitopenia. Linfomi delle cellule T hanno spesso manifestazioni extra-linfatiche (stomaco, intestino). I linfomi delle cellule B possono coesistere con una gammopatia monoclonale.
Diagnosi differenziale
In particolare, linfoadenomegalia da altre cause.
Diagnosi
1. Istologia linfonodale
indispensabile per motivi diagnostici, terapeutici e prognostici!
2. Diagnostica della stadiazione - comprende tutte le manifestazioni:
— anamnesi (sintomi di tipo A, B)
— clinica con stato dei linfonodi
— radiografia e TC del torace
— ecografia e TC dell’addome
— citologia ed istologia del midollo osseo, evtl. scintigrafia del midollo osseo
— evtl. diagnostica aggiuntiva: ad es. diagnostica gastroenterica, ORL, biopsia del
fegato nello stadio clinico III
— citologia del liquor in caso di linfoma di Burkitt e di LNH linfoblastico.
Terapia
Tanto eterogenei sono i singoli sottogruppi dei linfomi non-Hodgkin, tanto diversi sono
i rispettivi protocolli terapeutici. Pertanto qui di seguito si danno soltanto indicazioni generali:
A. LNH a bassa malignità (linfomi «indolenti»)
1. Nello stadio localizzato (stadio I e II): irradiazione.
2. Nello stadio generalizzato: attendere («watch and wait») fino a che non insorgano manifestazioni che consiglino un intervento terapeutico:
— sintomi di tipo B
— insufficienza midollare
— rapida progressione
— danno d’organo
— grossi linfomi e/o splenomegalia con disturbi
— paraproteinemia con aumento delle proteine totali > 9 g/dl
Nel LNH a bassa malignità la chemioterapia viene utilizzata solo con finalità palliative e secondo schemi con effetti collaterali modesti. Quale standard vale lo schema COP (ciclofosfamide, vincristina, prednisone). Non è possibile una guarigione
con la chemioterapia. In fase di ricerca clinica sono: interferone, analoghi purinici
(ad es. fludarabina), trapianto di cellule staminali autologhe dopo terapia mieloablativa e anticorpi monoclonali diretti contro l’antigene CD20 presente sulle cellule B
e sui linfomi a cellule B (ad es. rituximab).
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B. LNH ad alta malignità (linfomi aggressivi e molto aggressivi)
Polichemioterapia con o senza radioterapia (dipende dallo stadio). Come standard,
vale lo schema CHOP (ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina, prednisone) in 6-8
cicli. In caso di linfoma di Burkitt, altamente maligno, aggiungere la prevenzione
delle recidive al SNC tramite irradiazione cronica + somministrazione intratecale di
metotrexate. Nello stadio clinico I eventuale riduzione del numero dei cicli + irradiazione ai «campi interessati». Forme particolari richiedono una terapia particolare:
ad es. LNH linfoblastico, linfoma di Burkitt, LNH a cellule T con localizzazione
mediastinica, ecc.
Nei pazienti ad alto rischio e nella terapia secondaria (pazienti primitivamente resistenti o con recidive) si attua la chemioterapia ad alte dosi con successivo trapianto di cellule staminali autologhe. Con la somministrazione di fattori di crescita
emopoietici si accelera la rigenerazione dell’ematopoiesi. In caso di linfomi a cellule B, eventuali cellule linfomatose residue possono essere rimosse dal trapianto mediante «purging» (per ulteriori dettagli vedi m. di Hodgkin).
Criteri di una remissione totale
Completa remissione di tutti i reperti patologici obiettivi con totale regressione della
linfoadenomegalia nonché di una eventuale epatomegalia e splenomegalia. Esclusione
di una ulteriore infiltrazione linfomatosa nel midollo osseo mediante biopsia ossea,
normalizzazione del quadro ematico con granulociti > 1.500/µl, Hb > 12 g/dl e trombociti > 100.000/µl.
Sebbene secondo questi criteri si sia in presenza di una remissione completa, tramite
PCR è possibile ancora riscontrare cellule linfomatose residue. Questa «minimal residual disease» (MRD) è una indicazione a strategie immuno-terapeutiche (ad es. con immunotossine = coniugazione di tossine con anticorpi monoclonali diretti contro l’antigene CD20 presente sulle cellule linfomatose e sulle cellule B mature).
In fase di studio clinico: terapia genica (ad es. in caso di linfoma follicolare del centro
germinativo).
Prognosi
Fattori prognostici: tipo istologico, staging, età, sintomi B, condizioni generali del paziente, ecc.
1. LNH a bassa malignità:
— progressione lenta
— stadi solitamente generalizzati
— non guarigione in caso di stadio generalizzato, sopravvivenza: 2-10 anni
— nello stadio localizzato, può guarire il 50% dei pazienti
2. LNH ad alta malignità:
— progressione veloce
— 10-15% localizzato (I-II stadio)
— 85-90% generalizzato (III-IV stadio)
— non trattato: breve sopravvivenza (settimane, mesi)
— trattato: 50% di guarigioni.
Secondo l’«international prognostic index», nel LNH aggressivo hanno significato
sfavorevole i seguenti fattori: stadio III o IV, manifestazioni extra nodali > 1, LDH
aumentata, età > 60 anni, scadenti condizioni generali.
Monitoraggio
Regolari controlli nel tempo per rilevare tempestivamente eventuali recidive (vedi cap.
Linfoma di Hodgkin).
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LINFOMA PRIMITIVO EXTRANODALE DEL TRATTO GASTROINTESTINALE
Definizione
Tra i linfomi primitivi extranodali, quelli del tratto gastroenterico rappresentano la forma più frequente: costituiscono infatti il 35% di tutti i casi. Hanno origine nel tessuto
linfatico associato alla mucosa (mucosa associated lymphatic tissue = MALT; linfoma
MALT = maltoma).
Epidemiologia
Incidenza: 0,7/100.000/anno. Il 2% di tutte le neoplasie maligne del tratto gastrointestinale sono linfomi; il 40% è a bassa malignità, il 60% ad alta malignità. Il «tipo occidentale» osservato in Europa e in America settentrionale colpisce maggiormente soggetti anziani (60-70 anni); il «tipo mediterraneo», localizzato prevalentemente all’intestino tenue, colpisce di preferenza pazienti più giovani (20-30 anni).
Eziologia
• il 90% dei linfomi MALT a bassa malignità dello stomaco è una conseguenza dell’infezione cronica da Helicobacter pylori
• il linfoma a cellule T associato ad enteropatia viene osservato quale complicanza di
un’enteropatia da glutine.
Localizzazione
— stomaco (circa 70%, generalmente linfomi MALT)
— intestino tenue e regione ileo-ciecale (circa 20%)
— raramente intestino crasso.
Classificazione istologica dei linfomi gastrointestinali primitivi (sec. Isaacson 1994)
Linfomi primitivi a cellule B del tratto gastrointestinale:
• tipo MALT (sinonimo: linfoma a cellule della zona marginale)
– linfoma MALT a bassa malignità
– linfoma MALT ad alta malignità con o senza aree a bassa malignità
• sindrome immunoproliferativa dell’intestino tenue (sinonimi: linfoma mediterraneo;
immunoproliferative small intestinal disease = IPSID)
– linfoma a bassa malignità
– linfoma ad alta malignità con o senza aree a bassa malignità.
Il linfoma mediterraneo secerne una IgA atipica con catena pesante difettosa: malattia delle catene α
• linfoma a cellule mantellari (sinonimo: poliposi linfomatoide del digiuno)
• linfoma di Burkitt o Burkitt-simile
• altre forme
Linfomi primitivi a cellule T del tratto gastrointestinale:
• linfoma a cellule T associato ad enteropatia (EATL)
• linfoma a cellule T non associato ad enteropatia
• altre forme.
Stadiazione: vedere la classificazione di Ann Arbor.
Clinica
In fase precoce è spesso asintomatico; successivamente evtl. dolori addominali, anoressia, talvolta sintomi di tipo B (febbre, calo ponderale, sudorazione notturna).
Complicanze
Emorragia, ileo, perforazione, sindrome da malassorbimento, enteropatia protido-disperdente.
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Diagnosi
— endoscopia con biopsia + istologia
— diagnostica radiologica dell’intestino tenue (clisma del tenue), ecografia, TC, RMN
— evtl. laparotomia esplorativa
— biopsia e agoaspirato midollare.
Laboratorio
In caso di IPSID, evtl. dimostrazione di IgA monoclonali prive di catene leggere (nel
siero e nelle urine).
Terapia
A seconda degli stadi: assunzione di antibiotici, chirurgia, chemioterapia e radioterapia,
nel contesto di studi controllati.
Nei linfomi MALT a bassa malignità dello stomaco, l’eradicazione dell’Helicobacter
pylori conduce a remissione nell’80% dei casi.
Anche lo stadio precoce dell’IPSID può essere trattato in alcuni casi con successo con
antibiotici ad ampio spettro.
LINFOMI MALIGNI CUTANEI
Epidemiologia: incidenza 0,1-1/100.000/anno.
I 2/3 dei linfomi cutanei sono linfomi a cellule T di cui oltre il 90% linfomi a cellule
T-helper (marker CD 4 positivo). La micosi fungoide (forma cutanea) e la sindrome di
Sézary (forma generalizzata) sono linfomi cutanei a cellule T-helper con uguale istologia, che sorgono di preferenza nell’età avanzata.
Istologia
— cosiddette cellule di Sézary o di Lutzner = linfociti T atipici con aspetto cerebriforme del nucleo
— microascessi di Pautrier = accumulo intra-epidermico di linfociti
— cellule micotiche = cellule grandi basofile a grossi nucleoli.
Micosi fungoide
Definizione
Linfoma periferico a cellule T, a basso grado di malignità, con decorso cronico e manifestazioni primitivamente cutanee, che negli stadi avanzati coinvolge linfonodi ed organi interni ed ha infine esito letale.
Stadiazione
1. Stadio premicosico: chiazze eritematose infiltrate nettamente demarcate, con fine
desquamazione, con isole di cute indenne; prurito marcato, spesso persistente per
decenni
2. Stadio infiltrativo: infiltrazione locale con ispessimento della cute, placche di maggiori dimensioni, coinvolgimento dell’intero tegumento, spesso forte prurito
3. Stadio micosico (tumorale): comparsa di neoformazioni emisferiche nel contesto
delle aree infiltrate, con tendenza all’erosione e all’ulcerazione
4. Diffusione sistemica: prevalentemente nelle fasi avanzate della neoplasia, coinvolgimento di milza, linfonodi, fegato, polmone, tratto gastrointestinale, SNC; presenza
nel sangue di cellule linfoidi polimorfe (cellule della micosi fungoide).
Diagnosi
Clinica + istologica + immunoistochimica + biologia molecolare.
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Terapia
Stadio 1 e 2:
• trattamento PUVA: somministrazione di psoraleni + irradiazione della cute con raggi
UVA 25% di remissioni a lungo termine, evtl. associazione con retinoidi
• fotoferesi: somministrazione di psoraleni + irradiazione UVA extracorporea dei leucociti
• interferone-α
• irradiazione total-body con elettroni, da praticarsi in centri specializzati (con buoni
risultati).
Stadio 3 e 4: chemioterapia palliativa.
Nell’evoluzione a neoplasia ad alta malignità, evtl. trattamento con fludarabina.
Prognosi: la micosi fungoide in stadio 1 presenta un decorso lento (sino a 20 anni in assenza di trattamento); nello stadio neoplastico progressione veloce con prognosi infausta.
Sindrome di Sézary
Definizione: linfoma cutaneo a cellule T a basso grado di malignità.
Clinica
Triade:
1. coinvolgimento cutaneo generalizzato: forte prurito, eritrodermia, ipercheratosi palmo-plantare, anche alopecia ed onicodistrofia
2. linfoadenomegalia
3. aspetto leucemico del sangue periferico con cellule linfoidi cerebriformi circolanti
(cellule di Sézary).
Diagnosi: clinica + istologia + immunoistochimica + biologia molecolare + laboratorio.
Terapia
• come nella micosi fungoide: trattamento PUVA, fotoferesi
• chemioterapia, ad es. secondo lo schema di Winckelmann: clorambucil + prednisone
a basse dosi.
Prognosi: decorso relativamente favorevole per molti anni, poi spesso rapida evoluzione
con formazione di masse neoplastiche alla cute ed esito letale.
MIELOMA MULTIPLO
Sinonimi: plasmocitoma, morbo di Kahler.
Definizione
Linfoma non-Hodgkin a cellule B aggressivo, con infiltrazione diffusa o multi-loculare
del midollo osseo. Punto di partenza è un clone maligno di plasmacellule trasformate
che distruggono l’osso e inibiscono l’emopoiesi normale. Le plasmacellule producono
immunoglobuline monoclonali = di un unico idiotipo (IgG, IgA, IgD), oppure solo catene leggere (κ, λ). L’attività osteolitica degli osteoclasti viene stimolata da interleuchine (IL-1, IL-6) e dal tumor necrosis factor (TNFα, TNFβ) = fattori di attivazione degli
osteoclasti (OAF).
Nota: i plasmocitomi primitivi extramidollari sono rari (es. nel rinofaringe); metastatizzano lentamente e la loro prognosi è pertanto migliore del mieloma multiplo.
Epidemiologia: incidenza: 3/100.000/anno; comparsa dopo il 40° anno di età; maggior
frequenza attorno al 60° anno di età. Tumore più frequente del midollo osseo e delle
ossa.
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Eziologia
Ignota nella maggior parte dei casi; talvolta giocano un ruolo i fattori genetici e le radiazioni ionizzanti.
Tipi di plasmocitoma:
1. IgG (54%)
2. IgA (25%)
3. IgD (1%)
4. a catena leggere = plasmocitoma di Bence-Jones (20%).
Clinica
Per la diagnosi, devono essere presenti almeno due dei tre seguenti elementi diagnostici:
1. comparsa di immunoglobuline monoclonali nel plasma e/o urine
2. aggregati di plasmacellule («nidi») nel midollo osseo e/o quota di plasmacellule nel
midollo osseo > 15%
3. alterazioni ossee (focolai osteolitici, più raramente solo osteoporosi) da aumento
delle plasmacellule nel midollo osseo. Principali localizzazioni:
— cranio
— coste, vertebre
— bacino, femore, omero
Nota: eseguire lo studio radiologico completo dello scheletro; la scintigrafia dello scheletro è negativa in quanto frequentemente i focolai di mieloma non accumulano.
Sintomi generali: astenia, calo ponderale, temperatura subfebbrile, sudorazione notturna.
Dolori ossei (frequenti).
Laboratorio
1. VES molto aumentata (valore alla prima ora: > 100 mm);
tuttavia una VES solo leggermente aumentata non esclude un plasmocitoma: nel
plasmocitoma di Bence-Jones, la VES e l’elettroforesi sierica sono normali.
2. Proteinuria con proteina di Bence-Jones (catene L) dimostrabile nel 60% dei casi di
tutti i plasmocitomi IgG o IgA e in tutte le affezioni da catena L = plasmocitoma di
Bence-Jones. La proteina di Bence-Jones precipita col riscaldamento a 50°C e torna
in soluzione a temperature più elevate.
Attenzione: gli «stick» per l’esame delle urine non sono adatti per il rilevamento
della proteina di Bence-Jones (catene L).
3. Alterazioni delle proteine sieriche:
— proteine sieriche totali aumentate
— elettroforesi e immunoelettroforesi: aumento con picco a banda stretta (componente M), prevalentemente nel contesto delle γ-globuline, dovuto alla comparsa
di immunoglobuline monoclonali (in passato dette
«paraproteine»).
La compromissione delle plasmacellule in caso di
mieloma porta ad eccessiva produzione di immunoglobuline monoclonali. Queste sono tutte uguali, in
quanto le cellule tumorali che le costituiscono derivano dalla stessa linea cellulare. Non possiedono
però attività anticorpale. Si ha quindi una sindrome
da deficit anticorpale. La quantità delle immunoglobuline monoclonali è correlata alla massa delle cellule tumorali e alla prognosi.
Gammopatia
monoclonale
4. Ipercalcemia (30%).
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5. Anemia (spesso macrocitica), raramente trombocitopenia.
6. Aumento della β2-microglobulina e della timidina-chinasi, correlati alla massa delle
cellule mielomatose, che hanno pertanto valore prognostico.
Complicanze
• sostituzione del midollo emopoietico, con bi- o pancitopenia
• fratture spontanee (in caso di fratture vertebrali riduzione dell’altezza, evtl. comparsa di gibbo, pericolo di paralisi)
• rene da plasmocitoma: effetto tossico delle catene leggere sui tubuli renali. In caso di
plasmocitoma a catene leggere λ ulteriore deposito di catene leggere in forma di amiloide nel rene. Eventuale nefrocalcinosi da ipercalcemia.
Clinica: sindrome nefrosica con pericolo di insufficienza renale (fino al 50% dei casi). Attenzione: urografia solo in pazienti ben idratati, perché c’è il rischio di anuria!
(vale anche per la macroglobulinemia = malattia di Waldenström).
• crisi ipercalcemiche
• sindrome da deficit di anticorpi: aumentata predisposizione alle infezioni (90%)
• sindrome da iperviscosità: aumento della viscosità del sangue con disturbi circolatori a seguito della formazione di polimeri specialmente delle immunoglobuline IgA. Se
la formazione di polimeri avviene a bassa temperatura, si parla di crioglobuline così
che i pazienti possono manifestare disturbi circolatori alle estremità simili a un fenomeno di Raynaud
• le paraproteine possono legare alcuni fattori della coagulazione, questo fatto, associato alla eventuale trombocitopenia, può comportare diatesi emorragica
• amiloidosi AL (fino al 10% dei casi)
• raramente, passaggio nel sangue circolante delle cellule mielomatose (leucemia plasmocellulare)
• alto rischio di tumori secondari (20% dopo 4 anni) e di leucemia mieloide acuta
(LMA)
• polineuropatia (causata dalla paraproteinemia).
Stadiazione (secondo Durie e Salmon) - con dati sulla massa delle cellule tumorali: cellule × 1012/m2 di superficie corporea.
Stadio I:
(bassa massa
cellulare tumorale:
< 0,6)
Stadio II:
Stadio III:
(alta massa
cellulare tumorale:
> 1,2)
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Devono essere soddisfatti tutti i 4 criteri:
1. valore dell’HB > 10 g/dl
2. calcemia entro i limiti della norma
3. Rx dello scheletro normale oppure riscontro di plasmocitoma solitario a localizzazione ossea
4. modesta paraproteinemia:
a) IgG: < 5 g/dl,
b) IgA: < 3 g/dl,
c) catene leggere nelle urine: < 4 g/24 h
intermedio tra I e III stadio
Deve essere presente almeno uno dei seguenti segni:
1. valore dell’HB < 8,5 g/dl
2. calcemia aumentata
3. avanzate alterazioni ossee di natura osteolitica
4. elevata paraproteinemia:
– IgG: > 7 g/dl,
– IgA: > 5 g/dl,
– catene leggere nelle urine: > 12 g/24 h
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Sulla base della funzionalità renale gli stadi vengono ulteriormente suddivisi considerando quelli con:
A. creatininemia inferiore a 2 mg/dl
B. creatininemia superiore a 2 mg/dl
Decorso
• mieloma multiplo evolutivo (maggioranza dei casi)
• «smoldering myeloma» (10%) con decorso lento, assenza di aumento delle immunoglobuline monoclonali e assenza di complicanze mielomatose.
Diagnosi differenziale
1. Gammopatia monoclonale concomitante ad altre affezioni maligne del sistema ematopoietico (ad es. LLC), malattie autoimmuni, ecc.
2. Gammopatia monoclonale benigna (= gammopatia monoclonale di incerto significato
= MGUS)
Frequenza legata all’età:
3% nelle persone più anziane (> 70 anni)
0,1-0,3% nei soggetti più giovani.
Criteri diagnostici (decisiva l’osservazione del decorso):
— concentrazione costante bassa dell’immunoglobulina monoclonale (< 3 g/dl)
— assenza della diminuzione delle immunoglobuline policlonali fisiologiche
— assenza di proteinuria di Bence-Jones significativa (< 0,5 g/24 h)
— Hb e calcemia normali (in assenza di altre malattie)
— assenza di infiltrazione midollare di plasmacellule (< 10%) ed assenza di focolai solitari extramidollari
— assenza di alterazioni ossee caratteristiche
— esclusione di una affezione maligna del sistema ematopoietico.
Controlli regolari sono decisivi per la diagnosi.
Prognosi: decorso favorevole nel 90% dei casi; nel 10% evoluzione entro 5 anni in
plasmocitoma.
Errori diagnostici più frequenti in caso di plasmocitoma:
— reumatismo
— emicrania comune
— osteoporosi senile
— frattura traumatica
— affezioni renali.
Diagnosi
1. Istologia: a) infiltrazione plasmacellulare del midollo osseo (> 10%)
Istologia: b) accertamento istologico di plasmocitoma midollare o extramidollare.
2. Reperti di laboratorio e diagnostica per immagini (radiologia, TC, RMN):
a) paraproteinemia (componente M) nel siero e/o proteina di Bence-Jones nelle urine
b) foci osteolitici ossei, osteoporosi generalizzata.
La diagnosi richiede: entrambi i criteri di 1
La diagnosi oppure: un criterio di 1 + un criterio di 2.
Terapia
1. Chemioterapia convenzionale
Indicazioni: dallo stadio II
Pazienti con mieloma a catene leggere saranno trattati più precocemente per il pericolo di nefropatia. L’associazione di una sostanza alchilante (ad es. melfalan) con
prednisone secondo il protocollo di Alexanian ha confermato la sua validità.
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Criteri di successo per la remissione: diminuzione al 50% della concentrazione dell’immunoglobulina monoclonale e delle proteine di Bence-Jones nelle urine, normalizzazione della proteinemia totale, abbassamento della quota delle plasmacellule nel
midollo del 50%, normalizzazione di VES, emocromo e calcemia, scomparsa dei
dolori ossei.
2. Somministrazione di talidomide, a livello sperimentale nel contesto di studi clinici:
circa 1/3 dei pazienti ne trae vantaggio (riduzione della paraproteinemia ≥ 50% circa).
3. Chemioterapia ad alte dosi con successivo trapianto di cellule staminali autologhe:
terapia alternativa alla chemioterapia convenzionale nei pazienti sino a circa 60 anni. Il tasso di sopravvivenza a 5 anni è superiore rispetto a quello con chemioterapia convenzionale.
4. Sintomatica
— tutti i pazienti con mieloma traggono vantaggio dalla somministrazione precoce
di difosfonati, che inibiscono l’osteolisi, ad es. acido ibandronico (1 infusione/mese)
— in caso di focolai osteolitici, prevenzione delle fratture spontanee mediante radioterapia locale (10-20 Gy in 1-2 settimane)
— terapia del dolore
— fissazione chirurgica di zone scheletriche esposte a fratture
— somministrazione di IgG e.v. nella sindrome da deficit di anticorpi e infezioni
— trattamento di ipercalcemia, iperuricemia, insufficienza renale, infezioni
— somministrazione di eritropoietina in caso di anemia
— somministrazione di G-CSF (ad es. filgrastim) in caso di granulocitopenia
— plasmaferesi nella sindrome da iperviscosità
Monitoraggio: controllare regolarmente la concentrazione delle immunoglobuline (mono/policlonali), crasi ematica, calcio sierico, funzionalità renale, reperto del midollo
osseo o scheletro.
Prognosi: dipende da:
1. stadio del tumore (= massa delle cellule tumorali): stadio I: 64 mesi; stadio II: 32
mesi; stadio III: 6-12 mesi
2. cinetica delle cellule tumorali e decorso della malattia. Lo «smoldering myeloma»
ha una bassa cinetica delle cellule tumorali (indice di incorporazione di 3H-timidina
= «labeling index» plasmacellulare < 1%) e persiste più a lungo in uno stato di bassa tendenza proliferativa. La chemioterapia è qui indicata solo quando la concentrazione della paraproteina diviene > 5 g/dl, oppure quando si manifestano lesioni ossee progressive
3. «grading» istologico delle cellule tumorali e profilo antigenico delle cellule mielomatose: mielomi scarsamente differenziati e con determinati antigeni hanno una
prognosi peggiore
4. complicazioni: insufficienza renale, ipercalcemia, citopenia periferica, infezioni.
MACROGLOBULINEMIA
Sinonimo: malattia di Waldenström.
Definizione: immunocitoma a cellule B, con produzione di IgM monoclonali.
Epidemiologia: quattro volte più raro del plasmocitoma, colpisce un’età più avanzata.
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Clinica
Le cellule tumorali non sono così aggressive nei confronti dello scheletro quanto quelle del plasmocitoma. Spesso l’esame radiologico rivela solo una osteoporosi. Non si osservano osteolisi e ipercalcemia. Anche i reni vengono poco danneggiati.
Le macroglobuline inibiscono l’aggregazione delle piastrine e legano fattori della coagulazione. Per questo si ha spesso diatesi emorragica. Le globuline IgM monoclonali
possono portare alla sindrome da iperviscosità con disturbi circolatori acrali a tipo fenomeno di Raynaud e disturbi visivi. La VES risulta molto aumentata. La somministrazione di mezzi di contrasto iodati può condurre a insufficienza renale acuta. Si possono
avere linfoadenomegalia ed epatosplenomegalia.
Diagnosi: dimostrazione di IgM monoclonali + infiltrazione cellulare linfocitoide del midollo osseo.
Terapia: il trattamento di contenimento prevede l’uso di prednisone + farmaci alchilanti. In
caso di sindrome da iperviscosità, è indicata la plasmaferesi = salasso che permette di
allontanare il plasma ritrasfondendo poi le emazie.
Prognosi: migliore del plasmocitoma.
LEUCEMIA A CELLULE CAPELLUTE
Definizione: LNH linfocitico a cellule B, a bassa malignità.
Caratterizzata dalla presenza di tipiche cellule con estroflessioni citoplasmatiche sfrangiate (hairy cells), riscontro citochimico della fosfatasi acida tartrato-resistente e profilo fenotipico caratteristico (CD19, CD11c, CD25, FCM7 positivi; CD5 negativo); aumento delle fibre reticolari nel midollo osseo.
Epidemiologia: rara; soprattutto in maschi anziani (80%).
Sintomi: leggera pancitopenia da infiltrazione midollare diffusa e fibrosi midollare (punctio sicca!), nonché da aumentato sequestro cellulare nella milza in caso di splenomegalia (sindrome da ipersplenismo). Aumentata suscettibilità alle infezioni.
Diagnosi differenziale: pancitopenia da altra causa; ostemielosclerosi, sindrome mielodisplastica.
Diagnosi: clinica + quadro ematologico periferico e midollare con citochimica e immunotipizzazione.
Terapia: palliativa; chemioterapia solo alla comparsa di sintomi. Farmaco di scelta è l’interferone-α-2. Farmaci di seconda scelta sono gli analoghi purinici, ad es.: pentostatina,
cladribina; effetti collaterali: in particolare soppressione persistente dei linfociti T-helper, con rischio di infezione! In caso di prevalente sindrome da ipersplenismo è possibile ottenere una remissione mediante splenectomia.
Prognosi: spesso a decorso lento; causa di morte più frequente: infezioni.
LEUCEMIA LINFATICA CRONICA (LLC)
Definizione: linfoma a cellule B, per lo più a decorso leucemico, a basso grado di malignità (il T-LLC è raro, 3% dei casi). Proliferazione clonale e accumulo di linfociti B
immuno-incompetenti nel sangue periferico, nella milza e nel midollo osseo. I linfociti
B neoplastici hanno una sopravvivenza aumentata.
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Epidemiologia
È la leucemia più frequente, incidenza crescente all’aumentare dell’età: circa 5/100.000/
anno nella quinta decade, circa 30/100.000/anno nell’ottava decade; M:F = 2:1; in
Giappone è molto rara.
Eziologia: ignota.
Clinica
— La malattia al momento della diagnosi presenta, nel 70% dei casi, reperti asintomatici, occasionalmente affaticabilità e sudorazioni notturne.
— Linfoadenomegalia grossolana e non dolente, inizialmente nel 50%, più tardi in tutti i pazienti:
• mediastinica (radiografia del torace, TC): ca. il 25%;
• addominale (ecografia, TC): ca. il 10%.
Nota: la linfoadenomegalia può presentarsi nelle:
leucemie acute: talvolta (30% circa)
LMC: raramente
LLC e linfomi: sempre
— Eventuale splenomegalia e modesta epatomegalia (nota: all’indagine istologica il fegato presenta infiltrati linfocitari periportali. Nella LMC invece si riscontra un’infiltrazione diffusa).
— Affezioni cutanee: prurito, orticaria cronica, porpora muco-cutanea, herpes zooster
(generalizzato), herpes simplex (ulcerativo e persistente), micosi, eritrodermia, infiltrati cutanei nodulari.
Nota: tutte le affezioni cutanee dell’età avanzata devono sempre porre il sospetto di
leucemia linfatica cronica.
— A volte ingrossamento della parotide e infezioni a carico delle ghiandole lacrimali
(sindrome di Mikulicz).
Complicanze
1. infezioni da granulocitopenia e sindrome da deficit di anticorpi (complicanza più
frequente e più frequente causa di morte)
2. anemia emolitica autoimmune Coombs-positiva (10% dei casi) e trombocitopenia
autoimmune (= sindrome di Evans)
3. ipersplenismo
4. sindrome di Richter (5%): trasformazione in linfoma non Hodgkin secondario, ad
elevata aggressività con prognosi infausta
5. nel suo decorso, la LLC può infiltrare qualsiasi organo
6. talvolta comparsa di secondo tumore maligno.
Laboratorio
1. Quadro ematologico periferico: leucocitosi permanente con valori > 10.000/µl (con
linfocitosi relativa molto elevata, spesso del 70-95%); caratteristiche (ma non obbligatorie) sono poi le cosiddette «ombre nucleari di Gumprecht», cioè frammenti cellulari di linfociti visibili nello striscio periferico.
2. Quadro midollare: all’analisi citologica/istologica la quota di linfociti maturi è ≥
40% di tutte le cellule nucleate, con cellularità normale o aumentata. Un aspetto nodulare dell’infiltrato midollare ha significato prognostico più favorevole rispetto a
un infiltrato diffuso.
3. Analisi dell’immunofenotipo linfocitario:
— debole espressione delle immunoglobuline di membrana (IgM con o senza IgD)
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Nota: il reperto midollare è di alto valore diagnostico in malattie quali:
— plasmocitoma (nidi di plasmacellule)
— LLC (infiltrazione linfocitaria)
— leucemia acuta (infiltrazione con blasti leucemici)
— anemia megaloblastica (megaloblasti tipici, forme giganti con nucleo a
bastoncello)
— dimostrazione degli antigeni delle cellule B (CD19, CD20) e degli antigeni CD5
e CD23
— dimostrazione della restrizione della catena leggera
4. Alterazioni nelle proteine sieriche (molto frequenti):
— sindrome da deficit di anticorpi (difetto delle cellule B!)
— comparsa di paraproteine, cioè di immunoglobuline monoclonali, spesso di classe IgM
— comparsa di auto-anticorpi incompleti caldi.
5. Il livello sierico massimo della β2-microglobulina e della timidin-chinasi si correlano, se la funzione renale è normale, con l’entità della massa tumorale totale.
6. Analisi cromosomica: circa il 40% dei pazienti presenta mutazioni cromosomiche,
ad es. trisomia 12, translocazioni t (11; 14), t (14; 19).
Stadiazione della LLC secondo Binet (1981):
Caratteristiche dello stadio
Sopravvivenza (mesi)
A
< 3 regioni linfonodali ingrossate
B
> 3 regioni linfonodali ingrossate
> 120
C
Hb < 10,0 g/dl e/o trombocitopenia < 100.000/µl
indipendentemente dallo stato dei linfonodi
*
>
60
>
24
*) Hb > 10 g/dl e piastrine > 100.000/µl
Mediante parametri aggiuntivi, lo stadio A secondo Binet può essere ulteriormente suddiviso:
1. Binet A/smoldering LLC: spettanza di vita quasi normale
— aspetto nodulare dell’infiltrazione del midollo osseo
— tempo di raddoppiamento dei linfociti nel sangue > 12 mesi
— Hb normale, conta linfocitaria assoluta < 30.000/µl
2. Binet A/LLC attiva: prognosi simile a Binet B
Non sono soddisfatti i criteri precedenti.
Diagnosi differenziale
1. linfocitosi reattiva (clinica, nella maggior parte dei casi marcatori T policlonali)
2. linfoadenomegalia di altra genesi (istologia dei linfonodi)
3. LMC (tipico quadro ematologico, cromosoma Philadelphia)
4. prurito e manifestazioni cutanee di altra genesi.
Diagnosi
Quadro ematico ed esame del midollo osseo, evtl. immunocitologia e istologia dei
linfonodi.
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Cause di prurito generalizzato
•
•
•
•
•
malattie cutanee ed allergie
parassitosi intestinali
LLC, malattia di Hodgkin e linfomi non Hodgkin
policitemia vera
mancanza di ferro
•
•
•
•
•
colestasi, cirrosi biliare primitiva
colangite sclerosante primitiva
diabete mellito
insufficienza renale
prurito senile e di origine psicogena
Terapia
Pazienti con smoldering LLC non vengono sottoposti a terapia (spettanza di vita normale). L’entità della leucocitosi non costituisce indicazione al trattamento.
1. Chemioterapia convenzionale: indicazioni: pazienti in stadio B sintomatici (anemia
emolitica autoimmune, linfomi sintomatici o splenomegalia), tutti i pazienti in stadio C (secondo Binet)
— la terapia standard consiste nella somministrazione intermittente di clorambucil,
che ha un effetto rilevante sul sistema linfatico, ma non porta a nessuna depressione di granulociti e trombociti. La chemioterapia viene sospesa quando la conta leucocitaria è < 20.000/µl
— in caso di fallimento della terapia con clorambucil sono indicati gli analoghi purinici: ad es. fludarabina e cladribina. Sono sostanze molto efficaci che portano
a remissione completa in circa il 30% dei casi. Come effetti collaterali si osservano, tra gli altri, una persistente soppressione dei linfociti T-helper, con rischio
di infezioni opportunistiche.
2. In caso di fallimento della chemioterapia convenzionale, eventuale chemioterapia
mieloablativa ad alte dosi con successivo trapianto di cellule staminali autologhe
(limite d’età circa 60 anni).
3. Eventuale trapianto allogenico di midollo osseo/cellule staminali: da eseguire solo
in casi selezionati in pazienti < 50 anni.
4. Altre misure terapeutiche:
— terapia radiante
Indicazioni: irradiazione locale a bassa dose dei linfonodi di grosse dimensioni
o della milza in caso di splenomegalia
— glucocorticoidi nell’anemia emolitica autoimmune e/o immuno-trombocitopenia;
nel caso la terapia cortisonica non avesse effetto, può risultare indicata la splenectomia
— in seguito alla deficitaria situazione immunitaria dovuta a deplezione anticorpale, possono insorgere infezioni frequenti: in questi casi sarà utile la somministrazione di γ-globuline e.v. + terapia mirata con antibiotici.
Prognosi
Fra tutte le leucemie è di gran lunga la più benigna. Il tempo di sopravvivenza dipende dallo stadio. La metà dei pazienti muore per infezioni. Le terapie classiche con clorambucil non portano a vera guarigione. Questa può essere raggiunta solo con trapianto di midollo osseo allogenico (raramente), che è però gravato da elevata mortalità correlata alla terapia. È ancora da verificare se gli analoghi purinici e il trapianto di cellule staminali autologhe modifichino realmente la prognosi.
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LEUCEMIE
Cenni storici
Leucemia significa «sangue bianco» e fa riferimento allo strato di globuli bianchi
(«buffy coat») che sta al di sopra dei globuli rossi dopo centrifugazione di una provetta di sangue con anticoagulante, in pazienti leucemici che presentano valori di leucociti molto alti. Virchow applicò questa espressione ad un caso di leucemia mieloide cronica.
Distribuzione secondo l’età:
frequenza
LLC
LLA
LMA
LMC
età (anni)
20
40
60
Nota: le leucemie acute presentano due picchi di incidenza: uno in età infantile (soprattutto LLA) l’altro in età avanzata (soprattutto LMA).
Definizione
Proliferazione autonoma diffusa di un singolo tipo leucocitario. L’espansione di un clone cellulare maligno porta ad una sua diffusione generalizzata nel contesto del midollo
emopoietico, eventualmente ad un’infiltrazione di organi extra-midollari e al passaggio
di cellule leucemiche nel sangue.
3 quadri clinici: 1. leucemia linfatica acuta (LLA) e leucemia mieloblastica acuta (LMA)
2. leucemia mieloide cronica (LMC)
3. leucemia linfatica cronica (LLC)
Epidemiologia: incidenza:
leucemie acute:
leucemia linfatica cronica:
leucemia mieloide cronica:
4/100.000/anno
3-6/100.000/anno
1/100.000/anno
Relazioni tassonomiche tra leucemie, linfomi maligni e sindromi mieloproliferative
SINDROMI
MIELOPROLIFERATIVE
LINFOMI MALIGNI
Malattia
di Hodgkin
Linfomi
non-Hodgkin
LLC
Croniche
LMC
LLA
Acute
LMA
LEUCEMIE
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Conseguenze di una leucemia
1. compromissione della normale ematopoiesi con anemia, granulocitopenia, piastrinopenia conseguenze: astenia, infezioni batteriche, diatesi emorragica
2. danni al sistema delle cellule B e T, alla linfocitopoiesi con aumentata suscettibilità
alle infezioni
3. eventuale infiltrazione d’organo con conseguente alterazione funzionale.
LEUCEMIE ACUTE
Definizione: neoplasie clonali maligne delle cellule emopoietiche: proliferazione diffusa
autonoma sistemica di un singolo tipo leucocitario con passaggio di blasti immaturi nel
sangue. «Immaturo» è un’espressione citologica che descrive la morfologia delle cellule leucemiche. «Acuta» è un’espressione clinica che descrive il decorso della malattia.
Di solito (90-95%) le due espressioni coincidono: le leucemie a cellule immature hanno quasi sempre un decorso acuto.
Leucemie però che iniziano con uno stadio preliminare mielodisplastico possono restare in questo stadio per mesi o anni prima che si manifesti la leucemia acuta conclamata. D’altra parte la crisi blastica di una leucemia mieloide cronica presenta aspetti simili
a quelli di una leucemia acuta.
Epidemiologia: incidenza: circa 4/100.000/anno.
L’80% delle leucemie acute in età infantile sono LLA (neoplasia maligna infantile più
frequente).
L’80% delle leucemie acute in età adulta sono LMA.
Eziologia
1. Virus: i virus HTLV I sono causa della cosiddetta «leucemia a cellule T dell’adulto», che compare a livello endemico nel Giappone meridionale e nei Caraibi.
2. Danni a carico del midollo osseo dovuti a:
— sostanze chimiche: benzolo, citostatici (alchilanti, inibitori della topoisomerasi
II), iprite
— radiazioni ionizzanti (Hiroshima, P32 utilizzato nella terapia della policitemia vera): in caso di irradiazione total-body di 1 Gy nei soggetti adulti e di 30 mGy
nel feto, il rischio di leucemia raddoppia (leucemia acuta e leucemia mieloide
cronica).
3. Fattori genetici: elevata incidenza di LMA nei mongoloidi (trisomia 21 = sindrome
di Down), nella sindrome di Klinefelter (XXY e altre varianti).
4. Evoluzione in LMA di una sindrome mielodisplastica o di una policitemia vera oppure, raramente, di una EPN.
Patogenesi: trasformazione neoplastica delle cellule staminali emopoietiche ed espansione
del clone cellulare maligno a danno della ematopoiesi normale. La sintomatologia clinica deriva dalla progressiva insufficienza midollare.
Anatomia patologica: nel sangue o nel midollo osseo si trovano blasti indifferenziati o poco differenziati con grossi nucleoli atipici ed un fine margine citoplasmatico basofilo.
Nella leucemia mieloblastica si possono trovare, in circa il 25% dei casi, i bastoncini
di Auer nel citoplasma. In base al riconoscimento del tessuto di provenienza delle cellule leucemiche si parla di leucemia mieloide (LMA), linfatica (LLA) o non differenziata (LIA). In base ai marcatori immunologici, la LIA viene trattata nella maggior parte dei casi come una LLA.
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Tipica è la mancanza di stadi di maturazione intermedi della granulopoiesi. Questo fenomeno è denominato iato leucemico.
Manifestazioni d’organo: midollo osseo, milza, fegato, linfonodi; nei casi avanzati si hanno infiltrazioni leucemiche in numerosi organi come reni, polmoni, cervello (meningosi leucemica, di preferenza nella LLA = fonte di complicanze e di recidiva).
Classificazione FAB (French-American-British-Group), basata su criteri morfologici
Sottotipi LMA
M0
M1
M2
M3
M4
non differenziata
senza maturazione
con maturazione
promielocitica
mielomonocitica
a) senza eosinofili
b) con eosinofili
M5 monocitica
a) indifferenziata
b) differenziata
M6 eritroleucemia
M7 megacariocitica
% di LMA
Positività citochimica per:
perossidasi
α-naftilacetatoesterasi
rara
20
30
5
30
–
+
+
+
+
–
–
–
–
+
10
–
+
rara
rara
–
–
–
–
Nota: il sottotipo M0 va ascritto alla serie mieloide in base al dato immunocitologico.
Nel 1999 l’OMS ha proposto una nuova classificazione delle LMA in 4 gruppi che vengono qui descritti in forma schematica:
I. LMA con alterazioni cromosomiche (translocazioni) definite: vedi più avanti
II. LMA con displasia di più serie (2 o 3 linee cellulari), con o senza SMD precedente
III. LMA e SMD (vedi il relativo capitolo), provocate dal trattamento (ad es. alchilanti)
IV. altre forme di LMA
Sottotipi LLA
L1 = tipo infantile
L2 = tipo adulto
L3 = tipo Burkitt
Morfologia
prevalenza di cellule piccole
cellule eterogenee
prevalenza di blasti
Citochimica delle LLA: PAS +; perossidasi ed esterasi neg.
Immunotipizzazione della LLA
Sottotipo
Frequenza %
bambini
adulti
B-LLA
• pre-pre-B-LLA
• common-LLA
• pre-B-LLA
• B-LLA
5
65
15
3
11
52
9
3
T-LLA
• pre-T-LLA
• T-LLA
1
11
6
18
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Citogenetica
Per alcuni sottotipi di leucemia acuta sono tipiche ben definite alterazioni cromosomiche, che hanno anche valore prognostico (classificazione MIC).
LMA: le translocazioni t(15;17) e t(8;21) così come l’inv(16) hanno significato prognostico favorevole. Nella leucemia promielocitica (M3) si trova nel 90% dei casi la translocazione t(15;17). In questa translocazione il gene per il recettore α dell’acido retinoico è spostato dal cromosoma 17 al cromosoma 15, dove forma il gene di fusione
PML/RAR-α. La translocazione t(8;21) è tipica della LMA-M2. L’inversione 16 si trova spesso nella LMA-M4 con eosinofilia. Una modificazione citogenetica prognosticamente sfavorevole è ad es. la delezione 5q.
LLA: nel 17% della LLA degli adulti e nel 5% della LLA infantile si trova il cromosoma Philadelphia = translocazione t(9;22), correlato ad una prognosi sfavorevole. Mediante PCR si può rilevare la translocazione t(12;21)(p13,q22) in circa il 20% delle
LLA a cellule B del bambino e nel 2% delle forme dell’adulto. Nei bambini questa
translocazione ha un significato prognostico favorevole.
Clinica
1. Sintomi generali di recente insorgenza: astenia, febbre, sudorazioni notturne
2. Sintomi correlati all’alterazione della normale ematopoiesi:
— suscettibilità alle infezioni batteriche, secondaria a granulocitopenia; flogosi periorifiziali, infezioni da miceti (da Candida albicans)
— sintomi da anemia (pallore, dispnea, affaticabilità)
— sanguinamento da piastrinopenia e/o coagulopatia da consumo (in particolare in
caso di leucemia promielocitica)
3. Altri sintomi:
— eventuale linfoadenomegalia (30%), splenomegalia e, raramente, epatomegalia si
riscontrano più spesso nei bambini che negli adulti
— gengivite ipertrofica in caso di leucemia mielo-monocitica (M4) e monocitica
(M5)
— meningosi leucemica, in particolare in caso di LLA con infiltrati leucemici retrobulbari oculari, e sintomi neurologici
— infiltrazioni leucemiche della cute e dei visceri, eventuali dolori ossei nella LLA
infantile
— emorragie da coagulazione intravascolare disseminata (DIC) e iperfibrinolisi secondaria nella leucemia promielocitica (M3).
Laboratorio
1. Crasi ematica, citologia/istologia del midollo osseo:
— il numero di leucociti non ha un valore essenziale ai fini della diagnosi. I leucociti possono essere normali, diminuiti o aumentati. (Il 40% dei casi presenta
decorso subleucemico = numero di leucociti normale o diminuito).
— Solo il riscontro di elementi immaturi nel sangue periferico e nel midollo osseo
conferma la diagnosi (nei rari casi in cui i blasti leucemici si trovano solo nel
midollo osseo, si parla di decorso aleucemico). Nel midollo osseo si trovano
blasti > 30%.
— Spesso anemia, trombocitopenia, granulocitopenia.
Nota: se leucociti, eritrociti e piastrine sono normali per numero e morfologia, si
può escludere una leucemia con sicurezza del 95%.
2. VES elevata, eventuale aumento dell’uricemia e dell’LDH (aumentato turnover cellulare)
3. Citologia nel liquor in caso di LLA e LMA-M5 (controindicata in caso di rischio
emorragico da piastrinopenia).
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Diagnosi differenziale
1) in caso di linfoadenomegalia con presenza di linfociti atipici nel sangue periferico:
mononucleosi o altre infezioni da virus linfotropi (nella monunucleosi il quadro
ematologico è proteiforme con presenza di linfociti atipici, ma piastrine ed eritrociti sono normali; test di Paul Bunnell o mono-test positivo, presenza di anticorpi
contro il virus di Epstein-Barr).
2) in caso di pancitopenia: sindromi aplastiche e sindrome mielodisplastica.
Diagnosi
Clinica + crasi ematica e midollo osseo con citochimica ed immunodiagnostica.
Terapia
A) Terapia sintomatica, di supporto, igiene accurata, camere asettiche, profilassi delle
infezioni mediante decontaminazione selettiva dell’orofaringe e del tratto intestinale
con antimicotici e antibiotici attivi localmente.
Trasfusione di eritrociti e piastrine secondo necessità. Stimolo della granulocitopoiesi mediante somministrazione di «colony-stimulating-factors» (G-CSF e GM-CSF).
In caso di febbre in corso di granulocitopenia: somministrazione di antibiotici ad
ampio spettro (vedi cap. Febbre).
Prevenzione della nefropatia uratica in corso di terapia citostatica: idratazione abbondante e somministrazione di allopurinolo.
B) Chemioterapia:
obiettivo: arrivare alla remissione completa (= normalizzazione del quadro ematologico periferico e arrivare a meno del 5% di blasti nel midollo osseo e scomparsa di
eventuali manifestazioni extramidollari). Con una terapia di induzione si deve diminuire il numero di cellule maligne almeno del 99,9%. Un’ulteriore riduzione viene
ottenuta con una terapia di consolidamento, segue poi la chemioterapia di mantenimento della remissione.
1. LLA dell’età infantile:
Terapia d’induzione con vincristina e prednisone + L-asparaginasi (oppure daunorubicina): remissione completa nel 95% dei casi secondaria al raggiungimento di aplasia midollare.
Per prevenire un interessamento del SNC, irradiazione del cranio e somministrazione di metotrexate e citosin-arabinoside intratecale.
Ulteriore trattamento dopo remissione:
— ripetizione regolare della terapia d’induzione (terapia di consolidamento)
— terapia di mantenimento con metotrexate associato a 6-mercaptopurina per
almeno 2-3 anni.
Prognosi: dopo 5 anni sopravvive più dell’80% dei bambini, dopo 10 anni la
sopravvivenza raggiunge il 50%! Pazienti con lunga sopravvivenza sono generalmente quelli che al momento della diagnosi hanno un numero di leucociti
normale oppure lievemente aumentato e che non hanno presentato recidive dopo la prima terapia di induzione.
La dimostrazione immunologica di singole cellule leucemiche residue dopo il
trattamento («minimal residual disease») ha valore prognostico sfavorevole (rischio di recidiva: circa 40% entro 3 anni).
2. Leucemia acuta in soggetti adulti (80% LMA; 20% LLA)
a) Terapia di induzione della remissione:
per la LMA vi sono diversi tipi di protocolli terapeutici. La maggior parte
degli schemi terapeutici contiene citarabina ed un antibiotico derivato dal-
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l’antraciclina (daunorubicina), e 6-tioguanina. Nel 70-80% dei casi dopo 2-3
cicli terapeutici si ottiene remissione completa.
b) Terapia di mantenimento della remissione:
le strategie sono diverse:
— terapia continuativa o non continuativa
— con o senza cicli intermittenti intensivi con citostatici.
Prognosi: remissione completa nel 60-80% dei casi. Mediante chemioterapia intensiva il 99-99,9% delle cellule leucemiche può essere distrutto; rimane tuttavia, nella maggior parte dei pazienti, una quota di cellule leucemiche che non
viene distrutta nemmeno con una chemioterapia intensiva. Per questo motivo la
quota di pazienti con periodo a 5 anni libero da recidive è del 20-40%, e dipende dal tipo di leucemia acuta, dall’età, dal reperto citogenetico, dai concomitanti fattori di rischio e dallo schema di terapia. Una recidiva precoce ha significato prognostico sfavorevole.
C) Trapianto allogenico di midollo osseo o di cellule staminali dopo chemioterapia
mieloablativa
Indicazioni: pazienti con LMA con età inferiore ai 50 anni, in remissione e senza
infezioni in atto. Disponibilità di un donatore istocompatibile: il famigliare donatore deve essere HLA-identico; nei fratelli tale probabilità è del 25%. In coltura linfocitaria mista (MLC) i linfociti del donatore e del ricevente non devono stimolarsi.
Anche per un donatore estraneo deve sussistere la compatibilità HLA-DR; il donatore deve presentare solo una piccola quota di precursori di linfociti citotossici.
Si può utilizzare anche il sangue della placenta e del cordone ombelicale. Poiché
nella LLA la prognosi a lungo termine è relativamente buona dopo la prima remissione (vedi sopra), c’è l’indicazione al trapianto di midollo o di cellule staminali solo dopo la prima recidiva.
Principio: dapprima si esegue il cosiddetto «condizionamento» = terapia citostatica
intensiva associata a panirradiazione corporea con 10 Gy (somministrazione come
dose frazionata). Scopo: remissione della leucemia e soppressione immunologica.
Successivamente infusione endovenosa delle cellule del donatore le cellule staminali emopoietiche si annidano a livello del midollo osseo del paziente.
Risultati: qualora, nella LMA, il trapianto venga eseguito nel corso della prima remissione, la sopravvivenza a 10 anni è del 60%; in caso di trapianto eseguito più
tardivamente, la sopravvivenza a 10 anni è < 30%.
I trapianti da donatori estranei non consanguinei hanno prognosi sfavorevole (alto
tasso di mortalità).
Complicanze più frequenti dopo trapianto allogenico di midollo o cellule staminali:
1. effetti collaterali tossici da terapia di condizionamento:
a) tossicità precoce: nausea, vomito, alopecia, mucositi, diarrea, cistite emorragica, cardiomiopatia, malattia veno-occlusiva epatica (veno occlusive disease
= VOD; con epatomegalia, ittero, ascite); raramente «capillary leak syndrome» (con edemi generalizzati, ascite, shock circolatorio)
b) tossicità tardiva: insufficienza gonadica, disturbi dell’accrescimento nei
bambini, neoplasie maligne secondarie (tra cui linfomi a cellule B).
2. infezioni:
— infezioni settiche da batteri (ed eventualmente miceti), soprattutto nella fase
aplastica di circa 3 settimane dopo il trapianto di midollo osseo
— polmonite interstiziale (20%) in particolare da cytomegalovirus (ad alta mortalità), ed altre infezioni opportunistiche durante la fase di immunosoppres-
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sione a lungo termine dopo trapianto di midollo osseo (fase critica: i primi
3 mesi; dopo 1 anno il sistema immunitario si è di nuovo stabilizzato).
3. Graft-versus-host disease (GvHD): più frequente nel trapianto di midollo osseo
che di cellule staminali.
— GvHD acuta (fino al 50% dei casi) entro i primi 3 mesi dal trapianto: linfociti T alloreattivi del donatore danneggiano tre organi: cute (esantema maculo-papuloso, eritrodermia), intestino (enterite) e fegato (epatite). Una GvHD
e la terapia immunosoppressiva da questa richiesta danneggiano il sistema
immunitario.
Prevenzione: ciclosporina-A e metotrexate.
Terapia: prednisolone, siero anti-linfocitario (in particolare siero anti-timociti), anticorpi monoclonali diretti contro linfociti T, ecc.
Nota: i concentrati di emazie e piastrine devono essere irradiati prima della
trasfusione per evitare una GvHD.
— GvHD cronica (circa 25% dei casi): compare dopo almeno 100 giorni dal
trapianto. Ha un decorso simile a una collagenopatia: sindrome sicca, alterazioni cutanee (esantema papuloso simile al lichen ruber planus), interessamento delle mucose (simile al lichen ruber mucosae erosivo), coinvolgimento epatico e intestinale, ecc.
Terapia: prednisolone + azatioprina o altri immunosoppressori.
4. recidiva di leucemia: circa il 20% nel trapianto di midollo in caso di prima remissione, frequenza più elevata nei trapianti eseguiti più tardivamente.
D) Trapianto di cellule staminali allogeniche dopo chemioterapia non mieloablativa
Il trapianto di cellule staminali allogeniche viene eseguito dopo una terapia di condizionamento non mieloablativa (ad es. con fludarabina, busulfan, ATG). I primi risultati indicano una migliore tollerabilità rispetto al trapianto di cellule staminali allogeniche dopo condizionamento mieloablativo; le recidive si possono trattare con
successo mediante «donor lymphocyte infusion» (DLI).
E) Trapianto di cellule staminali autologhe
Vantaggi del trapianto di cellule staminali rispetto al trapianto di midollo osseo:
— recupero relativamente semplice di cellule staminali dal sangue periferico tramite leucoaforesi
— il rischio di contaminazione da blasti leucemici nel trapianto di cellule staminali è inferiore rispetto al trapianto di midollo
— la rigenerazione ematologica avviene più rapidamente nel trapianto di cellule
staminali (circa 9 giorni) che nel trapianto di midollo (2-3 settimane).
Svantaggi del trapianto autologo rispetto al trapianto allogenico: più elevate percentuali di recidiva leucemica secondarie a:
— contaminazione del trapianto autologo con blasti leucemici residui si tenta di
rimuovere i blasti leucemici residui tramite un procedimento di «purging»
— assenza dell’effetto «graft-versus-leukemia», presente invece nel trapianto allogenico.
Vantaggi del trapianto autologo rispetto al trapianto allogenico:
— assenza di GvHD, poche complicanze e limitata mortalità da terapia
— nessun problema correlato alla disponibilità del donatore
— più elevato limite d’età (> 60 anni).
F) Altre possibilità terapeutiche
Nei pazienti affetti da leucemia promielocitica (M3) nei quali sia positiva la ricerca
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del gene PML/RAR-α è efficace il trattamento con acido trans-retinoico (ATRA,
tretinoina). L’acido retinoico porta a differenziazione delle cellule leucemiche a granulociti maturi, con perdita dell’attività mitotica.
Il farmaco viene abitualmente aggiunto al regime chemioterapico.
MALATTIE MIELOPROLIFERATIVE CRONICHE
Sinonimo: sindrome mieloproliferativa (MPS)
Definizione
Affezione monoclonale delle cellule staminali mieloidi con proliferazione autonoma di
una o più linee cellulari emopoietiche (leuco-, eritro-, trombocitosi).
L’ematologo Dameshek ha coniato la denominazione che comprende 4 malattie (OMS,
1999):
1. leucemia mieloide cronica (LMC) con t(9;22)
2. policitemia vera (PV)
3. trombocitemia essenziale (TE)
4. osteomielosclerosi (OMS)
Caratteristiche
1. nello stadio iniziale possono essere aumentate tutte e tre le linee cellulari (leuco-,
eritro-, trombocitosi). Comune è anche l’aumento dei granulociti basofili. L’aumentato turn-over cellulare provoca iperuricemia
2. la splenomegalia è frequente e tipica
3. tendenza alla fibrosi e sclerosi del midollo osseo
4. possibile emopoiesi extramidollare (fegato, milza, linfonodi), di norma nell’osteomielosclerosi
5. possibilità di crisi blastica terminale, che ha un decorso come la leucemia acuta (di
norma nella LMC, raramente nelle altre 3 malattie)
6. utilità terapeutica dell’interferone-α.
Nell’ambito della sindrome mieloproliferativa sono considerate anche le seguenti affezioni:
1. LMC atipica senza t(9;22)
2. leucemia neutrofila cronica
3. leucemia eosinofila cronica
4. MPS non classificabile.
LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA (LMC)
Definizione: alla base della LMC sta una degenerazione maligna delle cellule staminali
pluripotenti del midollo osseo. Per il suo lento sviluppo, dalla degenerazione monoclonale fino al momento della diagnosi, trascorrono 8 anni circa. Al contrario dei blasti
immaturi della leucemia acuta, i granulociti prodotti in eccesso nella LMC conservano
capacità funzionale.
Nella LMC classica con cromosoma Philadelphia (> 90%) vi è la translocazione
t(9;22) con il gene di fusione bcr-abl. La LMC atipica senza t(9;22) è più rara (< 10%).
Epidemiologia: incidenza: 1/100.000/anno; picco di frequenza nell’età media.
Eziologia: radiazioni ionizzanti, benzolo; fattori sconosciuti (maggior parte dei casi).
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Patogenesi
Nella LMC classica è presente la translocazione t(9;22). Il cromosoma 22 mutato =
cromosoma Philadelphia (Ph1) mostra un riarrangiamento genico bcr (break point cluster region), causato dalla translocazione del protooncogene c-abl dal cromosoma 9 al
cromosoma 22 nella regione del gene bcr. Qui si forma un gene di fusione bcr-abl che
porta all’attivazione del protooncogene. Il gene di fusione bcr-abl codifica la sintesi
della proteina di fusione p210 (tirosinchinasi); quest’ultima stimola la proliferazione
cellulare che probabilmente conduce alla LMC, affezione clonale delle cellule staminali. Il disturbo a carico del genoma della cellula staminale leucemica conduce, dopo
alcuni anni, alla completa prevalenza del clone cellulare Ph1 positivo con graduale soppressione della normale emopoiesi Ph1 negativa.
Duplicazione Ph1
Isocromosoma 17
Trisomia 8
Trisomia 19
t(9;22)
Danno
cromosomico
LMC,
fase cronica
LMC,
fase accelerata
Mutazione/delezione
p53/mdm-2
Rb-1
ras
crisi blastica
Clinica: 3 fasi di malattia:
1. fase cronica stabile: inizio insidioso, spesso stabile per molti anni
Sintomi tipici: leucocitosi + splenomegalia
Nota: la LMC conduce costantemente in stadio avanzato ad una marcata splenomegalia, eventualmente con sensazione di peso a livello del quadrante addominale superiore sinistro.
Tipico è anche un dolore da compressione o simil-traumatico a livello dello sterno.
Sintomi generali: talvolta astenia, affaticabilità, sudorazioni notturne;
2. fase accelerata: fase di transizione dalla fase cronica alla crisi blastica.
Reperti: aumento della leucocitosi, anemia, trombocitopenia, splenomegalia ingravescente, eventualmente febbre.
3. crisi blastica: nei 2/3 dei casi si giunge a una crisi blastica mieloide con aumento
di mieloblasti e promielociti > 30% nella formula leucocitaria. 1/3 dei casi sviluppa
una crisi blastica linfatica (in particolare, pazienti che sono stati trattati con interferone). Il decorso è analogo a quello della leucemia acuta, a prognosi rapidamente
infausta. Tutti i pazienti che sopravvivono alle eventuali complicanze, muoiono comunque poi per la crisi blastica finale.
Nota: il fumo di sigaretta accelera lo sviluppo di una crisi blastica.
Complicanze
In caso di trombocitosi iniziale, eventuale trombosi; in caso di trombocitopenia, eventuali emorragie; mielofibrosi terminale.
Laboratorio
1. Eventuale aumento dell’uricemia e delle LDH (da turn-over cellulare aumentato)
2. Quadro ematologico periferico:
— leucocitosi da aumento dei granulociti neutrofili
— spostamento a sinistra nella formula di Arneth con comparsa di precursori della granulopoiesi sino allo stadio di mieloblasto, tipica è anche la basofilia
— anemia (60% dei casi)
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— trombocitosi iniziale (50% dei casi), con frequenti alterazioni della funzione piastrinica
— in caso di mielofibrosi tardiva, eventuale comparsa nel sangue circolante di precursori eritroidi nucleati quale espressione di emopoiesi extramidollare.
Nota: la LMC presenta il più alto numero di leucociti tra tutte le leucemie. La leucocitosi arriva fino a > 500.000/µl. Per questo a volte si formano trombi leucemici
con conseguente infarto splenico, trombosi delle vene centrali della retina, priapismo leucemico. I trombi leucemici vanno distinti dai trombi piastrinici «normali», i
quali, in conseguenza della trombocitosi, appaiono in numero maggiore.
Il numero di leucociti elevato è visibile già nella provetta della VES; è molto aumentato l’orletto della «crosta flogistica».
3. Quadro midollare:
iperplasia della mielopoiesi e spesso anche della megacariopoiesi. Nel midollo osseo normale le forme intermedie di maturazione (promielociti, mielociti) costituiscono la riserva proliferativa. Proprio questi elementi però sono aumentati nella
LMC cosicché la diagnosi fatta sul midollo esprime solamente un valore quantitativo; il valore diagnostico di un esame del midollo è quindi minimo! Nel sangue
d’altra parte, si trovano anche alterazioni qualitative: appaiono precursori che non si
trovano mai nelle reazioni leucemoidi (mieloblasti). La presenza nel midollo di cellule pseudo-Gaucher ha significato prognostico favorevole.
Diagnosi differenziale
1) Osteomielosclerosi: presenta anch’essa splenomegalia, leucocitosi con spostamento
a sinistra nella formula di Arneth, trombocitosi.
2) Reazione leucemoide: (es.: processi purulenti cronici, sepsi, ecc.) leucocitosi notevole (generalmente < 100.000/µl), spiccato spostamento a sinistra nella formula di
Arneth, con numerose granulazioni tossiche; mai basofilia; può essere presente una
lieve splenomegalia.
3) Leucemia mielomonocitica cronica nel contesto di una sindrome mielodisplastica.
Nota: in questi casi non si trova il cromosoma Philadelphia, la fosfatasi alcalina leucocitaria non è ridotta (nei casi 1 e 2 è anzi aumentata). Nella reazione leucemoide non si
trovano mai mieloblasti nel sangue periferico.
Diagnosi
1. clinica e crasi ematica
2. cromosoma Philadelphia (Ph1): positivo nel 90% dei casi, con gene di fusione bcrabl e proteina di fusione p210 (tirosinchinasi)
3. citochimica: attività fortemente diminuita della fosfatasi alcalina leucocitaria (in
tutte le altre affezioni mieloproliferative l’attività è invece aumentata!).
Terapia
1. Interferone-α (IFN-α): da impiegarsi il più precocemente possibile alle dosi massime tollerate. Viene inizialmente associato all’idrossiurea. Il 75% dei pazienti con
LMC in fase cronica non trattata risponde alla terapia con IFN-α. In più del 50% dei
casi si giunge ad una remissione ematopoietica (= normalizzazione qualitativa e
quantitativa del sangue periferico; regressione della splenomegalia e dei sintomi clinici). In meno del 10% dei casi si giunge ad una remissione completa citogenetica
(= scomparsa del clone cellulare Phl positivo); resta però rilevabile, tramite PCR, il
gene bcr-abl. Poiché alla sospensione del trattamento si va incontro a recidiva, è indicata una terapia cronica atta a mantenere la conta leucocitaria intorno a 2.0003.000/µl (effetti collaterali: vedi cap. Citochine). Sino a quando la terapia con IFN-
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α è sufficiente a mantenere la conta leucocitaria < 4.000/µl, questo viene somministrato in monoterapia; con l’aumento della conta leucocitaria, lo si associa a idrossiurea (oppure alla citosin-arabinoside a bassa dose).
2. Chemioterapia: con la chemioterapia convenzionale non si osservano remissioni citogenetiche.
Secondo i risultati del Gruppo di studio tedesco sulla LMC, l’idrossicarbamide è il
farmaco di prima scelta nella chemioterapia convenzionale, in quanto rispetto al busulfan consente un miglior controllo della caduta dei leucociti e tempi di sopravvivenza più lunghi.
— Idrossicarbamide = idrossiurea
Effetti collaterali: nausea, vomito, danni mucosi, aumento degli enzimi epatici,
aplasia del midollo osseo, ecc.
In terapia cronica, si tende a mantenere la conta leucocitaria intorno a 5.00010.000/µl.
Quasi tutti i pazienti raggiungono la remissione con la chemioterapia. La remissione però non è il risultato dell’eradicazione della popolazione leucemica (remissione
vera), bensì solo la conseguenza di una sua riduzione quantitativa di vari ordini di
grandezza. Con l’aumento della durata della malattia sono necessarie dosi sempre
più alte di farmaco per ridurre la massa cellulare leucemica.
Dopo mediamente 3 anni di fase cronica della malattia si giunge alla fase accelerata e infine alla crisi blastica acuta, che viene trattata con polichemioterapia come
una leucemia acuta, con brevi tempi di remissione.
3. Trapianto di cellule staminali autologhe: associazione di chemioterapia ad alte dosi con successiva reinfusione di cellule staminali autologhe ottenute dal paziente in
una precedente fase di remissione e deprivate di elementi leucemici residui («purging»). Limite d’età circa 60 anni.
4. Trapianto allogenico di midollo osseo o di cellule staminali dopo chemioterapia
mieloablativa: è necessario stabilirne precocemente l’indicazione; da un lato, infatti, esso è l’unica forma di terapia che può portare ad una definitiva guarigione della LMC; dall’altro, un trapianto tardivo in fase di crisi blastica è gravato da un alto tasso di mortalità.
Requisiti: età < 55 anni e donatore (consanguineo o non) HLA-compatibile/MLCnegativo.
Prognosi: nei trapianti di midollo osseo allogenico da donatore consanguineo eseguito nella fase cronica della LMC il tasso di sopravvivenza a 10 anni raggiunge il
55% (i trapianti di midollo da donatore non consanguineo hanno tassi di successo
inferiori a causa di un’aumentata mortalità da terapia).
Terapia della recidiva dopo trapianto di midollo: IFN-α, somministrazione di leucociti del donatore = «donor lymphocyte infusion» = DLI ( effetto «graft versus
leukemia») ed eventuale chemioterapia.
5. Terapia di supporto: prevenzione dell’iperuricemia da citoriduzione (allopurinolo, alcalinizzanti urinari, abbondante apporto di liquidi), trasfusioni di eritrociti e piastrine
secondo necessità. In caso di infezione antibiotici ad ampio spettro; leucocitoaferesi
in caso di conta leucocitaria molto elevata con pericolo di trombi leucemici.
Prognosi: con la terapia con IFN-α così come dopo trapianto di midollo autologo o allogenico la sopravvivenza a 5 anni raggiunge il 60% dei casi. Per i pazienti che presentano (all’analisi con PCR) una remissione citogenetica completa con la terapia
con IFN-α esiste la speranza di una sopravvivenza a lungo termine. Con sola chemioterapia la sopravvivenza a 5 anni è intorno al 30% dei casi. La guarigione è possibile sino ad oggi solo con trapianto allogenico di midollo osseo/cellule staminali.
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POLICITEMIA VERA
Definizione: affezione mieloproliferativa con proliferazione autonoma di tutte le 3 serie
ematopoietiche, ma prevalenza dell’eritropoiesi. Ne deriva la soppressione dell’eritropoietina (EPO).
Epidemiologia: affezione rara; picco di età intorno a 60 anni; M > F.
Eziologia: sconosciuta.
Fisiopatologia
In caso di Ht > 55% si ha un aumento critico della viscosità del sangue con un abbassamento della capacità di trasporto di O2.
Valori Ht > 60% mettono in pericolo la microcircolazione e si ha una maggiore incidenza di complicanze tromboemboliche, soprattutto in caso di concomitante trombocitosi.
Clinica:
1. arrossamento della cute del volto (aspetto pletorico) e delle estremità (aspetto sanissimo), eventualmente cianosi labiale, prurito
2. vertigini, emicrania, acufeni, astenia, epistassi, disturbi del visus, ipertensione, fundus policitemico con stasi nel reticolo venoso.
Laboratorio: eritrociti ed Hb aumentati, Ht aumentato, (VES diminuita), leucociti e piastrine di solito aumentati, uricemia aumentata.
Complicanze: quattro cause principali di morte in caso di policitemia:
1. complicanze tromboemboliche (40% dei casi)
2. diatesi emorragica
3. evoluzione in osteomielofibrosi con insufficienza midollare (20%)
4. evoluzione in leucemia acuta (2% con sola salasso-terapia, 10-15% con terapia mielosoppressiva).
Nota: nella policitemia si verificano sia trombosi (per la trombocitosi) sia emorragie
(per il deficit funzionale piastrinico).
Diagnosi differenziale: poliglobulia = aumento di eritrociti, Hb, Ht.
1. Policitemia relativa (pseudoglobulia):
la quota totale degli eritrociti è normale, ma è ridotto il volume piastrinico: disidratazione di varia genesi.
2. Policitemia assoluta: aumento del numero degli eritrociti (eritrocitosi):
a. proliferazione autonoma eritropoietica clonale (EPO ridotta): policitemia vera
b. iperplasia secondaria del sistema eritropoietico: poliglobulia secondaria
— aumento primitivo dell’EPO (PO2 arteriosa normale)
• sindromi paraneoplastiche (ipernefroma, carcinoma ovarico, tumori al cervelletto, epatoma, ecc.)
• alcune malattie renali (ad es. rene cistico)
• eritrocitosi famigliare (ereditarietà autosomica recessiva)
— aumento compensatorio dell’EPO
• ipossia (PO2 arteriosa diminuita)
– esogena: soggiorno a grandi altezze
– endogena: malattie cardiopolmonari (anzitutto vizi congeniti con shunt
destro sinistro)
• disturbi della emoglobina (ad es. metaemoglobinemia congenita), fumo
(carbossiemoglobina).
— apporto esogeno di EPO: «doping» con EPO
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— stimolazione ormonale della eritropoiesi: malattia di Cushing, terapia corticosteroidea, androgeni.
Diagnosi
1. Esclusione di una poliglobulia secondaria: reperti cardiaci e polmonari, ecografia
dell’addome, PO2 arteriosa e livelli urinari di EPO (diminuiti nelle 24 ore precedenti il salasso e nelle 48 ore dopo il salasso, al contrario della poliglobulia).
2. Criteri di diagnosi di policitemia sec. il Polycythaemia-vera study group
Diagnosi di certezza: tre criteri della categoria A o A1+2 + due criteri della categoria B
Categoria A: 1. numero degli eritrociti > 6,5 × 1012/l
2. saturazione dell’ossigeno arterioso > 92%/valori normali di EPO
3. splenomegalia
Categoria B: 1. trombocitosi > 400.000/µl
2. leucocitosi > 12.000/µl (in assenza di febbre o infezione)
3. fosfatasi alcalina leucocitaria aumentata > 100 (in assenza di febbre od infezione)
3. Biopsia ossea della cresta iliaca: proliferazione delle 3 linee cellulari eritropoietiche
con predominanza dell’eritropoiesi, marcato impoverimento del ferro midollare.
Terapia
1. Terapia di prima scelta:
— salassi regolari (ca. 500 ml) oppure eritrocitoaferesi mediante separatore cellulare.
Obiettivo: ottenere un Ht < 45%
Vantaggi: non vi sono danni tardivi
Svantaggi: • induzione di una carenza di ferro; il ferro però non deve essere
reintegrato perché ciò stimola un’ulteriore eritropoiesi
• inefficacia sulla trombocitosi (rischio di complicanze tromboemboliche!)
— IFN-α: adeguare il dosaggio per mantenere l’Ht < 45%
— in caso di trombocitosi pericolosa, somministrazione di anagrelide, un inibitore
piastrinico selettivo.
2. Terapia di seconda scelta:
trattamento mielosoppressivo con citostatici: idrossiurea = idrossicarbamide
Indicazioni: — piastrine > 800.000/µl (pericolo di trombosi)
— notevole ingrossamento di fegato e milza
Svantaggi: aumentato rischio di indurre una leucemia acuta tardiva (perciò non viene più utilizzato il fosforo radioattivo).
3. Terapia sintomatica, ad es.:
— nell’iperuricemia: somministrazione di allopurinolo
— nel prurito: tentativo terapeutico con antiistaminici.
Prognosi
Tempo medio di sopravvivenza con trattamento: 10-15 anni. In assenza di trattamento:
2 anni.
TROMBOCITEMIA ESSENZIALE (TE)
Definizione: proliferazione autonoma monoclonale della trombocitopoiesi; appartiene al
gruppo delle affezioni mieloproliferative.
Epidemiologia: affezione rarissima, che si manifesta dopo il 50° anno di età.
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Clinica
1. complicanze tromboemboliche (causa di morte più frequente)
2. diatesi emorragica (piastrine con deficit funzionali)
3. splenomegalia nel decorso tardivo della malattia (all’inizio evtl. milza normale).
Reperti ulteriori:
— iperuricemia ed aumento di LDH (aumentato turn-over cellulare)
— per la liberazione di potassio e di fosfatasi acida dai trombociti durante la coagulazione, questi due elementi sono aumentati solo nel siero e non nel plasma!
Diagnosi differenziale
1. trombocitosi reattiva dopo traumi ed interventi chirurgici, dopo splenectomia, infiammazioni croniche, tumori maligni, emorragie, ecc.
2. altre affezioni mieloproliferative.
Diagnosi:
1. trombocitosi cronica > 600.000/µl
2. iperplasia a livello midollare dei megacariociti, piastrine giganti in circolo
3. negatività del cromosoma Philadelphia e del riarrangiamento bcr
4. assenza di policitemia
5. nessun motivo per una causa reattiva dell’aumento piastrinico
6. spesso presenza di lieve splenomegalia, lieve leucocitosi nonché anemia microcitica-ipocromica da emorragia cronica.
Terapia
1. IFN-α: nella maggior parte dei pazienti può normalizzare la conta piastrinica
2. l’anagrelide inibisce selettivamente la megacariopoiesi, è di facile impiego ed è privo di effetti collaterali oncogeni
3. terapia mielosoppressiva con idrossicarbamide = idrossiurea; indicazioni: in caso di
controindicazioni o inefficacia dell’IFN-α o dell’anagrelide oppure per rischio di
complicanze tromboemboliche
4. in caso di incombenti complicanze ischemiche aggiungere trombocitoaferesi
5. per la facilità ad emorragie si sconsiglia l’uso di inibitori dell’aggregazione piastrinica.
Prognosi: sopravvivenza mediana 10-15 anni; trasformazione in leucemia acuta nel 10%
dei casi.
OSTEOMIELOSCLEROSI (OMS)
Sinonimi: mielofibrosi idiopatica (MFI), osteomielofibrosi (OMF).
Definizione: affezione mieloproliferativa ad eziologia sconosciuta con la seguente triade
clinica:
1. grave fibrosi midollare, con depressione del midollo emopoietico
2. emopoiesi extramidollare a livello splenico ed epatico con passaggio di precursori
delle cellule ematiche nel sangue
3. splenomegalia.
Epidemiologia:
Incidenza: 0,5/100.000/anno; età più colpita: 60 anni.
Clinica: inizio insidioso!
1. splenomegalia costante ( eventuale sensazione di peso al quadrante addominale
superiore sinistro), facoltativa una lieve epatomegalia
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2. sintomi generali: calo ponderale, astenia, eventualmente febbre
3. crasi ematica:
— fase precoce: leucocitosi, trombocitosi, eritrociti in genere normali
— fase tardiva: pancitopenia, quadro ematico leucoeritroblastico = comparsa di precursori rossi e bianchi nel sangue come conseguenza di emopoiesi extramidollare,
poichilocitosi con eritrociti a forma di lacrima.
Complicanze: emorragie da trombocitopenia, e infezioni.
Diagnosi differenziale
1. mielofibrosi secondaria ad altre affezioni mieloproliferative (LMC, policitemia)
2. fibrosi midollare secondaria, in presenza di carcinomi con metastasi nel midollo osseo
3. leucemia a cellule capellute; sindrome mielodisplastica.
Diagnosi
1. fosfatasi alcalina leucocitaria aumentata (nella LMC è invece diminuita)
2. negatività del cromosoma Philadelphia e del riarrangiamento bcr
3. puntato sternale: «midollo secco» (punctio sicca)
4. biopsia ossea della cresta iliaca (decisiva per la diagnosi!): mielofibrosi.
Terapia
Non è nota una terapia causale. L’IFN-α è in fase di sperimentazione clinica.
Terapia sintomatica:
1. in caso di anemia grave sintomatica: trasfusione di eritrociti
2. in caso di trombocitosi, dato il pericolo di trombosi: anagrelide
3. poiché la milza è la sede della produzione/distruzione ematica, attuare la splenectomia solo se c’è ipersplenismo, cioè un «pooling» aumentato di emazie nella milza
ingrossata. Tramite tecniche isotopiche si valuta prima se la milza è il luogo principale del sequestro ematico.
Nota: l’irradiazione splenica può condurre a grave pancitopenia.
Prognosi
Più favorevole della LMC; tempo medio di sopravvivenza: circa 5 anni. Nel 10% «crisi blastica» terminale (decorso come leucemia acuta).
SINDROME MIELODISPLASTICA (SMD)
Definizione: malattia eterogenea, acquisita, clonale delle cellule staminali, con modificazioni qualitative e quantitative dell’emopoiesi, citopenia periferica, midollo osseo displastico, ricco di cellule e spesso con aumentata presenza di blasti.
Epidemiologia
Incidenza: 4-13/100.000/anno; negli ultra settantenni 20-50/100.000/anno; età media
d’esordio 70 anni circa.
Eziologia
1. > 90% SMD primitiva, da causa sconosciuta
2. < 10% SMD secondaria (> 90% aberrazioni cromosomiche), indotta da:
— pregressa terapia citostatica (alchilanti, inibitori della topoisomerasi-II, cisplatino, fludarabina)
— radiazioni o radiochemioterapia combinata
— benzolo, pesticidi (?), tinture per capelli (?), fumo (?).
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Classificazione FAB della SMD (French American British Cooperative Group, 1982 - modificata)
Sottotipo
Presenza di blasti
in circolo e
nel midollo
Anemia refrattaria
(AR)
≤ 1%
< 5%
Anemia refrattaria
con sideroblasti
ad anello
(ARSA)
≤ 1%
< 5%
Anemia refrattaria
< 5%
con eccesso di blasti
(AREB)
AREB in
trasformazione
(AREB-T)
≥ 5%
Tempo di
sopravvivenza medio
(mesi)
Evoluzione a LMA
40 (18-64)
10%
37 (21-76)
11%
12 (7-21)1
22%
talvolta bastoncini
di Auer
15 (3-12)1
35%
monocitosi
periferica
(> 103/µl)
18 (8-60)1
12%
Altre alterazioni
> 15% sideroblasti
ad anello
nel midollo
5-20%
21-30%
Leucemia mielo< 5%
0-20%
monocitica cronica
(LMMC)
Tipo displastico (leucociti < 13.000/µl
Tipo proliferativo (leucociti ≥ 13.000/µl
Altri sottotipi:
– SMD ipoplastica (ca. 10% delle SMD): midollo ipoplastico, pancitopenia
– SMD con mielofibrosi
– Anemia sideroblastica pura (non rientra con certezza tra le SMD)
Classificazione della SMD suggerita dall’OMS (1999)
Presenza di blasti
sangue periferico
midollo osseo
Tempo di
sopravvivenza medio
(mesi)
Anemia refrattaria
pura (AR) (esclusa
la diseritropoiesi con
o senza sideroblasti
ad anello)
≤ 1%
< 5%
63
17%
Citopenia refrattaria
con displasia di più
serie (con o senza
sideroblasti ad
anello)
≤ 1%
< 5%
36
14%
Anemia refrattaria
con eccesso di blasti
(AREB I)
5-10%
13
17%
AREB II
11-20%
19
25%
Sottotipo
Evoluzione a LMA
Sindrome
mielodisplastica non
classificabile
In caso di presenza di blasti > 20% nel midollo osseo o nel sangue periferico si tratta per definizione di LMA.
La LMMC viene classificata come entità a sè stante, l’AREB-T viene inglobata nella LMA.
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Clinica
• in circa il 20% dei casi riscontro occasionale, nell’80% sintomi secondari alla citopenia: sintomi da anemia (70%), infezioni (35%) evtl. con febbre, diatesi emorragica
(20%)
• splenomegalia (20%, nella LMMC 50%), epatomegalia (30%), linfoma (10%).
Laboratorio
Alterazioni della crasi ematica:
mono-, bi- o pancitopenia, generalmente anemia ipercromica o normocromica, reticolocitopenia, leucocitosi in circa il 10% dei casi (LMMC/AREB-T), raramente (4%) piastrinopenia o leucocitopenia isolate.
Alterazioni disematopoietiche periferiche:
macrocitosi, poichilocitosi, policromasia, pun-teggiature basofile, anisocitosi, granulociti ipogranulati, cellule pseudo-Pelger, blasti isolati, granulociti ipersegmentati, anisometria delle piastrine, piastrine giganti, ecc.
Diagnosi differenziale
— anemia aplastica, pure red cell aplasia
— danni midollari metabolici/tossici (alcool,
piombo, FANS)
— alterazioni midollari reattive (sepsi, AIDS,
infezioni croniche
— in caso di LMMC monocitosi di altra natura
— emoglobinuria parossistica notturna (EPN)
— piastrinopenia immuno-mediata
— anemia megaloblastica
— ipersplenismo
— leucemie acute (soprattutto eritroleucemia,
FAB-M6)
— malattia mieloproliferativa (soprattutto LMC,
OMS)
— leucemia a cellule capellute
— anemie diseritropoietiche congenite (rare)
istologia, citologia
anamnesi
citologia, anamnesi
anamnesi
test di Ham, test dell’emolisi acida
citologia
livelli di vitamina B12 e acido folico
anamnesi, clinica, splenomegalia
citologia
istologia, citogenetica
crasi ematica, citologia
Diagnosi
• anamnesi/clinica
• esclusione delle malattie in diagnosi differenziale (vedi sopra)
• crasi ematica, ferritina, LDH, vitamina B12, acido folico
• agoaspirato midollare con citologia e biopsia osteo-midollare (ago di Jamshidi):
1) citologia midollare con colorazioni secondo Pappenheim, con POX, acido periodico Schiff (PAS), α-NE, colorazioni per il ferro:
disematopoiesi midollare:
— diseritropoiesi (sideroblasti ad anello, evoluzione megaloblastica, frammentazione dei nuclei, multinuclearità, sideroblastosi, eritroblasti PAS-positivi)
— disgranulopoiesi (incremento dei blasti, mielociti ipogranulati, bastoncini di
Auer (rari), aumento dei monociti, cellule pseudo-Pelger, deficit di mieloperossidasi, aumento dei promielociti, neutrofili ipersegmentati)
— dismegacariopoiesi (micromegacariociti, megacariociti mononucleati)
2) analisi cromosomica (aberrazioni cromosomiche in circa il 40% dei casi, soprat-
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tutto a carico dei cromosomi 5, 7, 8, 20; nel 10% aberrazioni complesse che coinvolgono 3 o più cromosomi, nel 15% a carico di 1-2 cromosomi)
3. istologia: valutazione della cellularità e dimostrazione della fibrosi.
Terapia
1. Trattamento di supporto
— impiego oculato delle trasfusioni (concentrati eritrocitari filtrati)
— in caso di emorragia grave, trasfusione di concentrati piastrinici possibilmente
HLA-compatibili
— in caso di febbre di origine non chiara, somministrazione precoce di antibiotici
ad ampio spettro dopo prelievo per esami colturali e altre indagini diagnostiche
(vedi cap. Febbre)
— evitare gli steroidi e possibilmente anche i FANS.
2. Somministrazione di fattori di crescita emopoietici (G-CSF, GM-CSF, IL-3, EPO)
solo nell’ambito di studi controllati (ad oggi non vi è prova di una loro sicura efficacia).
3. Somministrazione di chelanti del ferro in caso di siderosi secondaria potenziale o
manifesta:
— deferoxamina (s.c., e.v.)
— deferiprone (per os), in fase di sperimentazione.
4. Evtl. chemioterapia palliativa
— ARA-C (citosina-arabinoside) a bassa dose
— idrossicarbamide in caso di LMMC proliferativa
indicazioni: organomegalia, versamento pleurico, infiltrati cutanei, leucocitosi
marcata.
5. Polichemioterapia intensiva
indicazione: pazienti ad alto rischio (generalmente AREB/AREB-T), < 70 anni, in
buone condizioni generali e senza altre patologie concomitanti. Trattamento secondo
i protocolli d’induzione della LMA, con raggiungimento di una remissione completa
nel 50-80% dei casi e di una remissione a lungo termine nel 20-30% dei casi. La citogenetica iniziale è il più importante fattore prognostico: elevata frequenza di remissione nei casi con cariotipo normale, bassa frequenza nei casi con cariotipo alterato.
6. Trapianto allogenico di midollo osseo o di cellule staminali dopo chemioterapia
mieloablativa
indicazione:
— provvedimento curativo unico in presenza di un donatore HLA-identico in famiglia
— opzione terapeutica nei soli pazienti di età < 50 anni, con guarigione a lungo
termine nel 40% circa dei casi, e mortalità associata al trapianto sino al 40% dei
casi
— in presenza di blasti numerosi, il trapianto va praticato solo dopo il raggiungimento di una remissione completa mediante chemioterapia aggressiva.
In fase di studio: trapianto allogenico di midollo osseo/cellule staminali dopo chemioterapia non mieloablativa (incerto l’impiego di trapianto da donatore estraneo).
7. La talidomide può migliorare la citopenia in alcuni pazienti (controindicazione: gravidanza! embriopatia da talidomide con sindrome focomelica).
Prognosi
Fattori prognostici sfavorevoli sono: età avanzata, precedenti malattie, cattive condizioni generali, citopenia grave, aumento di timidina-chinasi e LDH, elevato numero di blasti, aberrazioni comosomiche complesse.
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Punteggio prognostico per la valutazione del rischio
(ad es. International Prognostic Score - IPS, se vi è disponibilità di indagini citogenetiche):
Punteggio
blasti midollari (%)
entità della citopenia periferica (1)
gruppi di rischio citogenetico (2)
Gruppi di rischio
basso rischio
rischio intermedio I
rischio intermedio II
alto rischio
(1)
(2)
0
0,5
1
1,5
2
0-4
0-1
basso
5-10
2-3
medio
–
–
alto
11-20
–
–
21-29
–
–
Punteggio
Tempo di sopravvivenza medio (mesi)
0
0,5-1
1,5-2
≥ 2,5
68
42
14
15
: piastrine < 100.000/µl, emoglobina < 10 g/dl, granulociti < 1.800/µl
: basso rischio: cariotipo normale, 5q-, 20q-, -Y;
alto rischio: modificazioni cariotipiche complesse (≥ 3 anomalie), alterazioni del cromosoma 7;
rischio intermedio: tutte le altre anomalie.
TERAPIA MEDICA DEI TUMORI
Premessa necessaria per una terapia oncologica è la conoscenza dei fatti seguenti:
1. diagnosi provata istologicamente
(solo le leucemie possono essere diagnosticate citologicamente)
+ grado di differenziazione del tumore (histologic grading)
G1 buono - G2 moderatamente differenziato - G3 mal differenziato - G4 anaplastico
2. stadiazione (staging) per definire la propagazione della malattia nell’organismo, ad
es. sistema TNM:
T = dimensione del tumore primitivo: T1-T4
N = interessamento dei linfonodi: N0 = nessun interessamento linfonodale
N1 = interessamento di linfonodi regionali
N2 = interessamento di altre stazioni linfonodali
M = diffusione metastatica: M0 = mancanza di metastasi a distanza
M1 = esistenza di metastasi a distanza
Modalità terapeutiche oncologiche
1. intervento chirurgico
2. irradiazione
3. terapia ormonale
4. chemioterapia, che può essere sistemica o regionale
5. immunoterapia
6. terapia genica
7. terapia di supporto
Terapia ormonale
1. Terapia ormonale additiva: somministrazione di ormoni (ad es. di estrogeni in caso
di carcinoma della prostata).
2. Terapia ormonale ablativa: blocco ormonale
— asportazione chirurgica dell’organo produttore dell’ormone, ad es.:
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• ovariectomia in caso di carcinoma mammario metastatizzato nella fase di premenopausa
• orchiectomia in caso di carcinoma prostatico metastatizzato.
— castrazione farmacologica
ad es. somministrando gli antagonisti di LH-RH buserelin, goserelin, triptorelin
o leuprorelin, in caso di carcinoma prostatico metastatizzato.
3. Terapia con antagonisti ormonali, ad es.:
— terapia del carcinoma della mammella metastatizzato con antiestrogeni (tamoxifene) o inibitori della aromatasi (formestan, anastrozolo, fadrozolo, vorozolo, letrozolo e exemestan)
— terapia del carcinoma prostatico metastatizzato con anti-androgeni (bicalutamide,
flutamide, ecc.).
Premessa per un’efficace e razionale terapia ormonale è la definizione del quadro ormonale nel sangue e dei recettori ormonali nel tessuto tumorale e l’inserimento della terapia ormonale in un unico protocollo terapeutico.
Effetti collaterali
1. Terapia additiva: in caso di terapia a base di estrogeni e androgeni occorre fare particolarmente attenzione a ipercalcemia e ritenzione idrica.
2. Terapia ablativa: sintomi da carenza endocrina, osteoporosi.
Chemioterapia con citostatici
Scopi della chemioterapia
1. Guarigioni potenziali (terapia curativa), ad es. linfoma maligno e M. di Hodgkin,
LLA infantile, carcinoma testicolare, corioncarcinoma, ecc.
2. Miglioramento della qualità di vita (terapia palliativa), anche quando la guarigione
è improbabile.
3. Terapia neoadiuvante: chemioterapia pre-operatoria al fine di migliorare le possibilità chirurgiche, eventualmente per raggiungere un «down-staging» e quindi per aumentare le possibilità di guarigione.
4. Terapia adiuvante: dopo un trattamento locale potenzialmente curativo (ad es. resezione) e assenza clinica del tumore, la chemioterapia adiuvante ha lo scopo di impedire recidive o la formazione di metastasi.
5. Terapia di salvataggio: nuova terapia intensiva con obiettivo curativo in pazienti
con recidiva.
I. Cinetica cellulare
— Ciclo cellulare: vengono distinte 4 fasi di ciclo:
• 2 «visibili»: M + S (mitosi e sintesi)
• 2 «non visibili» G1 + G2 (gap = intervallo)
Differenziazione
M
G0
G2
G1
S
G1 = fase di pre-sintesi: durata variabile
(ore - giorni - anni).
S = fase di sintesi del DNA; durata costante
(< 10 ore).
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G2 = fase post-sintetica; durata di ore.
M = fase della mitosi; durata di minuti.
G0 = pool cellulare a riposo.
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— Tempo di generazione
È il tempo che la cellula impiega per attraversare le 4 fasi. Nella maggior parte
delle cellule normali è di 24-48 ore, nelle cellule tumorali è spesso superiore (4872 ore).
— Modello a compartimenti della crescita tumorale:
il tumore è costituito da quattro compartimenti funzionali cellulari:
• pool di proliferazione = frazione in accrescimento («growth fraction»): è la quota di cellule attive nel ciclo cellulare.
Dato che l’efficacia dei citostatici è inversamente proporzionale alla massa tumorale, i tumori di grosse dimensioni devono essere asportati chirurgicamente o
per irradiazione. Con un ridotto volume di cellule tumorali la «growth fraction» è
relativamente alta e quindi è possibile effettuare un buon condizionamento chemioterapico: tale è il principio della cosiddetta chemioterapia adiuvante = terapia
citostatica preventiva, effettuata dopo un intervento radicale su un tumore maligno con lo scopo di eliminare micrometastasi clinicamente non accertabili.
La crescita del tumore non è esponenziale: all’inizio la curva di crescita è ripida
(breve tempo di raddoppio del tumore, alta frazione di crescita). Con l’aumento
delle dimensioni del tumore la curva di crescita si appiattisce (frazione di crescita progressivamente in calo).
• pool cellulare a riposo (G0): cellule che sono escluse dal ciclo cellulare.
Dato che la maggior parte dei citostatici è tossica per le cellule proliferanti, e solamente una percentuale delle cellule tumorali fa parte del pool proliferativo, le
cellule tumorali inattive in fase G0 non vengono danneggiate dal citostatico e possono prima o poi rientrare nel pool di proliferazione (recruitment); per tale motivo occorre sempre effettuare nuovamente un trattamento a base di citostatici (terapia di reinduzione).
• cellule incapaci di dividersi
• cellule morte
— Ciclo-specificità dei citostatici
Alcuni tipi di citostatici danneggiano le cellule soltanto in determinate fasi del ciclo: gli antimetaboliti agiscono sulla fase S, gli inibitori del fuso sulla fase M, le
sostanze alchilanti hanno effetto su tutte le 4 fasi; altre sostanze sono aspecifiche
(ad es. daunorubicina).
— Ipotesi di morte cellulare secondo Skipper
I citostatici agiscono secondo una cinetica di primo ordine, e cioè non eliminano
una quota assoluta di cellule, bensì sempre una percentuale costante (distruzione
cellulare frazionata). Esempio: Se mediante una dose di citostatici viene eliminato il
90% delle cellule tumorali, su una massa tumorale di 1012 cellule ne rimangono ancora 1011.
Per ridurre ulteriormente il numero di cellule tumorali si deve ricorrere ad altri cicli terapeutici (vedi figura).
— Terapia combinata (polichemioterapia)
Generalmente la combinazione di citostatici adatti risulta più efficace di una monoterapia anche nei confronti dello sviluppo di una resistenza secondaria.
Risultati attesi dalla polichemioterapia:
1. superiorità terapeutica rispetto a qualsiasi sostanza singola
2. eguale o minore tossicità con maggiore efficacia sul tumore.
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Recidiva
Resistenza alla terapia
Numero di cellule
tumorali
nell’organismo
precoce
tardiva
1012
1 Kg
Tumore
clinicamente
rilevabile
Peso del tumore
109
1 g
Remissione a
lungo termine
106
1 mg
10
Minimal
residual
disease
3
1 µg
Eradicazione
1
Induzione
Consolidamento
Mantenimento
Giudizio dell’efficacia terapeutica
• remissione completa (RC): scomparsa di tutte le manifestazioni tumorali
• remissione parziale (RP): regressione della massa tumorale almeno del 50%
• nessun cambiamento (NC): regressione della massa tumorale < 50%
• progressione = Malattia progressiva (MP): peggioramento delle manifestazioni tumorali o comparsa di nuove
• recidiva: nuove manifestazioni tumorali dopo remissione completa.
Resistenza
Le cause di resistenza delle cellule maligne ai citostatici sono:
1. resistenza temporanea di cellule in fase GO (inattive). Quando queste cellule entrano di nuovo nel ciclo della divisione cellulare, sono nuovamente sensibili ai citostatici. Con l’ingrandimento del tumore aumentano anche le cellule in fase GO (inattive)
2. resistenza primaria: esistenza di cloni cellulari primariamente resistenti: è primariamente resistente 1 cellula ogni 105-107 cellule tumorali
3. resistenza secondaria: si verifica soltanto nel corso di un trattamento con citostatici; diversi fatti possono avere un ruolo (es. modifica del metabolismo cellulare,
meccanismi di «repair» ecc.).
In numerosi tumori viene espresso, primitivamente o secondariamente alla chemioterapia, il
gene MDR-1, che provoca una «multi-drug-resistance». Le varianti del gene MDR-1 influenzano anche l’assorbimento intestinale dei farmaci, mediante la produzione enterica di
PGP: la variante CC si associa ad un assorbimento peggiore, la variante TT ad un assorbimento migliore.
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Fasi della chemioterapia
1. terapia induttiva: terapia intensiva con citostatici fino al raggiungimento di una remissione completa (= scomparsa di tutti i parametri tumorali)
2. terapia di consolidamento: serve a stabilizzare la remissione
3. terapia di mantenimento: ha lo scopo di prolungare la remissione
— sotto forma di terapia continua
— sotto forma di cicli di terapia intermittenti (reinduzione).
Chemioterapia regionale
— impiego di citostatici per via intratecale, intrapleurica, intraperitoneale
— perfusione d’organo selettiva mediante catetere (ad es. nel fegato).
Perfusione extracorporea
Mediante approntamento temporaneo di un sistema di circolazione extracorporea (ad es.
in caso di tumori delle estremità), si possono far giungere al tumore dosi assai elevate
di citostatici senza alcuna tossicità sistemica.
II. Classificazione dei citostatici
I correnti principi di classificazione considerano:
— l’origine delle sostanze (inibitori vegetali, antibiotici, citostatici di sintesi) e
— tipo d’azione (alchilanti, antimetaboliti, inibitori della metafase, ecc.).
1. Alchilanti:
sono in grado di legarsi al DNA. Gli alchilanti che presentano 2 gruppi funzionali
possono scatenare reazioni a catena fra le 2 eliche di DNA, e hanno una più efficace azione citotossica rispetto agli agenti monofunzionali. Esempi:
— ciclofosfamide, ifosfamide e trofosfamide possono causare cistite emorragica; occorre perciò provvedere ad un adeguato apporto idrico e alla prevenzione della
cistite con mesna (effetti collaterali: reazioni immuno-allergiche)
— thiotepa
— melfalan
— clorambucil
— busulfan: in rari casi fibrosi polmonare interstiziale. L’effetto tossico a livello
midollare si sviluppa a volte dopo molto tempo; è necessario programmare con
un certo anticipo la sospensione del farmaco
— cisplatino, carboplatino, oxaliplatino ed altri analoghi del platino: provocano
errata duplicazione delle eliche del DNA. Fra gli effetti collaterali sono da ricordare nefro-, oto- e neurotossicità (polineuropatie); i tiosolfati diminuiscono la
tossicità del platino
— carmustina (BCNU), lomustina (CCNU), estramustina.
2. Antibiotici ad azione citostatica:
— antracicline: doxorubicina = adriamicina, daunorubicina, epirubicina, idarubicina, aclarubicina, zorubicina, iododoxorubicina;
mitoxantrone: attenzione alla cardiotossicità cumulativa! Controlli ecocardiografici: la frazione di eiezione deve essere normale.
Nota: le antracicline danneggiano il DNA ed hanno effetto cardiotossico, determinando il rischio di miocardiopatia associata ad insufficienza cardiaca irreversibile; si consiglia perciò di non superare una dose totale massima di 500
mg/mq di superficie corporea (controlli ecocardiografici).
— bleomicina: danneggia il DNA e può condurre a fibrosi polmonare da accumulo
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con dosaggio a partire da 250-350 mg. Il rischio di fibrosi polmonare aumenta
in caso di pregressa irradiazione del mediastino!
— actinomicina D
— mitomicina: dopo uso prolungato può causare anemia emolitica microangiopatica ed insufficienza renale.
3. Inibitori mitotici
— veleni della metafase derivati dalla Vinca rosea (vincristina = oncovin, vinblastina, vindesina, vinorelbina, vintripolo, vinxaltina): determinano il blocco della
mitosi in fase G2-M, combinandosi con le proteine dei microtubuli
— inibitori della topoisomerasi I, da estratti di Camptotheca acuminata: topotecan,
irinotecan e altri provocano alterazioni puntiformi del DNA. La diarrea è l’effetto collaterale dose-dipendente che ne limita l’impiego
— inibitori della topoisomerasi II, derivati dal Podophyllum peltatum: etoposide,
teniposide
— taxoidi: pachitaxel e docetaxel, derivati da varianti del tasso; provocano alterazioni dei microtubuli intra-cellulari e alterano così la mitosi. Spesso reazioni allergiche, neuropatia periferica (50% dei casi), e bradicardia sinusale (20%).
Nota: gli alcaloidi sopracitati sono neurotossici e possono causare polineuropatia.
4. Antimetaboliti: agiscono in virtù di minime alterazioni della struttura molecolare fisiologica creando «false vie» metaboliche e possono così inibire ad es. la sintesi degli acidi nucleici.
— il metotrexate (MTX) è un antagonista dell’acido folico: inibisce l’attività enzimatica della deidrofolatoreduttasi. L’azione del MTX può essere antagonizzata
mediante somministrazione di acido folinico, che è la forma attiva dell’acido folico (è il principio del cosiddetto processo di «rescue» dopo elevate dosi di
MTX).
In caso di tumore resistente al MTX, si può ricorrere ad antagonisti dell’acido
folico più recenti (trimetrexate, piritrexim, iometrexol, ecc.).
Gli effetti collaterali sono dose-dipendenti: soppressione midollare, nefrotossicità, epatotossicità, stomatite, diarrea, ecc.
— il 5-fluorouracile (5-FU) inibisce, a livello dell’RNA, diversi enzimi, fra i quali
la timidilatosintetasi. Il grado di tossicità è simile a quello del MTX
— la citosinarabinoside (Ara-C) ha struttura simile alla citidina. L’Ara-C viene attivata dopo fosforilazione nella forma citoide (Ara-CTP) ed inibisce la DNA-polimerasi
— analoghi purinici
• tioguanina
• azatioprina e 6-mercaptopurina (6-MP); inibiscono la sintesi ex-novo delle
purine; interferiscono con la via metabolica della xantino-ossidasi. In caso di
contemporanea somministrazione di allopurinolo (che inibisce la xantino-ossidasi) la dose di entrambe le sostanze deve essere ridotta del 25%. Tra gli effetti collaterali: epatotossicità e colestasi
• fludarabina, cladribina, pentostatina: sono analoghi purinici (= antimetaboliti
purinici) molto efficaci per il trattamento della LLA e della leucemia a cellule capellute (pentostatina). Come effetto collaterale si osserva, tra gli altri, la
soppressione persistente dei linfociti T-helper con aumentato rischio di infezioni opportunistiche
• gemcitabina: analogo pirimidinico (= antimetabolita pirimidinico)
• inibitori della sintesi dei timidilati: raltitrexed, tomudex.
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5. Altri citostatici
— asparaginasi; meccanismo d’azione: inibizione della sintesi proteica (scissione
della aspargina in aspartato e ammoniaca)
— idrossicarbamide (= idrossiurea); meccanismo d’azione: inibizione della ribonucleotido-reduttasi
— dacarbazina e procarbazina; meccanismo d’azione: depolimerizzazione del DNA.
III. Effetti collaterali
Tutti i citostatici danneggiano sempre, oltre alle cellule tumorali, anche quelle normali!
Nel migliore dei casi si tratta di una specificità relativa, in cui le cellule tumorali vengono danneggiate maggiormente delle cellule normali. Di conseguenza sussistono obbligatoriamente degli effetti collaterali. Tali effetti collaterali possono svilupparsi con
diversa modalità temporale:
1. iperacuti: reazioni allergiche
2. acuti: ad es. mielosoppressione
3. subcronici: ad es. danno renale
4. cronici: effetto cancerogeno. Secondo la cosiddetta regola di combinazione di K.H.
Bauer è valido il seguente concetto: citostatico = mutageno e cancerogeno tossicità tardiva con comparsa di neoplasia secondaria.
Avendo effetto tossico sulla proliferazione cellulare i citostatici danneggiano maggiormente i tessuti a rapido turn-over cellulare. A questi appartengono il midollo osseo
emopoietico (particolarmente colpita la granulopoiesi), tessuto linfatico, epitelio intestinale e mucosa buccale, nonché l’epitelio seminale del testicolo.
Effetti collaterali organospecifici
11. Mielosoppressione: interessa tutti i citostatici; la granulocitopoiesi è la funzione più
colpita; seguono poi in sequenza scalare: trombocitopoiesi, linfopoiesi (effetto immunosoppressivo dei citostatici) ed eritropoiesi. I valori più bassi di granulocitopenia e trombocitopenia compaiono ca. 7-14 giorni dopo somministrazione di citostatici (ridurre o interrompere per tempo la dose). Granulocitopenia e deplezione immunitaria rendono il paziente soggetto ad infezioni e complicanze settiche, dalle
quali egli deve essere protetto (ambienti asettici, igiene scrupolosa). In caso di febbre occorre giungere immediatamente alla diagnosi (emoculture, ecc.) ed eventualmente alla somministrazione mirata di antibiotici, antimicotici, gammaglobuline.
La rigenerazione midollare dopo alte dosi di radioterapia e/o citostatici può essere
accelerata terapeuticamente mediante:
— somministrazione di fattori di crescita emopoietici: GM-CSF, G-CSF, trombopoietina, MGDF
— somministrazione di eritropoietina (= EPO = epoetina) in caso di anemia secondaria a tumore (da infiltrazione neoplastica del midollo osseo oppure indotta dal
trattamento). L’anemia da tumore è la causa più frequente della «cancer fatigue
syndrome»
— trapianto di cellule staminali autologhe (per i dettagli vedi capp. Linfomi maligni e Leucemie acute).
12. Stomatite, enterocolite: riguarda alcuni citostatici, particolarmente il metotrexate. In
caso di terapia radiante la tossicità a carico di cute e mucose aumenta notevolmente!
13. Nausea, vomito: frequenti effetti collaterali sistemici prevenzione con antiemetici (più efficaci: antagonisti recettoriali della serotonina, ad es. ondansetron, granisetron).
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14. Cardiotossicità: antracicline
— cardiotossicità acuta (rara), imprevedibile e indipendente dal dosaggio
— cardiotossicità cronica, prevedibile e dipendente dall’accumulo del farmaco: la
dose totale di doxorubicina di 500 mg/m2 di superficie corporea non dovrebbe
mai essere superata! Pregresse affezioni cardiache, età avanzata ed irradiazione
del mediastino abbassano tale valore limite. Controlli ecocardiografici a lungo
termine.
Gli antiossidanti (vitamina C, vitamina E) hanno un effetto cardioprotettivo.
15. Tossicità polmonare: bleomicina, busulfan e metotrexate possono indurre fibrosi
polmonare.
16. Nefrotossicità:
— il cisplatino può causare insufficienza tubulare renale. Il trattamento con altre
sostanze potenzialmente nefrotossiche (aminoglicosidi, cefalosporine) aumenta il
rischio di insufficienza renale;
— ciclofosfamide ed ifosfamide possono provocare cistite emorragica e ritenzione
idrica. Profilassi con somministrazione di mesna.
17. Epatotossicità: ad es. nella terapia con antimetaboliti.
18. Neurotossicità:
— disturbi a livello del sistema nervoso centrale dopo somministrazione intratecale
di metotrexate o di citosinarabinoside;
— polineuropatia e ileo paralitico con somministrazione di alcaloidi della Vinca
(particolarmente vincristina);
— il cisplatino ha dimostrato ototossicità.
19. Effetti dermatologici collaterali:
— alopecia dopo somministrazione di vari citostatici;
— ipercheratosi nelle aree cutanee sottoposte a maggior pressione (es. mani e piedi) dopo somministrazione di bleomicina.
10. Tossicità a carico degli organi riproduttivi: azoospermia, fibrosi ovarica, effetti
mutageni e teratogeni.
Altri effetti collaterali
— «cancer fatigue syndrome» (generalmente da anemia da tumore)
— iperuricemia (prevenzione mediante adeguato apporto idrico; evtl. somministrazione
di allopurinolo);
— febbre (bleomicina);
— necrosi tissutale in caso di iniezione endovenosa (ad es. adriamicina, daunomicina,
alcaloidi della Vinca).
Ricerche cliniche
Al fine di poter valutare l’efficacia di nuovi citostatici nei confronti di quelli già noti, è necessario effettuare ricerche cliniche in 3 fasi:
— fase 1: determinazione della dose massima tollerata
— fase 2: determinazione dell’efficacia su diversi tumori
— fase 3: studio comparativo dell’efficacia con altri citostatici.
Immunoterapia
Premesse:
1. il numero di cellule tumorali deve innanzitutto essere ridotto con misure terapeutiche così che i meccanismi immunitari propri dell’organismo siano in grado di di-
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struggere le restanti cellule tumorali. Come numero critico totale di cellule neoplastiche viene assunto quello di 106 (1 mg di massa tumorale)
2. devono essere presenti antigeni tumore-associati
3. il sistema immunitario del paziente deve essere efficiente. Ciò significa che generalmente bisogna rinunciare ad una contemporanea terapia citostatica.
I. Immunoterapia sistemica
1. Immunizzazione attiva:
ad es. tramite vaccini costituiti da antigeni tumorali solubili o da cellule tumorali
autologhe (precedentemente uccise per irradiazione e modificate nella loro antigenicità, ad es. mediante virus o terapia genica).
2. Immunizzazione passiva:
— terapia con anticorpi monoclonali che sono diretti contro gli antigeni delle cellule tumorali. L’efficacia può aumentare tramite accoppiamento degli anticorpi
monoclonali con tossine, citostatici o sostanze radioattive = radioimmunoterapia
(ad es. con l’isotopo del bismuto 213Bi, un α-emittente con capacità di penetrazione di 0,1 mm; T50 = 45 min.)
— anticorpi monoclonali diretti contro l’antigene CD20, espresso alla superficie dei
linfociti B normali e dei linfomi a cellule B (ad es. rituximab)
— terapia con anticorpi bispecifici che si legano da un lato alla cellula tumorale e
dall’altro a cellule killer in grado di distruggere le cellule tumorali
— terapia con cellule killer attivate da linfochine (= cellule LAK): cellule mononucleate precedentemente stimolate in vitro da interleuchina-2. I linfociti infiltranti il tumore (TIL) sono linfociti T estratti dal tumore e stimolati con IL-2.
3. Somministrazione di anticorpi monoclonali anti-Her-2 (human epidermal growth
factor receptor 2), ad es. trastuzumab, in caso di tumore che sovraesprime i recettori Her-2 (30% dei carcinomi mammari); attenzione alla cardiotossicità e ad altri effetti collaterali
4. Terapia con citochine (vedi cap. Citochine).
5. Terapia con stimolanti immunitari aspecifici, come estratti batterici (BCG), levamisolo.
II. Immunoterapia locale
Iniezione intratumorale di vaccino immunostimolante (ad es. di origine batterica: BCG,
Corynebacterium parvum).
Terapia genica
1. sostituzione del gene alterato (ad es. p53)
2. transfezione di «geni suicidi», che attivano nelle cellule tumorali un programma di
morte cellulare geneticamente determinato (= apoptosi)
3. trasferimento di inibitori genici o di anti-geni (ad es. per l’inattivazione del gene
cancerogeno mutato K-ras)
4. somministrazione di oligonucleotidi «anti-sense» che impediscono la traduzione di
oncogeni dominanti e quindi la produzione di proteine necessarie alla sopravvivenza delle cellule neoplastiche
5. transfezione di geni di enzimi in grado di distruggere le cellule tumorali, ad es. inserimento del gene della timidinchinasi nei glioblastomi: dopo somministrazione di
ganciclovir, questo enzima catalizza la fosforilazione della timidina in derivati tossici per la cellula
6. transfezione di geni delle citochine, ad es. inserimento del gene del fattore di necrosi tumorale (TNF) in linfociti attivati
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7. inattivazione dei geni responsabili della farmaco-resistenza delle cellule tumorali aumento della sensibilità del tumore alla chemioterapia
8. transfezione dei geni responsabili della farmaco-resistenza nelle cellule staminali
emopoietiche protezione della mielopoiesi dalla chemioterapia ad alte dosi
9. modificazione genetica di cellule tumorali volta alla produzione di un vaccino antitumorale.
Altre terapie
1. ipertermia (locale o sistemica); in corso di valutazione clinica quale completamento alle forme di terapia antitumorale sopra descritte
2. inibitori dell’angiogenesi che ostacolano la crescita di nuovi vasi (angiogenesi) nel
tumore e, con essa, la crescita del tumore stesso: inibitori del VEGF (vascular endothelial growth factor), ad es. talidomide, angiostatina, endostatina o antagonisti
delle integrine.
Terapia di supporto
1. adeguato apporto nutrizionale: interventi graduati
— nutrizione per via orale
— sonda gastrica
— nutrizione parenterale (rischio di infezioni e altre complicanze)
2. terapia antiemetica prima, durante e dopo la chemioterapia:
— in caso di nausea lieve: metoclopramide
— se la metoclopramide è inefficace, somministrare gli antagonisti recettoriali della 5-HT3 (serotonina): ondansetron, dolasetron, granisetron, tropisetron
— se ciò non è sufficiente, associare il desametasone
3. terapia del dolore:
Nota: gli oppioidi vengono somministrati preferibilmente per via orale, secondo i
tempi e lo schema sequenziale dell’OMS. Controllarne l’efficacia e gli effetti collaterali! La prevenzione del dolore è da preferirsi alla sua terapia! Con gli oppioidi
valutare la prevenzione della stipsi (somministrare lassativi)!
Schema di trattamento «a gradini», secondo l’OMS (modificato)
a) terapia causale (= terapia del tumore)
b) terapia sintomatica
— analgesici non oppiacei:
• FANS (ad es. diclofenac 50 mg × 2-3/die)
• paracetamolo (100-300 mg × 2-3/die)
• metamizolo (500-1.000 mg × 4-6/die)
— oppiacei deboli:
• diidrocodeina retard (60-180 mg × 2-3/die)
• tramadolo retard (100-300 mg × 2-3/die)
• tilidin-naloxone retard (100-200 mg × 2-3/die)
— oppiacei forti (+ analgesici non oppiacei): ad es.
• fentanil TTS (0,6-6,0 mg transdermici/die, evtl. dosi maggiori)
• morfina retard (10-100 mg x 2-3/die, evtl. dosi maggiori)
— oppiacei per somministrazione peridurale o infusione sottocutanea; anestesia
loco-regionale.
In caso di dolori neuropatici evtl. trattamento con antidepressivi triciclici.
In caso di compressione di nervi periferici o di strutture del SNC evtl. desametasone.
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4. trattamento della diarrea secondaria a chemioterapia (ad es. dopo trattamento con
fluoruracile + calciofolinato o irinotecan): somministrazione di loperamide e octreotide. L’atropina s.c. è indicata in caso di insorgenza precoce di diarrea dopo irinotecan
5. prevenzione della nefropatia uratica: abbondante apporto di liquidi (minimo 3 l/
die), alcalinizzazione delle urine + allopurinolo (vedi cap. Iperuricemia)
6. prevenzione della cistite emorragica: dopo la somministrazione di ciclofosfamide/
ifosfamide, il loro derivato metabolico acroleina può provocare una cistite emorragica sterile (il rischio aumenta in caso di precedente irradiazione del bacino); prevenzione con adeguato apporto di liquidi + somministrazione di mesna (che
lega/inattiva l’acroleina)
7. prevenzione dei danni renali da cisplatino: abbondante apporto di liquidi, diuresi
forzata (mediante furosemide). L’amifostina, che lega i radicali attivi, può ridurre la
nefrotossicità da cisplatino (effetti collaterali: nausea, vomito, ipotensione, ecc. associazione con antiemetici + controllo dei valori pressori).
Nota: in caso di radiochemioterapia per tumori della testa e del collo, l’amifostina
riduce il rischio di xerostomia.
8. difosfonati per il trattamento dell’ipercalcemia maligna e delle metastasi ossee (ad
es. acido pamidronico, acido alendronico, acido ibandronico)
9. citochine (G-CSF, GM-CSF, trombopoietina), MGDF, EPO e trapianto di cellule
staminali autologhe quale prevenzione e trattamento degli effetti collaterali mielosoppressivi della chemioterapia
10. profilassi e terapia delle infezioni (vedi i capp. Granulocitopenia, Immunodeficienze e Febbre)
11. trasfusione di eritrociti e piastrine secondo necessità
12. sostegno psicologico del malato e del paziente terminale: secondo Elisabeth KüblerRoss, nel rapporto con un malato affetto da una malattia letale, si possono distinguere fasi diverse delle quali il medico deve tener conto:
— isolamento e non accettazione della realtà
— collera
— patteggiamento
— depressione
— accettazione.
AMILOIDOSI
Definizione: ammassi extracellulari, interstiziali, diffusi o localizzati, in vari organi, di fibrille proteiche in prossimità delle fibre reticolari e della membrana basale oppure lungo le fibre collagene. Le caratteristiche dell’amiloide sono:
— le fibrille si colorano in blu dopo trattamento con iodio e acido solforico diluito
(«amiloide»)
— presentano eosinofilia alla colorazione convenzionale con ematossilina-eosina
— appaiono verdi e birifrangenti a luce polarizzata, dopo trattamento con rosso Congo;
la sensibilità del metodo può essere aumentata con l’impiego di tecniche immunoistochimiche
— al M.E. appaiono costituite da un intreccio di fibrille prive di ramificazioni a struttura secondaria omogenea e da una componente non fibrillare (componente P = serum amyloid P) che è comune a tutti i tipi di amiloide sistemici e localizzati
— all’indagine cristallografica e spettroscopica hanno una struttura di tipo β a foglio
pieghettato
— sono costituite da diversi tipi di proteine (vedi sotto).
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Anatomia patologica: organi colpiti ingrossati e induriti, con aspetto lardaceo (in particolare fegato e milza). A seconda della localizzazione dei depositi di amiloide nella milza si parla anche di milza a sagù (amiloidosi focale dei follicoli) oppure di milza a prosciutto (amiloidosi diffusa della polpa rossa splenica).
Classificazione
A seconda delle proteine precursori e dei depositi fibrillari si riconoscono i seguenti tipi di amiloidosi:
Tipo
Composizione
delle fibrille
Proteine precursori
AL
catene leggere di
immunoglobuline monoclonali
catene leggere λ oppure κ
(rapporto λ:κ = 3:1)
ATTR (famigliare)
transtiretina
transtiretina abnorme
AA (secondaria)
proteina amiloide A
proteina amiloide A
A. Amiloidosi sistemica = generalizzata
La classificazione si basa sulla struttura biochimica delle fibrille amiloidosiche.
Queste fibrille derivano dalla polimerizzazione di precursori proteici specifici.
1. Amiloidosi correlata alle immunoglobuline (amiloidosi AL): le fibrille sono costituite da catene leggere di immunoglobuline monoclonali. L’amiloide è detta
AL. Gli organi preferenzialmente coinvolti sono i reni, il cuore, il sistema nervoso periferico, la lingua, il tratto gastro-enterico. Questa forma si manifesta in
corso di:
— gammopatie monoclonali maligne (plasmocitoma, malattia di Waldenström)
— gammopatia monoclonale benigna
— in assenza di malattie di base coinvolgenti la produzione delle immunoglobuline (in precedenza detta «amiloidosi primaria»)
2. Amiloidosi secondaria di tipo AA: le fibrille sono costituite dall’amiloide A
(AA); il precursore proteico è detto amiloide A sierica ed è una proteina di fase
acuta che viene sintetizzata nel fegato. Il frammento N-terminale si deposita come AA preferenzialmente nei reni, nel fegato, nella milza, nei surreni e nel tratto gastro-enterico. Questa forma si manifesta in corso di:
— malattie infettive croniche (osteomielite, tubercolosi, bronchiectasie, lebbra,
ecc.)
— malattie infiammatorie croniche da causa non infettiva (artrite reumatoide,
malattia di Bechterew, collagenopatie, colite ulcerosa, malattia di Crohn, ecc.)
— febbre mediterranea famigliare (FMF): malattia ereditaria autosomica recessiva, con puntate febbrili ricorrenti e ampia variabilità di manifestazioni cliniche. Nel singolo paziente il quadro è però tendenzialmente sempre lo stesso. La malattia è più frequente tra gli abitanti dell’area mediterranea, ebrei
sefarditi e armeni
— tumori maligni
3. Amiloidosi ereditaria = famigliare: gruppo eterogeneo di forme di amiloidosi sistemica a ereditarietà autosomica dominante, caratterizzate da proteine fibrillari
diverse, comprese sotto la dizione AH oppure AF. Si tratta solitamente di una
variante mutata di una proteina sierica fisiologica, ad es.:
— amiloidosi ATTR: è la più frequente. La TTR è una prealbumina legante la
tiroxina. Sono note più di 30 diverse mutazioni puntiformi con singola sostituzione aminoacidica. La TTR mutata porta a depositi di amiloide nei se-
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guenti organi: sistema nervoso periferico somatico (polineuropatia amiloidosica famigliare = FAP) e vegetativo, tratto gastro-enterico, occhi, cuore. Reni e fegato sono colpiti raramente e tardivamente. Questa forma è presente in
particolare in Portogallo, Giappone, Svezia e USA.
— amiloidosi correlata alla gelsolina: la gelsolina è una proteina modulante
l’actina che, come variante mutata, provoca un’amiloidosi in particolare a
carico di nervi periferici, nervi cranici, cornee, cute, reni e cuore. Questa forma è presente soprattutto in Finlandia.
4. Amiloidosi correlata alla β2-microglobulina: le fibrille derivano dalla β2-microglobulina intatta. Compare nei pazienti in emodialisi da anni. Sono colpiti i tendini (sindrome del tunnel carpale), le ossa e le cartilagini articolari (erosioni, cisti, artropatia destruente, spondiloartropatie).
B. Amiloidosi localizzata
In corso di:
— diabete mellito di tipo II: deposito di «islet amyloid polypeptide» (IAPP) a livello delle cellule β delle isole di Langerhans
— carcinoma midollare della tiroide: deposito di componenti della pre-calcitonina
sotto forma di amiloide a livello del tumore, delle metastasi e dei tessuti circostanti
— amiloidosi cardiaca senile: deposito di TTR nativa nel miocardio nelle persone
anziane
— malattia di Alzheimer: placche di Alzheimer nel cervello.
C. Amiloidosi cerebrale trasmissibile = amiloidosi trasmissibile tramite proteine prioniche
— malattia di Creutzfeld-Jacob (CJD)
— malattia di Gerstmann-Sträussler-Scheinker
— BSE (possibile trasmissione agli esseri umani; circa 20 casi di una nuova variante di CJD in Gran Bretagna).
Clinica
1. sintomi legati all’evtl. malattia di base
2. sintomi secondari al deposito di amiloide in vari organi. Tre localizzazioni clinicamente importanti: rene, cuore, sistema nervoso periferico.
• rene: proteinuria, sindrome nefrosica, insufficienza renale (soprattutto in caso di
amiloidosi AA e AL)
• cuore:
— in caso di amiloidosi AL: insufficienza cardiaca evolutiva a prognosi sfavorevole. Sono controindicati i calcioantagonisti, i betabloccanti e la digitale. Trattamento con diuretici ed evtl. ACE-inibitori
— in caso di amiloidosi ATTR: spesso malattia del nodo del seno e disturbi di
conduzione fino al blocco AV in caso di necessità impianto di pacemaker
• sistema nervoso periferico (amiloidasi ATTR e AL):
— polineuropatia sensitivo-motoria, atrofia muscolare neurogena, turbe trofiche
(in caso di amiloidosi ATTR le prime manifestazioni compaiono generalmente tra il 20º e il 40º anno d’età)
— neuropatia autonomica: gastroparesi, diarrea, stipsi, impotenza, disturbi neurogeni dello svuotamento vescicale, incontinenza, ipotensione ortostatica
• evtl. macroglossia, nel 20% delle amiloidosi AL
• evtl. epatomegalia nell’amiloidosi AL e AA, evtl. splenomegalia nell’amiloidosi
AA
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Diagnosi
— biopsia degli organi coinvolti, ad es. retto, rene, cute, miocardio, nervo surale e relative indagini istologiche; biopsia del tessuto adiposo sottocutaneo addominale. La
caratterizzazione del tipo di amiloide e l’analisi genetica sono importanti per la prognosi e la terapia!
— ricerca nel siero e nelle urine delle immunoglobuline monoclonali e delle catene
leggere
— ricerca nel siero della TTR mutata
— in caso di amiloidosi ATTR, anamnesi famigliare; in caso di amiloidosi AL, ricerca della malattia di base.
Terapia
— Causale: trattamento dell’evtl. malattia di base
— Sintomatica:
• in caso di FMF: terapia protratta con colchicina
• nell’amiloidosi ATTR: trapianto di fegato
• trattamento delle complicanze d’organo (insufficienza cardiaca, renale, ecc.).
Prognosi
Dipende dalla malattia di base e dall’interessamento d’organo. I pazienti con amiloidosi AL hanno la prognosi peggiore (tempo di sopravvivenza medio: 1-2 anni). Le amiloidosi ATTR hanno una spettanza di vita media di 10-15 anni dall’esordio delle manifestazioni.
MALATTIE DELLA MILZA
Peso normale della milza nell’adulto: 100-350 g. Abbastanza frequenti le milze accessorie
(10%, per lo più a livello del legamento gastrolienale). Lunghezza normale sino a 12 cm;
diametro trasverso normale circa 4 cm.
Splenomegalia = milza ingrossata; peso > 350 g.
Metodi di rilievo della splenomegalia:
1. palpazione e percussione
2. ecografia (molto sensibile e veloce), TC e RMN
3. metodi scintigrafici (es.: eritrociti marcati con Cr51).
1)
2)
3)
4)
5)
Ottusità splenica
Ottusità epatica
Spazio di Traube
Ottusità cardiaca
Suono polmonare
Timpanismo addominale
104
Paziente in decubito semi-laterale destro per la palpazione della milza; durante l’inspirazione, la milza tocca la mano. Perché non possa sfuggire una milza ingrossata, iniziare sempre la palpazione dall’addome inferiore!
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Diagnosi differenziale di una tumefazione in ipocondrio sinistro:
• splenomegalia (ecografia)
• nefromegalia (ecografia)
• tumore del colon (radiologia ed endoscopia)
• tumore pancreatico oppure cisti della coda del pancreas (ecografia, TC, ERCP)
• lobo sinistro del fegato ingrossato (ecografia).
Diagnosi differenziale di splenomegalia e/o linfoadenomegalie
Elementi utili per la diagnosi:
1) ipertensione portale
ispezione, tempo di Quick,
dimostrazione di varici esofagee
reticolociti bilirubina indiretta nel siero , HBDH quadro ematologico caratteristico,
fosfatasi alcalina leucocitaria
anamnesi (spesso malattia ereditaria), biopsia
2) anemie emolitiche
3) malattie mieloproliferative
4) tesaurismosi
SPLENOMEGALIA
LINFOADENOMEGALIE
1)
1)
1)
1)
1)
2)
2)
3)
malattie infettive:
es. EBV, HIV,
toxoplasmosi,
rosolia, endocardite
batterica
AR giovanile,
S. di Felty
leucemie
4) linfomi maligni
iperpiressia, emocoltura,
sierologia, virologia
presenza di auto-anticorpi
quadro ematologico,
esame del midollo osseo
agobiopsia
1) infezioni locali
ricerca della via d’ingresso
2) metastasi
ricerca del tumore primitivo, biopsia
IPERSPLENISMO
Definizione: pancitopenia oppure granulocitopenia e/o trombocitopenia con midollo osseo
iperplastico nella splenomegalia da diversa genesi.
Eziologia: malattie che comportano splenomegalia.
Patogenesi: «pooling» (sequestro) di emazie, globuli bianchi e piastrine in una milza aumentata di volume.
Nota: mentre nell’ipersplenismo la pancitopenia è causata da aumentato sequestro splenico,
nella sindrome aplastica consegue a deficit di produzione da parte del midollo aplastico.
Diagnosi
1. triade: splenogemalia + citopenia + iperplasia del midollo osseo
2. esclusione di altre cause di citopenia
3. esame scintigrafico: quantificazione del tempo di sopravvivenza e sequestro degli
eritrociti: dopo somministrazione di emazie marcate con 51Cr, si valuta la radioattività a livello di fegato e milza. Tipico dell’ipersplenismo è l’aumento della clearan-
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ce delle emazie dal torrente circolatorio con aumentato sequestro delle stesse da
parte della milza. Inoltre si può valutare se gli eritrociti vengono distrutti prevalentemente nel fegato o nella milza.
Terapia
1. trattamento della malattia di base che causa splenomegalia
2. splenectomia esclusivamente nelle mono-, bi- o pancitopenie clinicamente significative, a condizione che l’indagine scintigrafica abbia documentato che la milza è effettivamente sede dell’emocateresi; e che la milza non sia sede di ematopoiesi extra-midollare.
ASPLENISMO
Definizione: mancanza anatomica o funzionale della milza.
Eziologia: causa più frequente (> 95%) è l’asplenia anatomica da splenectomia. Possono
verificarsi asplenie funzionali in corso di anemia falciforme, malattie autoimmuni
(LES) e dopo irradiazione splenica. La milza è l’unico organo che può rimuovere dal
torrente circolatorio particolari elementi (cellule ematiche invecchiate, batteri capsulati,
ecc.).
Conseguenze dell’asplenismo
— piastrinosi post-chirurgica transitoria, spesso > 1 × 106/µl, con pericolo di trombosi
— linfocitosi post-chirurgica (linfociti B)
— comparsa di corpi intra-eritrocitari di Howell-Jolly. La loro assenza dopo splenectomia depone per l’esistenza di una o più milze accessorie
— ridotta sintesi di IgG e IgM
— ridotta funzionalità del sistema monocito-macrofagico
— deficit della funzione filtrante nei confronti di batteri, in particolare batteri capsulati (pneumococchi, Haemophilus influenzae B), con aumento del rischio di sepsi per
tutta la durata della vita.
La forma più grave è l’OPSI (overwhelming post-splenectomy syndrome): sepsi
acuta generalmente da pneumococco, con coagulazione intravasale disseminata
(DIC) ed elevato tasso di mortalità (> 50%).
Profilassi anti-infettiva
— vaccinazione pre-splenectomia contro lo pneumococco e l’Haemophilus influenzae B
— «tesserino» personale che, in caso d’emergenza, segnali l’assenza di milza
— profilassi antibiotica in caso di interventi/manovre strumentali sul cavo orale
— somministrazione precoce di antibiotici in caso di febbre e brividi, con evtl. indicazione di antibiotici per autosomministrazione in caso di necessità.
ROTTURA DI MILZA
Definizione: lacerazione acuta contemporaneamente della capsula e del parenchima splenico con immediato emoperitoneo.
Rottura della milza in due tempi: inizialmente rottura del parenchima e solo successivamente, dopo una latenza da ore a settimane, lacerazione della capsula con emoperitoneo.
Eziologia: la causa più frequente è un trauma contusivo dell’addome. In caso di splenomegalia da altra causa può essere sufficiente un trauma minimo.
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Diagnosi
1. anamnesi del trauma ed eventuali segni contusivi dell’ipocondrio sinistro, talvolta
fratture costali sinistre (20%)
2. comparsa di shock emorragico (ipovolemico): polso tachicardico, Hb e Ht (in
caso di rottura in due tempi, solo dopo il tempo di latenza)
3. eventuale dolore gravativo in ipocondrio sinistro o dolori al fianco sinistro, raramente dolore alla spalla sinistra
4. ecografia/TC (metodi di scelta).
Terapia
1. ripristino della volemia/trasfusione di sangue
2. tentativo di un intervento conservativo (in particolare nei bambini), altrimenti resezione parziale della milza o splenectomia (conseguenze e consigli terapeutici: vedi
cap. Asplenismo).
DIATESI EMORRAGICHE
Definizione: per diatesi emorragica si intende la predisposizione di un soggetto a sanguinare:
— per tempi troppo lunghi
— o troppo copiosamente
— o senza causa adeguata.
Le diatesi emorragiche sono causate da disturbi a carico di:
1) vasi: angiopatie
2) piastrine: piastrinopenie e/o piastrinopatie
3) fattori plasmatici: coagulopatie
Epidemiologia: i due terzi di tutte le diatesi emorragiche riconoscono come causa disturbi
quantitativi e/o qualitativi delle piastrine; comprendendo anche i casi «misti» in cui le
piastrine sono solo una parte del momento patogenetico, si raggiunge una percentuale
oltre l’80%.
Fisiologia dell’emostasi
A. Emostasi primaria:
vasocostrizione e formazione del trombo piastrinico (trombo bianco): la lesione della
parete vasale con esposizione del collagene porta alla liberazione di ADP, che a sua
volta determina aggregazione delle piastrine; a questo livello è indispensabile il fattore di von Willebrand. Dai fosfolipidi della membrana piastrinica viene liberato l’acido arachidonico e dall’endoperossido si formano due sostanze antagoniste fra loro:
— trombossano A2 (dalle piastrine) che determina aggregazione delle piastrine e vasocostrizione
— prostaciclina (dalle cellule endoteliali) che determina inibizione dell’aggregazione piastrinica e vasodilatazione.
Nota: l’acido acetilsalicilico inibisce la formazione di trombossano A2 (attraverso
l’inibizione della cicloossigenasi).
B. Emostasi secondaria:
attivazione della reazione a cascata della coagulazione, fissazione del trombo piastrinico con fibrina, inclusione di varie emazie nello stesso: formazione del trombo rosso.
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La coagulazione si svolge schematicamente in tre fasi:
1.
produzione dell’attivatore della protrombina
2.
produzione di trombina
3.
polimerizzazione della fibrina
Anche la fibrinolisi decorre in tre fasi:
1.
produzione di attivatori del plasminogeno
2.
produzione di plasmina
3.
distruzione della fibrina
Anche all’interno del vaso intatto viene in continuazione prodotta fibrina in piccolissime
quantità. Questa produzione è in equilibrio col sistema fibrinolitico che immediatamente
scioglie questa fibrina. L’equilibrio tra coagulazione e fibrinolisi è determinato dagli attivatori e dagli inibitori specifici dei due sistemi.
Attivatori
Inibitori
Attivatori
Coagulazione
Inibitori
Fibrinolisi
Un sistema emostatico (vasi, piastrine e fattori plasmatici) intatto protegge l’organismo da
emorragie e trombosi.
Attivatori del sistema della coagulazione
sistema intrinseco
sistema estrinseco
XII — XI — IX — VIII
X
VII
V
Coagulazione lenta,
valutazione col tempo
di tromboplastina
parziale (PTT)
Normale: 20-35 sec.
Attivatore
protrombina
Protrombina (II)
Coagulazione rapida,
valutabile con il tempo
di protrombina (PT)
= tempo di Quick =
attività protrombinica.
Normale > 70%
Trombina
Fibrinogeno (I)
XIII = Fattore stabilizzante
XIII = la fibrina
Fibrina solubile
Fibrina stabilizzata
Nota: i fattori attivati vengono indicati dall’aggiunta della lettera «a».
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1. Sistema intrinseco: cascata della coagulazione a lento svolgimento che inizia con
l’attivazione per contatto del fattore XII e della quale fa parte il fattore piastrinico
3 (= fosfolipide). Al termine della cascata della coagulazione vi è l’attivazione della protrombina a trombina. La trombina provoca la trasformazione del fibrinogeno
in fibrina scindendo i peptidi della fibrina A e B.
2. Sistema estrinseco: rapida coagulazione che viene attivata dalla tromboplastina tissutale in caso di lesioni.
Il tempo di protrombina (PT) viene espresso in attività percentuale di Quick. Nei pazienti in terapia anticoagulante orale i valori di attività di Quick non sono però confrontabili per la mancanza di standardizzazione nei diversi laboratori. Si ricorre pertanto all’INR (international normalized ratio) che è standardizzato:
INR =
[
]
Tempo di protrombina del paziente
ISI
Tempo di protrombina del controllo
ISI = international sensitivity index del reagente tromboplastinico utilizzato.
La determinazione del PTT non è standardizzata. È necessario considerare i valori di riferimento del singolo laboratorio.
Inibitori della coagulazione
1. Antitrombina III (AT III): si complessa con molti fattori della coagulazione e attraverso la formazione di un complesso trombina-antitrombina III (TAT) inibisce l’eccessiva attivazione trombinica.
Nota: nel deficit di antitrombina III vi è un’aumentata tendenza alla trombosi (trombofilia). In tal caso è necessaria la terapia sostitutiva con AT III.
Cause di un deficit di AT III:
— congenito; 2 tipi: mancanza di AT III oppure molecole di AT III anomala; si
manifesta nello 0,5‰ della popolazione; ereditarietà autosomica dominante
— acquisito:
• sintesi diminuita (cirrosi epatica, trattamento con contraccettivi orali)
• aumentato consumo (coagulopatia da consumo)
• aumentata perdita (sindrome nefrosica, enteropatia essudativa).
2. Proteina C ed S sono vitamina K-dipendenti e sono inibitori della coagulazione.
Effetti: la proteina C viene trasformata dalla trombina in proteina C/a.
Questa distrugge i fattori Va e VIIIa; inoltre induce la liberazione di attivatore del
plasminogeno tissutale (t-PA). Gli effetti della proteina C si amplificano tramite la
formazione di un complesso con la proteina S.
Il deficit di proteina C e/o di proteina S comporta aumentati rischi di trombosi.
Cause di un deficit di proteina C o S:
— congenito
— acquisito: ad es. terapia con antagonisti della vit. K (dicumarolici), forma autoimmune (ad es. LES), in caso di infezioni gravi.
Nota: per ulteriori cause di aumentata tendenza alla trombosi vedi il cap. Trombofilia.
3. L’eparina inibisce indirettamente la produzione di trombina attivando l’antitrombina III fisiologica. Di conseguenza, in condizioni di deficit di antitrombina III l’effetto dell’eparina è diminuito.
Antieparinici: solfato di protamina (10 mg di solfato di protamina neutralizzano
1.000 UI di eparina non frazionata. Attenzione al sovradosaggio, perché dosi eccessive di protamina inibiscono la polimerizzazione della fibrina).
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4. L’irudina (principio attivo della sanguisuga) è un inibitore diretto della trombina ed
è perciò efficace anche in mancanza di antitrombina III; T50 = 1-2 ore. Sono disponibili la lepirudina e la desirudina. Indicazione: piastrinopenia indotta da eparina di
tipo II. Non vi sono antidoti.
5. I dicumarolici (ad es. acenocumarolo, fenprocumone) sono antagonisti della vitamina K. La vitamina K è un cofattore nella γ-carbossilazione dei fattori del complesso protrombinico (= fattori II, VII, IX, X) e delle proteine C ed S. In caso di carenza di vitamina K il fegato produce pro-fattori della coagulazione non funzionanti, nei quali manca la carbossilazione in posizione γ dei residui di acido glutammico.
Attivatori della fibrinolisi
1. streptochinasi: forma con il plasminogeno un complesso attivatore mediante il quale il plasminogeno viene attivato in plasmina
2. eminasi = APSAC: anisoilderivato del complesso attivatore di plasminogeno-streptochinasi. Il plasminogeno viene mascherato tramite il gruppo anisoile e pertanto
protetto da una troppo precoce inattivazione (dagli inibitori) raggiungendo così in
alta concentrazione il trombo
3. pro-urochinasi (= scu-PA) ed urochinasi: attivano il plasminogeno direttamente in
plasmina
4. tPA = tissue-type plasminogen activator = attivatore del plasminogeno tissutale:
tPA attiva prevalentemente il plasminogeno legato alla fibrina ottenendo pertanto
una fibrinolisi locale
5. composti di tPA modificato, a lunga emivita, ottenuti tramite tecniche di ingegneria
genetica:
— rPA = reteplase
— nPA = lanoplase
emivita
antigenicità
streptochinasi
APSAC
tPA
rPA
nPA
scu-PA
urochinasi
30 min.
si
90 min.
si
6 min.
—
18 min.
—
30 min.
—
7 min.
—
5 min.
—
Inibitori del sistema fibrinolitico
1. sostanze fisiologiche: α2-antiplasmina, inibitore dell’attivatore della plasmina
2. sostanze farmacologiche: aprotinina, acido tranexamico (AMCHA), acido p-aminometilbenzoico (PAMBA).
Indicazioni: iperfibrinolisi primitiva, antidoto nelle emorragie in corso di terapia con fibrinolitici.
Controindicazioni: insufficienza renale, gravidanza, trombofilia, DIC.
Clinica delle diatesi emorragiche
Tipi preferenziali di emorragie nelle diverse forme di diatesi emorragiche:
— coagulopatie: emartro, ematomi, aree emorragiche larghe con bordi netti, emorragie
muscolari;
— sanguinamenti a genesi piastrinica o vascolare: piccole emorragie multiple (es.: petecchie, porpora).
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— disturbi associati dell’emostasi, ad es.:
• coagulopatia da consumo (DIC)
• sindrome di von Willebrand-Jürgens
Tipo di sanguinamento: emorragie a petecchie, emorragie larghe con bordi sfumati.
Nota: nelle diatesi emorragiche sono importanti l’anamnesi e la valutazione del tipo di
sanguinamento!
Diagnosi
1. anamnesi + clinica (tipo di sanguinamento!)
2. test della coagulazione:
— conta piastrinica ( trombocitopenia?)
— tempo di sanguinamento ( alterazioni vascolari e/o piastrinopatia?)
— tempo di Quick, PTT, fibrinogeno (coagulopatia?)
3. eventuali ricerche mirate ai fattori della coagulazione.
Terapia
Principali terapie sostitutive in caso di deficit dell’emostasi
Piastrine
Emivita biologica
in giorni (senza
event. anticorpi)
ca. 4
Terapia sostitutiva
con:
concentrati
di piastrine
Complesso
protrombinico
(fattori II, VII, IX, X)
II = 2-3
VII = 1/4
IX = 1
X = 1-2
PPSB =
fattori II + VII +
IX + X
Fibrinogeno
(fattore I)
Globulina
antiemofilica
(fattore VIII)
Fattore IX
4-5
1/4 - 1/2
1
fibrinogeno
concentrati
fattore VIII
concentrati
fattore IX
Classificazione dei disturbi della coagulazione
A. Coagulopatie da deficit di fattori della coagulazione:
1. congenite: emofilia e sindrome di von Willebrand rappresentano il 95% di tutti i casi di coagulopatia congenita;
2. acquisite: la maggior parte dei fattori del sistema della coagulazione e di quello fibrinolitico viene sintetizzata nel fegato.
La sintesi dei seguenti fattori è vitamina K-dipendente:
— fattore II, VII, IX e X (cosiddetto complesso protrombinico)
— proteina C e proteina S.
La vitamina K è una vitamina liposolubile di origine alimentare (= K1) o formata
dalla flora intestinale (= K2).
Le cause di una diminuzione dei fattori della coagulazione vitamina K-dipendenti sono:
1. disturbo di sintesi a livello epatico: neonati, epatopatie
2. deficit di vitamina K:
— sindrome da malassorbimento
— distruzione della flora intestinale da antibiotici
— ittero ostruttivo con deficit dell’assorbimento dei lipidi in seguito a mancanza di
sali biliari
3. terapia o intossicazione con antagonisti della vitamina K (dicumarolici). In tali casi
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di deficit di vitamina K il fegato sintetizza i primi metaboliti dei fattori della coagulazione, nei quali manca la γ-carbossilazione delle catene glutamminiche laterali.
B. Immunocoagulopatie
1. da iso-anticorpi contro il fattore VIII o IX conseguenti a terapia sostitutiva di tali
fattori (emofilia da inibitori)
2. formazione di auto-anticorpi diretti contro i fattori di coagulazione in corso di affezioni immunologiche (ad es. LES).
C. Coagulopatie da consumo
D. Iperfibrinolisi
1. iperfibrinolisi locale: in caso di interventi su organi riccamente vascolarizzati, come
utero, polmoni, prostata
2. iperfibrinolisi sistemica:
— da carenza congenita di α2-antiplasmina
— come conseguenza della terapia fibrinolitica (streptochinasi, urochinasi)
— iperfibrinolisi reattiva in caso di coagulazione intravasale disseminata (DIC).
EMOFILIA
Epidemiologia: è la coagulopatia ereditaria più frequente.
Prevalenza 1:10.000 neonati, quasi sempre maschi.
Emofilia A: 85% dei casi.
Emofilia B: 15% dei casi.
Eziologia
• Emofilia A:
Forma più grave, emofilia classica.
Cause: l’eziopatogenesi riconosce 2 tipi di deficit:
1. emofilia A–: assenza del fattore VIII:C (90% dei casi).
2. emofilia A+: inattività del fattore VIII:C (10% dei casi).
• Emofilia B:
Assenza o inattività del fattore IX = Christmas factor.
Fisiopatologia
Il fattore VIII consta di 2 subunità funzionali
1. globulina antiemofilica:
fattore VIII:C (viene codificato dal cromosoma X)
2. fattore di von Willebrand:
fattore vW (viene codificato da un cromosoma autosomico).
Il f. VIII:C è sintetizzato nelle cellule endoteliali epatiche e nei megacariociti. Il f.
VIII:C è necessario per la coagulazione plasmatica (attivazione del f. X); il f. vW protegge il f. VIII:C dal catabolismo proteolitico e funge da proteina «carrier», inoltre il f.
vW partecipa all’emostasi primaria (fissazione di trombociti al collageno libero).
Genetica
Nei 2/3 ca. dei casi si tratta di un disturbo ereditario a trasmissione recessiva legata al
cromosoma X (anamnesi familiare positiva); gli altri casi sembrano essere affezioni
sporadiche determinate da mutazioni spontanee a carico del cromosoma X.
Dato che il fattore VIII è codificato da geni contenuti nel cromosoma X, la donna (XX)
dovrebbe avere in teoria una doppia quantità di tale fattore; tuttavia, i livelli ematici so-
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no pari a quelli riscontrati nell’uomo sano, in quanto un cromosoma X (secondo l’ipotesi di Lyons) viene inattivato durante lo sviluppo embrionale.
• Tutte le figlie di un emofilico sono portatrici sane (ricevono dal padre il cromosoma
X malato)
• tutti i figli maschi di un emofilico e di una donna sana sono sani (ricevono dalla madre il cromosoma X sano)
• una portatrice sana trasmette ai figli con una probabilità del 50% il suo cromosoma
X malato.
Un maschio emofilico è geneticamente malato; uno non emofilico, è sano a livello genetico. Una donna non emofilica, geneticamente può essere sana o malata: una portatrice sana eterozigote con un cromosoma X alterato ha in media il 50% di attività del
f. VIII; tale valore ha però elevate oscillazioni in più o in meno.
Talvolta le portatrici sane possono avere una discreta tendenza al sanguinamento (durante il mestruo, dopo un intervento, il parto ecc.), qualora l’attività del fattore VIII sia
ridotta (largo spettro di dispersione nel caso di portatrici).
Nota: quando una portatrice sanguina, si possono avere le seguenti diagnosi differenziale molto rare:
1. stato di omozigosi: (emofiliche reali): bambine nate da madre portatrice sana e padre emofilico;
2. donne con genotipo maschile e fenotipo femminile;
3. donne con anticorpi anti-fattori della coagulazione, ad es. dopo la gravidanza.
Clinica
— emorragie del cordone ombelicale
— emorragie estese (non petecchie)
— emorragie muscolari
— emorragie articolari con artropatia (specialmente a livello del ginocchio).
Molto pericolose sono le emorragie a livello del cavo orale, perché comportano il rischio di asfissia. I sanguinamenti all’interno del muscolo psoas, provocano spesso un risentimento di tutto l’arto inferiore (diagnosi differenziale: appendicite!). Nelle forme
leggere il quadro clinico è caratterizzato solo da sanguinamenti prolungati, ad esempio
dopo eventi chirurgici, estrazioni dentarie, emorragie uterine o epistassi.
Le emorragie di maggiore entità sono accompagnate da segni di infiammazione (VES
, leucocitosi, febbre).
Nota: il tempo di sanguinamento è normale, mentre è tipico il reperto di un tempo di
coagulazione prolungato.
Diagnosi differenziale
— sindrome di von Willebrand (combinazione di un quadro emorragico emofilico e
petecchiale)
— emorragie dovute a carenza ereditaria di altri fattori della coagulazione.
Queste forme sono 20 volte più rare.
Diagnosi
1. anamnesi familiare positiva (2/3 dei casi)
(le trombocitopatie ereditarie sono molto rare, le affezioni emorragiche da cause vascolari sono praticamente limitate al morbo di Osler)
2. tipo di emorragie (vedi sopra)
3. laboratorio: tempo di sanguinamento normale (al contrario della sindrome di von
Willebrand), PTT allungato. Valore di Quick normale;
per distinguere tra emofilia A e B: determinazione dei fattori VIII e IX.
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Livelli di gravità dell’emofilia
Denominazione
Normale
Subemofilia
Emofilia lieve
Emofilia di media gravità
Emofilia grave
Concentrazione dei
fattori (%)
> 75
16 - 50
5 - 15
2 - 4
≤ 1
Clinica
quasi sempre asintomatica
ematomi dopo trauma evidente
sanguinamento protratto dopo interventi
ematomi già dopo trauma lieve
emorragie spontanee
sempre emartrosi
Terapia
1. Prevenzione dei sanguinamenti a livello articolare (ginocchio specialmente), per
evitare la comparsa tardiva di artrosi e di anchilosi
— non somministrare mai farmaci che inibiscono l’aggregazione piastrinica (ad es.:
acido acetilsalicilico)
— non eseguire iniezioni intramuscolari.
2. Scrupolosa emostasi locale (suture accurate, compressioni, uso di anti-fibrinolitici,
ecc.).
3. Terapia sostitutiva dei fattori della coagulazione:
sono disponibili preparati altamente purificati e trattati per inattivazione virale, e anche preparati ricombinanti:
— nell’emofilia lieve, terapia sostitutiva in caso di necessità.
— nell’emofilia grave, terapia di mantenimento: nei pazienti con emofilia grave
che presentano frequenti emorragie il f. VIII viene somministrato regolarmente
così da mantenere una concentrazione minima di 1 UI/dl = 1%.
Pazienti che accusano raramente emorragie saranno sottoposti a terapia sostitutiva
solo in caso di necessità (emorragie spontanee o prima di interventi); il modo ideale è costituito dall’automedicazione a casa. Entità e durata della terapia sostitutiva
dipendono dall’intervento o dall’emorragia; gravi sanguinamenti intraarticolari, interventi maggiori ed emorragie intracraniche richiedono un aumento di attività del f.
VIII al 70-100%.
Dosaggio: 1 UI di concentrato di f. VIII corrisponde all’attività di 1 ml di plasma
normale (con attività 100%). Poiché si calcolano 40 ml di plasma per kg di peso
corporeo, la dose consigliata (espressa in UI) deriva dalla formula: peso in kg × 40
× incremento desiderato dell’attività (UI/ml). Ad esempio: paziente di 60 kg di peso; incremento desiderato d’attività 50% (= 0,5 UI/ml); dose da somministrare = 60
× 40 × 0,5 = 1200 UI. Si deve sempre tener conto di una certa perdita di attività: la
dose va corretta per eccesso.
• Emofilia A: somministrazione di f. VIII. Essendo l’emivita del f. VIII di 10-15 h, per
mantenerne l’attività, bisognerebbe somministrare ogni 4-12 h la metà della dose iniziale.
• Emofilia B: somministrazione di f. IX Essendo l’emivita del f. IX di 20-24 h, per
mantenerne l’attività, è sufficiente la metà della dose iniziale ogni 12-24 h.
• Desmopressina = DDAVP: con emofilia A lieve è spesso sufficiente, in caso di aumentato rischio emorragico, somministrare l’analogo della vasopressina DDAVP che
comporta la liberazione dei fattori VIII:C e vW immagazzinati nell’endotelio, la cui
attività aumenta di 2-4 volte rispetto al valore iniziale entro 1-2 h. DDAVP può essere somministrato ogni volta solo per pochi giorni, in quanto determina l’esaurimento dei fattori immagazzinati.
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Dosaggio: 0,3 µg/kg di peso corporeo e.v. oppure s.c., da ripetere dopo 12 ore. Per
l’automedicazione a casa si utilizza lo spray nasale ad alta dose.
Problemi terapeutici:
• Induzione di formazione di anticorpi IgG contro il fattore VIII (sino al 30% dei pazienti) sviluppo di una cosiddetta «Emofilia da inibitori».
Diagnosi: la presenza di anticorpi anti-fattore VIII (ad attività inibitoria) nel plasma
del paziente è indicata dalla mancata normalizzazione del PTT quando si misceli il
plasma del paziente con plasma di un soggetto sano.
Terapia di prima scelta: induzione di tolleranza immunologica mediante somministrazione di alte dosi di f. VIII.
Terapia di riserva: immunosoppressori, plasmaferesi, immunoadsorbimento.
Opzioni terapeutiche in caso di emorragia acuta:
– somministrazione di concentrati di complesso protrombinico attivato (aPCC, FEIBA)
– f. VIII:C di origine suina
– preparati di f. VIII ricombinante
– trattamento con immunoglobuline ad alta dose per via venosa.
• Rischio di infezione
In passato, molti pazienti emofilici venivano infettati, tramite preparati di f. VIII ed
emotrasfusioni, da HBV, HCV, HIV. Il rischio di trasmettere virus patogeni (HIV,
HSV, EBV, CMV, HBV, HCV) sembra non esistere con concentrati di fattori altamente purificati e trattati per inattivare i virus, ed è escluso dall’uso di preparati ricombinanti. Il rischio esiste tuttavia con trasfusioni di sangue e per questo motivo è
necessario immunizzare tutti i pazienti contro la epatite B.
In fase di studio: cura dell’emofilia tramite terapia genica somatica (transfezione del
gene del fattore VIII o IX).
MALATTIA DI VON WILLEBRAND
Epidemiologia: prevalenza 1%; è la più frequente alterazione congenita delle coagulazione.
Rispetto all’emofilia i pazienti hanno una minore tendenza ad emorragie spontanee. I
soggetti omozigoti sono rari ma presentano un decorso grave.
Eziologia
1. congenita, di 3 tipi:
— tipo I (70%): fattori vW e VIII:C diminuiti; ereditarietà autosomica dominante
— tipo II: difetto strutturale e funzionale del f. vW per la mancanza di multimeri;
i fattori vW e VIII:C possono essere diminuiti o normali. Nel sottotipo IIB il
fattore vW difettoso presenta un’elevata affinità per il recettore piastrinico glicoproteico Ib. Ereditarietà autosomica dominante.
— tipo III: sindrome di von Willebrand grave: f. vW assente, f. VIII:C fortemente
ridotto; ereditarietà autosomica recessiva.
2. acquisita, nell’ambito di altre malattie di base, ad es. gammopatia monoclonale,
linfomi maligni, malattie autoimmuni, ecc.
Patogenesi: il f. vW ha un ruolo decisivo nell’emostasi primaria: in sede di lesione vasale
induce l’adesione e l’aggregazione delle piastrine la carenza di f. vW altera la capacità di adesione piastrinica.
Essendo il f. vW anche la proteina di trasporto del f. VIII, compare anche una riduzione dell’attività del f. VIII:C alterazione della coagulazione.
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Clinica: la maggioranza dei pazienti non ha manifestazioni emorragiche, o le ha solo lievi;
combinazione di due alterazioni: di tipo emofilico + presenza di petecchie; tipiche sono le emorragie mucose.
Diagnosi: anamnesi familiare positiva + clinica.
Allungamento del tempo di sanguinamento da alterata funzione piastrinica (normale
nell’emofilia).
Fattore vW ridotto o funzionamento difettoso.
Anche il f. VIII:C è secondariamente diminuito (sempre nei tipi I e III, facoltativamente nel tipo II).
Terapia
Accurata emostasi locale. Vietato l’uso di ASA! In caso di emorragie lievi è sufficiente la somministrazione di desmopressina (= DDAVP) (per il dosaggio vedi cap. Emofilia). La desmopressina è controindicata nel tipo II B (peggioramento dell’aggregabilità
piastrinica); in caso di emorragie gravi o potenzialmente letali somministrare invece
concentrati del fattore VIII/vW trattati per inattivare i virus.
Nota: i preparati contenenti estrogeni possono far aumentare, nelle donne con sindrome
di von Willebrand, la sintesi del f. vW da parte delle cellule endoteliali.
COAGULAZIONE INTRAVASALE DISSEMINATA (DIC) E COAGULOPATIA DA
CONSUMO
Definizione: patologie diverse possono condizionare un’attivazione intravasale del sistema
della coagulazione, con formazione di microtrombi disseminati a livello delle più fini
ramificazioni vascolari. Può verificarsi una diatesi emorragica (coagulopatia da consumo) dovuta al consumo di fattori della coagulazione (in pratica fibrinogeno, fattore V,
fattore VIII) e delle piastrine.
Di regola si osserva un’iperfibrinolisi secondaria (con ulteriore inattivazione del fibrinogeno e degli altri fattori della coagulazione).
Fisiopatologia
Eparina
Causa scatenante che porta ad
attivazione della coagulazione
Consumo fattori
coagulazione e loro
antagonista AT III
Iperfibrinolisi
reattiva
Latenza formazione
fibrina
Proteolisi dei fattori
della coagulazione
Emorragie
ev. shock
Trombi multipli di fibrina
(reni, polmoni, ecc.)
Disturbi della microcircolazione
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Reni:
necrosi corticale bilaterale,
insufficienza renale
Polmoni: polmone da shock (ARDS)
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Eziologia
1. Immissione di attivatori della protrombina in circolo:
— complicanze durante il parto: embolia amniotica, distacco precoce della placenta, atonia con emorragia post-partum, aborto settico, ritenzione di feto morto,
aborto da NaCl, ecc.;
— interventi su organi ricchi di trombochinasi (polmoni, pancreas, prostata). (Regola delle «4P» per gli organi ricchi di attivatori: polmone, pancreas, prostata,
placenta)
— emolisi grave: errori trasfusionali, crisi emolitica
— veleni di serpenti
— stati neoplastici terminali, leucemia promielocitica acuta.
2. Attivazione indiretta della coagulazione tramite mediatori (ad es. tossine batteriche).
Esperimenti su animali hanno dimostrato che l’iniezione e.v. ripetuta due volte di
endotossine di batteri gram-negativi (in animali con sistema reticoloistiocitario bloccato o in animali gravidi è sufficiente una sola iniezione), porta entro 24 ore a coagulopatia da consumo (fenomeno di Sanarelli-Shwartzman generalizzato). Quadri patologici patogeneticamente simili sono:
— sindrome di Waterhouse-Friderichsen = coagulopatia da consumo con emorragie
cutanee, shock, rigidità nucale ed emorragie surrenali nella sepsi meningococcica; senza trattamento exitus in breve tempo! terapia: penicillina G e.v. ad alte dosi
— coagulopatia da consumo nella setticemia da batteri gram-negativi (rara)
— porpora fulminante: affezione acuta, con microtrombosi vasale post-infettiva;
emorragie cutanee estese e simmetriche della cute con necrosi centrale e DIC.
3. Attivazione del sistema endogeno:
— da contatto con superfici extra-corporee (circolazione extracorporea)
— da disturbi della micro-circolazione in corso di shock (durante lo shock, oltre al
suddetto disturbo, è diminuita la «clearance» da parte del SRE di sostanze procoagulanti).
Nota: ogni shock grave può portare a una DIC, e ogni DIC acuta può portare allo
shock!
Decorso della DIC
A. DIC acuta: si distinguono 3 fasi:
1. fase pre-DIC: in presenza di malattie a rischio (= che predispongono alla DIC),
senza alterazioni di laboratorio suggestive di DIC
2. DIC conclamata: tipiche alterazioni di laboratorio e diatesi emorragica
3. fase post-DIC: ipercoagulabilità reattiva dopo il superamento della DIC manifesta; normalizzazione delle alterazioni di laboratorio della DIC, monomeri di fibrina non più rilevabili.
B. DIC cronica (tumori maligni)
Nota: la DIC cronica osservabile nei tumori può portare sia a trombosi (stadio dell’ipercoagulabilità) sia a emorragie (consumo di fattori già alterati).
Clinica
1. anamnesi/clinica delle malattie predisponenti la DIC
2. diatesi emorragica con o senza sintomi da sanguinamento.
Complicanze
Shock, insufficienza renale acuta e polmone da shok (ARDS).
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Diagnosi differenziale
DIC con
fibrinolisi secondaria
DIC
Iperfibrinolisi
primitiva
Piastrine
normali
PTT
T. di Quick
normale/
AT III
normale
Fibrinogeno
Monomeri di fibrina
Prodotti di degradazione
del fibrinogeno/fibrina
assenti
presenti
assenti
presenti
assenti
Nota: per azione della trombina il fibrinogeno, dal quale viene scisso il fibrinopeptide A,
si trasforma in monomeri di fibrina. La dimostrazione di monomeri di fibrina e di fibrinopeptide A documenta la presenza di coagulazione intravasale.
La dimostrazione dei prodotti di degradazione del fibrinogeno/fibrina (ad es. D-dimero) documenta la iperfibrinolisi reattiva.
La gravità della DIC viene misurata dall’entità del calo di fibrinogeno, AT III e piastrine
(coagulopatia «da consumo»).
Nota: nella iperfibrinolisi primitiva (rara, ad es. in corso di carcinoma della prostata) la
conta piastrinica e il livello di AT III sono normali, i monomeri di fibrina non sono rilevabili e il coagulo normale si scioglie dopo qualche tempo.
Diagnosi
1. In presenza di malattie che possono comportare DIC, controllare sempre i diversi
parametri della coagulazione.
2. Laboratorio in caso di DIC acuta:
— trombocitopenia (il parametro più sensibile)
— fibrinogeno e AT III diminuiti
Nota: il fibrinogeno è di regola elevato durante gravidanza, infezioni e tumori
(VES elevata) cosicché i valori normali possono già costituire un segno patologico!
— dimostrazione di monomeri di fibrina
— dosaggio dei prodotti di degradazione del fibrinogeno/fibrina, ad es., D-dimero
nella iperfibrinolisi secondaria
— T. Quick diminuito, PTT aumentato (consumo del fattore V e VIII).
Terapia
A. Trattamento della malattia di base (è il più importante!).
B. Trattamento sintomatico:
che dipende dallo stadio della DIC
1. pre-DIC: eparina: prevenzione della DIC e delle complicanze tromboemboliche;
dosaggio: 500 UI/ora e.v.; in caso di tendenza al sanguinamento ridurre a 200
UI/ora e.v.
2. DIC conclamata:
— concentrato di AT III: dosaggio atto ad assicurare un’attività AT III > 80%;
nelle prime 24 ore sono solitamente necessarie 3000-5000 UI di AT III
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— eventuale aggiunta di plasma fresco (fresh frozen plasma) e concentrati piastrinici. Indicazioni: fibrinogeno diminuito, t. di Quick diminuito, PTT aumentato. Dosaggio: inizialmente 500 ml di plasma fresco nelle prime 2 ore;
in seguito somministrazione di piccole quantità
— non eparina (salvo in caso di trombosi clinicamente evidenti).
3. post-DIC:
— eparina per ridurre l’ipercoagulabilità reattiva (pericolo di complicanze tromboemboliche! Dosaggio: facendo attenzione al rischio di complicanze, si
consiglia una eparinizzazione completa con monitoraggio del PTT, da portarsi a 1,5-2 volte il normale)
— AT III: apporto secondo necessità in caso di attività AT III < 80% del normale.
Nota: poiché l’iperfibrinolisi secondaria è necessaria per sciogliere i trombi multipli
di fibrina (pericolo di insufficienza renale) gli antifibrinolitici sono di regola controindicati!
Eccezione: in caso di iperfibrinolisi secondaria prevalente ed emorragie, evtl. somministrazione di aprotinina, ma non di antifibrinolitici sintetici.
C. Trattamento delle complicanze:
in caso di insufficienza renale acuta: dialisi.
Prognosi: dipende da:
1. malattia di base
2. superamento delle complicanze (shock emorragico, insufficienza renale).
Prevenzione
Si somministra eparina in tutti i casi con rischio di DIC (vedi sopra).
TROMBOCITOPENIE
Epidemiologia: sono le cause più frequenti di diatesi emorragica.
Fisiopatologia: le piastrine hanno una normale durata di vita in circolo di 9-10 giorni, con
tempo biologico di dimezzamento in assenza di anticorpi di circa 4 giorni. Nel soggetto sano la trombocitopoiesi può essere aumentata, in caso di necessità, fino a 5 volte il
normale.
2/3 dei trombociti circolano nel sangue, 1/3 è tesaurizzato in modo reversibile nella
milza e può essere immesso nel circolo in caso di bisogno.
Eziologia
I. Trombocitopenie da disturbi di produzione nel midollo osseo:
a. Trombocitopoiesi diminuita = disturbo aplastico;
midollo osseo: minor numero di megacariociti
Cause:
1. congenite (ad es. anemia di Fanconi)
2. acquisite:
— danno al midollo osseo
• farmaci (ad es. citostatici ed immunosoppressori)
• sostanze chimiche (ad es. benzolo)
• irradiazioni
• infezioni (ad es. HIV)
• autoanticorpi contro i megacariociti (in alcuni casi di trombocitopenia
immune)
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— infiltrazione nel midollo osseo
• leucemie, carcinomi, linfomi maligni
— osteomielosclerosi.
b. Disturbi di maturazione dei megacariociti
midollo osseo: megacariociti normali o aumentati, trombo-, eritro- e granulopoiesi inefficace con megaloblasti, bastoncelli giganti, ecc.;
causa: carenza di vitamina B12 o acido folico
(per i dettagli vedi cap. Anemie megaloblastiche).
II. Trombocitopenie da maggiore consumo periferico
Midollo osseo: numero di megacariociti aumentati.
In questo caso si manifesta una trombocitopenia quando il maggior consumo piastrinico periferico non potrà essere più compensato da una maggiore formazione di
trombociti. L’emivita delle piastrine può essere diminuita a poche ore e la quota di
consumo delle piastrine può aumentare fino a 5 volte la norma.
A. Trombocitopenia con maggiore attività trombinica
1. da coagulazione intravasale disseminata (DIC)
2. da liberazione extracellulare di proteasi dai leucociti e macrofagi
— in processi infettivi
— in affezioni maligne
B. Trombocitopenie immuni
1. da autoanticorpi anti-trombociti:
— porpora trombocitopenica idiopatica (PTI)
• PTI acuta post-infettiva
• PTI cronica = malattia di Werlhof
— trombocitopenie immuni secondarie ad affezioni di base note, ad es.:
• lupus eritematoso sistemico (LES)
• linfomi maligni
• infezioni da HIV
— trombocitopenie immuni da farmaci:
ad es. da cotrimossazolo, chinina, chinidina, fenilbutazone, sali d’oro,
ecc. Poiché molti farmaci possono indurre una trombocitopenia immune,
in un sospetto di questo genere si deve sospendere ogni terapia in corso
— trombocitopenia indotta da eparina (HIT): 2 forme:
• HIT I: trombocitopenia precoce, nei primi 2 giorni di trattamento, dose-dipendente, con manifestazioni lievi; conta piastrinica > 100.000/µl;
è presente sino nel 10% dei pazienti trattati con eparina non frazionata (UFH) e nel 2% di quelli trattati con eparina a basso peso molecolare (LMWH).
Causa: effetto pro-aggregante dell’eparina a seguito del blocco dell’adenilato-ciclasi (non si tratta di una trombocitopenia immune).
• HIT II: trombocitopenia tardiva (dopo 6-14 giorni in pazienti non già
sensibilizzati), non dose-dipendente, su base immunologica. Piastrine <
100.000/µl e/o calo della conta piastrinica sino a < 50% dei valori di
partenza. Nel 20% dei casi trombosi arteriose o venose («white clot
syndrome»).
Si manifesta sino nel 3% dei pazienti trattati con eparina non frazionata (UFH), in < 1% di quelli trattati con eparina a basso peso molecolare (LMWH). Certezza diagnostica mediante dimostrazione di anticorpi anti-piastrine indotti dall’eparina (test HIPA).
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2. da isoanticorpi anti-trombociti:
— trombocitopenia post-trasfusionale, nei pazienti che non possiedono l’antigene piastrinico 1 (PIA 1) = human platelet antigen 1 (HPA I) e che
hanno prodotto isoanticorpi dopo precedente stimolazione (trasfusioni,
gravidanza)
— trombocitopenia neonatale alloimmune in caso di incompatibilità materno-fetale.
C. Trombocitopenia di altra genesi:
1. in caso di ipersplenismo («pooling» delle cellule ematiche in una milza ingrossata)
2. in caso di valvole cardiache artificiali (danno meccanico)
3. in caso di circolazione extracorporea (reazione da contatto di superficie)
4. cause rare:
— sindrome di Moschkowitz (porpora trombotica trombocitopenica = PTT).
Eziologia: generalmente sconosciuta; talvolta scatenata da farmaci (ad es.
ticlopidina, clopidogrel). È un’anemia emolitica microangiopatica con
schistociti, trombocitopenia, sintomi neurologici, nel 50% dei casi insufficienza renale acuta (IRA); comparsa di multimeri patologici del fattore
di von Willebrand
— sindrome di Gasser (sindrome emolitico-uremica = SEU): simile alla
PTT, però senza sintomi neurologici, ma sempre con IRA.
Eziologia:
a. infezioni:
• SEU enteropatica, causata da Escherichia coli enteroemorragica
(EHEC) = E. coli produttrice di verotossina (VTEC), di sierogruppo 0157:H7.
Diagnosi: dimostrazione dell’agente eziologico e della tossina nelle
feci
• SEU non enteropatica, provocata da pneumococchi producenti neuraminidasi
b. altre cause rare: ad es. gravidanza protratta (sindrome HELLP; vedi
al relativo capitolo).
Terapia di entrambe queste sindromi: somministrazione di plasma fresco congelato (fresh frozen plasma = FFP) + glucocorticosteroidi; plasmaferesi nei casi
gravi. Le trasfusioni di piastrine sono controindicate. In caso di infezione da E.
coli 0157:H7 non vanno somministrati antibiotici, perché questi aumentano il rischio di sviluppo di una SEU.
III. Disturbi combinati di produzione e di distruzione
Ad es. nella cirrosi epatica da intossicazione alcoolica con aumentato sequestro piastrinico splenico e minore produzione piastrinica nel midollo osseo.
Clinica: disturbi trombocitopenici (o vascolari) dell’emostasi provocano emorragia di tipo
petecchiale.
Laboratorio
Numero delle piastrine < 140.000/µl.
Il tempo di emorragia (normale fino a 6 minuti) è più lungo nelle diatesi emorragiche
trombocitarie e in alcune forme vascolari.
Nota: di solito non vi è pericolo di emorragia se il numero delle piastrine funzionanti
è > 30.000/µl e con coagulazione plasmatica e funzionalità dei vasi intatte.
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Diagnosi differenziale
Pseudotrombocitopenie:
1. formazione di aggregati/agglutinati
— dovuta alla tecnica del prelievo ematico
— dovuta alla scelta e concentrazione dell’anticoagulante (EDTA, citrato, eparina)
— dovuta ad agglutinine EDTA-dipendenti (ad es. nei pazienti con agglutinine a
freddo).
2. formazione di satelliti (rosette) tra leucociti e trombociti.
3. presenza di piastrine giganti:
— ereditaria
— acquisita, nelle trombocitopenie immuni, in corso di trattamento cortisonico, con
sindromi mieloproliferative o mielodisplasiche.
Nota: quando il numero delle piastrine è estremamente basso durante la determinazione routinaria nel sangue-EDTA, senza che siano presenti sintomi di diatesi emorragica, si può avere una pseudotrombocitopenia indotta da EDTA. Diagnosi: numero normale di piastrine nel sangue citratato, inoltre tempo di emorragia normale e
test di Rumple-Leed negativo (stasi venosa da 10 minuti provocata con il bracciale
in caso positivo comparsa di petecchie nella piega del gomito).
Iter diagnostico nelle trombocitopenie
1. Anamnesi:
— decorso acuto o cronico recidivante?
— infezioni pregresse?
— farmaci.
2. Ricerca di affezioni causali:
— disturbi nella formazione: carcinomi, leucemie, osteomielosclerosi, linfomi maligni ecc.
— disturbi nella maturazione: carenza di vitamina B12 o di acido folico
— maggiore consumo di piastrine, ad es.:
coagulopatia da consumo (DIC), anamnesi farmacologica, LES, infezione da
HIV, linfomi maligni ecc.
3. Ricerca di auto- o alloanticorpi anti-piastrine, se si sospetta una trombocitopenia
immuno-mediata.
4. Esame del midollo osseo:
— megacariociti diminuiti: disturbo di produzione
— megacariociti aumentati:
• disturbo nel consumo (maggiore catabolismo) oppure
• disturbo di maturazione (carenza di vitamina B12 oppure di acido folico).
Terapia
1. Causale:
sospensione dei farmaci sospetti, ad es. dei preparati contenenti eparina in caso di
possibile trombocitopenia da eparina di II tipo; se necessario, modificare il trattamento antitrombotico, ad es. con lepirudin o desirudin; trattamento della malattia di
base
2. Sintomatica:
trasfusione di piastrine: 2 tipi di concentrati piastrinici:
— concentrati da più donatori: pool piastrinici ottenuti dal sangue intero fresco derivante da più donatori
— concentrati da donatore unico: ottenuti tramite trombocitoaferesi (con l’impiego
di un separatore cellulare) da un singolo donatore.
Vantaggi: rischio estremamente basso di infezioni; esposizione agli antigeni
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HLA di un singolo donatore: in caso di alloimmunizzazione del ricevente da
precedenti trasfusioni, possibilità di scelta di un donatore HLA-compatibile.
Indicazioni:
— trasfusione terapeutica: in caso di sanguinamento da trombocitopenia. In caso di
emorragie maggiori (= emorragie clinicamente pericolose) e prima di interventi
chirurgici si tende a raggiungere una conta piastrinica > 50.000/µl, per emorragie minori > 20.000/µl
— trasfusione preventiva: in caso di alterazioni transitorie della trombocitopoiesi
(ad es. da terapia con citostatici). La trasfusione è consigliata se le piastrine
scendono a valori < 10.000/20.000/µl. In caso di alterazioni croniche della trombocitopoiesi (ad es. sindrome mielodisplastica) e di aumentata distruzione (ad
es. malattia di Werlhof) si evitano, di regola, le trasfusioni a scopo preventivo.
Controindicazione: trombocitopenia da eparina di tipo II.
Effetti collaterali:
— rischio di infezione (virus epatitici, HIV, virus erpetici, ecc.)
— alloimmunizzazione da contaminazione con leucociti ( utilizzo di filtri per
leucociti)
— immunizzazione contro l’antigene Rh D ( eventuale profilassi anti-D)
— nei pazienti dopo trapianto di midollo osseo, rischio di «graft-versus-host disease» legata ai linfociti provenienti dal donatore ( irradiazione preliminare di
tutti gli emocomponenti con 15-30 Gy)
— reazioni allergiche post-trasfusionali: dall’orticaria sino all’anafilassi
— porpora post-trasfusionale: colpisce generalmente soggetti che abbiano già ricevuto trasfusioni o donne che abbiano avuto precedenti gravidanze. 5-10 giorni
dopo la trasfusione, caduta delle piastrine con eventuali emorragie. Causa: anticorpi preformati diretti contro l’antigene piastrinico PIA 1. Terapia: immunoglobuline e.v. ad alte dosi (blocco dei recettori Fc piastrinici).
Cause di mancato incremento delle piastrine dopo trasfusione piastrinica:
• fattori clinici: splenomegalia, febbre, emorragie acute, coagulopatia da consumo,
trapianto di midollo osseo, somministrazione di amfotericina B
• fattori immunologici: incompatibilità AB0, anticorpi anti-piastrine e/o anticorpi
anti-HLA in pazienti politrasfusi ( somministrazione di piastrine HLA-compatibili), raramente autoanticorpi anti-piastrine ricerca degli anticorpi anti-HLA,
anti-piastrine, ed eventuali auto-anticorpi.
In fase di studio clinico: trombopoietina e MGDF: stimolano la proliferazione e la
differenziazione dei megacariociti.
TROMBOCITOPENIA ALLO-IMMUNE NEONATALE
Epidemiologia: 1-3‰ di tutti i neonati; nel 50% dei casi può manifestarsi già durante la
prima gravidanza. (La malattia emolitica del neonato si manifesta solo dalla seconda
gravidanza, a meno che non sia presente una sensibilizzazione di altro tipo).
Eziologia/Patogenesi: incompatibilità materno-fetale per antigeni piastrinici. Il 98% della
popolazione possiede piastrine positive per l’antigene PIA 1 = human platelet antigen 1
(HPA 1). A seguito del passaggio fisiologico di piastrine fetali nella circolazione materna, la madre PIA 1-negativa produce anticorpi contro le piastrine fetali PIA 1-positive conseguenza: trombocitopenia alloimmune con tendenza alle emorragie (nel 10%
emorragie intra-craniche già in utero).
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Diagnosi
1. dimostrazione di anticorpi IgG anti-piastrine nel siero materno
2. assenza del corrispondente antigene sulle piastrine materne
3. test di compatibilità positivo tra siero materno e piastrine paterne.
Terapia
1. trasfusione intra-uterina di piastrine PIA 1-negative compatibili e/o infusione intrauterina di IgG 7S
2. infusione alla madre di IgG 7S ad alte dosi.
PORPORA TROMBOCITOPENICA IDIOPATICA (PTI)
Caratteristiche:
1. trombocitopenia isolata senza causa riconoscibile (diagnosi per esclusione)
2. minore tempo di sopravvivenza delle piastrine, spesso ridotto a ore (trombociti marcati con 51Cr o 111In)
3. patogenesi autoimmune: dimostrazione di anticorpi IgG liberi e adesi alle piastrine
(PA IgG) in oltre l’80% dei casi. Questi autoanticorpi sono diretti contro molecole
di adesione presenti sulla membrana piastrinica (GpIIb/IIIa)
4. megacariocitopoiesi aumentata reattiva nel midollo osseo
5. la milza, non marcatamente ingrossata, è la sede principale per la formazione degli
autoanticorpi e per il catabolismo dei trombociti (sistema reticolo istiocitario).
Due forme di decorso:
1. PTI acuta: predilige i bambini, F:M = 1:1.
L’affezione è quasi sempre preceduta da infezioni virali respiratorie o gastrointestinali (1-3 settimane prima)
2. PTI cronica (= malattia di Werlhof): predilige l’adulto, F:M = 3:1
Clinica
Se è presente una normale funzionalità piastrinica le manifestazioni emorragiche (es.
petecchie, epistassi, menorragie) si verificano solo con valori di piastrine < 30.000/µl.
L’ingrossamento dei linfonodi o la splenomegalia non sono indicativi di una PTI, ma
depongono anzi contro questa diagnosi!
Diagnosi differenziale
1. pseudotrombocitopenia indotta da EDTA
2. trombocitopenie immuni secondarie, ad es. nel LES o nei linfomi maligni
3. trombocitopenie immuni indotte da farmaci (anamnesi farmacologica!)
4. sindrome di Evans: associazione di anemia emolitica autoimmune con trombocitopenia immune.
Diagnosi
1. escludere una trombocitopenia di altra genesi (diagnosi di esclusione!)
2. tempo di sopravvivenza delle piastrine decisamente diminuito
3. esame del midollo osseo: megacariociti spesso aumentati di numero
4. dimostrazione dell’esistenza di auto-anticorpi anti-piastrine liberi nel siero e adesi
alle piastrine. Questi non sono però specifici per la PTI, in quanto si manifestano
talvolta anche in altre malattie.
Terapia
1. attesa se piastrine > 30.000/µl e assenza di emorragie. La PTI acuta ha un decorso
autolimitante e spesso non necessita di alcuna terapia
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2. corticosteroidi:
indicazioni: PTI cronica con piastrine < 30.000/µl e/o emorragie. L’efficacia degli
steroidi nella PTI acuta post-infettiva non è sicura
dosaggio: inizialmente prednisone 2 mg/kg di peso corporeo; dopo la remissione
dosaggio gradualmente decrescente per 2-3 mesi. In caso di insuccesso, eventuale
terapia con boli e.v. ad alta dose
3. immunoglobuline-7S: terapia di scelta nei pazienti a maggiore rischio emorragico
prima di un intervento chirurgico o prima del parto
meccanismo d’azione: blocco temporaneo del SRE, efficace nella PTI acuta e cronica
dosaggio: 400 mg/kg di peso corporeo e.v. per 5 giorni
4. nelle emorragie gravi, corticosteroidi e.v. ad alte dosi + immunoglobuline 7S + trasfusione di piastrine
5. splenectomia:
indicazioni: PTI cronica, trattata da almeno 6 mesi.
Nell’80% dei casi miglioramento del quadro clinico. Prima dell’intervento rilevare il
sito di distruzione delle piastrine tramite piastrine marcate con Cr51: se la distruzione avviene soprattutto nella milza, il tasso di successo è elevato (90%). Prima della
splenectomia si deve aumentare il numero delle piastrine con corticosteroidi e immunoglobuline e.v. ad alte dosi. Complicazioni dopo splenectomia: vedi cap. Milza.
6. terapia immunosoppressiva come ultima ratio.
Trattamento sintomatico:
la trasfusione di piastrine del m. di Werlhof non è indicata, salvo che in caso di emorragie gravi, per due ragioni:
— gli auto-anticorpi riducono il tempo di sopravvivenza anche delle piastrine trasfuse
— trasfusioni ripetute comportano una produzione di iso-anticorpi anti-piastrine.
Prognosi
— molto buona per la PTI acuta nei bambini: remissione spontanea nel 90% dei casi
dopo 2-6 settimane
— ancora relativamente favorevole per la PTI cronica dell’adulto: mortalità 4%, causa
di morte più frequente: emorragie intracerebrali.
Nota: neonati da madre con PTI cronica non hanno un aumentato rischio di morbilità e
mortalità. È però possibile una trombocitopenia transitoria da passaggio transplacentare
di anticorpi IgG dalla madre al feto.
TROMBOCITOPATIE
A. Congenite (affezioni rare ereditarie autosomiche)
Diagnosi
Difetti piastrinici
Tromboastenia di Glanzmann
assenza o diminuzione del contenuto di glicoproteina
IIb/IIIa nella membrana
(mancanza del punto di legame del fibrinogeno)
Trombocitopatie da piastrine giganti:
1. sindrome di Bernhard-Soulier
2. sindrome di May-Hegglin
assenza o diminuzione del contenuto di glicoproteina
Ib/complesso IX nella membrana
(mancanza del punto di legame del f. di von Willebrand)
Storage pool disease
mancanza di ATP/ADP nei granuli di accumulo delle
piastrine
Aspirin-like defect
mancanza di cicloossigenasi
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B. Acquisite (importanti):
1. terapia con inibitori dell’aggregazione piastrinica: ASA, ticlopidina, clopidogrel, antagonisti della GP-IIb/IIIa
2. rivestimento della superficie piastrinica da parte di IgA oppure IgM monoclonali (plasmocitoma, malattia di Waldenström)
3. destrano (inibizione dell’aggregazione piastrinica e riduzione dell’attività del fattore VIII)
4. disturbi funzionali delle piastrine da tossine uremiche
5. trombociti ipofunzionanti nella trombocitemia essenziale.
Clinica: non si riscontrano quasi mai emorragie spontanee, problemi emostatici si hanno
soltanto dopo ferite o interventi chirurgici.
Diagnosi: tempo di sanguinamento prolungato con numero di piastrine normale (in caso di
trombocitopatia pura).
Terapia: trombocitopatie acquisite:
a. causale:
• sospensione di inibitori dell’aggregazine piastrinica! Dopo la sospensione dell’ASA
la tendenza ad emorragie persiste ancora per 4-5 giorni (= emivita biologica delle piastrine). In situazioni di emergenza la trombocitopatia da ASA può essere
trattata con desmopressina, che è in grado di normalizzare il tempo di emorragia
• terapia di una affezione causale
b. sintomatica: accurata emostasi.
DIATESI EMORRAGICHE VASCOLARI
Nelle diatesi emorragiche determinate da vasculopatie (che raramente determinano emorragie massive), le piastrine ed i fattori plasmatici della coagulazione sono normali. Il tempo
di emorragia può essere più o meno aumentato e la diminuita resistenza capillare può essere evidenziata dalla positività del test di Rumpel-Leede: dopo 5 minuti di completo blocco venoso mediante sfigmomanometro (20 mmHg al di sotto del valore di pressione sistolica) compaiono in caso di fragilità vasale emorragie puntiformi all’avambraccio. Il test di
resistenza capillare di Rumpel-Leede non è affidabile in caso di vasculopatia, trombocitopenia e trombocitopatia.
Sanguinamento cutaneo: sono tipiche le petecchie e le macule emorragiche a livello della
superficie estensoria della gamba e a livello dei glutei.
A. Vasopatie ereditarie:
• teleangiectasia ereditaria di Rendu-Osler:
angiectasia ereditaria a trasmissione autosomica-dominante, nei punti di passaggio tra
arteriole e venule, specialmente a livello di labbra, lingua, mucosa nasale ( eventuale epistassi), tratto gastro-intestinale ( eventuale sanguinamento locale), vie respiratorie ( eventuale emoftoe), ecc.; talvolta anche emangiomi epatici. Contrariamente alle petecchie, la colorazione rossa delle teleangiectasie scompare alla vitropressione.
• sindrome di Ehlers-Danlos:
disturbo ereditario a trasmissione autosomica dominante, caratterizzato da alterazioni
delle fibre collagene tali da condizionare una abnorme elasticità cutanea.
• porpora simplex ereditaria:
colpisce preferibilmente soggetti di sesso femminile, ed è relativamente benigna; prima
del mestruo possono aversi soffusioni emorragiche dolenti («macchia del diavolo»).
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B. Vasopatie acquisite:
• porpora vascolare nel trattamento protratto con glucocorticosteroidi e nella sindrome
di Cushing.
• carenza di vitamina C: nel lattante malattia di Möller-Barlow, nell’adulto scorbuto
(carenza di vitamina C alterazioni della sintesi del collagene aumentata fragilità capillare).
• ematoma parossistico della mano e delle dita:
emorragie sottocutanee delle dita, spontanee, dolenti, da rottura di piccole vene. Colpisce prevalentemente le donne giovani; causa sconosciuta; remissione spontanea.
• porpora senile:
emorragie cutanee (ecchimosi) sotto forma di piccole chiazze che compaiono sulla
cute atrofica di soggetti anziani sul viso, sul dorso della mano, avambraccio e gamba; possono lasciare come esito aree cutanee iperpigmentate.
PORPORA DI SCHOENLEIN-HENOCH
Epidemiologia: vasculite da ipersensibilità; prevalentemente bambini di età prescolastica.
Eziologia: vasculite allergica dei piccoli vasi e dei capillari successiva a una infezione pregressa delle vie respiratorie superiori (nel 50% influenza A).
Patogenesi: reazione immune di tipo III (reazione di Arthus) con deposito di immunocomplessi contenenti IgA a livello sub-endoteliale nei piccoli vasi ed attivazione del sistema del complemento.
Clinica
Febbre e stato di grave malessere generale; 5 manifestazioni frequenti:
1. cute (100%): petecchie + esantema («porpora palpabile»), specialmente alla superficie estensoria delle gambe e ai glutei
2. articolazioni (65%): tumefazione dolorosa dell’articolazione tibio-tarsica e di altre
articolazioni («il bambino si rifuita di camminare»)
3. tratto gastro-intestinale (50%): dolori addominali di tipo colica, vomito, melena
4. reni (clinicamente il 30%, a livello bioptico l’80%): micro-macroematuria (glomerulonefrite mesangio-proliferativa con depositi mesangiali di IgA)
5. SNC: cefalea, alterazioni comportamentali, EEG patologico ecc.
Diagnosi differenziale: porpora nella sepsi meningococcica.
Diagnosi
— anamnesi/clinica: artralgie, dolori addominali e porpora, con normali parametri coagulatori
— dimostrazione di immunocomplessi circolanti, concentrazione del complemento
spesso inizialmente aumentata; IgA aumentate
— biopsia delle lesioni cutanee (istologia: infiltrato leucocitario perivascolare, depositi
vasali di IgA).
Terapia: sintomatica; eventuale terapia steroidea a breve termine.
Prognosi: buona nella maggioranza dei casi (decorso autolimitante con remissione).
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CARDIOLOGIA
Momenti e tecniche dell’indagine cardiologica:
I. Anamnesi
II. Esame obiettivo
1. Ispezione
2. Palpazione della regione toracica precordiale e del polso
Le
1)
2)
3)
5 qualità del polso:
frequenza: frequente - raro
ritmo:
regolare - irregolare: aritmia respiratoria, extrasistolia, aritmia totale
intensità: duro (pressione sistolica alta)
molle (pressione sistolica bassa)
4) ampiezza: ampio - piccolo
5) velocità: celere - tardo
In caso di frequenza elevata e pressione normale, il polso di solito è celere e ampio; la ipovolemia rende il polso solo celere, non ampio.
Anche nell’insufficienza aortica, con frequenza cardiaca normale, il polso è celere e
ampio (per l’elevata pressione differenziale sisto-diastolica).
3. Percussione cardiaca
— si determina la linea di confine tra polmoni-fegato;
— si determina l’aia di ottusità relativa tramite percussione dall’esterno verso l’interno (a);
— si determina l’aia di ottusità assoluta tramite percussione dall’interno (regione
sternale) verso l’esterno (b).
a
b
a
cuore
a
b
polmone
Nota: l’abbondanza di tessuto adiposo e l’enfisema possono rendere impossibile una corretta percussione. La percussione cardiaca è un metodo intrinsecamente impreciso.
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4. Auscultazione del cuore con lo stetoscopio
Le frequenze alte si ascoltano meglio con la membrana, quelle basse con la campana senza membrana.
Svantaggi dell’orecchio rispetto alla fonocardiografia:
— l’orecchio non percepisce bene le basse frequenze (svantaggioso nei rumori mitralici che sono di bassa frequenza)
— l’orecchio non ha la possibilità di determinare bene intervalli di tempo molto
piccoli (es.: impossibilità di individuare uno schiocco di apertura della mitrale).
Vantaggi dell’orecchio:
— concentrazione sull’essenziale («melodia del vizio»)
— percezione contemporanea di tutte le frequenze
Tranne i vizi della valvola polmonare, tutti gli altri vizi valvolari si ascoltano in
modo migliore con il paziente in massima espirazione.
Classificazione dei toni cardiaci
A. Toni di chiusura valvolare
Il I tono cardiaco è generato dalla chiusura della mitrale e della tricuspide all’inizio
della sistole (compare 0,02-0,04 secondi dopo l’inizio del complesso QRS).
Il II tono, più breve e più chiaro del I tono, è generato dalla chiusura delle valvole
semilunari aortiche e polmonari.
R
+ 1 mv
R
SISTOLE
DIASTOLE
T
P
P
0 mv
Q
S
1° tono
cardiaco
Polmonare
Aorta
0,1
sec.
2° tono
cardiaco
Il II tono è collocato temporalmente alla fine dell’onda T.
Il II tono si ausculta meglio a livello del secondo spazio intercostale destro (valvola aortica) e sinistro (valvola polmonare) sul margine parasternale. Se nel circolo
polmonare c’è un aumento pressorio, il tono è più forte sul focolaio polmonare,
mentre l’ipertensione nel circolo sistemico lo rende più forte sul focolaio aortico.
1. Sdoppiamento fisiologico del secondo tono
deriva dalla chiusura asincrona della valvola aortica e polmonare: in condizioni
normali, la componente aortica precede quella polmonare. Con l’inspirazione
profonda, lo sdoppiamento è fisiologico sino a 0,08 secondi, e solo allora diventa udibile (pressione intratoracica negativa in inspirazione transitorio aumento del riempimento diastolico ventricolare destro).
2. sdoppiamento accentuato (patologico) del secondo tono
— blocco di branca destra.
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3. Sdoppiamento fisso (indipendente dal respiro) del II tono
— difetti del setto interatriale
— stenosi della valvola polmonare.
4. Sdoppiamento paradosso del II tono (lo sdoppiamento è espiratorio perché si avverte prima la componente polmonare, poi quella aortica) da:
— stenosi aortica grave
— stenosi dell’istmo aortico
— blocco di branca sinistro
— pace maker.
Diagnosi: fonocardiogramma unitamente alla registrazione del polso carotideo;
la componente aortica del II tono è collocata sempre 0,04 sec. davanti all’incisura della curva del polso.
B. Toni da apertura valvolare
Sono provocati dall’improvviso stop del movimento di apertura di lembi valvolari
atrio-ventricolari fusi:
— tono da apertura mitralica in caso di stenosi mitralica (0,04-0,12 secondi dopo il
tono di chiusura valvolare aortica)
— tono da apertura tricuspidale in caso di stenosi tricuspidale (molto rara)
— tono da apertura da protesi in caso di protesi valvolare mitralica.
C. Toni («click») da eiezione
Sono provocati dall’improvviso stop del movimento di apertura delle valvole semilunari fuse.
D. Toni da riempimento ventricolare diastolico
Sono fisiologici nei bambini e nei giovani.
— 3° tono cardiaco = tono a bassa frequenza e bassa intensità, apprezzabile sul focolaio mitralico ~ 0,15 secondi dopo il 2° tono cardiaco, come espressione di
sovraccarico diastolico da insufficienza mitralica, insufficienza cardiaca e ipertiroidismo
— 4° tono cardiaco = tono atriale a bassa frequenza e bassa intensità, che precede
il 1° tono cardiaco; relativamente raro, da aumentata pressione ventricolare.
E. Click telediastolico: ad es. prolasso della mitrale.
Classificazione dei soffi cardiaci
I soffi derivano dalla formazione di vortici
a. anterogradi (stenosi)
b. retrogradi (insufficienza)
Caratteristiche:
• intensità:
— 1/6: udibile con difficoltà
— 2/6: a bassa intensità, ma subito udibile
— 3/6: forte, senza fremito
— 4/6: soffio con fremito
— 5/6: udibile con lo stetoscopio che sfiora appena la cute
— 6/6: udibile a distanza, senza stetoscopio
• punto massimo, irradiazione
• frequenza
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• relazione con i toni cardiaci (palpazione contemporanea del polso carotideo)
• tonalità
in decrescendo
fusiforme
(o «a diamante»)
nastriforme
(continuo)
in crescendo
A. Soffi sistolici:
1. insufficienza delle valvole atrio-ventricolari (soffio in decrescendo o continuo,
subito dopo il 1° tono):
a) generalmente organico, da insufficienza mitralica
b) raramente, da insufficienza tricuspidale (insufficienza tricuspidale relativa da
tensione dell’anello valvolare da dilatazione ventricolare destra).
2. stenosi delle valvole semilunari o del tratto di efflusso ventricolare (soffio fusiforme o «a diamante», che inizia dopo il 1° tono)
a) stenosi aortica (con irradiazione del soffio alle carotidi)
b) stenosi polmonare
c) cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva
3. stenosi dell’istmo aortico
4. difetti del setto (soffio a diamante o continuo)
5. soffi sistolici innocenti e funzionali
Definizione:
— soffio innocente: soffio cardiaco presente nei soggetti sani, spesso nei giovani
— soffio funzionale: soffio cardiaco secondario all’aumento della velocità di
circolo o della gittata cardiaca: ad es. sindrome cardiaca ipercinetica, ipertiroidismo, febbre, anemia, bradicardia, gravidanza.
Orientamento diagnostico:
— i soffi da vizio mitralico si apprezzano meglio in decubito laterale sinistro
— i soffi innocenti sono sistolici e a bassa frequenza (i soffi diastolici sono di
regola organici)
— i soffi innocenti non sono olosistolici
— i soffi innocenti non si irradiano al dorso («muoiono dove nascono»)
— il punto di massima auscultazione è di solito sul focolaio polmonare (diagnosi differenziale: stenosi polmonare: è sempre accompagnata da sintomi)
— variazioni del soffio:
a) da cambiamento di posizione
b) da sforzo
c) da diversa fase dell’escursione respiratoria
— tutti i risultati delle indagini non invasive non sono significativi.
B. Soffi diastolici:
1. stenosi delle valvole atrio-ventricolari (quasi sempre stenosi mitralica)
2. soffio funzionale delle valvole atrio-ventricolari con maggiore afflusso di sangue
(es. nell’insufficienza delle valvole AV)
3. insufficienza delle valvole semilunari:
— insufficienza aortica (da alterazione valvolare organica)
— insufficienza polmonare relativa (da distensione dell’anello valvolare in caso
di ipertensione polmonare).
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C. Soffio continuo sistolico/diastolico:
comunicazione tra un distretto ad alta pressione ed uno a bassa pressione:
— pervietà del dotto di Botallo
— shunt aorto-polmonare, rottura dell’aneurisma del seno di Valsalva
— fistole arterovenose (angioma polmonare, dopo traumi)
— fistole coronariche.
III. Esami diagnostici non invasivi
1. Misurazione della pressione, anche per un periodo prolungato
2. Elettrocardiografia
— ECG a riposo
— ECG sotto sforzo (ergometria), indicazioni principali:
• malattia coronarica (diagnostica + determinazione della tolleranza allo sforzo)
• disturbi del ritmo (comportamento sotto sforzo)
• controllo pressorio
• valutazione dell’efficienza cardiaca
— ECG sec. Holter, indicazioni principali:
disturbi del ritmo, malattia coronarica.
3. Fonocardiografia (oggi soppiantata dall’ecocardiografia)
localizzazione temporale e documentazione di toni e soffi cardiaci.
4. Diagnostica per immagini:
— ecocardiografia
• metodo “time-motion” unidimensionale
• ecocardiografia settoriale bidimensionale
• ecocardiografia (color)doppler: fornisce, oltre alla valutazione morfologica
del cuore e delle valvole, anche ulteriori informazioni su entità del gradiente pressorio in caso di stenosi valvolare, valutazione del flusso retrogrado in
caso di insufficienza valvolare, valutazione dello shunt in caso di difetti settali
• ecocardiografia tridimensionale (3-D)
— diagnostica radiologica:
ES
AO
AO
AP
AS
VD
VS
AD
VD
• teleradiografia in 2 proiezioni: postero-anteriore + laterale sinistra, per
distinguere l’esofago dall’atrio sinistro. Combinazione della proiezione
laterale con assunzione di bario per
visualizzare l’esofago.
VS
— tomografia computerizzata (TC)
— risonanza magnetica nucleare (RMN)
valutazione di anatomia e
funzione cardiaca
— tomografia computerizzata a fascio d’elettroni (electron beam tomography =
EBT): procedimento tomografico ultra-veloce con una frequenza di immagini
sino a 34 immagini/secondo rappresentazione di anatomia + funzione cardiaca. Possono essere visualizzati le arterie coronariche maggiori, in particolare le
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loro calcificazioni, e i by-pass; non fornisce però valutazioni sull’entità delle
stenosi e sul sistema coronarico nel suo insieme.
— procedimenti diagnostici di medicina nucleare:
• scintigrafia perfusoria del miocardio con tallio201
a) maggiore attività nel miocardio funzionante
b) diminuzione reversibile dell’attività nelle aree miocardiche ischemiche (ad
es. durante sforzi ergometrici)
c) perdita irreversibile dell’attività nelle aree miocardiche necrotiche e cicatriziali
• scintigrafia ventricolare (ventricolografia radioisotopica) con tecnezio99m-albumina; valore diagnostico analogo all’ecocardiografia
• scintigrafia con antimiosina: per la diagnostica dell’infarto miocardico e della
miocardite
• tomografia ad emissione di positroni; valutazione del metabolismo miocardico con idonee sostanze differenziazione tra tessuto normale, ischemico e
cicatriziale.
IV. Metodi diagnostici invasivi
Va sempre valutato il rischio della diagnostica invasiva rispetto alle informazioni attese e alla possibile utilità terapeutica.
1. cateterismo del cuore destro: per l’elevata attendibilità dell’ecocardiografia colordoppler, il cateterismo del cuore destro viene oggi praticato solo per indicazioni
specifiche. Consente la misurazione della pressione in atrio/ventricolo destro + valutazione della circolazione polmonare + misurazione indiretta della pressione in
atrio sinistro (pulmonary capillary wedge pressure = PCWP), dove la punta del catetere viene fatta proseguire sino a un capillare, che viene chiuso.
Valori pressori: la pressione capillare polmonare (PCP) è correlata alla pressione
telediastolica ventricolare sinistra (LVEDP), a condizione che non vi sia un’insufficienza mitralica. La pressione venosa centrale (PVC) è correlata alla pressione telediastolica ventricolare destra (RVEDP). Valori normali a riposo:
LVEDP: 5-12 mmHg
PCWP: < 15 mmHg
RVEDP: 2-7 mmHg
PVC: 4-10 cm H2O (= 3-8 mmHg).
La gittata cardiaca va riferita alla superficie corporea: indice cardiaco (cardiac index
= CI): limite inferiore del valore normale a riposo > 2,5 l/min/m2
2. cateterismo del cuore sinistro con angiocardiografia: consente la misurazione della
pressione intra- ed extracardiaca, il rilevamento della gittata cardiaca e della frazione di eiezione, dei volumi di shunt, della superficie di apertura valvolare e di altri
parametri; consente anche la visualizzazione delle coronarie; indicazione principale
è chiarire se sussista la necessità di un intervento invasivo-terapeutico o chirurgico
(ad es. nella cardiopatia coronarica o nei vizi)
3. studio elettrofisiologico con mappatura intracardiaca e stimolazione programmata,
in caso di disturbi del ritmo cardiaco
4. biopsia del miocardio per chiarire le cardiomiopatie
5. angioscopia, ecografia e doppler intracoronarici per quesiti particolari nella malattia coronarica.
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MALATTIE DELL’ENDOCARDIO
1. Endocarditi non infettive (o batteriche)
— endocardite verrucosa reumatica = complicanza della febbre reumatica acuta =
malattia immuno-mediata post-streptococcica
— endocardite verrucosa simplex: comparsa di verruche trombotiche sulla valvola
mitralica ed aortica nel quadro di gravi malattie croniche (es. carcinomi con metastasi)
— endocardite di Libman-Sacks (in corso di lupus eritematoso sistemico, con deposizione di trombi sulla valvola mitrale e tricuspide).
2. Endocarditi infettive (batteriche):
— acuta
— subacuta = endocardite lenta.
3. Fibrosi endocardiche (rare):
— portano, similmente alla pericardite costrittiva, ad ostacolo del riempimento ventricolare.
MALATTIA REUMATICA
Sinonimi: febbre reumatica, reumatismo articolare acuto.
Definizione
Malattia infiammatoria sistemica su base immunitaria conseguente a infezione streptococcica, che si manifesta in più sedi quali: cuore, articolazioni, SNC, cute e tessuto sottocutaneo. Tre quadri tipici: cardite reumatica, poliartrite acuta, corea minor.
Epidemiologia: massima incidenza tra 5-15 anni di età. Oggigiorno la malattia è rara.
Eziologia
1. la malattia reumatica è causata da streptococchi β-emolitici di gruppo A. Non è direttamente legata all’infezione, ma è la conseguenza di una reazione autoimmune
indotta dall’infezione (malattia secondaria immuno-mediata post-streptococcica);
2. predisposizione genetica.
Nota: un’altra possibilità di «malattia secondaria» su base immunitaria, dopo infezione
da streptococchi di gruppo A, è la glomerulonefrite acuta; la comparsa contemporanea
di entrambe le malattie è però molto rara.
Gli streptococchi sono batteri Gram+ che vengono classificati:
a. in base alla loro capacità di dare emolisi in piastre di coltura agar sangue:
— streptococchi α-emolitici: emolisi parziale (le colonie sono circondate da un alone verdastro per riduzione dell’emoglobina)
— streptococchi β-emolitici: le colonie sono circondate da aree nette di emolisi
completa
— streptococchi γ-emolitici: senza emolisi
b. sulle differenze sierotipiche (classificazione secondo Lancefield); sono distinti
— in gruppi (da A a V): in base alla frazione polisaccaridica C
— in tipi: in base alle proteine M e T.
Gli streptococchi β-emolitici del gruppo A (Str. pyogenes) causano il 95% delle malattie streptococciche (es.: angina, scarlattina, erisipela, ed altre). Streptococchi β-emolitici, si trovano a livello della faringe nel 10% dei bambini e di adulti sani (portatori sani di streptococchi).
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Nota: la presenza di streptococchi β-emolitici nella cavità orale non è di per sè patognomonica, ma può esserlo se in coincidenza di segni di malattia.
Patogenesi
La proteina M specifica degli streptococchi β-emolitici di gruppo A ha una reattività
crociata con gli antigeni sarcolemmici tropomiosina e miosina. Questa mimicría molecolare spiega i seguenti reperti in pazienti affetti da febbre reumatica:
1. dimostrazione nel siero di anticorpi antisarcolemmici cross-reagenti
2. dimostrazione di anticorpi legati al mio- ed endocardio
3. danneggiamento dei capillari da immunocomplessi (reazione da immunocomplessi
di tipo III) con presenza di immunocomplessi nel miocardio (a livello dei noduli di
Aschoff = granulomi reumatici con necrosi fibrinoide) e sulle valvole alterate da infiammazione (endocardite verrucosa)
4. nei pazienti con corea minor si osservano anticorpi cross-reagenti contro antigeni
del nucleo caudato e subtalamico.
Clinica
La malattia reumatica compare dopo 10-20 gg da un’infezione del tratto respiratorio superiore (ad es. faringite, tonsillite) provocata da streptococchi β-emolitici di gruppo A.
1. Segni generali: febbre (disturbi articolari «reumatici» presenti in anamnesi, non accompagnati da febbre, non hanno valore diagnostico), cefalea, sudorazioni.
2. Poliartrite acuta «migrante»:
predilige le grandi articolazioni che sono spesso colpite in rapida successione; il
coinvolgimento passa da un’articolazione all’altra. Le articolazioni interessate spesso sono calde, tumefatte e molto dolenti.
3. Manifestazioni cutanee:
— noduli reumatici sottocutanei (30%)
— eritema anulare reumatico (marginato):
eritema roseo, talvolta anulare e a contorni policiclici, localizzato al tronco
(10%)
— eritema nodoso (per i dettagli vedi cap. Sarcoidosi).
4. Interessamento cardiaco:
la febbre reumatica interessa tutte le strutture cardiache, con endo-, mio-, pericardite, cioè pancardite. La prognosi però è determinata dal decorso dell’endocardite
(vizio valvolare), mentre la miocardite raramente comporta sintomi (istologia: necrosi miofibrillari + noduli di Aschoff = accumulo di cellule mononucleate + cellule giganti che circondano materiale fibrinoide).
I sintomi cardiaci possono mancare od essere poco caratteristici:
— soffio sistolico e/o diastolico lieve
— evtl. pericardite con dolore precordiale e sfregamenti pericardici
— evtl. miocardite con extrasistoli; in presenza di miocardite grave, segni di insufficienza cardiaca
— ECG: intervallo PQ allungato, alterazioni ST-T (vedi anche segni dell’ECG nella pericardite)
— ecocardiogramma: segni di evtl. alterazioni valvolari, versamento pericardico,
dilatazione miogena del cuore.
5. Raramente pleurite, con versamenti di piccola entità
6. Corea minor (di Sydenham): manifestazione tipicamente tardiva della febbre reumatica che insorge generalmente dopo una lunga latenza (anche mesi) dall’infezione streptococcica; deve far sempre considerare la possibilità di una imminente pancardite. Tipici sono i movimenti incontrollati delle mani con comportamento malde-
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stro dei bambini: versano la minestra, rompono i piatti e così via! Le manifestazioni neurologiche possono recidivare, ma guariscono con la terapia.
Laboratorio
— segni di infiammazione aspecifici: VES e proteina C reattiva (PCR) aumentate,
eventualmente anemia da infiammazione.
Nota: una VES normale esclude praticamente la febbre reumatica e l’endocardite.
— dimostrazione di anticorpi anti-streptococcici:
• anti-streptolisina O (ASO oppure TASLO): il valore del tasso anticorpale, solitamente già elevato per la diffusione dell’infezione, lascia sospettare un’infezione
acuta solo con titoli > 300 U.I. e/o titoli in aumento. Contrariamente all’angina da
streptococchi non seguita da complicanze, nel caso della febbre reumatica il titolo non diminuisce dopo la guarigione dell’infezione acuta
• anti-desossiribonucleasi B (anti-DNAsi B oppure ADB).
Nota: il TASLO aumenta di preferenza per l’infezione streptococcica del tratto
respiratorio ed ha pertanto valore diagnostico di malattia reumatica.
Il titolo ADB aumenta preferenzialmente per infezioni streptococciche della cute;
poiché queste ultime possono indurre la glomerulonefrite acuta, esso acquista particolare valore in tal senso.
— più raramente si trovano auto-anticorpi cross-reagenti contro il sarcolemma miocardico (ASA).
Decorso della febbre reumatica
Infezione da
streptococchi
Latenza
Febbre reumatica
Vizio valvolare
— fase essudativa
Cicatrice
— fase proliferativa
1-3 settimane
6-12 settimane
1-3 anni
Coinvolgimento valvolare: mitrale 80%, aortica 20%; occasionalmente entrambe.
Diagnosi differenziale: vedi cap. Artrite reumatoide.
Diagnosi
Criteri di Jones (American Heart Association):
Criteri maggiori
Criteri minori
1. cardite
1. febbre
2. poliartrite
2. artralgie
3. corea
3. VES e/o PCR aumentata
4. noduli sottocutanei
4. intervallo PQ prolungato
5. eritema marginato o anulare
5. febbre reumatica o cardite
5. reumatica nell’anamnesi
La diagnosi di febbre reumatica è verosimile quando si hanno i seguenti elementi:
1. precedente infezione da streptococchi
2. due criteri maggiori oppure un criterio maggiore e due minori.
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Terapia
1. Trattamento dell’infezione streptococcica
Nota: in tutte le infezioni da streptococchi, la penicillina è il farmaco di elezione;
tutti gli streptococchi sono sensibili alla penicillina! Nei confronti di tutti gli altri
antibiotici si osserva resistenza.
Dosaggio: penicillina V: 500 mg × 2/die per 10 giorni.
Effetti collaterali: reazioni allergiche (sensibilizzazione da pregressa terapia penicillinica, ma anche da alimenti contenenti penicillina; inoltre si osservano reazioni paraallergiche nelle dermatomicosi).
In caso di allergia alla penicillina: eritromicina 250 mg × 4/die per 10 giorni.
2. Trattamento anti-infiammatorio:
— acido acetilsalicilico: nell’adulto 2-3 g/die (per effetti collaterali e controindicazioni: vedi cap. Antiinfiammatori non steroidei)
— corticosteroidi: sono indicati nella cardite reumatica.
Dose: inizialmente 80 mg prednisolone/die, poi riduzione graduale (per effetti
collaterali e controindicazioni: vedi cap. Corticosteroidi).
Durata della terapia anti-infiammatoria: circa 4-6 settimane.
3. Tonsillectomia nell’intervallo libero sotto protezione con penicillina, evtl. «bonifica
dei focolai» dentali.
4. Profilassi di recidiva con penicillina per oltre 10 anni, al massimo sino al 25° anno d’età; poi solamente profilassi penicillinica mirata in caso di interventi invasivi
diagnostici o terapeutici (comprese le cure odontoiatriche). In caso di allergia alla
penicillina: eritromicina.
Dosaggio per la profilassi a lungo termine: ad es. benzilpenicillina 1.200.000 U
i.m. ogni 4 settimane, oppure penicillina V 250 mg × 2/die.
Prognosi
La prognosi è determinata dal decorso dell’endocardite («la febbre reumatica lambisce
le articolazioni e morde il cuore»). Con ogni recidiva sale la probabilità di comparsa di
vizi valvolari. Tutto dipende perciò da una precoce terapia con penicillina che deve
fermare il processo patologico ancora nello stadio essudativo. Cicatrizzazione e retrazione dei lembi valvolari sono irreversibili!
ENDOCARDITE BATTERICA
Definizione: malattia settica causata da un focolaio infettivo a livello delle valvole cardiache o dell’endocardio. Sintomi cardinali: batteriemia, febbre, splenomegalia, manifestazioni emboliche, soffi cardiaci. Senza trattamento può condurre all’exitus.
Epidemiologia: incidenza: 6/100.000/anno nei paesi occidentali industrializzati.
Anatomia patologica: infiammazione delle valvole cardiache causata da batteri (raramente
miceti) che comporta necrosi (endocardite ulcerosa) e vegetazioni trombotiche (endocardite poliposa). La valvola più frequentemente colpita è la mitrale, meno frequentemente la valvola aortica oppure una combinazione di entrambe.
L’inoculazione di germi molto virulenti nel sistema venoso (cateterismo, tossicodipendenza) può causare infestazione delle valvole del cuore destro. Nella maggior parte dei
casi le valvole diventano insufficienti, cosicché più tardi diventa necessaria la loro sostituzione.
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Eziologia
1. streptococchi α-emolitici (Str. viridans): ca. il 60%
2. stafilococchi: ca. il 20%
3. enterococchi, batteri gram-negativi e miceti: ca. il 10%
4. agenti patogeni rari: ad es. Coxiella burneti, clamidie, micoplasmi, legionella, ed
agenti del gruppo HACEK (Haemophilus, Actinobacillus, Cardiobacterium, Eichenella, Klingella)
5. nel 10% dei casi non si riesce ad isolare alcun agente patogeno.
Mentre la frequenza dell’endocardite da streptococchi sta diminuendo, aumentano per
contro le endocarditi da stafilococchi e agenti patogeni rari (inclusi i miceti), specialmente in seguito all’uso in medicina di protesi (cateteri venosi, pace-maker, valvole
cardiache, endoprotesi, ecc.), e per la diffusione di misure di medicina intensiva. I tossicodipendenti costituiscono un ulteriore gruppo a rischio.
Patogenesi
Il quadro della malattia è la risultante di lesioni pregresse dell’endocardio, virulenza del
germe e potere difensivo dell’organismo: quasi sempre l’endocardite infettiva interessa
un sistema valvolare già difettoso, per danno congenito o acquisito. Il prolasso della
mitrale e le alterazioni aterosclerotiche della valvola aortica (nelle persone anziane)
giocano un ruolo sempre maggiore. Come corollario si può affermare che un difetto
valvolare già esistente predispone sempre all’insorgenza di endocardite.
Come mai i batteri si annidano sulle valvole cardiache?
Le batteriemie transitorie sono un evento assai frequente (da malattie infettive, dopo
piccoli interventi come una tonsillectomia, perfino durante l’atto della masticazione). I
batteri di solito circolano solo per alcuni minuti nel sangue, dove vengono rapidamente eliminati dal normale potere battericida del siero. Nell’endocardite reumatica, in cui
le valvole sono coperte da un velo ruvido di fibrina, i batteri trovano facilmente luogo
di impianto trovandosi inoltre protetti dal potere battericida del sangue.
Clinica
1. Febbre (90%), tachicardia, con o senza brivido.
2. Sintomi generali:
astenia, anoressia, calo ponderale, sudorazioni, artralgie.
3. Sintomi cardiaci:
— soffi cardiaci: spesso esiste già un vizio valvolare reumatico con soffio relativo,
che può modificare le sue caratteristiche
— segni di insufficienza cardiaca in peggioramento
— evtl. perforazione o rottura valvolare
— ecografia (transesofagea!): dimostrazione di vegetazione fibrinosa sui lembi valvolari e difetti valvolari.
4. Sintomi cutanei:
— petecchie (30% dei casi)
— noduli di Osler: noduli rossastri dolorosi della dimensione di una lenticchia,
specialmente alle dita di mani e piedi (= vasculite da immunocomplessi)
— dita a bacchetta di tamburo, unghie a vetrino d’orologio (raro e non specifico).
5. Microembolie batteriche:
encefalite embolica a focolai evtl. con emiparesi transitoria, e microembolie della
retina.
6. Interessamento renale con ematuria, proteinuria:
— quasi di regola glomerulonefrite focale di Löhlein
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— infarti renali da fenomeni embolici
— raramente glomerulonefrite acuta diffusa.
7. Splenomegalia
Laboratorio
1. segni infiammatori aspecifici:
aumento della PCR e della VES (la VES normale esclude l’endocardite!), anemia
(80%), evtl. leucocitosi
2. reperti immunologici:
in caso di decorso subacuto si riscontrano regolarmente anticorpi antiendotelio o antisarcolemma ed altre manifestazioni immunologiche
3. dimostrazione in coltura dell’agente patogeno nel sangue:
reperto più importante per la diagnosi e la terapia.
Decorso
1. Sepsi acuta:
grande virulenza del germe e modesta resistenza dell’organismo. Agenti causali sono di regola gli stafilococchi, poi gli enterococchi e i miceti. Senza pronta terapia la
prognosi è infausta. Spesso in pazienti anziani, dopo interventi al cuore, in tossicodipendenti.
Decorso rapido e progressivo con febbre, brividi, tachicardia, artralgie, obnubilamento, insufficienza cardiaca e renale.
2. Sepsi sub-acuta = endocardite lenta:
l’endocardite lenta è di regola caratterizzata dall’equilibrio tra virulenza del microorganismo e resistenza dell’ospite. Agente causale: nella maggior parte dei casi
Streptococcus viridans; inizio della malattia insidioso!
Decorso più lento e meno accentuato.
Sintomo principale: febbre di incerta origine con o senza brividi, più tardi insufficienza cardiaca progressiva.
Diagnosi differenziale
I casi oligosintomatici possono essere facilmente male interpretati, soprattutto se le
emoculture «di routine» rimangono negative. L’endocardite batterica è una importante
possibilità da considerare nella diagnosi differenziale di «stato febbrile poco chiaro».
La combinazione soffio cardiaco + febbre deve sempre far pensare alla possibilità di
endocardite batterica!
Diagnosi
• anamnesi (interventi diagnostici o terapeutici nei pazienti con vizi, uso di droghe e.v.
ecc.)
• clinica (febbre, soffi cardiaci, anemia, VES aumentata; ecocardiogramma: vegetazioni valvolari, evtl. danni valvolari)
• emocolture ripetute: prelievo di sangue nel momento in cui sale la temperatura (al
minimo 3 campioni doppi, per anaerobi e aerobi, prima di iniziare il trattamento).
Nota: la dimostrazione di batteriemia è spesso difficile; tuttavia anche se la diagnosi rimane di sospetto con le emocolture negative, è obbligatorio iniziare la terapia. La vita
del paziente dipende da un trattamento tempestivo!
Terapia
Antibiotici dopo ripetuti prelievi di sangue per coltura aerobia ed anaerobia.
Si instaura anche se la diagnosi clinica non è confermata dalla emocoltura!
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Raccomandazioni per il trattamento antibiotico iniziale non mirato dell’endocardite negli adulti (Società per la chemioterapia Paul Ehrlich, 2000):
Agenti eziologici
più frequenti
A) Valvola nativa
1. decorso acuto
2. decorso subacuto
(endocardite lenta)
B) Valvola artificiale
Trattamento
iniziale
Staphylococcus aureus
cefalosporina 2°g
+ aminoglicoside oppure
isossazolilpenicillina
+ aminoglicoside
alternative:
glicopeptidici
carbapenemici
Streptococcus viridans
penicillina G
enterococchi
+ aminoglicoside
ceftriaxone
+ aminoglicoside
oppure:
ampicillina
+ aminoglicoside
alternative:
glicopeptidici
carbapenemici
Staphylococcus epidermidis glicopeptidici
Staphylococcus aureus
+ cefalosporina 3°g
bacilli aerobi Gram negativi alternativa:
Streptococcus viridans
glicopeptidici
enterococchi
+ carbapenemici
corinebatteri
oppure:
glicopeptidici
+ fluorochinoloni 2°g
Durata del
trattamento
tutti per 4-6 settimane
aminoglicoside per 14 gg
tutti per 2-4 settimane
tutti per 4-6 settimane
aminoglicoside per 14 gg
tutti per 4-6 settimane
Prognosi
Senza trattamento infausta. In terapia con antibiotici dipende da:
— danno cardiaco di base
— potere difensivo, età più o meno avanzata
— virulenza e sensibilità del microorganismo nei confronti degli antibiotici
— momento d’inizio del trattamento.
Con un trattamento ottimale più del 70% dei pazienti sopravvive, mentre la prognosi è
poco favorevole in caso di pazienti con protesi delle valvole cardiache, infezioni con
germi gram-negativi e micotiche, decorso acuto o subacuto e insufficienza cardiaca
concomitante. Lo scompenso cardiaco è la causa più frequente di morte (dovuto a distruzione valvolare e/o danno miocardico).
Profilassi
I pazienti con malformazioni cardiache hanno un rischio aumentato che batteriemie
transitorie, in occasione di interventi medici o odontoiatrici, provochino una endocardite batterica. In queste situazioni è quindi necessaria una profilassi (consegnare al paziente un tesserino sanitario).
Raccomandazioni per la profilassi dell’endocardite batterica
(sec. l’American Heart Association 1997)
Indicazioni:
Pazienti con aumentato rischio di endocardite:
1. gruppo ad alto rischio:
— tutti i casi di protesi valvolari cardiache
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— pregressa endocardite batterica
— vizi congeniti complessi, trasposizione dei grossi vasi (anche dopo correzione
chirurgica)
2. gruppi a rischio:
— alterazioni valvolari acquisite
— cardiomiopatia ipertrofica
— prolasso della mitrale con insufficienza valvolare
— la maggior parte degli altri vizi cardiaci.
La profilassi dell’endocardite non è necessaria in caso di difetto del septum secundum,
prolasso della mitrale senza insufficienza valvolare, dopo intervento per difetto del setto interatriale, difetto del setto interventricolare o del dotto di Botallo.
Condizioni in cui è indicata la profilassi dell’endocardite:
1. trattamenti odontoiatrici, ad es.:
— estrazioni dentarie
— interventi parodontali
— rimozione del tartaro
— curettage, trapanazioni
— procedure di impianto e reimpianto di denti lussati
— pulizia a scopo profilattico di denti e protesi fisse, se non possono essere esclusi sanguinamenti locali
2. interventi sulle vie respiratorie
— adenoidectomia, tonsillectomia
— altri interventi con coinvolgimento delle mucose
— broncoscopia con endoscopio rigido
3. interventi sul tratto gastrointestinale
— sclerosi di varici esofagee
— dilatazione esofagea, ERCP
— altri interventi con coinvolgimento delle mucose
4. interventi sulle vie urinarie
— interventi sulla prostata
— cistoscopia
— dilatazione uretrale.
Scelta dell’antibiotico
A) Interventi a livello dei denti, del cavo orale, dell’esofago o del tratto respiratorio:
Situazione
Antibiotico
standard
amoxicillina
allergia alla penicillina
Dosaggio/Somministrazione
adulti: 2 g per os
bambini: 50 mg/kg per os
sempre un’ora prima dell’intervento
clindamicina
oppure
adulti: 600 mg per os
bambini: 20 mg/kg per os
sempre un’ora prima dell’intervento
azitromicina
oppure
claritromicina
adulti: 500 mg per os
bambini: 15 mg/kg per os
sempre un’ora prima dell’intervento
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B) Interventi a carico del tratto gastrointestinale (escluso l’esofago) o del tratto urogenitale:
Situazione
a medio rischio
ad alto rischio
Antibiotico
Dosaggio/Somministrazione
standard
amoxicillina
adulti: 2 g per os
bambini: 50 mg/kg per os
sempre un’ora prima dell’intervento
allergia alla
penicillina
vancomicina
adulti: 1 g e.v. in 1-2 ore
bambini: 20 mg/kg e.v. in 1-2 ore
terminare l’infusione almeno 30 minuti prima
dell’intervento
standard
ampicillina (A)
più
gentamicina (G)
adulti: A: 2 g i.m. o e.v. più
G: 1,5 mg/kg i.m. o e.v. (sino a un massimo di 120 mg)
terminare l’infusione almeno 30 minuti prima
dell’intervento; A: dopo 6 ore 1 g i.m. o e.v.
bambini: A: 50 mg/kg i.m. o e.v. più
G: 1,5 mg/kg i.m. o e.v., terminare l’infusione almeno
30 minuti prima dell’intervento; A: dopo 6 ore 25 mg/kg
i.m. o e.v.
allergia alla vancomicina (V)
penicillina
più
gentamicina (G)
adulti: V: 1 g e.v. in 1-2 ore più
G: 1,5 mg/kg e.v. o i.m. (sino a un massimo di 120 mg)
bambini: V: 20 mg/kg e.v. in 1-2 ore più
G: 1,5 mg/kg e.v. o i.m.; terminare l’infusione almeno
30 minuti prima dell’intervento
VIZI VALVOLARI ACQUISITI
La maggior parte dei vizi acquisiti è causata da una endocardite reumatica che può risalire anche a 10-20 anni prima del vizio. Sono interessate quasi sempre le valvole del ventricolo sinistro, per la loro maggiore sollecitazione meccanica (pressione assoluta e gradiente
pressorio sinistro > destro).
I vizi valvolari acquisiti organici del cuore destro sono relativamente rari e spesso conseguenza di una endocardite batterica nei tossicodipendenti. Nella maggior parte dei casi i vizi valvolari del cuore destro sono insufficienze valvolari relative:
1. insufficienza polmonare relativa causata dalla dilatazione dell’anello di inserzione
valvolare da grave ipertensione polmonare di varia genesi; auscultazione: soffio di
Graham-Steel: decrescente ad alta frequenza successivamente alla componente polmonare del 2° tono, punto massimo sopra la valvola polmonare.
2. insufficienza relativa della tricuspide per iperdistensione dell’anello di inserzione
valvolare nella dilatazione ventricolare destra (nell’ambito di una insufficienza destra di varia genesi). Auscultazione: soffio olosistolico «soffiante», punto massimo
4° spazio intercostale sulla parasternale destra.
Decisivo per la capacità funzionale del cuore è il tipo di sovraccarico che il vizio comporta:
a. sovraccarico di volume nell’insufficienza valvolare con rigurgito: prognosi più favorevole
b. sovraccarico di pressione nella stenosi valvolare: prognosi meno favorevole.
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I livelli di gravità dei vizi cardiaci sono classificati in 4 stadi, in base alla entità dei disturbi soggettivi (New York Heart Association - NYHA):
St. I: nessun disturbo
St. II: disturbi sotto sforzo fisico intenso
St. III: disturbi già con leggeri sforzi fisici
St. IV: disturbi a riposo (scompenso cardiaco e riposo obbligato a letto).
Strategia terapeutica e prognosi:
insufficienza valvolare
➞
➞
sovraccarico di pressione
(meno favorevole)
sovraccarico di volume
(più favorevole)
terapia medica/prognosi
➘
➘
terapia chirurgica
(indicazione: dal III stadio)
➞
stenosi valvolare
➞
Parte3
ipertrofia cardiaca
➞
insufficienza cardiaca
Terapia medica
— trattamento dell’insufficienza cardiaca (vedi)
— profilassi dell’endocardite (vedi)
— eventuale prevenzione del tromboembolismo con anticoagulanti (vedi)
Terapia chirurgica
Procedimenti conservativi delle valvole
— ricostruzione
— valvuloplastica.
Sostituzione delle valvole
1. protesi biologiche
— valvole di cuori prelevati per trapianto o da cadaveri (omo- o allotrapianto)
— valvole di maiale (eterotrapianto)
— valvole cardiache vitali da coltura di tessuto (in sviluppo)
2. protesi meccaniche
— protesi sferiche a gabbia
— protesi a disco
— protesi ad ali doppie che hanno una buona emodinamica ed una frequenza di
tromboembolie relativamente bassa.
Valutazione dei procedimenti:
1. sono da preferire possibilmente i procedimenti conservativi delle valvole, in quanto
i vantaggi emodinamici sono maggiori rispetto alle protesi artificiali;
2. tutte le valvole meccaniche hanno in comune di essere spiccatamente trombogene
per effetto della dinamica di flusso e della superficie estranea all’organismo. È pertanto necessaria la terapia anticoagulante a vita;
3. anche se nelle protesi biologiche non è necessaria in genere una terapia anticoagulante a lungo termine, questo vantaggio viene ridotto dalla loro limitata durata. Bisogna pertanto essere preparati a dover ripetere l’intervento chirurgico. Le protesi
biologiche vengono quindi utilizzate solo nei pazienti più anziani (di regola > 60
anni) e nelle donne che vogliono una gravidanza.
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Complicanze dopo la sostituzione delle valvole
1. Disfunzione valvolare
— deiscenza della sutura e distacco
— alterazione meccanica della valvola, ad es. rottura
— danni degenerativi delle protesi biologiche (aumentano significativamente dal 7°
anno dopo l’intervento).
2. Trombosi, embolie
massimo rischio embolico in caso di:
— protesi sintetiche/metalliche
— vizi mitralici con atrio sinistro dilatato (∅ > 55 mm) e fibrillazione atriale
— mancata o cattiva terapia anticoagulante.
Prevenzione tramite terapia anticoagulante (vedi cap. Prevenzione della trombosi).
3. Emorragie, quali complicanze della terapia anticoagulante.
4. Emolisi meccanica
dipende dal gradiente pressorio transvalvolare e dalla velocità del flusso ematico nelle protesi valvolari intatte e ben funzionanti l’emolisi meccanica è insignificante
e documentata abitualmente da un lieve aumento delle LDH. Nelle alterazioni funzionali delle valvole l’emolisi aumenta.
Diagnosi: — LDH e HBDH aumentate
— aptoglobina diminuita
— eventuale riduzione dell’emopexina (solo in caso di emolisi grave,
quando l’aptoglobina non è più dosabile)
— reticolociti aumentati
— bilirubina indiretta aumentata
— frammentocitosi
Hb normale = anemia emolitica compensata
Hb diminuita = anemia emolitica scompensata.
5. Endocardite da protesi (4% dei pazienti entro 10 anni)
— precoce (entro 60 giorni dopo l’intervento): quasi sempre stafilococchi, batteri
gram-negativi e miceti
— tardiva (agenti patogeni spesso come nella endocardite batterica «classica»:
streptococchi α- e β-emolitici, enterococchi, ecc.).
Diagnosi: nuovi soffi valvolari e/o suoni di apertura/chiusura modificati, febbre,
emocoltura positiva.
Profilassi: profilassi antibiotica dell’endocardite per tutta la vita in tutti i pazienti
(valvole meccaniche + protesi biologiche) prima di qualsiasi intervento diagnostico o
terapeutico (vedi cap. Endocardite batterica).
6. Insufficienza del miocardio in fase tardiva 3 cause:
— disfunzione valvolare (diagnosi: colordoppler)
— contemporanea ipertensione e/o cardiopatia ischemica
— danno miocardico preoperatorio; solitamente secondario a una indicazione troppo tardiva per la protesi valvolare! Lo stato di funzionamento preoperatorio del
ventricolo sinistro determina largamente la prognosi a lungo termine, in particolare per l’insufficienza valvolare!
STENOSI MITRALICA
Epidemiologia: i vizi mitralici sono, nell’adulto, i secondi per frequenza; nel 40% dei casi
si tratta di steno-insufficienza; F > M.
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Eziologia: quasi sempre endocardite reumatica (anche 10-30 anni prima); i pazienti non
sono quasi mai in grado di fornire indicazioni utili; più rara l’endocardite batterica.
Fisiopatologia: stenosi mitralica sovraccarico pressorio dell’atrio sinistro stasi/ipertensione polmonare sovraccarico pressorio del ventricolo destro ipertrofia ventricolare destra insufficienza tricuspidale stasi da ritorno nella circolazione sistemica.
Quando la superficie di apertura normale della valvola mitralica (> 5-6 cm2) è diminuita di oltre il 50%, si ha un leggero aumento pressorio nell’atrio sinistro inizialmente
solo sotto sforzo, poi anche a riposo.
In caso di stenosi più grave (superficie di apertura 1,0 cm2) la pressione aumenta nell’atrio sinistro sino a circa 25 mmHg.
Grado di
gravità
Gradiente pressorio medio
(mm Hg) (*)
Superficie di apertura
valvolare (cm2) (**)
lieve
≤ 7
1,5-2,5
medio
8-15
1,0-1,5
grave
> 15
< 1,0
(*)*: con frequenza cardiaca e gittata cardiaca media normali
(**): la superficie di apertura valvolare può essere misurata anche mediante ecocardiografia
Clinica
1. conseguenza dell’aumento pressorio nell’atrio sinistro:
— evtl. fibrillazione atriale con aritmia totale (diminuzione della capacità cardiaca
del 20% circa)
— formazione di trombi nell’atrio sinistro (40% dei casi) con il pericolo di embolie arteriose (20% dei casi) a livello cerebrale, renale, alle estremità, ecc.
2. conseguenze della stasi/ipertensione polmonare:
— dispnea (da sforzo)
— tosse notturna («asma cardiaco»)
— evtl. emoftoe con «cellule cardiache» (= cellule endoteliali polmonari contenenti emosiderina) nell’escreato
3. conseguenze dell’insufficienza cardiaca destra:
— maggiore pressione venosa con stasi venosa visibile a livello del collo
— fegato/rene da stasi (evtl. proteinuria), edemi periferici
4. conseguenze della minore gittata:
— diminuzione della resistenza allo sforzo
— cianosi periferica con guance rossastre-cianotiche (facies mitralis).
Complicanze
• embolie arteriose (vedi sopra)
• endocardite batterica
• edema polmonare
Auscultazione
Quattro reperti (udibili meglio col paziente in decubito laterale sinistro):
1. I tono cardiaco schioccante, accentuato e breve
2. schiocco d’apertura della mitrale
3. soffio protodiastolico in decrescendo subito dopo lo schiocco d’apertura
4. soffio presistolico in crescendo.
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L’accentuazione del I tono e lo schiocco d’apertura sono determinati dal brusco spostamento dei lembi valvolari, allorquando la pressione ventricolare supera o è inferiore a
quella dell’atrio sinistro.
schiocco d’apertura
I° tono schioccante
In caso di lembi valvolari completamente rigidi lo schiocco d’apertura e l’accentuazione del I tono possono essere assenti.
Il soffio protodiastolico in decrescendo è a bassa frequenza e meglio udibile con il paziente in decubito laterale sinistro e a livello del focolaio della punta. Il soffio presistolico in crescendo scompare in caso di fibrillazione atriale.
R
P
mitralica
DIASTOLE
SM
T
Q
0,1
sec.
SISTOLE
S
1° tono 2° tono
AS
Schiocco d’apertura
AS
VD
Nota: in caso di stenosi grave con ipertensione polmonare si può apprezzare il soffio
diastolico di Graham-Steell, subito dopo la componente polmonare accentuata del 2° tono (= insufficienza valvolare polmonare relativa da distensione dell’anello valvolare).
ECG
— sovraccarico dell’atrio sinistro: P mitralica (P bifida, in II > 0,11 sec.), evtl. fibrillazione atriale con aritmia totale
— sovraccarico del ventricolo destro con segni di ipertrofia destra: rotazione dell’asse elettrico da orizzontale a verticale sino verso destra; indice di Sokolow-Lyon;
RV1 + SV5 o 6 ≥ 1,05 mV.
Radiologia
1. Ingrandimento dell’atrio sinistro:
— nella proiezione postero-anteriore l’atrio sinistro ingrandito può determinare un
doppio contorno del profilo destro del cuore e la prominenza dell’arco medio sinistro da dilatazione dell’auricola sinistra
— in proiezione laterale sinistra, dopo ingestione di bolo di bario, impronta arcuata sull’esofago da riduzione dello spazio retrocardiaco da ingrandimento atriale.
Nota: non vi è alcun vizio mitralico ad effetto emodinamico senza distensione dell’atrio sinistro!
2. Configurazione mitralica del cuore («a forma d’uovo verticale») da:
— ingrandimento dell’atrio sinistro (vedi sopra)
— allargamento dell’arteria polmonare nell’ipertensione polmonare
— rotazione dell’asse cardiaco nell’ipertrofia destra
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Nota: normale posizione cardiaca nel torace: 40% in avanti / 40% verso sinistra /
40° di rotazione dell’asse cardiaco verso sinistra.
3. Evtl. segni di stasi polmonare:
— congestione venosa ilare
— nell’edema polmonare interstiziale, linee B di Kerley ai campi inferiori
— nell’edema polmonare alveolare, aspetto «a vetro smeriglio».
4. Evtl. segni di ipertrofia ventricolare destra con restringimento dello spazio retrosternale nella proiezione laterale.
Nota: nell’ipertrofia ventricolare destra il ventricolo destro (in proiezione p.a.) può
formare il margine cardiaco sinistro; pertanto valutando l’immagine radiologica toracica il margine cardiaco sinistro non andrà identificato col margine del ventricolo
sinistro.
5. Evtl. calcificazione valvolare (radioscopia).
Ecocardiografia
1. ispessimenti fibrotici o calcificazioni dei lembi valvolari
2. apertura incompleta dei lembi valvolari mitralici durante la diastole (posizione «a
cupola»)
3. rallentamento della velocità di chiusura protodiastolica della valvola mitrale (riduzione di pendenza del tratto E-F). Nella valvola mitrale intatta, al flusso protodiastolico segue una identica pressione in atrio e in ventricolo sinistro, i lembi della
mitrale si chiudono e si riaprono per la contrazione atriale per richiudersi all’inizio
della sistole andamento a M della escursione del lembo anteriore
4. l’andamento a M della escursione del lembo anteriore viene perso nella stenosi mitralica. Nella valvola intatta, il lembo posteriore mostra un andamento speculare (a
W) al lembo anteriore, mentre in caso di stenosi mitralica con accollamento delle
cuspidi la cuspide posteriore si muove in avanti, in fase diastolica, parallelamente
a quella anteriore
5. quantificazione della stenosi mitralica mediante calcolo della superficie di apertura
della valvola
6. l’ecocardiografia bidimensionale associata alla velocimetria Doppler permette di valutare il gradiente pressorio attraverso la valvola mitrale
7. l’esistenza di una eventuale insufficienza mitralica secondaria può essere diagnosticata col doppler a colori
8. ingrandimento dell’atrio sinistro (segno indiretto).
Diagnostica invasiva
Cateterismo sinistro:
— determinazione del gradiente pressorio diastolico tra atrio sinistro e ventricolo sinistro
— calcolo della superficie di apertura delle valvole
— prova di una insufficienza mitralica secondaria ed evtl. di altri vizi valvolari
— diagnostica di funzionalità del ventricolo sinistro e valutazione delle arterie coronariche.
Diagnosi differenziale
— insufficienza mitralica (ventricolo sinistro ingrandito!)
— soffio di Austin-Flint nell’insufficienza aortica (ampia escursione della pressione,
configurazione cardiaca di tipo aortico)
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— mixoma dell’atrio sinistro (diagnosi con ecografia)
— difetto del setto atriale (atrio sinistro non ingrandito, sdoppiamento costante del 2°
tono)
— ipertensione polmonare di altra genesi (assenza del tipico reperto auscultatorio).
Diagnosi: auscultazione/fonocardiogramma - radiografia, ecocardiografia.
Terapia
1. Conservativa:
— le possibilità terapeutiche conservative in caso di insufficienza cardiaca conseguente a stenosi mitralica si limitano all’aggiunta di diuretici. Gli ACE-inibitori
non sono di alcuna utilità. La digitale è indicata solo in caso di fibrillazione
atriale
— prevenzione del tromboembolismo con anticoagulanti in caso di fibrillazione
atriale o di ritmo sinusale instabile
— profilassi dell’endocardite (vedi cap. Endocardite infettiva).
2. Tramite cateterismo: valvuloplastica percutanea con catetere a palloncino.
3. Chirurgica classica o toracoscopica:
— ricostruzione valvolare: correzione chirurgica della stenosi ed eventuale ricostruzione parziale dell’apparato valvolare, in caso di valvola non calcificata, ben
mobile, senza rilevante componente di insufficienza valvolare; vantaggio: basso
rischio operatorio, basso rischio tromboembolico, buoni risultati
— sostituzione valvolare: in caso di valvola calcificata e di evidente componente
da insufficienza valvolare (per i particolari vedi cap. Malformazioni cardiache
congenite).
Indicazioni all’intervento:
a partire dallo stadio medio.
Prognosi
1. valvuloplastica: il 75% dei pazienti migliora dopo l’intervento; mortalità intra-ospedaliera < 1%.
Pericolo di recidiva: ca. 2% all’anno.
2. sostituzione valvolare: mortalità intra-ospedaliera ca. il 5%; tasso di sopravvivenza
a 10 anni: ca. il 60%.
Decisivo per la prognosi a lungo termine post-intervento è lo stato della funzionalità pre-operatoria del miocardio! (in caso di cattiva funzionalità cardiaca prognosi
infausta).
L’ipertensione polmonare secondaria può diventare autonoma (danno dell’intima) ed
è irreversibile anche dopo un intervento pertanto intervento chirurgico precoce a
partire dallo stadio medio-grave.
INSUFFICIENZA MITRALICA
Epidemiologia
I vizi mitralici sono, nell’adulto, i secondi per frequenza; nel 40% dei casi si tratta di
steno-insufficienza; F > M.
Eziologia
a. raramente congenita
b. quasi sempre acquisita:
— endocardite reumatica
— endocardite batterica
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— prolasso della valvola mitralica
— insufficienza cardiaca sinistra con dilatazione ventricolare sinistra (insufficienza
valvolare relativa)
— infarto miocardico con necrosi del muscolo papillare
— dopo commissurotomia (valvuloplastica).
Fisiopatologia
Incapacità della valvola mitralica di chiudersi rigurgito sistolico nell’atrio sinistro sovraccarico di volume nell’atrio sinistro + ventricolo sinistro dilatazione dell’atrio
sinistro ed ipertrofia ventricolare sinistra.
Contrariamente alla stenosi mitralica la pressione nell’atrio sinistro aumenta soltanto
quando il ventricolo sinistro è sovraccaricato dal volume di rigurgito diventando così
insufficiente scompenso del ventricolo sinistro aumento pressorio nell’atrio sinistro ipertensione polmonare sovraccarico pressorio nel ventricolo destro insufficienza cardiaca destra terminale.
Clinica
a. Insufficienza mitralica cronica:
per il più favorevole sovraccarico di volume, in caso di insufficienza mitralica lieve le aspettative di vita possono essere pressoché normali. Comunque i sintomi possono mancare o essere insignificanti per lungo tempo anche in caso di insufficienza
mitralica notevole. Soltanto con l’insufficienza ventricolare sinistra si instaurano
rapidamente disturbi più gravi come dispnea, palpitazioni, attacchi notturni di tosse, ecc. Il quadro clinico è simile a quello della stenosi mitralica.
b. Insufficienza mitralica acuta:
nell’insufficienza mitralica acuta (ad es. da necrosi del muscolo papillare nell’infarto) manca il tempo per l’adattamento cardiaco e si instaura rapidamente uno scompenso ventricolare sinistro con edema polmonare ed evtl. shock cardiogeno.
Auscultazione (ottimale col paziente in decubito laterale sinistro)
• 1° tono lieve
• spesso 3° tono (tono di riempiR
SISTOLE DIASTOLE
mento)
P
• soffio (olo)sistolico in decrescendo
o continuo direttamente dopo il 1°
T
tono, punto massimo sopra la punQ
S
ta cardiaca con irradiazione alla
0,1
1° tono
2° tono
regione ascellare
sec.
• evtl. soffio diastolico a bassa frequenza (dopo il 3° tono) in caso
di grave insufficienza mitralica
con grande volume di rigurgito
(stenosi mitralica relativa).
IM
2° tono
AS
AS
VS
ECG: in caso di insufficienza mitralica più pronunciata, segni di sovraccarico del cuore sinistro: P mitralica (P in II > 0,11 sec. e bifida), evtl. fibrillazione atriale con aritmia totale, evtl. segni di ipertrofia sinistra. I segni di un successivo sovraccarico del cuore destro (con ipertensione polmonare) spesso non sono presenti all’ECG.
Radiologia
1. ingrandimento dell’atrio sinistro e (contrariamente alla stenosi mitralica) anche del
ventricolo sinistro: proiezione p.a.: cuore ingrandito a configurazione mitralica a
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contorno sporgente. Proiezione laterale: restringimento dello spazio retrocardiaco a
livello atriale e ventricolare (dopo assunzione di bario)
2. segni finali di stasi polmonare
— congestione venosa ilare
— nell’edema polmonare interstiziale, linee B di Kerley
— nell’edema polmonare alveolare, aspetto «a vetro smeriglio».
Ecocardiografia: segni indiretti: ingrandimento dell’atrio sinistro e del ventricolo sinistro,
documentazione diretta di gittata ridotta al doppler a colori, evtl. documentazione del
prolasso della valvola mitralica, della rottura del lembo mitralico.
Diagnostica invasiva (cateterismo cardiaco sinistro)
1. misurazione della pressione: tipica curva pressoria atriale sinistra nell’insufficienza
mitralica con aumento pressorio sistolico (normale: diminuzione della pressione sistolica nell’atrio sinistro)
2. iniezione del mezzo di contrasto nel ventricolo sinistro: quantificazione dell’insufficienza tramite valuzione della frazione di rigurgito; valutazione della velocità di
passaggio e della mobilità valvolare
3. documentazione di una eventuale stenosi mitralica secondaria, esclusione di altri vizi cardiaci, diagnostica di funzionalità del ventricolo sinistro e valutazione delle arterie coronariche:
Grado di
gravità
Frazione di rigurgito in %
della gittata pulsatoria
I
< 15
II
15-30
III
30-50
IV
> 50
Diagnosi differenziale
1. insufficienza relativa della tricuspide nello scompenso cardiaco destro: questo soffio sistolico è più accentuato con l’inspirazione, non si irradia alla zona ascellare e
sparisce dopo compenso
2. stenosi aortica (soffio sistolico sopra l’aorta con irradiazione alle carotidi)
3. difetto del setto ventricolare (ecocardiogramma)
4. soffio sistolico funzionale (diagnosi per esclusione).
Diagnosi: auscultazione/fonocardiogramma - radiografia - ecocardiogramma.
Terapia
1. Conservativa:
— trattamento dell’insufficienza cardiaca (vedi)
— prevenzione del tromboembolismo con anticoagulanti, in caso di fibrillazione
atriale o ritmo sinusale instabile
— profilassi dell’endocardite (vedi cap. Endocardite batterica)
2. Chirurgica: ricostruzione (se possibile) delle valvola mitralica, altrimenti sostituzione valvolare (vedi cap. Stenosi mitralica).
Indicazioni:
— insufficienza mitralica acuta: urgente!
— insufficienza mitralica cronica: pazienti evidentemente sintomatici
— progressione dallo stadio II al III.
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PROLASSO DELLA MITRALE
Sinonimi: sindrome di Barlow o del click sistolico.
Definizione: protrusione sistolica della cuspide posteriore della valvola mitrale o di entrambe le cuspidi nell’atrio sinistro. Spesso non comporta alcuna compromissione emodinamica o clinica, più raramente ne risulta un’insufficienza mitralica con conseguenze
cliniche.
Epidemiologia: forma più frequente di alterazione valvolare in età adulta. Prevalenza
4-10%, F > M, familiarità.
Eziologia
1. spesso anomalia congenita in corso di malattie del tessuto connettivo (nel 90% dei
pazienti con sindrome di Marfan: conformazione leptosomica, slanciata, estremità
abnormemente lunghe, aracnodattilia, iperestensibilità articolare)
2. acquisita: proliferazione mixomatosa ad eziologia non chiara dei lembi mitralici,
disfunzione post-infartuale del muscolo papillare, ecc.
Clinica
La maggior parte dei soggetti colpiti è asintomatica. In una piccola parte dei pazienti
sono presenti:
• disturbi del ritmo (extrasistoli ventricolari, tachicardie sopraventricolari parossistiche)
con palpitazioni, vertigini, evtl. sincopi
• disturbi atipici similanginosi
• raramente disturbi del tipo insufficienza mitralica
Complicanze
Sono rare: nell’insufficienza mitralica evtl. endocardite batterica ed embolie arteriose,
evtl. tachiaritmie ventricolari con morte cardiaca improvvisa (molto rara).
Auscultazione: click mesosistolico, in caso di insufficienza mitralica soffio sistolico subito
dopo il 1° tono.
ECG: nella maggior parte dei casi normale, evtl. disturbi nella genesi dello stimolo e nel
ritmo (ECG sec. Holter).
Ecocardiografia
• prolasso sistolico nell’atrio sinistro di uno o ambedue i lembi mitralici (a forma di
«amaca»)
• documentazione di un eventuale jet da rigurgito al doppler a colori.
Diagnosi differenziale
• soffi sistolici di altra genesi
• cardiopatia coronarica.
Diagnosi
Auscultazione, ecocardiogramma.
Terapia: solo in caso di disturbi, ad es.:
• trattamento dei disturbi del ritmo e della sintomatologia simil-anginosa con β-bloccanti
• trattamento di una insufficienza mitralica emodinamicamente significativa (vedi)
• profilassi dell’endocardite nell’insufficienza mitralica emodinamicamente significativa
Prognosi: la maggior parte dei pazienti ha prognosi favorevole.
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STENOSI AORTICA
Classificazione
1. Stenosi aortica valvolare (tipo più frequente).
2. Stenosi aortica subvalvolare: due varianti:
— forma membranosa
— forma fibromuscolare.
3. Stenosi sopra-valvolare (molto rara, ad es. nella sindrome congenita di WilliamsBeuren: delezione del braccio lungo del cromosoma 7).
STENOSI AORTICA VALVOLARE
Epidemiologia
Negli adulti è la valvulopatia più frequente, M > F.
Eziologia
1. congenita: fusione commissurale o asimmetria del lembo, spesso in caso di impianto valvolare bicuspide
2. calcificazione secondaria di una valvola aortica bicuspide: la stenosi valvolare si
manifesta generalmente nella 4ª-5ª decade di vita
3. acquisita:
— reumatica: con deformazione cicatriziale delle cuspidi e fusione commissurale:
nella maggior parte dei casi si tratta di steno-insufficienza aortica
— senile degenerativa sclerotica: di regola senza deformazione valvolare, e solo con
limitata fusione commissurale; l’insufficienza valvolare è assente o molto limitata.
Fisiopatologia
Quando la superficie di apertura della valvola aortica (normale > 2,5 cm2) è diminuita
di oltre un terzo, si instaurano insufficienze emodinamiche con:
1. sovraccarico pressorio del ventricolo sinistro ipertrofia concentrica minore
elasticità del ventricolo sinistro aumento della pressione di riempimento telediastolica
2. insufficienza coronarica, causata da:
— maggiore fabbisogno di ossigeno (sovraccarico pressorio)
— minore perfusione coronarica (bassa pressione post-stenotica nell’aorta + maggiore pressione ventricolare telediastolica)
— ostacolata diffusione di O2 al cuore ipertrofico.
Clinica
Nella stenosi lieve spesso non vi sono disturbi. La comparsa dei sintomi avviene a un
grado elevato di stenosi:
— pallore, affaticabilità
— polso piccolo e tardo, ridotta pressione arteriosa sistemica con ridotta pressione differenziale
— vertigini, sincopi
— dispnea da sforzo
— angina pectoris.
Complicanze
— sincope in caso di sforzo fisico (25%)
— morte cardiaca improvvisa in caso di pazienti sintomatici (20%)
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— insufficienza cardiaca sinistra
— microembolizzazione a partenza dai lembi valvolari aortici calcifici
— disturbi del ritmo.
Auscultazione (ottimale col paziente seduto e piegato in avanti)
1. reperto tipico: soffio sistolico a diamante, di timbro rude:
— punto massimo di auscultazione: II spazio intercostale sulla parasternale destra
— inizio col 1° tono
— irradiazione del soffio alle carotidi
— tanto maggiore è la stenosi, tanto più tardivo è l’acme del soffio nella telesistole
2. click d’eiezione protosistolico, che manca nella stenosi grave
3. nella stenosi grave, riduzione della componente aortica del 2º tono
4. 2° tono sdoppiato, variabile col respiro; nella stenosi grave eventuale sdoppiamento
paradosso del 2° tono.
R
SISTOLE
Q
S
DIASTOLE
SA
P
0,1
sec.
1° tono
2° tono
A
P
Click
lieve
A
P
intenso
1° tono
indebolito
sdoppiamento paradosso
Ao
VS
ECG: compaiono alterazioni solo in caso di stenosi grave: segni di ipertrofia ventricolare
sinistra (indice di Sokolow e Lyon: SV1 + RV5 o 6 > 3,5 mV); onde T negative come
espressione di ipertrofia da sovraccarico di pressione (V4-6).
Nota: quando le onde T sono negative, il gradiente di pressione transvalvolare solitamente è > 50 mm Hg. In caso di contemporanea ipertrofia da sovraccarico di volume
(insufficienza + stenosi) è tipica la presenza di onde Q piccole e appuntite.
Radiologia
— nello stadio compensato, cuore quasi normale (dilatazione solo tardiva)
— dilatazione post-stenotica dell’aorta ascendente
— eventuali calcificazioni valvolari aortiche (radioscopia).
Ecocardiografia
• ispessimento fibrotico o calcificazione delle valvole aortiche
• minore mobilità valvolare
• minore capacità di apertura con posizione «a cupola» delle valvole durante la sistole
• evtl. dilatazione post-stenotica dell’aorta ascendente
• ipertrofia ventricolare sinistra
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• determinazione del gradiente pressorio (doppler)
• documentazione del reflusso in caso di eventuale contemporanea insufficienza aortica
(doppler a colori).
Diagnostica invasiva (cateterismo cardiaco sinistro)
• determinazione del gradiente pressorio sistolico tra il ventricolo sinistro e l’aorta
• calcolo della superficie di apertura valvolare
• dimostrazione di una insufficienza aortica secondaria ed evtl. di altri vizi valvolari
(ad es. stenosi mitralica)
• diagnostica di funzionalità del ventricolo sinistro e valutazione delle arterie coronariche.
Grado di gravità
Gradiente pressorio
medio (mm Hg) (*)
Superficie di apertura valvolare
(cm2)
lieve
< 25
> 1,5
medio
25-50
0,8-1,5
grave
> 50
< 0,8
(*): con frazione d’eiezione non ridotta e con frequenza cardiaca e gittata media normali
Diagnosi differenziale
• arteriosclerosi delle valvole aortiche (senza effetti emodinamici)
• cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva (segni di ipertrofia ventricolare sinistra + onda Q
appuntita all’ECG; ipertrofia del setto all’ecocardiogramma).
Diagnosi: auscultazione /fonocardiogramma /curva del polso carotideo + ecocardiogramma.
Terapia
a. Conservativa:
— a partire dalla stenosi di grado medio evitare gli sforzi fisici
— nell’insufficienza cardiaca sinistra conclamata: diuretici; non vi è accordo sull’utilità di digitale e ACE-inibitori
— profilassi contro l’endocardite (vedi cap. Endocardite batterica).
b. Chirurgica:
— nei bambini con stenosi valvolare congenita (valvola aortica bicuspide): valvuloplastica con palloncino
— nell’adulto con calcificazione dell’anulus: rimozione delle calcificazioni con ultrasuoni oppure, nella maggior parte dei casi, sostituzione valvolare. Nei pazienti più giovani evtl. sostituzione valvolare tramite autotrapianto della polmonare
(intervento di Ross).
Si interviene su una eventuale coronaropatia effettuando contemporaneamente
un by-pass.
Indicazioni per l’intervento chirurgico
La stenosi aortica sintomatica non trattata chirurgicamente ha una prognosi sfavorevole. Con un intervento tempestivo è una delle valvulopatie trattabili con maggiore
successo.
L’intervento avviene nell’adulto preferibilmente al sorgere dei primi sintomi (angina pectoris, vertigini, sincopi, ecc.). L’intervento chirurgico andrebbe effettuato prima che si instauri l’insufficienza cardiaca sinistra!
Nei bambini con stenosi aortica valvolare congenita critica è indicata la valvuloplastica con palloncino già nello stadio asintomatico.
Mortalità perioperatoria: ca. 2%.
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Prognosi: la stenosi aortica (sovraccarico pressorio) ha prognosi meno fausta dell’insufficienza aortica (sovraccarico di volume). I pazienti sotto sforzo sono sottoposti ad altissimo rischio dovuto allo scompenso del cuore sinistro, insufficienza coronarica e disturbi del ritmo (causa di morte improvvisa nel 20% circa). Alla comparsa dei sintomi,
la probabilità di sopravvivenza media è ridotta a 3 anni. Tanto più la funzione del ventricolo sinistro risulta limitata prima dell’intervento tanto più infausta è la prognosi (sia
come rischio operatorio sia come risultato a lungo termine). Un intervento chirurgico
precoce è pertanto raccomandabile!
La percentuale di sopravvivenza a 10 anni dei pazienti operati è di circa il 65%.
INSUFFICIENZA AORTICA
Eziologia
1. raramente congenita (evtl. associata ad altri vizi)
2. quasi sempre acquisita:
— più frequentemente endocardite reumatica (65% dei casi)
— endocardite batterica
— mesaortite luetica
— post traumatica
— aneurisma dissecante, ecc.
Fisiopatologia
Conseguenze fisiopatologiche del reflusso nell’insufficienza aortica:
— volume pulsatorio aumentato per la quota di rigurgito
— sovraccarico di volume del ventricolo sinistro — ipertrofia eccentrica e crescente dilatazione dell’anello
Clinica
— sintomo principale: polso celere ed ampio («a martello pneumatico»), aumento della pressione differenziale
• P sistolica aumentata (aumentato volume pulsatorio)
• P diastolica diminuita (rigurgito diastolico dall’aorta al ventricolo)
La misurazione della pressione arteriosa con uno sfigmomanometro di Riva-Rocci
può fornire valori di 150/0 mm Hg, dove il valore 0 è un errore di misurazione, dovuto all’assenza dei toni di Korotkoff.
Nota: in caso di contemporanea stenosi valvolare organica prevale solitamente la
stenosi, che riduce la pressione arteriosa sistolica.
La pressione arteriosa differenziale è così tipicamente elevata da aver indotto
Volhard a dire: «La diagnosi di insufficienza aortica viene fatta in base al polso celere ed ampio, mentre il soffio ne fornisce soltanto la conferma!».
— fenomeni pulsatori quale conseguenza delle ampie variazioni pressorie, ed es.:
• rimbombo nel capo in sincronia col polso
• pulsazioni visibili delle carotidi
• polso capillare visibile (Quincke) dopo lieve pressione su un’unghia
• movimento pendolare del capo in sincronia col polso (segno di Musset).
— palpitazioni, affaticabilità immediata.
— sintomi premonitori di uno scompenso incombente sono:
• angina pectoris
• segni di insufficienza cardiaca sinistra (dispnea, stasi polmonare).
— palpazione: itto della punta spostato verso il basso all’esterno.
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Auscultazione
1. Tipico dell’insufficienza aortica è il soffio diastolico in decrescendo immediatamente dopo il II tono cardiaco. Ha le caratteristiche di un rumore ad alta frequenza, di lieve entità e soffiante. Punto di massima auscultazione sul focolaio aortico o
sul punto di Erb (III spazio intercostale sinistro sulla parasternale) col paziente seduto in avanti.
2. Altri due reperti auscultatori sono di tipo funzionale:
— regolarmente si percepisce anche un soffio a diamante, indice di stenosi aortica
relativa (da alterato rapporto fra apertura valvolare normale e volume di sangue
espulso notevolmente aumentato)
— soffio di Austin-Flint: rullio meso-telediastolico da ostacolo rappresentato dal
lembo anteriore della mitrale spostato dal riflusso diastolico. Al contrario della
stenosi mitralica organica, mancano lo schiocco d’apertura della mitrale e la dilatazione atriale sinistra.
R SISTOLE
DIASTOLE
P
IA
T
Q
0,1
sec.
S
1° tono
2° tono
Ao
VS
ECG: segni di ipertrofia ventricolare sinistra (rapida ascesa verticale, appiattimento o indice di Sokolow-Lyon: SV1 + RV5 o 6 > 3,5 mV). Le onde Q marcate sono tipiche dell’ipertrofia eccentrica da sovraccarico di volume, mentre nella stenosi aortica (= ipertrofia concentrica da sovraccarico di pressione) si hanno solo più tardi onde T invertite.
Radiologia: configurazione aortica: ventricolo sinistro aumentato di volume, dilatazione ed
allungamento dell’aorta ascendente, cappuccio aortico prominente. Nelle forme conclamate, cosiddetto cuore «a scarpa». Pulsatilità dell’aorta e del ventricolo sinistro (radioscopia).
mitrale
aortica
configurazione cardiaca
Ecocardiografia: segni indiretti:
— oscillazione diastolica del lembo (anteriore) della mitrale, eventualmente anche del
setto, in seguito al reflusso del sangue
— in una insufficienza di grado elevato i lembi della mitrale si chiudono anticipatamente per effetto dell’aumentata pressione ventricolare in diastole
— diametro telediastolico ventricolare sinistro aumentato.
Documentazione diretta del rigurgito da insufficienza con il doppler a colori.
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Diagnostica invasiva (cateterismo cardiaco sinistro)
— iniezione di mezzo di contrasto nell’aorta ascendente: valutazione dell’insufficienza
valvolare tramite determinazione della frazione di rigurgito nel ventricolo sinistro e
della velocità di diluizione
— valutazione del gradiente di pressione: si effettua a livello della valvola aortica per
determinare l’entità del vizio e l’eventuale presenza di vizi associati
— diagnostica funzionale del ventricolo sinistro.
Grado di
gravità
Frazione di rigurgito in %
della gittata pulsatoria
I
< 15
II
15-30
III
30-50
IV
> 50
Diagnosi differenziale
— soffio di Graham-Steel in caso di insufficienza polmonare relativa (dovuto a ipertensione polmonare con iperdistensione dell’anello valvolare): soffio diastolico scrosciante successivamente alla componente polmonare del 2° tono. Assenza di ampia
escursione pressoria e di fenomeni pulsatori
— dotto arterioso di Botallo persistente (anche elevata ampiezza della pressione differenziale, e presenza di soffio sisto-diastolico «a macchina a vapore»)
— rumori continui sistolico-diastolici si hanno raramente anche in caso di:
• aneurismi artero-venosi
• fistola polmonare-aortica
• aneurisma del seno di Valsalva perforato.
Diagnosi: clinica, auscultazioni, doppler a colori.
Terapia
a. Conservativa
• come nell’insufficienza cardiaca (vedi il relativo capitolo)
• profilassi dell’endocardite (vedi cap. Endocardite batterica)
b. Chirurgica
• ricostruzione valvolare (se possibile)
• sostituzione valvolare (valvola artificiale, biologica, trapianto valvolare).
Mortalità intraospedaliera: 3-6%; tasso di sopravvivenza a 10 anni: 50-60%.
Indicazioni
• insufficienza acuta: urgente!
• insufficienza cronica: il periodo ottimale è prima che si sviluppi una insufficienza cardiaca sinistra: progressione dal II al III stadio.
Prognosi: tanto più è limitata la funzione ventricolare sinistra prima dell’intervento, tanto
più infausta è la prognosi (per quanto concerne rischio chirurgico e risultato a lungo
termine)! È pertanto raccomandabile intervenire precocemente.
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MALFORMAZIONI CARDIACHE CONGENITE IN
PAZIENTI ADULTI
Epidemiologia: circa l’1% della popolazione è affetto da malformazioni a carico del cuore
o dei grossi vasi. In assenza di trattamento, la mortalità nei primi mesi di vita raggiunge il 25 %, al quale si aggiunge un ulteriore 55% nei primi 2 anni. In assenza di trattamento, solo il 15% dei casi raggiunge l’età adulta.
Negli ultimi decenni, grazie ai progressi della medicina, l’elevata mortalità primitiva
delle malformazioni congenite si è ridotta a meno del 15%. Ciò significa che, in Germania, dei 6500 bambini che nascono ogni anno con malformazioni cardiache congenite, 5000 riescono a raggiungere l’età adulta.
Eziologia: il periodo critico per lo sviluppo del cuore e dei vasi va dal 14° al 60° giorno
di gravidanza. In questo periodo possono agire gli eventuali fattori lesivi (esogeni e genetici) che conducono alla comparsa di anomalie cardiache e vascolari:
1. danni teratogeni, ad es.
• abuso di alcoolici embriofetopatia alcoolica con handicap psichico, dismorfismo, spesso DIV, DIA, DAP
• infezioni, ad es. rosolia (DAP, SP periferica, DIV, DIA, CoA, ecc.)
• farmaci: vengono qui citati solo alcuni esempi. In caso di prescrizione di farmaci
in gravidanza valutare sempre il potenziale rischio; considerare le informazioni
fornite dalla casa produttrice; eventualmente informarsi adeguatamente prima della prescrizione!
— antiepilettici: idantoina, barbiturici, acido valproico (SP, SA, CoA, DAP)
— retinoidi (DIV, DIA, DAP)
— litio (con frequenza particolarmente elevata: anomalia di Ebstein, DIA)
• malattie della madre:
— diabete mellito, soprattutto in caso di scarso controllo metabolico (DIV, ecc.)
— fenilchetonuria (tetralogia di Fallot, DIV, DIA, ecc.)
2. aberrazioni cromosomiche:
Sindrome (esempi)
Aberrazione cromosomica
Malformazioni cardiache
sindrome di Down
sindrome di Ulrich-Turner
sindrome di Williams-Beuren
trisomia 21
cariotipo 45,X0
delezione cromosomica
submicroscopica 7q11.23 nella
regione del gene dell’elastina
DIV, DIA
aorta bicuspide, CoA
SA sopravalvolare
Introduzione: quasi tutti i pazienti con malformazione cardiaca congenita richiedono, nel
corso della vita, un trattamento cardiologico specifico, reso necessario dalle condizioni
residue anatomiche o elettrofisiologiche (alterazioni residue o conseguenze dell’intervento chirurgico).
Alterazioni residue: alterazioni post-chirurgiche anatomiche o emodinamiche già preesistenti all’intervento in quanto parte della malformazione congenita, oppure sviluppatesi
in seguito come conseguenza della malformazione stessa.
Conseguenze dell’intervento: conseguenze anatomiche o emodinamiche direttamente
correlate all’intervento e non evitabili.
Nel decorso successivo possono poi manifestarsi problemi quando i pazienti per motivi
d’età non sono più seguiti dal cardiologo pediatra; solo in pochi centri cardiologici per
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adulti esistono infatti esperienze e competenze specifiche per il trattamento di queste
forme.
Nella chirurgia dei vizi congeniti gli interventi vengono distinti in palliativi e correttivi.
Intervento correttivo: con il concetto di «correzione» si intende che l’intervento cardiochirurgico ripristina ed assicura una funzione normale, che la spettanza di vita diviene
normale e che in futuro non saranno più necessari altri provvedimenti medici o chirurgici.
Intervento correttivo «incerto»: esiste il rischio che prima o poi si manifestino complicanze che richiederanno ulteriori trattamenti medici o chirurgici (ad es. stenosi dell’istmo dell’aorta, trasposizione dei grossi vasi, tetralogia di Fallot, ecc.)
Intervento palliativo: creazione di uno shunt aorto-polmonare, intervento di «switch
atriale» (sec. Mustard o Senning), impianto di condotti, intervento per atresia della polmonare con difetto del setto interventricolare e collaterali aortopolmonari; anche trapianto di cuore, cuore-polmone o polmone.
Classificazione delle malformazioni cardiache congenite: gli 8 vizi cardiaci più frequenti
costituiscono circa l’85% di tutte le malformazioni cardiache congenite:
Vizi valvolari non cianogeni
ostruzione di valvole / vasi
• stenosi polmonare (13%)
• stenosi aortica (6%)
• stenosi dell’istmo aortico (7%)
shunt primitivo sinistro-destro
• difetto del setto interatriale (10%)
• difetto del setto interventricolare
(isolato ca. 20%)
• dotto arterioso di Botallo
persistente (10%)
Vizi valvolari cianogeni
shunt destro-sinistro
• tetralogia di Fallot (14%)
• trasposizione completa dei
grossi vasi (5%)
A. MALFORMAZIONI CARDIACHE CONGENITE SENZA SHUNT
STENOSI POLMONARE (SP) NELL’ADULTO - OSTRUZIONE DEL TRATTO DI
EFFLUSSO DEL VENTRICOLO DESTRO
Definizione: ne esistono 4 forme:
• stenosi valvolare: è coinvolta la valvola; può essere acommissurata, unicommissurata, bicuspide, tricuspide o displastica
• stenosi sottovalvolare: localizzata a livello infundibolare o sottoinfundibolare
• stenosi sopravalvolare: membrana o cresta fibrosa al di sopra del seno di Valsalva
• stenosi periferica: stenosi singola o multipla, unilaterale o bilaterale, a carico delle
arterie polmonari periferiche.
Epidemiologia
• stenosi valvolare: 10% circa di tutti i vizi cardiaci congeniti
• stenosi sotto / sopravalvolare: 3% circa dei vizi cardiaci congeniti
• M:F = 1:1
• anomalie associate: ad es. tetralogia di Fallot
• esiste in forma isolata oppure quale componente di vizi cardiaci più complessi.
Fisiopatologia: stenosi del tratto di efflusso del ventricolo destro aumento della pressione a monte della stenosi (ventricolo destro) e riduzione della pressione a valle (arteria polmonare). Sovraccarico di pressione del ventricolo destro ipertrofia concentri159
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ca scompenso cardiaco destro (nell’evoluzione a lungo termine). Flusso ematico turbolento subito a valle della stenosi dilatazione dell’arteria polmonare (dilatazione
post-stenotica).
Classificazione del livello di gravità (corrispondente al gradiente pressorio rilevato tramite
ecocardiodoppler o con metodo manometrico tra il ventricolo destro e l’arteria polmonare):
Definizione della stenosi
Gradiente (∆p)
minima
< 25 mm Hg
lieve
25-49 mm Hg
media
50-79 mm Hg
elevata
≥ 80 mm Hg
Decorso naturale (evoluzione spontanea in assenza di trattamento chirurgico)
• quasi tutti i pazienti raggiungono l’età adulta (ad eccezione dei bambini con stenosi
polmonare valvolare critica)
• età media di morte: 26 anni (in studi poco recenti)
• sopravvivenza anche sino ad oltre 70 anni
• l’evoluzione spontanea dipende da:
— gravità della stenosi iniziale
— progressione nell’ulteriore decorso
— capacità del ventricolo destro di sopportare l’ulteriore sovraccarico
• col progredire dell’età, l’evoluzione fibrosante può aumentare la gravità di una stenosi valvolare già grave
• dopo i 40 anni, calcificazione della valvola
• con l’aumentare del gradiente, incremento dell’ipertrofia ventricolare destra e possibile sviluppo di stenosi infundibolare
• nelle stenosi gravi, dilatazione del cuore destro con conseguente insufficienza destra
• cause di morte nel decorso naturale: insufficienza cardiaca destra, morte cardiaca improvvisa indotta dal sovraccarico
• shunt destro-sinistro, quando il forame ovale persistente viene ampliato dal sovraccarico di volume dell’atrio destro
• endocardite infettiva piuttosto rara.
Clinica
Sintomi caratteristici:
• gittata cardiaca ridotta e non modificabile sotto sforzo
• rapporto diretto tra entità dei disturbi e gravità della stenosi.
Altri disturbi: affaticabilità, dispnea (da sforzo), insufficienza cardiaca, dolori stenocardici, sincope.
Ispezione / Palpazione
• paziente inizialmente non cianotico
• cianosi periferica in caso di bassa gittata cardiaca
• cianosi centrale nello shunt destro-sinistro a livello atriale
• pulsatilità ben evidente sulla marginosternale sinistra inferiore
• fremito sistolico sulla parasternale sinistra
• evtl. segni di insufficienza cardiaca destra.
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Auscultazione
Stenosi
valvolare
click d’eiezione
protosistolico
polmonare
• nella stenosi
valvolare lieve e
media
• assente in caso di
valvola displastica
2° tono
nettamente sdoppiato
con componente
polmonare ridotta
soffio
• soffio sistolico
eiettivo
• focolaio
d’ascoltazione:
2°-3° spazio
intercostale sulla
parasternale sinistra
con irradiazione
posteriore
sottovalvolare
sopravalvolare
periferica
assente
assente
assente
• soffio sistolico
eiettivo
• focolaio
d’ascoltazione:
più basso
• soffio sistolico
eiettivo
• focolaio
d’ascoltazione:
più alto
• soffio sistolico
eiettivo alla
periferia
polmonare
• in parte soffio
continuo
ECG: in caso di stenosi lieve l’ECG può essere normale; nelle stenosi di maggiore gravità:
• onda P di tipo atriale destro e/o segni di ipertrofia ventricolare destra (indice di
Sokolow-Lyon di tipo destro)
• BBD incompleto o completo.
Radiologia
• diametro cardiaco trasverso non aumentato, sino a quando non compare insufficienza
ventricolare destra
• apice cardiaco elevato in caso di ipertrofia destra
• riduzione dello spazio retrosternale
• dilatazione post-stenotica del profilo dell’arteria polmonare (nessun rapporto con
l’entità della stenosi)
• talvolta aumento eccessivo dell’arteria polmonare sinistra
• ridotto disegno vascolare polmonare periferico
• calcificazioni della valvola polmonare.
Ecocardiografia
• ecocardiografia bidimensionale: valutazione dell’anatomia e funzione della valvola
polmonare, dell’ampiezza dell’anello valvolare e dell’arteria polmonare, della dimensione e funzione del cuore destro
• indagine doppler: quantificazione del gradiente; stima delle pressioni ventricolare destra e in arteria polmonare; valutazione di una concomitante insufficienza polmonare.
Cateterismo cardiaco
Indicazioni:
• quando l’indagine radiologica classica non è praticabile
• quando è prevista contemporaneamente una procedura interventistica
• in caso di anomalie associate
• in caso di concomitante cardiopatia ischemica.
Terapia
Indicazioni al trattamento:
• pazienti sintomatici ed asintomatici con gradiente massimo > 50 mmHg
• valori pressori nel ventricolo destro superiori alla metà dei valori pressori sistemici
(attenzione: la pressione ventricolare destra è ridotta in caso di insufficienza cardiaca!)
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• evtl. anche in caso di desiderio di praticare uno sport agonistico o prima di una gravidanza pianificata
1. Valvuloplastica con palloncino:
– trattamento di scelta in attesa dell’intervento chirurgico
– risultati a lungo termine eccellenti
– frequenza di restenosi < 5%
– scarsi risultati in caso di valvole displastiche o calcificate
– in caso di stenosi centrale o periferica dell’arteria polmonare è possibile nella
stessa seduta procedere al posizionamento di uno stent.
2. Intervento chirurgico:
– stenosi valvolare: valvulotomia
– valvola displastica: generalmente è necessaria la sostituzione valvolare
– stenosi infundibolare / sottovalvolare: resezione, evtl. con ampliamento del tratto
di efflusso
– stenosi sopravalvolare: resezione con applicazione di «patch».
Alterazioni residue e conseguenze dell’intervento
• generalmente si ottengono ottimi risultati funzionali in caso di intervento o dilatazione precoce
• spettanza di vita post-intervento pressochè normale
• graduale regressione dell’ipertrofia destra
• stenosi residua (3-5%, sia dopo dilatazione che dopo intervento)
• insufficienza valvolare polmonare, in particolare dopo ampliamento del tratto di efflusso del ventricolo destro
• complessivamente il rischio di endocardite è modesto, ma persiste anche dopo l’intervento
• reintervento: circa 3% dopo 20-30 anni.
COARTAZIONE AORTICA (CoA) NELL’ADOLESCENTE E NELL’ADULTO
Sinonimo: stenosi dell’istmo dell’aorta
Definizioni
• istmo dell’aorta: restringimento fisiologico tra il
collaterali
punto d’emergenza dell’arteria succlavia sinistra
e lo sbocco aortico del dotto di Botallo
• stenosi dell’istmo dell’aorta: coarctactio aortae:
stenosi organica di questa regione
aorta
a. polmonare
• dal punto di vista patogenetico, alla base della
CoA vi è il tessuto duttale che avvolge la parete
dell’aorta a mo’ di tenaglia e causa una stenosi da raggrinzimento post-natale.
Negli adulti la forma più frequente è la stenosi istmica «post-duttale», posta distalmente all’emergenza dell’arteria succlavia sinistra, a livello del punto d’inserzione del dotto di Botallo nell’aorta.
Da queste stenosi istmiche «dell’adulto», va distinta la CoA pre-duttale posta al di sopra dell’inserzione del dotto di Botallo. A seguito dell’alterazione emodinamica di base e alle frequenti anomalie concomitanti, questa stenosi istmica «infantile» provoca di
regola sintomi più gravi rispetto alla forma dell’adulto. In assenza di trattamento, circa
il 90% dei pazienti con forma infantile muore entro il 1° anno di vita!
Qui di seguito viene trattata solo la CoA post-duttale (dell’adulto).
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Epidemiologia
Costituisce circa il 7% di tutte le cardiopatie congenite; M:F ~ 2:1.
Anomalie associate:
— aorta bicuspide (sino all’85% dei casi), DIV, alterazioni della mitrale
— aneurismi intracranici a carico del circolo del Willis
— sindrome di Turner.
Fisiopatologia
• perfusione della metà inferiore del corpo tramite vasi collaterali, il cui coinvolgimento dipende dal grado della stenosi.
Collaterali: dalle ramificazioni vascolari dell’a. succlavia, a. toracica interna, tronco
tireocervicale, a. sottoscapolare o a. spinale anteriore flusso ematico nelle arterie
intercostali nell’aorta al di sotto della stenosi istmica perfusione ematica delle
parti del corpo poste al di sotto della stenosi.
• stenosi ipertensione brachio-cefalica e ipotensione addomino-femorale.
Decorso naturale
• dei pazienti che superano i primi 2 anni di vita, il 25% muore entro il 20° anno
d’età, il 50% entro il 32° e il 75% entro il 46°
• in assenza di trattamento, i pazienti che raggiungono l’età adulta presentano di solito
una stenosi istmica post-duttale lieve e possono essere asintomatici
• problemi nel decorso naturale: scompenso sinistro, emorragia intra-cranica da rottura
di aneurismi cerebrali preesistenti, endocardite batterica, rottura dell’aorta, malattia
coronarica ad esordio precoce, problemi da evtl. malformazioni cardiache associate.
Clinica: sintomi caratteristici:
• ipertensione arteriosa nella metà superiore del corpo con differenziale elevata, mani
calde
• sintomi dell’ipertensione: cefalea, epistassi, vertigine, tinnito
• ipotensione nella metà inferiore del corpo (piedi freddi, gradiente tra le estremità superiori e le inferiori > 20 mmHg)
• polsi femorali e pedidii deboli; evtl. claudicatio intermittens
• evtl. circoli collaterali palpabili a livello intercostale, del dorso o della parete toracica laterale
• paziente acianotico, insufficienza da sovraccarico
• itto della punta pulsante e ampio, ma non spostato (ipertrofia concentrica del ventricolo sinistro).
Auscultazione
• sdoppiamento del 2° tono con accentuazione della componente aortica
• click aortico in caso di valvola aortica bicuspide oppure di ipertensione
• soffio vascolare interscapolare posteriore
• soffio sistolico a diamante sul focolaio aortico (in caso di valvola aortica bicuspide
oppure di ipertensione)
• soffio diastolico in decrescendo, concomitante alla chiusura della valvola aortica (in
caso di insufficienza aortica da valvola bicuspide)
• soffi continui a livello dei circoli collaterali.
Diagnosi differenziale
Ipertensione arteriosa di altra natura.
Nota: un’ipertensione giovanile non è un’ipertensione «essenziale» sino a che non si sia
dimostrato il contrario (devono essere escluse tutte le forme di ipertensione secondaria).
ECG: sovraccarico atriale e ventricolare sinistro (indice di Sokolow-Lyon).
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Radiologia
• dimensioni cardiache normali
• allargamento dell’aorta ascendente
• incisura o doppio contorno a livello dell’aorta discendente (aspetto a «3», a «ε» all’indagine con pasto opaco baritato)
• allargamento dell’arteria succlavia sinistra
• usura del margine inferiore della 3ª, 4ª, (8ª) costa (generalmente solo dopo il 5° anno di vita).
Ecocardiografia
• nei bambini la regione dell’istmo aortico è relativamente ben esplorabile, negli adulti è riconoscibile dalla finestra soprasternale
• morfologia, dimensione e localizzazione della stenosi
• diametro ventricolare sinistro (ipertrofia), funzione ventricolare
• anomalie cardiache associate (valvola aortica bicuspide)
• indagine doppler: flusso post-stenotico turbolento con aumentata velocità (valutazione del gradiente mediante l’equazione semplificata di Bernoullie, cioè tenendo conto
delle velocità di flusso prima e a livello della stenosi); in caso di stenosi marcata
flusso anche durante la diastole!
TC, RMN
Visualizzazione dell’aorta, determinazione del flusso e del gradiente tramite RMN.
Cateterismo cardiaco
• visualizzazione dell’anatomia a livello dell’aorta e dei vasi epiaortici
• determinazione del gradiente pressorio a cavallo della regione istmica
• dimostrazione di evtl. anomalie cardiache associate
• valutazione della funzione ventricolare sinistra
• valutazione dello stato delle coronarie (cardiopatia ischemica!)
• esecuzione nella stessa seduta dell’angioplastica con palloncino
Terapia
Indicazioni al trattamento
• pazienti asintomatici con gradiente di PA > 20-30 mmHg tra le estremità superiori e
le inferiori e/o
— ipertensione arteriosa a livello delle estremità superiori
— aumento del gradiente sotto sforzo
— aumento patologico della PA in corso di test ergometrico
— stenosi ≥ 50% del diametro aortico all’altezza del diaframma (misurata mediante
RMN, TC o angiografia)
• tutti i pazienti sintomatici con gradiente di PA > 20-30 mmHg
Intervento negli adulti
• al più presto subito dopo la diagnosi
• negli interventi compiuti dopo i 30-40 anni d’età vi è un aumento della mortalità per
modificazioni degenerative della parete dell’aorta
• in questo gruppo d’età si deve prestare attenzione anche alla evtl. coesistenza di valvole aortiche bicuspidi, anomalie della mitrale, malattia coronarica e danni d’organo
da ipertensione arteriosa
Tecniche d’intervento chirurgico
• resezione ed anastomosi termino-terminale
• resezione e ricostruzione con interposizione di protesi
• plastica istmica diretta sec. Vossschulte
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• plastica istmica indiretta sec. Vossschulte (con applicazione di «patch»)
• posizionamento di un by-pass protesico
• plastica con impiego della succlavia sec. Waldhausen.
Dilatazione con palloncino, evtl. associata a impianto di stent
• in generale, nella stenosi istmica aortica nativa non vi sono attualmente indicazioni
alla dilatazione. L’indicazione alla dilatazione rimane per quei casi in cui un intervento comporti un rischio elevato oppure sia controindicato per altri motivi
• attualmente le indicazioni principali alla dilatazione sono rappresentate dalla recidiva
di stenosi o da una stenosi residua dopo trattamento chirurgico.
Alterazioni residue e conseguenze dell’intervento
• evoluzione a lungo termine: la mortalità per ipertensione arteriosa e complicanze cardiovascolari è superiore rispetto alla popolazione normale
• tassi di sopravvivenza a lungo termine dopo correzione chirurgica: circa 90% dopo
10 anni, 85% dopo 20 anni e 70% dopo 30 anni. L’età media di morte dei casi di
morte tardiva è di 38 anni
• persistenza o nuova comparsa di ipertensione arteriosa a riposo e/o sotto sforzo (!)
• aneurismi dell’aorta ascendente e/o discendente
• recidiva di stenosi o stenosi residua nella zona dell’istmo
• malattia coronarica
• sclerosi e stenosi aortica / insufficienza aortica (in caso di valvola aortica bicuspide)
• malfunzionamento della mitrale (prolasso della mitrale)
• endocardite infettiva
• rottura di aneurismi dell’aorta o cerebrali.
B. MALFORMAZIONI CARDIACHE CONGENITE CON SHUNT SINISTRO DESTRO
DIFETTO DEL SETTO INTERATRIALE (DIA) NELL’ADULTO
Definizione
Comunicazione abnorme tra l’atrio destro e sinistro
Varianti e localizzazione
• difetto ostium secundum (DIA II): nella zona della fossa ovale
• difetto ostium primum (DIA I): immediatamente craniale al piano valvolare atrio-ventricolare. Non vi è un interessamento del setto atrio-ventricolare ed esiste un’alterazione anatomica delle valvole A-V
• difetti più rari: atrium commune, difetto del seno coronarico
• difetto del seno venoso: oltre la fossa ovale, a livello dello sbocco in atrio della vena cava superiore o inferiore (craniale nel tipo superiore, caudale nel tipo inferiore).
Epidemiologia
• circa 10% di tutte le cardiopatie congenite; negli adulti circa 1/3 dei vizi congeniti
• DIA II circa 75% dei casi; DIA I circa 20%; altri difetti rari
• forame ovale aperto in circa il 5% di tutti i soggetti adulti
• M:F = 1:2
Anomalie associate:
è possibile la coesistenza di quasi tutte le anomalie congenite (le più frequenti sono:
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sbocco patologico parziale delle vene polmonari, stenosi polmonare, difetto del setto interventricolare, dotto arterioso di Botallo persistente, tetralogia di Fallot, prolasso della
mitrale).
Varianti di DIA famigliare: ad es. sindrome di Marfan, di Turner e di Down.
Fisiopatologia
La circolazione polmonare e quella sistemica sono cranialmente collegate da una comunicazione interatriale. Nel DIA non complicato la distensibilità del ventricolo destro
è superiore a quella del ventricolo sinistro shunt preferenziale sinistro-destro con
conseguente iperafflusso di sangue al circolo polmonare. L’entità dello shunt dipende
dalla dimensione del difetto, dalla compliance di entrambi i ventricoli e dalle resistenze presenti nella circolazione sistemica e polmonare.
Conseguenza: gittata cardiaca elevata nel piccolo circolo, bassa nel circolo sistemico.
Direzione del flusso: sangue ossigenato proveniente dalle vene polmonari atrio sinistro atrio destro valvola tricuspide ventricolo destro valvola polmonare circolazione polmonare.
Sovraccarico di volume a carico dell’atrio destro, tricuspide, ventricolo destro, valvola
e circolo polmonare. L’aumento di flusso nelle cavità destre provoca una stenosi relativa della tricuspide e della polmonare.
Un incremento medio dell’afflusso polmonare non sempre provoca un aumento cospicuo della pressione in arteria polmonare.
Nel decorso spontaneo, incrementi secondari delle resistenze a livello della circolazione polmonare si verificano di solito solo tardivamente sovraccarico di pressione del
cuore destro, con diminuzione dello shunt sinistro-destro e comparsa di uno shunt destro-sinistro (inversione dello shunt) = reazione di Eisenmenger.
Decorso naturale
• chiusura spontanea: è possibile solo in caso di DIA piccolo
• spettanza di vita naturale: nel difetto ostium secundum isolato è spesso > 55 anni
• aritmie atriali, soprattutto flutter e fibrillazione atriale
• aumento delle resistenze delle arteriole polmonari: raro in caso di DIA isolato, e comunque di solito solo in età avanzata
• cause di morte: embolia cerebrale da fibrillazione atriale oppure in caso di passaggio
di trombi attraverso il DIA = embolia paradossa, embolia polmonare; scompenso cardiaco destro in fase tardiva del decorso; ascessi cerebrali ed endocardite (in caso di
concomitante prolasso della mitrale)
• pericolo di endocardite: modesto in caso di DIA isolato.
Clinica
• in caso di shunt sinistro-destro di lieve entità i pazienti possono vivere anche per più
di 50 anni senza alcun sintomo. Più comunemente, la sintomatologia compare dopo i
40 anni. A 60 anni quasi tutti i pazienti sono sintomatici
• disturbi e sintomi: facile esauribilità fisica, affaticabilità, dispnea da sforzo, palpitazioni, infezioni polmonari ricorrenti, precordialgie, insulti ischemici cerebrali; insufficienza cardiaca destra
• la sintomatologia varia a seconda della gravità del vizio.
Ispezione / Palpazione
• struttura corporea gracile e pallore cutaneo
• ipotensione con differenziale ridotta
• pulsatilità ben evidente a livello del 3° spazio intercostale sinistro (tratto di efflusso
del ventricolo destro).
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Auscultazione
• sdoppiamento fisso (= non variabile col respiro) del 2° tono apprezzabile nel 2° spazio intercostale sinistro (ritardo di chiusura della valvola polmonare, secondario all’aumento del volume d’eiezione ventricolare destro e al blocco di branca destra)
• soffio sistolico nel 2° spazio intercostale sinistro (stenosi polmonare relativa da iperafflusso)
• soffio protodiastolico nel 4° spazio intercostale sinistro (stenosi relativa della tricuspide)
• in caso di ipertensione polmonare: nel 2° spazio intercostale sinistro si apprezzano un
click d’eiezione polmonare protosistolico, un soffio sistolico, un 2° tono accentuato,
e un soffio protodiastolico in decrescendo (da insufficienza polmonare relativa = soffio di Graham-Steell).
ECG
• asse elettrico deviato a destra o intermedio, raramente deviato a sinistra (ad es. in caso di concomitante prolasso della mitrale; tipicamente nel DIA I)
• blocco AV di I grado; onda P di tipo atriale destro; blocco di branca destra incompleto o completo; ipertrofia ventricolare destra (indice di Sokolow-Lyon)
• ritmo ectopico atriale, aritmie atriali.
Radiologia
• allargamento dell’immagine dell’atrio e del ventricolo destro
• profilo dell’arteria polmonare prominente
• accentuazione dell’immagine vascolare polmonare centrale e periferica
• aorta sottile
Nota: il quadro radiologico tipico di tutti i vizi cardiaci congeniti con shunt sinistro-destro è rappresentato dall’aumentata perfusione polmonare, con prominenza del profilo
dell’arteria polmonare e accentuazione della trama vascolare polmonare.
Ecocardiografia
• difetto nel profilo del setto interatriale (buona visualizzazione del difetto tramite l’ecocardiografia transesofagea!)
• dilatazione atriale destra, ventricolare destra e dell’arteria polmonare
• movimento paradosso del setto interventricolare (sovraccarico di volume del ventricolo destro)
• all’esame doppler: identificazione della direzione del flusso di shunt e valutazione
della pressione nel ventricolo destro e nell’arteria polmonare
• evtl. visualizzazione della direzione di passaggio del mezzo di contrasto a seconda
della direzione dello shunt.
Cateterismo cardiaco
È indicato solo quando le tecniche non invasive non sono sufficienti per una corretta
diagnosi, nel sospetto di ipertensione polmonare, in caso di anomalie associate oppure
di cardiopatia coronarica.
Dimostrazione del difetto mediante cateterismo diretto; determinazione delle dimensioni del difetto («balloon sizing»); quantificazione dell’entità dello shunt e delle resistenze dei vasi polmonari.
Terapia
Indicazioni:
— tutti i bambini e giovani adulti sintomatici
— segni di dilatazione cardiaca destra all’ecocardiogramma
— rapporto gittata polmonare / gittata sistemica (QP/QS) ≥ 1,5-2,0
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— prevenzione di un insulto cerebrale (embolia paradossa)
— donne prima di una gravidanza.
Scopo: prevenzione di danni cardiaci irreversibili da sovraccarico di volume cronico.
Controindicazioni: ipertensione polmonare con resistenze delle arteriole polmonari (RP)
> 10 WE per m2, o per meglio dire RP > 7 WE per m2 dopo somministrazione di un
vasodilatatore.
1. Terapia chirurgica:
• momento dell’intervento:
— nel DIA II non complicato nel 3°-5° anno di vita, prima di andare a scuola
— elettivamente dopo la diagnosi nei soggetti di maggiore età
• tecnica: sutura diretta o chiusura mediante «patch»
• in caso di reazione di Eisenmenger: trapianto di polmone + sutura chirurgica del
DIA, oppure trapianto di cuore-polmone
• mortalità: nel DIA II non complicato < 1% nei primi 20 anni.
2. Cateterismo interventistico:
• da qualche anno sono disponibili dei dispositivi per una chiusura interventistica
dei DIA
• se la tecnica è applicata secondo indicazioni adeguate e con tecnica corretta, elevata percentuale di successo e scarse complicanze gravi
• non sono ancora disponibili risultati a lungo termine.
Alterazioni residue e conseguenze dell’intervento
• sindrome post-pericardiotomica
• in molti pazienti operati solo in età adulta permangono la dilatazione del cuore destro
e un movimento anomalo del setto interventricolare
• alterazioni della compliance e riduzione dell’attività di pompa del ventricolo destro
• alterazioni della funzione ventricolare sinistra
• disturbi del ritmo (soprattutto fibrillazione o flutter atriale, tachicardia sopraventricolare)
• embolia cerebrale
• persistenza o nuova comparsa di ipertensione polmonare
• recidiva dello shunt o shunt residuo a livello atriale
• ostruzione della vena cava superiore dopo chiusura di un difetto del seno venoso.
DIFETTO DEL SETTO INTERVENTRICOLARE (DIV) NELL’ADULTO
Definizione
Presenza di una o più comunicazioni di dimensioni variabili a livello del setto interventricolare.
Anatomia del setto interventricolare
1. setto sottocristale (inlet septum), che separa le due valvole AV
2. setto trabecolare, dall’inserzione delle corde sino all’apice e cranialmente sino alla
cresta sopraventricolare
3. setto sopracristale (outlet septum), dalla cresta sopraventricolare sino alla valvola
polmonare
4. setto membranoso.
Classificazione dei DIV
(ne esistono diverse, che però complicano la comprensione!)
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1. In base alla localizzazione del difetto:
— DIV (peri)membranoso (infracristale), con estensione alla restante porzione del
setto
— DIV sottocristale (a tipo canale atrio-ventricolare comune)
— DIV muscolare
— DIV infundibolare (sopracristale).
2. In base alle conseguenze emodinamiche:
— DIV restrittivo: la pressione nel ventricolo destro è inferiore a quella del ventricolo sinistro
— DIV non restrittivo: la pressione è uguale nei due ventricoli.
Epidemiologia
• come malformazione isolata, sino al 20% di tutti i vizi congeniti
• M:F = 1:1
Anomalie associate:
— dotto arterioso di Botallo persistente, DIA II, stenosi dell’istmo dell’aorta
— componente essenziale di malformazioni complesse (ad es. trasposizione completa
dei grossi vasi, tetralogia di Fallot, ecc.)
— anomalie cromosomiche (ad es. trisomia 13, 18 e 21).
Fisiopatologia
L’entità dello shunt dipende dalla dimensione del difetto e dalle resistenze presenti nella circolazione sistemica e polmonare. DIV di lieve e media entità consentono il mantenimento di pressioni diverse nel ventricolo sinistro e destro, mentre nei DIV di maggiori dimensioni si giunge a un’uguaglianza pressoria. In questi casi per determinare la
direzione del flusso di shunt è decisivo il rapporto tra resistenze polmonari e resistenze
sistemiche.
Il DIV provoca un sovraccarico di volume dei vasi polmonari, dell’atrio e del ventricolo sinistro. Nei DIV piccoli e medi, il ventricolo destro non è inizialmente sottoposto
a sovraccarico di volume e non è neppure dilatato.
QP/QS = rapporto gittata polmonare / gittata sistemica:
• DIV piccolo (QP/QS < 1,5):
— nessuna dilatazione significativa delle cavità cardiache
— pressione normale nel ventricolo destro e nell’arteria polmonare (PAP). È possibile un aumento sino a 1/4 - 1/3 della pressione sistemica
— shunt sinistro-destro durante un ciclo cardiaco completo
• DIV medio (QP/QS = 1,5-2): è più evidente l’iperafflusso polmonare
— atrio sinistro e ventricolo sinistro chiaramente dilatati, mentre il ventricolo destro
mantiene una normale dimensione
— la pressione nel ventricolo destro aumenta sino a 1/3 - 1/2 della pressione sistemica (PAP/PS ≤ 0,5)
• DIV grande (QP/QS > 2): il difetto non ha più effetto restrittivo e la direzione dello
shunt è condizionata dal regime pressorio sistemico verso il ventricolo destro e l’arteria polmonare (PAP/PS > 0,5) dilatazione e ipertrofia ventricolare destra.
In caso di DIV maggiori, nel corso degli anni si sviluppa una vasculopatia polmonare
ostruttiva (reazione di Eisenmenger) con distruzione irreversibile delle arteriole polmonari e aumento dei valori delle resistenze polmonari sino ai livelli delle resistenze sistemiche, e comparsa di shunt invertito (destro-sinistro) cianosi secondaria.
Decorso naturale
• frequenza di chiusura spontanea: elevata nei DIV muscolari, sino intorno al 7° anno
di vita
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• spettanza di vita naturale: circa 40 anni nei DIV di grandi dimensioni
• cause di morte: insufficienza cardiaca, vasculopatia polmonare ostruttiva = reazione
di Eisenmenger, endocardite, evtl. insufficienza aortica in caso di DIV infundibolare.
Clinica
I reperti clinici dipendono da entità e localizzazione del difetto, entità dello shunt, rapporto tra resistenze polmonari e resistenze sistemiche.
• DIV piccolo: nei bambini e nei giovani è spesso asintomatico
• DIV medio/grande: rallentamento della crescita e dello sviluppo, ridotta resistenza allo sforzo, dispnea da sforzo, infezioni broncopolmonari ricorrenti, palpitazioni (aritmie sopraventricolari o ventricolari), insufficienza cardiaca
• DIV con reazione di Eisenmenger: cianosi, ridotta resistenza allo sforzo, dispnea da
sforzo e anche a riposo, emoftoe, insufficienza cardiaca destra, disturbi del ritmo,
sincopi, ascessi cerebrali.
Ispezione
• paziente non cianotico, polso giugulare normale; bozza precordiale
• DIV con reazione di Eisenmenger: cianosi con dita a bacchetta di tamburo e unghie
a vetrino d’orologio.
Palpazione
• ipotensione con differenziale bassa; fremito sistolico a livello parasternale inferiore
sinistro; itto della punta pulsante, allargato e spostato verso l’alto (ipertrofia eccentrica del ventricolo sinistro)
• DIV con reazione di Eisenmenger: impulso ventricolare sinistro debole o assente, apprezzabile la chiusura della valvola polmonare, pulsatilità ben evidente a livello del
ventricolo destro e del suo tratto di efflusso.
Auscultazione
• DIV piccolo: sdoppiamento regolare del 2° tono apprezzabile a livello del 2° spazio
intercostale sinistro; soffio protosistolico che si interrompe bruscamente, rilevabile
sulla parasternale sinistra, a livello del 3°-4° spazio intercostale.
• DIV medio/grande: il 2° tono è spesso coperto dal soffio. Sdoppiamento regolare, variabile col respiro. In caso di ipertensione polmonare maggiore intensità della componente polmonare. Presenza di 3° tono. Soffio sistolico eiettivo a livello del 3°-4°
spazio parasternale sinistro (l’intensità sonora del soffio non si correla con la gravità
del difetto). Soffio protodiastolico alla punta cardiaca (stenosi mitralica relativa).
• DIV con reazione di Eisenmenger: 2° tono accentuato a livello del 2° spazio intercostale sinistro. Click d’eiezione polmonare. 4° tono atriale destro. Scomparsa del soffio tipico del DIV. Breve soffio mesosistolico sulla parasternale sinistra nel 2°-3°
spazio intercostale. Soffio protodiastolico in decrescendo (insufficienza polmonare =
soffio di Graham-Steell).
ECG
• DIV piccolo: tracciato normale
• DIV medio/grande: asse elettrico da intermedio a deviato a sinistra, P di tipo atriale
sinistro, ipertrofia ventricolare sinistra o biventricolare
• DIV con reazione di Eisenmenger: asse elettrico da intermedio a deviato a destra,
ipertrofia ventricolare destra.
Radiologia
• DIV piccolo: reperto normale
• DIV medio/grande: aumento del diametro cardiaco trasverso, allargamento dell’im-
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magine dell’atrio e ventricolo sinistro. Arteria polmonare prominente. Aumento del
disegno vascolare polmonare centrale e periferico. Aorta sottile.
• DIV con reazione di Eisenmenger: dimensioni cardiache generalmente normali. Evidenza dell’immagine del ventricolo destro. Dilatazione dell’arteria polmonare e dei
suoi rami principali. Riduzione del disegno vascolare polmonare periferico (brusca
variazione di calibro verso la periferia).
Ecocardiografia
• documentazione della localizzazione, della dimensione e del numero dei DIV
• dilatazione dell’atrio sinistro, del ventricolo sinistro e dell’arteria polmonare
• all’esame doppler: valutazione della pressione ventricolare destra e in arteria polmonare, del gradiente pressorio interventricolare, della direzione dello shunt. Misurazione di QP/QS (gittata polmonare / gittata sistemica).
Cateterismo cardiaco
Valutazione dei rapporti pressori intraventricolari, dell’entità dello shunt e delle resistenze dei vasi polmonari, della morfologia dei vasi polmonari; dimostrazione di anomalie cardiache associate; valutazione dello stato delle coronarie.
Terapia
1. Profilassi dell’endocardite
2. Terapia chirurgica
Indicazioni all’intervento:
• tutti i DIV sintomatici
• tutti di DIV rilevanti sul piano emodinamico:
— QP/QS > 2
— pressione sistolica dell’arteria polmonare > 50 mmHg
— peggioramento della funzione ventricolare
— rapporto cardio/toracico > 50%
Controindicazioni:
• assoluta: RP/RS > 1
• relativa: RP/RS > 0,75
Tecniche:
• sutura trans-tricuspidale dall’atrio destro per evitare una ventricolotomia; più raramente (a seconda della localizzazione del difetto) dal ventricolo destro oppure
sinistro oppure attraverso l’arteria polmonare, con sutura diretta o mediante applicazione di «patch»
• reazione di Eisenmenger: trapianto di cuore-polmone oppure trapianto di polmone con contemporanea sutura del DIV.
Tasso di mortalità: dipende dall’età, dal valore di pressione dell’arteria polmonare,
dalle resistenze polmonari, dal numero dei difetti, dalle anomalie associate. In caso
di DIV non complicato è < 2%; in caso di reintervento è intorno al 6%.
Alterazioni residue e conseguenze dell’intervento
• disturbi del ritmo (blocco di branca destra, blocco bifascicolare di tipo anteriore, alterazioni ingravescenti della conduzione sino al blocco AV totale, aritmie ventricolari)
• morte cardiaca improvvisa
• vasculopatia polmonare ostruttiva progressiva
• alterazioni della funzione ventricolare destra e sinistra
• recidiva dello shunt o shunt residuo
• rischio persistente di endocardite
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DOTTO ARTERIOSO DI BOTALLO PERSISTENTE (DAP) NELL’ADULTO
Definizione
Dotto arterioso di Botallo: collegamento vascolare tra l’aorta e la biforcazione dell’arteria polmonare o l’arteria polmonare sinistra.
Dotto arterioso persistente: quando il collegamento tra l’arteria polmonare e l’aorta rimane pervio per più di 3 mesi dopo la nascita.
Epidemiologia
• sino al 10% di tutte le malformazioni cardiache congenite
• circa il 2% di tutte le malformazioni cardiache in età adulta
• M:F = da 1:2 sino a 1:3
Anomalie associate:
— difetti del setto, tetralogia di Fallot, stenosi polmonare periferica
— principale componente compensatoria nel contesto di malformazioni complesse (ad
es. atresia della polmonare, atresia della tricuspide).
Fisiopatologia
Il dotto arterioso di Botallo è un collegamento fetale «a corto circuito» tra l’arteria polmonare e il tratto iniziale dell’aorta discendente, che esclude la circolazione polmonare. Nelle ore successive al parto, entro 3 giorni dalla nascita, l’aumento della pO2 nel
sangue porta ad una chiusura funzionale del dotto per vasospasmo, cui segue una obliterazione anatomica nel corso delle settimane successive. Nei parti prematuri o nell’embriopatia da rosolia la chiusura del dotto può avvenire con ritardo o mancare.
Nel DAP di piccole dimensioni, l’entità dello shunt dipende da diametro, lunghezza e
decorso del dotto; nel DAP di maggiori dimensioni dal rapporto delle resistenze nel circolo polmonare e sistemico. Shunt sinistro-destro a livello duttale sovraccarico di
volume dei vasi polmonari, dell’atrio sinistro, del ventricolo sinistro e del tratto iniziale dell’aorta (sino all’interno del dotto).
• DAP piccolo (rapporto gittata polmonare / gittata sistemica = QP/QS < 1,5): nessuna
dilatazione significativa del cuore sinistro. Il rapporto tra pressione arteriosa polmonare e pressione sistemica (PAP/PS) è normale. Shunt sinistro-destro durante un ciclo
cardiaco completo.
• DAP medio (QP/QS = 1,5-2): sovraccarico di volume dell’atrio sinistro, ventricolo sinistro e vasi polmonari. Mantenimento di pressioni diverse tra le due circolazioni
(PAP/PS ≤ 0,5); la resistenza dei vasi polmonari non è significativamente aumentata.
• DAP grande: quasi nessuna differenza pressoria vasculopatia polmonare ostruttiva (= reazione di Eisenmenger) distruzione irreversibile delle arteriole polmonari,
aumento delle resistenze polmonari rispetto alle resistenze sistemiche e inversione
dello shunt (destro-sinistro). Il ventricolo destro viene progressivamente sottoposto a
sovraccarico pressorio.
Decorso naturale
• è possibile la chiusura spontanea
• in particolare nel DAP piccolo, sussiste il pericolo di endoarterite (duttite, aortite), con
evtl. embolie settiche e ascessi polmonari. Il rischio aumenta all’aumentare dell’età
• in caso di DAP medio i disturbi compaiono solitamente solo dopo i 20 anni
• in caso di DAP di grosse dimensioni insufficienza cardiaca già in età neonatale
• in molti casi il ventricolo sinistro può compensare il sovraccarico di volume per decenni
• reazione di Eisenmenger: nel DAP grande solitamente dopo il 3° anno, nel DIA medio nella 2ª-4ª decade di vita
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• complicanze, soprattutto nei pazienti di maggiore età: calcificazione del dotto, aneurismi
• cause di morte nel DAP non trattato: complicanze dell’endoarterite, insufficienza cardiaca, vasculopatia polmonare ostruttiva (= reazione di Eisenmenger); mortalità prevalente nella 3ª-4ª decade.
Clinica
I disturbi lamentati dal paziente dipendono dall’entità dello shunt e dal rapporto tra resistenze polmonari e sistemiche.
• DAP piccolo: spesso asintomatico
• DAP medio e grande: abitualmente a partire dalla 3ª decade compaiono dispnea da
sforzo e poi anche a riposo, palpitazioni, infezioni broncopolmonari, insufficienza
cardiaca sinistra
• DAP con reazione di Eisenmenger: cianosi (evtl. solo alle estremità inferiori), altrimenti quadro clinico simile a quello da DIV, talvolta però con manifestazioni meno
conclamate.
Ispezione / Palpazione
• DAP medio e grande:
— paziente non cianotico, bozza precordiale
— notevole ampiezza della pressione differenziale
— polso celere scoccante e fenomeni pulsatori come nell’insufficienza aortica (vedi
al relativo capitolo)
— itto della punta: pulsante e ampio, spostato verso l’esterno (ipertrofia ventricolare
sinistra eccentrica), riempimento ventricolare protodiastolico apprezzabile palpatoriamente
— pulsatilità ben evidente a livello dell’arteria polmonare
— fremito sisto-diastolico al livello del margine sternale superiore sinistro
• DAP con reazione di Eisenmenger: pulsatilità ventricolare sinistra scarsamente o non
rilevabile; chiusura della valvola polmonare apprezzabile palpatoriamente, pulsatilità
ben evidente a livello del ventricolo destro e del tratto di efflusso ventricolare destro.
Dita e unghie delle mani normali; dita dei piedi a bacchetta di tamburo con unghie a
vetrino d’orologio. (Eccezione: in caso di origine della arteria succlavia sinistra distalmente al punto di sbocco del dotto di Botallo vi sono dita a bacchetta di tamburo e unghie a vetrino d’orologio anche alla mano sinistra).
Auscultazione
• DAP piccolo: 2° tono regolarmente sdoppiato apprezzabile al 2° spazio intercostale
sinistro; «dotto silente» = nessun reperto auscultatorio
R
SISTOLE
P
Q
0,1
sec.
DIASTOLE
T
DAP
S
1° tono
2° tono
1° tono
Ao
P
VS
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• DAP medio e grande (vedi figura nella pagina precedente): sdoppiamento paradosso
del 2° tono al 2° spazio intercostale sinistro; in caso di ipertensione polmonare maggiore intensità della componente polmonare. 2° tono spesso coperto dal soffio. Soffio
sisto-diastolico continuo «a macchina a vapore» al 2° spazio intercostale sinistro parasternale. È anche presente un soffio protodiastolico breve da flusso attraverso la
mitrale, apprezzabile alla punta cardiaca.
• DAP con reazione di Eisenmenger: reperti auscultatori simili a quelli del DIV con
reazione di Eisenmenger.
ECG
• DAP piccolo: tracciato normale
• DAP medio/grande: ipertrofia da sovraccarico di volume del ventricolo sinistro o biventricolare
• DAP con reazione di Eisenmenger: ipertrofia ventricolare destra.
Radiologia
• DAP piccolo: reperto normale
• DAP medio e grande: diametro cardiaco trasverso aumentato. Ampliamento dell’immagine cardiaca sinistra e dell’aorta ascendente (raramente riconoscibile); tronco dell’arteria polmonare prominente; accentuazione dell’immagine delle arterie e vene polmonari periferiche.
• DAP con reazione di Eisenmenger: dimensioni cardiache normali. Prominenza del
profilo del ventricolo destro. Dilatazione del tronco dell’arteria polmonare e dei suoi
rami principali con riduzione del disegno vascolare polmonare periferico.
Ecocardiografia
• proiezioni ecografiche: asse corto parasternale o soprasternale
• all’esame diretto: localizzazione e dimensione del DAP (spesso le alterazioni di flusso sono meglio visualizzabili dell’anomalia anatomica)
• all’esame doppler: flusso diastolico retrogrado dalla biforcazione nel tronco dell’arteria polmonare. Flusso retrogrado nell’aorta discendente durante la diastole. Valutazione della pressione nel ventricolo destro e nell’arteria polmonare, e anche del gradiente pressorio. Determinazione di QP/QS.
• segni indiretti: dilatazione del cuore sinistro e del tronco della polmonare.
Cateterismo cardiaco
• viene praticato negli adulti solo se è prevista contemporaneamente una procedura interventistica
• in caso di anomalie associate
• in caso di concomitante cardiopatia coronarica.
Diagnosi differenziale: altre affezioni con soffio sisto-diastolico «a macchina a vapore»:
• comunicazione aorto-polmonare
• aneurisma del seno di Valsalva con perforazione nel ventricolo o nell’atrio destro
• fistola coronarica
• fistola artero-venosa (traumatica o in caso di angioma polmonare)
• steno-insufficienza aortica.
Terapia
a. Cateterismo interventistico: è il procedimento di scelta, mediante l’impiego di vari
sistemi occlusivi o spirali.
Indicazioni:
— si interviene anche sui DAP di piccole dimensioni per il rischio di endocardite
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e perché in età avanzata tutti i pazienti diventano sintomatici ( prevenzione o
terapia dell’insufficienza cardiaca e prevenzione di danni polmonari irreversibili)
— momento dell’intervento: subito dopo la diagnosi nei pazienti di maggiore età.
Controindicazione: DAP con reazione di Eisenmenger.
Tasso di successo: 85% dopo un anno; tassi di successo più elevati nei DAP di piccole dimensioni.
Complicanze: embolia al momento dell’inserzione, chiusura incompleta, reazione da
corpo estraneo.
b. Terapia chirurgica
Indicazione: DAP che per le loro dimensioni oppure per problemi tecnici non possono essere trattati mediante cateterismo.
Mortalità dell’intervento: < 0,5% nei pazienti di maggiore età con DAP non complicato.
Tecniche:
— legatura, legatura e sezione oppure sutura e sezione («clamp and divide»)
— si stanno mettendo a punto anche tecniche toracoscopiche per la chiusura del
dotto
— trapianto di polmone in caso di reazione di Eisenmenger.
Alterazioni residue e conseguenze dell’intervento: rischio persistente di endoarterite in caso di shunt residuo; ricanalizzazione del dotto; persistente o ingravescente vasculopatia
ostruttiva polmonare (= reazione di Eisenmenger); formazione di falsi aneurismi (dopo
legatura o dopo infezione).
C. MALFORMAZIONI CARDIACHE CONGENITE CON SHUNT DESTRO SINISTRO
Clinica
Sintomo caratteristico: cianosi centrale.
Conseguenze cliniche dell’ipossiemia:
• poliglobulia
• ridotta resistenza allo sforzo, rallentamento dello sviluppo
• sincope
• dita di mani e piedi a bacchetta di tamburo, unghie a vetrino d’orologio.
Diagnosi differenziale della cianosi (= colorazione bluastra di cute e mucose):
I. Cianosi vera
A. Cianosi da emoglobina
Si parla di cianosi da emoglobina quando la quantià dell’Hb ridotta nei capillari cutanei è > 5 g/dl. Nella poliglobulia la cianosi insorge prima che nell’anemia: in caso di anemia grave con valori Hb attorno ai 5 g/dl la cianosi non
compare mai. L’ipossiemia cronica porta alla poliglobulia ed evtl. all’osteoartropatia ipertrofica (sindrome di Marie-Bamberg) con dita delle mani e dei piedi a bacchetta di tamburo, e unghie a vetrino di orologio. (Nota: la sindrome di
Marie-Bamberg può raramente manifestarsi anche nel contesto di una sindrome
paraneoplastica).
Nota: la presenza o l’assenza di cianosi non consente di affermare o escludere
una corretta ossigenazione tissutale: in caso di intossicazione da CO con forma-
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zione di carbossiemoglobina non funzionante la cute assume una colorazione rosea e i pazienti muoiono per mancanza di O2. Anche nell’anemia conclamata la
cianosi è assente, nonostante la carenza di O2 nei tessuti. Al contrario, nella poliglobulia conclamata può insorgere cianosi anche con normale pO2 arteriosa.
1. Cianosi centrale
Diminuita saturazione di O2 nel sangue arterioso
Caratteristiche:
— cute e mucosa orale e linguale sono cianotiche (in caso di cianosi periferica la mucosa orale e linguale non è cianotica)
— test di Lewis: dopo aver massaggiato il lobo dell’orecchio (fino alla manifestazione del polso capillare) il lobo permane di colore cianotico (in
caso di cianosi periferica invece la colorazione bluastra sparisce).
a. Cianosi polmonare: insufficiente ossigenazione del sangue a livello polmonare in presenza di malattie polmonari: si riduce dopo inalazione di
O2 puro per qualche minuto.
b. Cianosi cardiaca: miscela di sangue venoso con sangue arterioso in presenza di vizi cardiaci con shunt destro-sinistro: non diminusice dopo inalazione di O2.
2. Cianosi periferica:
aumentata estrazione di O2 dal sangue nella periferia capillare dovuta a ridotto flusso sanguigno e vasocostrizione (shock, insufficienza cardiaca,
esposizione alle basse temperature, cianosi locale da disturbi circolatori arteriosi o venosi). Caratteristico è l’interessamento acrale (la mucosa orale e
linguale non è cianotica).
3. Combinazione di cianosi centrale e periferica: ad es. nelle malattie polmonari croniche + scompenso cardiaco destro (cuore polmonare).
B. Cianosi da metemoglobina (Met-Hb), con colorazione ardesia della cute
La Met-Hb contiene ferro in forma ossidata trivalente (emiglobina) e pertanto
non è in grado di cedere l’ossigeno.
Il contenuto fisiologico di Met-Hb del sangue è inferiore all’1,5% dell’emoglobina totale. Con valori > 10% dell’Hb totale la cianosi diventa visibile e si parla di metemoglobinemia; sintomi clinici si hanno soltanto con valori di Met-Hb
> 35% dell’Hb totale.
Eziologia
a. Raramente ereditarie: emoglobinopatie da HbM; carenza di Met-Hb-reduttasi; carenza di glucosio-6-fosfato-deidrogenasi.
I neonati non sono in grado di trasformare la Met-Hb normale, per la ridotta attività della Met-Hb-reduttasi. L’ingestione di acqua ricca in nitrati può
pertanto provocare nel neonato un’avvelenamento da Met-Hb.
b. Generalmente acquisite:
— farmaci, ad es. intossicazione da sulfonamide, fenacetina
— tossici industriali (nitro- e aminoderivati, gas contenenti nitrati).
Diagnosi
— anamnesi positiva per esposizione a farmaci o composti ossidanti
— sangue di colore brunastro che non ritorna di colore rosso dopo miscelazione con l’aria tramite scuotimento (test veloce: porre una goccia di sangue su
un portaoggetti e confrontarla dopo 1 minuto con una goccia di sangue normale: colorazione brunastra se Met-Hb > 20%)
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— corpuscoli di Heinz negli eritrociti
— determinazione spettroscopica della Met-Hb.
Antidoto: blu di metilene e acido ascorbico nelle forme acquisite.
C. Cianosi da sulfemoglobina
Molto rara; ossidazione irreversibile dell’Hb da intossicazione con sulfonamidi o
fenacetina; il sangue ha un colore verdastro; determinazione spettroscopica.
II. Pseudocianosi
Causata da anomalie di pigmentazione o deposito di sostanze estranee all’organismo, ad es. argento (argirosi).
TETRALOGIA DI FALLOT NELL’ADULTO
Definizione
La tetralogia di Fallot è caratterizzata dalla dislocazione destra, antero-cefalica del setto infundibolare. Ne derivano:
• ostruzione del tratto di efflusso ventricolare destro (OEVD)
• grave difetto e malposizione del setto interventricolare (DIV)
• aorta a cavaliere sopra il DIV
• conseguente ipertrofia ventricolare destra.
Epidemiologia
• è la più frequente malformazione cardiaca congenita cianogena: 14% di tutte le
malformazioni cardiache congenite; 65% di tutte le malformazioni cardiache congenite cianogene
• M:F = 1,4:1
Anomalie associate:
— destroposizione dell’arco aortico, anomalie delle coronarie (soprattutto frequente è
l’origine del ramo interventricolare anteriore dalla coronaria destra )
— sindrome di Down.
Fisiopatologia
L’elemento principale è l’ampio difetto del setto interventricolare (DIV) in associazione alla stenosi del tratto di efflusso ventricolare destro (OEVD).
• DIV: difetto e malposizione del setto perimembranoso con estensione al tratto di efflusso ventricolare destro. La sua entità è tale da condizionare uguali valori pressori
nel ventricolo destro, nel ventricolo sinistro e nell’aorta
• OEVD: a livello dell’infundibolo (50%) o della valvola (10%) o di entrambi (30%).
La valvola polmonare e il tronco dell’arteria polmonare sono solitamente ipoplasici;
spesso stenosi dei rami polmonari periferici. Nel 10% dei casi atresia completa della
polmonare.
A causa dell’OEVD il sangue venoso non passa attraverso il polmone, ma giunge direttamente nella circolazione sistemica attraverso l’ampio DIV cianosi centrale.
La gravità della malattia dipende dall’entità dell’OEVD:
— OEVD di grado lieve: forma acianotica («pink Fallot»)
— OEVD di grado marcato: forma cianotica
• ipertrofia ventricolare destra: conseguenza del sovraccarico del cuore destro
Decorso naturale
• la prognosi dipende dall’entità del flusso ematico polmonare
• nei bambini con forma acianotica da OEVD di lieve entità, è possibile l’insufficien-
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za cardiaca da cospicuo shunt sinistro-destro. Spesso la cianosi compare nel 2° anno
di vita
• nei bambini con forma cianotica: se sopravvivono nei primi 2 anni cianosi progressiva e dispnea da sforzo
• spettanza media di vita: 12 anni; la maggior parte dei pazienti muore prima dei 20
anni.
Clinica
• dispnea già nel primo anno di vita, soprattutto da sforzo
• posizione di «squatting», a ginocchia piegate con le braccia che cingono le gambe:
frequente nei bambini aumento delle resistenze sistemiche aumento della perfusione polmonare e aumento della saturazione d’ossigeno
• crisi ipossiche: la mobilità dell’infundibolo ipertrofico aumenta la stenosi blocco
dell’afflusso ematico al circolo polmonare; si manifestano nel lattante e nel bambino
piccolo, non nell’adulto
• ridotta resistenza allo sforzo fisico
• di solito modesto rallentamento della crescita
• nella maggior parte dei casi non vi è insufficienza cardiaca. L’insufficienza cardiaca
destra è più probabile nel decorso naturale dei pazienti di maggiore età.
Ispezione / Palpazione
• cianosi centrale con dita di mani e piedi a bacchetta di tamburo e unghie a vetrino
d’orologio (solo raramente prima del 2° anno d’età)
• itto della punta spesso non rilevabile
• pulsatilità ben evidente a livello del ventricolo destro
• assenza di pulsatilità sul focolaio della polmonare
• fremito sistolico a livello del tratto di efflusso ventricolare destro.
Auscultazione
• 2° tono unico, accentuato, da chiusura della valvola aortica; la chiusura della valvola
polmonare non è udibile
• click d’eiezione aortico (soprattutto dopo il 20° anno d’età)
• soffio sistolico eiettivo sul tratto di efflusso ventricolare destro (l’intensità e la durata del soffio dipendono dal flusso ematico ai polmoni: tanto più grave è l’ostruzione,
tanto più debole è il soffio)
• negli adulti soffio diastolico da reflusso alla base cardiaca, generalmente da insufficienza aortica, più raramente da valvola polmonare calcifica.
ECG
Asse elettrico deviato a destra; ipertrofia atriale e ventricolare destra.
Radiologia
• dimensioni cardiache generalmente normali
• spostamento in alto della punta cardiaca, da ipertrofia ventricolare destra («cuore a
zoccolo»)
• concavità dell’arco cardiaco medio da ipoplasia dell’arteria polmonare
• perfusione polmonare ridotta
• dilatazione dell’aorta ascendente
• arco aortico destroposto (25%).
Ecocardiografia
• DIV: di grandi dimensioni, perimembranoso con malposizione (asse lungo parasternale)
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• tratto di efflusso ventricolare destro: stenosi polmonare infundibolare e/o valvolare,
ipoplasia della valvola polmonare, tronco e rami principali dell’arteria polmonare sottili (asse corto parasternale)
• aorta dilatata a cavaliere (asse lungo parasternale)
• ipertrofia del cuore destro
• dimostrazione di anomalie associate
• all’esame doppler: valutazione del gradiente attraverso il tratto di efflusso ventricolare destro e della direzione del flusso di shunt.
Cateterismo cardiaco
• visualizzazione dell’anatomia del cuore e dell’arteria polmonare
• quantificazione dei rapporti di pressione e flusso, in particolare dello shunt intracardiaco e dell’OEVD
• valutazione dello stato delle coronarie, negli adulti di maggiore età oppure con fattori di rischio concomitanti
• documentazione di anomalie associate.
Terapia
Trattamento chirurgico:
• nella maggior parte dei pazienti adulti è già stato eseguito un intervento correttivo
per ridurre la cianosi e migliorare la tolleranza allo sforzo
• il numero degli adulti sottoposti ad un intervento solo palliativo è oggi modesto.
1. Interventi palliativi
scopo: miglioramento della perfusione polmonare nel caso in cui non sia possibile
una correzione completa (ad es. in caso di ipoplasia delle arterie polmonari o dell’anello valvolare, anomalie delle coronarie, DIV multipli)
• shunt originale di Blalock-Taussig: anastomosi termino-laterale tra l’arteria succlavia e l’arteria polmonare
• shunt modificato di Blalock-Taussig: interposizionamento latero-laterale di una
protesi vascolare di PTFE (politetrafluoroetilene) di pochi millimetri di diametro
tra la succlavia e la polmonare
• shunt aorto-polmonare centrale: interposizionamento latero-laterale di una protesi
vascolare in PTFE tra l’aorta ascendente e il tronco dell’arteria polmonare
• shunt di Waterston-Cooley: anastomosi diretta tra l’aorta ascendente e l’arteria
polmonare destra
• shunt di Pott: anastomosi diretta tra l’aorta discendente e l’arteria polmonare sinistra.
2. Intervento correttivo
• resezione dell’ostruzione all’efflusso ventricolare destro: valvulotomia polmonare;
resezione della muscolatura infundibolare; spesso dilatazione mediante applicazione di «patch» di PTFE o di pericardio
• chiusura transatriale o transventricolare del DIV, mediante «patch»
• mortalità dell’intervento: < 3%; in età adulta: 3-9%
• prognosi a lungo termine: tasso di sopravvivenza a 30 anni circa 90%, dopo 40
anni circa 75%.
Alterazioni residue e conseguenze dell’intervento
1. Dopo intervento palliativo:
Problemi connessi allo shunt di Blalock-Taussig:
• «venirne fuori»
• chiusura dello shunt
• stenosi/ostruzione dell’arteria polmonare omolaterale
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• furto della succlavia (shunt di Blalock-Taussig originale)
• formazione di un sieroma (shunt di Blalock-Taussig modificato)
• rischio di endocardite
• raramente insufficienza cardiaca.
Problemi connessi allo shunt di Waterstone-Cooley o di Pott:
• shunt di cospicua entità insufficienza cardiaca oppure vasculopatia polmonare
ostruttiva
• aneurisma dell’arteria polmonare destra (shunt di Waterstone-Cooley)
• «kinking» o stenotizzazione dell’arteria polmonare destra (shunt di WaterstoneCooley) o sinistra (shunt di Pott)
• difficile inversione dello shunt al momento dell’intervento correttivo
• rischio di endocardite.
2. Dopo intervento correttivo:
• aritmie ventricolari (50%) con pericolo di morte cardiaca improvvisa (6-9%)
— problema: identificazione dei pazienti a rischio
— marcatore potenziale: durata del QRS > 180 msec; alterazioni della de-/ripolarizzazione.
Terapia: evtl. ablazione ad alta frequenza; in caso di elevato rischio di morte
cardiaca improvvisa: impianto di cardiovertitore-defibrillatore
• aritmie sopraventricolari (aritmie atriali, disfunzioni del nodo del seno; flutter e
fibrillazione atriale)
• blocco AV di III grado (transitorio) nell’immediata fase post-operatoria
• insufficienza valvolare polmonare:
— in quasi tutti i pazienti con tetralogia di Fallot sottoposti ad intervento, in particolare dopo posizionamento di «patch» transanulare conseguenze:
– dilatazione telediastolica del ventricolo destro
– ridotta resistenza allo sforzo
– disturbi del ritmo
— terapia: evtl. intervento di sostituzione valvolare, nei pazienti sintomatici e in
caso di dilatazione ventricolare destra
• ostruzione al tratto di efflusso ventricolare destro (OEVD): può verificarsi in
qualsiasi punto tra il ventricolo destro e le arterie polmonari periferiche.
Terapia: evtl. reintervento in caso di aumento dei valori pressori nel ventricolo
destro
• aneurisma a livello del tratto di efflusso ventricolare destro:
— può fungere da evtl. substrato favorente la comparsa di aritmie ventricolari
— la rottura è molto rara
— terapia: controllo del decorso; evtl. intervento in caso di progressivo aumento
delle dimensioni
• recidiva del DIV o DIV residuo:
— provoca un sovraccarico di volume ventricolare sinistro
— terapia: evtl. reintervento
• insufficienza valvolare aortica:
— provoca un sovraccarico di volume ventricolare sinistro
— terapia: solo raramente è necessario l’intervento
• rischio di endocardite: profilassi in tutti i pazienti dopo correzione della tetralogia di Fallot
• gravidanza:
— in assenza di alterazioni residue importanti la gravidanza è solitamente ben
sopportata
— rischio di malformazioni cardiache congenite nel neonato: circa 1,2-4%.
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TRASPOSIZIONE COMPLETA DEI GROSSI VASI (TGV) NELL’ADULTO
Definizione
In caso di trasposizione dei grossi vasi l’aorta origina dal ventricolo destro, l’arteria
polmonare dal ventricolo sinistro (discordanza ventricolo-arteriosa). L’aorta ascendente
è posta ventralmente e/o a destra rispetto all’arteria polmonare. I due grossi vasi decorrono paralleli senza incrociarsi.
Epidemiologia
• circa il 5% di tutte le malformazioni cardiache congenite
• M:F = 3:1.
Fisiopatologia
• circolazione polmonare e sistemica non in serie ma parallele
• sangue desaturato (ipoossigenato) refluo dalla circolazione sistemica atrio destro
ventricolo destro aorta
• sangue ossigenato refluo dal polmone atrio sinistro ventricolo sinistro arteria polmonare polmone
• la sopravvivenza è possibile solo se vi è comunicazione tra le due circolazioni tramite un corto-circuito a livello degli atri, dei ventricoli o dei grossi vasi. La situazione più frequente è un piccolo difetto interatriale.
Anomalie associate: più comunemente difetto del setto interatriale (DIA); difetto del
setto interventricolare (DIV); ostruzione al tratto di efflusso ventricolare sinistro.
— DIA di ampie dimensioni: buona comunicazione tra le due circolazioni e saturazione arteriosa d’ossigeno relativamente alta
— DIV di ampie dimensioni: l’ossigenazione è sufficiente a prevenire la cianosi. In caso di iperafflusso polmonare esiste il pericolo di insufficienza cardiaca. In caso di
DIV non restrittivo, ipertensione polmonare comparsa precoce di vasculopatia
polmonare ostruttiva (reazione di Eisenmenger)
— DIV + ostruzione della via di deflusso ventricolare sinistro inizialmente comunicazione tra le due circolazioni a livello dei ventricoli. Per la presenza di una marcata ostruzione del tratto di efflusso ventricolare sinistro, la quantità di sangue completamente saturato che ricircola proveniente dai vasi polmonari è inadeguata: la saturazione d’ossigeno sistemica non aumenta pertanto in modo significativo. L’ostruzione del tratto di efflusso ventricolare sinistro svolge un’azione protettiva nei confronti della comparsa di ipertensione polmonare.
Decorso naturale: dipende dal tipo e dalla gravità delle malformazioni cardiache concomitanti:
• considerando tutte le forme di TGV nel loro insieme, la mortalità complessiva giunge, nel decorso naturale, al 95% entro i primi 2 anni di vita
• giungono all’età adulta 3 gruppi di pazienti:
1) con decorso realmente naturale, senza alcun trattamento specifico: generalmente
pazienti con DIV ampio e stenosi sottopolmonare modesta oppure modesto incremento delle resistenze polmonari. Questi pazienti possono raggiungere, sebbene
raramente, la quinta decade di vita.
2) dopo misure palliative quali la settostomia atriale, il «bending» dell’arteria polmonare, il posizionamento di shunt o altri interventi chirurgici palliativi
3) dopo correzione chirurgica quale lo «switch atriale», lo «switch arterioso» o l’intervento di Rastelli
• i migliori risultati a lungo termine si ottengono per ora con gli interventi di «switch
atriale».
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— tasso globale di sopravvivenza dopo 25 anni: 65% considerando tutte le forme di
TGV; 80% nella TGV semplice; 45% nella TGV complessa
— principali cause di morte:
– TGV con setto interventricolare integro: ipossia, acidosi, infezioni polmonari,
insulti vascolari o ascessi cerebrali
– TGV con DIV: insufficienza cardiaca o infezioni polmonari
– TGV con DIV e ostruzione del tratto di efflusso ventricolare sinistro: ipossia.
Clinica
• tutti i reperti possono variare e sono determinati dalla gravità della malformazione
• quadro caratteristico: cianosi, dispnea, insufficienza cardiaca.
Ispezione / Palpazione
• paziente cianotico
• itto della punta abitualmente non palpabile
• in caso di insufficienza cardiaca: dispnea, tachipnea, stasi a livello delle vene del collo, epatomegalia, evtl. edemi
Auscultazione
• 2° tono unico, apprezzabile nel 2° spazio intercostale (in caso di valvola aortica posta anteriormente)
• TGV senza DIV: nessun soffio
• TGV con DIV: soffio sistolico sulla parasternale sinistra, nel 3°-4° spazio intercostale. Evtl. soffio protodiastolico da flusso transmitralico
• TGV con DIV e ostruzione del tratto di efflusso ventricolare sinistro: soffio mesosistolico sulla parasternale sinistra, nel 2°-3° spazio intercostale.
ECG
Asse elettrico deviato a destra, P atriale destra, ipertrofia ventricolare destra, spesso
blocco (in)completo di branca destra; raramente anche ipertrofia ventricolare sinistra (in
caso di DIV, DAP e vasculopatia polmonare ostruttiva).
Radiologia
• dimensioni cardiache e aspetto della trama vascolare polmonare variabili a seconda
del tipo e della gravità delle malformazioni cardiache concomitanti!
• allargamento in toto dell’immagine cardiaca (aspetto «a uovo»)
• accentuazione della trama vascolare polmonare (tranne che in caso di ostruzione all’efflusso ventricolare sinistro)
• la posizione dell’aorta al davanti dell’arteria polmonare determina, in proiezione postero-anteriore, l’assottigliamento dell’immagine vascolare mediastinica; in proiezione
laterale, il suo allargamento.
Ecocardiografia
• l’aorta (non ramificata) origina ventralmente dal ventricolo destro; l’arteria polmonare (ramificata) dorsalmente dal ventricolo sinistro
• i grossi vasi decorrono paralleli e non si incrociano
• dimostrazione di anomalie associate.
Cateterismo cardiaco
• visualizzazione delle alterazioni anatomiche e delle anomalie associate
• in caso di DIA, DIV e DAP: misurazione dell’entità dello shunt, calcolo delle resistenze polmonari, valutazione della morfologia dei vasi polmonari
• in caso di stenosi polmonare: valutazione del gradiente trans-/sottovalvolare
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• valutazione dello stato delle coronarie (in previsione di un intervento di «switch arterioso»)
• esecuzione di una settostomia atriale nei lattanti (misura palliativa).
Terapia
• Settostomia atriale sec. Rashkind e Miller
Inserimento del catetere a palloncino nell’atrio sinistro attraverso il difetto del setto
interatriale insufflazione brusco ritiro a strappo del palloncino in atrio destro
creazione di un’apertura con diametro di 1-1,5 cm il sangue ossigenato viene
deviato nella circolazione sistemica.
L’intervento va eseguito entro le prime settimane di vita.
• «Switch atriale» sec. Mustard
Tecnica: apertura dell’atrio destro escissione del setto interatriale fissaggio di
un diaframma deviatore («baffle») fatto di pericardio, dacron o goretex, che viene
posizionato così da invertire i ritorni venosi; spesso anche ampliamento con «patch»
della cavità atriale di sbocco delle vene polmonari
Conseguenze: sangue venoso sistemico atrio venoso sistemico neocostruito valvola mitrale ventricolo sinistro arteria polmonare. Sangue venoso polmonare
sbocco dorso-laterale rispetto al canale venoso sistemico valvola tricuspide ventricolo destro aorta.
In caso di DIV concomitante: chiusura del difetto.
In caso di ostruzione del tratto di efflusso ventricolare sinistro: nella stenosi valvolare commissurotomia; nella stenosi fibromuscolare sottovalvolare resezione oppure impianto di un condotto extra-cardiaco tra il ventricolo sinistro e l’arteria polmonare, che sorregge la valvola.
• Intervento di «switch arterioso»
Questo intervento è possibile solo entro le prime 3 settimane di vita, in quanto il
ventricolo sinistro, dopo la riuscita dell’intervento, deve assicurare il mantenimento
della pressione nella circolazione sistemica.
Tecnica: l’aorta in posizione ventrale viene sezionata perifericamente rispetto all’ostio coronarico, e l’arteria polmonare in posizione dorsale viene sezionata alla stessa
altezza. Impianto delle coronarie con una piccola porzione di tessuto aortico circostante nel moncone dell’arteria polmonare sezionata. Posizionamento dell’aorta
ascendente dietro l’arteria polmonare e sua connessione col moncone dell’arteria polmonare che reca l’ostio coronarico. Ricostruzione del moncone aortico e sua connessione con l’arteria polmonare in posizione ventrale rispetto alla «neo-aorta».
• Intervento di Rastelli
L’arteria polmonare viene separata dal ventricolo sinistro. Viene chiuso il DIV con
un «patch» in modo da creare un tunnel intraventricolare che collega il ventricolo sinistro con l’aorta. Il ventricolo destro viene collegato all’arteria polmonare mediante
un omotrapianto o un condotto che sorregge la valvola.
Alterazioni residue e conseguenze dell’intervento
• Intervento di «switch atriale»:
— disfunzione del ventricolo cardiaco destro che funge da ventricolo per la circolazione sistemica
— insufficienza tricuspidale
— ostruzioni venose sistemiche a carico della cava superiore o inferiore
— ostruzioni venose polmonari
— scarsa tenuta del «baffle»
— stenosi polmonare sottovalvolare
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— disturbi del ritmo cardiaco
— morte cardiaca improvvisa
• Intervento di «switch arterioso»
— stenosi polmonare sopravalvolare
— stenosi aortica sopravalvolare
— insufficienza polmonare; insufficienza aortica
— stenosi delle coronarie (ischemia, infarto)
— disturbi del ritmo cardiaco
• Intervento secondo Rastelli
— degenerazione del condotto
— stenosi aortica sottovalvolare; insufficienza aortica
— disfunzione ventricolare
— disfunzione delle valvole AV
— recidiva di DIV e DIV residuo
— disturbi del ritmo cardiaco, soprattutto tachiaritmie ventricolari
— morte cardiaca improvvisa.
INSUFFICIENZA CARDIACA
Definizione
Incapacità del cuore di fornire una gittata adeguata alle esigenze dell’organismo, con
una normale pressione ventricolare telediastolica.
L’insufficienza cardiaca è una sindrome clinica a eziologia diversa.
Si distinguono:
• scompenso a bassa gittata = scompenso anterogrado con diminuzione della portata;
• scompenso ad alta gittata = è l’incapacità del cuore di adeguarsi alle aumentate richieste di trasporto di O2 in condizioni quali l’anemia, l’ipertiroidismo, le fistole artero-venose, il morbo di Paget e il beriberi.
Caratteristicamente la differenza tra concentrazione di O2 nel sangue arterioso e in quello venoso (normale 3,5-5,0 ml/dl) è aumentata nello scompenso a bassa gittata e normale o diminuita in quello ad alta gittata.
Secondo il ventricolo colpito si distinguono:
1. insufficienza sinistra
2. insufficienza destra
3. insufficienza globale.
In base al decorso temporale dell’insufficienza cardiaca si distingue tra:
— Insufficienza cardiaca acuta: si sviluppa nell’arco di ore/giorni:
• deficit di pompa cardiaca: ad es. infarto cardiaco, crisi ipertensiva, miocardite
• forme acute di shunt o di insufficienza valvolare: ad es. difetto del setto ventricolare in corso di infarto; rottura dei muscoli papillari con insufficienza mitralica
in corso di infarto; rottura valvolare acuta in corso di endocardite batterica (insufficienza aortica o mitralica)
• ostacolo meccanico al riempimento ventricolare: ad es. tamponamento cardiaco
• turbe del ritmo cardiaco: tachicardia o bradicardia.
— Insufficienza cardiaca cronica: si sviluppa nell’arco di mesi/anni:
• compensata
• scompensata.
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Epidemiologia
Prevalenza: 3% della popolazione, aumenta col progredire dell’età; il 10% dei soggetti
> 60 anni ha un’insufficienza cardiaca. Nel 90% dei casi la causa primaria è l’ipertensione (Framingham Offspring Study). In tal caso la sequenza patogenetica è: ipertensione cardiopatia coronarica infarto miocardico insufficienza cardiaca.
Eziologia
Cause di insufficienza cardiaca (nello scompenso a bassa gittata):
— alterazioni della funzione ventricolare sistolica: sono la conseguenza di un’alterazione della contrattilità miocardica
— alterazioni della funzione ventricolare diastolica: sono la conseguenza di una ridotta distensibilità («compliance») del ventricolo sinistro
— alterazioni combinate della funzione ventricolare sistolica e diastolica.
Fisiopatologia
Eziologia
I. Disturbo della funzione ventricolare sistolica
1. diminuita contrattilità
2. maggiore tensione della parete ventricolare
a. con sovraccarico di volume =
aumento del precarico
b. con sovraccarico di pressione =
aumento del postcarico
II. Disturbo della funzione ventricolare diastolica
1. da ostacolo al riempimento ventricolare
2. da ipertrofia cardiaca
III. Disturbi del ritmo cardiaco
Aumento del pre-carico
Sovraccarico di volume
cardiomiopatia dilatativa, miocardite,
cardiopatia coronarica
insufficienza valvolare
vizi di shunt
stenosi valvolare, ipertensione arteriosa,
ipertensione polmonare
tamponamento cardiaco, pericardite
costrittiva, cardiomiopatia restrittiva
ad es. ipertensione arteriosa
bradicardia/tachicardia di diversa
eziologia
Cuore:
Perdita di contrattilità
Disturbi del ritmo
Ostacolo al riempimento
Aumento del post-carico
Sovraccarico di pressione
Fisiopatologia
La funzione cardiaca di pompa dipende da:
— Contrattilità (inotropia)
Forza e velocità di accorciamento della fibra miocardica, misurabile come velocità
massima di aumento pressorio (dp/dt).
La forza contrattile può essere aumentata, nel cuore sano, da 3 meccanismi:
Rapporto forza/tensione
= meccanismo di
Frank-Starling
Rapporto forza/frequenza
= effetto di Bowditch
Attivazione simpaticoadrenergica = stimolazione
dell’adenilatociclasi
Aumento della contrattilità
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• Meccanismo di Frank-Starling (rapporto forza/tensione):
un aumento del pre-carico (cioè del volume-pressione telediastolico ventricolare)
provoca un aumento della tensione ventricolare e della distensibilità diastolica del
muscolo cardiaco; ciò comporta, entro i limiti fisiologici, un aumento della gittata. Alla base del meccanismo di Frank-Starling vi è un’aumentata sensibilità al
calcio delle proteine contrattili. Col progredire dell’insufficienza cardiaca, il meccanismo perde la sua efficacia.
• Effetto di Bowditch (rapporto forza/frequenza):
nel cuore sano, un aumento della frequenza cardiaca si accompagna a un aumento della forza di contrazione. Questo effetto viene meno in caso di insufficienza
cardiaca; in caso di elevata frequenza cardiaca si osserva anzi una riduzione di
contrattilità del cuore insufficiente.
• Attivazione simpatico-adrenergica:
la noradrenalina porta ad aumento della contrattilità tramite la stimolazione dei βrecettori del sistema adrenergico-adenilatociclasi. In caso di insufficienza cardiaca
questo effetto si riduce, anche a seguito della «down-regulation» (= diminuzione
della densità) dei β-recettori.
— Post-carico (after-load)
Tensione massima della parete ventricolare durante la sistole; dipende dalle resistenze eiettive contro le quali lavora il ventricolo. Il post-carico del ventricolo sinistro è sostanzialmente rappresentato dalla pressione arteriosa sistemica, la quale dipende dalle resistenze periferiche. L’aumento del post-carico porta a una riduzione
della gittata.
— Frequenza cardiaca
gittata (l/min)
normale
6
4
B
A
insufficienza cardiaca + farmaci inotropi (digitale)
e/o farmaci che diminuiscono il post-carico
(vasodilatatori arteriosi)
insufficienza cardiaca
C
2
10
i
diuretic
20
30 mmHg
pressione telediastolica del
ventricolo sinistro
In caso di insufficienza cardiaca il diagramma (curva di Frank-Starling) diventa piatto; ciò significa:
1. la gittata massima raggiungibile diminuisce, inizialmente solo sotto sforzo (insufficienza da sforzo), più avanti anche a riposo (insufficienza a riposo)
gittata cardiaca (riferita alla superficie corporea) = indice cardiaco valore minimo normale a riposo > 2,5 l/min/m2
2. contrariamente alla persona sana, il muscolo cardiaco insufficiente produce una determinata gittata soltanto con un aumento della pressione telediastolica ventricolare
sinistra (A)
3. nei disturbi della funzione ventricolare sistolica la frazione d’eiezione ventricolare
sinistra diminuisce, mentre il volume telediastolico aumenta. In caso di disturbo del-
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la funzione ventricolare diastolica dovuto a difficoltà di riempimento ventricolare la
frazione di eiezione non risulta diminuita (contrariamente alla gittata).
gittata
frazione di eiezione (%) =
volume telediastolico del ventricolo
x 100
Valore normale: 60 ± 6%.
Riduzione della frazione d’eiezione con riduzione della funzione sistolica: lieve 4060%; media 30-40%; grave < 30%.
Con l’impiego di sostanze inotrope positive (es. glicosidi cardioattivi) e che riducono il
post-carico (come gli ACE-inibitori) viene migliorato il diagramma di lavoro del cuore
insufficiente così che può essere prodotta la stessa gittata con pressione telediastolica
diminuita (B).
Le sostanze che riducono il pre-carico (come ad es. i diuretici) abbassano la pressione
telediastolica (C) ma non modificano il diagramma di lavoro ventricolare.
Conseguenze dell’insufficiente funzione di pompa del cuore:
a. scompenso anterogrado = diminuzione della gittata con ipotensione e segni di ipoperfusione periferica: debolezza muscolare e aumentata affaticabilità
b. scompenso retrogrado = stasi nel circolo venoso:
— per scompenso del cuore sinistro: stasi polmonare fino ad edema polmonare
— per scompenso del cuore destro: edemi, epatomegalia da stasi, evtl. ascite di lieve entità (ecografia).
Patogenesi degli edemi cardiaci:
scompenso anterogrado:
ridotta gittata
diminuzione del volume del
sangue circolante
diminuzione del filtrato
glomerulare
ritenzione di Na+ e acqua
iperaldosteronismo secondario
e attivazione della
vasopressina (ADH)
edemi
scompenso retrogrado con aumento
della pressione idrostatica
Meccanismi di compenso nell’insufficienza cardiaca
A) Attivazione neuroendocrina
1. Stimolazione del simpatico + liberazione di catecolamine con conseguente aumento della frequenza cardiaca e della forza di contrazione. Con l’aumentare
dell’insufficienza cardiaca aumenta il livello plasmatico della noradrenalina e
ciò si correla ad un peggioramento della prognosi. Contemporaneamente diminuisce il numero dei β-recettori cardiaci («down-regulation»). Le catecolamine
perdono progressivamente la loro efficacia inotropa cardiaca, ma contemporaneamente aumentano il tono delle arteriole periferiche e, con esso, le resistenze
periferiche e quindi il post-carico!
Con l’aumento del tono venoso e conseguente aumento di ritorno di sangue al
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cuore, aumentano il pre-carico e la forza di contrazione. L’efficacia di questo
meccanismo di Frank-Starling si riduce progressivamente all’aumentare dell’insufficienza cardiaca.
2. Attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone:
• angiotensina II vasocostrizione aumento del post-carico
• aldosterone ritenzione di Na+ e acqua aumento del precarico.
3. Attivazione della vasopressina (ADH) ritenzione idrica
Nota: i meccanismi di compenso neuro-endocrini, inizialmente utili, col progredire dell’insufficienza peggiorano invece la situazione emodinamica e conducono così ad un circolo vizioso che deve essere interrotto dalla terapia.
Attivazione simpatica
Attivazione del sistema RAA
Vasopressina
Down-regulation dei β-recettori
Aumento del post-carico
Ritenzione idrica e salina
Aggravamento dell’insufficienza cardiaca!
4. Liberazione di peptide atriale natriuretico (ANP) e di peptide cerebrale natriuretico (BNP) dovuta alla distensione degli atri (ANP) e dei ventricoli (BNP). Sono peptidi con attività similormonale che esercitano la loro azione vasodilatatrice e natriuretica inibendo il sistema renina-angiotensina-aldosterone. La loro produzione aumenta con l’aumentare dell’insufficienza cardiaca. Il loro effetto è ridotto dalla down-regulation della densità dei recettori renali specifici e dalla prevalenza degli ormoni ad azione vasocostrittrice (angiotensina II, noradrenalina).
B) Ipertrofia cardiaca:
L’insufficienza cardiaca acuta porta ad una dilatazione cardiaca.
Nell’insufficienza cardiaca cronica un ruolo è giocato dal tipo di sovraccarico presente:
• Il sovraccarico di volume (es. insufficienza valvolare) porta ad una ipertrofia eccentrica (= ipertrofia con dilatazione).
• Il sovraccarico di pressione (es. stenosi valvolare, ipertensione) porta ad una
ipertrofia concentrica (= ipertrofia senza dilatazione).
Se l’ipertrofia cardiaca compensatoria supera il limite critico, si giunge ad un
peggioramento dell’insufficienza cardiaca. Oltre il peso cardiaco critico di ca.
500 g si sviluppa una insufficienza coronarica relativa con diminuzione della capacità di rendimento cardiaco e conseguente dilatazione della struttura cardiaca.
Se vengono meno le possibilità fisiologiche/terapeutiche di compenso atte ad assicurare un’adeguata capacità di pompa cardiaca, si parla allora di insufficienza cardiaca scompensata.
Nota: l’insufficienza cardiaca compensata può anche diventare scompensata quando
si manifestano affezioni extracardiache che agiscono sfavorevolmente sulla funzione cardiaca, come polmonite, anemia, poliglobulia, sovraccarico idrico in presenza
di insufficienza renale ecc.
Clinica
A) Insufficienza sinistra
1. Scompenso retrogrado con stasi polmonare
— dispnea (all’inizio da sforzo, più avanti anche a riposo), tachipnea
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— ortopnea (= dispnea quando il paziente è coricato che migliora se viene messo seduto). Auscultazione: rantoli crepitanti bibasilari
— asma cardiaco: tosse notturna + attacchi di ortopnea (escreato croceo per la
presenza di macrofagi alveolari contenenti emosiderina). Auscultazione: ronchi e sibili soprattutto basali
— edema polmonare con ortopnea, rantoli a marea montante, escreato schiumoso
— cianosi (disturbo funzionale polmonare + aumento dell’estrazione di O2 alla
periferia).
2. Scompenso anterogrado con bassa gittata
— affaticabilità, astenia
— disturbi delle funzioni cerebrali, specialmente negli anziani.
B) Insufficienza destra con stasi nel grande circolo
— stasi venosa apprezzabile (vene giugulari e vene alla base della lingua)
— aumento di peso ed edemi declivi: sul dorso del piede, malleolari, pretibiali nel paziente coricato edema sacrale; inizialmente solo serotini, poi permanenti;
nei casi gravi anasarca = edema anche al tronco
— stasi epatica: epatomegalia, a volte dolente (specialmente in caso di scompenso
acuto), evtl. ittero, aumento di bilirubina e transaminasi. Vena cava e sovraepatiche ingrandite all’ecografia. Con insufficienza cronica destra evtl. sviluppo di
una «cirrosi» cardiaca (fegato indurito, atrofico), con ascite (trasudato da stasi)
— gastrite da stasi con anoressia, meteorismo e malassorbimento (raramente cachessia cardiaca)
— rene da stasi con proteinuria.
C) Sintomi in comune nell’insufficienza destra e sinistra
— nicturia (a causa del riassorbimento notturno degli edemi)
— segni di ipertono simpatico: tachicardia, evtl. disturbi del ritmo, cute freddoumida
— evtl. terzo tono cardiaco (ritmo di galoppo), evtl. polso alternante (dovuto alla
gittata che varia)
— cardiomegalia, evtl. con insufficienza valvolare A-V relativa
— versamento pleurico (trasudato da stasi); è più frequente a destra che a sinistra,
in quanto la pressione intrapleurica negativa è maggiore a destra.
Complicanze
— disturbi del ritmo. I disturbi del ritmo possono essere la causa ma anche la complicanza di una insufficienza cardiaca. Il rischio di morte cardiaca improvvisa è correlato al livello di gravità dell’insufficienza cardiaca: i pazienti con insufficienza in
III-IV stadio NYHA muoiono nell’80% dei casi per tachiaritmie
— edema polmonare (scompenso retrogrado)
— shock cardiogeno (scompenso anterogrado)
— trombosi venose (rallentamento del flusso, immobilizzazione) con pericolo di embolia polmonare; formazione di trombi intracardiaci con pericolo di embolie arteriose (in particolare embolie cerebrali).
Classificazione in stadi dell’insufficienza cardiaca
(Stadiazione NYHA della New York Heart Association)
Clinica
I Assenza di disturbi con sforzi abituali
II Disturbi con sforzi più intensi
III Disturbi già con sforzi leggeri
IV Disturbi a riposo
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I pazienti in stadio III e IV NYHA hanno una prognosi sfavorevole (mortalità 20-40%
all’anno).
Stadiazione dell’insufficienza cardiaca secondo criteri obiettivi
Stadio NYHA
Resistenza allo sforzo
Gittata cardiaca
Consumo massimo di O2
(ml/kg/min) nel
corso del test da sforzo
I
sino a 150 W e oltre
(> 1,5-2 W/kg)
gittata normale a
riposo e sotto sforzo
> 25
II
sino a 100 W
(> 1-1,5 W/kg)
gittata adeguata a
riposo e sotto sforzo
15-25
III
sino a 50 W
(1 W/kg)
ridotta gittata
sotto sforzo
5-15
IV
impossibile eseguire
il test da sforzo
ridotta gittata
a riposo
< 5
Diagnosi
1. Clinica, ECG
2. Diagnostica per immagine:
— ecocardiografia
• dimostrazione dell’aumento di volume delle cavità cardiache
• con la misurazione del diametro ventricolare telesistolico e telediastolico si
può calcolare la cosiddetta frazione di accorciamento (normale > 30%) che
costituisce una misura indiretta della frazione di eiezione
• determinazione dello spessore del miocardio (in presenza di ipertrofia)
• valutazione del volume cardiaco minuto (eco-doppler)
• fattori causali responsabili di una insufficienza cardiaca, ad es. malformazioni
delle valvole cardiache, disturbi del movimento della parete ventricolare dopo
un infarto, versamento pericardico ecc.
— radiografia del torace (2 proiezioni)
a) rilievo di eventuale cardiomegalia
Un’ipertrofia concentrica del ventricolo (da sovraccarico di pressione) può
non essere inizialmente rilevata allo studio radiologico. Al contrario, è possibile rilevare precocemente l’ipertrofia eccentrica (da sovraccarico di volume).
– ingrandimento globale: diametro cardiaco massimo in proiezione p.a.
maggiore di metà del diametro toracico: rapporto cuore/torace > 0,5.
– ingrandimento ventricolare:
• ventricolo sinistro: con l’ingrandimento del ventricolo sinistro, la punta
del cuore viene ulteriormente spostata a sinistra e forma con l’emidiaframma sinistro un angolo ottuso (> 90°); in proiezione laterale si evidenzia una riduzione dello spazio retrocardiaco vicino al diaframma
• ventricolo destro: anche l’ingrandimento del ventricolo destro sposta il
cuore, per rotazione, verso sinistra. In questo caso però la punta cardiaca si solleva formando un angolo acuto (< 90°) tra bordo cardiaco sinistro e diaframma; in proiezione laterale si evidenzia una riduzione dello spazio libero retrosternale
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Nota: in caso di ingrandimento del ventricolo destro quest’ultimo può sostituire, nella proiezione p.a., il profilo cardiaco sinistro e pertanto non bisogna concludere automaticamente, in presenza di un allargamento del
cuore verso sinistra, di trovarsi davanti ad un ingrandimento del ventricolo sinistro; verificare pertanto anche la proiezione laterale.
Nota: dalla dimensione cardiaca non è possibile trarre delle conclusioni
sulla capacità di pompa! (es. cuore dell’atleta)
b) segni di stasi polmonare:
– nell’insufficienza cardiaca sinistra:
• linee B di Kerley: linee orizzontali fino ad 1 cm di lunghezza nei lobi
inferiori = stasi linfatica con edema interstiziale
• congestione vascolare degli ili da stasi, vene polmonari allargate a livello ilare
• nell’edema polmonare alveolare, aspetto «a vetro smeriglio»
• evtl. versamento pleurico
– nell’insufficienza cardiaca destra:
• allargamento della vena azygos (alterazione più precoce)
• allargamento della vena cava superiore e dell’atrio destro
— scintigrafia cardiaca (ventricolografia radioisotopica), risonanza magnetica e
tomografia computerizzata a fascio d’elettroni:
• determinazione della dimensione delle cavità cardiache
• determinazione del volume ventricolare telediastolico
• determinazione della frazione di eiezione ventricolare
• valutazione dell’anatomia cardiaca (RMN e tomografia computerizzata a fascio d’elettroni)
• valutazione delle arterie coronariche maggiori e dei by-pass (tomografia computerizzata a fascio d’elettroni)
— diagnostica invasiva: per l’elevata affidabilità dell’ecocardiografia e di altre tecniche diagnostiche non invasive, la diagnostica tramite cateterismo trova oggi
indicazioni limitate a specifiche situazioni: ad es. valutazione delle arterie coronariche per conferma/esclusione di una cardiopatia ischemica.
Diagnosi differenziale
— dispnea di genesi non cardiaca ( vedi Dispnea)
— cianosi di genesi non cardiaca ( vedi Cianosi)
— edemi di genesi non cardiaca ( vedi Edema)
— nicturia di genesi non cardiaca (ad es. affezioni di vescica/prostata)
— stasi delle vene giugulari di genesi non cardiaca (ad es. stasi da ostruzione da tumore)
— versamenti pleurici di genesi non cardiaca ( vedi Versamento pleurico)
— ascite di genesi non cardiaca ( vedi Ascite)
— edema polmonare di genesi non cardiaca ( vedi Edema polmonare)
— shock circolatorio di genesi non cardiaca ( vedi Shock).
Terapia
A) Causale, ad es.
— terapia dell’ipertensione arteriosa, polmonare
— terapia della malattia coronarica
— terapia della miocardite, cardiomiopatia
— terapia dei disturbi del ritmo cardiaco
— terapia chirurgica di un vizio cardiaco, della pericardite costrittiva ecc.
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B) Sintomatica:
1. Misure generali:
— riduzione degli stress fisici e psichici, evtl. sedazione
— normalizzazione del peso, dieta leggera, pasti piccoli, nessun pasto la sera
tardi; dieta povera di cloruro di sodio (< 6 g NaCl/die) e ricca di potassio;
controllo ed eventuale correzione del bilancio elettrolitico (in particolare K+
e Mg++)
— regolazione intestinale
— profilassi delle trombosi
— evtl. somministrazione di O2 con sonda nasale
— sospensione di farmaci che possono peggiorare l’insufficienza cardiaca (ad
es. FANS, agenti con azione inotropa negativa).
2. Terapia farmacologica: indicazione: dal II stadio NYHA
— riduzione del carico cardiaco:
• ACE-inibitori
• nitrati (che riducono pre-carico > post-carico)
• diuretici (che riducono prevalentemente il post-carico).
— aumento della forza di contrazione con sostanze inotrope positive che aumentano la concentrazione di calcio intracellulare: digitale
— regolatori del ritmo, normalizzatori della frequenza:
• digitale, antiaritmici, terapia con pace-maker
— protezione cardiaca dagli effetti neuroendocrini cardio-depressivi:
• ACE-inibitori oppure antagonisti recettoriali dell’angiotensina II
• betabloccanti.
Scelta dei farmaci nell’insufficienza cardiaca cronica
Gli ACE-inibitori rappresentano la base del trattamento in quanto migliorano la
prognosi dell’insufficienza. I pazienti con infarto miocardico con ridotta funzione ventricolare sinistra dovrebbero ricevere gli ACE-inibitori, a scopo preventivo, già nel I stadio NYHA; ciò rallenta infatti la progressione dell’insufficienza
ventricolare sinistra e migliora la prognosi.
A partire dal II stadio NYHA è indicata un’associazione terapeutica a tre farmaci: ACE-inibitore + diuretico + digitale.
Non si è ancora dimostrato un effetto dei glicosidi digitalici sulla mortalità (studio DIG); si è peraltro confermato il valore dell’associazione a tre farmaci (studio RADIANCE): l’assenza di digitale aumenta il rischio di scompenso!
A partire dal II stadio NYHA e se il paziente è stabile, si possono aggiungere i
betabloccanti (senza ISA) a condizione che ciò avvenga gradualmente e sotto
strettissimo controllo medico. Nei pazienti ipertesi o dopo infarto del miocardio
i betabloccanti sono utilizzati indipendentemente dallo stadio NYHA.
Terapia dell’insufficienza cardiaca acuta
1. Terapia causale: ad es.
— crisi ipertensiva: abbassamento della pressione
— infarto miocardico: terapia di rivascolarizzazione (fibrinolisi, PTCA)
— insufficienza valvolare acuta o vizi da shunt: cardiochirurgia
— tamponamento cardiaco: pericardiocentesi
— bradicardia: evtl. atropina, impianto di pace-maker
— tachicardia: evtl. antiaritmici, cardioversione elettrica
2. Terapia sintomatica dell’insufficienza sinistra acuta:
— posizione seduta, sedazione, somministrazione di O2
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— riduzione del pre-carico: nitroglicerina + diuretici dell’ansa ad azione rapida (ad es. furosemide)
— evtl. agonisti β-adrenergici inotropi positivi: dopamina e/o dobutamina,
ecc. (vedi cap. Infarto miocardico)
— evtl. inibitori della fosfodiesterasi (ad es. amrinone, milrinone)
— evtl. peptide natriuretico di tipo BNP (nesiritide)
— ottimizzazione di frequenza cardiaca, pressione venosa centrale, pressione di riempimento ventricolare sinistro e gittata cardiaca.
C) Trapianto cardiaco (vedi più avanti).
Terapia atta a ridurre il carico cardiaco
A) ACE-inibitori
Meccanismo d’azione:
— efficaci vasodilatatori arteriosi + venosi riduzione del pre- e post-carico
— protezione del miocardio da effetti negativi secondari all’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone.
Gli ACE-inibitori sono farmaci di scelta perché migliorano la prognosi dell’insufficienza cardiaca cronica, come dimostrato da vari studi (ad es. CONSENSUS, SOLVD). Nei
pazienti post-infartuati rallentano i processi sfavorevoli di ricostruzione e adattamento
del cuore («remodeling») ed evitano così, in una parte dei pazienti, la progressione dell’insufficienza cardiaca sinistra (ad es. studi SOLVD, SAVE).
All’inizio del trattamento si può determinare una marcata ipotensione sistemica iniziare con basse dosi e aumentare il dosaggio molto lentamente sino alla dose massima
efficace tollerata. Lo studio ATLAS con lisinopril ha dimostrato che dosi relativamente alte riducono il carico cardiaco in modo ottimale. La mortalità («end point» primario dello studio) non è stata invece influenzata più favorevolmente dall’impiego delle
dosi alte rispetto alle dosi normali. Il miglioramento dell’insufficienza cardiaca si manifesta molto lentamente ed è spesso valutabile solo dopo 1-2 mesi.
(Per i dettagli su preparati, dosaggi, effetti collaterali e controindicazioni: vedi cap.
Ipertensione arteriosa).
B) Antagonisti recettoriali dell’angiotensina II (sartani)
Nell’insufficienza cardiaca viene attualmente utilizzato solo il losartan. Nello studio
ELITE-II esso ha ridotto la mortalità per insufficienza cardiaca quanto il captopril. Il
ruolo degli altri sartani è in corso di valutazione (per i dettagli vedi cap. Ipertensione
arteriosa).
C) Nitrati
Meccanismo d’azione: efficaci vasodilatatori venosi > arteriosi (riduzione pre-carico >
post-carico).
La nitroglicerina è (con la furosemide) il farmaco di scelta nell’insufficienza acuta sinistra con stasi polmonare. Anche nell’insufficienza cardiaca cronica i nitrati possono
determinare una riduzione della pressione ventricolare di riempimento aumentata.
(Per i dettagli su preparati, effetti collaterali e controindicazioni: vedi cap. Cardiopatia
ischemica).
D) Diuretici
Sinonimo: saluretici
Meccanismo d’azione: aumentano l’eliminazione renale di NaCl e H2O. La restrizione
dietetica di NaCl è in ogni caso necessaria quale base del trattamento.
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Efficacia nell’insufficienza cardiaca: diminuzione del pre-carico riassorbimento della stasi polmonare e degli edemi; anche riduzione delle resistenze periferiche riduzione del post-carico.
1. Derivati e analoghi tiazidici
Meccanismo d’azione: inibiscono l’attività dei cotrasportatori di Na+Cl– nel tubulo
pre-distale; fino al 15% del sodio filtrato a livello glomerulare viene così eliminato.
Tuttavia questo comporta una analoga perdita di potassio. Le singole sostanze si distinguono principalmente per la diversa durata d’azione: di 12-24 h per l’idroclorotiazide, e di 48 h ed oltre per il clortalidone.
I diuretici tiazidici hanno effetto anche con filtrato glomerulare < 30 ml/min.
2. Diuretici attivi sull’ansa di Henle
Meccanismo d’azione: bloccano i carrier di Na+/K+/2 Cl– a livello del ramo ascendente dell’ansa di Henle, ove viene eliminato fino al 40% del sodio filtrato. In caso di trattamento con diuretici dell’ansa, il loro effetto può essere ridotto da un aumento compensatorio del riassorbimento a livello del tubulo distale. Si parla allora
di «resistenza ai diuretici». Altre cause di resistenza ai diuretici sono l’iponatriemia
e il trattamento con FANS.
Nome generico
Nome commerciale
(esempi)
Derivati e analoghi tiazidici
a) saluretici con effetto di media durata (< 24 h)
butizide
(*)
clopamide
(*)
idroclorotiazide
Esidrex
mefruside
(*)
xipamide
Aquafor
b) saluretici con effetto di lunga durata (48 h o più)
clortalidone
Igroton
Diuretici attivi sull’ansa di Henle
acido etacrinico
Reomax
azosemide
(*)
bumetanide
Fontego
etozolina
Elkapin
furosemide
Lasix
piretanide
Tauliz
torasemide
Toradiur
Dosaggio medio giornaliero
per via orale (in mg)
11,5-10
11,5-20
12,5-50
1,25-50
1,10-40
1,25-50
(a giorni alterni)
50-150
80
0,5-1,0
200-400
20-80
3-6
5-10
(*) farmaco non in commercio in Italia
Nota: in caso di resistenza ai diuretici dell’ansa, non aumentarne progressivamente
la dose, ma associarli ai diuretici tiazidici. In tal modo si ottiene un blocco sequenziale del nefrone in grado di incrementare nuovamente la diuresi. Si deve comunque
prestare attenzione alla perdita di potassio e magnesio, e somministrarli secondo necessità. La furosemide ha azione diuretica anche con filtrato glomerulare inferiore a
5 ml/min.; somministrata e.v., inizia l’effetto diuretico dopo 10-20 min.
Tutti i diuretici attivi sull’ansa di Henle hanno una durata di efficacia relativamente breve (< 6 h).
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La furosemide è il diuretico dell’ansa impiegato da più tempo e con il maggiore
spettro terapeutico. Determina una dilatazione venosa diretta capace di ridurre la
stasi polmonare ancor prima che compaia l’effetto diuretico (dose singola 20-40 mg
e.v.).
3. Diuretici risparmiatori di potassio
Meccanismo d’azione: inibizione del riassorbimento di Na+ e della escrezione di
K+ nel dotto collettore.
Per il loro limitato effetto diuretico, questi farmaci non hanno alcun ruolo come monoterapia. I diuretici risparmiatori di potassio sono somministrati in associazione ai
tiazidici e sono controindicati nell’insufficienza renale (pericolo di iperpotassiemia).
— Antagonisti dell’aldosterone
I preparati per via orale (ad es. spironolattone) diventano efficaci solo dopo 2-3
giorni di terapia.
Poiché il potassio canrenoato nella forma e.v. ha avuto un effetto cancerogeno
sull’animale, l’indicazione per il suo impiego è da porre con cautela in considerazione del rischio/beneficio. Pur essendo il canrenoato un metabolita dello spironolattone non si dispone ancora di osservazioni sull’effetto cancerogeno dello
spironolattone sull’animale.
Indicazioni: iperaldosteronismo primitivo (sindrome di Conn), iperaldosteronismo secondario (in presenza di cirrosi epatica con ascite, insufficienza cardiaca
con edemi).
A completamento della classica terapia a 3 farmaci (ACE-inibitore, diuretico e
digitale) lo spironolattone può ridurre significativamente la mortalità nei pazienti con insufficienza cardiaca in III e IV stadio NYHA (studio RALES). Spesso
è sufficiente una dose giornaliera di 25-50 mg.
— Diuretici risparmiatori di potassio (con meccanismo non anti-aldosteronico)
Amiloride e triamterene hanno, se usati come monoterapia, un’efficacia assai
scarsa; vengono pertanto utilizzati in associazione con un tiazidico, ad es. idroclorotiazide + amiloride, idroclorotiazide + triamterene.
Diuretici utilizzati nella insufficienza cardiaca
In caso di insufficienza cardiaca sinistra acuta con rischio di edema polmonare è indicata la rapida somministrazione endovenosa di un diuretico dell’ansa, come ad es. 40
mg di furosemide; nei casi di insufficienza cardiaca cronica con stasi polmonare e/o
edemi, i diuretici vengono impiegati per os, possibilmente a bassa dose, e in associazione ad altri farmaci per il trattamento dell’insufficienza cardiaca.
Spesso per la terapia a lungo termine è sufficiente somministrare un tiazidico ad intermittenza, ogni 2 o 3 giorni, in un’unica dose al mattino, al fine di non compromettere
il riposo notturno a causa della diuresi. La monoterapia con tiazidici deve sempre essere integrata con una terapia sostitutiva a base di K+ (dieta ricca di potassio o somministrazione di potassio per via orale). Gli antagonisti dell’aldosterone e i diuretici risparmiatori di potassio, peraltro controindicati in caso di insufficienza renale per il rischio di iperpotassiemia, sono indicati in associazione con tiazidici per bilanciare la loro azione potassiurica. Se i tiazidici non sono sufficienti, ne è consigliata l’associazione con i diuretici dell’ansa.
Nella fase di riduzione dell’edema florido occorre sempre mirare ad una lenta diminuzione di peso corporeo (al massimo 1 kg al giorno), pesandosi quotidianamente; è anche bene instaurare una terapia anticoagulante per la prevenzione del tromboembolismo
(eparina a bassa dose, essendo in questa situazione elevato il rischio tromboembolico).
In assenza di una dieta priva di sale o in caso di trattamento con FANS l’effetto dei
diuretici è diminuito.
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Diuretici nell’ipertensione
In caso di funzione renale normale i tiazidici vengono somministrati a basso dosaggio
(senza raggiungere dunque un’azione saluretica). Aumentando le dosi non si raggiunge
una significativa, ulteriore riduzione della pressione. Per la loro azione antiipertensiva
relativamente modesta, i diuretici vengono impiegati soprattutto associati ad altri antiipertensivi.
Effetti collaterali
Tiazidici:
1. disturbi elettrolitici: sodio, potassio, magnesio diminuiti, evtl. calcio aumentato
2. ipovolemia (ev. con aumento di urea, creatinina), abbassamento della pressione, aumentato rischio di trombosi specialmente
in fase di infiltrazione edematosa
3. disturbi metabolici:
aumento di glucosio, acido urico, colesterolo LDL e trigliceridi
4. attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone (in seguito all’ipovolemia)
aumentata efficacia degli ACE-inibitori
5. altri effetti collaterali: disturbi gastrointestinali, raramente reazioni allergiche, alterazioni della crasi ematica (anemia, leucopenia, trombocitopenia), pancreatite, ecc.
Controindicazioni
Diuretici attivi sull’ansa di Henle:
come i tiazidici, però ipocalcemia
Inoltre:
— nausea, vomito (acido etacrinico), perdita
reversibile dell’udito (furosemide)
— perdita irreversibile dell’udito (acido etacrinico)
Nota: la perdita dell’udito avviene particolarmente in caso di rapida somministrazione e.v.
ad alti dosaggi.
come i tiazidici
Antagonisti dell’aldosterone:
1. iperpotassiemia ed iponatriemia
2. ginecomastia (10%), impotenza, amenorrea, sanguinamenti intermestruali, tensione
mammaria, modifiche della voce, irsutismo
3. disturbi gastrointestinali
4. modifiche della cute
5. stato confusionale passeggero
Nota: gli antiflogistici non-steroidei diminuiscono l’efficacia ed aumentano la tendenza ad
iperpotassiemia.
Amiloride e triamterene
1. iperpotassiemia ed iponatriemia
2. reazioni allergiche
3. alterazioni della crasi ematica (anemia megaloblastica da triamterene)
4. disturbi gastrointestinali
1. gravi disturbi renali/epatici
2. gravi disturbi elettrolitici:
— ipopotassiemia
— iponatriemia
— ipercalcemia
3. intossicazione digitalica; rischio aumentato
anche nei disturbi del ritmo cardiaco
4. allergie da sulfonamidici
5. gravidanza ed allattamento
Nota: per i loro effetti metabolici, i tiazidici sono sconsigliati nei pazienti con diabete mellito
e/o alterazioni del metabolismo lipidico.
1.
2.
3.
4.
5.
insufficienza renale
iperpotassiemia
iponatriemia
gravidanza ed allattamento
non associare ad ACE-inibitori (pericolo di
iperpotassiemia).
Cautela in caso di concomitante somministrazione di risparmiatori di potassio nei pazienti
anziani con eventuale insufficienza renale lieve (pericolo di iperpotassiemia!).
Come gli antagonisti dell’aldosterone
Nota: in corso di terapia con diuretici, regolari controlli di: sodio, potassio, calcio, creatinina, uricemia, colesterolo, glicemia.
196
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Nota: diagnosi differenziale dell’iponatriemia in corso di insufficienza cardiaca:
Iponatriemia in corso di
insufficienza cardiaca
Iponatriemia da diluizione
Iponatriemia da
perdita di liquidi
Na+ siero < 135 mmol/l
Sintomatologia:
edemi
ematocrito Sintomatologia:
assenza di edemi
ematocrito Terapia:
restrizione di H2O
«diuresi idrica»
(furosemide)
Terapia:
sospensione dei
diuretici
NaCl (3-4 g/die)
Glicosidi cardioattivi
I glicosidi ad azione cardiaca si trovano in diverse piante, come ad es.:
— Digitalis purpurea
— Scilla maritima
— Digitalis lanata
— Convallaria majalis
— Strophantus combé
— Crataegus
Meccanismo d’azione
I glicosidi cardioattivi inibiscono l’enzima Na+-K+-ATPasi della fibrocellula muscolare
cardiaca e aumentano così la quota di Na+ intracellulare che, tramite l’attivazione degli
scambiatori Na+/Ca++, aumenta la concentrazione intracellulare di calcio libero. Ne risulta un miglioramento dell’accoppiamento elettro-meccanico = effetto inotropo positivo. Nell’ambito del range terapeutico, l’enzima Na+-K+-ATPasi viene inibito solo parzialmente (viene legato solo il 10-30% delle molecole di ATPasi), mantenendo così costante il rapporto K+-Na+ intracellulare. A concentrazioni tossiche la pompa ionica Na+K+ viene talmente inibita (> 30% delle molecole di ATPasi) che la concentrazione di
Na+ intracellulare aumenta e quella di K+ diminuisce. In tal modo si abbassa il potenziale di riposo della membrana ed aumenta l’attività elettrica spontanea.
I glicosidi cardioattivi hanno un ridotto indice terapeutico (= rapporto fra dose tossica
e dose terapeutica) di 1,5 - 2,0.
Coll’aumentare dell’età e in presenza di un miocardio molto danneggiato con riduzione
della sua contrattilità, si giunge ad una riduzione dei recettori per i glicosidi cardioattivi (= molecole di ATPasi); pertanto il limite tossico dei glicosidi si riduce, e gli effetti
collaterali compaiono più precocemente. La dose tossica è anche molto influenzata dalla concentrazione plasmatica degli elettroliti:
Ca++ aumenta
l’effetto della digitale (la sensibilità alla digitale)
K+ e Mg++ diminuiscono
Nota: 1. evitare di somministrare calcio e.v. a un paziente digitalizzato (pericolo di
tachiaritmie, fino alla fibrillazione ventricolare);
2. si può ridurre la tossicità digitalica aumentando le concentrazioni plasmatiche di potassio e magnesio sino ai limiti superiori della norma.
I quattro effetti principali dei glicosidi cardiaci sono:
1. inotropo positivo
3. cronotropo negativo (riduzione della
(aumento della contrattilità cardiaca)
frequenza cardiaca) - effetto vagale
2. batmotropo positivo
4. dromotropo negativo (riduzione della
(aumento della formazione dello stimolo)
velocità di conduzione)
L’azione inotropa positiva comporta l’aumento della gittata (e di conseguenza della frazione di eiezione) nonché la diminuzione della pressione ventricolare telediastolica; si
}
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innalza la curva di Frank-Starling del cuore con insufficienza (vedi sopra).
L’efficacia dei glicosidi è stata provata dagli studi RADIANCE, PROVED e DIG. Non
è stata però ancora documentata alcuna loro influenza sulla mortalità.
Farmacocinetica
— Quota di assorbimento: vedi tabella.
— Metabolismo ed eliminazione/scelta di glicosidi cardiaci in presenza di insufficienza renale:
• la digossina viene eliminata prevalentemente per via renale ed il dosaggio va pertanto ridotto a seconda della funzionalità renale (ad es. con una creatinina clearance di 50 ml/min., la dose di mantenimento della digossina va dimezzata)
• la digitossina, che viene in parte metabolizzata in digossina, viene eliminata per
il 60% per via renale e per il 40% tramite il fegato nell’intestino dove, per il
25%, viene riassorbita attraverso il circolo enteroepatico. Mentre nell’insufficienza renale diminuisce l’eliminazione renale della digitossina, ne aumenta per effetto compensatorio l’eliminazione attraverso l’intestino. Pertanto la digitossina può
essere somministrata normalmente in presenza di insufficienza renale (0,07
mg/die, eventualmente con un intervallo di un giorno alla settimana).
— Emivita e quota di escrezione: nel paziente senza affezioni epatiche e renali l’emivita della digossina è di ca. 40 ore e della digitossina di 6-8 giorni. Dopo ca. 5 emivite il glicoside è stato eliminato dall’organismo. Quota di escrezione = perdita di
efficacia giornaliera in % del glicoside. Tanto più lunga l’emivita (o tanto più bassa la quota di escrezione), tanto più grande il pericolo di accumulo di un farmaco.
Di questo fatto va tenuto conto nel dosaggio (vedi sotto).
— Dosaggio a pieno effetto: si considera dosaggio a pieno effetto la quantità (in mg)
di un glicoside cardiaco trattenuta nell’organismo, dopo somministrazione orale o
per via parenterale, che sviluppa un’azione inotropa ottimale (massima).
Dosaggio a pieno effetto
digossina
Tasso ematico terapeutico
0,8-2,0 ng/ml
0,8-1,2 mg
digitossina
10-30 ng/ml
dosaggio orale di mantenimento =
dosaggio a pieno effetto quota di escrezione
quota di assorbimento
glicoside
assorbimento
intestinale
escrezione
dose orale giornaliera
di mantenimento
Digossina
70%
media
20% (1/5)
0,25 - 0,375 mg
Digossina con
eccipiente di
acido silicico
80%
media
20% (1/5)
0,20 - 0,30 mg
β-acetil-digossina
80%
media
20% (1/5)
0,20 - 0,30 mg
Metil-digossina
> 90%
media
20% (1/5)
0,10 - 0,20 mg
Digitossina
90 - 100%
lenta
7% (1/14)
0,07 - 0,10 mg
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Esistono tre modalità di somministrazione per raggiungere la dose terapeutica:
1. Digitalizzazione rapida:
raggiungimento della dose terapeutica entro 2 giorni (rischio di intossicazione, pericolo
di embolie arteriose a partenza dal cuore sinistro).
2. Digitalizzazione medio-rapida:
raggiungimento della dose terapeutica entro 3-5 giorni.
— digossina:
• per via endovenosa: per 3 giorni 0,4 mg/die, dopo di che dose di mantenimento
di 0,2 mg/die
• per via orale (preparati con quota di assorbimento dell’80%): per 3 giorni 0,5
mg/die, dopo di che dose di mantenimento di 0,20-0,30 mg/die.
— digitossina: in assenza di disturbi di assorbimento (ad es. scompenso cardiaco oppure interazione con altri farmaci - vedi sotto) gli schemi dei dosaggi e.v. e per os
non differiscono molto:
• per 3 giorni 0,3 mg/die, dopo di che dose di mantenimento di 0,1 mg/die o 0,7
mg/die (in caso di pazienti anziani e sotto peso nonché in presenza di insufficienza renale).
3. Digitalizzazione lenta:
in questo caso la terapia consiste sin dall’inizio nella dose di mantenimento ed il dosaggio a completa efficacia viene raggiunto soltanto dopo ca. 5 emivite.
Digossina con T1/2 di ca. 1,6 giorni raggiungimento del dosaggio a pieno effetto in
ca. 8 gg.
Digitossina con T1/2 di 6 gg raggiungimento del dosaggio a pieno effetto entro 1
mese.
Nota: in caso di insufficienza cardiaca acuta, inizialmente occorre sempre somministrare
glicosidi cardiaci e.v. (l’effetto subentra più rapidamente, non vi sono fattori di insicurezza
dovuti all’assorbimento enterico).
Quando il paziente è compensato dal punto di vista emodinamico, si prosegue la terapia
per via orale. A tale proposito si noti che variando la modalità di somministrazione non bisogna mai variare anche il farmaco, bensì utilizzare il medesimo (si evitano in tal modo
le difficoltà dovute alle diverse modalità di assorbimento e di eliminazione).
Poiché la dose efficace dei glicosidi cardioattivi varia da individuo a individuo e poiché il
margine terapeutico è ridotto, il dosaggio ottimale va stabilito mediante accurate osservazioni cliniche:
• segni di ricompenso cardiaco: scomparsa di dispnea e cianosi, riduzione della frequenza
cardiaca, riassorbimento di edemi ecc.
• porre attenzione alle manifestazioni iniziali da intossicazione (ad es. extrasistoli). Avendo anche il pur minimo sospetto di un sovradosaggio bisogna controllare la concentrazione plasmatica dei glicosidi cardioattivi
• controllo della concentrazione sierica dei glicosidi, utile anche per una verifica della
compliance del paziente.
Indicazioni dei glicosidi cardioattivi
1. insufficienza cronica conclamata del cuore sinistro, con prevalente disfunzione sistolica (effetto inotropo positivo)
2. tachiaritmie da fibrillazione o flutter atriale (effetto crono/dromotropo negativo);
ma non nella sindrome di Wolff-Parkinson-White.
Glicosidi cardioattivi in presenza di insufficienza renale: farmaco di scelta è la digitossina, vedi sopra.
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Glicosidi cardioattivi in presenza di insufficienza epatica: somministrazione di digossina pura che viene eliminata immodificata.
Interazioni con altri farmaci:
— diminuzione della quota di assorbimento dovuta a: antiacidi, colestiramina, colestipolo e carbone
— diminuzione della clearance della digossina (con conseguente necessità di ridurre il
dosaggio) dovuta a: chinidina, calcioantagonisti, levodopa, amiodarone, tetracicline,
claritromicina, ecc.
— aumentato rischio di disturbi del ritmo cardiaco:
• in concomitanza di terapia con simpaticomimetici, reserpina, teofillina, succinilcolina, ormoni tiroidei, calcio
• in concomitanza di terapia con farmaci che possono causare ipopotassiemia (es.
diuretici, lassativi, corticosteroidi ecc.)
— aumentato rischio di bradicardia e blocchi di AV (SA) in concomitanza di terapia
con betabloccanti.
Ridotta tolleranza ai digitalici
Le seguenti condizioni si associano ad un aumentato rischio di effetti collaterali o manifestazioni da intossicazione:
• ipopotassiemia e ipomagnesiemia, alcalosi, ipercalcemia
• ipossiemia
• cuore polmonare
• miocardite
• insufficienza renale (accumulo di digossina)
• stenosi mitralica (pericolo di edema polmonare)
• contemporaneo trattamento con farmaci dotati di interazioni indesiderate con i glicosidi cardiaci
• età avanzata (= riduzione della clearance della creatinina, massa muscolare ridotta =
ridotto volume di distribuzione per i glicosidi cardioattivi)
• ipotiroidismo.
Nota: la tachicardia da ipertiroidismo ed il mixedema da ipotiroidismo vengono scambiati talvolta per insufficienza cardiaca e trattati senza esito favorevole con la digitale.
Se però in presenza di una disfunzione tiroidea vi è anche una insufficienza cardiaca,
allora la digitale è indicata e anche efficace. Ad ogni modo in caso di mixedema vi è
la possibilità di una eliminazione rallentata dei glicosidi cardiaci tale da rendere necessaria la riduzione del dosaggio.
Controindicazioni
• intossicazione da digitale
• disturbi bradicardici del ritmo cardiaco, «sick sinus syndrome», sindrome del seno
carotideo, blocco SA/AV > I grado (terapia con digitale soltanto dopo applicazione di
un pace-maker)
• tachicardia ventricolare
• sindrome WPW
• ipercalcemia
• ipopotassiemia
• recente infarto cardiaco
• malattia cardiaca coronarica senza insufficienza cardiaca
• cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva
• pericardite cronica costrittiva
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• immediatamente prima e dopo cardioversione
• aneurisma dell’aorta toracica.
Effetti collaterali ed intossicazione da digitale
Gli effetti collaterali e le manifestazioni da intossicazione possono verificarsi in presenza di stati di diminuita tolleranza ai glicosidi già nell’ambito del range terapeutico
(o anche prima).
Cause di intossicazione da digitale:
• esistenza di controindicazione alla digitale o stati di diminuita tolleranza ai glicosidi
(ridotta funzionalità renale ed interazioni da farmaci: sono le più frequenti)
• errori di dosaggio
• intenzione di suicidio o criminale.
Clinica:
1. disturbi gastrointestinali come vomito (effetto vagale), diarrea
2. disturbi del sistema nervoso centrale e visivi (visioni colorate, soprattutto in giallo)
3. disturbi cardiaci:
disturbi del ritmo, ad es.:
— disturbi della formazione dello stimolo, ad es.:
• bradicardia sinusale
• tachicardia ventricolare parossistica, spesso con blocco AV 2:1
• tachicardia nodale - AV
• extrasistoli, bigeminismo
— disturbi della conduzione dello stimolo, ad es. blocco AV (particolarmente tipo
Wenckebach)
— alterazioni ECG possono comparire già nel range terapeutico: sottoslivellamenti ST a scodella, appiattimento/negativizzazione della T, accorciamento della durata QTc (corretto per frequenza), allungamento PQ.
Diagnosi
• anamnesi + clinica
• livelli sierici di glicoside in presenza di intossicazioni da digitale:
digossina > 2,0 ng/ml
digitossina > 30,0 ng/ml.
Terapia
1. interrompere l’apporto di digitale
2. favorire l’eliminazione della digitale:
— in caso di avvelenamento accidentale o a scopo di suicidio effettuare le usuali
misure di svelenamento (lavanda gastrica, svuotamento dell’intestino ecc.). Nelle intossicazioni da digitale inoltre somministrazione di resine a scambio ionico
— trattamento con antidoto: antitossina digitalica (frammenti anticorpali Fab)
dosaggio: 80 mg di antidoto legano 1 mg di digossina o di digitossina nell’organismo. Il successo terapeutico è riconoscibile dal regresso dei disturbi del ritmo cardiaco nonché dalla normalizzazione della durata di QT
effetti collaterali: poiché si tratta di un preparato ottenuto dal siero di pecora, vi
è il pericolo di una reazione anafilattica se impiegato ripetutamente ( test della congiuntiva)
— in caso di grave intossicazione da digitale evtl. anche emotrasfusione
3. portare a livelli normali la concentrazione ematica di potassio (parenterale non più
di 20 mmol K+/h).
In presenza di blocco AV l’apporto di potassio è controindicato (aumento del blocco AV). Attenzione in caso di grave intossicazione da digitale, in quanto vi è il rischio di una iperpotassiemia!
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4. trattamento sintomatico
— in presenza di disturbi bradicardici del ritmo si tenta con atropina, altrimenti posizionamento temporaneo di pace-maker
— in caso di disturbi del ritmo ventricolare somministrazione di fenitoina.
Nota: l’efficacia terapeutica del potassio e della fenitoina è determinata dal fatto che
agiscono sui medesimi recettori di membrana della digitale.
Altre sostanze inotrope positive
Indicazioni
Somministrazione e.v. solo nel trattamento intensivo dell’insufficienza cardiaca acuta.
• Agonisti dei β-recettori (simpaticomimetici)
Dopamina, dobutamina
Meccanismo d’azione: attivazione dell’adenilatociclasi aumento della concentrazione intracellulare di AMPC e calcio.
Nella prima fase dell’insufficienza cardiaca l’aumentata attività simpatica costituisce
un importante meccanismo compensatorio. Con l’aggravarsi dell’insufficienza cardiaca l’aumentato livello di catecolamine provoca una progressiva diminuzione della
densità dei β-recettori a livello del miocardio (down-regulation). La somministrazione di catecolamine esogene pertanto porta ad un miglioramento solo transitorio dell’emodinamica.
Indicazioni: solo insufficienza cardiaca acuta (per l’impiego in presenza di infarto
cardiaco si veda il capitolo specifico). Poiché i pazienti con insufficienza cardiaca
cronica risentono negativamente dell’attivazione compensatoria simpatico-adrenergica, in questi casi i farmaci adrenergici sono controindicati.
• Inibitori della fosfodiesterasi (ad es. amrinone, milrinone)
sinonimo: inodilatori (= effetto inotropo + vasodilatatore).
Nei pazienti con insufficienza cardiaca cronica gli inibitori della fosfodiesterasi peggiorano la prognosi a causa dei loro effetti aritmogeni (soprattutto aritmie ventricolari). Anche nel trattamento dello shock cardiogeno, questi farmaci non migliorano la prognosi.
• Calcio-sensibilizzatori (ad es. levosimendan): in fase di studio.
Beta-bloccanti
Meccanismo d’azione
Protezione del cuore dall’azione lesiva delle catecolamine, ostacolo alla «down-regulation» dei β-recettori, riduzione della frequenza cardiaca (ottimale: 60-70/minuto). In
passato, i betabloccanti erano di regola controindicati in caso di insufficienza cardiaca
conclamata per la loro azione inotropa negativa. Vari studi hanno però dimostrato che
i pazienti con insufficienza cardiaca traggono vantaggio dal trattamento aggiuntivo con
betabloccanti particolari (senza ISA), ad es. carvedilolo, metoprololo, bisoprololo.
Rispetto alla terapia di base a 3 farmaci, la mortalità può essere così ridotta del 35%
circa!
Indicazioni
Trattamento additivo dell’insufficienza cardiaca a partire dal II stadio NYHA. Nei pazienti con ipertensione arteriosa o post-infartuati i betabloccanti vengono utilizzati indipendentemente dallo stadio NYHA. Fare attenzione alle controindicazioni (vedi pag.
253).
La premessa all’impiego dei betabloccanti è data dall’esistenza di un’insufficienza cardiaca cronica stabile già in trattamento con terapia di base completa.
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Dosaggio
In caso di insufficienza cardiaca, il betabloccante (senza ISA) deve essere somministrato con molta prudenza, in quanto può favorire lo scompenso! Iniziare sempre con la
dose più bassa, sorvegliare con attenzione il paziente, possibilmente in regime di ricovero.
• dose test: carvedilolo 3,25 mg, bisoprololo 1,25 mg oppure metoprololo 10 mg, tenendo il paziente sotto osservazione
• dose iniziale: la dose test al mattino e alla sera
• fase di aggiustamento posologico: raddoppio della dose ogni 10 giorni circa, aumento del dosaggio solo sotto controllo medico (monitoraggio del peso corporeo!)
• dose finale di mantenimento: carvedilolo sino a 25 mg × 2/die, bisoprololo sino a 5
mg × 2/die oppure metoprololo sino a 50 mg × 3/die, cioè le dosi più alte tollerate.
Complicanze
• peggioramento dell’insufficienza cardiaca: rallentare nell’aumento di dosaggio, ottimizzare la terapia con diuretici e glicosidi cardiaci, ricercare altre cause
• ipotensione arteriosa: rallentare nell’aumento di dosaggio, ricercare altre cause (sovradosaggio dei diuretici, iponatriemia)
• bradicardia: sospendere il trattamento solo in caso di bradicardia con conseguenze
emodinamiche
• ostruzione bronchiale: è una controindicazione al trattamento con betabloccanti.
Trapianto cardiaco
Indicazione
Insufficienza cardiaca terminale, in IV stadio NYHA, con frazione d’eiezione < 20%,
non più influenzabile con i mezzi conservativi. Per valutare l’urgenza del trapianto è
utile la ergospirometria: i pazienti con estrazione di O2 massima < 10 ml/kg/min hanno
una mortalità a 1 anno del 77%.
La maggior parte dei pazienti da sottoporre a trapianto è affetta da cardiomiopatie, cardiopatia ischemica, valvulopatie.
Controindicazioni
• ipertensione polmonare grave (resistenze arteriose polmonari > 48 Pa · ml–1 · sec) evtl. trapianto simultaneo di cuore e polmoni
• infezioni attive, tumori maligni, ulcere attive
• insufficienza epatica/renale evtl. trapianto combinato di cuore/rene o cuore/fegato
• grave vasculopatia cerebrale/periferica
• affezioni sistemiche a prognosi infausta
• dipendenza da alcool o droghe, malattie psichiche acute, scarsa collaborazione del
paziente, età > 65-70 anni.
Procedure
Utilizzo di un cuore di un paziente clinicamente morto + trattamento immunosoppressivo (ciclosporina A, azatioprina, temporaneamente cortisonici). Il donatore più idoneo
viene individuato tenendo conto dell’istocompatibilità (vedi sotto) e della priorità
• trapianto cardiaco ortotopico: metodo standard, sostituzione del cuore del paziente
col cuore del donatore
• trapianto cardiaco eterotopico: metodo d’eccezione, inserimento del cuore del donatore in parallelo a quello del paziente.
Presupposti
1. dimostrazione della morte cerebrale del donatore da parte di 2 neurologi indipen-
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denti dal team che esegue il trapianto: coma, perdita dei riflessi dei nervi cranici e
della respirazione spontanea, EEG piatto per almeno 30 minuti, assenza di perfusione cerebrale (doppler transcranico, angiografia cerebrale), abolizione dei potenziali
uditivi evocati
2. identità del gruppo sanguigno AB0 tra donatore e ricevente (vedi cap. Trapianto renale), mancanza di anticorpi citotossici nel siero del ricevente nei confronti dei
linfociti del donatore (cross-match negativo)
3. altezza e peso corporeo simili tra donatore e ricevente (altezza ± 10%; peso ± 25%)
4. assenza di controindicazioni (vedi sopra).
Complicanze
A) Complicanze chirurgiche
B) Complicanze non chirurgiche:
1. Reazione di rigetto:
a) Rigetto acuto
Diagnostica non invasiva:
— ECG:
• ECG a 12 derivazioni di superficie: diminuzione dell’ampiezza del
QRS del 25%, variazione dell’asse del QRS, tachicardia, aritmie, comparsa di blocchi
• ECG ad alta definizione: tipica variazione dello spettro della frequenza del complesso QRS
• ECG a trasmissione trans-telefonica: con regolari controlli telemetrici
via modem telefonico. Una diminuzione del voltaggio del complesso
QRS e un aumento della frequenza cardiaca sono segni di una reazione di rigetto.
— ecocardiografia: rapido aumento di spessore della parete posteriore del
ventricolo sinistro e del setto, diminuita mobilità sistolica e diastolica
della parete posteriore (riduzione della fase di rilasciamento diastolico) e
del setto, evtl. insufficienza valvolare AV con evidenza di reflusso al colordoppler, diminuzione della frazione di accorciamento, ecc.
— RMN
— immunoscintigrafia con anticorpi antimiosina marcati
— laboratorio:
• screening immunocitologico: in corso di reazione di rigetto comparsa
nel sangue di linfociti attivati e di linfoblasti
• aumento della CPK-MB.
Diagnostica invasiva:
biopsia del miocardio con istologia: grading da 0 a 4
— reazione di rigetto lieve: infiltrazione cellulare linfocitaria senza necrosi
delle cellule muscolari cardiache
— reazione di rigetto media: oltre al quadro precedente, inizio di necrosi
delle cellule muscolari cardiache
— reazione di rigetto grave: infiltrazione cellulare linfocitaria molto marcata, necrosi molto accentuata delle cellule muscolari cardiache, formazione di edema.
Terapia: corticosteroidi in bolo e.v.; in caso di scarsa efficacia: globulina
anti timociti o anticorpi monoclonali anti-linfociti T.
b) Rigetto cronico
Manifestazione di vasculopatia da trapianto in particolare a carico dei vasi
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coronarici. Viene colpito primariamente il tratto finale delle coronarie (mentre l’arteriosclerosi coronarica colpisce principalmente il ramo epicardiaco
principale). Frequenza fino al 10% all’anno.
In seguito alla denervazione chirurgica è assente il dolore tipico dell’angina
pectoris.
Diagnostica più sensibile: ecografia intravasale.
2. Effetti collaterali da terapia immunosoppressiva:
— infezioni, sepsi, polmonite; agente patogeno più frequente: Cytomegalovirus
(terapia: ganciclovir + immunoglobuline anti-CMV); più tardivamente, HSV
e VZV e miceti (Aspergillus, Candida)
— effetti collaterali da farmaci: ad es. ipertensione arteriosa da ciclosporina A,
osteoporosi da corticosteroidi
— comparsa di tumori tardivi (rischio del 5-10%).
Misure terapeutiche da adottare in attesa del trapianto
— trattamento di risincronizzazione ventricolare mediante stimolazione ventricolare sinistra o biventricolare con pace-maker: ottimizzando la sequenza delle contrazioni
miocardiche tramite la stimolazione elettrica del ventricolo sinistro o biventricolare,
migliora anche l’attività di pompa (studio PATH-CHF).
Indicazioni: insufficienza cardiaca in III o IV stadio NYHA in caso di ritmo sinusale stabile e blocco di branca sinistra. Il blocco di branca sinistra, provocando un
movimento asincrono della parete cardiaca, riduce l’efficienza contrattile
— sostituzione cardiaca meccanica:
• impianto di una pompa ventricolare sinistra: left ventricular assist system
(LVAS)/device (LVAD)
• circolazione extracorporea
— intervento di Batista (plastica di riduzione ventricolare): ventricolectomia sinistra
parziale (riduzione della grandezza del cuore sinistro) allo scopo di migliorare la
geometria cardiaca (un principio analogo trova applicazione nella correzione chirurgica degli aneurismi della parete cardiaca)
— correzione chirurgica dell’insufficienza mitralica relativa da dilatazione ventricolare sinistra (anuloplastica): miglioramento della funzione di pompa e della prognosi.
Prognosi
La prognosi dell’insufficienza cardiaca conclamata non trattata è infausta: tasso di sopravvivenza a 5 anni circa 50%. Con un trattamento conservativo ottimale è possibile
migliorare la prognosi in modo significativo (già con i soli ACE-inibitori la mortalità si
riduce del 40% circa).
Tasso di sopravvivenza a 10 anni dopo trapianto cardiaco: sino al 70%, con un tasso di
mortalità di circa 3% all’anno.
CARDIOMIOPATIE
Definizione (OMS/ISFC - 1995)
Si definiscono cardiomiopatie (CM) tutte le affezioni del muscolo cardiaco associate ad
alterazioni della funzione cardiaca.
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Tipo
Sigla
Caratteristiche
1. cardiomiopatia dilatativa
CMD
deficit sistolico di pompa
2. cardiomiopatia ipertrofica con o
senza ostruzione
CMI
deficit diastolico di compliance (= alterato
rilasciamento del muscolo cardiaco nella
diastole)
3. cardiomiopatia restrittiva
CMR
fibrosi endomiocardica con o senza
eosinofilia, deficit diastolico di compliance
4. cardiomiopatia aritmogena del
ventricolo destro
CMAVD
5. cardiomiopatie non classificate
CMNC
deficit di pompa soprattutto ventricolare
destro con tachicardia ventricolare
CARDIOMIOPATIA DILATATIVA (CMD)
Definizione: le cardiomiopatie dilatative sono definite in termini emodinamici come alterazioni della funzione sistolica di pompa, con cardiomegalia e ridotta frazione d’eiezione;
esistono inoltre anche alterazioni della funzione diastolica (compliance). In termini anatomopatologici si correlano a fibrosi interstiziale e ad alterazioni strutturali della matrice extracellulare che provocano alterazioni del rilasciamento miocardico.
Eziologia
1. Causa sconosciuta = CMD idiopatica
La CMD idiopatica è la forma più frequente: incidenza 6/100.000/anno; M:F = 2:1;
famigliarità sino nel 20% dei casi, da alterazioni geniche diverse, ad es.
• CMD ereditaria autosomica dominante da mutazione del gene della distrofina (distrofia di Duchenne, distrofia muscolare di Becker)
• CMD ereditaria autosomica dominante con disturbi della conduzione e «sick sinus syndrome» (varie mutazioni geniche)
• CMD ereditaria autosomica recessiva da mutazione del gene dell’ossidazione degli acidi grassi
• CMD da mutazione del DNA mitocondriale
2. Causa nota = CMD specifica, ad es.
• CM ischemica: conseguenza di un processo di «rimodellamento» dopo infarto
miocardico con sovraccarico del miocardio non infartuato
• CM valvolare: disfunzione cardiaca in caso di gravi vizi valvolari
• CM ipertensiva: alterazione della funzione diastolica e col tempo anche sistolica
del «cuore iperteso»
• CM alcoolica: CMD con disturbi del ritmo, ad es. fibrillazione atriale parossistica dopo consumo di alcoolici («holiday heart syndrome»)
• CM da farmaci: secondaria al trattamento con farmaci cardiotossici, ad es. fenotiazine, antidepressivi triciclici, clozapina, carbonato di litio, doxorubicina, antracicline, ecc.
• CM infiammatoria: miocardite acuta o cronica con CM. Criteri diagnostici immuno-istologici: > 14 linfociti o macrofagi/mm3 di tessuto miocardico; evtl. dimostrazione di DNA/RNA virale; evtl. documentazione di fenomeni autoimmuni.
Eziologia:
– infezione da microorganismi: virus (ad es. Coxsackie B), batteri (ad es. Borrelia burgdorferi), protozoi (ad es. Trypanosoma cruzi = malattia di Chagas)
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– forma autoimmune (evtl. indotta da un’infezione virale): per i dettagli vedi cap.
Miocardite
• CMD in corso di affezioni neuromuscolari
• CMD in corso di malattie metaboliche ed endocrine.
Clinica
Insufficienza cardiaca sinistra progressiva con dispnea da sforzo (in seguito insufficienza cardiaca globale), disturbi del ritmo (specialmente di tipo ventricolare).
Complicanze
Embolie arteriose e polmonari (dovute a formazione di trombi cardiaci), morte cardiaca improvvisa.
Laboratorio
Dimostrazione di autoanticorpi diretti contro il recettore β1-adrenergico (70% dei casi).
Radiologia: cardiomegalia, in seguito stasi polmonare.
Ecocardiografia
Dilatazione biventricolare (anche dell’atrio sinistro in caso di insufficienza mitralica relativa), ridotta ampiezza del movimento (ipocinesia) della parete ventricolare con limitazione del suo movimento sistolico anteriore. Indice della ridotta contrattilità è la riduzione (< 30%) della frazione di accorciamento sistolico (shortening fraction, «SF») la
quale corrisponde all’incirca alla frazione di eiezione angiografica. Spesso dimostrazione di trombi nel ventricolo e/o atrio (visualizzazione ottimale con l’ecografia transesofagea).
Diagnostica invasiva
Biopsia del miocardio + istologia/immunoistologia/diagnostica virologica/dimostrazione
di autoanticorpi
Diagnosi: clinica - ecocardiografia - biopsia del miocardio - esclusione di cause note.
Terapia
1. Trattamento causale
Ad es. astensione dagli alcoolici, sospensione dei farmaci cardiotossici, trattamento
della malattia di Chagas; in caso di dimostrazione di RNA virale, tentativo con terapia antivirale.
In caso di dimostrazione di autoanticorpi anti-recettore β1-adrenergico, rimozione
degli autoanticorpi mediante immunoadsorbimento extracorporeo.
2. Trattamento sintomatico
— trattamento dell’insufficienza cardiaca terapia standard: riposo fisico, ACEinibitori, diuretici, digitale. Circa 2/3 dei pazienti traggono vantaggio dalla somministrazione anche di betabloccanti (studio MDC con metoprololo); poiché si
osservano però anche episodi di scompenso cardiaco, i betabloccanti (ad es. carvedilolo) dovrebbero essere somministrati solo in regime di ricovero e in basse
dosi iniziali
— prevenzione del tromboembolismo con anticoagulanti, in caso di frazione di eiezione < 40%
— in caso di aritmie ventricolari minacciose, impianto di cardiovertitore/defibrillatore
— nell’insufficienza cardiaca terminale tentativo di «alleggerimento» cardiaco tramite temporanea sostituzione cardiaca meccanica
— «ultima ratio»: trapianto cardiaco.
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Prognosi
Minore è la frazione di eiezione del ventricolo sinistro al momento della diagnosi,
più infausta è la prognosi. Tasso di sopravvivenza di 10 anni: ca. 10-20% con un
tasso di mortalità di ca. 10%/annuo.
CARDIOMIOPATIA IPERTROFICA
Definizione: ipertrofia idiopatica del ventricolo sinistro, specialmente nell’area del setto
con o senza ostruzione al deflusso ventricolare sinistro. Si distinguono:
a. cardiomiopatia ipertrofica non ostruttiva; 3/4 dei casi
b. cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva; 1/4 dei casi; sinonimo: stenosi subaortica ipertrofica idiopatica
Eziologia: sconosciuta, ca. il 50% dei casi ha una predisposizione genetica ad ereditarietà
autosomica dominante a penetranza incompleta.
Localizzazione genica e geni nella CMI famigliare
Loci CMI
Localizzazione
1.
2.
3.
4.
5.
14 q 11 - q 13
1q 3
15 q 2
11 q 13
?
Gene
β-miosina
troponina T
α-tropomiosina
proteina C legante la miosina
?
Patogenesi
— ostruzione telesistolica all’eiezione ventricolare sinistra (da ipertrofia asimmetrica
del setto e impianto anteriore della mitrale) con gradiente pressorio intraventricolare
— alterazione del rilasciamento diastolico con ridotta distensibilità diastolica ventricolare («diastolic stiffness»). Qui gioca un ruolo un aumento del calcio intracellulare.
L’ostruzione telesistolica (dinamica) all’eiezione ventricolare sinistra è accentuata da:
• aumento della contrattilità (farmacologicamente con sostanze inotrope positive come
la digitale o i simpaticomimetici)
• riduzione del precarico e del postcarico (farmacologicamente ad es. con i nitroderivati).
Clinica: i pazienti sono spesso asintomatici (diagnosi spesso da reperti occasionali).
Sintomi facoltativi sono: dispnea, attacchi di angina pectoris, aritmie ventricolari di alto grado, fino a tachicardie ventricolari (con vertigini, sincopi e casi di morte improvvisa).
Auscultazione: soffio telesistolico a diamante (focolaio d’auscultazione: parasternale sinistra) accentuato dall’attività fisica o dalla manovra di Valsalva, spesso 4° tono (da sovraccarico atriale).
ECG: segni di ipertrofia sinistra, quadri di pseudo infarto con onde Q profonde e T negative nelle precordiali sinistre, dovute alla ipertrofia del setto, eventualmente emiblocco
anteriore sinistro (25%), aritmie ventricolari, evtl. allungamento del Q-T (40%).
Ecocardiografia: ipertrofia asimmetrica del setto ventricolare con restringimento del lume
ventricolare sinistro a forma di clessidra (rapporto tra spessore del setto e spessore della parete posteriore ventricolare sinistra > 1,6). Spessore del setto, o più precisamente
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della parete posteriore > 13 mm. Durante la sistole la cuspide mitralica anteriore si arcua in avanti verso il setto (SAM = systolic anterior motion), con aumento del restringimento sistolico del tratto di efflusso del ventricolo sinistro con chiusura anticipata
mesosistolica della valvola aortica. Determinazione del gradiente pressorio con l’ecodoppler a colori.
Diagnostica invasiva (cateterismo del cuore sinistro): solo nei casi in cui i reperti ecocardiografici non siano sufficienti.
Biopsia del miocardio
Ipertrofia e disposizione irregolare («disarray») delle miocellule e miofibrille, fibrosi interstiziale, aumento dei mitocondri e allargamento delle linee Z, ispessimento dell’intima delle coronarie intramurali.
Diagnosi differenziale
Ipertrofia secondaria del ventricolo sinistro, da sovraccarico di pressione (ad es. ipertensione arteriosa, stenosi aortica).
Diagnosi: anamnesi (familiare), clinica, ECG, ecocardiografia, diagnostica invasiva, indagini diagnostiche nei membri della famiglia.
Terapia
— conservativa:
• evitare pesanti sforzi fisici (pericolo di morte improvvisa)
• nelle forme ostruttive sono controindicate le sostanze inotrope positive (digitale,
simpaticomimetici) e i nitrati, che portano ad un’accentuazione della stenosi sistolica
• somministrazione di calcioantagonisti del tipo verapamil oppure di betabloccanti
(mai in associazione!)
• con il subentrare di fibrillazione atriale: terapia con anticoagulanti
• nelle forme ostruttive profilassi dell’endocardite
• in caso di aritmie ventricolari minacciose: posizionamento di un cardiovertitore/
defibrillatore
— ablazione miocardica settale transluminale percutanea (PTSMA): occlusione del ramo settale dell’arteria coronarica sinistra mediante iniezione locale di alcool; effetti
collaterali: blocco trifascicolare nel 6% dei casi, con necessità di impianto di un pace-maker; mortalità < 2%
— terapia con pace-maker: un pace maker DDD stimola il setto ventricolare, che si
contrae appena prima della restante muscolatura ventricolare diminuzione della
ostruzione del tratto di deflusso
— in caso di fallimento della terapia conservativa: miectomia sottovalvolare transaortica
— trapianto di cuore nei pazienti con insufficienza cardiaca scompensata (IV stadio
NYHA)
— ricerca nella famiglia di ulteriori casi di malattia.
Prognosi
Tasso di mortalità annua in assenza di terapia: negli adulti circa 2,5%, nei bambini/ragazzi fino al 6%. La maggior parte dei casi di morte sono conseguenze di aritmie ventricolari. Il pericolo di morte improvvisa non si correla alla gravità della sintomatologia
o all’entità del gradiente pressorio. In pericolo sono soprattutto i pazienti giovani di
sesso maschile che presentino in anamnesi famigliare casi di morte improvvisa oppure
mutazioni della troponina T.
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CARDIOMIOPATIA RESTRITTIVA (OBLITERATIVA)
Definizione
Affezione molto rara da causa sconosciuta con diminuzione dell’elasticità diastolica del
ventricolo sinistro. È frequentemente famigliare.
L’endocardio diventa più spesso e si ricopre di trombi ( embolie); nello stadio cronico, fibrosi dell’endocardio in aumento con alterazione della funzione ventricolare diastolica e sviluppo di una insufficienza cardiaca resistente alla terapia, con stasi a monte del cuore destro.
— Endocardite fibroplastica di Löffler (con eosinofilia)
— Fibrosi endomiocardica africana (con o senza eosinofilia).
Diagnosi differenziale
• Pericardite costrittiva: in entrambe le affezioni il cuore si presenta all’indagine radiologica di dimensioni normali, e all’indagine con cateterismo del cuore destro si
evidenzia un tipico aspetto a radice quadrata del grafico di pressione diastolica ventricolare (fenomeno «dip-plateau»). Alla radiografia, nella pericardite costrittiva si
trovano spesso calcificazioni; nella cardiomiopatia restrittiva, la biopsia del miocardio
mostra una fibrosi endocardica.
• Malattie da accumulo (amiloidosi, emocromatosi)
Diagnosi: ecocardiografia - radiologia/TC - diagnostica invasiva con biopsia dell’endomiocardio.
Terapia: conservativa: diuretici, prevenzione del tromboembolismo.
Nell’insufficienza cardiaca terminale: trapianto di cuore.
Prognosi: sfavorevole in assenza di trapianto di cuore.
CARDIOMIOPATIA ARITMOGENA DEL VENTRICOLO DESTRO (CMAVD)
Sinonimo: displasia-cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro.
Definizione: cardiomiopatia con degenerazione lipomatosa del miocardio ventricolare destro e dilatazione ventricolare destra.
Epidemiologia: è la causa del 10-20% di tutte le morti cardiache improvvise in giovani uomini (anche sportivi).
Eziologia
Sconosciuta; nel 40% dei casi anamnesi famigliare positiva per casi di morte cardiaca
improvvisa; si sono riscontrate 4 mutazioni geniche (1q42-43 o 2q31-35 o 14q23-24 o
14q12-22).
Clinica
Si manifesta generalmente verso il 30º anno d’età. Disturbi del ritmo ventricolare (evtl. con sincope) oppure morte cardiaca improvvisa, spesso scatenata da sforzi fisici
(sportivi!); più raramente insufficienza cardiaca.
ECG: evtl. presenza di un’onda ε al termine del complesso QRS (V1-3) rilevabile all’ECG
ad alta definizione e corrispondente ad un potenziale tardivo. Rapporto tra le ampiezze
del QRS in V1-3/V4-6 ≥ 1,2; evtl. onda T negativa.
Diagnosi differenziale: malattia di Uhl: aplasia del miocardio ventricolare destro, con prognosi infausta (variante di CMVAD?).
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Diagnosi
Clinica, ecocardiografia, RMN (depositi di tessuto adiposo a livello del ventricolo destro), biopsia miocardica (aumento degli adipociti intramiocardici = fibrolipomatosi),
angiografia ventricolare destra.
Terapia
Solo sintomatica: risparmio fisico (non praticare sport), prevenzione e trattamento delle
aritmie: betabloccanti, evtl. impianto di defibrillatore/cardiovertitore; in caso di insufficienza cardiaca destra grave: evlt. trapianto di cuore.
Prognosi: senza trattamento la mortalità a 10 anni è del 30%.
MIOCARDITE
Definizione: la miocardite è una malattia infiammatoria del muscolo cardiaco che può colpire le cellule miocardiche, l’interstizio e i vasi cardiaci.
Epidemiologia: si calcola che il coinvolgimento cardiaco sia presente sino nell’1% delle
infezioni da virus cardiotropi (nell’infezione virale da Coxsackie B sino al 4%). La frequenza reale è relativamente superiore, in quanto la maggior parte dei casi ha un decorso lieve o asintomatico.
Eziologia
1. miocarditi infettive:
— virus (50% dei casi) soprattutto enterovirus: Coxsackie B1-B5 (frequenti e pericolosi); seguono poi Coxsackie A, virus erpetici, virus influenzali, adenovirus,
echovirus. In singoli casi numerosi altri virus possono provocare una miocardite
— batteri:
• stati settici, specialmente endocardite batterica (stafilococchi, enterococchi,
ecc.)
• streptococchi β-emolitici di gruppo A (angina tonsillare, scarlattina, erisipela)
• Borrelia burgdorferi (malattia di Lyme)
• difterite
• cause più rare: tifo, TBC, lue, ecc.
— miceti in caso di immunodeficienza.
— protozoi: toxoplasmosi, malattia di Chagas (Tripanosoma cruzi/Sud America)
— parassiti: trichinelle, echinococchi ed altri.
2. miocarditi non infettive:
— artrite reumatoide, collagenopatie, vasculiti
— miocardite da irradiazione mediastinica
— miocardite da ipersensibilità a farmaci (ad es. clozapina)
— miocardite idiopatica di Fiedler.
Patogenesi: le miocarditi virali possono portare a danno immunologico per cross-reattività
tra antigeni virali e antigeni miocardici. Nella miocardite acuta sono presenti, nel 7080% dei casi, i seguenti reperti, che solitamente regrediscono al miglioramento clinico:
— anticorpi anti-miolemma di tipo IgM
— anticorpi anti-sarcolemma di tipo IgM
— depositi di IgM e C3 alla biopsia del miocardio.
Istologia
Classificazione istologica e immunoistologica delle miocardite e delle cardiomiopatie
dilatative infiammatorie:
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Diagnosi
Istologia convenzionale
(criteri di Dallas 1987)
Criteri istologici e immunoistologici
(classificazione ISFC 1998)
1. Miocardite attiva/acuta
infiltrato, miocitolisi, edema
2. Miocardite persistente
come in 1., ma invariata a biopsie
ripetute nel decorso successivo
3. Miocardite in via di guarigione
regressione dell’infiltrato, talvolta
miocitolisi, fibrosi riparativa
infiltrato caratterizzabile mediante
anticorpi monoclonali, fissazione di
immunoglobuline e complemento;
talvolta espressione ex-novo di
antigeni HLA di classe I e II e di
molecole di adesione (*)
4. Miocardite borderline
alterazioni sparse, rari linfociti,
assenza di miocitolisi
reperto ai limiti tra la normalità e la
miocardite, con 1-13 linfociti/mm3
5. Miocardite cronica,
cardiomiopatia dilatativa
con infiammazione
non definita
≥ 14 linfociti (e macrofagi)/mm3,
eventuale dimostrazione
immunologica di RNA o DNA virale
(*) utilizzando anticorpi monoclonali è possibile differenziare con esattezza le sottopopolazioni leucocitarie. L’aumentata espressione di antigeni HLA di classe I e II alla superficie dei miociti e delle cellule endoteliali vasali depone per la presenza di infiammazione anche in assenza di infiltrato cellulare.
Forme istologiche particolari: miocardite reumatica (noduli di Aschoff, cellule istiocitarie di Anitschkow, cellule giganti di Aschoff), miocardite idiopatica di Fiedler (infiltrato linfo-plasmacellulare + cellule giganti).
Clinica
Il decorso clinico della miocardite è molto variabile e va da forme asintomatiche o lievi (maggior parte dei casi) a forme fulminanti con esito infausto (rare). Sono possibili
decorsi cronici con evoluzione a cardiomiopatia dilatativa.
Nella miocardite infettiva i sintomi sono correlati all’infezione:
— astenia, affaticabilità, palpitazioni
— tachicardia
— disturbi del ritmo, soprattutto extrasistoli (il paziente avverte il «salto» di un battito cardiaco), tachicardia
— segni clinici dell’insufficienza cardiaca.
Auscultazione
Non caratteristica; soffi fugaci sistolici; in caso di insufficienza cardiaca evtl. III° tono
cardiaco; in caso di perimiocardite evtl. sfregamenti pericardici.
Laboratorio
• aumento di CPK/CPK-MB, evtl. aumento di troponina T/I
• eventuali segni di infiammazione (VES )
• diagnosi batteriologica/virologica speciale (ricerca di enterovirus nelle feci; dosaggi
anticorpali, ecc.)
• evtl. dimostrazione di anticorpi anti-miolemma e anti-sarcolemma.
ECG: le alterazioni sono relativamente frequenti ma transitorie:
• tachicardia sinusale
• aritmie, soprattutto extrasistoli
• nella difterite e nella malattia di Lyme spesso disturbi della conduzione (ad es. blocco AV)
• in caso di danno subendocardico: sottoslivellamento ST (diagnosi differenziale: effetto digitalico, insufficienza coronarica), onde T piatte o negative (diagnosi differenziale: stadio di regressione dopo infarto o pericardite)
• in caso di contemporanea pericardite («miopericardite») eventualmente alterazioni
monofasiche del tratto ST da sofferenza subepicardica (diagnosi differenziale: infarto
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miocardico; nella miocardite nessuna riduzione d’ampiezza dell’onda R e nessuna onda Q)
• eventualmente QRS di basso voltaggio (diagnosi differenziale: danno a livello del
miocardio o versamento pericardico; ecocardiografia!).
Diagnostica per immagini
• Ecocardiografia
Spesso reperto normale, evtl. disturbi cinetici regionali, evtl. versamento pericardico
in caso di pericardite; se insorge un’insufficienza cardiaca evtl. riduzione della shortening fraction (= frazione di accorciamento sistolico in percento), riscontro di dilatazione cardiaca.
• Radiologia: cardiomegalia in caso di insufficienza cardiaca, evtl. segni di stasi polmonare.
• L’immunoscintigrafia con anticorpi antimiosina marcati è un metodo sensibile ma
non specifico: la captazione di nuclidi avviene sia nella miocardite che nell’infarto
cardiaco e in 1/3 dei casi di cardiomiopatia dilatativa.
Diagnostica invasiva: cateterismo del cuore sinistro con biopsia endomiocardica (diagnosi
differenziale con l’infarto del miocardio: arterie coronarie normali).
Diagnosi differenziale delle affezioni infiammatorie del miocardio
Istologia
Miocardite/cardiomiopatia dilatativa (CMD) infiammatoria
Immunistologia
assenza di
infiammazione
assenza di
infiammazione
infiammazione attiva processo
immunologico attivo
nel miocardio
Biologia molecolare
nessun elemento
indicativo di
persistenza di virus
persistenza di virus
nel miocardio
persistenza di virus
nel miocardio
Diagnosi
cardiomiopatia
post-miocarditica
cardiomiopatia virale miocardite virale
persistente
nessuna
dimostrazione
di virus
miocardite / CMD
autoimmune
Diagnosi
Anamnesi + clinica, evtl. biopsia del miocardio/istologia/immunoistologia/diagnostica
virologica.
Terapia
1) causale: ad es. trattamento con penicillina se cardite reumatica, terapia della difterite o della malattia di Lyme (vedi relativi capitoli), somministrazione di nifurtimox
in caso di malattia di Chagas.
Nella miocardite virale progressiva con dimostrazione di DNA/RNA virale nella
biopsia miocardica, evtl. tentativo di terapia antivirale (nell’ambito di studi controllati).
In caso di dimostrazione di autoanticorpi anti-recettore β1-adrenergico = immunoadsorbimento extracorporeo.
2) sintomatica:
— riposo fisico sino a normalizzazione dell’ECG (nelle prime settimane riposo a
letto)
— prevenzione del tromboembolismo durante il periodo di degenza a letto
— terapia delle complicanze (insufficienza cardiaca, disturbi del ritmo cardiaco)
— nell’insufficienza cardiaca terminale tentativo di «alleggerimento» del lavoro
cardiaco tramite temporanea sostituzione cardiaca meccanica
3) «ultima ratio» nell’insufficienza cardiaca terminale: trapianto cardiaco.
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Prognosi
• nella maggior parte dei casi guarigione
• spesso persistenza di aritmie non minacciose (ad es. extrasistolia)
• raramente morte dovuta a complicanze acute (disturbi del ritmo, disturbi di conduzione, insufficienza cardiaca). Complicanze frequenti si hanno tra l’altro nelle infezioni da Coxsackie di tipo B (specialmente nel neonato), nella difterite e nella malattia di Chagas
• decorso cronico con sviluppo di cardiomiopatia dilatativa ed insufficienza cardiaca
(in particolare nella miocardite virale).
MALATTIA DI CHAGAS
È la causa più frequente di cardiomiopatia dilatativa (CMD) infiammatoria in Sud America.
L’agente eziologico è il Trypanosoma cruzi; viene trasmesso tramite gli escrementi infetti
di cimici.
Clinica
a. Stadio acuto
— tumefazioni/ulcerazioni localizzate, non dolorose, spesso periorbitarie (la sede
d’ingresso è a livello congiuntivale)
— manifestazioni infiammatorie acute sistemiche, con febbre, stato di prostrazione
generale, polilinfoadenomegalia, epatomegalia e splenomegalia, talvolta miocardite
b. Stadio cronico
— manifestazioni cardiache a tipo CMD, disturbi del ritmo cardiaco, evtl. morte
cardiaca improvvisa
— manifestazioni gastrointestinali con dilatazione dell’esofago e del colon.
Terapia
Nello stadio acuto: nifurtimox, benznidazolo.
Nello stadio cronico è possibile il solo trattamento sintomatico (vedi cap. Cardiomiopatia dilatativa).
PERICARDITE E PERIMIOCARDITE
La diagnosi differenziale fra miocardite (con tachicardia sinusale, disturbi del ritmo, cardiomegalia ecc.) e pericardite (con dolori retrosternali, sfregamento pericardico ecc.) non
sempre è possibile e significativa: il contemporaneo interessamento degli strati miocardici
sottoepicardici (responsabili delle alterazioni dell’ECG!) nell’ambito di una pericardite ha
determinato in tali casi la denominazione di perimiocardite.
PERICARDITE ACUTA
Eziologia
— pericardite infettiva:
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—
—
—
—
—
—
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• più frequentemente da virus: agenti comuni alla miocardite: Coxsackie A e B,
adeno/echovirus ecc.
La maggior parte delle pericarditi «idiopatiche» è causata da virus!
• raramente da batteri: micobatteri (TBC), pericardite da affezioni settiche ecc.
pericardite di origine immunologica:
• lupus eritematoso sistemico e febbre reumatica (nell’ambito della pancardite reumatica, interessamento del pericardio nel 100% dei casi dal punto di vista anatomo-patologico, ma clinicamente solo nel 10%)
• pericardite allergica (malattia da siero, farmaci)
• sindrome post-infartuale (= sindrome di Dressler) e sindrome postcardiotomia.
Da 1 a 6 settimane dopo un infarto miocardico o un intervento di cardiochirurgia
può verificarsi una pericardite/pleurite con febbre (aumento della VES, leucocitosi, dimostrazione in circolo di anticorpi anti-muscolo cardiaco).
pericardite (epistenocardica) entro la prima settimana dopo infarto miocardico.
pericardite da uremia.
pericardite post-traumatica.
pericardite neoplastica (da infiltrazione diretta o da metastasi): carcinoma bronchiale, mammario, esofageo; leucemie, linfomi maligni, ecc.
pericardite dopo terapia radiante.
Clinica
— Pericardite secca (pericardite fibrinosa): all’esordio o in fase risolutiva di una pericardite acuta; più frequentemente in caso di uremia, più raramente dopo un infarto
miocardico (niente anticoagulanti pericolo di emopericardio).
Sintomatologia: dolore trafittivo retrosternale (diagnosi differenziale: infarto miocardico), che si accentua in posizione supina, durante l’inspirazione profonda e con i
colpi di tosse.
Auscultazione: rumore di sfregamento sisto-diastolico o solo sistolico, percepibile
più distintamente in sede parasternale a livello della lingula e accentuato nell’espirazione.
Si distinguono tre tipi di rumori da sfregamento:
• sfregamento pleurico: è assente quando il paziente trattiene il respiro
• sfregamento pleuropericardico (pericardite con pleurite del lato sinistro): allo
sfregamento pericardico si aggiunge un rumore durante la respirazione
• sfregamento pericardico: il rumore non muta durante la pausa respiratoria.
— Pericardite essudativa: è più frequente in caso di TBC, infezioni virali, febbre reumatica, uremia. Nel passaggio da pericardite secca a essudativa i toni cardiaci si
fanno più lontani, spesso scompaiono anche i dolori ed il rumore da sfregamento.
Complicanza della pericardite essudativa: tamponamento cardiaco
Grosse quantità di liquido essudativo possono determinare un blocco del ritorno venoso, conseguente a ostacolato riempimento diastolico ventricolare, con il rischio di uno
shock cardiogeno (quantità critica di liquido in caso di formazione rapida del versamento: 300-400 ml shock cardiogeno).
Sintomi
— Stasi ematica a monte del cuore destro:
• aumento della pressione venosa con turgore venoso alla base della lingua e delle
giugulari; diagnosi differenziale con lo shock ipovolemico: vene collabite.
• segno di Kussmaul: aumento pressorio paradosso inspiratorio nella vena giugulare
• tensione della capsula epatica con dolori epigastrici
• eventualmente piccola falda di ascite (ecografia!)
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— Sindrome da bassa gittata:
• astenia, dispnea da sforzo
• diminuzione della pressione che si accentua con l’inspirazione
• polso paradosso: il polso diventa più debole quando si inspira (calo pressorio inspiratorio > 10 mmHg)
Nota: il polso paradosso si ha anche con il cuore a corazza, con pneumotorace
ipertensivo e nei gravi attacchi d’asma.
• tachicardia.
Per poter diagnosticare esattamente lo sviluppo di un versamento pericardico, controllo stretto della pressione (in diminuzione) e della pressione venosa centrale (in
aumento) + ecocardiografia.
ECG
L’ECG non è variato dalla pericardite di per sè, bensì dal fatto che il miocardio a contatto col pericardio infiammatorio è coinvolto nell’infiammazione: di qui il danno di tipo subepicardico, evidente in tutte le derivazioni. Si osserverà quindi, al contrario di
quanto avviene nell’infarto (dove le alterazioni sono evidenti nelle sole derivazioni che
esplorano l’area infartutata), un sopraslivellamento del tratto S-T con andamento concavo che si stacca dalla branca ascendente dell’onda S; nella seconda settimana di malattia le onde T si fanno negative (ma non si verifica mai diminuzione dell’onda R, come nell’infarto miocardico).
In caso di versamento di grossa entità, l’ECG presenta QRS di basso voltaggio, talvolta anche un’alternanza elettrica (ciò si spiega tramite l’ecocardiografia: la posizione
anatomica del cuore varia ad ogni battito).
Ecocardiografia
Dimostrazione rapida e sensibile del versamento (a partire da 50 ml): spazio ecoprivo
dietro il cuore, in caso di grosso versamento anche davanti al cuore.
Radiologia
Ingrandimento dell’ombra cardiaca (senza segni di stasi polmonare); nei casi tipici si
osserva un’ombra afflosciata a forma triangolare o a «forma di fiasca». In questo caso
può risultare difficile la diagnosi differenziale con la dilatazione cardiaca miogena
(chiarimento con ecocardiografia).
Diagnostica invasiva (cateterismo cuore destro)
Pressione aumentata nell’atrio destro, livellamento dei valori pressori aumentati nell’atrio destro, nel ventricolo destro e (in diastole) nell’arteria polmonare.
Diagnosi differenziale
• Dilatazione cardiaca miogena (complessi QRS di voltaggio normale; assenza di versamento all’esame ecocardiografico, spesso segni di stasi polmonare).
• Infarto miocardico in caso di perimiocardite: assenza di onde Q o diminuzione d’ampiezza di R. Nell’infarto (ma non nella pericardite) si hanno slivellamenti di ST speculari in altre derivazioni. Le CPK possono aumentare anche in caso di perimiocardite.
pericardite
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infarto
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Diagnosi
Clinica, auscultazione, ECG, ecocardiografia, evtl. pericardiocentesi e biopsia pericardica (con esame batteriologico, citologico e istologico).
Terapia
— Causale:
• in caso di pericardite batterica somministrare antibiotici
• in caso di sospetta eziologia tubercolare tentativo di dimostrazione dell’agente
eziologico nel liquido pericardico. Poiché un risultato negativo non esclude la genesi tubercolare, il solo sospetto clinico è sufficiente per instaurare una terapia
antitubercolare (vedi cap. Tubercolosi polmonare)
• in caso di eziologia reumatica: penicillina + ASA o evtl. steroidi
• in caso di pericardite allergica, sindrome postinfartuale e postcardiotomia: FANS,
evtl. steroidi
• in caso di pericardite uremica: dialisi ecc.
— Sintomatica:
trattamento antiinfiammatorio (FANS, evtl. steroidi).
In caso di pericardite idiopatica ricorrente tentativo terapeutico con colchicina (1
g/die).
Pericardiocentesi terapeutica se sussiste il rischio di tamponamento cardiaco (il
metodo più sicuro è quello con partenza dal processo xifoideo, spostando cautamente l’ago a livello retrosternale in direzione del versamento pericardico, in aspirazione, sotto controllo ecocardiografico). In caso di versamento recidivante evtl.
drenaggio pericardico tramite catetere. In caso di versamento cronico recidivante
(ad es. in caso di uremia) effettuare apertura a finestra del pericardio verso la pleura o il peritoneo.
PERICARDITE CRONICA COSTRITTIVA
Definizione: conseguenza cicatriziale della pericardite acuta.
La costrizione del cuore dovuta al pericardio raggrinzito coperto da cicatrici e parzialmente permeato da depositi calcarei ostacola il riempimento diastolico ventricolare con
i segni della stasi a monte; se protratta, essa porta ad atrofia del muscolo cardiaco.
Terminologia:
• accretio: adesione del pericardio agli organi adiacenti
• concretio: adesione di entrambi i foglietti pericardici
• constrictio: «cuore a corazza» con pericardio calloso raggrinzito, spesso con zone
calcificate.
Eziologia
Come nella pericardite acuta; qui la genesi tubercolare sembra essere la causa più frequente.
Clinica
— Sintomi dovuti alla stasi ematica a monte del cuore destro:
• aumento della pressione venosa (> 12 cm H2O)
• segno di Kussmaul: aumento pressorio paradosso del polso venoso giugulare alla
inspirazione profonda
• epatomegalia, evtl. con ascite (diagnosi errata: cirrosi epatica)
• edemi, proteinuria da stasi, iponatriemia (diagnosi errata: sindrome nefrosica),
evtl. ipersplenismo congestizio
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— Sindrome da low-cardiac-output: astenia, dispnea da sforzo. Evtl. polso paradosso:
diminuzione (> 10 mmHg) del polso durante l’inspirazione.
Auscultazione: toni evtl. ovattati, evtl. III° tono cardiaco (diagnosi errata: vizio mitralico).
ECG: onde T negative, QRS di basso voltaggio, evtl. fibrillazione atriale.
Ecocardiografia: rafforzamento degli echi a livello delle calcificazioni pericardiche, riduzione dell’ampiezza del movimento della parete posteriore del ventricolo sinistro, con
blocco improvviso del movimento verso l’esterno determinato dalle calcificazioni pericardiche.
Radiologia (indagine con 2 proiezioni + radioscopia): cuore di dimensioni normali, frequenti calcificazioni.
Nota: la discrepanza fra la presenza di segni clinici dell’insufficienza destra e l’assenza di alterazioni nel reperto cardiaco oggettivo pone sempre il sospetto di una pericardite costrittiva. Lo stesso vale per l’insufficienza cardiaca refrattaria alla terapia.
Diagnosi: clinica + ecocardiografia + radiologia.
Terapia
Decorticazione chirurgica del cuore, pericardiectomia.
Occorre eseguire l’intervento in tempo utile, per evitare una dilatazione cardiaca acuta
post-operatoria conseguente ad atrofia miocardica.
CARDIOPATIA ISCHEMICA
Definizione: la cardiopatia ischemica è la manifestazione dell’arteriosclerosi a carico dei
vasi coronarici. Provocata da stenosi coronariche che riducono il flusso, conduce a insufficienza coronarica = squilibrio tra fabbisogno e apporto di ossigeno nel muscolo
cardiaco. L’ischemia miocardica così determinatasi si manifesta con diverse modalità:
1. forma latente = asintomatica (ischemia silente)
2. ischemia manifesta = sintomatica
— angina pectoris: dolori toracici dovuti ad ischemia miocardica reversibile
— infarto cardiaco: necrosi miocardica ischemica
— danni ischemici del muscolo cardiaco con insufficienza sinistra
— disturbi del ritmo (specialmente disturbi del ritmo ventricolare sino alla fibrillazione ventricolare)
— morte cardiaca improvvisa
Cardiopatia ischemica latente:
ischemia silente
Cardiopatia ischemica manifesta: angina pectoris stabile/instabile
Complicanze:
Alterazioni
del ritmo
Infarto
cardiaco
Morte cardiaca
(improvvisa)
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Insufficienza
ventricolare sinistra
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Epidemiologia
Nei paesi industrializzati è la maggior causa di morte; prevalenza sino al 20% dei soggetti di età media; M:F = da 2 a 3:1.
Frequenza delle varie forme di ischemia come prima manifestazione:
• angina pectoris
55%
• infarto cardiaco
25%
• morte cardiaca improvvisa
20%
Eziologia
Cause (fattori di rischio) dell’arteriosclerosi (Framingham Study, ecc.)
a) Fattori di rischio non influenzabili:
• familiarità (infarti nell’anamnesi familiare)
• età
• sesso maschile
b) fattori di rischio influenzabili:
fattori di rischio di 1° ordine (più importanti):
• dislipidemia: colesterolo totale e LDL aumentati, colesterolo HDL diminuito, trigliceridi aumentati
• ipertensione
• diabete mellito
• sindromi metaboliche: obesità, resistenza all’insulina e iperinsulinemia + malattie
associate (1-3)
• fumo di sigarette
fattori di rischio di 2° ordine:
• lipoproteina(a) aumentata
• iperfibrinogenemia (> 300 mg/dl)
• iperomocisteinemia (> 12 µmol/l)
• anticorpi antifosfolipidi
• deficit genetici di t-PA
• poco movimento
• fattori psico-sociali: stress, basso stato sociale, ecc.
Se si hanno due fattori di rischio di 1° ordine, il rischio di infarto aumenta di quattro
volte rispetto ad una persona normale; in presenza di tre fattori di rischio di 1° ordine
il rischio aumenta di dieci volte!
Si discute attualmente sulla possibile genesi infiammatoria-infettiva dell’arteriosclerosi
(infezione persistente da Chlamydia pneumoniae?). Valori elevati di PCR, che spesso
sono presenti già prima dell’evento infartuale, titoli anticorpali anti-clamidia elevati, e i
primi studi di trattamento con macrolidi sono in accordo con questa ipotesi.
Nei pazienti infartuati sotto i 30 anni bisogna indagare su:
• disturbi metabolici dei lipidi
• sindrome da antifosfolipidi
• mixedema
• vasculiti (ad es. panarterite nodosa).
Patogenesi
a) Resistenza coronarica aumentata
1. a livello dei vasi:
— macroangiopatia (95%): arteriosclerosi stenosante delle grandi arterie coronariche epicardiche (cardiopatia ischemica in senso stretto). Si giunge solitamente all’infarto per rottura di un ateroma arteriosclerotico (rottura di placca) con conseguente formazione di un trombo che ostruisce il lume vasale
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— spasmi coronarici: possono manifestarsi da soli o in aggiunta a una macroangiopatia preesistente
— microangiopatia («small vessel disease») delle piccole coronarie intramurali
(5%): angina pectoris senza stenosi delle grandi arterie coronariche epicardiche. Eziologia: ipertensione arteriosa, diabete mellito, vasculiti, ecc.
— «ponti miocardici» congeniti possono causare, in rari casi, un’angina da
sforzo
2. a livello del miocardio:
— ipertrofia cardiaca
— insufficienza contrattile (con aumento della pressione ventricolare telediastolica)
— ipertensione e tachicardia: se l’ipertrofia e la tachicardia oltrepassano un
certo limite (aumento del lavoro cardiaco) si manifesta un attacco di angina
pectoris.
b) Fattori extra-coronarici
1. cardiaci: difetti della valvola aortica, disturbi del ritmo ecc.
2. extracardiaci:
— aumentato fabbisogno di O2 (es. ipertensione, ipertiroidismo, febbre, sforzo
fisico)
— riduzione della disponibilità di O2 (anemia, affezione polmonare, soggiorno
a grandi altezze, avvelenamento da CO)
— aumento della viscosità ematica (poliglobulia, policitemia vera, iperfibrinogenemia).
Anatomia patologica: tipi di irrorazione coronarica
Il tipo di vascolarizzazione più frequente è quello equilibrato (normale) (80% dei casi),
dove l’arteria coronarica sinistra alimenta la parete anteriore del ventricolo sinistro e la
maggior parte del setto ventricolare. L’arteria coronarica destra alimenta il ventricolo
destro e la parete posteriore diaframmatica. Si ha poi, un 10% dei casi con irrorazione
destra ed un 10% con irrorazione sinistra.
Il ramo principale dell’arteria coronarica sinistra si biforca nel ramo interventricolare
anteriore e nel ramo circonflesso. Considerando l’arteria coronarica destra, l’interventricolare anteriore e il ramo circonflesso, si parla di malattia di 1-, 2- o 3-vasi a seconda
del numero dei vasi stenosati.
Fisiopatologia
In base all’entità della diminuzione della sezione trasversale (in %) di distinguono 4 livelli di gravità della stenosi coronarica:
Grado I : 25-49%
Grado III : 75-99% (stenosi critica)
Grado II : 50-74% (stenosi significativa)
Grado IV : 100% (occlusione totale)
La perfusione delle arterie coronariche dipende dalla pressione della perfusione durante
la diastole, dalla durata della diastole e dalla resistenza coronarica.
La resistenza coronarica è determinata da 3 componenti:
1. componente prossimale (dipende dall’ampiezza del lume delle arterie epicardiche)
2. componente distale (resistenza delle arteriole intramiocardiche)
3. componente extra-vasale (compressione sistolica dei vasi in seguito all’aumento della pressione intramiocardica).
Il fabbisogno di O2 è maggiore negli strati interni del miocardio rispetto a quelli esterni; ciò deriva dall’aumentato carico pressorio. Pertanto, l’ischemia miocardica si manifesta più precocemente a livello subendocardico.
Si hanno disturbi regionali di perfusione del miocardio soltanto quando la stenosi coro-
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narica restringe > 50% del calibro dei vasi. Un ruolo importante riveste in questo caso
la dimensione dei vasi collaterali. Una angina da sforzo si manifesta soltanto nella stenosi critica > 75%, quando la riserva coronarica è esaurita e non vi sono vasi collaterali compensatori.
Riserva coronarica: differenza tra irrorazione coronarica (offerta di O2) a riposo ed irrorazione coronarica massima.
Clinica
L’angina pectoris si manifesta di regola in caso di stenosi coronarica critica (≥ 75%).
L’angina pectoris (stenocardia) è il sintomo principale dell’insufficienza coronarica:
prevalentemente si hanno dolori retrosternali, per lo più scatenati da sforzi fisici o
stress emotivi, e di breve durata (minuti). I dolori possono irradiarsi al collo, alla mandibola, alle spalle, al braccio sinistro (destro), fino a raggiungere la punta delle dita nel
lato ulnare. L’esposizione al freddo o la digestione (sindrome di Roemheld) possono
acutizzare i dolori. Nei casi tipici i dolori scompaiono dopo somministrazione di nitroderivati, nonché al termine dello sforzo fisico. Molti pazienti accusano solo un senso di
pressione retrosternale o di oppressione toracica.
Nota: nell’angina pectoris la pressione di perfusione diminuisce nella regione post-stenotica dell’arteria coronarica, mentre aumenta la pressione ventricolare telediastolica;
si hanno così disturbi critici dell’irrorazione sanguigna nello strato interno del miocardio ed un peggioramento della funzione di pompa ventricolare.
Decorso dell’angina pectoris
1. Angina pectoris stabile:
viene regolarmente scatenata da determinati fattori (ad es. sforzo fisico). Risponde
bene ai nitroderivati.
4 gradi di gravità, secondo la classificazione della Canadian Cardiovascular Society
0. ischemia silente
I. non angina con sforzo fisico normale, ma angina da sforzo marcato
II. modesta limitazione della normale attività fisica, legata all’angina
III. grave limitazione della normale attività fisica, legata all’angina
IV. angina anche per sforzi lievi o dolori a riposo.
2. Angina pectoris instabile (sindrome pre-infartuale):
— qualsiasi prima manifestazione di angina
— crescendo di gravità, durata, frequenza degli attacchi
— angina a riposo
— aumentato fabbisogno di farmaci antianginosi.
Nell’angina pectoris instabile vi è un aumentato rischio di infarto (20%). Il passaggio
all’infarto avviene quasi sempre con una rottura della placca ateromatosa con conseguente trombosi coronarica. Nel 30% dei casi è aumentata la troponina T/I; tanto maggiore è il suo livello, tanto più sfavorevole è la prognosi. L’angina pectoris instabile, la
sindrome pre-infartuale e l’infarto miocardico costituiscono la «sindrome coronarica
acuta». In tutti e tre questi casi è indicato l’immediato ricovero in terapia intensiva.
3. Forme particolari:
— angina di Prinzmetal = angina variante: angina pectoris con sopraslivellamento
del tratto ST durante l’attacco, reversibile. Assenza di alterazioni enzimatiche.
Spesso i pazienti presentano, alla coronarografia, stenosi coronariche, a livello
delle quali possono verificarsi spasmi transitori. Vi è un aumento del rischio di
sindrome coronarica acuta e infarto
— «fenomeno walking-through»: angina pectoris all’inizio di uno sforzo che sparisce con ulteriore sforzo (liberazione di metaboliti vasodilatatori)
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— angina da decubito: angina pectoris che si manifesta di notte durante il sonno
con o senza dispnea (diagnosi differenziale difficile con la spondiloartrosi della
colonna cervicale o dorsale ECG sec. Holter).
Diagnosi differenziale dei dolori toracici
1. Dolori toracici cardiaci:
— angina pectoris e infarto quali conseguenze di una cardiopatia ischemica
— sindrome post-infartuale (= sindrome di Dressler)
— tachicardia ad elevata frequenza
— crisi ipertensiva
— vizi dell’aorta (auscultazione/ecocardiografia)
— prolasso della valvola mitralica (ecocardiografia)
— cardiomiopatia ipertrofica (ECG, ecocardiografia), angina aggravata da nitroglicerina!
— perimiocardite (auscultazione, ECG, ecocardiografia)
— sindrome di Bland-White-Garland: origine anomala dell’arteria coronarica sinistra dall’arteria polmonare (angina pectoris nei ragazzi).
2. Dolori toracici non cardiaci:
— origine pleurica/polmonare
• pleurite (dolori da respirazione, auscultazione)
• pleurodinia (infezione virale da coxsackie-B; malattia di Bornholm)
• pneumotorace (spontaneo) (auscultazione, radiografia)
• embolia polmonare, cuore polmonare cronico
— affezioni del mediastino, aorta
• mediastinite, tumore mediastinico
• aneurisma dissecante (ecocardiografia transesofagea)
— affezioni dell’esofago
• malattia da reflusso (pirosi retrosternale, bruciore di stomaco endoscopia
esofagea)
• disturbi della motilità: spasmo esofageo diffuso, esofago «a schiaccianoci»,
acalasia
• sindrome di Boerhaave = rottura spontanea dell’esofago da vomito (dolori toracici lancinanti; studio radiologico del torace e dell’esofago con mezzo di
contrasto idrosolubile).
— affezioni alle coste, vertebre
• dolori toracici di origine vertebrale (osteocondrosi vertebrale cervicale/toracica, malattia di Bechterew)
• sindrome di Tietze (tumefazione dolorosa al margine cartilagine/osso delle coste superiori)
— affezioni addominali con irradiazione dei dolori al torace
• pancreatite acuta (amilasi, lipasi)
• colica biliare (ecografia)
• sindrome di Römheld (la distensione gastrica da cibo o da gas può scatenare
un dolore di tipo anginoso o altri dolori toracici indipendenti da una cardiopatia ischemica)
— dolori toracici funzionali (sindrome di Da Costa)
anamnesi + esclusione di altre cause!
Diagnosi di insufficienza coronarica
1. Anamnesi
La presenza di tipici attacchi di angina pectoris rende più probabile la diagnosi di
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cardiopatia ischemica. La mancanza di attacchi di angina pectoris non esclude comunque la cardiopatia ischemica, poiché > 50% di tutti gli attacchi ischemici sono
privi di dolori (ischemie silenti).
2. ECG
— ECG a riposo
Se non è avvenuto un infarto, l’ECG a riposo è negativo in oltre il 50% dei casi, anche in caso di grave ischemia. Durante una coronaropatia ischemica possono verificarsi piccoli infarti disseminati, specialmente nello strato interno del cuore, con modifiche ECG aspecifiche (ad es. slivellamento T, negativizzazione T).
— ECG da sforzo
Tipiche dell’ischemia miocardica sono le seguenti alterazioni del tratto S-T:
• slivellamento dell’ST orizzontale o discendente reversibile di almeno 0,1 mV
nelle derivazioni periferiche o di almeno 0,2 mV nelle derivazioni precordiali
• meno specifica di alterazione ischemica è una ascesa lenta dell’ST che perdura, dopo 80 msec dal punto J, ancora sottoslivellata di almeno 0,1 mV (alterazioni dell’ST in rapida ascesa sono reperti privi di significato sfavorevole,
determinati da tachicardia)
• sopraslivellamento dell’ST > 0,1 mV (nelle sole derivazioni che esplorano l’area ischemica) da spasmo coronarico (angina di Prinzmetal).
Nota: anche la digitale determina sottoslivellamento del tratto ST! Per tale motivo quando possibile, è utile interrompere la terapia digitalica prima di eseguire l’ECG da sforzo: 1 settimana prima per la digossina, 3 settimane prima per
la digitossina.
R
P
punto J
La sensibilità dell’ECG da sforzo (= quota percentuale di pazienti affetti da cardiopatia ischemica con risultato positivo al test da sforzo) è tanto maggiore
quanto più elevato è lo sforzo ergometrico e quanto più numerose e gravi sono
le stenosi coronariche. Frequenza cardiaca massimale = 220-età; submassimale
= 200-età. Un ECG da sforzo normale ha pertanto poco valore diagnostico se
non è stata raggiunta la frequenza cardiaca submassimale. Anche con lo sforzo
submassimale si deve calcolare una percentuale intorno al 20% di risultati falsamente negativi (= ECG da sforzo non alterato malgrado la presenza di una stenosi coronarica critica sensibilità intorno al 60% in caso di malattia di 1 vaso, al 70% di 2 vasi, all’80% di 3 vasi). La specificità dell’ECG da sforzo è
dell’80% circa. Reperti falsamente positivi (slivellamento sospetto dell’ST sotto
sforzo in assenza di stenosi coronarica critica) sono più frequentemente secondari ad alterazioni cardiache da ipertensione. Nelle donne sensibilità e specificità
sono inferiori rispetto agli uomini. Il rischio correlato a uno sforzo ergometrico
è nell’ordine di grandezza di 1-2 incidenti gravi su 10.000 test (rischio di fibrillazione ventricolare 1:15.000). Pertanto è indispensabile disporre di possibilità
di rianimazione (ad es. defibrillatore).
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Indicazioni
• diagnosi di ischemia miocardica quale conseguenza di una cardiopatia ischemica
• valutazione di disturbi del ritmo dipendenti dallo sforzo
• valutazione del rapporto tra pressione arteriosa e frequenza cardiaca sotto
sforzo
• giudizio sulle capacità di rendimento cardiaco.
In presenza di più fattori di rischio vascolare è raccomandabile eseguire un ECG
da sforzo soltanto a partire dal 40° anno di età anche se il paziente non accusa
disturbi (ischemie silenti!).
Controindicazioni assolute
• stenosi nota del tronco
• angina pectoris instabile e infarto miocardico recente (entro le prime 2 settimane)
• endo/mio/pericardite
• insufficienza cardiaca manifesta (reperto radiologico recente)
• vizi cardiaci clinicamente manifesti (specialmente stenosi dell’aorta e cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva)
• aneurisma cardiaco o dell’aorta
• ipertensione arteriosa grave (diastolica ≥ 115 mmHg), ipertensione polmonare
grave
• gravi disturbi del ritmo cardiaco, non controllati
• gravi malattie generali, infezioni febbrili, flebotrombosi, embolia polmonare
• cautela in caso di QT lungo (aumentato pericolo di fibrillazione ventricolare).
Criteri di interruzione
• sotto- o sopra-slivellamento ST ischemico o angina pectoris (somministrazione di nitroglicerina), vertigini
• aumento o gravi disturbi del ritmo, insorgenza di un blocco di branca o di un
blocco AV o SA > I grado
• ipotensione o mancanza di aumento pressorio sistolico (segno di insufficienza
ventricolare sinistra)
• aumento pressorio ≥ 240 mmHg sistolica/120 mmHg diastolica
• assenza di aumento della frequenza (possibile indicazione di «sick sinus»)
• affaticamento muscolare
• raggiungimento della frequenza cardiaca massimale (220-età); comunque è auspicabile ottenere la frequenza cardiaca submassimale (200-età).
— ECG sec. Holter
Rilevazione di slivellamenti ST ischemici (e disturbi del ritmo) in condizioni
di sforzi quotidiani normali (lavoro - tempo libero - riposo notturno); importante anche per la diagnosi di attacchi notturni di angina pectoris e di ischemie silenti.
3. Ecocardiografia sotto sforzo:
— sforzo indotto con ergometro
— sforzo indotto da farmaci, ad es.
dipiridamolo (antidoto: teofillina)
dobutamina o arbutamina (antidoto: betabloccanti)
Documentazione di disturbi della motilità parietale sistolica quale conseguenza di
una ischemia miocardica indotta dallo sforzo. Sensibilità e specificità sino al 90%
(dipende dall’esperienza dell’operatore). Nei disturbi della motilità parietale la ca-
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4.
5.
6.
7.
8.
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pacità di valutazione da parte dell’ecocardiografia da sforzo è limitata dall’essere a
riposo (ad es. dopo un infarto).
Diagnostica con radionuclidi
— Scintigrafia di perfusione miocardica e tomografia computerizzata a emissione
di singolo fotone (SPECT) con 201tallio o altri radiodiagnostici. Con la tecnica
SPECT la sensibilità e la specificità giungono al 90%
• perdita irreversibile di attività nelle aree miocardiche cicatriziali
• diminuzione reversibile dell’attività nelle aree miocardiche ischemiche sotto
sforzo ergometrico.
— Ventricolografia radioisotopica con 99mtecnezio-albumina:
• valutazione del movimento parietale ventricolare sinistro
• valutazione della capacità di pompa del ventricolo sinistro: si riconosce precocemente la diminuita funzionalità di pompa in base ad una diminuzione della frazione di eiezione sotto sforzo ergometrico.
Indicazioni: non è un test diagnostico di malattia coronarica, bensì un esame
complementare in caso di malattia coronarica già nota, particolarmente per valutare la frazione di eiezione.
— Tomografia ad emissione di positroni (PET):
con la PET si ottiene una visualizzazione della funzione metabolica del miocardio distinguendo nettamente tra cicatrici da infarto e miocardio acinetico ma ancora vitale a perfusione minima (= miocardio «ibernato»). Con la PET è possibile prognosticare in che misura determinate aree del miocardio acinetiche ma
tuttora vitali possono riprendere la loro funzione contrattile dopo misure di rivascolarizzazione. Questo metodo viene effettuato soltanto nei centri più importanti, dato il costo molto elevato.
Nota: si definisce «stunned myocardium» un miocardio vitale riperfuso ma ancora ipo- o acinetico.
RMN sotto sforzo: informazioni analoghe a quelle dell’ecocardiografia sotto sforzo.
RMN con spettroscopia:
studio del metabolismo miocardico senza l’impiego di composti radioattivi; informazioni analoghe alla PET.
Tomografia computerizzata a fascio d’elettroni (EBCT):
valutazione molto sensibile di calcificazioni a livello delle arterie coronariche; valutazione della pervietà dei by-pass; peraltro nessun giudizio sul grado della stenosi,
nessuna immagine dettagliata del sistema coronarico nel suo complesso.
Coronarografia
Procedura:
— più comunemente, tecnica di Judkins: puntura dell’arteria femorale
— più raramente, tecnica di Sones: arteriotomia dell’arteria brachiale
Prova definitiva + localizzazione della stenosi delle arterie coronariche, diagnostica
funzionale del ventricolo sinistro. Eventuali tecniche di completamento diagnostico,
nell’ambito di una coronarografia, sono:
• angioscopia coronarica
valutazione della morfologia dei vasi, placche
• ecografia endovascolare (EEV)
• misurazione doppler-flussimetrica intracoronarica: valutazione dell’entità funzionale della stenosi coronarica.
Indicazioni:
• quando, in caso di sospetta ischemia, questa non può essere esclusa con certezza
con i metodi diagnostici non invasivi
}
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• in caso di accertata ischemia prima di eseguire misure terapeutiche invasive (se il
paziente è d’accordo con queste misure).
Complicanze: infarto miocardico, fibrillazione ventricolare, embolia cerebrale, falso
aneurisma e fistola A-V in sede di puntura vasale; tasso di mortalità circa 0,1% (è
più elevato negli esami eseguiti in urgenza rispetto alle indagini d’elezione).
Soglia di rilevamento delle diverse procedure diagnostiche nel sospetto di cardiopatia
ischemica:
Metodo
Entità della stenosi
1. Non invasivo
— ECG da sforzo
— scintigrafia
— eco da sforzo
— PET
— EBCT
75%
70%
70%
60%
40%
2. Invasivo
— angiografia
— EEV
40%
20%
Terapia
1. Causale
— Correzione dei fattori di rischio dell’arteriosclerosi:
a) prevenzione primaria, prima dell’insorgenza della cardiopatia ischemica
b) prevenzione secondaria (= prevenzione della progressione) in una cardiopatia ischemica già presente
• divieto del fumo
• correzione ottimale di eventuale iperlipoproteinemia, diabete, ipertensione
• normalizzazione del peso corporeo, attività fisica (riabilitazione cardiologica) ed eliminazione degli stati di stress
• alimentazione povera in grassi e colesterolo e ricca in fibre; dieta mediterranea soprattutto basata su insalata, frutta, verdure, olio di oliva, moderato consumo di vino
• l’acido folico e le vitamine B6 e B12 possono ridurre l’iperomocisteinemia
• il rischio coronarico è ridotto dal moderato consumo di alcoolici (~ 15
g/die), con preferenza per il vino rosso. (Sull’utilità della vitamina E vi
sono dati contrastanti.)
— Nella microangiopatia correzione ottimale dell’ipertensione arteriosa, del diabete mellito, eventuale terapia della vasculite, ecc.
2. Sintomatica
L’angina pectoris stabile viene trattata ambulatoriamente; quella instabile pone, come indicazione assoluta, il ricovero in ospedale sotto controllo medico: sussiste infatti un elevato rischio di infarto con eventuale fibrillazione ventricolare.
Nota: spiegare sempre al paziente la differenza tra angina stabile e instabile; raccomandargli, in caso di comparsa di sintomi da angina instabile, di chiamare immediatamente un’ambulanza.
Terapia dell’angina pectoris instabile (reparto di terapia intensiva):
• trattamento di un’eventuale malattia concomitante (crisi ipertensiva, tachicardia, anemia)
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• eparina non frazionata e.v. (aPTT allungato di 1,5-2 volte) oppure eparina frazionata
(a basso peso molecolare) s.c. da dosare secondo il peso corporeo
• ASA: all’inizio 250-500 mg, poi 100 mg/die; se ASA controindicato: clopidogrel (75
mg/die)
• nitroglicerina e.v. (1-5 mg/h)
• betabloccanti (controllando gli effetti collaterali e le controindicazioni); frequenza
cardiaca ottimale < 60/min.
Nota: tutti i pazienti che entro 24 h dall’inizio di questa terapia restino sintomatici o il
cui test alla troponina T sia positivo, devono essere sottoposti ad angiografia coronarica come presupposto alla terapia di rivascolarizzazione (PTCA, by-pass chirurgico).
Evtl. somministrazione di antagonisti della GPIIb/IIIa (ad es. abciximab). In questo caso il dosaggio dell’eparina deve essere ridotto per evitare la comparsa di emorragie.
Terapia dell’angina pectoris stabile:
A) Terapia farmacologica
1. Trattamento di base: prevenzione della trombosi coronarica mediante somministrazione di antiaggreganti piastrinici: ad es. ASA 100 mg/die. (Effetti collaterali + controindicazioni: vedi cap. Terapia della trombosi).
In caso di intolleranza all’ASA: clopidogrel 75 mg/die.
2. Terapia antianginosa
Principi: migliorare l’apporto di O2
Principi: ridurre il fabbisogno di O2
a. Nitrati
Meccanismo d’azione:
— vengono metabolizzati a monossido di azoto (NO). NO attiva la guanilatociclasi e pertanto la metabolizzazione di GTP a cGMP che ha azione
vasodilatatrice: calo delle resistenze periferiche con riduzione della pressione arteriosa e aumento della capacità dei vasi venosi: diminuzione di
pre- e post-carico calo della pressione ventricolare telediastolica miglioramento dell’irrorazione dello strato interno del cuore (diminuzione della tensione della parete miocardica).
— riduzione del fabbisogno miocardico di O2.
Effetti collaterali: cefalea, calo pressorio, tachicardia riflessa.
Controindicazioni: ipotensione, shock; cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva e
stenosi dell’aorta; non prescrivere contemporaneamente il sildenafil, per il rischio di infarto e morte.
• Trinitrato di glicerina (nitroglicerina)
Indicazione: farmaco di scelta per la terapia dell’attacco di angina pectoris.
Dose: 1-2-(3) capsule da 0,8 mg sublinguali per la terapia d’attacco; l’effetto inizia dopo pochi minuti e scompare in 20-30 minuti. Nell’angina
pectoris instabile evtl. per via endovenosa (in reparto intensivo) 1-5 mg/h,
controllando la pressione arteriosa.
• Isosorbide-dinitrato (ISDN)
Per limitare l’insorgenza di tolleranza – osservata in caso di regolare assunzione di nitrati a lunga durata d’azione – si consiglia una terapia ad intervalli (così da indurre marcate oscillazioni della concentrazione ematica
di nitrato). Anche la vitamina C può ridurre la tolleranza ai nitrati. Dosaggio d’attacco: 5-10 mg sublinguali; come mantenimento compresse retard pari a dosi di 20-120 mg/die per via orale.
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• Isosorbide-5-mononitrato (ISMN)
Vantaggio: non subisce alcun effetto di primo passaggio a livello epatico,
ha un’emivita biologica relativamente lunga di 4-5 h. Dose di mantenimento: compresse retard pari a dosi di 40-50 mg/die per via orale.
• Pentaeritritiltetranitrato
Dosi di mantenimento: 2 mg × 2-3/die per via orale.
b. Molsidomina: ha efficacia ed effetti collaterali simili ai nitroderivati. Nessuno sviluppo di tolleranza.
Dosi: 2 mg × 2-3/die per via orale.
c. Betabloccanti
Meccanismo d’azione: riduzione della richiesta miocardica di O2 tramite diminuzione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa sotto sforzo.
Effetti collaterali: effetto inotropo negativo dose-dipendente. I betabloccanti
sono controindicati in caso di asma bronchiale o di bronchite spastica, perché
hanno un effetto broncocostrittore; sono altresì controindicati in caso di
blocco AV > I grado a causa dell’effetto dromotropo negativo.
Per ulteriori dettagli e preparati vedi cap. Antiaritmici.
d. Calcioantagonisti
I calcioantagonisti in commercio bloccano i canali del calcio di tipo L (long
lasting) riduzione delle resistenze vascolari periferiche (post-carico):
• di tipo benzotiazepinico, come il diltiazem
• di tipo fenilalchilaminico, come il verapamil
entrambi questi gruppi appartengono agli antiaritmici di classe IV e non
possono essere associati ai betabloccanti (pericolo di blocco AV e/o bradicardia)
• di tipo diidropiridinico, come la nifedipina; per i preparati vedi cap. Ipertensione arteriosa.
Nota: i calcioantagonisti a breve durata d’azione mostrano, in alcuni studi,
un effetto prognostico sfavorevole; pertanto non sono più indicati nel trattamento della cardiopatia ischemica e dell’ipertensione; sono anzi controindicati nell’angina pectoris instabile e nell’infarto miocardico. I calcioantagonisti a breve durata d’azione trovano indicazione in caso di tachicardia sopraventricolare (verapamil) e di angina di Prinzmetal (spasmo coronarico). Non
si è riscontrato alcun vantaggio prognostico con l’impiego dei calcioantagonisti a lunga durata d’azione, che vanno pertanto considerati solo come alternativa terapeutica nei casi in cui non sia attuabile il trattamento con betabloccanti.
Azione
Nitrati
Calcioantagonisti
consumo di ossigeno
tono coronarico
()
contrattilità
–
preval. diminuzione
precarico
(pooling venoso)
()
preval. diminuzione
post-carico (resistenza
periferica diminuita)
Betabloccanti
diminuzione
contrattilità e
frequenza cardiaca
3. Terapia cronica intermittente con urochinasi
Indicazioni: angina pectoris refrattaria a tutti gli altri tipi di terapia (compresa la
rivascolarizzazione).
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B) Rivascolarizzazione
Scopi:
— miglioramento della sintomatologia anginosa
— riduzione del rischio di (re)infarto
— riduzione della gravità e miglioramento della prognosi della cardiopatia ischemica.
1. Angioplastica coronarica transluminale percutanea (PTCA)
— Metodo standard: dilatazione con catetere a palloncino
— Posizionamento di uno stent 3 obiettivi:
• impedire la possibilità di restenosi dopo PTCA
• migliorare la pervietà vascolare dopo successo incompleto della PTCA
• ridurre la frequenza di recidiva in confronto alla PTCA.
— Altri metodi:
• angioplastica a rotazione
• angioplastica con laser
• aterectomia coronarica diretta
• angioplastica e trombolisi coronarica con ultrasuoni
• trombectomia coronarica con aspirazione: aspirazione di un trombo in un
infarto recente.
Indicazioni: malattia a 1- o 2-vasi con stenosi prossimale, a breve estensione,
emodinamicamente significativa (> 70%).
Controindicazioni: stenosi del tronco principale dell’arteria coronarica sinistra
( by-pass chirurgico).
Tasso di successo immediato (riduzione della stenosi < 50%): 90-95%. Mortalità della PTCA: 0,1-0,5%.
Complicanze
a) dissezione dell’arteria coronarica a seguito di occlusione acuta (5%) dovuta
alla rottura della placca ateromatosa e conseguente pericolo di infarto 3
possibilità terapeutiche: 1. posizionamento di uno stent = metodo di 1ª scelta (tasso di successo 85%); 2. gli interventi di by-pass in urgenza sono diventati più rari grazie al successo della terapia con stent; 3. terapia conservativa dell’infarto in reparto intensivo
b) trombosi acuta da stent
c) restenosi in ca. il 35% dopo 1 anno. La frequenza di restenosi può essere diminuita dalla somministrazione di antiaggreganti piastrinici più efficaci (clopidogrel, antagonisti della GP IIb/IIIa) oppure dal trattamento β-radiante intracoronarico. La maggior parte dei pazienti con stenosi residua può essere
sottoposta senza aumento di rischio ad una nuova PTCA o all’impianto di
stent.
2. Rivascolarizzazione coronarica chirurgica
Indicazioni:
• stenosi significativa del tronco principale dell’arteria coronarica sinistra
• malattia a 3 vasi sintomatica
• malattia a 2 vasi sintomatica quando siano coinvolti il ramo interventricolare
anteriore e il ramo circonflesso in prossimità alla loro origine.
Inoltre sono necessarie le seguenti premesse:
• stenosi coronarica prossimale significativa (> 50%)
• arteria coronarica distale pervia (circoli collaterali)
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• miocardio contrattile distalmente alla stenosi
• arteria coronarica periferica utilizzabile per l’anastomosi (diametro minimo 1
mm).
Controindicazioni:
• sclerosi coronarica generalizzata (a localizzazione prossimale + distale)
• funzione di pompa del cuore notevolmente compromessa (la frazione di eiezione del ventricolo sinistro è inferiore al 20-30%)
• altre controindicazioni di medicina generale.
a) Procedure chirurgiche classiche (accesso per via sternotomica, necessità di
apparecchiatura cuore-polmone):
• by-pass venoso aorto-coronarico
• «ponte» sulla stenosi coronarica tramite l’arteria toracica (mammaria) interna
• by-pass impiegando l’arteria radiale.
b) Procedure chirurgiche mini-invasive (senza sternotomia):
• «minimally invasive coronary artery by-pass»: tramite finestra toracica si
può raggiungere solamente la parte esterna del cuore pulsante (senza impiego dell’apparecchiatura cuore-polmone)
• «port-access coronary artery by-pass»: accesso toracoscopico al cuore. Al
contrario della procedura precedente, qui è necessario l’impiego dell’apparecchiatura cuore-polmone e il cuore può essere raggiunto in ogni sua
parte.
Risultati
— mortalità intraospedaliera nell’angina pectoris stabile, con funzione ventricolare sinistra normale e intervento d’elezione: circa 1% (più elevata nell’angina instabile). Nel periodo perioperatorio si verificano, in circa il 5% dei pazienti, episodi infartuali (abitualmente limitati)
— l’80% dei pazienti è asintomatico dopo l’intervento
— nei primi 5 anni la percentuale di mortalità nell’interessamento a 3 vasi e
nella stenosi del tronco principale sinistro è inferiore del 30% rispetto alla
terapia conservativa. Tasso di mortalità annuo: circa 2% sopravvivenza a
10 anni circa 80% (nei pazienti con funzione ventricolare sinistra ridotta i risultati sono più sfavorevoli)
— tasso di restenosi:
• by-pass venoso: sino al 50% dopo 10 anni
• by-pass con arteria mammaria interna: solo 10% dopo 10 anni. Dopo questo intervento muore, nell’arco di 15 anni, una percentuale di pazienti inferiore del 27% rispetto al by-pass venoso
• by-pass con arteria radiale: non si hanno ancora risultati a lungo termine
(sono analoghi a quelli del by-pass con l’arteria mammaria interna?).
Terapia successiva, dopo PTCA o by-pass
Il regime terapeutico ottimale per evitare la trombosi precoce è ancora oggetto
di discussione. Per la prevenzione a lungo termine della trombosi si impiegano
gli antiaggreganti piastrinici (ASA 100 mg/die). In caso di intolleranza all’ASA,
si utilizzano le tienopiridine (ad es. clopidogrel 75 mg/die).
C) Rivascolarizzazione laser miocardica percutanea
Metodo per mezzo del quale, tramite CO2-laser, vengono «sparati» 10-20 piccoli
canali nel miocardio (circa 1 canale/cm2). 2/3 dei pazienti trattati mostrano un miglioramento della sintomatologia dolorosa. Il metodo non influisce però sulla pro-
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gnosi della cardiopatia ischemica. La mortalità della tecnica tramite catetere è < 1%
(la mortalità del metodo chirurgico è nettamente più elevata).
Indicazione: «ultima ratio» nei casi al di fuori di qualunque possibilità terapeutica
(farmacologica, PTCA, intervento di by-pass). Non è un’alternativa alla rivascolarizzazione!
D) Trapianto di cuore
Indicazione: cardiopatia ischemica con insufficienza cardiaca terminale (IV stadio
NYHA).
E) Terapia in fase sperimentale
Terapia genica: trasfezione endomiocardica del gene del vascular endothelial growth
factor (VEGF), allo scopo di promuovere la neovascolarizzazione.
Prognosi: i seguenti fattori sono determinanti per l’ischemia coronarica:
— localizzazione della stenosi e numero delle arterie coronariche colpite. Tasso annuale di mortalità (in assenza di rivascolarizzazione):
• malattia a 1 vaso: 3-4%
• malattia a 2 vasi: 6-8%
• malattia a 3 vasi: 10-13%
• stenosi del tronco principale della coronaria sinistra > 30%
— dimensione dell’ischemia miocardica: il rischio di infarto aumenta con la frequenza
e la gravità degli attacchi di angina pectoris
— stato di funzionalità del ventricolo sinistro: con l’aumento dell’insufficienza cardiaca sinistra e l’insorgere di disturbi del ritmo ventricolare di grado più elevato la
prognosi diventa più infausta
— progressione della sclerosi coronarica, che dipende dal grado dei fattori di rischio:
divieto di fumare, normalizzazione del peso e della pressione arteriosa. In caso di
ipercolesterolemia è necessario ridurre il colesterolo LDL a valori < 100 mg/dl.
INFARTO MIOCARDICO
Definizione: necrosi del miocardio su base ischemica, quasi sempre dovuta ad una cardiopatia ischemica con stenosi di grado elevato di un’arteria coronarica.
Epidemiologia
L’incidenza (numero degli infarti/100.000/anno) mostra notevoli differenze geografiche:
< 100 in Giappone; 100-200 nei paesi mediterranei, Svizzera, Francia; ~ 300 in Germania, America settentrionale, Austria, Olanda, Polonia; 300-400 in Danimarca e Scandinavia; 400-500 in Irlanda, Inghilterra, Ungheria; > 500 in Irlanda del Nord, Scozia e
Finlandia.
Eziologia: arteriosclerosi e suoi fattori di rischio (vedi cap. Cardiopatia ischemica).
Patogenesi: arteriosclerosi placca stabile placca instabile rottura della placca occlusione trombotica angina pectoris instabile oppure infarto miocardico oppure
morte cardiaca improvvisa.
Fattori scatenanti
• improvvisi sforzi fisici
• situazioni di stress con forti variazioni pressorie
• nell’angina pectoris instabile vi è un rischio maggiore di infarto (20%).
• il 40% di tutti gli infarti si verifica nelle ore del mattino (6.00-12.00).
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Clinica
• dolori precordiali intensi e persistenti da angina pectoris non influenzabili dal riposo o somministrazione di nitroglicerina. Oltre ai dolori tipici dell’angina pectoris, il
dolore può irradiarsi in direzione epigastrica, specialmente nell’infarto della parete
posteriore.
Nota: il 15-20% degli infarti miocardici è privo di dolore (infarti «silenti»), particolarmente nel diabetico (in seguito a neuropatia diabetica autonomica) e nei soggetti
più anziani
• senso di debolezza, angoscia e sintomatologia neuro-vegetativa secondaria (sudorazione, nausea, vomito, ecc.), eventualmente temperatura subfebbrile
• disturbi del ritmo cardiaco (95% dei casi): specialmente del tipo ventricolare fino a
fibrillazione ventricolare
• frequentemente caduta pressoria.
Nota: per l’ipertono simpatico, la pressione può anche essere normale o un poco aumentata
• il polso può essere normale, tachicardico o bradicardico
• sintomi dell’insufficienza cardiaca sinistra (1/3 dei soggetti): dispnea, rantoli umidi
alle regioni polmonari basali, eventuale edema polmonare
• nei soggetti più anziani eventuali disturbi della circolazione cerebrovascolare accompagnati da stati confusionali ecc.
La diagnosi risulta difficile negli infarti a decorso atipico senza dolori toracici, come
ad es.:
• solo dolori a spalla/braccio sinistro
• solo dolori epigastrici
• solo dispnea
• solo caduta pressoria/collasso.
Auscultazione
In caso di complicanze cardiache si possono riscontrare rumori molto accentuati come:
• sfregamento pericardico nella pericardite epistenocardica (controindicazione alla terapia anticoagulante, rischio di emopericardio)
• soffio sistolico nella perforazione del setto ventricolare da necrosi oppure nell’insufficienza mitralica per rottura del muscolo papillare o nella cardiodilatazione con insufficienza valvalore AV relativa
• rantoli umidi nella stasi / edema polmonare.
Laboratorio
— modifiche aspecifiche:
• lieve leucocitosi
• iperglicemia
• eventuale lieve aumento della VES nei giorni successivi
— mioglobina: l’infarto recente provoca regolarmente un aumento della concentrazione di mioglobina sierica. Tuttavia l’aumento della mioglobina non è sinonimo di infarto; infatti anche lesioni a carico della muscolatura scheletrica provocano l’aumento della concentrazione mioglobinica nel siero
— troponina I e T
La troponina I e T cardiaca è specifica per il muscolo cardiaco, ed è rilevabile da
3 ore sino a oltre 10 giorni dopo l’infarto (test veloce). È la dimostrazione più precoce di necrosi miocardica. In caso di angina pectoris instabile la troponina T e I è
aumentata nel 30% dei casi. Tanto più elevato è il livello di troponina, tanto più
sfavorevole è la prognosi
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— diagnostica enzimatica
Negli infarti di una certa dimensione si riscontra sempre un marcato aumento enzimatico nel siero mentre negli infarti di più piccola entità si verifica soltanto un lieve aumento enzimatico temporaneo.
Valutazione del movimento enzimatico in caso di infarto miocardico
(gli enzimi sono elencati in ordine decrescente di specificità)
Enzima
Aumento (h)
Picco massimo (h)
Normalizzazione (gg)
CPK - MB
CPK totale
GOT
LDH
α-HBDH
4-8
4-8
4-8
6-12
6-12
12-18
16-36
16-48
24-60
30-72
2-3
3-6
3-6
7-15
10-20
CPK (creatin-fosfo-chinasi): è l’enzima di riferimento per la diagnosi di danno alla muscolatura cardiaca e scheletrica. L’entità del suo aumento si correla all’estensione dell’infarto.
Sono conosciuti 4 isoenzimi:
— CPK-MM (tipo muscolare)
— CPK-BB (tipo cerebrale)
— CPK-MB (tipo miocardico)
— CPK-MiMi (tipo mitocondriale)
Un aumento della CPK totale si può osservare in:
• infarto miocardico e miocardite
• a seguito di iniezione i.m., intervento chirurgico, trauma, sforzo fisico, attacco epilettico, embolizzazione/ostruzione arteriosa, rianimazione, parto
• affezioni muscolari (distrofia muscolare, polimiosite, rottura delle fibre muscolari)
• intossicazioni, alcoolismo e delirium tremens
• pancreatite necrotizzante, necrosi epatocitaria acuta
• tumori maligni
• miopatie endocrine: ipotiroidismo (2/3 dei pazienti), ipoparatiroidismo, raramente malattia di Addison
• trichinosi, infezione virale da Coxsackie B
• terapia con antidepressivi triciclici.
Un aumento della CPK-MB sino a rappresentare dal 6 al 20% della CPK totale – misurato in un lasso di tempo da 6 a 36 ore dopo il sospetto infarto – depone a favore di
una liberazione dell’enzima dalla muscolatura cardiaca (diagnosi differenziale: infarto,
miocardite, interventi sul cuore, contusione cardiaca).
Un aumento della CPK-MB < 6% della CPK totale è indicativo della liberazione dell’enzima dalla muscolatura scheletrica.
Un aumento della CPK-MB > 20% della CPK totale si riscontra in caso di alterazioni
degli isoenzimi CPK-BB o di presenza di macro-CPK.
Aumenti della CPK-MB possono essere raramente confusi con aumenti dell’attività di:
— CPK-BB (ad es. nei tumori, affezioni neurologiche)
— macro-CPK: 2 varianti:
• macro-CPK-1 = immunocomplesso da CPK-BB ed IgG: si riscontra nell’1% degli anziani, soprattutto donne; non è significativo.
• macro-CPK-2 = associazione di diverse molecole CPK-MiMi; riscontrabile ad
esempio nei tumori maligni, nelle epatopatie necrotizzanti.
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GOT (glutammico-ossalacetico-transaminasi) = AST
Fegato, cuore e muscolatura scheletrica presentano un’attività relativamente elevata di
GOT. Il rapporto CPK/GOT è nell’infarto cardiaco < 10 (nei danni alla muscolatura
scheletrica > 10). L’aumento contemporaneo delle GPT è indicativo di epatopatia o stasi epatica da insufficienza cardiaca (destra) scompensata.
LDH (lattico-deidrogenasi)
È un enzima citoplasmatico che si trova in tutti i tessuti, è quindi un parametro aspecifico, ma significativo nella diagnosi tardiva di infarto cardiaco. L’LDH, infatti, si normalizza solo dopo 1-2 settimane. L’LDH viene distinta con l’elettroforesi in 5 isoenzimi.
LDH 1 (= HBDH): muscolo cardiaco, eritrociti.
Il rapporto LDH/HBDH inferiore ad 1,3 è indicativo di infarto cardiaco, emolisi.
ECG
Il reperto elettrocardiografico può risultare negativo nelle prime 24 ore, quindi solo due
ECG eseguiti a distanza di 24 ore escludono l’infarto. La sicurezza diagnostica aumenta se è possibile confrontare i reperti con un ECG eseguito precedentemente.
L’ECG può fornire le seguenti informazioni:
• dimensioni e localizzazione dell’infarto (entità del decremento di R, aree principalmente colpite)
• età dell’infarto (vedi sotto).
La muscolatura cardiaca contratta in maniera attiva rappresenta un modello di gabbia di
Faraday. In caso di infarto transmurale si perviene, per effetto della caduta del potenziale nella regione infartuata, ad un «buco di questa gabbia» e quindi il vettore risultante medio delle forze elettriche del cuore avrà direzione opposta rispetto all’area infartuata stessa. Segni diretti di infarto sono le modificazioni registrate all’ECG dalle derivazioni che esplorano l’area infartuata. Segni indiretti sono le modificazioni speculari
registrate dalle derivazioni opposte all’area infartuata.
Nell’infarto transmurale (infarto con onda Q) con segni diretti d’infarto all’ECG, si riconoscono 3 stadi:
• Stadio 1: infarto recente (stadio acuto)
Normalmente la modifica più precoce, che consiste in un fugace sopraslivellamento
dell’onda T (la cosiddetta «T soffocata»), passa inosservata. Al confine tra miocardio
sano e miocardio leso si osserva un potenziale di lesione rappresentato dal sopraslivellamento del tratto ST (deformazione monofasica del complesso ventricolare). Il
tratto ST origina direttamente dall’onda R in discesa e si fonde con l’onda T, assumendo un aspetto a cupola o plateau («T en dome»).
• Stadio 2: stadio intermedio
Con la riduzione del sopraslivellamento del tratto ST diviene visibile una diminuzione
di voltaggio dell’onda R sino alla comparsa di un complesso QS oppure di un’onda Q
ampia e profonda = Q patologica = Q di Pardee (durata ≥ 4 sec; ampiezza > 1/4 R).
Comparsa di un’onda T negativa = inversione dell’onda T, che è simmetrica e appuntita.
Diagnosi differenziale:
— del sopraslivellamento del tratto ST: angina di Prinzmetal, pericardite
— della Q profonda: cardiomiopatia ipertrofica, embolia polmonare (aspetto SI/QIII)
— dell’onda T negativa: infarto transmurale in stadio 2 o 3; infarto non-Q, infarto
subendocardico; pericardite (stadio tardivo); miocardite, cardiomiopatia ipertrofica
ostruttiva.
• Stadio 3: infarto pregresso (stadio cronico)
Persistenza dell’onda T negativa (stadio 2) o normalizzazione del tratto ST (stadio 3).
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Nonostante possa ricomparire una piccola onda R, l’onda Q profonda rimane sostanzialmente invariata. Qualora il tratto ST non si normalizzi entro 6 mesi, si deve sospettare la formazione di un aneurisma ventricolare.
fase
recente
St. 1
fase intermedia
St. 2
St. 3
Segni diretti
di infarto
fase
tardiva
Nota: nel blocco di branca sinistra (preesistente o quale complicanza dell’infarto) i segni dell’infarto possono essere mascherati; pertanto l’ECG non consente una diagnosi
sicura di infarto.
Gli infarti intramurali (infarti non-Q) non danno alcuna modificazione del complesso
QRS ma solo una T negativa simmetrica.
Gli infarti subendocardici possono dare solo un sottoslivellamento del tratto ST. In tutti questi casi è importante per la diagnosi la positività del movimento enzimatico.
Rappresentazione schematica
dei vasi coronarici
Tronco principale dell’arteria
coronarica sinistra (LCA)
Ramo circonflesso (RCX)
Arteria coronarica destra
(RCA)
Ramo marginale sinistro
Ramo diagonale
Ramo posterolaterale
destro
Ramo anteriore discendente =
ramo interventricolare anteriore
(RIVA) = arteria discendente
anteriore sinistra (LAD)
Localizzazione dell’infarto
Nella maggior parte dei casi, l’infarto colpisce il miocardio ventricolare sinistro. La localizzazione corrisponde alla zona irrorata dall’arteria coronarica occlusa (vedi figura).
A seconda della localizzazione dell’infarto le tipiche modifiche dell’ECG compaiono in
derivazioni diverse. La variabilità delle arterie coronariche e l’impossibilità di stabilire
con certezza quale settore d’irrorazione sia coinvolto rendono però impossibile, sulla
base delle sole alterazioni infartuali tipiche dell’ECG, la definizione precisa di quale sia
l’arteria coronarica occlusa. Ciò è invece possibile con tecnica angiografica. Il seguente schema è comunque utile a scopo orientativo nella localizzazione dell’infarto:
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Coronaria
Localizzazione
dell’infarto
Derivazioni dirette
Derivazioni speculari
RIVA prossimale
infarto anteriore esteso
V1-V6, aVL, I
(II), III, aVF
RIVA a valle dell‘origine
del ramo diagonale
infarto antero-settale
V1-V4, aVL, I
(II), III, aVF
Ramo diagonale
postero-laterale
infarto della parete
laterale
aVL, I, V5-V7
RCX
infarto posteriore
V7-V9, aVF, III
V1-V3
RCA
infarto inferiore;
infarto del ventricolo
destro
II, III, aVF
V3r-V6r, V1
V2-V4
RCA
LCA
RIVA
RCX
Diagnostica per immagini
1. Ecocardiografia (color-doppler):
— diagnostica cardiaca morfologica (ingrossamento cardiaco, stato valvolare, riscontro di trombi, complicanze: versamento pericardico, rottura del muscolo papillare, rottura del setto ventricolare)
— diagnostica funzionale (giudizio del movimento della parete ventricolare, della
gittata, del flusso ematico e della funzione valvolare). Con analisi computerizzata dei movimenti della parete ventricolare sinistra è possibile localizzare esattamente con rappresentazione grafica le aree di infarto ipo- ed acinetiche.
2. Diagnostica di medicina nucleare:
— scintigrafia con anti-miosina: rappresentazione topografica delle aree necrotiche
del miocardio («hot spot imaging») con anticorpi marcati con antimiosina: la
miosina è presente in sede intracellulare solo nelle cellule cardiache vitali e viene liberata solo dai miociti morti. Si riscontra un accumulo di radionuclide anche nella miocardite
— scintigrafia di perfusione miocardica e tomografia computerizzata a emissione di
singolo fotone (SPECT) con 201tallio ed altri radiodiagnostici («cold spot imaging»):
• diminuzione reversibile dell’attività nelle aree miocardiche ischemiche
• perdita irreversibile dell’attività nelle aree miocardiche necrotiche e cicatriziali.
Svantaggio: non è possibile determinare l’età dell’infarto
— ventricolografia radioisotopica con 99mtecnezio-albumina:
• dimostrazione di disturbi regionali del movimento di aree necrotiche o cicatriziali della parete ventricolare
a) ipo/acinesia
b) discinesia (= movimenti paradossi di aree aneurismatiche della parete ventricolare)
• documentazione della diminuzione della frazione di eiezione del ventricolo sinistro in caso di insufficienza sinistra.
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Svantaggi: diagnostica aspecifica della funzione del ventricolo sinistro; vanno
escluse altre cause di un disturbo della funzione del ventricolo sinistro
— tomografia a emissione di positroni (PET): mediante la valutazione del metabolismo del miocardio si possono differenziare con certezza le cicatrici infartuali
dal miocardio ancora vitale con minima perfusione. Indicazione all’intervento di
rivascolarizzazione.
3. Risonanza magnetica nucleare (RMN): dimostrazione dell’estensione delle aree
miocardiche infartuate, di trombi parietali e di aneurismi della parete ventricolare,
calcolo della frazione di eiezione.
4. Tomografia computerizzata a fascio d’elettroni (EBCT): come RMN; in più consente la valutazione delle arterie coronariche maggiori ma non permette alcuna valutazione dell’entità della stenosi e dell’apparato coronarico nel suo complesso.
5. Angiografia coronarica (cateterismo cardiaco sinistro):
• misurazioni della pressione e determinazione della gittata (funzione di pompa)
• identificazione delle aree parietali ventricolari ipo-acinetiche (estensione dell’infarto)
• identificazione di stenosi o ostruzioni delle arterie coronariche.
Complicanze dell’infarto miocardico:
1. Complicanze precoci
Periodo maggiormente critico: le prime 48 ore
— disturbi del ritmo cardiaco (95-100%), ad es.:
• extrasistoli ventricolari (95-100%): extrasistoli polimorfe frequenti, fenomeno
R su T ed extrasistoli a coppie sono indicative di un aumentato rischio di fibrillazione ventricolare. La fibrillazione ventricolare può però manifestarsi anche in assenza di queste aritmie premonitrici
• tachicardie ventricolari e fibrillazione ventricolare: la fibrillazione ventricolare
compare più spesso entro le prime 4 ore dall’infarto, nell’80% dei casi nelle
prime 24 ore come fibrillazione ventricolare primaria che non peggiora la prognosi se prontamente trattata con defibrillatore. La comparsa tardiva di una fibrillazione ventricolare secondaria così come la fibrillazione ventricolare tardiva (1-6 settimane dopo l’infarto) sono di solito la conseguenza di una ingravescente insufficienza cardiaca sinistra e hanno prognosi sfavorevole.
L’80% dei pazienti che muore improvvisamente per infarto è vittima di una
fibrillazione ventricolare
• fibrillazione atriale con tachiaritmia assoluta (prognosi sfavorevole)
• alterazioni bradicardiche del ritmo cardiaco: bradicardia sinusale, blocco AV.
— insufficienza cardiaca sinistra (1/3 dei pazienti) con conseguenti:
• stasi ed edema polmonare
• shock cardiogeno (10% dei casi)
Nota: il deficit di pompa è la seconda causa di morte in corso di infarto, dopo la fibrillazione ventricolare.
— complicanze in caso di necrosi estesa:
• rottura del cuore con tamponamento pericardico
• rottura del setto ventricolare ( comparsa di nuovo rumore sistolico!, colordoppler, variazione nella saturazione di O2 dall’atrio destro all’arteria polmonare)
• necrosi/rottura dei muscoli papillari con insufficienza mitralica acuta (
comparsa di nuovo rumore sistolico, color-doppler).
2. Complicanze tardive (nel II stadio):
— aneurisma della parete ventricolare: nel 10% di tutti i pazienti colpiti da infar-
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to; ECG: sopraslivellamento permanente del tratto ST; evidenziazione con ecocardiografia e ventricolografia: movimento paradosso (discinesia) della parete
ventricolare nella zona aneurismatica. Può comportare complicanze significative
quali: embolia, insufficienza cardiaca sinistra, disturbi del ritmo, rottura del cuore con tamponamento;
embolia arteriosa ed embolia polmonare (spesso confusa con una recidiva di infarto);
pericardite epistenocardica, alcuni giorni dopo l’infarto
sindrome post-infarto miocardico = «sindrome di Dressler»: si verifica dopo 16 settimane dall’infarto nel 3% dei casi e si manifesta con una pericardite/pleurite; la terapia prevede l’uso di FANS ed evtl. di corticosteroidi;
aritmie
insufficienza cardiaca
angina pectoris persistente e recidiva di infarto.
Decorso - 4 Stadi:
1. stadio di ischemia e necrosi: alto rischio nelle prime 48 ore;
2. stadio di cicatrizzazione: dura 30-50 gg;
3. stadio di riabilitazione: ripresa della vita quotidiana;
4. stadio della prevenzione.
Diagnosi differenziale
• Angina pectoris: dolore solo per pochi minuti, sensibile ai nitroderivati, paziente irrequieto. Il paziente infartuato è sovente calmo e con sudorazione fredda (precollasso).
• Specialmente nell’infarto della parete posteriore il dolore da infarto può proiettarsi
sotto il diaframma: diagnosi differenziale con l’addome acuto (colica biliare, epatomegalia acuta, perforazione d’ulcera, pancreatite acuta, ecc.).
• Embolia polmonare che procura un forte dolore della pleura (anche con proiezione
sotto il diaframma), collasso, addirittura con quadri elettrocardiografici simili all’infarto.
Diagnosi: nell’infarto cardiaco, tipico pattern enzimatico.
• Aneurisma dissecante: violento dolore toracico, evtl. migrante; nella dissecazione
prossimale di tipo A: polso debole o assente e differenza pressoria tra le due braccia;
nell’insufficienza aortica rumore diastolico.
Diagnosi: radiografia del torace (doppio contorno dell’aorta), ecocardiocolordoppler
transesofageo. (Per i dettagli vedi cap. Ipertensione).
• Altre diagnosi differenziali: vedi cap. Cardiopatia ischemica.
Diagnosi
• anamnesi/clinica
• enzimi, troponina T e I
• ECG
• diagnostica per immagini.
Terapia
1. misure generali
2. terapia di riperfusione
3. prevenzione della recidiva di trombosi coronarica
4. terapia delle complicanze.
A) Nella fase pre-ricovero
— al minimo sospetto di infarto ricovero immediato e trasporto con personale medico. In caso di insufficienza cardiaca sinistra: posizione ortopnoica!
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— accesso venoso, nessuna iniezione i.m., controllo con monitor + pronta disponibilità di defibrillatore
— somministrazione di O2 con sondino nasale (3 l/min, controllo mediante pulsossimetro)
— somministrazione di nitrati: ad es. nitroglicerina (1 cps da 0,8 mg sublinguale
oppure 2 spruzzi della formulazione spray), evtl. somministrazione in infusione
e.v. con pompa, con stretto monitoraggio dei valori pressori (controindicata in
caso di PA sistolica < 100 mmHg)
— sedazione e analgesici secondo necessità (vedi sotto)
— eparina (5.000 UI e.v.) e acido acetilsalicilico (250-500 mg e.v. oppure per via
orale)
— nella certezza di infarto cardiaco e con tempi lunghi necessari per il trasporto
del paziente in ospedale inizio di una terapia trombolitica (con attenzione alle
controindicazioni)
— trattamento iniziale di complicanze subentranti (come descritto sotto).
Nota: la somministrazione tempestiva di ASA, già al solo sospetto di infarto miocardico, ha dimostrato nello studio ISIS-2 una riduzione della mortalità di oltre il
20%.
B) In fase di ricovero
1. Misure generali
— nei primi giorni ricovero in reparto di terapia intensiva con sorveglianza circolatoria (ECG con monitor, pressione arteriosa, se possibile cateterismo
polmonare) e disponibilità a manovre rianimatorie
— riposo a letto; in caso di segni di insufficienza cardiaca sinistra: posizione
ortopnoica
— supporto psicologico, sedazione farmacologica, ad es. diazepam inizialmente
5 mg e.v. lentamente
— somministrazione di O2 con sondino nasale (31/min, controllo ossimetrico
digitale)
— alimentazione leggera, regolazione delle funzioni intestinali
— trattamento dei dolori da infarto:
• i nitrati «alleggeriscono» il cuore e hanno una influenza favorevole sui dolori da infarto.
Effetti collaterali: cefalea, ipotensione, tachicardia riflessa.
Controindicazione: pressione sistolica < 100 mmHg.
Dosaggio: trinitrato di glicerolo (nitroglicerina): 1-2 capsule da 0,8 mg sublinguali, in seguito 1-5 mg/h per infusione con monitoraggio della pressione arteriosa.
Oppure: isosorbide dinitrato: 2-10 mg/h per infusione con monitoraggio
della pressione arteriosa
• somministrazione di analgesici: in caso di dolori violenti, oppiacei, ad es.
morfina: 2-5 mg e.v. lentamente.
Effetti collaterali: depressione respiratoria, ipertensione, nausea.
Per compensare gli effetti collaterali emetici della morfina, si può somministrare in caso di necessità ad es. la triflupromazina: 5 mg e.v. lentamente.
— ASA, betabloccanti e ACE inibitori riducono la mortalità precoce dell’infarto cardiaco:
• ASA: proseguimento della terapia con ASA iniziata nella fase di pre-ricovero (100 mg/die)
• betabloccanti: in mancanza di controindicazioni, prudente somministrazio-
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ne di betabloccanti, che diminuiscono il rischio di fibrillazione ventricolare e influenzano positivamente la mortalità globale
• ACE-inibitori: prudente somministrazione di ACE-inibitori solo nei pazienti emodinamicamente stabili; in questo caso è assolutamente necessario evitare l’ipotensione.
Attenzione alle iniezioni i.m. per l’aumento non specifico della CPK e per la terapia anticoagulante/fibrinolitica.
2. Terapia di riperfusione:
a. Terapia conservativa con attivatori della fibrinolisi (trombolisi):
si dovrebbe effettuare il più presto possibile («time is muscle») criterio di
successo: entità di riperfusione entro 90 minuti dall’inizio della lisi.
Premesse:
— buon laboratorio di coagulazione, esperienza
— assenza di controindicazioni
— infarto recente con slivellamento di ST entro le prime 6 h, evtl. anche alcune ore dopo.
Sostanze:
— streptochinasi
— APSAC = anistreplase
— urochinasi
— tPA = alteplase (molecola a catena unica) e duteplase (molecola a catena doppia)
— preparati di tPA ricombinante ottenuti con tecnologia genetica e dotati di
emivita più lunga:
• rPA = reteplase (T50 = 18 min)
• nPA = lanotreplase (T50 = 30 min)
Antigenicità
Peso molecolare
(in Dalton)
Meccanismo d’azione
Emivita plasmatica
Dose per uso
sistemico
Tempo di
somministrazione
Pre-medicazione
con corticosteroidi
APSAC
SK
UK
rPA
tPA
+
+
–
–
–
131.000
diretto
90 min.
47.000
indiretto
30 min.
54.000
diretto
5 min.
39.000
diretto
18 min.
74.000
diretto
6 min.
30 U
1,5 milioni U
3 milioni U
2x10 milioni U
100 mg
5 min.
60 min.
90 min.
+
+
–
a distanza di 30 min. 90 min.
–
–
In caso di somministrazione di t-PA una terapia di mantenimento con eparina migliora i risultati della lisi.
Effetti collaterali + controindicazioni: vedi cap. Trombosi venosa profonda.
Tasso di successo: nel 70-80% dei casi si osserva una ricanalizzazione; la
tPA oppure la rPA + eparina e.v. hanno il tasso di riperfusione più alto dopo 90 min. Una lisi intracoronarica (attuabile solo in alcuni centri) è più efficace di una lisi sistemica.
Grazie a una lisi precoce, è possibile ridurre del 50% la mortalità entro 35
giorni dall’insorgere dell’infarto.
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Criteri indiretti per una riperfusione riuscita dopo lisi:
• scomparsa dei dolori da infarto
• scomparsa dello slivellamento del tratto ST all’ECG.
Nota: possono comparire evtl. aritmie da riperfusione.
Documentazione diretta della ricanalizzazione tramite angiografia coronarica.
b. PTCA acuta con o senza lisi intracoronarica:
Premessa: ricovero o trasferimento in un centro cardiologico.
Indicazione: lisi sistemica (e.v.) controindicata o inefficace, infarto esteso
della parete anteriore con pericolo di shock cardiogeno, ecc.
Tasso di successo primario: fino al 90% (più alto che nella lisi sistemica con
percentuali di ricanalizzazione intorno al 70-80%).
Nota: poiché nel 20-25% dei casi si può verificare una riocclusione anche
dopo una lisi riuscita, è necessario trasferire questi pazienti, al termine del
ricovero in terapia intensiva, in un centro cardiologico per sottoporli ad angiografia coronarica e per decidere evtl. ulteriori misure di riperfusione
(PTCA, intervento di bypass).
3. Il trattamento a lungo termine con antiaggreganti piastrinici riduce del 15% la
mortalità entro il primo anno dall’infarto; il rischio di reinfarto diminuisce del
30%.
Dosaggio: ASA 100 mg/die; per effetti collaterali e complicanze vedi cap.
Trombosi.
Alternative in caso di intolleranza all’ASA: ad es. clopidogrel 75 mg/die.
4. Indicazione al trattamento temporaneo anticoagulante con dicumarolici: dimostrazione ecocardiografica di trombi endoventricolari sinistri. Sino nel 50% dei
casi di infarto esteso della parete anteriore con coinvolgimento dell’apice cardiaco compaiono trombi parietali ventricolari sinistri (contro il solo 5% degli infarti della parete posteriore). Per diminuire il rischio di embolia cerebrale si
consiglia un trattamento temporaneo con anticoagulanti per almeno 3 mesi (range terapeutico: INR 2,0-3,0).
5. Terapia delle complicanze:
disturbi del ritmo e insufficienza cardiaca (sinistra) sono le complicanze più frequenti dopo l’infarto cardiaco.
a) Disturbi del ritmo
Con una precoce somministrazione di betabloccanti è possibile evitare la fibrillazione ventricolare e diminuire la mortalità globale.
— tachiaritmie ventricolari:
• tachicardia ventricolare: se il circolo è stabile, lidocaina 100 mg e.v.
lentamente, sotto controllo ECG (farmaco di seconda scelta: amiodarone)
In caso di insuccesso o di incipiente insufficienza del cuore sinistro:
cardioversione elettrica (iniziando con 100 J) sotto guida ECG con anestesia di breve durata
• flutter/fibrillazione ventricolare: defibrillazione immediata
• prevenzione della recidiva di tachiaritmie ventricolari: controllo ed evtl.
correzione del quadro elettrolitico; somministrazione prudente di betabloccanti (con sorveglianza degli effetti collaterali + controindicazioni)
— tachiaritmie sopraventricolari:
• somministrazione prudente di betabloccanti o verapamil (ma non di
entrambi)
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• in caso di tachicardia sopraventricolare emodinamicamente pericolosa:
cardioversione elettrica.
(Per altri dettagli vedi cap. Disturbi del ritmo).
— bradiaritmie e disturbi di conduzione:
• bradicardia sinusale, eventualmente con extrasistoli ventricolari da bradicardia: atropina 0,5 mg e.v.; in caso di rischio di bradicardia: pacemaker temporaneo
• blocco AV di II o III grado: in caso di infarto della parete posteriore
può verificarsi un blocco AV secondario alla liberazione di adenosina
provocata dall’ischemia. Questi blocchi si possono di solito rimuovere
somministrando antagonisti dell’adenosina: teofillina 100-250 mg e.v.
lentamente. In caso di insuccesso, impiego preventivo di un pacemaker temporaneo (se rischio di attacco di Adams-Stokes)
• blocco bi-fascicolare nella fase acuta impianto di pace-maker.
Nota: disturbi della conduzione AV nell’infarto della parete posteriore
(ischemia del nodo AV) hanno una prognosi migliore di quello della parete anteriore con interessamento del setto (blocco della branca di Tawara).
Nota: prima di ogni terapia antiaritmica controllo della concentrazione di
potassio sierico ed eventualmente ripristino dei valori normali (ca. 5,0
mmol/l)!
b) Insufficienza cardiaca sinistra e shock cardiogeno:
cause:
— non funzionamento del miocardio: quando l’infarto interessa il 20% del
ventricolo sinistro si riscontrano di regola segni dell’insufficienza cardiaca
sinistra; quando risulta infartuato oltre il 40% del ventricolo sinistro, ne consegue quasi sempre uno shock cardiogeno con una mortalità di oltre il 90%
— disturbi del ritmo
— terapia con sostanze inotrope negative, come: antiaritmici, betabloccanti,
ecc.
— ipovolemia (pressione venosa centrale!)
— cause più rare:
• perforazione del setto ventricolare (nuovo soffio sistolico)
• rottura del muscolo papillare con insufficienza mitralica acuta (nuovo
soffio sistolico)
• rottura della parete ventricolare con tamponamento cardiaco (solitamente esito letale)
• versamento pericardico (in caso di sfregamento pericardico gli anticoagulanti sono controindicati!).
Diagnosi dell’insufficienza cardiaca sinistra
• clinica: rantoli umidi alle basi polmonari, dispnea
• radiografia del torace: segni di stasi polmonare
• ecocardiografia (colordoppler): documentazione di aree infartuate ipo/acinetiche, perforazione del setto ventricolare, rottura del muscolo papillare,
versamento pericardico, valutazione della frazione d’eiezione
• diagnostica invasiva (cateterismo cardiaco destro) con monitoraggio della
pressione arteriosa polmonare, della pressione capillare polmonare, della
pressione atriale destra e della portata cardiaca; si misura il grado di insufficienza cardiaca in base alla pressione telediastolica di riempimento
ventricolare. La pressione telediastolica ventricolare sinistra è correlata alla pressione venosa centrale e alla pressione atriale destra.
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Nota: la pressione venosa centrale permette la valutazione della funzione
ventricolare destra e dello stato della volemia intravasale; la pressione venosa centrale non è indicata per valutare l’insufficienza cardiaca sinistra!
Nell’insufficienza cardiaca sinistra aumenta la pressione di riempimento
del ventricolo sinistro mentre la portata cardiaca diminuisce.
Definizione dello shock cardiogeno
• ipotensione arteriosa con PA sistolica < 80-90 mmHg
• indice cardiaco < 1,8 l/min/m2 (normale: > 2,5 l/min/m2)
• pressione telediastolica ventricolare sinistra (LVEDP) > 20 mmHg.
Nota: LVEDP normale a riposo: 5-12 mmHg.
Terapia dell’insufficienza cardiaca sinistra e dello shock cardiogeno
A. Terapia causale: terapia di riperfusione, trattamento delle cause correggibili (disturbi del ritmo, sospensione di farmaci inotropi negativi, ecc.).
Nota: nei pazienti con shock cardiogeno la prognosi può essere migliorata in modo decisivo soltanto grazie ad una terapia di riperfusione tempestiva (trombolisi, nei centri cardiologici PTCA d’urgenza oppure intervento d’urgenza di by-pass).
B. Terapia sintomatica
1. Decubito semiortopnoico e somministrazione di O2 per sondino nasale
2. Controllo ottimale del precarico sotto controllo della pressione arteriosa, pressione venosa centrale, pressione di riempimento del ventricolo sinistro e portata.
— In caso di stasi polmonare:
diminuzione del precarico con nitroglicerina:
dosaggio: 1-4 mg/h in infusione controllando la pressione
controindicazioni: shock cardiogeno, PA sistolica < 90-100 mmHg
eventualmente furosemide: inizialmente 20-40 mg e.v.
Nell’edema polmonare inoltre respirazione assistita (con pressione
teleespiratoria positiva, PEEP) ed eventuale emofiltrazione.
— In caso di ipovolemia: cauta somministrazione di volume (200 ml)
fino a che la portata cardiaca abbia raggiunto un valore massimale. È
possibile aumentare la portata cardiaca fino ad un valore critico della pressione di riempimento del ventricolo sinistro (più precisamente
della pressione capillare polmonare) di 18 mmHg, dopo di che essa
si abbassa nuovamente e si ha il rischio di un edema polmonare.
3. Diminuzione del postcarico: normalizzazione della pressione (ad es.
con nitroglicerina e ACE-inibitori).
4. Sostanze inotrope positive:
— agonisti dei β-recettori:
nella primissima fase dell’insufficienza cardiaca l’aumentata attività del simpatico rappresenta un importante meccanismo di compenso. Con l’aumento della gravità dell’insufficienza cardiaca l’aumentato tasso di catecolamine porta però ad una diminuzione progressiva della densità dei β-recettori miocardici (down-regulation).
L’aggiuntiva somministrazione di catecolamine esogene comporta
pertanto un miglioramento solo transitorio dell’emodinamica.
• dopamina: a basse dosi (1-3 µg/kg/min) dà prevalentemente
una stimolazione dei β-recettori con effetto vasodilatatore, a
dosi più elevate (> 5 µg/kg/min) dà inoltre stimolazione degli
α-recettori con effetto vasocostrittore.
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Dosi della dopamina: 1-10 µg/kg/min e.v.; tendere alla dose
minima efficace a stabilizzare i valori pressori.
Effetti collaterali: tachicardia, azione proaritmica, aumento del
fabbisogno miocardico di O2, ecc.
• dobutamina: rispetto alla dopamina non è vasocostrittrice e ha
bassa azione cronotropa positiva. In caso di calo pressorio critico (PA sistolica < 90 mmHg oppure PA media < 65 mmHg)
è necessario comunque somministrare la dopamina (oppure dopamina e dobutamina).
Dose della dobutamina: 5-10 µg/kg/min e.v.
Nota: grazie all’azione vasopressoria è possibile aumentare la
pressione nello shock cardiogeno, ma contemporaneamente aumenta anche il postcarico dunque non aumentare la pressione
sistolica oltre 100 mmHg. L’acidosi metabolica diminuisce l’effetto dei simpaticomimetici e andrà pertanto corretta.
— inibitori della fosfodiesterasi: nella down-regulation della densità
dei β-recettori, l’amrinone e il milrinone mantengono ancora la
loro efficacia, ma non sembrano in grado di ridurre la mortalità
da shock cardiogeno.
Nota: la digitale è controindicata nell’infarto recente (maggiore pericolo di disturbi del ritmo).
5. Sistemi meccanici di supporto circolatorio:
— Stimolazione intraaortica mediante palloncino
Se la terapia conservativa ha esito negativo si può tentare nello
shock cardiogeno di guadagnare tempo con l’impiego di una pompa a palloncino intraaortica fino a poter eseguire il necessario intervento chirurgico (ad esempio in presenza di perforazione del setto ventricolare ed altre complicanze correggibili chirurgicamente).
Principio: pompa a palloncino intraaortica, sincronizzata all’ECG,
che viene gonfiata durante la diastole, collabisce durante la sistole, pertanto si ha una migliore perfusione coronarica durante la
diastole.
— Circolazione extracorporea con ossigenazione tramite membrana,
nei centri cardiologici.
Sinossi terapeutica
Infarto miocardico acuto
evtl. PTCA d’urgenza
(nei centri specializzati)
Eparina + ASA (pre-ricovero)
Trombolisi e.v. (pre-ricovero/ricovero)
Dopo 10-14 giorni di
decorso non complicato
Terapia conservativa
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Coronarografia
PTCA
D’urgenza in caso
di decorso complicato
Intervento di by-pass
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Nota: il 20% di tutti i pazienti infartuati sottoposti con successo a terapia trombolitica,
se non sottoposto a indagini/terapie invasive, va incontro a un nuovo infarto entro alcune settimane dal primo episodio.
Riabilitazione dopo infarto miocardico, in 3 fasi
1. Reparto per acuti
— terapia intensiva con monitoraggio continuo
— mobilizzazione precoce.
In caso di decorso non complicato permanenza in ospedale per circa 10-14 giorni.
2. Fase in reparto di riabilitazione o in un centro di terapia ambulatoriale:
terapia motoria, superamento delle paure, educazione sanitaria, preparazione al reinserimento lavorativo, test da sforzo.
3. Reinserimento nella vita quotidiana e lavorativa, partecipazione ad attività sportive
di gruppo per coronaropatici.
Prevenzione secondaria = evitare la progressione della cardiopatia ischemica (prevenzione primaria = evitare l’insorgenza della cardiopatia ischemica): eliminazione dei fattori di rischio: divieto di fumare, controllo ottimale del diabete, dell’ipertensione e dell’ipercolesterolemia (ridurre il colesterolo LDL a valori < 100 mg/dl), normalizzazione
del peso corporeo, cibi poveri in grassi e ricchi in scorie + apporto di acidi grassi ω3insaturi (ad es. pesce dei mari freddi e olio di pesce), dieta mediterranea (il consumo
regolare di frutta, insalata, verdure, olio d’oliva, pesce, vino in modica quantità diminuisce la mortalità coronarica del 50%, sec. lo studio Lyon), cauto training fisico (attività sportiva di gruppo per coronaropatici), rimozione delle cause di stress e di collera,
divieto di sforzi fisici intensi e acuti.
Farmaci che possono migliorare la prognosi dei pazienti infartuati
• betabloccanti senza attività intrinseca (ISA): riducono la frequenza di morte improvvisa aritmica dopo infarto cardiaco e fanno parte quindi, in mancanza di controindicazioni, della terapia standard
• antiaggreganti piastrinici, ad es. acido acetilsalicilico (ASA), dosaggio 100 mg/die;
in caso di intolleranza all’ASA: ad es. clopidogrel 75 mg/die; per effetti collaterali +
controindicazioni: vedi cap. Prevenzione della trombosi
• riduzione farmacologica della ipercolesterolemia (inibitori della HMG-CoA reduttasi)
Nota: lo studio GRIPS ha dimostrato che nell’ipercolesterolemia persistente il rischio
di infarto è assai elevato:
— per valori di colesterolo LDL > 160 mg/dl: tasso di reinfarto 50% in 5 anni
— per valori di colesterolo LDL > 190 mg/dl: tasso di reinfarto quasi 100% in 5 anni.
I tassi di sopravvivenza sono peggiori nei diabetici rispetto ai non diabetici.
Numerosi studi (ad es. studio «4S», CARE, LIPID, LCAS) hanno dimostrato la grande importanza di una terapia aggressiva per ridurre il colesterolo nei pazienti post-infartuati. Si è infatti ridotta del 30% la frequenza dell’infarto e la mortalità globale. Il
colesterolo LDL dovrebbe essere diminuito a valori < 100 mg/dl.
• ACE-inibitori. Dopo un infarto si manifestano processi strutturali di ricostruzione e di
adattamento cardiaco («remodeling») che, nei casi sfavorevoli, portano ad una espansione della zona cicatriziale infartuale, all’ipertrofia e dilatazione del ventricolo sinistro, con peggioramento della prognosi. Gli ACE-inibitori possono frenare questo
processo negativo e ridurre la mortalità globale nei pazienti con frazione d’eiezione
diminuita (studi SAVE, AIRE, ELITE, ecc.)
• tra gli antagonisti recettoriali dell’angiotensina II (sartani) il solo losartan è attualmente utilizzato per il trattamento dell’insufficienza cardiaca.
Nota: sull’impiego della vitamina E esistono dati contrastanti.
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Prognosi
Circa il 30% di tutti i pazienti infartuati muore entro le prime 24 ore e giunge cadavere in ospedale (causa di morte più frequente: fibrillazione ventricolare). Un ulteriore 1020% muore in ospedale (= mortalità intraospedaliera). Nelle prime 4 settimane muore il
40-50% di tutti i pazienti: risultati del progetto MONICA (Monitoring Trends and Determinants in Cardiovascular Disease). Il rischio di aritmie mortali è più elevato immediatamente dopo la comparsa dell’infarto. La probabilità di sopravvivenza dipende pertanto dall’intervallo di tempo che intercorre sino alla disponibilità di una terapia efficace (da tutte le statistiche sull’infarto emerge un aumento di frequenza della mortalità di
pazienti infartuati in caso di tempi lunghi di trasporto prima dell’arrivo in ospedale).
Entro 2 anni dalla dimissione muore per morte cardiaca improvvisa un altro 5-10% di
tutti i pazienti infartuati.
Un trattamento acuto ottimale tempestivo (misure di riperfusione, defibrillazione tempestiva in caso di fibrillazione ventricolare, ecc.) e un trattamento a lungo termine efficace (betabloccanti, ASA, somministrazione di ACE-inibitori o di bloccanti recettoriali
dell’angiotensina II in caso di disfunzione ventricolare sinistra), possono ridurre la mortalità in modo considerevole.
I seguenti parametri peggiorano la prognosi dopo l’infarto:
• riduzione della funzione ventricolare sinistra: estensione dell’area miocardica acinetica/discinetica. Una frazione d’eiezione < 30% ha significato prognostico sfavorevole
• segni di ischemia (angina pectoris o segni di ischemia all’ECG da sforzo, in particolare alla scintigrafia miocardica perfusoria)
• disturbi gravi del ritmo ventricolare, documentazione di potenziali tardivi all’ECG ad
alta definizione, diminuita variabilità della frequenza cardiaca e ridotta sensibilità baroreflessogena sono fattori di rischio per la morte cardiaca improvvisa, in particolare
in presenza di frazione d’eiezione diminuita
• numero dei vasi colpiti: il tasso annuo di mortalità aumenta progressivamente dalla
malattia a 1 vaso alla malattia a 3 vasi ed è assai elevato nella stenosi del tronco comune non trattata
• permanenza dei fattori di rischio = progressione della sclerosi coronarica.
TUMORI CARDIACI PRIMITIVI
Epidemiologia
La frequenza di tumori cardiaci in varie serie autoptiche giunge allo 0,3%. La loro frequenza alle indagini ecocardiografiche è intorno all’1%. F:M = 3:1; picco di frequenza
tra i 40 e 60 anni d’età.
Eziologia
— famigliare: nel 50% dei casi si tratta della cosiddetta «myxoma syndrome»: mixoma cardiaco, nevi pigmentati, mixomi sottocutanei
— ignota.
Localizzazioni
Atrio sinistro: 85% (di regola a livello del setto, in prossimità della fossa ovale).
Altre sedi: 15%.
Istologia
Tumori benigni nel 90% dei casi: generalmente mixomi (70%), più raramente fibromi,
lipomi; rabdomiomi nel 20% (in particolare nei bambini).
Tumori maligni nel 10%: sarcomi, istiocitomi, ecc.
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Clinica
Palpitazioni, evtl. aritmie cardiache parossistiche, dispnea rapidamente ingravescente,
evtl. dolori toracici legati alla postura. Ulteriori sintomi possibili: vertigine, sincope,
nausea, febbre, calo ponderale.
Auscultazione: soffio cardiaco non caratteristico.
Laboratorio
— aumento della VES in quasi tutti i casi
— più raramente: leucocitosi, calo dell’emoglobina, modificazioni a carico del numero
delle piastrine.
Complicanze
Sintomi d’esordio più frequenti:
— disturbi del ritmo cardiaco (> 50%)
— eventi tromboembolici (25%): embolia cerebrale, embolie arteriose
— edema polmonare acuto da scompenso cardiaco sinistro
— morte cardiaca improvvisa
— disseminazione metastatica in caso di tumori cardiaci maligni.
Diagnosi differenziale
— vizi cardiaci
— dolori toracici di altra natura
— accidenti cerebro-vascolari da altra causa
— trombo intracardiaco
— tumori cardiaci secondari (metastasi, linfomi maligni).
Diagnosi
Ecocardiografia transesofagea, TC, RMN, evtl. cateterismo cardiaco.
Terapia
— risparmio fisico, trattamento anticoagulante
— per l’elevata frequenza di complicanze ed essendo la prognosi molto favorevole nella maggior parte dei tumori cardiaci benigni, l’intervento dovrebbe essere eseguito
il più rapidamente possibile dopo la diagnosi: exeresi in toto, evtl. impianto di «patch» a livello settale
— nei tumori cardiaci maligni è generalmente possibile solo un trattamento palliativo.
Prognosi
È favorevole nei tumori cardiaci benigni: frequenza di recidiva 0,3%, più elevata nella
«myxoma syndrome». È infausta nelle forme maligne: tempo medio di sopravvivenza:
9 mesi.
DISTURBI DEL RITMO CARDIACO
Sono frequenti. Spesso rappresentano il sintomo di un’affezione cardiaca o extracardiaca
sottostante, ma possono comparire anche in soggetti sani. L’ECG è in grado, il più delle
volte, di chiarire il disturbo permettendo quindi l’impostazione di una terapia sintomatica.
Non bisogna dimenticare però che l’individuazione delle cause è il presupposto per un efficace trattamento eziologico e per la prognosi.
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Eziologia
1. Cause di origine miocardica
— malattia coronarica ed infarto miocardico
— miocardite e cardiomiopatie.
2. Cause emodinamiche
— sovraccarico di volume del cuore: vizi con insufficienza o shunt
— sovraccarico di pressione del cuore, ipertensione arteriosa o polmonare, vizi con
stenosi valvolare, cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva.
3. Cause extracardiache, ad es.
— fattori neurovegetativi
— disturbi elettrolitici (specialmente ipopotassiemia)
— ipertiroidismo
— ipossia
— farmaci: ad es. glicosidi cardiaci, antiaritmici, antidepressivi triciclici, ecc.
— alcool e caffè in eccesso, droghe e tossine
— seno carotideo iperreattivo
— meteorismo con sovraelevazione del diaframma (sindrome di Roemheld).
Clinica
1. Disturbi soggettivi
Molti pazienti non si accorgono affatto di disturbi del ritmo lievi od occasionali
mentre altri pazienti accusano:
— palpitazioni e sensazione di «cuore in gola» in presenza di tachicardia/tachiaritmia
— aritmia cardiaca, sensazione di cuore che si ferma, come ad es. in caso di extrasistolia.
2. Sintomi oggettivi con diminuzione della portata
Mentre le persone sane sopportano tranquillamente oscillazioni della frequenza cardiaca tra 40/min e 160/min (ed oltre), nei pazienti affetti ad insufficienza cardiaca o
arteriosclerosi delle arterie coronariche e cerebrali possono insorgere precocemente
dei disturbi clinici:
— a livello generale: shock cardiogeno, arresto circolatorio
— a livello cerebrale: vertigini, stordimento, sincopi, stati confusionali, attacchi
epilettici, disturbi visivi e della parola fugaci, infarto cerebrale
— a livello cardiaco: aggravamento di una preesistente insufficienza cardiaca, angina pectoris, infarto cardiaco.
3. Embolie arteriose (quando si staccano trombi cardiaci).
Diagnosi
1. anamnesi ed esame clinico (valutare il polso e la frequenza cardiaca almeno per un
minuto determinazione di un eventuale deficit del polso)
2. ECG a riposo con striscia lunga
3. ECG Holter (rilevamento di disturbi del ritmo intermittenti, loro quantificazione)
4. ergometria con la ciclette (rilevamento di disturbi del ritmo da sforzo, esame del
comportamento della frequenza sotto sforzo: aumento di frequenza inadeguato nella
malattia del nodo del seno)
5. ECG ad alta definizione per l’identificazione dei potenziali ventricolari tardivi
6. test farmacologici (per es. con atropina in caso di sospetta sick-sinus syndrome =
sindrome del seno malato)
7. diagnostica invasiva:
— stimolazione atriale:
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a) stimolazione atriale rapida:
• conduzione AV
• tempo di recupero del nodo del seno (più lungo nella sick-sinus syndrome)
b) stimolazione isolata atriale precoce:
• tempo di conduzione seno-atriale
• determinazione del periodo refrattario
• diagnostica di tachicardie sopraventricolari
— ECG del fascio di His (quasi sempre associato alla stimolazione atriale): diagnostica di disturbi di conduzione atrio-ventricolari, intraventricolari nonché delle vie
di conduzione paranodali
— stimolazione ventricolare programmata
localizzazione dell’origine («mapping») di tachiaritmie ventricolari, verifica d’efficacia di antiaritmici idonei al trattamento di tachiaritmie ventricolari.
Terapia antiaritmica
1. trattamento causale
2. trattamento sintomatico:
a) provvedimenti generali (sedazione, evtl. stimolazione vagale, evtl. riposo a letto
con somministrazione di O2, ecc.)
b) trattamento con antiaritmici:
• antiaritmici - terapia elettrica - ablazione con catetere
• cardiochirurgia antiaritmica.
Alcune regole:
Oggettivare tramite registrazione ECG Holter le alterazioni del ritmo sospette.
Nelle persone sane di cuore i disturbi del ritmo non hanno di regola significato patologico e non vengono trattati. Anche i soli disturbi soggettivi ma senza alterazioni dell’emodinamica non rappresentano un’indicazione al trattamento (informare i pazienti
del carattere benigno dei loro disturbi). Non praticare nessuna «terapia cosmetica» dell’ECG!
Indicazioni al trattamento:
1. Segni obiettivabili da alterazione emodinamica (tachicardie critiche e bradicardie
con riduzione della gittata)
2. Aumentato rischio di morte cardiaca improvvisa in caso di:
— disturbi del ritmo cardiaco maligni: ad es. stato post-rianimatorio in caso di fibrillazione ventricolare, tachicardia ventricolare protratta
— disturbi del ritmo cardiaco potenzialmente maligni: disturbi del ritmo cardiaco
ventricolari complessi nei pazienti con gravi malattie miocardiche di base e riduzione della funzione di pompa del ventricolo sinistro.
• Nei disturbi del ritmo cardiaco, il provvedimento più importante è il trattamento causale della malattia di base, ad es. cardiopatia ischemica, miocardite, insufficienza cardiaca.
• Se i disturbi del ritmo sono conseguenti ad un disturbo extracardiaco, è necessario
primariamente risolvere quest’ultimo (ad es. turbe elettrolitiche, ipertiroidismo, intossicazione da digitale).
• Valutare gli effetti collaterali degli antiaritmici nel loro uso! Lo studio CAST (Cardiac Arrhythmia Suppression Trial) ha dimostrato che gli antiaritmici di classe IC (ad
es. flecainide) peggiorano la prognosi dei pazienti nel post-infarto, in quanto gli antiaritmici stessi provocano disturbi del ritmo cardiaco = effetti proaritmici. Anche altri antiaritmici di classe I possono determinare effetti proaritmici: nei pazienti con insufficienza cardiaca il rischio degli effetti proaritmici aumenta del 5-20%! Anche il
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•
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sotalolo (un antiaritmico di classe III) può portare nei pazienti post-infartuati a morte per aritmia (studio SWORD).
Poiché non è stata ancora documentata l’efficacia della terapia con antiaritmici sul
tasso di mortalità (ad eccezione dei betabloccanti nei pazienti dopo infarto miocardico) e poiché gli studi CAST e SWORD hanno dimostrato addirittura un peggioramento della prognosi nei pazienti post-infartuati, non esiste nessuna indicazione di
massima, dal punto di vista prognostico, per una terapia a lungo termine con antiaritmici di classe I e con sotalolo. Nel caso di rischio aumentato di fibrillazione ventricolare si devono attuare alternative terapeutiche non farmacologiche (cardiovertitore/defibrillatore impiantabile, ablazione con catetere, chirurgia antiaritmica).
Fare attenzione agli effetti collaterali degli antiaritmici! I pazienti più anziani sono
particolarmente sensibili agli effetti collaterali. Nella insufficienza cardiaca conclamata, considerare l’effetto inotropo negativo degli antiaritmici! La «sick-sinus syndrome» e il blocco AV > I grado rappresentano solitamente una controindicazione al
trattamento antiaritmico, a meno che non si proceda all’applicazione di pace-maker a
scopo preventivo. Gli antiaritmici devono essere sospesi quando, durante il trattamento, si documenti un aumento dei disturbi del ritmo o un aumento dell’intervallo
QT (> 120%) o del QRS (> 125%).
Aggiustamento della terapia antiaritmica possibilmente con ricovero, sotto sorveglianza con monitor. Potassio, magnesio e l’intervallo QTC (= tempo Q-T corretto per
la frequenza) devono essere normali! L’ipopotassiemia, l’ipomagnesiemia così come
l’intervallo QTC allungato sono controindicazioni (elevato rischio di aritmie sino alla
fibrillazione ventricolare).
Di regola somministrare un solo antiaritmico; nell’associazione di due antiaritmici si
può giungere a una sommazione pericolosa dei loro effetti. Se nel singolo caso si decide di associare due antiaritmici, utilizzare solo le associazioni raccomandate.
Somministrazione parenterale degli antiaritmici molto lenta (5-10 minuti) sotto monitoraggio ECG.
ANTIARITMICI
Le seguenti 3 classi di sostanze possono essere classificate in senso lato come farmaci efficaci nelle aritmie:
Digitale
Indicazioni
Tachiaritmia in caso di flutter o fibrillazione atriale, insufficienza cardiaca (quale possibile causa di disturbo del ritmo) (per i dettagli vedi cap. Insufficienza cardiaca).
Nota: un disturbo del ritmo può essere provocato quale conseguenza di sovradosaggio
digitalico o intolleranza alla digitale; d’altro canto i disturbi del ritmo causati da insufficienza cardiaca non trattata possono essere eliminati mediante terapia con digitale!
Parasimpaticolitici (vagolitici)
Atropina, ipratropio bromuro
Indicazioni: trattamento temporaneo di una bradicardia pericolosa.
Effetti collaterali: secchezza delle fauci, disturbi dell’accomodazione, aumento della pressione endooculare, ritenzione delle feci e delle urine, stato confusionale.
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Controindicazioni: glaucoma ad angolo chiuso, disturbi di svuotamento della vescica (ad
es. nell’adenoma prostatico) ecc.
Dosaggio: 0,5 mg e.v., ripetere eventualmente dopo 10 minuti.
Simpaticomimetici
Indicazioni: trattamento temporaneo di una bradicardia pericolosa, se i vagolitici sono controindicati o inefficaci. In questi casi l’uso di orciprenalina è solo una misura temporanea fino all’impianto di un pace-maker.
Effetti collaterali: extrasistoli ventricolari con pericolo di tachicardia ventricolare e fibrillazione ventricolare.
Controindicazioni: ipertiroidismo, cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva, infarto cardiaco recente.
Dosaggio: ad esempio orciprenalina 1/2-1 fiala da 0,5 mg lentamente e.v. in almeno 5 minuti.
Antiaritmici in senso stretto
Classificazione degli antiaritmici secondo Vaughan Williams
Classe dei farmaci
I
Na-antagonisti
A chinidina, ajmalina,
disopiramide
B lidocaina, fenitoina
C propafenone
II Betabloccanti
III K-antagonisti
amiodarone, sotalolo
IV Ca-antagonisti
Meccanismo d’azione
Inibizione dell’afflusso veloce di Na+
stabilizzazione della membrana
1A: durata del potenziale d’azione
aumentata
1B: durata del potenziale d’azione
diminuita
1C: durata del potenziale d’azione
invariata
Simpaticolisi
Inibizione dell’afflusso di K+
Inibizione del lento afflusso di Ca++
Indicazione principale
Aritmie ventricolari acute;
sostanze del gruppo IA
e IC anche nella
fibrillazione atriale
tachicardie sopraventricolari,
post-infarto
aritmie ventricolari,
fibrillazione atriale
tachiaritmie sopraventricolari
Nota: in base al comportamento di legame degli antiaritmici della classe I ai canali del
sodio si distinguono:
• «fast drugs» che sono in grado di staccarsi rapidamente dai canali del sodio (lidocaina, mexiletina, tocainide) e
• «slow drugs» che si staccano lentamente dai canali del sodio (tutti gli altri antiaritmici della classe I).
Classe I: antiaritmici bloccanti i canali del sodio
Lo studio CAST (Cardiac Arrhythmia Suppression Trial) ha dimostrato che gli antiaritmici
di classe IC (ad es. flecainide) peggiorano la prognosi dei pazienti infartuati, per una loro
azione proaritmica. Anche gli altri antiaritmici di classe I possono avere effetti proaritmici,
in particolare nei pazienti con insufficienza cardiaca. È pertanto necessaria un’attenta valutazione del rischio/beneficio. Dal punto di vista prognostico non vi è indicazione per un
trattamento a lungo termine. Gli antiaritmici di classe I sono controindicati in caso di in-
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sufficienza cardiaca (FE < 35%) e di infarto (eccezione: lidocaina nell’infarto miocardico
acuto).
Classe I A - Antiaritmici chinidinici
• Chinidina
Quota di assorbimento ca. l’80%. Emivita ca. 6-7 h (nella cirrosi epatica fino a 50 h!).
Via di eliminazione: soprattutto epatica.
Indicazioni: trattamento della fibrillazione atriale nei pazienti senza malattie cardiache organiche.
Controindicazioni: allergia ai chinidinici, sick-sinus syndrome, blocco AV > I grado,
infarto cardiaco, insufficienza cardiaca, allungamento del QT(U) (pericolo di fibrillazione ventricolare sotto terapia chinidinica), intossicazione da digitale.
Effetti collaterali: a livello gastrointestinale: nausea, vomito, diarrea, danni epatici;
reazioni cutanee allergiche con febbre, trombocitopenia, agranulocitosi, anemia emolitica; si consiglia una dose test iniziale per la valutazione delle eventuali reazioni allergiche; a livello cardiaco: insufficienza cardiaca, blocco AV, blocco di branca, tachiaritmia ventricolare fino a fibrillazione ventricolare (specialmente in caso di allungamento del QT(U)!); effetti collaterali cardiotossici si evidenziano con allargamento
del QRS e allungamento del QT. Se la durata del QT è superiore al 120% bisogna
sospendere l’antiaritmico; a livello SNC: diplopia, acufeni, cefalea.
Interazioni: la chinidina diminuisce la clearance renale della digossina dimezzare
la dose di digossina ed evtl. controllare la digossinemia.
• Ajmalina e bitartrato di prajmalio
Buona quota di assorbimento per prajmalio (80%), bassa per ajmalina (pertanto solo
uso parenterale).
Emivita: ajmalina 12 minuti, prajmalio 5 h; eliminazione prevalentemente a livello
epatico.
Indicazioni: farmaco di scelta per la terapia e prevenzione delle tachicardie parossistiche nella sindrome da pre-eccitazione (sindrome WPW); farmaco di scelta nella terapia delle tachiaritmie ventricolari.
Controindicazioni: simile alla chinidina; non associare ad altri antiaritmici.
Effetti collaterali: cefalea, disturbi alla vista, effetti collaterali gastrointestinali, colestasi intraepatica (sospendere il farmaco!), a livello cardiaco simile alla chinidina.
Dosaggio: ajmalina: 25-50 mg in 5 min. e.v. (monitoraggio dell’ECG); prajmalio:
dose di mantenimento 10 mg × 2-4/die per os.
Classe I B - Antiaritmici lidocainici
• Lidocaina
A causa del rapido catabolismo già nel primo passaggio epatico la lidocaina è utilizzabile solo per via parenterale.
Indicazioni: tachicardia ventricolare nell’infarto recente; tasso di successo basso (~
15%) rispetto all’ajmalina (> 60%).
Controindicazioni: scompenso cardiaco, sick-sinus syndrome e blocco AV > I grado,
allergia alla lidocaina.
Effetti collaterali: vertigini, sonnolenza, convulsioni, abbassamento della pressione,
effetto inotropo negativo.
Dosaggio: inizialmente 50-100 mg e.v., poi 100 mg/h. Ridurre la dose in presenza di
insufficienza renale o epatica.
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• Difenilidantoina
Quota di assorbimento: 100%; emivita 16-24 h (ed oltre pericolo di accumulo!).
Eliminazione: prevalentemente a livello renale (dopo coniugazione nel fegato).
Indicazioni: aritmie dovute alla digitale.
Controindicazioni: come la lidocaina, inoltre in gravidanza.
Effetti collaterali: azione proaritmica, iperplasia gengivale, reazioni cutanee, ipertricosi, irsutismo, disturbi dell’ematopoiesi; a livello SNC: cefalea, vertigini, disturbi
del sonno, atassia, tremore, nistagmo.
Dosaggio: inizialmente 125 mg e.v., con buona tollerabilità, dopo mezz’ora eventualmente ripetere la dose, iniettare lentamente in 5 minuti monitorando l’ECG.
Classe I C
• Propafenone
Quota di assorbimento: 50%; emivita 3,6 h.
Eliminazione: prevalentemente a livello epatico pericolo di accumulo in caso di
insufficienza epatica.
Indicazioni: trattamento della fibrillazione atriale nei pazienti senza malattie cardiache organiche.
Controindicazioni: insufficienza cardiaca, sindrome del nodo del seno, blocco AV >
I grado, blocco bifascicolare, disturbo ventilatori ostruttivi, allergia al propafenone,
gravidanza.
Effetti collaterali: azione proaritmica, come per tutti gli antiaritmici di classe I. In caso di allargamento del complesso QRS sospensione del farmaco; a livello gastrointestinale: nausea, vomito; raramente colestasi intraepatica; a livello SNC: cefalea, vertigini, disturbi alla vista, disturbi gustativi, parestesie, diminuzione della capacità di
reazione; raramente reazioni allergiche cutanee, disturbi della potenza sessuale, aumento dei disturbi ventilatori ostruttivi a causa della proprietà betabloccante.
Interazioni: aumento dell’effetto con anestetici locali.
Dosaggio: 150 mg × 2-3/die per via orale.
Classe II - Antiaritmici betabloccanti
Meccanismo d’azione: i betabloccanti spiazzano le catecolamine dai loro recettori, diminuendo così la stimolazione simpaticoadrenergica del cuore: effetti:
— inotropo negativo = diminuzione della contrattilità cardiaca
— batmotropo negativo = diminuzione dell’eccitabilità cardiaca
— cronotropo negativo = rallentamento della frequenza cardiaca
— dromotropo negativo = rallentamento della velocità di conduzione.
Diminuiscono il consumo di O2 del cuore e la pressione (effetto inotropo e cronotropo
negativo).
I betabloccanti cardioselettivi hanno una preferenza relativa per i recettori cardiaci β1.
Alcuni betabloccanti hanno una attività intrinseca simpaticomimetica (ISA). I betabloccanti con azione anche sui recettori α1 hanno un effetto vasodilatatore e non riducono
la portata cardiaca.
Indicazioni
1. extrasistoli e tachicardie sopraventricolari, tachicardia sinusale nell’ipertiroidismo,
sindrome cardiaca ipercinetica
2. nei pazienti post-infartuati i betabloccanti senza ISA possono diminuire il rischio di
morte cardiaca improvvisa
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3. ipertensione arteriosa
4. angina pectoris.
Controindicazioni: insufficienza cardiaca scompensata, forte ipotensione, forte bradicardia,
malattia del nodo del seno, blocco AV > I grado, asma bronchiale, claudicatio intermittens in caso di arteriopatia obliterante.
Effetti collaterali: bradicardia, peggioramento di una preesistente insufficienza cardiaca,
broncospasmo, spossatezza, nausea, stanchezza, disturbi del sonno (incubi); ridotta sensibilità all’insulina, peggioramento dell’ipoglicemia nel diabete mellito e mascheramento dei sintomi da ipoglicemia, da riduzione della controregolazione adrenergica; peggioramento dei disturbi circolatori periferici, raramente attivazione della psoriasi.
Interazioni: prudenza nell’associazione con altri antiaritmici: accentuazione dell’effetto inibitorio sull’attività del nodo del seno e sulla conduzione dello stimolo. Non associare
quindi i betabloccanti con calcioantagonisti del tipo verapamil (pericolo di blocco AV);
non sospendere la terapia bruscamente, per il pericolo di effetto rebound sul simpatico;
cautela nel dosaggio e controllo delle controindicazioni soprattutto nelle persone anziane.
Dosaggio: sono stati commercializzati più di 20 betabloccanti, pertanto citiamo qui di seguito solo qualche esempio.
Nome generico
Nome commerciale
(esempi)
1ª generazione: betabloccanti non cardioselettivi
1.1. senza ISA:
nadololo
Corgard
metipranololo
(*)
propranololo
Inderal
1.2. con ISA:
carteololo
(*)
mepindololo
(*)
oxprenololo
(*)
penbutololo
(*)
pindololo
Visken
2ª generazione: betabloccanti β1-selettivi
2.1. senza ISA:
atenololo
Tenormin
betaxololo
Kerlon
bisoprololo
Concor
metoprololo
Lopresor
2.2. con ISA:
acebutololo
Prent
celiprololo
Cardiax
3ª generazione: betabloccanti con
3.1. senza ISA:
carvedilolo (α- e β-bloccante)
nebivololo (β1-selettivo)
3.2. con ISA:
celiprololo (β1-selettivo)
60-240 × 1
20 × 2-3
40-80 × 2-3
5-20 × 1
2,5-5 × 2
40-80 × 2-3
20-80 × 1
5 × 1-3
50-100 × 1
10-20 × 1
5-10 × 1
50-100 × 2
400-800 × 1
200 × 1-2
azione vasodilatatrice
Dilatrend
Lobivon
12,5-25 × 1
5 × 1
Cordiax
200 × 1
(*) = farmaco non in commercio in Italia
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Dose media
giornaliera (mg)
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Classe III - Antiaritmici bloccanti i canali del potassio
• Amiodarone
Quota di assorbimento: 50%; emivita da 50 sino a 100 giorni pericolo di accumulo!
Indicazioni: trattamento della fibrillazione atriale nei pazienti con insufficienza cardiaca. Nei pazienti a rischio di fibrillazione ventricolare (morte cardiaca improvvisa)
il trattamento con amiodarone non fornisce garanzie sulla riduzione della mortalità
globale (studi AMIAT e CAMIAT).
Effetti collaterali: depositi corneali con calo del visus, fotosensibilità, epatite, fibrosi
polmonare, neuropatia periferica, azione proaritmica, allergia allo iodio, ecc. Per il
suo contenuto di iodio, l’amiodarone è controindicato nell’adenoma tiroideo e nell’ipertiroidismo (scatenamento o accentuazione dell’ipertiroidismo). Fare attenzione ad
altre controindicazioni. Circa il 25% dei pazienti interrompe la terapia a causa degli
effetti collaterali. Prima di somministrare l’amiodarone controllare la funzionalità tiroidea.
Dosaggio: vedi indicazioni della casa farmaceutica produttrice.
• Sotalolo
Betabloccante con proprietà antiaritmiche.
Indicazioni: trattamento della fibrillazione atriale nei pazienti senza malattie cardiache organiche.
Effetti collaterali e controindicazioni: vedi Betabloccanti; è necessario fare attenzione agli effetti collaterali proaritmici (ad es. torsione di punta, fibrillazione ventricolare); fare attenzione all’allungamento del QT (= controindicazione).
Nota: il sotalolo può provocare, nei pazienti post-infartuati, morte da causa aritmica
(studio SWORD). Da un punto di vista prognostico non vi è pertanto indicazione ad
un trattamento a lungo termine con sotalolo (lo stesso vale per gli antiaritmici di
classe I).
• Dofetilide: in fase di studio clinico.
Indicazioni: ad es. trattamento della fibrillazione atriale.
Classe IV - Antiaritmici calcioantagonisti
Se ne distinguono due tipi
1. calcioantagonisti di tipo fenilalchilaminico: verapamil, gallopamil
2. calcioantagonisti di tipo benzotiazepinico: dialtiazem.
Indicazioni: aritmie sopraventricolari: specialmente nella fibrillazione/flutter atriale (non
però nella sindrome da preeccitazione, come ad es. sindrome WPW: rischio di tachicardia ventricolare).
Controindicazioni: insufficienza cardiaca scompensata (III e IV stadio NYHA), malattia del
nodo del seno, blocco AV > I grado, forte ipotensione, sindrome da preeccitazione.
Effetti collaterali: a livello cardiaco: ritardi di conduzione, bradicardia, riduzione della PA,
effetto inotropo negativo; a livello gastrointestinale: stitichezza, nausea; a livello SNC:
vertigini, cefalea; inoltre: esantemi allergici, aumento degli enzimi epatici, flush, edema
malleolare.
Interazioni: non associare ai betabloccanti pericolo di blocco della conduzione di alto
grado. I calcioantagonisti del tipo verapamil possono aumentare la concentrazione plasmatica di altri farmaci, ad es. digossina, ciclosporina A, teofillina, carbamazepina: ridurre il dosaggio di questi farmaci ed evtl. dosarli nel plasma.
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Biodisponibilità del verapamil < 20% (dovuto all’effetto di primo passaggio nel fegato).
Sostanza
Nome commerciale (esempi)
diltiazem
gallopamil
verapamil
Dilzene
Procorum
Isoptin
dose giornaliera media (mg)
60-901 × 3
25-501 × 3
80-120 × 3
Somministrazione parenterale di verapamil: 5 mg lentamente (nell’arco di 5 minuti) e.v.
con monitoraggio dell’ECG, ripetere la dose eventualmente dopo 30 minuti.
Altri antiaritmici
Adenosina
Indicazioni: tachicardia parossistica sopraventricolare.
Meccanismo d’azione: blocco di breve durata della conduzione AV nel nodo AV.
Effetti collaterali: flush, dispnea, senso di oppressione toracica, broncospasmo.
Controindicazioni: asma bronchiale, blocco AV > I grado, sick-sinus syndrome, allungamento del QT, fibrillazione atriale in caso di via accessoria, pregresso trattamento
con verapamil.
Dosaggio: per la sua breve emivita (secondi), 3-5 mg velocemente in bolo e.v.; in caso di insuccesso, raddoppiare la dose (6-12 mg) dopo 3 minuti (antidoto: teofillina).
Elettroterapia dei disturbi del ritmo cardiaco
I. Terapia con pace-maker
A. Pace-maker antibradicardici
Classificazione dei pace-maker:
1ª lettera: punto di stimolazione (A = atrio, V = ventricolo, D = doppio = A + V)
2ª lettera: punto di percezione (come sopra)
3ª lettera: tipo di funzionamento (I = inibizione, T = eccitazione (triggering), D =
doppio = I + T)
4ª lettera: programmabilità: P = 1-2 funzioni, M = multiprogrammabile, R = che
adatta la frequenza
5ª lettera: funzioni antitachicardiche: O = nessuna, P = stimolazione antiaritmica,
S = schock elettrico (= defibrillazione), D = doppio = P + S.
Tipo di funzionamento
Pace-maker a richiesta (demand pace-maker)
Entra in azione quando la frequenza minima è al di sotto di un determinato livello.
Si utilizzano due tipi:
I = inibizione: l’emissione di impulsi viene inibita dalla stimolazione spontanea del
cuore (tipo di funzionamento più frequente).
T = eccitazione (triggering): l’emissione di impulsi, con la stimolazione spontanea
del cuore, cade nella fase refrattaria dell’onda R.
Programmabilità:
Importante è tra l’altro la possibilità di programmare la frequenza dello stimolo e
l’energia dell’impulso (ampiezza e durata dell’impulso dello stimolo). Dopo la determinazione della soglia di stimolo (che aumenta inizialmente dopo l’impianto della sonda) è possibile scegliere una regolazione a risparmio di energia. In caso di disturbi della percezione la sensibilità di amplificazione può essere aumentata.
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Isteresi = ritardo programmato nell’innesco dell’impulso generato dal pace-maker
così da evitare l’interferenza con l’attività elettrica cardiaca spontanea (ad es. isteresi da 60 a 70 significa che il pace-maker tarato su una frequenza di 70/min si inserisce quando il ritmo sinusale scende sotto i 60/min, e che il ritmo sinusale inibisce l’impulso del pace-maker quando sale a valori > 70/min).
a) Pace-maker mono-ventricolare
1. pace-maker ventricolare a richiesta (VVI); pace-maker più frequente ad es.
indicato nelle bradiaritmie in corso di fibrillazione atriale.
Svantaggio: tipo di stimolazione non fisiologica: lo stimolo ventricolare determina uno stimolo atriale retrogrado e la contemporanea contrazione atriale contro la valvola AV chiusa perdita della sistole atriale ed improvviso
aumento pressorio nell’atrio si può verificare una diminuzione pressoria
riflessa con manifestazioni vertiginose = cosiddetta sindrome da pace-maker
nel 20% di tutti i pazienti portatori di pace-maker VVI. La perdita della sistole atriale ha un effetto sfavorevole in caso di preesistente insufficienza
cardiaca.
2. Pace-maker atriale a richiesta (AAI):
La stimolazione AAI è utilizzabile nei disturbi isolati intermittenti delle funzioni del nodo del seno (bradicardia sinusale, arresto del nodo del seno) in
presenza di conduzione AV intatta. Con lo stimolo AAI l’atrio viene stimolato con una frequenza di intervento inferiore. Attività proprie dell’atrio inibiscono il pace-maker.
Vantaggi: mantenimento della sequenza di contrazione atriale/ventricolare miglioramento della portata del 20% ca. rispetto al sistema VVI.
b) Pace-maker bi-ventricolare:
pace-maker sequenziale AV (DDD):
Nei pazienti con blocco AV viene utilizzato il pace-maker bi-ventricolare che
stimola a seconda della necessità in caso di abbassamento di una determinata
frequenza minima sia atrio che ventricolo in ordine fisiologico. Il pace-maker
DDD sostituisce dunque in caso di necessità la conduzione AV e la formazione
dello stimolo nel nodo del seno. La sincronizzazione atrio-ventricolare migliora
l’eiezione cardiaca (come nel sistema AAI).
c) Pace-maker che adattano la frequenza
— sistema a una camera (VVI-R) indicazioni: ad es. bradiaritmie in corso di
fibrillazione atriale
— sistema a due camere (DDD-R) indicazioni: malattia binodale della formazione dell’impulso e della conduzione.
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Rendono possibile l’adattamento della frequenza di stimolo a differenti condizioni di carico. La frequenza del pace-maker può essere comandata da parametri
biologici, come ad es. tempo QT, frequenza respiratoria, attività muscolare (misurazione dell’impedenza), contrattilità del muscolo cardiaco, temperatura, contenuto di ossigeno nel sangue ecc.
Indicazioni
• vertigini, sincopi o attacchi di Adams-Stokes dovuti a disturbi bradicardici intermittenti o permanenti del ritmo oppure asistolie > 3 sec. (sindrome del nodo del
seno, sindrome del seno carotideo, bradiaritmia assoluta).
• blocchi SA o AV più gravi (blocco AV II grado/tipo 2 [Mobitz] e blocco SA o
AV III grado), blocchi trifascicolari.
• insufficienza cardiaca da bradicardia e diminuzione del rendimento.
• bradicardia critica in presenza di un indispensabile trattamento con antiaritmici o
digitale.
B. Pace-maker antitachicardici
1. Nelle tachicardie ventricolari e fibrillazione ventricolare:
defibrillatore/cardiovertitore impiantabile: in caso di tachicardia, fibrillazione o
flutter ventricolare defibrillazione a bassa energia. Alcuni apparecchi offrono anche la possibilità di interrompere una tachicardia ventricolare tramite «overdrive
stimulation».
Indicazioni: aumentato rischio di morte cardiaca improvvisa da fibrillazione
ventricolare: tachiaritmie ventricolari recidivanti oppure stato post-fibrillatorio
ventricolare in caso di funzione ventricolare chiaramente compromessa.
2. Nelle tachicardie sopraventricolari:
interruzione dei meccanismi di rientro (stimoli ricircolanti) tramite:
— «overdrive pacing» con una frequenza di stimolazione superiore alla frequenza della tachicardia
— elettrostimolazione programmata: interruzione di stimoli ricircolanti tramite
impulsi precoci singoli o multipli
— stimolazione atriale ad alta frequenza: per la conversione del flutter atriale
— defibrillatore atriale impiantabile: per pazienti selezionati, con fibrillazione
atriale parossistica (in fase di studio clinico); associato a pace-maker antibradicardico per prevenire l’insorgenza di disturbi bradicardici del ritmo dopo cardioversione riuscita.
C. Pace-maker antitachicardico/bradicardico
Pace-maker cardiovertitore defibrillatore con
1. funzione di cardioversione/defibrillazione
2. funzione di sovrastimolazione
3. funzione di stimolazione antibradicardica.
Indicazioni: disturbi del ritmo ventricolari tachicardici resistenti alla terapia e disturbi del ritmo bradicardici con aumentato rischio di morte cardiaca improvvisa.
Complicanze:
1. di tipo chirurgico:
— disfunzione della sonda (dislocazione, difetto di isolamento, rottura della sonda
ecc.)
— ematoma, infezione, trombosi, pneumotorace ecc.
— spasmo del muscolo pettorale, spasmo del diaframma;
2. di tipo non chirurgico:
— aumento della soglia dello stimolo
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—
—
—
—
disturbi di percezione
errata ricezione di potenziali muscolari
complicanze tecniche (difetto di pace-maker/pila)
programmazione «fantasma» causata da frequenze di disturbo esterne, ad es.
strumenti chirurgici elettrici.
Controllo: controllare regolarmente il funzionamento del pace-maker.
II. Cardioversione elettrica e defibrillazione esterna
Indicazioni:
— assoluta: tachicardie sopraventricolari e ventricolari con minaccia di shock cardiogeno, fibrillazione/flutter ventricolare;
— relativa: mancanza di risposta alla correzione farmacologica della fibrillazione/flutter atriale.
Controindicazioni: tachicardie non pericolose per la vita in presenza di intossicazione
da digitale.
Principio: con una scarica di corrente applicata dall’esterno sul cuore vengono bloccati temporaneamente tutti i centri di formazione dello stimolo; si ha per così dire un «silenzio elettrico» nel miocardio (fase refrattaria). La depolarizzazione spontanea avviene
ora in modo più veloce nel pace-maker naturale, il nodo del seno, così che quest’ultimo è nuovamente in grado di determinare il ritmo.
Eccetto che nella fibrillazione ventricolare la defibrillazione avviene in modo sincrono
(= determinata dalla fase cardiaca = cardioversione): per evitare che la scarica di corrente non cada nella fase vulnerabile di T (branca ascendente di T), è stato incorporato nell’apparecchio un dispositivo (trigger) affinché la scarica di corrente avvenga 0,02
sec. dopo l’onda R.
Valori iniziali di energia
— flutter/fibrillazione ventricolare, tachicardia ventricolare polimorfa: 200 J = Ws
— tachicardia ventricolare monomorfa, flutter/fibrillazione atriale: 100 J = Ws.
In caso di insuccesso, aumentare le dosi di energia sino a 3 scariche una dopo l’altra di
200-200-360 J = Ws.
Il paziente cosciente viene anestetizzato leggermente per via endovenosa (ad es. con
etomidato). Bisogna fare attenzione che il personale di assistenza non venga a contatto
durante la defibrillazione con il paziente o con il letto! Nella cardioversione di una fibrillazione atriale che perdura da più di 48 ore, con pericolo di formazione di trombi
atriali, è necessario trattare il paziente con anticoagulanti per almeno 4 settimane prima
e dopo la cardioversione (pericolo di embolia) + ecocardiografia transesofagea.
Defibrillatori semiautomatici sono utilmente impiegabili, in casi d’urgenza, anche da
parte di non esperti.
III. Elettroablazione (ablazione con catetere)
Elettrocoagulazione ad alta frequenza di vie di conduzione o focolai ectopici nel miocardio mediante un catetere munito di elettrodi, previa localizzazione tramite «mapping» intracardiaco.
• Ablazione del nodo AV
Indicazioni: molto rare: «ultima ratio» nei flutter/fibrillazioni atriali refrattari alla terapia, con tachiaritmie minacciose dal punto di vista emodinamico. Dopo l’ablazione
del nodo AV i pazienti necessitano di un pace-maker VVI permanente, per il blocco
AV totale.
• Modulazione del nodo AV
Indicazioni: tachicardie da rientro AV in fase d’esordio.
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La forma slow-fast della tachicardia da rientro AV utilizza la via di conduzione lenta per la conduzione anterograda, e la via veloce per la conduzione retrograda.
L’ablazione selettiva della conduzione anterograda o retrograda porta a successo nel
95% dei casi.
Complicanze: raramente blocco AV totale: si verifica nel 5% dei casi di ablazione
della via veloce e nel 2% dei casi di ablazione della via lenta.
• Ablazione delle vie di conduzione extranodali accessorie
Indicazioni: tachicardie da rientro AV nella sindrome WPW; fibrillazione atriale con
conduzione veloce lungo la via di Kent: ablazione del fascio di Kent.
Tasso di successo > 95%.
• Ablazione con catetere di focolai tachicardici ventricolari
Indicazioni: tachicardie ventricolari monomorfe refrattarie alla terapia, localizzabili
tramite «mapping». Tasso di successo: variabile. Terapia alternativa: defibrillatore/cardiovertitore impiantabile.
Terapia chirurgica
Per il progressivo affermarsi dell’ablazione con catetere, la chirurgia del ritmo è passata in
secondo piano. Anche in questo caso è premessa necessaria un preciso «mapping» intracardiaco della sede del disturbo del ritmo.
— Sezione chirurgica delle vie accessorie (ad es. fascio di Kent nella sindrome WPW)
Indicazioni: tachicardie da rientro AV refrattarie alla terapia nella sindrome WPW
— Escissione chirurgica di un focolaio ventricolare tachicardico
Indicazioni: tachicardie ventricolari monomorfe refrattarie alla terapia, la cui sede d’origine sia localizzabile con «mapping».
CLASSIFICAZIONE DEI DISTURBI DEL RITMO
I. Disturbi di formazione dello stimolo
1. Origine nel nodo del seno
— aritmia sinusale
— bradicardia sinusale (inferiore a 60/min)
— tachicardia sinusale (superiore a 100/min)
— sick-sinus syndrome.
2. Disturbi ectopici di formazione dello stimolo
Differenziazione in base alla localizzazione:
— sopraventricolare (atrio, nodo AV)
— ventricolare
a) Ectopia passiva
intervento sostitutivo di un focus di formazione dello stimolo secondario o terziario in caso di cessazione o rallentamento dell’attività del nodo del seno ed in
presenza di blocchi di conduzione
— sistoli sostitutive
— ritmi sostitutivi: automazione secondaria (atrio, nodo AV), automazione terziaria (ventricolo)
— pace-maker migrante.
b) Ectopia attiva
— extrasistole
— extraaritmie (ritmo ectopico più veloce del ritmo sinusale):
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•
•
•
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tachicardia sopraventricolare (atrio, nodo AV)
flutter atriale, fibrillazione atriale
tachicardia ventricolare
flutter ventricolare, fibrillazione ventricolare.
II. Disturbi di conduzione dello stimolo
1. Blocco senoatriale (SA).
2. Blocco atrioventricolare (AV).
3. Blocco intraventricolare (blocco di branca).
III. Sindrome da preeccitazione
IV. Arresto cardiaco
DISTURBI DI FORMAZIONE DELLO STIMOLO
Disturbi del ritmo di origine nel nodo del seno
1. Aritmia sinusale
— aritmia sinusale respiratoria: aumento fisiologico della frequenza cardiaca durante
l’inspirazione (riflesso di Bainbridge da aumentato ritorno venoso) e riduzione durante l’espirazione (da stimolazione vagale); più evidente nei bambini e nei giovani
— aritmia sinusale non respiratoria: più rara, espressione di un danno del nodo del seno.
2. Bradicardia sinusale (frequenza cardiaca < 60/min)
— fisiologica: giovani ed anziani, sportivi, ipertono vagale
— patologica: ad es. ipotiroidismo, ipotermia, vomito, ipertensione endocranica, tifo,
malattia del nodo del seno e iperreattività del seno carotideo
— da farmaci: terapia con betabloccanti, antiaritmici, digitale, ecc.
Il limite critico della bradicardia dipende dalla possibilità di rendimento del cuore: gli
sportivi hanno bradicardie notturne sporadiche < 40/min senza alcun sintomo, mentre i
cardiopatici e gli anziani possono già presentare sintomi da ridotta perfusione cerebrale
(vertigine, sincope).
La bradicardia sinusale patologica non mostra, sotto sforzo, adeguati aumenti di frequenza.
3. Tachicardia sinusale (frequenza cardiaca > 100/min)
— fisiologica: neonati, bambini piccoli, stress fisico e psichico, reazioni emotive, tono
del simpatico aumentato;
— patologica: febbre (per 1°C aumento della frequenza di ca. 10 battiti/min), ipertiroidismo, anemia, ipossia, ipotensione, emorragia, shock, insufficienza cardiaca,
miocardite, cuore polmonare, sindrome cardiaca ipercinetica (disturbo della regolazione vegetativa sotto forma di aumentato stimolo adrenergico dei β-recettori con
lieve tachicardia a riposo, tachicardia da sforzo ed ipertensione sistolica);
— da farmaci: alcool, nicotina, caffeina, derivati adrenalinici, atropina ecc.
Il limite critico della tachicardia dipende dalla possibilità di rendimento del cuore e dall’età (frequenza cardiaca massima al test ergometrico = 220-età).
All’aumentare della frequenza, la diastole si riduce progressivamente, provocando così
la riduzione della gittata. All’ECG si possono osservare slivellamenti del tratto ST conseguenti alla tachicardia, quali segni di turbe della ripolarizzazione.
Terapia
a) Trattamento dei fattori scatenanti (più importante).
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b) Terapia sintomatica:
— in caso di bradicardia marcata: somministrazione temporanea di parasimpaticolitici (es. atropina - vedi cap. Antiaritmici); nella syck-sinus syndrome o nel seno carotideo iperreattivo: eventuale pace-maker;
— in caso di tachicardia marcata: solo nella sindrome cardiaca ipercinetica o nell’ipertiroidismo (in aggiunta al trattamento tireostatico) eventualmente betabloccanti (vedi cap. Antiaritmici).
Disturbi del ritmo caratterizzati dalla presenza di foci ectopici
1. Foci ectopici passivi
Quando la frequenza di scarica del nodo del seno (in caso di bradicardia sinusale o di
arresto sinusale) è inferiore al limite critico oppure quando si è in presenza di disturbi
della conduzione (blocco SA-AV), si verifica un intervento «sostitutivo» da parte di
centri ectopici di stimolazione che si sostituiscono al segnapassi fisiologico.
Qualora venga sostituito un solo impulso sinusale, si parla di sistole sostitutiva; si parla invece di ritmo sostitutivo quando il pace-maker sussidiario assume il controllo per
più battiti.
a. Presenza di pace-maker secondari a livello atriale inferiore e nodo AV.
Ritmo nodale giunzionale con una frequenza sostitutiva di ca. 30-50/min.
Nota: il nodo AV in se stesso non ha cellule pace-maker, contrariamente all’area
atriale attigua, incluso il seno coronarico.
Più frequenti sono i ritmi sostitutivi da pace-maker secondari, in quanto la loro frequenza è superiore a quella dei centri terziari.
b. Presenza pace-maker terziari ventricolari con una bradicardia critica di 20-30/min.
Intervengono quando viene meno il ritmo giunzionale o quando si blocca la conduzione AV.
Pace-maker migrante
Variazione transitoria tra ritmo sinusale e ritmo di compenso giunzionale.
ECG: modifica oscillante del tempo PQ, dell’onda P e della frequenza.
Causa: abbassamento temporaneo della frequenza del nodo del seno sotto la frequenza
propria dei pace-maker secondari.
Epidemiologia: pazienti sani (tono vagale), talvolta nella terapia con digitale e affezioni cardiache.
Terapia: nessuna.
2. Foci ectopici attivi
Sono presenti quando la formazione dello stimolo ectopico porta a precoce stimolo cardiaco, sia sotto forma di singoli stimoli ectopici sia sotto forma di un ritmo ectopico la
cui frequenza è superiore a quella del ritmo sinusale.
RITMO GIUNZIONALE ACCELERATO
E RITMO IDIOVENTRICOLARE ACCELERATO
Normalmente i pace-maker secondari (area del nodo AV) e terziari (ventricolo) agiscono
solo passivamente con la loro autofrequenza bassa, quando il ritmo sinusale viene a mancare oppure quando si ha un blocco di conduzione. In singoli casi però essi possono agire
in qualità di centri ectopici attivi con frequenze aumentate patologicamente > 100/min che
temporaneamente assumono la funzione di pace-maker.
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Epidemiologia
Affezioni cardiache di origine organica (ad es. infarto recente), intossicazione da digitale.
Diagnosi differenziale
— ritmo idioventricolare accelerato: tachicardia ventricolare (frequenza > 100/min)
— blocco intraventricolare (spesso permanente ECG precedente; il ritmo idioventricolare è transitorio).
Terapia
Trattamento della malattia di base, controllare la somministrazione di digitale.
EXTRASISTOLI (ES)
Epidemiologia
Sono molto frequenti anche nei soggetti sani. La maggior parte di tutta la popolazione
almeno una volta nella vita accusa extrasistoli; nel 30% dei casi sono avvertite soggettivamente come un battito saltato oppure come sospensione dell’attività cardiaca, ma
solo in una piccola percentuale (5%) di questi, le extrasistoli si trasformano in malattia.
A seconda del loro punto d’origine, le extrasistoli si distinguono in sopraventricolari e
ventricolari.
Eziologia
• Cause fisiologiche: ES ventricolari semplici compaiono spesso nei soggetti sani; fattori scatenanti: labilità neurovegetativa, stress emotivo, ipertono vagale (in caso di ES
ventricolari da bradicardia), stanchezza, alcool, caffeina, nicotina.
• Malattie cardiache organiche, ad es. malattia coronarica, cardiomiopatie, miocardite,
ecc.
• Cause extra-cardiache: ipopotassiemia (ad es. da terapia diuretica), farmaci: digitale,
simpaticomimetici, antiaritmici, antidepressivi triciclici, ecc.; sindrome di Roemheld
(addome meteorico con pressione sul diaframma quale causa di «affaticamento cardiaco»), ipertiroidismo.
Extrasistoli sopraventricolari (ESSV)
1. Extrasistoli atriali: onda P deformata, PQ accorciato, complesso ventricolare (QRS)
normale.
2. Extrasistoli giunzionali (nodo AV): onde P negative prima, durante o dopo il complesso QRS: la terminologia da essi derivata, ossia ES del nodo AV superiori, medie e inferiori è ancora in uso ma non esatta, in quanto manca la base morfologica! È più corretto parlare di ES del nodo AV con o senza stimolo atriale retrogrado più o meno ritardato.
Le extrasistoli sopraventricolari hanno quasi sempre un complesso QRS non deformato,
di normale ampiezza eccezione: in caso di inizio precoce dell’ESSV si può verificare una conduzione ventricolare aberrante con deformazione del complesso ventricolare come nella extrasistole ventricolare; la ESSV è riconoscibile in questi casi dall’onda
P che precede.
Quando la ESSV inizia ancora più precocemente, il sistema di conduzione può essere
ancora refrattario; in caso di disturbo di conduzione anterogrado di una extrasistole
atriale il complesso QRS viene a mancare, in caso di disturbo di conduzione retrogrado di una extrasistole del nodo AV manca l’onda P: si parla di ESSV bloccata. La
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ESSV di norma depolarizza la sede di formazione dello stimolo sinusale con sostituzione del ritmo di base, per cui la distanza tra attività cardiaca pre- e post-extrasistolica è
minore dell’intervallo normale doppio (pausa non compensatoria).
Quando durante una extrasistole del nodo AV avviene contemporaneamente la contrazione atriale e ventricolare contro la valvola AV chiusa, si nota nel polso venoso
un’onda gigante.
Eziologia
• frequentemente nella persona sana; fattori scatenanti: eccitazione emotiva, stanchezza,
alcool, caffeina, nicotina;
• talvolta nelle affezioni cardiache, ipopotassiemia.
Terapia
• ESSV nella persona sana non abbisognano di alcuna terapia
• trattamento in presenza di una affezione cardiaca
• esaminare la potassiemia e considerare l’eventuale terapia con digitale
• quando le ESSV causano tachicardie parossistiche sopraventricolari oppure fibrillazione atriale intermittente (ECG Holter) è necessaria una terapia, ad es. con betabloccanti o calcioantagonisti antiaritmici.
Extrasistoli ventricolari
Originano inferiormente alla biforcazione del fascio di His. Il nodo del seno non viene di
norma stimolato per via retrograda, quindi il ritmo sinusale rimane indisturbato: ne consegue una pausa post-extrasistolica compensatoria (che il paziente avverte sotto forma di un
battito mancato); infatti l’impulso sinusale incontra il miocardio ventricolare in fase refrattaria. Solo in caso di bradicardia sinusale, il ventricolo può venire nuovamente stimolato e
non viene meno la normale attività (extrasistole interposta).
Classificazione delle extrasistoli ventricolari
1. Extrasistoli del ventricolo destro: aspetto simile al blocco di branca sinistro completo (QRS > 0,11 sec.).
2. Extrasistoli del ventricolo sinistro: aspetto simile al blocco di branca destro completo (QRS > 0,11 sec.).
3. Extrasistoli dell’origine del fascio di His: la durata del QRS è normale, per il resto
hanno tutte le caratteristiche delle extrasistoli; le extrasistoli ventricolari non influenzano il ritmo sinusale. Segue una pausa compensatoria.
a) Extrasistoli monomorfe:
ECG: complessi ventricolari deformati tutti allo stesso modo; possono manifestarsi
in soggetti sani o possono essere sintomo di una cardiopatia sottostante.
b) Extrasistoli polimorfe:
ECG: complessi ventricolari deformati in modo diverso che indicano la presenza di
più centri ectopici. Hanno sempre genesi organica (danno del muscolo cardiaco).
Nota: le extrasistoli ventricolari polimorfe sono generalmente politopiche (origini
diverse), tuttavia quelle monomorfe molto precoci presentano un aspetto polimorfo
a seguito della diversa conduzione dello stimolo (anche le extrasistoli sopraventricolari possono presentare, per effetto della cosiddetta «conduzione aberrante», un
QRS di durata maggiore ma sono riconoscibili dall’aspetto dell’onda P precedente).
Extrasistoli raggruppate possono essere in relazione temporale al ritmo normale.
Qualora ad ogni battito normale o ad ogni due battiti normali segua una extrasistole, si parla di ritmo bigemino o trigemino (spesso dovuto a intossicazione da digitale). In genere le extrasistoli compaiono ogni 2 o 3 battiti normali, con un rappor-
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to quindi di 2:1, 3:1. Qualora tre o più extrasistoli si susseguano, non intervallate da
alcun battito normale, si parla di salve di extrasistoli.
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NE
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N
N
N
NE
N
battito normale (N)
ESV con intervallo postextrasistolico compensatorio
ESV interposta
bigemino
trigemino
extrasistoli 2:1
salve di extrasistoli.
Nelle extrasistoli molto precoci la gittata cardiaca è ridotta a causa dell’accorciamento della diastole. Così un ritmo bigemino può provocare un deficit pulsatorio e
alla palpazione del polso può assumere un aspetto di bradicardia. La gittata cardiaca post-extrasistolica è aumentata a causa della diastole più lunga.
In caso di affezioni cardiache organiche (specialmente infarto) e di insufficienza
ventricolare sinistra l’insorgere di determinate forme di ESV può essere il primo
segno di pericolose tachiaritmie ventricolari fino ad arrivare alla fibrillazione ventricolare. Tali aritmie «premonitrici» sono:
• ESV politopiche (polimorfe) raggruppate
• ritmo bigemino
• insorgenza di coppie e di salve
• fenomeno R su T: in caso di ESV molto precoci vi è il pericolo che la ESV cada nella fase vulnerabile di T (branca ascendente di T) («fenomeno R su T») provocando così una fibrillazione ventricolare. Per riconoscere un tale pericolo si
calcola il cosiddetto indice di anticipazione (IA):
R
IA =
Q — QES
Q — Ttermine
II
=
I
R
RESV
T
T
I
II
IA < 1,0 = fenomeno R su T
Classificazione delle extrasistoli ventricolari secondo Lown
Grado
ESV semplice
ESV complessa
0
I
II
IIIa
IIIb
IVa
IVb
V
nessuna ESV
ESV monomorfa (< 30/h)
ESV monomorfa (> 30/h)
ESV polimorfa
bigeminismo ventricolare
coppie (almeno 2 ESV che si susseguono)
salve (≥ 3 ESV di seguito)
ESV precoci R/T (fenomeno R su T)
Terapia
• Nei soggetti sani le extrasistoli ventricolari non richiedono trattamento; in caso di
percezione soggettiva, evtl. trattamento sedativo.
• Extrasistoli ventricolari in presenza di malattie cardiache organiche:
1. terapia causale: è la più importante e decisiva per la prognosi, ad es. procedure
di rivascolarizzazione in caso di cardiopatia ischemica
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2. terapia sintomatica:
— controllo dei livelli plasmatici di potassio e di magnesio e della digitalemia.
Eventuale trattamento dell’intossicazione da digitale (vedi); evtl. ridurre la dose di digitale (tanto più il cuore è leso, tanto meno sopporta la digitale). Correzione dei livelli plasmatici di potassio e magnesio ai limiti superiori della
norma
— terapia antiaritmica: indicazione in caso di aumentato rischio di morte cardiaca improvvisa in seguito a fibrillazione ventricolare: extrasistoli ventricolari
complesse in pazienti con grave cardiopatia di base e compromissione della
funzione di pompa ventricolare sinistra.
Poiché lo studio CAST ha dimostrato nei pazienti post-infartuati un peggioramento della prognosi correlato all’impiego di antiaritmici di classe IC, si dovrebbero adottare, in caso di aumentato rischio di fibrillazione ventricolare,
alternative terapeutiche non farmacologiche (cardiovertitore/defibrillatore impiantabile, ablazione con catetere, chirurgia del ritmo).
Betabloccanti senza ISA: riducono il rischio che le ESV provochino una fibrillazione ventricolare e sono pertanto antiaritmici di scelta sia nei pazienti
post-infartutati sia nei pazienti con ridotta funzionalità di pompa (ciò non vale per il sotalolo).
Prognosi
— ESV in soggetti sani: non pericolose, prognosi favorevole (indipendentemente dalla
classificazione di Lown)
— ESV nelle malattie cardiache: nell’infarto recente la comparsa di ESV frequenti è
un segnale d’allarme di aumentato pericolo di fibrillazione ventricolare; peraltro si
può giungere alla fibrillazione ventricolare anche in assenza di precedenti aritmie
premonitrici.
Fattori di rischio di morte cardiaca improvvisa (sudden cardiac death, SCD):
• grave cardiopatia di base
• riduzione della funzione ventricolare sinistra (frazione d’eiezione < 30%)
• stato post-rianimatorio per fibrillazione/flutter ventricolare
• disturbi del ritmo ventricolare di grado elevato
• potenziali ventricolari tardivi all’ECG ad alta definizione
• ridotta sensibilità del baroriflesso
• intervallo QT patologicamente lungo
• diminuita variabilità della frequenza cardiaca
• infarto recente, nelle prime 72 ore
• perduranti fattori di rischio coronarico nella cardiopatia ischemica.
Nota: nei ritardi patologici di conduzione nell’area infartuata periferica, si possono osservare potenziali ventricolari tardivi che possono essere indicativi di aumentato rischio
di tachiaritmie ventricolari, in seguito a meccanismo di rientro. L’assenza di potenziali
tardivi ventricolari è un indicatore prognostico favorevole (basso rischio di tachiaritmie
ventricolari). Il rischio di complicanze tachiaritmiche nei pazienti postinfartuati con potenziali tardivi è intorno al 25%.
La dispersione Q-T (= differenza tra un tempo Q-T più lungo e uno più breve) non è
standardizzata e non ha valore prognostico per morte cardiaca improvvisa.
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TACHICARDIA PAROSSISTICA SOPRAVENTRICOLARE
Definizione
Tachicardia da rientro AV da via accessoria di conduzione (50%) e tachicardia nodale
da rientro (50%) causate da anomalie del sistema di conduzione dello stimolo. Le prime manifestazioni cliniche compaiono solitamente tra i 20 e 30 anni d’età.
Tachicardia da rientro AV nella sindrome da preeccitazione
La stimolazione ventricolare avviene precocemente, tramite «cortocircuiti» congeniti che
permettono di aggirare la via di conduzione AV.
1. Sindrome WPW (di Wolff-Parkinson-White)
Preeccitazione attraverso il fascio di Kent = conduzione «cortocircuitata» tra atrio
e ventricolo:
— tipo A: onda delta positiva in V1, generalmente con fascio
di Kent a sinistra
— tipo B: onda delta negativa in V1, generalmente con fascio
di Kent a destra.
La via di conduzione atrio-ventricolare accessoria può conWPW
durre in entrambe le direzioni (anterograda + retrograda).
Se la via di conduzione accessoria conduce solo in senso
retrogrado (ventricolo atrio) l’ECG di superficie è normale e si parla di via
di conduzione accessoria nascosta.
ECG: tempo PQ inferiore a 0,12 sec. + onda delta (complesso QRS allargato con
lenta salita dell’onda R).
La sindrome WPW può essere permanente o intermittente.
2. Sindrome di Mahaim (rara)
ECG: tempo PQ normale + onda delta.
Nota: la sindrome di Lown-Ganong-Levine (sindrome LGL) è priva di significato
clinico: tempo P-Q < 0,12 sec, senza onda delta.
Clinica
3 gruppi di pazienti:
1. reperto ECG asintomatico (la maggioranza)
2. talvolta tachicardie parossistiche sopraventricolari (meccanismo di rientro)
3. pazienti con tachiaritmie potenzialmente pericolose per la vita. Questo gruppo mostra un periodo refrattario breve del ramo accessorio. La fibrillazione atriale (10%
dei casi) può portare in questi casi a tachicardie ventricolari e fibrillazione ventricolare (morte cardiaca improvvisa).
Diagnosi
• Anamnesi, clinica, ECG
• ECG intracardiaco (localizzazione delle vie accessorie): è importante identificare i
pazienti con breve periodo refrattario della via accessoria, in quanto per essi esiste il
pericolo di morte cardiaca improvvisa.
Pazienti che hanno all’ECG (di Holter) oppure sotto sforzo ergometrico la scomparsa dell’onda delta hanno un periodo refrattario lungo della via accessoria e solitamente non sono a rischio.
Terapia
• nella tachicardia parossistica sopraventricolare da preeccitazione l’ajmalina ha dato
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buoni risultati: 50 mg per endovena lentamente, controllando l’ECG; alternativa: propafenone.
Nota: nella sindrome da preeccitazione e nella fibrillazione atriale verapamil, adenosina e digitale sono controindicati, in quanto abbreviano il periodo refrattario del fascio accessorio pericolo di fibrillazione ventricolare!
• nell’incombente shock cardiogeno dovuto a tachicardia: elettrocardioversione
• nella tachicardia WPW recidivante: ablazione con catetere selettiva ad alta frequenza della via di conduzione accessoria (ablazione del fascio di Kent). Tasso di successo > 95%.
Tachicardia nodale da rientro senza sindrome da preeccitazione
Eziologia:
1. anomalia congenita del sistema di conduzione dello stimolo in soggetti senza cardiopatia (2/3 dei casi)
2. in caso di prolasso della mitrale, altre cardiopatie, ipertiroidismo.
Patogenesi
La tachicardia nodale è determinata dalla caratteristica del nodo AV di disporre di vie
di conduzione funzionalmente separate a differente velocità di conduzione e comportamento refrattario (via α a lenta conduzione, via β a rapida conduzione). Questo comporta un circolo di eccitazione (meccanismo di rientro). Nel 90% dei casi si tratta di
una tachicardia di tipo «slow-fast» che viene condotta in senso anterogrado dalla via
lenta e in senso retrogrado dalla via veloce.
ECG
Tachicardia regolare con frequenza tipica di 180-220/min.; improvviso aumento dell’intervallo PR all’inizio della tachicardia, assenza di onde P e blocco AV. Complesso ventricolare quasi sempre nella norma (stretto); eccezione: allargamento del QRS nella
conduzione ventricolare aberrante oppure nel blocco di branca. Nell’intervallo senza tachicardia, ECG normale senza segni di sindrome da preeccitazione.
Clinica
Improvviso attacco di tachicardia, durata: minuti, ore e più, spesso altrettanto improvviso ritorno al normale ritmo sinusale. Nei pazienti senza affezioni cardiache spesso
non vi sono altri sintomi oltre alle palpitazioni. Nel paziente con insufficienza cardiaca
e/o affezione coronarica eventualmente riduzione critica della portata con ipotensione,
angina pectoris, talvolta vertigine, sincopi; raramente shock cardiogeno. Durante e dopo l’attacco si manifesta anche una risposta diuretica [azione mediata dal peptide natriuretico atriale (ANP)]. In caso di contrazione contemporanea di atrio e ventricolo si
può notare alle vene del collo la presenza di onde giganti.
Diagnosi differenziale
— tachicardia regolare con complesso ventricolare stretto (< 120 msec.): tachicardia
sinusale, tachicardia parossistica sopraventricolare, flutter atriale con conduzione
AV costante
— tachicardia irregolare con complesso ventricolare stretto: più frequentemente fibrillazione atriale, più raramente flutter atriale con conduzione AV incostante
— tachicardia regolare con complesso ventricolare allargato (≥ 120 msec.): tachicardia ventricolare oppure (raramente) sopraventricolare con blocco di branca o conduzione ventricolare aberrante.
Localizzazione dell’onda P in relazione al complesso QRS: nella tachicardia atriale
l’onda P precede il complesso QRS; nella tachicardia sopraventricolare da rientro AV,
legata a una sindrome da preeccitazione, l’onda P segue, nella conduzione ortodroma,
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il complesso QRS; nella tachicardia nodale da rientro l’onda P è nascosta nel complesso QRS oppure si presenta al termine del complesso QRS.
Nota: tutte le tachicardie con complesso QRS allargato vanno trattate, sino a dimostrazione del contrario, come se fossero delle tachicardie ventricolari («treat the worst case»).
Diagnosi
Clinica: tachicardia regolare improvvisa (la tachicardia sinusale non è improvvisa) +
ECG (tachicardia regolare con complesso QRS stretto).
Terapia
A) Trattamento sintomatico
1. In caso di pazienti stabili dal punto di vista circolatorio (la maggior parte):
— Stimolazione vagale: tentativo di manovra di Valsalva (dopo una profonda
inspirazione, prolungato sforzo bloccato di espirazione forzata, a naso e bocca chiusi), massaggio del seno carotideo (non oltre 5 sec.; prima auscultare
le carotidi), bere velocemente un bicchiere di acqua fredda contenente bicarbonato, immergere il viso nell’acqua fredda, mettere del ghiaccio intorno al
collo, ecc.
— Terapia farmacologica:
• adenosina: meccanismo d’azione: blocco temporaneo della conduzione
AV a livello del nodo AV (durata massima 8 sec.); è il farmaco di prima
scelta in tutte le tachicardie regolari con complesso ventricolare stretto; effetti collaterali: evtl. asistolia fugace, ipotensione, flush, dispnea, sensazione di oppressione toracica, broncospasmo; controindicazioni: asma bronchiale, blocco AV > I grado, sick-sinus syndrome, QT lungo, fibrillazione
o flutter atriale; dosaggio: per l’emivita assai breve (secondi) 6 mg velocemente in bolo e.v.; in caso di insuccesso, ripetere una dose doppia (12
mg) dopo 3 min. (la breve durata d’azione dell’adenosina rende superfluo
l’impiego della teofillina come antidoto)
• verapamil: indicazioni: è il farmaco alternativo all’adenosina; effetti collaterali: azione inotropa negativa, ipotensione, asistolia, ecc.; controindicazioni: tachicardia da rientro AV nella sindrome WPW, tachicardia ventricolare, ipotensione, insufficienza cardiaca conclamata (per l’azione inotropa negativa), sick-sinus syndrome con episodi di bradicardia in anamnesi,
precedente terapia con betabloccanti; dosaggio: 5 mg e.v. lentamente in 10
min. sotto controllo ECG (evtl. ripetere dopo 15-30 min.)
• in caso di insuccesso, eventualmente digitale: indicazioni: nei pazienti con
insufficienza cardiaca e sicuramente non in sovradosaggio digitalico; controindicazioni: tachicardia atriale con blocco AV, sindrome da preeccitazione; dosaggio: nei pazienti non trattati in precedenza con digitale 0,5 mg
di digossina e.v. lentamente in 10 min.
• ajmalina: farmaco di scelta nella tachicardia a complesso ventricolare largo (vedi: Sindrome WPW)
Nota: l’ajmalina è anche il farmaco di scelta quando non è possibile distinguere con certezza tra tachicardia sopraventricolare e ventricolare: è
infatti efficace in entrambi i casi (tachicardia con complesso ventricolare
allargato).
— Elettroterapia: «overdrive pacing» per interrompere il ricircolo dello stimolo.
2. In caso di pazienti instabili dal punto di vista circolatorio, a rischio di shock
cardiogeno: cardioversione elettrica: nei pazienti coscienti senza ipotensione narcosi rapida e.v. (ad es. con etomidato); 1 scarica di 100 J (Ws), in caso di
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insuccesso ripetere con scariche d’intensità maggiore. Controindicazioni: intossicazione da digitale, recidiva di una tachicardia parossistica sopraventricolare
dopo precedente cardioversione.
B) Trattamento intervallare:
— escludere una cardiopatia organica o un ipertiroidismo
— in caso di frequenti recidive di tachicardia, ablazione con catetere ad alta frequenza:
• in caso di tachicardia nodale da rientro: ablazione selettiva generalmente della via a conduzione lenta
• in caso di tachicardia WPW: ablazione selettiva del fascio di Kent.
Tasso di successo > 95%.
TACHICARDIA ATRIALE
Varianti: ne esistono 3 tipi:
• Tachicardia atriale unifocale
Epidemiologia: spesso in soggetti sani.
ECG: tachicardia regolare, con complessi QRS normali (stretti), ma morfologia anomala dell’onda P; frequenza 150-200/min.
• Tachicardia atriale con blocco AV (solitamente di II grado)
Epidemiologia: in genere correlata a tossicità digitalica, evtl. accentuata dall’ipopotassiemia.
• Tachicardia atriale multifocale
Epidemiologia: cuore polmonare, insufficienza cardiaca grave, intossicazione da teofillina.
ECG: vi sono almeno 3 diverse morfologie dell’onda P con intervalli PP e PQ che
variano.
Terapia
1. causale: ad es. trattamento dell’intossicazione da digitale (vedi al relativo capitolo)
2. sintomatica (ad es. adenosina nella tachicardia atriale unifocale senza blocco AV).
Nota: sino alla dimostrazione del contrario, la tachicardia atriale con blocco AV indica
un’intossicazione da digitale dosare la digitalemia; evitare la somministrazione di digitale!
FLUTTER ATRIALE
Eziologia: solitamente cardiopatia organica (vedi cap. Fibrillazione atriale).
Patogenesi: macro-rientro con circolo di stimolazione interatriale. Spesso il flutter atriale
è uno stadio intermedio del passaggio dal ritmo sinusale alla fibrillazione atriale.
ECG: le onde di flutter hanno aspetto seghettato; tra le singole onde non è possibile riconoscere la linea isoelettrica. Esistono 2 tipi di flutter atriale:
— tipo I: onde di flutter negative in II, III, aVF con frequenza di 230-350/min.
— tipo II: onde di flutter positive in II, III, aVF con frequenza di 340-430/min.
Generalmente, a causa di un blocco AV di II grado di protezione (spesso 2:1 o 3:1) la
frequenza ventricolare è minore, corrispondente cioè al rapporto del blocco. Esiste però
il pericolo di una conduzione 1:1 con tachicardia ventricolare minacciosa. In presenza
di un blocco 2:1 i ventricoli battono in genere tra 125-150/min. (diagnosi differenziale:
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tachicardia parossistica sopraventricolare: 160-200/min.) In caso di conduzione AV costante, tachicardia regolare; in caso di conduzione AV incostante, tachicardia irregolare; complesso ventricolare stretto (eccezione in caso di conduzione aberrante in questo caso i singoli complessi ventricolari sono allargati).
Ecocardiografia transesofagea: per escludere la presenza di trombi in atrio sinistro.
Terapia
• Causale (quando possibile).
• Sintomatica
— la sovrastimolazione atriale («overdrive stimulation») è di norma efficace solo
nel tipo I («common type»)
— elettrocardioversione inizialmente con 100 J (Ws).
Se l’elettroterapia non è attuabile, si può procedere ad un tentativo terapeutico con
verapamil (per dosaggio, effetti collaterali e controindicazioni: vedi cap. Fibrillazione
atriale).
Oggi è possibile un trattamento curativo tramite ablazione elettrica ad alta frequenza del centro aritmogeno; tasso di successo 90%.
FIBRILLAZIONE ATRIALE
Epidemiologia: forma più frequente di tachiaritmia sopraventricolare. Nello 0,5% degli
adulti, nel 10% in età > 70 anni.
Eziologia
— Primaria o idiopatica, nei soggetti sani di cuore (circa 15% dei casi)
— Secondaria:
• cause cardiache: vizi mitralici (causa più frequente nei pazienti più giovani), malattia coronarica/infarto e insufficienza cardiaca sinistra (causa più frequente nei
pazienti più anziani), cardiomiopatia, mio/pericardite, interventi chirurgici al cuore, «sick-sinus syndrome», sindrome da preeccitazione
• cause extracardiache: ipertensione arteriosa, embolia polmonare, ipertiroidismo,
trauma cardiaco, intossicazione da alcool («holiday heart syndrome»), intossicazione da farmaci (ad es. β-simpaticomimetici).
Patogenesi
Micro-rientro. Il fronte di stimolazione irregolare ricircola così lentamente nell’atrio
che incontra sempre il tessuto stimolabile. L’elevata frequenza della fibrillazione atriale
pari a 350-600/min non sempre provoca una contrazione atriale efficace dal punto di
vista meccanico (la sola soppressione della funzione di pompa atriale diminuisce la gittata di circa il 20%!). Grazie alla funzione di sbarramento del nodo AV, solo una piccola parte delle stimolazioni atriali passa al ventricolo. Per l’irregolarità dell’attività
ventricolare con conseguente variabile durata di riempimento diastolico, si giunge a gittate sistoliche assai variabili, con oscillazioni della pressione sistolica e deficit del polso. Con l’aumento della tachiaritmia la portata cardiaca si abbassa.
ECG: per la conduzione irregolare nel nodo AV si instaura una aritmia ventricolare assoluta con frequenza tra 100-150/min. (tachiaritmia assoluta). In caso di frequenza <
60/min. (ad es. sick-sinus syndrome) si parla di bradiaritmia assoluta. Assenza di onde
P, intervalli RR irregolari, onde di fibrillazione (movimento di fibrillazione della linea
isoelettrica, più pronunciato in V1). I complessi ventricolari sono di norma stretti. Una
conduzione ventricolare aberrante può però condurre a complessi ventricolari allargati,
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sia singoli sia (più raramente) a salve; ciò si verifica tipicamente a seguito di un intervallo sistolico lungo e poi breve (fenomeno di Ashwan). Diagnosi differenziale: extrasistolia ventricolare/salve di extrasistoli.
Decorso
Fibrillazione transitoria (una volta) - parossistica (a crisi) - cronica/persistente.
Nella fibrillazione atriale parossistica (che dopo anni può evolvere a fibrillazione atriale cronica) si possono distinguere talvolta due tipi:
— tipo vagotonico: prima della fibrillazione atriale parossistica si ha una diminuzione
della frequenza cardiaca; si verifica maggiormente di notte oppure a riposo;
— tipo simpaticomimetico: prima della fibrillazione atriale parossistica si nota un aumento della frequenza cardiaca; si verifica frequentemente al mattino oppure sotto
stress o sforzo.
Clinica: specialmente nella forma parossistica, compaiono: palpitazioni, eventuale sensazione di vertigine, sincope e dispnea in caso di tachiaritmia con diminuzione della gittata, senso di paura, poliuria (da effetto dell’ANP), polso irregolare (= differenza tra
polso centrale e periferico) e ridotto in ampiezza.
Complicanze
1. Formazione di trombi atriali con pericolo di embolia arteriosa, soprattutto nel circolo sistemico (embolie cerebrali). In caso di fibrillazione atriale parossistica il rischio di trombosi è relativamente basso nelle prime 24-48 ore.
Basso rischio di embolia in caso di fibrillazione atriale parossistica idiopatica in
soggetti senza cardiopatia di base. Elevato rischio in caso di fibrillazione atriale
cronica; in questo caso il rischio di embolia cerebrale è del 6% all’anno, in particolare in presenza di fattori di rischio aggiuntivi.
Fattori di rischio tromboembolico:
• età > 65 anni
• pregresso infarto cerebrale o TIA
• tromboembolia sistemica
• insufficienza cardiaca con ridotta frazione d’eiezione
• sostituzione di valvole cardiache
• stenosi mitralica
• ipertensione arteriosa
• riscontro all’ecocardiogramma transesofageo di: dilatazione atriale, trombi atriali,
ecoreflettività spontanea aumentata, velocità di flusso dell’auricola atriale < 20
cm/sec., placche aortiche.
2. Insufficienza cardiaca sinistra acuta in caso di tachiaritmia o bradiaritmia (riduzione
critica della gittata).
Diagnosi: anamnesi, clinica (polso con aritmia totale), ECG.
Terapia
• Causale (quando possibile).
• Sintomatica:
1° obiettivo: normalizzazione della frequenza ventricolare
a) Nei pazienti con insufficienza cardiaca, digitalizzazione rapida dopo controllo
del potassio plasmatico: la digitale riduce la frequenza ventricolare (azione dromotropa negativa). Nella fibrillazione atriale la tachiaritmia «esige la digitale»!
b) Antiaritmici:
— verapamil: è molto efficace nel normalizzare la frequenza ventricolare in
caso di tachiaritmia.
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Dosaggio: 5-10 mg lentamente e.v. (10 min) controllando l’ECG
per os 80 mg × 3 al giorno.
Controindicazioni: tachicardia da rientro nella sindrome WPW, tachicardia
ventricolare, ipotensione arteriosa, insufficienza cardiaca conclamata, sicksinus syndrome, ecc.
— betabloccanti: terapia di scelta in caso di tachiaritmia da ipertiroidismo. Il
verapamil non deve essere associato ai betabloccanti (pericolo di blocco
AV).
Controindicazioni: insufficienza cardiaca, asma bronchiale.
Nota: in caso di fibrillazione atriale e sindrome WPW (Wolf-Parkinson-White) digitale, adenosina e verapamil sono controindicati (vedi cap. Sindrome
WPW).
Quando, in casi rari, non è possibile raggiungere col trattamento farmacologico una adeguata riduzione della frequenza ventricolare tachiaritmica, esiste
la possibilità di «modificare» il nodo AV tramite elettroterapia ad alta frequenza.
2° obiettivo: cardioversione della fibrillazione atriale = ritorno al ritmo sinusale
Premesse per un tentativo di cardioversione:
— fibrillazione atriale insorta entro i 12 mesi precedenti (indicazione orientativa)
— assenza di cardiopatia di base in fase avanzata
— diametro atriale sinistro < 5,5 cm (ecocardiogramma)
— trattamento curativo con rimozione delle cause della fibrillazione atriale (ad
es. ipertiroidismo)
— assenza di sick-sinus syndrome (posizionamento preliminare di pace-maker)
— vizio mitralico solamente in stadio I o II
— i pazienti con cardiopatia di base, in particolare insufficienza cardiaca, devono essere trattati sempre sotto controllo monitor (pericolo di effetti collaterali
proaritmici in caso di cardioversione farmacologica). Potassiemia e intervallo
QT devono essere normali
— una concomitante somministrazione di preparati di potassio e magnesio può
forse ridurre gli effetti collaterali proaritmici degli antiaritmici.
Le probabilità di successo di un tentativo di cardioversione si riducono:
a) quando il diametro dell’atrio sinistro è > 4,5 cm
b) in caso di ridotta efficienza di pompa del cuore
c) in caso di fibrillazione atriale di lunga durata
— se la fibrillazione atriale dura da più di 48 ore è richiesta la prevenzione del
tromboembolismo con anticoagulanti per almeno 4 settimane prima e 4 settimane dopo la cardioversione + esclusione di trombi nell’atrio sinistro (ecocardiografia transesofagea)
a. Cardioversione farmacologica: la digitale è la terapia di base
— pazienti senza cardiopatia di base: somministrazione di un antiaritmico di
classe I
— pazienti con cardiopatia di base: somministrazione di amiodarone. Il tentativo di riportare in ritmo questi pazienti deve essere eseguito sotto controllo continuo in ambiente specialistico (per il rischio di morte improvvisa)
— i pazienti con fibrillazione atriale parossistica possono spesso essere riportati in ritmo con una dose singola di uno degli antiaritmici sopra citati.
Nei pazienti sani di cuore ciò può essere praticato ambulatorialmente (evtl. anche dal paziente istruito a farlo)
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Nota: nei pazienti con fibrillazione atriale parossistica i diuretici possono
scatenare una crisi.
b. Cardioversione elettrica con ECG sincronizzato, con una scarica iniziale di
100 J in caso di fibrillazione atriale. Se il paziente è cosciente, si pratica preliminarmente una narcosi rapida e.v. (ad es. diazepam 10 mg + etomidato 20
mg e.v. lentamente). Indicazione assoluta: minaccia di shock cardiogeno; indicazione relativa: insuccesso della cardioversione farmacologica. La potassiemia deve essere normale. Un precedente trattamento con digitale non costituisce una controindicazione salvo che nei casi in cui la digitalemia sia a livelli
di tossicità.
c. Se la cardioversione elettrica esterna non ha successo, può averlo una defibrillazione intra-atriale.
3° obiettivo: prevenzione del tromboembolismo
Prevenzione primaria, secondo i suggerimenti dell’American College of Chest
Physicians, 1998:
Età
Fattori di rischio
Suggerimento
< 65
assenti
presenti
ASA 300 mg/die
dicumarolici, INR 2-3
65-75
assenti
presenti
dicumarolici oppure ASA
dicumarolici, INR 2-3
> 75 (*)
assenti o presenti
dicumarolici, INR 2-3
(*) premessa: assicurarsi della compliance del paziente per il trattamento; non aumenta
significativamente il rischio di caduta; evtl. alternativa: eparina a bassa dose.
Prevenzione secondaria dell’embolia cerebrale (dopo TIA o infarto cerebrale):
trattamento con dicumarolici, con INR 2-4 (protezione migliore con INR 3-4, rischio emorragico minore con INR 2-3).
In caso di fibrillazione atriale e cardiopatia ischemica il trattamento con dicumarolici rende superflua la somministrazione di ASA.
4° obiettivo: prevenzione delle recidive
La frequenza di recidiva di fibrillazione atriale dopo cardioversione elettrica è intorno al 30% entro una settimana e al 60% entro un anno. Nella prevenzione farmacologica a lungo termine delle recidive, l’impiego di antiaritmici di classe I
porta a un peggioramento della prognosi nei soggetti con cuore precedentemente
danneggiato da effetti collaterali pro-aritmici, ed è pertanto controindicato.
I betabloccanti possono ridurre un poco il rischio di recidiva e abbassano la frequenza cardiaca.
In fase di studio:
• ablazione elettrica ad alta frequenza di foci ectopici a livello dell’atrio o delle
vene polmonari
• defibrillatore atriale impiantabile per pazienti selezionati con fibrillazione atriale parossistica
• intervento chirurgico («maze operation») per la stabilizzazione del ritmo sinusale.
Prognosi: dipende dalla malattia cardiaca o extracardiaca di base, dal rischio di embolia ad
essa collegato e da una buona prevenzione del tromboembolismo.
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TACHICARDIA VENTRICOLARE (TV)
Eziologia
Generalmente di natura organica grave (cardiopatia ischemica, infarto miocardico, miocarditi). Sovradosaggio/intossicazione da digitale o alcuni antiaritmici (ad es. chinidina). Raramente tachicardia ventricolare idiopatica nel soggetto giovane e sano.
Patogenesi: il focus di TV recidivanti dopo infarto si trova tipicamente nella zona di passaggio tra cicatrice infartuale e miocardio vitale (meccanismo di rientro).
Clinica: a seconda della gravità e durata della TV e dello stato di funzionalità del cuore, i
sintomi variano da tachicardia, dispnea, angina pectoris fino all’edema polmonare ed
allo shock cardiogeno.
ECG
— Tachicardia regolare (di norma 120-200/min)
— Deformazione a tipo blocco di branca di almeno 3 complessi QRS successivi (QRS
≥ 0,12 sec.)
• TV monomorfa con complesso ventricolare uniforme
• TV polimorfa con complesso ventricolare polimorfo
• TV protratta = durata > 30 sec.
• TV non protratta = durata < 30 sec.
— Dissociazione AV = azione non coordinata di atri e ventricoli: le onde P si formano
con frequenza lenta, indipendentemente dai complessi QRS. Segni clinici di una dissociazione AV sono presenti nel 50% dei casi: onde atriali irregolari a livello delle
vene del collo, intensità variabile del 1° tono cardiaco, entità variabile della pressione sistolica.
Diagnosi differenziale: i complessi QRS a tipo blocco di branca possono talvolta presentarsi anche in caso di tachicardia sopraventricolare:
1. quando anche nell’intervallo libero si manifesta un blocco di branca
2. in caso di conduzione ventricolare aberrante.
Dall’ECG di superficie spesso non si riscontra la normale successione temporale delle
onde P e dei complessi ventricolari (dissociazione AV) riconoscibile nella tipica tachicardia ventricolare. Talvolta la dissociazione AV è incompleta cosicché l’impulso sinusale può stimolare il miocardio ventricolare (battito di cattura ventricolare) e il complesso QRS sarà normale; in questo caso, se è già innescata la stimolazione ventricolare, ne risultano delle morfologie combinate tra il complesso QRS normale e la morfologia tipica del blocco di branca: battito di fusione.
Nota: in caso di tachicardia associata a blocco di branca, occorre cercare sempre il battito di cattura e i battiti di fusione (registrazione protratta dell’ECG), poiché essi dimostrano la presenza di una tachicardia ventricolare! La stimolazione del vago può interrompere una tachicardia sopraventricolare senza tuttavia influire sulla tachicardia ventricolare. Tutte le tachicardie con complesso QRS allargato vanno trattate, sino a dimostrazione del contrario, come se fossero delle tachicardie ventricolari («treat the worst
case»).
Terapia: la tachicardia ventricolare è un disturbo del ritmo pericoloso per la vita, pertanto
bisogna agire immediatamente! (pericolo imminente di fibrillazione ventricolare, shock
cardiogeno).
1. Terapia acuta:
— controllare una eventuale terapia digitalica e la potassiemia
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— antiaritmici:
• farmaco di prima scelta ajmalina. Al contrario della lidocaina, questa è efficace sia nella tachicardia ventricolare sia nella tachicardia sopraventricolare. Anche la frequenza di successi (60%) è nettamente superiore a quella con lidocaina. Dosaggio: negli adulti 25-50 mg e.v. lentamente in 5 min (sotto controllo
ECG). È da evitare la somministrazione successiva di antiaritmici diversi
• la lidocaina è il farmaco di prima scelta nelle tachicardie ventricolari in corso di infarto miocardico acuto. Dosaggio: 100 mg e.v. lentamente (in 5 min.)
sotto controllo ECG
• cardioversione elettrica in narcosi rapida; scarica iniziale 50 J.
Indicazioni: minaccia di shock cardiogeno ed edema polmonare, insuccesso
della terapia con ajmalina
• nella tachicardia con «torsione di punta» il farmaco di scelta è l’infusione di
magnesio
2. Trattamento della malattia di base: è fondamentale, ad es. misure di rivascolarizzazione in caso di cardiopatia ischemica
3. Prevenzione delle recidive. Nei pazienti post-infartuati e nei pazienti con ridotta efficienza cardiaca è possibile ridurre significativamente l’incidenza di morte cardiaca
improvvisa con i betabloccanti. Un trattamento a lungo termine con antiaritmici di
classe IC (studio CAST) o con sotalolo (studio SWORD) ha portato al peggioramento della prognosi nei pazienti post-infartuati. Anche l’amiodarone non riduce la
mortalità nei gruppi a rischio (studi EMIAT e CAMIAT). I pazienti a rischio di fibrillazione ventricolare possono essere adeguatamente protetti solo dall’impianto di
un cardiovertitore/defibrillatore impiantabile (ICD).
Prognosi: dipende dalla malattia di base cardiaca e dall’efficacia della prevenzione delle
recidive.
FLUTTER E FIBRILLAZIONE VENTRICOLARE
Definizione
Flutter ventricolare: ECG: tipiche onde a U di grande ampiezza, con frequenza di 250350/min; facile evoluzione da tachicardia ventricolare a flutter e fibrillazione ventricolari.
Fibrillazione ventricolare: forma ipersistolica dell’arresto circolatorio da contrazioni
inefficaci scoordinate del miocardio ventricolare e mancanza di portata; ECG: onde di
fibrillazione aritmiche ad elevata frequenza (inizialmente grossolane e irregolari, poi
più regolari), con una frequenza > 320/min.
Patogenesi
Meccanismo di microrientro.
Eziologia: abbassamento della soglia di fibrillazione da:
1. ipossia (affezione cardiaca coronarica, infarto cardiaco, cardiomiopatie, ecc.)
2. disturbi elettrolitici (ipopotassiemia, ipercalcemia, ipomagnesiemia)
3. incidente elettrico, traumi cardiaci.
4. alterazione congenita dell’innervazione simpatica cardiaca (ereditarietà autosomica
dominante)
5. sindrome del QT lungo («long QT syndrome» = LQTS) = tempo QT patologicamente lungo.
a) LQTS transitoria acquisita cause:
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• farmaci
— antiaritmici (classe I e III)
— antidepressivi tri- e tetraciclici, fenotiazine
— derivati dell’adrenalina
— antiistaminici: terfenadina
— antimicotici: ketoconazolo, itraconazolo
— antibiotici: eritromicina, cotrimossazolo, pentamidina
— antimalarici: chinina, alofantrina
— altri: vasopressina, cisapride
• stupefacenti: cocaina
b) LQTS permanente ereditaria: gruppo di affezioni rare, geneticamente eterogenee:
• sindrome di Romano-Ward: 4 varianti (LQTS 4 è sconosciuta):
Sindrome
Localizzazione
cromosomica
Gene
Prodotto
genico
LQTS 1
11 p 15.5
KCNQ 1
KvLQT1
del canale K+
LQTS 2
7 q 35-36
HERG
HERG
del canale K+
LQTS 3
3 p 21-24
SCN5A
subunità α del
canale Na+ hH1
muscolare cardiaco
LQTS 5
21 q 22.1-22.2
KCNE1
subunità β, mink
del KvLQT1
Ereditarietà
autosomica
dominante
• sindrome di Jervell/Lange-Nielsen: LQTS 1 oppure 5 + sordità; ereditarietà
autosomica recessiva
• LQTS sporadica (in caso di anamnesi famigliare negativa).
Caratteristiche dell’LQTS ereditaria: già in
età infantile sincopi da fibrillazione ventricolare parossistica a tipo «torsione di punta», cosiddetta perché i complessi ventricolari assumono progressivamente, rispetto alla linea isoelettrica, un orientamento in senso opposto.
Clinica: arresto circolatorio con perdita di coscienza, assenza delle pulsazioni, arresto respiratorio, pupille dilatate, insensibili alla luce.
Terapia
1. sintomatica: rianimazione (respirazione artificiale + massaggio cardiaco + defibrillazione; vedi cap. Arresto cardiocircolatorio). Nella torsione di punta il farmaco di
scelta è il solfato di magnesio 2 g e.v. seguiti da 2-20 mg/min. (con somministrazione troppo veloce, pericolo di blocco AV!). Alla cardioversione segue di solito la
recidiva dell’aritmia
2. causale: rimozione dei fattori causali. Sono vietati tutti i farmaci che prolungano il
tempo QT o che possono provocare ipopotassiemia (attenzione alle interazioni!).
Misure di rivascolarizzazione in caso di cardiopatia ischemica
3. nella LQTS congenita trattamento preventivo con betabloccanti (senza ISA) + magnesio per via orale. Se ciò non è sufficiente impianto di defibrillatore/cardiovertitore.
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Prognosi
Il progetto QT di Rotterdam ha dimostrato un aumento della mortalità del 60-70% entro 15 anni nei casi in cui il tempo QT è > 440 msec. La mortalità a 5 anni dell’LQTS
ereditaria non trattata è del 50%.
PARAARITMIE (RITMI DOPPI)
Definizione: comparsa di 2 (o più) pace-maker indipendenti che agiscono contemporaneamente (parasistolia) oppure si scambiano nella loro funzione segnapassi (dissociazione
AV condizionata dalla frequenza).
Diagnosi differenziale: nel blocco AV di III grado il ritmo ventricolare e quello atriale
sono completamente indipendenti.
1. Dissociazione AV condizionata dalla frequenza:
a) senza relazione di ritmo: dissociazione AV semplice.
Atri e ventricoli battono temporaneamente indipendentemente gli uni dagli altri;
la frequenza ventricolare è determinata da un focus automatico ectopico sito nel
nodo AV o nei ventricoli.
ECG: le onde P ed i complessi QRS hanno frequenza simile, ma senza interrelazione: le onde P attraversano il complesso QRS.
Causa: manifestazione fugace, spesso inoffensiva nella distonia vegetativa, occasionalmente nell’infarto cardiaco o effetto tossico della digitale.
b) con relazione di ritmo: dissociazione da interferenza.
Atri e ventricoli battono come nella dissociazione AV semplice indipendentemente gli uni dagli altri, pur essendo la frequenza del ritmo nodale AV superiore al ritmo sinusale (blocco di protezione retrograda del nodo del seno).
Causa: labilità vegetativa, cause tossiche (digitale, chinidina, ecc.), infarto cardiaco ed altre affezioni cardiache.
2. Parasistolia (rara)
La contrazione ventricolare è comandata da due pace-maker che agiscono indipendentemente l’uno dall’altro. Accanto al ritmo sinusale si osserva un ritmo ventricolare più lento (che, a causa di un blocco protettivo, non viene cancellato dal ritmo
sinusale più veloce).
DISTURBI DI CONDUZIONE DELLO STIMOLO
BLOCCO SENOATRIALE (BLOCCO SA)
Si distinguono 3 gradi di gravità.
Blocco SA di I grado
Ritardata conduzione dell’eccitazione dal nodo del seno alla muscolatura atriale. Non
riconoscibile all’ECG.
Blocco SA di II grado, tipo 1 con periodismo di Wenckebach
ECG: il tempo PQ rimane costantemente uguale, gli intervalli PP si riducono fino all’arrivo di una pausa più lunga, che è sempre più breve del doppio dei precedenti intervalli PP (diagnosi differenziale: aritmia sinusale).
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Blocco SA di II grado, tipo 2 (Mobitz)
ECG: compaiono delle pause la cui durata corrisponde al doppio o ad un multiplo del
normale intervallo PP.
Blocco SA di III grado
Assenza totale di conduzione dello stimolo al miocardio atriale. Quando il ritmo di
scappamento, ventricolare o atrio-ventricolare, compare troppo in ritardo, si va incontro
ad un attacco di Adams-Stokes con un blocco AV totale e all’ECG non è possibile distinguere il blocco SA di III grado dall’arresto sinusale (= arresto del nodo del seno).
Eziologia: coronaropatie, infarto miocardico, sick sinus syndrome, sovradosaggio digitalico
o di antiaritmici, miocarditi.
Clinica: in caso di blocco più elevato con intervalli asistolici più lunghi oppure marcata
bradicardia si hanno sintomi che vanno dalle vertigini sino alla perdita della coscienza/sincope (attacco di Adams-Stokes).
Diagnosi: ECG (Holter).
Terapia
In caso di intossicazione da digitale o da antiaritmici sospensione di questi farmaci. In
caso di urgenza tentativo con atropina. Nelle vertigini/sincopi (attacco di AdamsStokes) terapia con pace-maker.
BLOCCO ATRIOVENTRICOLARE (BLOCCO AV)
Si distinguono 3 gradi di gravità.
Blocco AV di I grado
Nessun sintomo, riconoscibile solo all’ECG: intervallo PQ prolungato oltre 0,20 sec.
All’ECG del fascio di His è allungato l’intervallo AH. In caso di prolungamento PQ
elevato, l’onda P può cadere nella fase di ripolarizzazione del battito precedente.
Blocco AV di II grado/Tipo Mobitz 1 (con periodismo di Wenckebach)
La localizzazione del blocco è posta superiormente al fascio di His. All’ECG, l’intervallo PP resta costante mentre l’intervallo PQ si allunga progressivamente ad ogni battito fino alla scomparsa di un battito cardiaco. La pausa che si verifica è sempre più
breve del doppio dell’intervallo PP. All’ECG del fascio di His si ha un ritardo o un
blocco di conduzione supra-His con prolungamento crescente del tempo AH fino a che
viene a mancare un potenziale di His. Questo fenomeno si può ripetere periodicamente.
Blocco AV di II grado/Tipo 2 (Mobitz)
La localizzazione del blocco è generalmente a livello o sotto il fascio di His. ECG:
mancanza improvvisa di un complesso QRS dopo un’onda P normale, con tempo PQ
normale o prolungato ma non variabile. La pausa è pari al doppio dell’intervallo PP. Se
viene condotto uno stimolo ogni 2 impulsi sinusali, si parla di blocco 2:1, se 1 ogni 3
di blocco 3:1. La causa è sempre legata a malattie cardiache organiche, ed esiste il pericolo di una progressione in blocco AV di III grado con attacchi di Adams-Stokes; vi
è pertanto l’indicazione assoluta all’impianto di un pace-maker.
All’ECG del fascio di His si manifesta un ritardo o, più precisamente, un blocco di
conduzione infra-His con prolungamento dell’intervallo HV o con perdita periodica di
singoli potenziali ventricolari (ad intervallo AH normale).
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Diagnosi differenziale: all’ECG di superficie, il blocco AV di II grado/tipo 2 con conduzione 2:1 non è distinguibile con certezza da un blocco AV di II grado/tipo 1 con
mancanza di un complesso QRS ogni 2 test con atropina (0,5-1,0 mg e.v.) oppure
ECG sotto sforzo: nel blocco AV di II grado/tipo 1 la conduzione AV migliora con allungamento del periodismo di Wenckebach (oppure trasformazione in blocco AV di I
grado). Nel blocco AV di II grado/tipo 2 la conduzione AV peggiora con conseguente
passaggio da blocco 2:1 a blocco 3:1 o anche 4:1.
Blocco AV di III grado = blocco AV totale
Blocco completo della conduzione AV con dissociazione atrioventricolare completa
(onde P con frequenza normale senza rapporto coi complessi QRS lenti). La funzione di
segnapassi viene assunta da pace-maker secondari a livello del nodo AV oppure del fascio di His (con complessi ventricolari stretti e una frequenza > 40/min.) oppure da pace-maker terziari posti nel miocardio ventricolare (con complessi ventricolari deformati
a tipo blocco di branca e frequenza < 40/min.). Il tempo di latenza sino all’entrata in
funzione del centro sostitutivo viene definito intervallo pre-automatico.
Eziologia
• ipertono vagale, ad es. negli sportivi
• affezione cardiaca coronarica ed infarto, miocardite, cardiomiopatie, vizi cardiaci
congeniti
• intossicazione da farmaci (digitale, antiaritmici), iperpotassiemia
• post-traumatica
• degenerazione idiopatica del sistema di conduzione degli stimoli (malattia di Lenegre)
e sclerosi/calcinosi idiopatica della struttura cardiaca connettivale (malattia di Lev).
Nota: i disturbi di conduzione AV nell’infarto della parete posteriore (ischemia transitoria del nodo AV) hanno una prognosi più favorevole di quelli nell’infarto della parete anteriore con interessamento del setto (blocco della branca di Tawara).
Clinica
In caso di blocco AV totale vi sono due pericoli:
1. asistolie più lunghe tra l’inizio del blocco totale e il manifestarsi di un ritmo ventricolare sostitutivo (= intervallo pre-automatico) portano ad una forma ipodinamica
dell’attacco di Morgagni-Adams-Stokes.
Durata dell’asistolia:
3- 5 sec.: pallore, vertigini
10-15 sec.: perdita di coscienza
20-30 sec.: convulsioni (diagnosi differenziale: epilessia)
30-60 sec.: arresto respiratorio
> 3 min.: danni cerebrali irreversibili, anche letali.
Durante l’attacco le pupille sono ditalate, i riflessi indeboliti o non evocabili. Ogni
attacco può essere letale
2. in caso di forte bradicardia (< 40/min) si sviluppa una insufficienza cardiaca.
Diagnosi differenziale
— Disturbi tachicardici del ritmo, compresi fibrillazione e flutter ventricolari
— Altre cause di sincope (vedi).
Diagnosi
— Anamnesi + clinica (vertigini, sincopi?)
— ECG (di Holter)
— ECG del fascio di His.
Con l’aiuto dell’ECG del fascio di His registrato per vita intracardiaca si può suddivi-
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dere il tempo di conduzione globale ottenuto dal tempo PQ dell’ECG convenzionale in
una conduzione prima e dopo il fascio di His. Si distinguono:
• blocco supra-His (giunzionale);
intervallo AV prolungato o assenza del potenziale H
• blocco intra- e infra-His (blocco subgiunzionale):
intervallo HV prolungato o assenza del potenziale V.
A = eccitazione atriale
H = eccitazione del fascio di His
V = eccitazione ventricolare
Nodo del seno
Tempi normali:
Nodo AV
Fascio di His
PA = 25-50 msec.
AH = 60-125 msec.
HV = 35-55 msec.
Branca sinistra
Sistema di conduzione
P
Branca destra
A
ECG convenzionale
V
H
ECG del fascio di His
PA
AH
HV
I blocchi giunzionali localizzati a livello prossimale hanno una prognosi migliore dei
blocchi subgiunzionali localizzati a livello distale: i blocchi supra-His sono spesso reversibili, portano più raramente ad attacchi di Adams-Stokes e spesso manifestano un
ritmo sostitutivo dal fascio di His con frequenze ancora accettabili attorno ai 40/min. In
presenza di un blocco infra-His il ritmo sostitutivo ventricolare, spesso molto lento
(con una frequenza tra i 20-30/min), si manifesta frequentemente soltanto dopo un intervallo pre-automatico più lungo, dunque elevato rischio di attacchi di Adams-Stokes!
Terapia
a) trattamento causale: sospensione di digitale o antiaritmici se intossicazione farmacologica, trattamento della miocardite, dell’infarto cardiaco
b) trattamento sintomatico:
— blocco AV di I e II grado (Wenckebach): oltre a misure causali (come controllare ed eventualmente sospendere la terapia con digitale), non è quasi mai necessaria una terapia sintomatica. In caso di forte bradicardia eventualmente atropina. L’orciprenalina può provocare extrasistoli ventricolari ed è pertanto controindicata nella bradicardia da digitale!
— blocco AV di II grado (Mobitz): poiché trattasi quasi sempre di un blocco infraHis con pericolo di blocco totale, vanno sospesi i farmaci che ritardano la conduzione (digitale, antiaritmici). Va esaminata l’indicazione a una terapia con pace-maker.
L’atropina non deve essere somministrata perché porta ad un peggioramento con
pericolo di blocco AV totale.
La terapia con pace-maker è indicata in caso di disturbi nell’anamnesi (vertigini, sincopi) oppure incombente blocco AV totale.
— blocco AV di III grado: in caso di attacco di Adams-Stokes rianimazione come
per l’arresto circolatorio (vedasi più avanti) e impianto di pace-maker.
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BLOCCHI INTRAVENTRICOLARI
Localizzazione: al di sotto del fascio di His (blocchi infra-His).
In relazione alla struttura trifascicolare del sistema di conduzione intraventricolare, si distinguono:
1. blocchi monofascicolari
2. blocchi bifascicolari
3. blocchi trifascicolari.
Come per gli altri disturbi di conduzione, si distinguono 3 gradi di gravità:
I grado: blocco incompleto
II grado: blocco intermittente
III grado: blocco permanente.
Ad eccezione del blocco trifascicolare (che all’ECG di superficie è simile al blocco AV totale), i blocchi di branca sono per lo più asintomatici (diagnosi elettrocardiografica).
Blocco di branca destra (BBD) completo
Blocco nella branca destra di Tawara. ECG: QRS ≥ 0,12 sec., inizio ritardato della deflessione negativa con discordanza del tratto ST-T rispetto al QRS, onde S profonde in I, onda
R in V1 e QRS a forma di M.
Blocco di branca destra incompleto
Tempo QRS ≤ 0,10-0,11 sec.; rSr’ oppure RSr’ in V1-2
Emiblocco anteriore sinistro (EAS)
È la forma più frequente di blocco intraventricolare; ECG con deviazione assiale sinistra:
tipo RI/SII/SIII con profonde onde S fino a V6.
Emiblocco posteriore sinistro (EPS)
ECG: deviazione assiale destra con QRS di durata normale; diagnosi possibile soltanto se
la deviazione destra non è spiegabile con sovraccarico del cuore destro.
Blocco di branca sinistra (BBS) completo
Esso può essere unifascicolare (fascicolo di Tawara sinistro bloccato prima della biforcazione) oppure bifascicolare (EAS + EPS).
ECG: tempo QRS ≥ 0,12 sec., inizio ritardato della deflessione negativa, onda S ampia e
profonda in V1-2, complesso ventricolare scisso in V5-6; discordanza tra il tratto finale
(ST/T) e il complesso ventricolare (QRS). In I/aVL assenza dell’onda Q.
Blocco di branca sinistra incompleto
Tempo QRS 0,10-0,11 sec.
R1
R
S
Derivazione V1:
Blocco di branca destro
Blocco di branca sinistro
L’esistenza contemporanea di due blocchi monofascicolari (blocco bifascicolare) può
preludere ad un blocco trifascicolare (con pericolo di attacco di Adams-Stokes, come
nel caso del blocco AV totale).
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Eziologia
Cardiopatia ischemica, infarto miocardico, miocarditi e cardiomiopatie; sovraccarico del
cuore destro (ad es. dovuto a vizi congeniti oppure embolia polmonare blocco di
branca destro incompleto o completo), idiopatica (m. di Lenegre e m. di Lev).
Terapia
— eziologica della malattia di base;
— in caso di blocchi bifascicolari (ad esempio blocco di branca destra + emiblocco
anteriore sinistro), si deve valutare l’indicazione al pace-maker; generalmente essa è
costituita dal dato anamnestico di vertigini o sincopi, oppure dalla contemporanea
presenza di un blocco AV I° (allungamento PQ) se l’ECG del fascio di His evidenzia un prolungamento dell’intervallo HV si consiglia a scopo preventivo l’impianto di pace-maker;
— terapia del blocco trifascicolare come nel blocco AV totale (vedi sopra).
SICK SINUS SYNDROME (SSS)
1. Bradicardia sinusale persistente.
2. Arresto sinusale intermittente o blocco AV.
3. Sindrome bradicardia-tachicardia: tachicardia parossistica sopraventricolare oppure
fibrillazione/flutter atriale. Dopo la tachicardia segue una pausa asistolica prolungata prima che ricominci il ritmo sinusale eventualmente bradicardico che può provocare ischemia cerebrale con vertigini e sincopi.
Nota: la sindrome del seno carotideo può occasionalmente indicare una sick sinus
syndrome.
Eziologia
1. malattia coronarica cardiaca
2. miocardite e cardiomiopatia (eventualmente con autoanticorpi anti nodo del seno)
3. degenerazione idiopatica del sistema di conduzione (M. di Lenegre e M. di Lev).
Clinica
Nelle fasi tachicardiche: palpitazioni, dispnea, angina pectoris. Nelle fasi bradicardiche:
vertigini e sincopi (attacchi di Adams-Stokes), insufficienza cardiaca.
Diagnosi
• ECG dinamico secondo Holter: rilevazione e quantificazione dei disturbi del ritmo
bradicardico
• ECG sotto sforzo: nella SSS manca un adeguato aumento della frequenza sotto sforzo
• test con atropina: dopo iniezione di 1 mg di atropina e.v., la frequenza cardiaca, nella SSS, non supera 80/min.
Controindicazioni: glaucoma, adenoma della prostata.
• tempo di recupero del nodo del seno prolungato (> 1.500 msec.) = tempo necessario
alla ripresa del ritmo sinusale dopo precedente stimolazione atriale rapida (tramite
pace-maker).
Terapia
— impianto di pace-maker, in presenza di sintomi da bradicardia (vertigini, sincopi, insufficienza cardiaca)
— in caso di tachicardia/bradicardia con disturbi clinici: pace-maker e trattamento antiaritmico.
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SINDROME DEL SENO CAROTIDEO
Epidemiologia
Spesso nei soggetti anziani (sino al 25%). Il 90% dei pazienti è asintomatico.
Definizione
Ipersensibilità dei barocettori posti nell’area della biforcazione carotidea con disturbi
clinici dopo stimolazione della carotide; la stimolazione vagale può condurre a:
• asistolia o forte bradicardia (= tipo cardioinibente, 90% dei casi) oppure:
• abbassamento della PA > 50 mm Hg senza bradicardia (= tipo vasodepressivo, 10%
dei casi)
• forma mista.
Eziologia: quasi sempre di origine arteriosclerotica (nell’uomo anziano).
Clinica: vertigini, sincopi a seguito di movimenti spontanei della testa o di costrizione del
collo oppure dopo massaggio della biforcazione carotidea.
Diagnosi: anamnesi + tentativo di compressione sulla carotide: asistolia > 3 secondi e/o
abbassamento pressorio > 50 mm Hg dopo massaggio/compressione unilaterale sulla
carotide (attenzione ai pazienti con stenosi carotidea!). Poiché il tentativo di compressione sulla carotide dà esito positivo nel 25% dei pazienti > 65 anni, esso deve essere
sempre valutato insieme ai dati clinico-anamnestici.
Terapia: terapia con pace-maker solo se in anamnesi si rilevano disturbi (vertigini, sincopi), correlati ai movimenti spontanei della testa o del collo.
ARRESTO CARDIOCIRCOLATORIO
2 forme:
1. arresto cardiaco tachisistolico (iperdinamico) (80% dei casi) dovuto a fibrillazione/flutter ventricolare e tachicardia ventricolare senza polso;
2. arresto cardiaco asistolico (ipodinamico) (20% dei casi) dovuto all’asistolia o alla
dissociazione elettromeccanica senza polso: attività elettrica all’ECG in assenza di
attività meccanica di pompa.
Forma particolare: dissociazione elettromeccanica = iposistolia = «weak action» = arresto circolatorio malgrado la presenza di un’attività elettrica organizzata all’ECG (arresto cardiaco meccanico, ma non elettrico).
Eziologia
1. cause cardiache (> 90% di tutti i casi): cardiopatia ischemica (infarto o ischemia
miocardica; 80% dei casi), cardiomiopatia (10%), miocardite ipertensiva, vizi cardiaci, folgorazione elettrica, turbe elettrolitiche, intossicazione da farmaci, tamponamento pericardico, ipotermia
2. cause circolatorie: shock di qualunque causa, embolia polmonare
3. cause respiratorie: dislocazione delle vie respiratorie, ostruzione, disturbi della respirazione, intossicazioni, cause neuromuscolari, mancanza di O2 nell’aria respiratoria (annegamento, soffocamento)
4. stadio terminale di diverse affezioni.
Diagnosi
• stato di incoscienza:
(dopo 10-15 sec.)
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il paziente non risponde
non reagisce allo scuotimento;
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• arresto respiratorio:
(dopo 30-60 sec.)
• arresto circolatorio:
• pupille dilatate areattive
(dopo 2 minuti)
asistolia
non visibile un movimento respiratorio
non percepibile alcun rumore respiratorio;
polso carotideo non percepibile;
attenzione a eventuali fattori interferenti
pupille dilatate dopo somministrazione di adrenalina o atropina
fibrillazione
ventricolare
flutter ventricolare
tachicardia ventricolare
Terapia
Rianimazione cardio-respiratoria.
Nota: chiamare subito un’ambulanza, non perdere tempo con auscultazione, misurazione della pressione, registrazione dell’ECG, ecc., ma procedere immediatamente con le
misure riportate qui di seguito, controllando sempre l’orologio! (Un arresto circolatorio
di 3 minuti è causa di danni cerebrali irreversibili).
• mantenere libere le vie aeree
• respirazione artificiale
misure di base (= BLS = basic life support)
• massaggio cardiaco
• trattamento farmacologico
ulteriori misure rianimatorie
• diagnostica ECG ed elettroterapia
(= ALS = advanced life support)
• terapia protratta (intensiva).
1. Misure immediate: mantenere libere le vie aeree: disostruire bocca e gola, iperestendere il capo afferrando il mento, 2 insufflazioni iniziali. In caso di ipovolemia,
sollevare le gambe.
Massaggio cardiaco + respirazione artificiale (se possibile con O2):
— a 2 soccorritori: massaggio/respirazione = 15:2
— a 1 soccorritore: massaggio/respirazione = 5:1.
2. Ulteriore trattamento differenziato dopo diagnosi con ECG (è ottimale l’impiego di
defibrillatori semiautomatici, che possono essere utilizzati anche da personale non
medico adeguatamente istruito).
a. Flutter ventricolare, fibrillazione ventricolare, tachicardia ventricolare:
• defibrillazione precoce: a seconda del risultato, sino a 3 scariche elettriche
successive di 200, 200 e 360 J (Ws)
• in caso di insuccesso proseguire con la rianimazione cardio-respiratoria per 1
minuto, e procedere poi sino a 3 scariche di 360 J (Ws)
• successivamente intubazione + accesso venoso periferico.
Col metodo a 2 soccorritori è possibile, dopo l’intubazione (che evita il pericolo di aspirazione e di sovradistensione dello stomaco), eseguire la respirazione con una frequenza di 10-15/min, indipendentemente dal massaggio cardiaco. Il massaggio cardiaco andrebbe eseguito ininterrottamente con una frequenza di 80-100/min.
• adrenalina: 1 mg e.v. ogni 3 minuti, seguito da 20 ml NaCl 0,9% in bolo. La
dose singola può essere gradatamente aumentata (1 3 5 mg al massimo
di adrenalina). Se l’accesso venoso periferico non è disponibile, somministra-
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re l’adrenalina attraverso il tubo endotracheale (3 mg di adrenalina diluiti in
10 ml NaCl 0,9%)
• in caso di insuccesso, proseguire la rianimazione per 30-60 min. (nei casi di
ipotermia per periodi anche più lunghi). Ogni ciclo rianimatorio è costituito
da 3 defibrillazioni con 360 J, somministrazione di adrenalina + 1 minuto di
massaggio cardiaco/respirazione artificiale
• il bicarbonato di sodio può essere somministrato solo in caso di rianimazione
protratta (> 20 min.). Dosaggio: 0,5 mmol/kg di peso corporeo; infusione tramite accesso venoso indipendente (poiché l’adrenalina viene inattivata dal bicarbonato)
• indicazione al trattamento con lidocaina: fibrillazione ventricolare persistente
oppure tachicardia ventricolare senza polso (dose nell’adulto: 100 mg e.v.).
b. Asistolia e dissociazione elettro-meccanica
• adrenalina: 1,0 mg e.v. diluito in 10 ml NaCl 0,9% (prima dose nel tubo endobronchiale: 3 mg diluiti in 10 ml); in caso di insuccesso proseguire la rianimazione cardio-respiratoria e ripetere la somministrazione di adrenalina ogni
3 min (come nella fibrillazione ventricolare). In caso di insuccesso, proseguire
la rianimazione cardio-respiratoria e somministrare atropina 3 mg e.v.
• terapia con pace-maker in caso di asistolia: elettrostimolazione transtoracica
(poi eventuale sonda intracardiaca).
Nota: le iniezioni intracardiache sono obsolete (elevata frequenza di complicanze).
Verifica del successo delle misure terapeutiche: restringimento delle pupille, polso carotideo palpabile, miglioramento del colorito cutaneo, respirazione spontanea; pulsossimetria. In caso di insuccesso, proseguire la rianimazione almeno per 30 min (in caso di
incidenti da ipotermia, proseguire anche per più di 1 ora).
Nota: dopo l’intubazione, tramite un rilevatore di CO2 si può verificare se si è effettivamente in trachea.
Complicanze da misure rianimatorie:
• fratture costali e/o sternali con eventuali lesioni al cuore e/o polmone (ad es. pneumotorace)
• lesioni al fegato e/o milza, sovradistensione gastrica, rottura dell’aorta e/o cuore, versamento pericardico, ecc.
valutazione immediata dopo rianimazione efficace (esame clinico, radiografia del
torace, ecografia dell’addome, ecc.). Molto importante è anche il controllo ed eventualmente la correzione del quadro elettrolitico.
Complicanze da arresto circolatorio: danni cerebrali sino alla morte cerebrale, insufficienza renale acuta, ecc.
Prognosi
Dipende dalla causa dell’arresto circolatorio, dalla tempestività della rianimazione e da
eventuali complicanze. La percentuale di successo della defibrillazione dipende dal tempo: la defibrillazione immediata dopo l’inizio della fibrillazione ventricolare (ad es. in
terapia intensiva) è seguita da successo nel 95% dei casi. Dopo 4 min la percentuale di
successo è del 40%, dopo 8 min è solo del 10%. La prognosi a lungo termine dopo arresto cardio-circolatorio è determinata dalla malattia di base, ad es. la cardiopatia ischemica.
Nota: il cardiovertitore/defibrillatore impiantabile è la misura più efficace per la prevenzione delle aritmie recidivanti che possono condurre a morte cardiaca improvvisa.
La diffusione capillare sul territorio di defibrillatori semiautomatici utilizzabili anche da
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personale non medico adeguatamente istruito consente di aumentare i tassi di successo
delle manovre rianimatorie.
Per i pazienti con cardiopatia organica, i seguenti elementi rappresentano fattori di rischi per morte cardiaca improvvisa:
— grave malattia miocardica di base
— riduzione della funzione ventricolare sinistra (frazione d’eiezione < 30%)
— stato post-rianimatorio per fibrillazione/flutter ventricolare
— disturbi del ritmo ventricolare di grado elevato
— potenziale ventricolare tardivo all’ECG ad alta definizione
— ridotta sensibilità del riflesso barocettore
— tempo QT patologicamente allungato
— ridotta variabilità della frequenza cardiaca
— infarto miocardico recente nelle prime 72 ore
— persistenza di fattori di rischio coronarico nella cardiopatia ischemica.
DISTURBI DELLA CIRCOLAZIONE
IPERTENSIONE ARTERIOSA
Definizione (secondo l’NIH, USA, 1997)
Pressione arteriosa
Sistolica
(mmHg)
Diastolica
(mmHg)
ottimale
normale
ai limiti superiori della norma
< 120
< 130
130-139
< 80
< 85
85-89
elevata:
stadio 1
stadio 2
stadio 3
140-159
160-179
≥ 180
90-99
100-109
≥ 110
L’attribuzione a una di queste classi è possibile solo dopo ripetute misurazioni. Lo stadio
1 corrisponde talvolta all’ipertensione borderline: PA sistolica 140-159/PA diastolica 90-94
mmHg.
Epidemiologia
Soprattutto presente nelle nazioni occidentali industrializzate; prevalenza 20% della popolazione. L’ipertensione è più frequente nel nord del Giappone, più rara tra gli esquimesi. Almeno il 20% degli ipertesi non sa di esserlo; degli ipertesi noti, almeno il 20%
non è trattato e un altro 20% lo è in modo inadeguato.
Varianti di ipertensione
— Ipertensione sistolica isolata; ipertensione diastolica isolata; ipertensione sisto-diastolica.
— Ipertensione labile e ipertensione legata a sforzo: ipertensione saltuaria in particolare in caso di affaticamento fisico/psichico.
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— Ipertensione stabile = ipertensione cronica (valori pressori costantemente aumentati).
— Crisi ipertensiva: aumento critico della pressione (sistolica/diastolica > 230/130
mmHg) senza danno d’organo
— Emergenza ipertensiva: pressione > 230/130 mmHg + pericolo di vita a causa del
danno d’organo; 2 cause principali: insufficienza renale rapidamente progressiva
(80% dei casi) e feocromocitoma.
Fisiopatologia
L’ipertensione è la conseguenza dell’aumento della gittata o dell’aumento delle resistenze periferiche, o di entrambi i fattori.
Pressione = gittata × resistenza dei vasi. Nello stadio iniziale dell’ipertensione essenziale la gittata cardiaca è leggermente aumentata; nell’evoluzione successiva si verifica
un aumento delle resistenze periferiche.
In base all’attività reninica plasmatica, si riconoscono ipertesi a renina elevata, normale o bassa. Gli ipertesi con renina elevata rispondono più favorevolmente a betabloccanti, ACE-inibitori e sartani. Gli ipertesi a bassa renina rispondono meglio a diuretici
e calcioantagonisti.
1. Ipertensione essenziale
Causa sconosciuta; > 90% di tutte le forme di ipertensione.
L’ipertensione essenziale si manifesta di regola dopo il 30° anno di età ed è un’alterazione poligenica multifattoriale (ad es. mutazione del gene GNB3-825T); nel 60% dei
casi l’ipertensione essenziale è condizionata geneticamente. La costituzione (picnica), i
fattori alimentari (consumo di NaCl, caffè e alcoolici; sovrappeso), lo stress, il fumo e
i fattori endocrini giocano un ruolo favorente (frequente esordio dell’ipertensione nelle
donne in menopausa).
Nota:
1) le indagini genetiche sull’ipertensione hanno identificato forme di ipertensione ereditaria monogenica con aumentato assorbimento di sodio; sono molto rare (iperaldosteronismo con soppressione dei glucocorticoidi, apparente eccesso di mineralcorticoidi e sindrome di Liddle);
2) una parte di pazienti con ipertensione essenziale presenta, all’indagine con RMN,
un decorso anomalo dell’arteria cerebellare postero-inferiore, che esercita una compressione, sincrona col polso, sul centro di regolazione della pressione arteriosa situato nel midollo allungato. In questi casi, un intervento di decompressione può talvolta normalizzare i valori pressori.
L’ipertensione essenziale si accompagna spesso ad altre alterazioni della cosiddetta sindrome metabolica (= sindrome del «benessere»). Alla base di questa affezione vi è la
resistenza all’insulina da parte della muscolatura scheletrica con conseguente iperinsulinemia e sviluppo di arteriosclerosi precoce:
— obesità
— tolleranza patologica al glucosio, in particolare diabete di tipo 2
— dislipoproteinemia (trigliceridi aumentati, colesterolo HDL diminuito)
— iperuricemia
— ipertensione essenziale.
Diagnosi: esclusione di tutte le forme secondarie.
2. Ipertensione secondaria (< 10% di tutte le forme di ipertensione) - eziologia nota.
a) Ipertensione da causa renale (ipertensione secondaria più frequente, 8%):
• da affezione parenchimale renale, ad es. glomerulonefrite, pielonefrite cronica, rene cistico (5%);
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• da tumori renali;
• da stenosi delle arterie renali (1%).
b) Ipertensione endocrina (< 1%):
• feocromocitoma;
• sindrome di Cushing, sindrome di Conn, sindrome adrenogenitale.
• acromegalia.
c) Stenosi dell’istmo dell’aorta (< 1%)
Non fanno parte dell’ipertensione arteriosa cronica:
— aumenti pressori temporanei nelle affezioni del SNC (encefalite, compressione cerebrale, poliomelite) e da intossicazioni acute (ad es. monossido di carbonio);
— ipertensione sistolica con valori pressori diastolici diminuiti in presenza di gittata pulsatoria aumentata, ad es. insufficienza aortica, bradicardia marcata o ipertiroidismo;
— aumenti pressori da farmaci come contraccettivi, corticosteroidi, eritropoietina, carbenoxolone, antireumatici non steroidi, ciclosporina A o liquerizia, o da tossicodipendenza (cocaina, amfetamine). Dopo la sospensione di queste sostanze la pressione torna a
valori normali.
— ipertensione indotta dalla gravidanza = ipertensione gravidica.
Epidemiologia: 10% di tutte le gravidanze, soprattutto nelle primipare giovani. L’1% di
tutte le gravidanze sviluppa una pre-eclampsia, ma solo lo 0,1% evolve ad eclampsia.
L’ipertensione gravidica è solitamente temporanea: compare dopo la 22ª settimana di
gravidanza e regredisce al termine della gravidanza.
Classificazione dell’ipertensione gravidica:
• ipertensione gravidica isolata = ipertensione gestazionale
• ipertensione gravidica con proteinuria ed evtl. edemi = pre-eclampsia (gestosi EPH
precoce, tossicosi gravidica). Complicanze: sindrome HELLP (hemolysis, elevated liver enzymes, low platelet count), eclampsia con sintomi neurologici (contrazioni involontarie dei muscoli oculari, iperreflessia, convulsioni).
Nota: l’entità dell’ipertensione si correla alla mortalità perinatale di madre + figlio.
Diagnosi differenziale: 3 forme:
1. ipertensione gravidica
2. ipertensione preesistente alla gravidanza
3. ipertensione gravidica che va ad innestarsi sopra una preesistente ipertensione cronica (30% dei casi).
Clinica: i sintomi possono mancare per lungo tempo, tipica è la cefalea che compare al
mattino presto (specie nella zona nucale) che spesso migliora col sollevamento della testa dal letto. Vertigini, ronzii auricolari, ansietà, dolori precordiali, palpitazioni, labilità
vasomotoria, epistassi, dispnea da sforzo.
Complicanze
— Crisi ipertensiva
Grave ipertensione improvvisa con pericolo di vita per il paziente dovuta a:
• encefalopatia ipertensiva con pericolo di ictus: rottura dell’autoregolazione cerebrale con iperperfusione cerebrale passiva da pressione edema cerebrale e papillare, cefalea, nausea, vomito, disturbi visivi, eventuali deficit neurologici, convulsioni, disorientamento
• sovraccarico del cuore sinistro con pericolo di edema polmonare
• attacco di angina pectoris
• complicanza rara: dissecazione aortica.
— Sistema vascolare: l’aterosclerosi precoce si sviluppa nel 50-60% degli ipertesi.
L’entità delle lesioni vascolari condizionate dall’ipertensione può essere valutata
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con un esame del fundus oculi. Quattro stadi della retinopatia ipertensiva: nello stadio iniziale si osservano alterazioni vascolari funzionali: vasi ridotti di calibro, arteriole a decorso diritto. Nel II stadio si presentano alterazioni strutturali e quindi
irreversibili: arterie a «filo di rame» con irregolarità di calibro, segni di incrocio artero-venoso (all’intersezione delle arterie con le vene). Nel III stadio compaiono lesioni a carico della retina (retinopatia ipertensiva): emorragie a fiamma, focolai di
degenerazione (essudati «cotonosi», nei casi gravi depositi di calcio intorno alla macula). Nel IV stadio: edema papillare bilaterale.
— Cuore: l’insufficienza cardiaca sinistra e le coronaropatie sono cause di mortalità
nei 2/3 di tutti gli ipertesi. Col termine di cardiopatia ipertensiva si indicano tutte
le conseguenze patologiche dell’ipertensione sul cuore.
• Ipertrofia ventricolare sinistra: all’inizio si tratta di ipertrofia concentrica: quando il cuore supera il peso critico di 500 g, si instaura una ipertrofia eccentrica
con aumento delle fibre muscolari cardiache (iperplasia). Cardiomiopatia ipertensiva: alterazione del rilasciamento diastolico (sintomo precoce), poi alterazione
anche della funzione sistolica e comparsa di un’insufficienza ventricolare sinistra.
Nota: quando, a causa di una insufficienza cardiaca sinistra scompensata, la pressione cala, si parla di ipertensione «decapitata».
Ecocardiografia: documentazione diretta dell’ipertrofia cardiaca sinistra, spessore
settale telediastolico > 11 mm (misurazione a livello della mitrale aperta).
Radiografia del torace: in caso di lieve ipertrofia ventricolare sinistra, immagine
radiologica muta in proiezione postero-anteriore. Successivamente invece compaiono: ingrandimento dell’ombra cardiaca a sinistra e in basso e allungamento
dell’arco aortico.
Nell’insufficienza scompensata del ventricolo sinistro dilatazione del cuore verso
sinistra.
ECG: segni di ipertrofia ventricolare (indice di Sokolow-Lyon: S in V1 + R in
V5 o 6 > 3,5 mV), disturbi di ripolarizzazione a livello delle derivazioni precordiali sinistre quale segno di lesione del cuore sinistro in caso di ipertrofia eccentrica
o coronaropatia.
• Coronaropatia (macroangiopatia) con 5 forme di manifestazione clinica: angina
pectoris, infarto miocardico, insufficienza del cuore sinistro, disturbi del ritmo,
morte cardiaca improvvisa.
• Microangiopatia coronarica.
• Disfunzione endoteliale con ridotta sintesi di NO (ossido d’azoto) ad azione vasodilatatrice e aumentata produzione di angiotensina II ed endotelina ad azione
vasocostrittrice.
— Danni cerebrali: mortali nel 15% degli ipertesi:
• ischemia cerebrale con infarto cerebrale soprattutto in presenza di aterosclerosi
dei vasi intra- ed extracranici
• emorragia cerebrale massiva: rapporto di frequenza tra infarto ischemico ed
emorragia massiva = 85 : 15
• crisi ipertensiva - encefalopatia: vedi sopra.
— Nefropatia ipertensiva: 3 stadi
• microalbuminuria (30-300 mg/24 ore oppure 20-200 mg/l)
• nefrosclerosi ipertensiva benigna con albuminuria > 300 mg/24 ore
• rene grinzo da arteriosclerosi con insufficienza renale.
Attraverso il meccanismo di una diminuita perfusione del rene con attivazione del
sistema renina-angiotensina-aldosterone, ogni ipertensione (sia quella essenziale che
quella renale secondaria) può comportare una regolazione pressoria su livelli-soglia
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più alti; così ad esempio, anche dopo l’eliminazione di una stenosi dell’arteria renale, la pressione sanguigna rimane alta.
— Ipertensione maligna:
• pressione diastolica > 120-130 mmHg
• perdita del ritmo giorno-notte della PA durante la misurazione a lungo periodo
• modifiche del fondo oculare III-IV stadio
• sviluppo di una insufficienza renale.
L’ipertensione maligna può svilupparsi da ogni forma di ipertensione. Nell’ipertensione maligna si ha una nefrosclerosi maligna secondaria.
Istologia: a livello dei vasi afferenti si sviluppa una necrosi arteriolare fibrinoide. A
livello delle arterie interlobulari è presente una endoarterite proliferativa con aspetto «a cipolla» delle cellule intimali ispessite intorno al lume del vaso e occlusione
totale dei vasi con necrosi ischemica glomerulare.
Diagnosi differenziale: nefrosclerosi maligna primitiva: nefropatia nel quadro della
sindrome emolitica-uremica (SEU = sindrome di Gasser): vedi al relativo capitolo.
Stadi clinici dell’ipertensione
— Ipertensione senza danno d’organo (OMS grado I)
— Ipertensione con danno d’organo (OMS grado II)
• cardiopatia ipertensiva
• nefropatia ipertensiva (creatinina < 2 mg/dl)
• retinopatia ipertensiva di I e II grado
• presenza di placche nei grossi vasi (arterie carotidi, femorali, ecc.)
— Ipertensione con manifestazioni cardiovascolari conclamate (OMS stadio III)
• cuore: angina pectoris, infarto miocardico, insufficienza cardiaca
• rene: nefropatia ipertensiva, insufficienza renale (creatinina > 2 mg/dl)
• occhio: retinopatia ipertensiva di III e IV grado
• SNC: TIA, infarto cerebrale ischemico, emorragia cerebrale
• vasi: arteriopatia obliterante periferica, dissecazione aortica.
Diagnosi d’ipertensione
1. Anamnesi:
— durata dell’ipertensione, valori massimi raggiunti, esami diagnostici già eseguiti
— sintomi acuti: cefalea, disturbi visivi, nausea, disuria, dolori di schiena, astenia,
insufficienza cardiaca, ecc.
— anamnesi farmacologica: antiipertensivi (effetti collaterali?), farmaci ipertensivanti (ad es. FANS, corticosteroidi, inibitori dell’ovulazione, ecc.)
— consumo di nicotina, alcool, caffeina, droghe
— precedenti malattie, in particolare malattie renali
— anamnesi famigliare: ipertensione, infarto cardiaco, colpo apoplettico, malattie
renali.
2. Esame obiettivo e diagnostica
— Misurazione della pressione ad ambo le braccia (!), polso (braccia e gambe stenosi dell’istmo aortico?), auscultazione addominale (eventuale soffio paraombelicale in caso di stenosi dell’arteria renale), fondo oculare.
— Laboratorio: esame delle urine con ricerca di microalbuminuria, clearance della
creatinina delle 24 h, elettroliti sierici (in caso di ipopotassiemia e ipertensione
pensare alla sindrome di Conn e alla stenosi dell’arteria renale), screening di ulteriori fattori di rischio per una arteriosclerosi precoce (glicemia, colesterolo, trigliceridi ecc.); catecolamine nelle urine delle 24 ore (per escludere un feocromocitoma).
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• nel sospetto di sindrome di Cushing, test rapido col desametasone (vedi).
• in caso di ipopotassiemia (non secondaria al trattamento) escludere una sindrome di Conn (vedi).
— Diagnostica strumentale
• ECG, radiografia del torace, ecocardiografia (ipertrofia del cuore sinistro?).
• Ecocolordoppler (vascolo)renale (valutazione dei reni, eventuale stenosi dell’arteria renale, neoplasia surrenalica). Nel sospetto di una stenosi dell’arteria
renale: angiografia renale selettiva.
Misurazione della pressione
Metodi di misurazione:
— metodo diretto (cruento) con trasduttore per la misurazione della pressione: indicato solo in casi eccezionali in terapia intensiva
— metodo indiretto secondo Riva Rocci (PA); due varianti:
• oscillometria: misurazione delle oscillazione del flusso ematico arterioso
• auscultazione dei toni di Korotkoff.
Gonfiare il manicotto sino a 20-30 mmHg al di sopra del valore che fa scomparire
il polso radiale; scaricare poi la pressione lentamente (~ 3 mmHg/sec.). La pressione sistolica corrisponde al valore del primo tono di Korotkoff udibile, quella diastolica al valore al quale il tono scompare.
1. misurazione della pressione occasionale
2. misurazione della pressione da parte del paziente secondo un protocollo per i pazienti
3. misurazione della pressione delle 24 ore (monitoraggio delle 24 ore). La misurazione della pressione delle 24 ore è la modalità più affidabile per l’accertamento della
situazione pressoria reale (giorno/notte, al lavoro/a casa). La misurazione presso
uno studio medico produce valori aumentati per l’effetto del «camice bianco». Circa il 20% dei pazienti con valori aumentati alla presenza del medico presenta valori normali fuori dallo studio medico!
Valori normali nel monitoraggio pressorio delle 24 ore:
— valore medio diurno:
135/85 mmHg
— valore medio notturno:
120/75 mmHg
— frequenza di valori > 140/90 mmHg:
di giorno < 25%; di notte < 20%
— caduta pressoria notturna (durante il sonno):
≥ 10 mmHg sistolica/diastolica
Regole per la misurazione della pressione:
— posizionare all’altezza del cuore il braccio impiegato per la misurazione
— misurare almeno una volta ad entrambe le braccia
— in caso di valori aumentati controllare sempre il polso femorale; in caso di polsi deboli misurare la pressione della coscia, dove i valori devono essere superiori rispetto al braccio (30-40 mmHg di differenza). L’ipotensione agli arti inferiori con ipertensione a quelli superiori si verifica nella stenosi dell’istmo aortico
— eseguire una misurazione della pressione, se possibile, con paziente sdraiato e in
piedi ( rilevazione di disturbi ortostatici della regolazione, frequenti nei pazienti
anziani ipertesi)
— in caso di grande circonferenza del braccio il valore PA misurato risulta eccessivamente elevato (con una circonferenza di oltre 40 cm è aumentato di circa 20
mmHg).
Nota: con l’ipertensione esiste il pericolo di errori nella misurazione causati dai cosiddetti «buchi auscultatori», scomparsa dei toni di Korotkoff al di sotto dei valori sistolici: causa di valori di PA erroneamente troppo bassi.
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Nella sclerosi della media di Mönckeberg è possibile misurare valori erroneamente aumentati. Si tratta di una malattia in cui cristalli di idrossiapatite si depositano nella tonaca media delle arterie di tipo muscolare. Ne deriva una ridotta comprimibilità delle
arterie, in particolare agli arti inferiori l’indice pressorio malleolo/braccio non può
essere utilizzato per la diagnosi di una evtl. arteriopatia obliterante periferica.
Ne esistono 2 forme: 1. primitiva; 2. secondaria in caso di diabete mellito.
Diagnostica radiologica: opacità vascolari finemente granulate, di densità pari a quella
delle ossa; alla TC calcificazioni simili a trucioli; al colordoppler immagini ecogene.
Interpretazione dei valori: poiché la pressione risente dell’orario, di affaticamenti fisici
e psichici, è possibile diagnosticare l’ipertensione solo con misurazioni ripetute. Con la
misurazione della pressione delle 24 ore è possibile notare un andamento bifasico con
punte al mattino presto e nel tardo pomeriggio, e valori nettamente ridotti di notte durante il sonno. Una caduta pressoria notturna molto limitata, < 10 mmHg («non dipper»), o l’assenza di caduta pressoria notturna è riscontrabile nel 75% dei pazienti con
forme di ipertensione secondaria, ipertensione gravidica, danni renali da ipertensione,
sindrome dell’apnea da sonno, e anche nei pazienti affetti da insonnia (in caso di mancato calo pressorio notturno indagare alla ricerca di disturbi del sonno!).
Nota: nei «non dipper» escludere sempre forme di ipertensione secondaria, in particolare ricercare una ipertensione nefrovascolare.
Differenze pressorie tra le due braccia > 20/15 mmHg (sistolica/diastolica) sono patologiche.
Cause:
— sindrome dell’arco aortico:
eziologia: per lo più arteriosclerosi, raramente vasculiti (arterite di Takayasu: vedi il
relativo capitolo)
— stenosi/occlusione dell’arteria succlavia (ad es. presenza di costa cervicale o di esostosi della clavicola)
— stenosi dell’istmo aortico con emergenza dell’arteria succlavia sinistra distalmente
alla stenosi
— dissecazione aortica
— nella maggioranza dei casi non si riesce a trovare la causa.
Terapia
A. Terapia causale di una ipertensione secondaria (eliminazione di stenosi dell’istmo
dell’aorta o stenosi dell’arteria renale, trattamento di una ipertensione endocrina).
B. Terapia sintomatica: riduzione duratura e documentata della pressione a valori
< 140/90 mmHg.
Secondo i risultati dello studio HOT, valori stabili di pressione media di 138/83
mmHg comportano la prognosi migliore a lungo termine (riduzione della frequenza
di infarto e di ictus e del tasso di mortalità).
In altre situazioni di rischio, in cui l’ipertensione agisce da fattore d’aggravamento,
come ad es. nella nefropatia diabetica, lo scopo del trattamento deve essere la riduzione della PA a valori < 120/80 mmHg.
1. Misure generali (= terapia di base di ogni ipertensione):
— normalizzazione ponderale
— dieta povera di sali (massimo 6 g NaCl/die): evitare i cibi salati, non salare
eccessivamente i cibi; 1/3 di tutti gli ipertesi è sensibile al sale e trae giovamento dalla dieta povera di sale. La dieta povera di sale riduce il rischio di
ipopotassiemia da diuretici. Uso di sale dietetico a base di KCl: il potassio
ha un effetto ipotensivante.
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— dieta mediterranea: molta frutta, insalata e verdura, pochi grassi di origine
animale, alimentazione ricca di pesce, utilizzo di olio d’oliva
— sospensione di farmaci favorenti l’ipertensione (vedi sopra)
— regolarizzazione delle abitudini di vita: astensione dal fumo, riduzione del
consumo di caffè e di alcool (max 15 g/die), delle situazioni di stress, fare
esercizi fisici, ecc.
— bagni caldi, sauna leggera (senza successivo bagno freddo che aumenta la
pressione)
— rimozione o trattamento di altri fattori di rischio cardiovascolare (ipercolesterolemia, diabete mellito).
Semplicemente con tali misure generali è possibile normalizzare molte ipertensioni
lievi!
2. Antiipertensivi:
Normalmente la terapia farmacologica va proseguita per anni, spesso per l’intera vita del paziente. Una buona collaborazione tra medico e paziente è il presupposto necessario per il successo terapeutico. I pazienti, prima dell’inizio del
trattamento, dovrebbero essere informati del fatto che all’inizio spesso compaiono effetti collaterali (astenia, depressione, apatia), indipendenti dai farmaci, che
generalmente scompaiono poi dopo la normalizzazione dei valori pressori. Per il
controllo dell’efficacia della terapia, va bene sia l’automisurazione da parte del
paziente, sia il monitoraggio pressorio nelle 24 ore.
La pressione non va ridotta troppo velocemente o troppo drasticamente ( rischio di ipotensione ortostatica); gli antiipertensivi non vanno sospesi improvvisamente ( effetto rebound con aumento della pressione).
Strategia «a scaletta» del trattamento farmacologico
1. Stadio 1
Se le misure generali non dovessero portare agli esiti sperati, è raccomandabile una
monoterapia a basso dosaggio, particolarmente in presenza di ulteriori fattori di rischio cardiovascolare. In presenza di diabete mellito, nefropatie e altre malattie che
risentono negativamente dell’ipertensione, è comunque sempre indicato un trattamento farmacologico mirato a ottenere valori pressori ottimali.
2. Stadio 2
Inizio con una monoterapia con uno degli antiipertensivi di base: betabloccante,
diuretico, calcioantagonista, ACE inibitore o antagonista recettoriale dell’angiotensina II.
Obiettivo è la normalizzazione della pressione con il farmaco che ha i minori effetti collaterali. La scelta dipende dalla tollerabilità individuale e da malattie concomitanti.
In base all’andamento circadiano della pressione arteriosa, con i valori più alti al
mattino e i più bassi nel sonno, gli antiipertensivi dovrebbero essere assunti al mattino, dopo il risveglio. Evtl. ulteriori dosi nel corso della giornata in funzione dell’andamento dei valori pressori. Il monitoraggio pressorio delle 24 ore dimostra che,
in caso di andamento bifasico con valori pressori normali nella notte, non è indicata una dose serale di antiipertensivo. È necessario evitare ipertensioni notturne, in
particolare nei pazienti anziani (pericolo di ischemia cerebrale e collasso ortostatico
al passaggio alla stazione eretta, con conseguenti fratture).
In caso di insufficiente controllo pressorio, non aumentare la monoterapia sino alla
dose massima ma passare ad un’altra categoria di farmaci (monoterapia sequenziale) oppure associare un altro farmaco (trattamento «add-on»).
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Associazione di 2 farmaci
Diuretico
più
Betabloccante
Calcioantagonista
(2)
ACE-inibitore
(1)
(3)
oppure
Calcioantagonista
(1)
più
Betabloccante
(2)
ACE-inibitore
(3)
(1) solo calcioantagonisti a lunga durata d’azione
(2) non associare betabloccanti a calcioantagonisti tipo diltiazem o verapamil
(3) oppure antagonisti recettoriali dell’angiotensina II
Le diverse possibilità di associazione hanno azione antiipertensiva di entità diversa
(le associazioni con gli ACE-inibitori sono le più potenti). La scelta si basa sulla
tollerabilità individuale e sulle malattie concomitanti (vedi tabella più avanti).
3. Stadio 3
Se malgrado la somministrazione di diverse associazioni a 2 farmaci la pressione
non tende a normalizzarsi – cosa molto rara – è bene aggiungere un terzo antiipertensivo, ad es. diuretico + ACE-inibitore + betabloccante, oppure una associazione
con altri gruppi di sostanze. Vi è una vasta gamma di possibilità di associazioni che
dipende naturalmente dalla tollerabilità e dalle malattie concomitanti.
Resistenza alla terapia
Una insufficiente riduzione della pressione, anche con la somministrazione di varie associazioni a 3 farmaci, può avere le seguenti cause:
— insufficiente o incompleta assunzione dei farmaci prescritti (compliance)
— inosservanza delle misure generali (vedi sopra)
— assunzione di farmaci favorenti un’ipertensione (estrogeni, glucocorticosteroidi, antiflogistici non steroidi ecc.)
— ipertensione secondaria misconosciuta (vedi sopra)
— una sindrome dell’apnea da sonno misconosciuta
— ipertensione maligna (vedi sopra).
Scelta dell’antiipertensivo in base alla presenza di malattie concomitanti
Malattia concomitante
(esempio)
antiipertensivi favorevoli (+)
sfavorevoli (–)
commento
Insufficienza cardiaca
(+) diuretici
(+) ACE-inibitori e
antagonisti recettoriali
dell’angiotensina II
(–) verapamil
riduzione del precarico
riduzione del pre- e post-carico
e miglioramento della prognosi
(+) betabloccanti
attività antianginosa
e miglioramento della prognosi
Malattia cardiaca
coronarica
attività inotropa negativa
continua a pag. 296
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continua da pag. 295
Malattia concomitante
(esempio)
antiipertensivi favorevoli (+)
sfavorevoli (–)
Bradicardia
(–) betabloccanti
(–) verapamil
(–) clonidina
commento
attività cronotropa negativa
Post-infarto cardiaco
(+) betabloccanti
(+) ACE-inibitori
miglioramento della prognosi
Malattia occlusiva
arteriosa
(–) betabloccanti
peggioramento della
vasculopatia (controindicazione!)
Diabete mellito
(+) ACE-inibitori
(+) betabloccanti cardioselettivi
nefroprotezione e mancanza di
effetti metabolici
miglioramento della prognosi
Gotta
(–) diuretici
aumento dell’acido urico
Asma bronchiale
(–) betabloccanti
effetto secondario broncospastico
Insufficienza renale
(–) diuretici risparmiatori
di potassio
pericolo di iperpotassiemia
(controindicazione!)
Antiipertensivi
1. Diuretici: come antiipertensivi vengono utilizzati a bassa dose, e solo in associazione con altri antiipertensivi (per i dettagli vedi cap. Terapia dell’insufficienza cardiaca).
2. Betabloccanti: nella terapia antiipertensiva sono di scelta i bloccanti β1-selettivi senza attività simpaticomimetica intrinseca (ISA) (per i dettagli e i preparati vedi il
cap. Antiaritmici).
Nota: l’uso di betabloccanti, diuretici tiazidici e ACE-inibitori comporta un miglioramento della prognosi (riduzione della mortalità nei soggetti ipertesi). Tutti gli altri antiipertensivi vanno confrontati con questi risultati.
3. ACE-inibitori (prilati)
Meccanismo d’azione: blocco dell’Angiotensin-Converting-Enzyme, che trasforma
l’angiotensina nella vasocostrittrice angiotensina II conseguenze:
— riduzione delle resistenze dei vasi periferici da diminuita produzione di angiotensina II
— riduzione della stimolazione simpatico-adrenergica indotta dall’angiotensina II,
in particolare della liberazione di catecolamine
— inibizione della secrezione di aldosterone e ADH, con conseguente riduzione
della ritenzione di acqua e sodio, e successiva riduzione della volemia
— inibizione del catabolismo della bradichinina, ad azione vasodilatatrice ( effetto sinergico)
— regressione dell’ipertrofia ventricolare sinistra
— miglioramento della prognosi nei pazienti con insufficienza cardiaca
— riduzione della mortalità cardiovascolare nei pazienti a rischio cardiovascolare
(ad es. studio HOPE con ramipril, studio CAPPP con captopril).
L’effetto cardioprotettivo viene spiegato dagli effetti tissutali degli ACE-inibitori a
livello del cuore e dei vasi (sistema tessuti-renina-angiotensina). La maggior parte
degli ACE-inibitori sono pro-farmaci che vengono preliminarmente idrolizzati nel
fegato a «prilati» biologicamente attivi. Captopril e lisinopril non sono profarmaci,
ma sono attivi direttamente. Gli ACE-inibitori non determinano effetti negativi sul
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metabolismo lipidico e glucidico. Nei pazienti trattati con ACE-inibitori si dovrebbe ridurre il rischio di patologia neoplastica.
Interazioni: la contemporanea somministrazione di ASA può ridurre l’effetto degli
ACE-inibitori. Una contemporanea terapia con litio può aumentare i livelli sierici di
litio. La contemporanea somministrazione di allopurinolo aumenta il rischio di leucopenia. Si sono osservati episodi ipoglicemici nei diabetici trattati con insulina o
antidiabetici orali ( evtl. riduzione della dose).
Effetti collaterali: tosse stizzosa relativamente frequente (5-10%), mediata dalla bradichinina; cefalea, vertigini, disturbi gastroenterici, iperpotassiemia (non associare a
diuretici risparmiatori di potassio). Altri effetti collaterali sono rari: disturbo del
senso del gusto, proteinuria, esantema, leucopenia, agranulocitosi, edema angioneurotico, colestasi, vasculiti, reazioni polmonari allergiche, mialgie, aumentato rischio
di ipoglicemia nei diabetici.
In pazienti con il sistema renina-angiotensina stimolato (ad es. stenosi dell’arteria
renale, trattamento con diuretici) si può avere all’inizio della terapia una pericolosa
caduta della pressione, pertanto iniziare con la dose più bassa! Nell’insufficienza
renale le dosi vanno ridotte. È bene controllare la crasi ematica e le urine.
Controindicazioni: gravidanza, allattamento, stenosi dell’arteria renale bilaterale oppure in caso di rene singolo, rene trapiantato, contemporanea terapia con diuretici
risparmiatori di potassio, iperpotassiemia, terapia immunosoppressiva, edema angioneurotico, insufficienza epatica, insufficienza renale grave (clearance della creatinina < 30 ml/min), stenosi aortica, cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva, trattamento
iposensibilizzante.
Principio attivo
Nome commerciale
(esempi)
Durata dell’effetto
di una singola
somministrazione
(ore)
Dosaggio medio
giornaliero (mg)
Benazepril
Captopril
Cilazapril
Enalapril
Fosinopril
Imidapril
Lisinopril
Moexipril
Perindopril
Quinapril
Ramipril
Spirapril
Trandolapril
Cibacen
Capoten
Inibace
Enapren
Tensogard
Tanatril
Alapril
Femipres
Coversyl
Accuprin
Quark
Renormax
Gopten
sino
sino
sino
sino
sino
sino
sino
sino
sino
sino
sino
sino
sino
5-20
12,5-50
2,5-5
5-20
5-20
2,5-10
5-20
3,75-15
4-8
5-20
2,5-5
3-6
1-2
a
a
a
a
a
a
a
a
a
a
a
a
a
24
12
18
18
24
24
24
24
24
24
48
24
24
4. Antagonisti recettoriali dell’angiotensina II (antagonisti recettoriali AT1/sartani)
Meccanismo d’azione: antagonismo selettivo dell’angiotensina II a livello del recettore AT1.
Effetti collaterali: raramente cefalea, astenia, disturbi gastrointestinali, iperpotassiemia, aumento della creatinina, disturbi della funzione epatica. Normalmente si osservano solo di rado, al contrario degli ACE-inibitori, tosse e angioedemi (a causa
del mancato effetto sul catabolismo della bradichinina).
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Controindicazioni: gravidanza, allattamento, stenosi bilaterale dell’arteria renale,
iperaldosteronismo primitivo, stenosi della valvola aortica e mitralica, iperpotassiemia, contemporanea assunzione di diuretici risparmiatori di potassio, insufficienza
epatica, ecc.
Indicazioni:
1. ipertensione arteriosa
2. insufficienza cardiaca (vale per il losartan).
Principio attivo
Nome commerciale
(esempi)
Dosaggio medio giornaliero
(mg)
Candesartan
Blopress
2-8
Eprosartan
Tevetenz
300-600
Irbesartan
Karvea
75-150
Losartan
Losaprex
25-50
Telmisartan
Micardis
40-80
Valsartan
Tareg
80
5. Calcioantagonisti
Meccanismo d’azione: i composti in commercio agiscono mediante il blocco dei canali del calcio di tipo L («long lasting») riduzione delle resistenze vascolari periferiche (post-carico).
Se ne riconoscono 3 gruppi:
a) calcioantagonisti di tipo benzotiazepinico (diltiazem)
b) calcioantagonisti di tipo fenilalchilaminico (verapamil)
Entrambi questi gruppi appartengono agli antiaritmici di classe IV (vedi il relativo capitolo) e non devono essere associati ai betabloccanti (pericolo di blocco
AV e/o bradicardia)
c) calcioantagonisti di tipo diidropiridinico (nifedipina):
Principio attivo
Nome commerciale
(esempi)
Dosaggio medio giornaliero
(mg)
Amlodipina
Norvasc
5-10 × 1
Felodipina
Feloday
5 × 1
Isradipina
Lomir
2,5 × 2
2-4 × 1
Lacidipina
Lacipil
Nicardipina
Perdipina
20 × 3
Nifedipina
Adalat
20 × 2
Nilvadipina
(*)
8-16 × 1
Nisoldipina
Syscor
5-10 × 2
Nitrendipina
Baypress
10 × 2
(*) farmaco non in commercio in Italia
Nota: in alcuni studi i calcioantagonisti a breve durata d’azione hanno mostrato un
effetto prognostico sfavorevole e non sono pertanto più indicati per il trattamento
della cardiopatia ischemica e dell’ipertensione arteriosa; in caso di angina pectoris
instabile e di infarto miocardico acuto sono anzi controindicati. Ne rappresentano
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invece un’indicazione la tachicardia sopraventricolare (verapamil) e l’angina di
Prinzmetal (da spasmo coronarico). Non si sono rilevati vantaggi prognostici dell’impiego dei calcioantagonisti a lunga durata d’azione, che vanno pertanto considerati quali farmaci di riserva nei casi in cui non si possono somministrare i betabloccanti.
Effetti collaterali: flush, cefalea, vertigine, astenia, reazioni allergiche, parestesie,
edemi malleolari, raramente alterazioni della crasi ematica, ecc.
Controindicazioni: insufficienza cardiaca (stadio III e IV NYHA), angina pectoris
instabile, infarto miocardico acuto, gravidanza, allattamento.
Controindicazioni ulteriori per i calcioantagonisti del tipo verapamil e diltiazem:
malattia del nodo del seno, blocco AV > I grado, bradicardia; contemporanea terapia con betabloccanti, fibrillazione atriale nella sindrome WPW, ecc.
Interazioni: aumento della digossinemia evtl. riduzione della dose di digossina e
determinazione della sua concentrazione nel plasma.
L’associazione di betabloccanti e verapamil o diltiazem è invece relativamente controindicata per la sommazione degli effetti cronotropo e dromotropo negativo (pericolo di blocco AV, in particolare in un sistema di conduzione precedentemente leso, e di bradicardia).
Il succo di pompelmo aumenta la biodisponibilità della nifedipina.
6. Simpaticolitici (esclusi i betabloccanti)
A. α1-bloccanti
Meccanismo d’azione: lisi simpatica
Effetti collaterali: ipotensione ortostatica, evtl. collasso ortostatico dopo la prima somministrazione (soprattutto col prazosin, che è pertanto sconsigliato) iniziare sempre col dosaggio minore! Vertigine, cefalea, disturbi gastrointestinali, tachicardia, astenia; raramente edemi, reazioni cutanee, disturbi di tipo psichico, ecc.
Indicazione: ipertensione grave, in associazione a diuretici e betabloccanti. Sono
consigliabili solo i composti a lunga durata d’azione (vedi tabella). L’urapidil va
somministrato solo in caso di crisi ipertensiva.
Nota: poiché il doxazosin, nello studio ALLHAT, ha determinato un effetto meno favorevole, quanto a comparsa di insufficienza cardiaca, rispetto al diuretico
clortalidone, l’aggiunta in terapia di α1-bloccanti va sempre valutata con cautela e attenzione.
Controindicazioni: gravidanza, allattamento, età infantile, ecc.
Nome generico
Nome commerciale
(esempi)
Bunazosin
Doxazosin
Terazosin
(*)
Cardura
Itrin
Dose media giornaliera
(mg)
3-6
1-4
1-10
(*) farmaco non in commercio in Italia
B. Simpaticolitici ad azione centrale
a) α2-agonisti
Meccanismo d’azione: stimolazione dei recettori adrenergici α2 del tronco
cerebrale riduzione del tono adrenergico periferico. L’associazione con
betabloccanti è sconsigliata!
Effetti collaterali: sedazione, secchezza delle fauci, ipotensione ortostatica,
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stipsi, bradicardia, disturbi del sonno, evtl. incubi, disturbi della potenza, irritabilità, depressione.
Nota: la sospensione improvvisa degli α2-agonisti può scatenare una crisi
ipertensiva.
Indicazione: ipertensione grave, in associazione ad altri antiipertensivi; la
clonidina solo in caso di crisi ipertensiva.
Controindicazioni: sick sinus syndrome, bradicardia, blocco AV di II o III
grado, depressione, insufficienza epatica o renale, gravidanza, ecc.
Nome generico
Clonidina
Guanabenz
Guanfacin
Moxonidin
Nome commerciale
(esempi)
Catapresan
(*)
(*)
(*)
Dose media giornaliera
(mg)
0,075-0,3
4-16 × 2
1-2
0,2-0,4
(*) farmaco non in commercio in Italia
b) Metildopa
Meccanismo d’azione: l’α-metildopa viene metabolizzato ad α-metilnoradrenalina; questo falso neurotrasmettitore stimola, a livello del sistema nervoso
centrale, i recettori centrali α2 e, tramite ciò, la sensibilità del riflesso barocettore simpaticolisi reflessogena.
Effetti collaterali: allergie, anemia emolitica autoimmune Coombs-positiva,
lupus da farmaci, sedazione, secchezza delle fauci, ritenzione idrica e di sodio, reazione ortostatica, danni epatici, impotenza, ginecomastia, disturbi psichici ecc.
Nota: l’assunzione di metildopa provoca falsi valori positivi delle catecolamine nelle urine!
Indicazioni: solo nell’ipertensione in gravidanza.
Controindicazioni: malattie epatiche, stati depressivi, insufficienza renale.
Dosaggio: dose media 125 mg × 1-3/die per os; ridurre la dose nell’insufficienza renale, controllo di crasi ematica e test di Coombs, evtl. anticorpi anti-istoni.
c) Reserpina
Non viene più utilizzata per i suoi spiacevoli effetti collaterali: depressione,
incubi, ecc.
7. Vasodilatatori arteriolari
Meccanismo d’azione: vasodilatazione arteriolare tramite effetto diretto sulla muscolatura liscia vasale.
• Diidralazina
Effetti collaterali: tachicardia riflessa, con eventuale scatenamento di angina pectoris associazione a betabloccante; ipotensione ortostatica, cefalee, disturbi gastrointestinali, lupus da farmaci. Sono particolarmente a rischio gli acetilatori lenti.
Indicazioni: terapia dell’ipertensione in gravidanza (nessun effetto sui vasi placentari).
Controindicazioni: cardiopatia coronarica.
Dosaggio: 12,5-25 mg × 3/die.
• Minoxidil (è il più potente vasodilatatore periferico)
Effetti collaterali: tachicardia riflessa, ritenzione idrica e di sodio (associare sempre diuretici e betabloccanti), spesso ipertricosi (assai disturbante nelle donne).
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Indicazioni: solo ipertensione grave non responsiva ad altri farmaci.
Controindicazioni: malattia cardiaca coronarica, insufficienza cardiaca, relativamente controindicato nelle donne per ipertricosi.
8. Inibitori della vasopeptidasi: omapatrilato (in fase di studio clinico).
Regole per la terapia antiipertensiva nei pazienti anziani:
— ridurre la pressione lentamente e con prudenza nell’arco di settimane
— rinunciare ad una normalizzazione della pressione, quando con valori < 160/90
mmHg compaiono disturbi dello stato generale o effetti collaterali della terapia farmacologica, in particolare ipotensione ortostatica (salvo che nei casi con altre affezioni che aumentano il rischio)
— scegliere l’antiipertensivo tenendo conto delle eventuali malattie concomitanti
— iniziare il trattamento con dosi basse e uno schema terapeutico semplice (compliance!)
— controllare la pressione regolarmente, anche in piedi. È necessario evitare un calo
pressorio ortostatico sintomatico (pericolo di collasso ortostatico, caduta e frattura)
— eseguire regolari visite di controllo indagando gli effetti collaterali soggettivi e controllando i parametri di laboratorio più importanti (ad es. potassiemia, creatininemia,
glicemia)
— impiego di apparecchi per l’automisurazione della pressione e monitoraggio pressorio delle 24 ore.
Terapia dell’ipertensione gravidica:
— collaborazione tra ginecologi e internisti
— in caso di ipertensione gestazionale lieve terapia ambulatoriale
— in caso di pre-eclampsia terapia ospedaliera
— auto-misurazione giornaliera della pressione, al mattino + sera (spesso anche ipertensione notturna!) + controlli del peso corporeo, controlli del reperto urinario +
funzione renale, enzimi epatici, piastrine
— antiipertensivi orali consentiti:
betabloccanti β1-selettivi (atenololo, metoprololo), diidralazina, metildopa
— terapia d’urgenza dell’eclampsia con convulsioni generalizzate:
• solfato di magnesio: 2-5 g e.v. lentamente, oppure diazepam: 5-10 mg e.v. lentamente
• diidralazina: 6,25 mg; oppure urapidil: 12,5 mg e.v.
Nota: l’unica terapia causale possibile della pre-eclampsia è terminare la gravidanza al
più presto; in caso di sindrome HELLP, interruzione immediata della gravidanza. La terapia medica ospedaliera sino al momento del parto è rappresentata dal trattamento parenterale antiipertensivo + anticonvulsivo (vedi sopra).
Nota: nell’ipertensione gravidica non è indicata la restrizione dietetica di sale, in quanto (come accade anche con i diuretici) la volemia è ridotta e l’irrorazione ematica dell’utero viene influenzata sfavorevolmente. Il trattamento preventivo dell’ipertensione
gravidica con ASA a bassa dose + ketanserina (bloccante dei recettori di tipo 2 della
serotonina) sembra ridurre il rischio di preeclampsia e di morte fetale perinatale.
Prognosi dell’ipertensione arteriosa: la riduzione duratura dei valori pressori a livelli normali diminuisce del 20% la mortalità da cause cardio-vascolari (infarto miocardico, accidenti cerebro-vascolari) (studi MacMahon, HOT).
Crisi ipertensiva ed emergenza ipertensiva
Definizione: crisi ipertensiva: aumento pressorio critico (> 230/130 mmHg) senza sintomi
da danno acuto d’organo.
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Emergenza ipertensiva: aumento pressorio critico con pericolo di vita secondario a danno d’organo, ad es. encefalopatia ipertensiva, insufficienza cardiaca sinistra acuta, edema polmonare, angina pectoris, infarto cardiaco, dissecazione aortica.
Una emergenza ipertensiva richiede una veloce riduzione della pressione.
In caso di crisi ipertensiva è sufficiente controllare la pressione dopo 30 minuti di riposo ed abbassarla entro 24 ore mediante la somministrazione orale di antiipertensivi
(ad es. somministrare una dose aggiuntiva dell’antiipertensivo già usato dal paziente).
La pressione non deve essere abbassata troppo e troppo bruscamente, specialmente nei
pazienti con malattie cerebrovascolari (pericolo di collasso!). In caso di apoplessia l’aumento pressorio è di tipo reattivo nel 50% dei pazienti e si normalizza nei 2/3 dei casi
nell’arco di 24-48 ore. L’indicazione ad una prudente riduzione della pressione è presente solo in caso di emergenza ipertensiva con pericolo di vita da encefalopatia ipertensiva, angina pectoris o edema polmonare. La riduzione della pressione non deve superare, prudenzialmente, il 20% del valore pressorio di partenza. - Regola principale:
primum nihil nocere! (non danneggiare!).
— Trattamento ambulatoriale iniziale (alternative terapeutiche):
• nitroglicerina (gliceroltrinitrato): è il farmaco di prima scelta in caso di angina
pectoris, insufficienza cardiaca sinistra, edema polmonare; rompere con i denti
una capsula da 0,8 mg, ripetere eventualmente dopo 10-20 min.
• ACE-inibitori per via orale (ad es. captopril); per i dettagli vedi sopra
• urapidil: 25 mg e.v. lentamente, ripetibile
• clonidina: 0,075 mg e.v. lentamente, ripetibile.
In caso di segni di iperidratazione, somministrazione aggiuntiva di furosemide (2040 mg e.v.).
Controindicazioni: ipovolemia, disidratazione.
Nota: i calcioantagonisti a breve durata d’azione (ad es. nifedipina) non sono più
consigliati perché possono provocare una riduzione pressoria eccessiva con conseguenti complicanze ischemiche.
— Terapia ospedaliera in reparto intensivo:
• proseguimento per infusione della terapia iniziata ambulatorialmente con controlli molto frequenti della pressione; la velocità dell’infusione va regolata così da
portare i valori pressori da normali/alti fino a poco aumentati, ad es.
• nitroglicerina per infusione:
dosaggio: 1-5 mg/h o più
• sodio nitroprussiato:
Indicazione: crisi ipertensiva refrattaria alla terapia.
Dosaggio: iniziare somministrando 20 µg/min e aumentare lentamente la dose fino al raggiungimento dei valori di pressione desiderati.
Dal nitroprussiato di sodio deriva in vivo il cianato, metabolizzato in tiocianato
ed eliminato molto lentamente per via renale. Per evitare una intossicazione da
tiocianato, in caso di dosaggio elevato è necessario aggiungere solfato di sodio.
• in caso di crisi ipertensiva da insufficienza renale terminale:
dialisi, più in particolare emofiltrazione.
IPERTENSIONE NEFROVASCOLARE
Epidemiologia:
1% di tutti i casi di ipertensione.
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Eziologia
Riduzione del calibro dell’arteria renale da:
a) aterosclerosi (2/3 dei casi): più frequente negli uomini; in età avanzata
b) stenosi fibromuscolare (1/3 dei casi): più frequente nelle donne; in giovane età; bilaterale nel 60% dei casi
c) aneurisma dell’aorta renale (rara).
Patogenesi
La stenosi dell’arteria renale con restringimento del lume ≥ 60% porta all’effetto Goldblatt (attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone), con ipertensione nefrovascolare. In caso di stenosi bilaterale dell’arteria renale, si sviluppa una nefropatia
ischemica bilaterale.
Diagnosi
• anamnesi: soprattutto nei giovani che presentano una ipertensione diastolica (> 110
mmHg)
• auscultazione: eventualmente soffio a livello paraombelicale o dei fianchi (30% dei
casi)
• laboratorio: ipopotassiemia, alcalosi metabolica
• arteriografia renale: dovrebbe essere effettuata esclusivamente quando vi è la possibilità di contemporanea dilatazione con catetere a palloncino e dopo consenso del
paziente.
Indagini specifiche e metodi di screening
• test al captopril: marcato aumento della renina (> 180 µU/ml) dopo la somministrazione di un ACE-inibitore (captopril). Mentre sono riconoscibili le stenosi unilaterali
dell’arteria renale, le stenosi bilaterali frequentemente sfuggono alla diagnosi! Sospendere ACE-inibitori e diuretici 2 giorni prima del test
• nefrografia con captopril: combinazione del test al captopril con la scintigrafia funzionale renale: riduzione monolaterale della funzione renale dalla parte della stenosi
dell’arteria renale (sensibilità ~ 90%)
• ecografia color-doppler dell’arteria renale: tecnica di screening più sensibile sino a
quando le arterie renali sono bene visualizzabili:
a) dimostrazione diretta della stenosi
b) documentazione indiretta basata sul segnale di flusso post-stenotico
• urografia: ritardata eliminazione del mezzo di contrasto (urogramma precoce) come
anche prolungata ritenzione del mezzo di contrasto (urogramma tardivo) dal lato interessato
• angiografia digitale per sottrazione (DSA): questa tecnica permette il riconoscimento della stenosi nell’85% dei casi. La DSA intraarteriosa dà immagini migliori di
quella intravenosa
• angio-RMN o angio-TC.
Nota: tutti i metodi di screening possono dare risultati falsi negativi o falsi positivi. In
caso di sospetto clinico di stenosi dell’arteria renale è pertanto indicato eseguire immediatamente una ecografia color-doppler ed eventualmente una DSA intraarteriosa dell’arteria renale.
Terapia
• Angioplastica transluminale percutanea con evtl. posizionamento di stent nella stessa
seduta dell’arteriografia.
Complicanze: dissezione dell’intima, embolizzazione con infarto renale, nuova stenosi (> 30% dei casi in caso di stenosi arteriosclerotica).
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• Terapia chirurgica nei casi in cui l’angioplastica non sia praticabile:
Metodo: disobliterazione (eventualmente con dilatazione) nell’arteriosclerosi, interposizione venosa nella stenosi fibromuscolare.
Mortalità chirurgica: ca. il 2%.
Risultati dopo la dilatazione o l’intervento chirurgico: abbassamento pressorio nell’80% dei casi nella stenosi fibromuscolare, ma soltanto in circa il 40% nella stenosi
arteriosclerotica. Motivo: se l’ipertensione renovascolare esistente da tempo ha danneggiato il rene controlaterale, anche l’altro rene può essere coinvolto nella patogenesi dell’ipertensione.
FEOCROMOCITOMA
Epidemiologia
0,1% di tutte le ipertensioni.
Definizione
I feocromocitomi sono tumori del tessuto cromaffine producenti catecolamine. Nel 90%
dei casi sono benigni, nel 10% invece sono maligni. Nel 90% dei casi sono monolaterali, nel 10% bilaterali. I 2/3 dei feocromocitomi secernono adrenalina e noradrenalina.
I feocromocitomi extrasurrenalici sovradiaframmatrici secernono soltanto noradrenalina.
Nei tumori maligni si osserva anche la secrezione di dopamina.
L’85% dei feocromocitomi è localizzato nella midollare della ghiandola surrenale, il resto a livello dei gangli del simpatico addominale o toracico (paranganglioma).
I feocromocitomi presentano spesso una certa familiarità (fino al 10% dei casi), evtl.
nel contesto di una sindrome MEN 2.
Clinica
a) Ipertensione parossistica (crisi ipertensive) 50% negli adulti.
b) Ipertensione persistente (50% negli adulti - nei bambini il 90%).
Durante la crisi ipertensiva che talvolta può essere scatenata dalla palpazione dell’addome, il paziente lamenta cefalea, sudorazione, palpitazioni, tremori, senso di agitazione, eventuali dolori all’addome o ai fianchi. Evtl. aumento paradosso della pressione
dopo somministrazione di antiipertensivi.
Esame obiettivo:
— cute pallida
— iperglicemia e glicosuria (1/3 dei casi)
— leucocitosi
— calo ponderale (ipermetabolismo).
Nota: l’aumento ponderale e il rossore del viso depongono a sfavore di un feocromocitoma. Nei casi non parossistici con ipertensione prolungata la diagnosi è più difficile.
Diagnosi differenziale
• crisi ipertensive di altra genesi, in particolare in caso di insufficienza renale avanzata
• in caso di iperglicemia, diabete mellito
• ipertiroidismo
• abuso di cocaina e amfetamine.
Diagnosi
1. Clinica: ipertensione (crisi ipertensive) con palpitazione, cefalea, sudorazione, pallore, monitoraggio della pressione nelle 24 ore.
2. Dimostrazione di una iperproduzione autonoma di catecolamine:
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— test di screening: determinazione delle catecolamine o dei loro metaboliti (metanefrine, acido vanilmandelico) nelle urine delle 24 h. Metodo diagnostico più
sicuro!
Valori > 200 ng/l per le catecolamine totali sono patologici, valori < 50 ng/l sono normali.
— determinazione delle catecolamine plasmatiche: utile nell’ambito di una crisi
ipertensiva! Altrimenti con questo metodo si riscontrano ripetutamente risultati
falsi positivi, soprattutto quando non si osservano scrupolosamente tutte le prescrizioni per il prelievo (applicazione di una cannula, prima del prelievo decubito a riposo per 30-60 min).
Valori > 2000 ng/l sono chiaramente patologici, valori < 500 ng/l sono normali.
— nel sospetto di feocromocitoma maligno, ulteriori determinazioni di dopamina e
acido omovanillico.
3. Eventuali test di conferma
In caso di sospetto clinico di feocromocitoma e di presenza di valori borderline delle catecolamine è indicata, per avere una diagnosi sicura, l’esecuzione di un test farmacologico, come ad es.:
— test di inibizione con clonidina (presupposto: valori sistolici > 120 mmHg): dopo la somministrazione di clonidina, nel paziente sano la concentrazione plasmatica delle catecolamine si abbassa a causa dell’inibizione centrale del sistema nervoso simpatico, non però in caso di secrezione autonoma di catecolamine dovuta ad un feocromocitoma. Se si ha una variazione al test di inibizione
della clonidina si confrontano le catecolamine delle urine diurne con quelle notturne (dopo somministrazione serale di clonidina): nel soggetto sano e nel soggetto con ipertensione essenziale si ha un forte abbassamento delle catecolamine notturne, cosa che non si verifica nel feocromocitoma.
— test di provocazione col glucagone: può essere eseguito soltanto su soggetti normotesi. La somministrazione di glucagone provoca nel feocromocitoma un massivo
aumento pressorio con eliminazione delle catecolamine aumentata più di 3 volte.
4. Diagnostica di localizzazione:
— ecografia + TC + RMN
— scintigrafia o SPECT con 131I-MIBG (metaiodobenzilguanidina) per escludere un
feocromicitoma extrasurrenalico
— eventuale determinazione selettiva delle catecolamine nel sangue della vena cava e delle vene surrenali
— eventuale aortografia.
Terapia
a) Asportazione chirurgica del tumore tenendo presente quanto segue:
• tecnica «no touch» (onde evitare la liberazione di catecolamine)
• blocco α-adrenergico pre-operatorio (con fenossibenzamina); in caso di tachiaritmie evtl. associato a betabloccanti (ma solo dopo adeguato blocco α!)
• ripristino preoperatorio del volume ematico (prevenzione di una caduta della PA
post-operatoria)
• fare attenzione alla ipoglicemia post-operatoria
• controlli regolari successivi nei primi 5 anni.
b) Conservativa:
• crisi ipertensiva: vedi;
• in caso di inoperabilità: terapia con α-bloccanti (fenossibenzamina, prazosin) oppure α-metil-p-tirosina (inibitore della tirosin-idrossilasi e pertanto della sintesi
delle catecolamine);
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• nel feocromocitoma metastatizzante: polichemio-terapia e/o terapia radioisotopica
con 131I-meta-iodobenzilguanidina (MIBG).
IPOTENSIONE ARTERIOSA CRONICA E IPOTENSIONE ORTOSTATICA
Definizione
— Ipotensione arteriosa: PA sistolica < 100 mmHg.
In soggetti molto allenati è possibile il riscontro di ipotensione regolatoria: in questi soggetti la circolazione a riposo è in uno stato di risparmio da tono parasimpatico.
— Ipotensione ortostatica: riduzione della pressione sistolica di almeno 20 mmHg oppure della pressione diastolica di almeno 10 mmHg che compare entro 3 minuti dal
passaggio alla stazione eretta, rispetto ai valori di base misurati dopo almeno 4 minuti in clinostatismo. È provocata da una ridistribuzione acuta del sangue venoso
negli arti inferiori e nel distretto splancnico. Possono manifestarsi sintomi da ipoperfusione cerebrale: vertigine, stordimento, disturbi visivi, cefalea, evtl. sincope. Se
il sistema nervoso vegetativo è intatto, si verifica una attivazione reattiva del simpatico con tachicardia, pallore, estremità fredde, sudorazione, evtl. nausea. Nelle
malattie con alterazioni del sistema nervoso autonomo questi sintomi reattivi sono
assenti. I valori pressori a riposo possono essere diminuiti, normali o persino elevati: i valori di pressione a riposo non sono pertanto decisivi per la diagnosi.
Nota: l’autoregolazione della circolazione cerebrale (che normalmente mantiene dei
valori pressori di circa 70-180 mmHg) avviene grazie alle variazioni del tono dei
piccoli vasi cerebrali (effetto Bayliss). In caso di arteriosclerosi dei vasi tuttavia, tale autoregolazione può perdere, almeno parzialmente, la sua efficacia e una caduta
improvvisa della pressione arteriosa sistolica sotto i 120 mmHg può determinare
una temporanea diminuzione della perfusione cerebrale.
Epidemiologia
L’ipotensione ortostatica è presente nel 25% dei soggetti di età > 65 anni.
Classificazione ed eziologia
A) Ipotensione
1. Ipotensione essenziale (forma più frequente):
frequente nelle giovani donne di tipo leptosomico, spesso familiarità positiva.
L’inattività fisica e lo stress sono fattori favorenti.
2. Ipotensione secondaria:
— ipotensione condizionata da disturbi endocrini: ipotiroidismo, insufficienza
surrenalica, insufficienza del lobo anteriore dell’ipofisi, ipoaldosteronismo
— ipotensione cardiovascolare ad es. stenosi aortica, insufficienza cardiaca, disturbi del ritmo, ipertensione polmonare, pericardite costrittiva
— ipotensione tossiinfettiva a seguito di affezioni infettive
— immobilizzazione, lunga degenza con venir meno della regolazione ortostatica
— ipovolemia e iponatriemia da cause diverse
— da farmaci (ad es. psicofarmaci, antiaritmici, antiipertensivi, diuretici, antianginosi, vasodilatatori).
B) Ipotensione ortostatica
Eziologia: come al punto A), inoltre:
1. varici e sindrome posttrombotica
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2. disturbi del sistema nervoso autonomo con ipotensione ortostatica da assenza
del tono simpatico (manca l’attivazione reattiva del simpatico): ad esempio
— neuropatia autonomica diabetica (frequente)
— polineuropatia a genesi diversa, malattia di Parkinson
— insufficienza autonomica isolata (sindrome di Brandbury-Egglestone)
molto
— atrofia multisistemica (sindrome di Shy-Drager)
rare
— disfunzione del baroriflesso, deficit di dopamina-β-idrossilasi
In base al comportamento di polso e pressione nella prova ortostatica di Schellong
si distinguono principalmente due forme diverse:
a) prevalenza del tono simpatico: tipo più frequente (2/3 dei casi)
unitamente alla diminuzione della pressione sistolica > 20 mmHg, nel test di
Schellong, si verifica un aumento della pressione diastolica, con aumento della
frequenza cardiaca di oltre 16/min
b) assenza del tono simpatico
diminuzione della pressione sanguigna sia sistolica (> 20 mmHg) che diastolica
(> 10 mmHg), diminuzione eventualmente anche della frequenza cardiaca.
}
Test di Schellong: 10 min. sdraiato (S) + 10 min. in piedi (P), misurazione di PA e polso dopo 1
minuto.
Risposta normale: caduta pressoria sistolica sino a 20 mmHg/diastolica sino a 10 mmHg. Poiché
il comportamento della PA segue un ritmo circadiano, si deve ripetere il test a ore diverse della
giornata.
S
P
S
P
P A
Polso
in ortostatismo
Prevalenza del tono simpatico
in ortostatismo
Assenza del tono simpatico
Clinica
1. Ipotensione arteriosa: non è di solito considerata una malattia, se non nei casi in
cui compaiono sintomi da ipoafflusso cerebrale e diminuzione del rendimento fisico:
— diminuzione del rendimento fisico, affaticamento, lento «avviamento» mattutino,
disturbi della capacità di concentrazione
— tendenza alla depressione del tono dell’umore, ansietà, disturbi del sonno
— mani e piedi freddi (diagnosi differenziale: distonia neurovegetativa)
2. Ipotensione ortostatica: vertigini nel passaggio da clino a ortostatismo oppure nel
piegarsi, «visione nera» o tremolante, eventuale collasso ortostatico: improvvisa caduta della pressione in seguito ad una diminuzione acuta del ritorno venoso al cuore, con obnubilamento o breve perdita di coscienza (complicanza: fratture)
— cefalea, acufeni
— disturbi cardiaci: palpitazioni, dolori precordiali, senso di oppressione.
Diagnosi differenziale
Sincope: perdita di coscienza improvvisa, spontaneamente reversibile, secondaria a ridotta perfusione cerebrale, con o senza caduta a terra.
1. Sincope cardiogena:
— «low output syndrome»: stenosi aortica, cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva,
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stenosi della polmonare, embolia polmonare, infarto cardiaco con deficit di
pompa, tamponamento pericardico
— disturbi del ritmo cardiaco: bradiaritmie, tachiaritmie (attacco di Adam-Stokes).
2. Sincope circolatoria:
— sincope ortostatica: il fattore scatenante è l’alzarsi di colpo dalla posizione
sdraiata oppure lo stare in piedi a lungo.
Patogenesi: deficit del riflesso vasocostrittore a livello dei vasi di capacitanza
(vene) degli arti inferiori;
— sincope vaso-vagale (= sincope neurocardiogena): forma più frequente di sincope in soggetti peraltro sani. Sintomi prodromici: «vedere nero», palpitazioni, sudorazione, pallore, nausea, ecc. Patogenesi: paura, dolore e stress agiscono probabilmente a livello del centro vasomotore del tronco cerebrale innescando una
serie di eventi a cascata: il ridotto ritorno venoso dagli arti inferiori induce un
calo pressorio i barocettori a livello dell’atrio/ventricolo destro stimolano un
aumento del tono simpatico vasocostrizione, tachicardia e aumento della contrattilità del ventricolo sinistro i meccanocettori presenti a livello atriale, ventricolare e delle arterie polmonari stimolano un aumento controregolatorio del
tono vagale ipotensione e bradicardia sincope neurocardiogena. Diagnosi:
test mediante tavolo da ortoclinoscopio: il paziente posto sul tavolo da ortoclinoscopio resta sdraiato per 15 minuti, viene poi inclinato di 60-80° e resta in tale posizione per 45 minuti. Il test è positivo se compare una sincope;
— sincope post-prandiale nelle persone anziane;
— sincope ipovolemica: emorragia, ecc.;
— sincope «pressoria»: dopo defecazione/minzione, manovra di Valsalva, tosse
(patogenesi: blocco del ritorno venoso in atrio destro da aumento della pressione intratoracica);
— sindrome da compressione della vena cava: da compressione dell’utero gravido
nell’ultimo trimestre di gravidanza, in posizione supina;
— sindrome del seno carotideo;
— sincope da neuropatia autonomica;
— sincope da farmaci (ad es. da antiipertensivi).
3. Sincope cerebrale: epilessia, narcolessia, insufficienza cerebro-vascolare.
4. Sincope metabolica: ipossia e anemia grave.
Diagnostica delle sincopi = anamnesi, clinica + laboratorio, test di Schellong e test col
tavolo da ortoclinoscopio, ECG a riposo e sec. Holter, ecocardiografia, ecocolordoppler
delle carotidi, monitoraggio della pressione delle 24 ore; diagnostica neurologica.
Diagnosi
Anamnesi, clinica, test di Schellong, monitoraggio della pressione delle 24 ore; in caso
di sincope: ulteriori indagini specifiche.
Terapia
1. Causale: nelle ipotensioni sintomatiche sospensione dei farmaci favorenti l’ipotensione o la reazione ortostatica (ad es. diuretici, psicofarmaci, ecc.).
2. Sintomatica: l’ipotensione in sè non necessita di un trattamento mentre lo necessitano i disturbi da essa causati (complesso sintomatico ipotensivo).
a. Misure generali:
• maggiore apporto di sodio (ad es. al mattino panino con burro salato) e di liquidi (2-3 l/die) e piccoli pasti frequenti; controindicazione: insufficienza cardiaca
• esercizi per la circolazione (attività sportiva)
• massaggi, idroterapia (Kneipp)
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• la posizione a letto con busto più alto di 20° diminuisce la diuresi notturna e la
reazione ortostatica al mattino
• alzarsi lentamente dalla posizione sdraiata
• calze elastiche
• in caso di tendenza all’ipotensione ortostatica: incrociare le gambe anche quando
si è in piedi, oppure tenere una posizione accovacciata.
b. Farmaci
• Diidroergotamina
Meccanismo d’azione: aumento del tono venoso diminuzione delle reazioni ortostatiche.
Indicazione: ipotensione ortostatica con prevalenza del tono simpatico.
Effetti collaterali: spasmo vasale con turbe circolatorie degli arti, raramente scatenamento di angina pectoris, parestesie, nausea, ecc.
Controindicazioni: disturbi circolatori arteriosi (malattia cardiaca coronarica, occlusione arteriosa ecc.), gravi affezioni epato-renali, gravidanza.
Dosaggio: inizialmente 1 compressa × 2, poi 1 compressa retard da 2,5 mg.
A causa della bassa biodisponibilità (solo 0,5% nella somministrazione per via
orale), la dose va adeguata a seconda dell’effetto terapeutico.
• Simpaticomimetici
— etilefrina, un α- e β-simpaticomimetico; è indicato nelle forme lievi di ipotensione ortostatica;
— midodrina oppure norfenefrina, α-simpaticomimetrici ad azione diretta; sono
indicati nella ipotensione ortostatica ipo- e asimpaticotonica.
Effetti collaterali: tachicardia, disturbi del ritmo ventricolare, turbe della minzione in soggetti con ipertrofia prostatica, angina pectoris in soggetti con cardiopatia
coronarica.
Controindicazioni: disturbi del ritmo cardiaco, cardiopatia coronarica, adenoma
prostatico con turbe della minzione, glaucoma ad angolo chiuso, ipertiroidismo,
1° trimestre di gravidanza, sport a livello agonistico (positività al test antidoping).
• Mineralcorticoidi: fludrocortisone.
Meccanismo d’azione: ritenzione di sodio con aumento del volume ematico circolante.
Indicazione: ipotensione ortostatica asimpaticotonica (in associazione ai simpaticomimetici).
Effetti collaterali: ipopotassiemia, ritenzione di sodio e acqua, eventualmente con
edemi.
Dosaggio: 0,1 mg/die (inizialmente anche dosi maggiori).
c. Terapia del collasso ortostatico:
posizione sdraiata con gambe alzate.
d. Prevenzione della sincope vaso-vagale:
• imparare a riconoscere i sintomi premonitori per evitare la sincope mettendosi seduti o sdraiati. Apporto di sale e di liquidi; sospensione dei farmaci ipotensivanti
• prescrizione di calze elastiche
• esercizi di passaggio clino orto presso centri specializzati
• farmaci: somministrazione preventiva di betabloccanti.
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SHOCK
Definizione
Diminuzione critica della microcircolazione con ipossia dei tessuti e disturbi metabolici.
Eziologia
1. diminuzione della quantità di sangue circolante = shock ipovolemico: perdita di liquidi (sangue, plasma, vomito, diarrea, ecc.)
2. deficit di pompa del cuore: shock cardiogeno
cause: • deficit di contrazione:
infarto cardiaco, miocardite, cardiomiopatie;
• sovraccarico di volume con aumento del precarico: insufficienza valvolare, vizi con shunt;
• sovraccarico pressorio con aumento del postcarico: stenosi valvolari,
embolia polmonare;
• ostacolato riempimento cardiaco: tamponamento pericardico, pericardite
costrittiva;
• disturbi del ritmo cardiaco
3. deficit della regolazione della circolazione periferica:
— shock settico (in caso di sepsi da batteri gram-negativi, spesso con coagulopatia
da consumo);
— shock anafilattico da reazione allergica di tipo immediato (tipo I) (allergeni scatenanti: mezzi di contrasto iodati, antibiotici, anestetici locali, destrani ed altri
farmaci, veleni di insetti, estratti di organi ecc.).
Patogenesi
Nello shock la caduta di pressione arteriosa porta alla liberazione di catecolamine con
aumento della frequenza cardiaca e vasocostrizione delle arteriole e dei vasi di capacità
venosi. Tramite questo meccanismo regolatorio, la pressione arteriosa può essere inizialmente ancora normale. In funzione della diversa distribuzione dei recettori α e β, si
verifica una ridistribuzione della massa sanguigna circolante (centralizzazione) per garantire la vascolarizzazione del cuore e del cervello. Mentre inizialmente si verifica un
passaggio di liquidi dall’interstizio al lume vasale, di significato compensatorio, man
mano che aumentano l’ipossia tissutale e l’accumulo di metaboliti acidi (vedi sotto), si
verifica invece un aumento della permeabilità capillare, con passaggio di liquidi dai vasi all’interstizio e peggioramento dell’ipovolemia. I tratti vasali precapillari sono più
sensibili all’acidosi rispetto ai postcapillari; ne risulta quindi una perdita di tono delle
sezioni vascolari precapillari con una costrizione delle sezioni postcapillari; si verifica
il sequestro locale del sangue e l’aumento del fenomeno di sludge degli eritrociti come
pure la formazione di microtrombi (nei casi estremi la formazione di microtrombi multipli conduce a una coagulopatia da consumo).
DEFICIT DI
VOLUME
Ipovolemia
gittata diminuita
SEPSI
ANAFILASSI
atonia dei vasi
danni capillari
ipossiemia + acidosi
INSUFFICIENZA
CARDIACA
La «spirale dello shock» riconosce cause diverse. Una volta che il circolo vizioso si è
chiuso, la manifestazione progredisce anche indipendentemente dalla causa che l’ha
provocata.
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Metabolismo nello shock: a causa del deficit di O2, la glicolosi aerobia peggiora e si
accumulano i prodotti finali della glicolisi anaerobia, in particolare l’acido lattico. Ciò
conduce all’acidosi metabolica.
Effetti dello shock sui singoli organi:
— reni:
oliguria, anuria.
— cuore:
diminuita perfusione coronarica associata ad insufficienza cardiaca.
— polmoni: microembolie, edema interstiziale, diminuzione del fattore surfattante con
microatelectasie, formazione di membrane ialine, aggregazione piastrinica, ARDS (Adult Respiratory Distress Syndrome = polmone da shock).
Il polmone da shock si accompagna a shunt intrapolmonari, a diminuita
compliance e a disturbi della diffusione di O2: pericolo di insufficienza
respiratoria (elevata letalità!). Per ulteriori dettagli vedi cap. ARDS
— sistema reticoloistiocitario: funzione molto compromessa con predisposizione alle
infezioni
— sistema della coagulazione: eventuale coagulopatia da consumo con coagulazione
intravasale disseminata (DIC).
Clinica dello shock
A) Shock ipovolemico
3 stadi dello shock ipovolemico:
I cute fredda-umida; pallida, PA (quasi) normale;
II polso > 100/min., PA < 100 mmHg, vene del collo collabite (in posizione coricata), sete, oliguria;
III PA < 60 mmHg, polso quasi non percettibile, respirazione superficiale, veloce,
disturbi della coscienza, midriasi, anuria.
Frequenza
Indice di shock =
(Indice > 1: minaccia di shock!)
PA sistolica
ma in stadio I indice < 1 nonostante l’ipovolemia.
Perdite ematiche acute < 1.000 ml sono nella maggior parte dei casi ben compensate, in caso di perdite superiori vi è pericolo di shock!
Nota: mentre la pressione arteriosa in genere diminuisce a valori patologici in seguito a perdite di volume pari al 20% (1000 ml) o più del volume circolante, la
pressione venosa centrale diminuisce già con una perdita di volume del 10%. Pressione venosa centrale (PVC) normalmente 4-10 cm H2O. Con valori di PA inferiori a 70 mmHg (sistolica), la misurazione della pressione con metodo indiretto secondo Riva-Rocci diviene inattendibile, quindi nello shock è meglio utilizzare il
metodo diretto (cruento) di misurazione della pressione arteriosa.
B) Shock cardiogeno, da deficit ventricolare sinistro
Definizione:
— ipotensione arteriosa con PA sistolica < 80-90 mmHg
— indice cardiaco < 1,88 l/min/m2
— pressione telediastolica del ventricolo sinistro > 20 mmHg.
Diagnosi dell’insufficienza cardiaca sinistra:
— clinica: rantoli umidi alle basi polmonari, dispnea
— radiografia del torace: segni di stasi polmonare
— ecocardiografia: documentazione di un eventuale tamponamento pericardico,
valutazione della funzione valvolare e di pompa, cinesi ventricolare, ecc.
— diagnostica invasiva (cateterismo polmonare).
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Il grado di insufficienza cardiaca viene misurato in base alla pressione telediastolica
di riempimento del ventricolo. In tal senso, la pressione telediastolica del ventricolo
sinistro è correlata alla pressione polmonare capillare e a quella polmonare telediastolica, la pressione telediastolica del ventricolo destro alla PVC. La misura della PVC
non permette quindi una valutazione diretta della funzione del ventricolo sinistro!
C) Shock anafilattico
4 gradi di gravità dello shock anafilattico:
0 reazioni cutanee locali limitate, senza significato clinico
I sintomi generali (vertigini, cefalea, ansia, ecc.) + reazioni cutanee (flush, prurito, orticaria, ecc.)
II inoltre: caduta della pressione + tachicardia nonché sintomi gastrointestinali
(nausea, vomito, ecc.) e lieve dispnea
III inoltre: broncospasmo (attacco asmatico) e shock, raramente anche edema del
laringe con stridore inspiratorio
IV arresto circolatorio e respiratorio.
D) Shock settico
Definizioni:
• batteriemia: dimostrazione di batteri nel sangue (emocoltura)
• setticemia: malattia sistemica causata da batteri e/o tossine nel sangue
• sepsi: setticemia + SIRS
• systemic inflammatory response syndrome (SIRS)
— temperatura > 38°C oppure < 36°C
— tachicardia > 90/min
— tachipnea > 20/min (sintomo caratteristico e importante)
— pCO2 < 32 mmHg
— leucociti > 12.000 oppure < 3.800/mm3; con nucleo iposegmentato > 10%
• shock settico: SIRS con sintomi da insufficienza cardiaca acuta secondaria a setticemia
— febbre (non obbligatoria), irrequietezza, stato confusionale
— iperventilazione con alcalosi respiratoria (in seguito mascherata dall’acidosi
metabolica)
— evtl. manifestazioni settiche cutanee (pustole, necrosi, bolle); lesioni petecchiali e purpuriche in caso di sepsi meningococcica
— dimostrazione della batteriemia mediante emocolture positive
2 forme emodinamiche dello shock settico:
— forma iperdinamica (fase precoce):
• resistenze periferiche diminuite
• differenza artero-venosa del contenuto di O2 aumentata
• cute secca, calda, aspetto roseo
• PA e pressione venosa centrale nella norma o leggermente ridotte;
— forma ipodinamica:
• resistenze periferiche aumentate
• cute pallida, umida e fredda come nello shock ipovolemico
• differenza artero-venosa del contenuto di O2 aumentata
• PA, pressione venosa centrale e diuresi diminuite, tachicardia.
Forma particolare: Toxic shock syndrome
Eziologia
— enterotossina F = TSST-1 (toxic shock syndrome toxin-1) da Staphylococcus
aureus (ferite infette, tamponi)
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— enterotossine di streptococchi di gruppo A: STSS = toxic shock syndrome associata a streptococchi. Nel 60% dei casi la STSS è una complicanza di una fasciite o miosite necrotizzante da streptococchi di gruppo A.
Patogenesi: le esotossine pirogene (enterotossine) stimolano, quali «superantigeni»,
i linfociti T liberazione di vari mediatori tra cui il TNF-α shock.
Clinica: febbre, ipotensione, ipocalcemia, chiazze cutanee ed esantemi, evtl. vomito, diarrea, shock, evtl. insufficienza multiorganica; in caso di streptococchi A invasivi, raramente fasciite necrotizzante a decorso fulminante.
Complicanze: insufficienza multiorgano.
Diagnosi differenziale
Shock ipovolemico e cardiogeno: nello shock ipovolemico la pressione venosa centrale
è diminuita, nell’insufficienza cardiaca invece essa è di norma aumentata! Uno dei criteri più importanti è il riempimento venoso: nello shock ipovolemico vene collabite,
nello shock cardiogeno stasi venosa. Lo stato venoso è ben valutabile alla base della
lingua ed al collo.
Diagnosi: anamnesi + clinica (polso/PA) + diagnostica aggiuntiva.
Terapia
a. Terapia causale: rimozione/trattamento delle cause dello shock.
b. Terapia sintomatica:
— controllare:
• polso, PA, PVC
• colore e temperatura cutanea
• ECG (monitor)
• frequenza respiratoria
• diuresi
• crasi ematica, ematocrito, Hb, prove di coagulazione, urea, creatinina, elettroliti ecc.
• analisi dei gas ematici arteriosi e ossimetria transcutanea
• eventuale catetere polmonare (determinazione della pressione polmonare e
della gittata)
— misure generali: tenere libere le vie respiratorie, evitare la perdita di calore,
somministrare O2 con sonda nasale
— posizione: nello shock ipovolemico posizione sdraiata, eventualmente con gambe alzate; nello shock cardiogeno posizione ortopnoica.
Terapia dello shock ipovolemico
1. Ripristino del volume ematico possibilmente tramite 2 vene di grosso calibro.
Ad esclusione dello shock cardiogeno, la somministrazione di liquidi è indicata in
tutte le forme di shock. Nello shock ipovolemico è l’unica misura in grado di salvare la vita del paziente. Inizialmente somministrazione di 500-1.000 ml di un plasma-expander, l’ulteriore fabbisogno di volume viene coperto con soluzioni saline
isotoniche, isoioniche al fine di riequilibrare il deficit del liquido interstiziale e cellulare. In caso di perdite ematiche più elevate è necessaria, dopo l’iniziale ripristino
di volume, la somministrazione rapida di concentrati eritrocitari. In caso di perdite
ematiche prolungate somministrare inoltre plasma fresco e solo in caso di perdite
ematiche gravi somministrare sangue fresco.
La pressione venosa centrale (PVC) non dovrebbe superare i 14 cm H2O. Orientativamente si osserva il riempimento delle vene (vv. alla base della lingua, v. giugulare esterna).
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Nota: i farmaci vasocostrittori sono controindicati in caso di shock ipovolemico;
pressione venosa centrale (PVC) normale: 4-10 cm H2O (3-8 mmHg)
a. Ripristino del volume plasmatico con mezzi colloidali
I plasma-expander sono soluzioni colloidali sostituti del plasma dotati di una
pressione oncotica più alta di quella del plasma iniziale effetto di volume >
100% per passaggio di liquidi dallo spazio extravasale a quello intravasale. La
pressione oncotica dipende dalla concentrazione della soluzione. La durata di
permanenza intravasale dipende dal peso molecolare e dal catabolismo/rimozione.
Sostanza
Preparato
(esempio)
Effetto volume
(%)
Durata di permanenza
intravasale (ore)
pm 260.000
Plander
110-120
6
Destrano 10%
pm 240.000
Plander-r
150-200
3-4
Gelatina 3,5%
pm 235.000
Emagel
70-80
2-3
AIE 10%
pm 200.000
HAES-Steril 10%
ca. 130
3-4
AIE 6%
pm 200.000
HAES-Steril 6%
ca. 100
3-4
Destrano 6%
Amido idrossietilico (AIE) è un buon sostituto del plasma ed inibisce l’aggregazione piastrinica ed eritrocitaria con meccanismo di «coating» simile a quello
del destrano. AIE viene scisso dall’α-amilasi in molecole più piccole che vengono eliminate per via renale. Molecole più grandi vengono catturate dal sistema reticoloistiocitario. Può aumentare l’amilasi sierica. L’infusione di una soluzione di AIE ad alto peso molecolare aumenta il rischio emorragico a causa della riduzione del complesso fattore VIII/von Willebrand. Ciò non accade con
l’AIE 200/0,5 a rapida scissione oppure con l’AIE 70/0,5 a basso peso molecolare.
Effetti collaterali: prurito, reazioni allergiche e gravi reazioni anafilattiche sono
assai rare (1:1.000.000); evtl. rischio emorragico.
Controindicazioni: insufficienza renale.
Il destrano a basso pm (40.000) lascia la circolazione più velocemente del destrano a pm più elevato (60.000), ma è efficace contro la formazione di sludge
nella microcircolazione. I destrani hanno un buon effetto antitrombotico (agiscono su: viscosità, fattori della coagulazione, piastrine, fibrinolisi).
Effetti collaterali: reazioni anafilattiche da destrano sono rarissime (0,03%) e
dovute a gravi reazioni da anticorpi (IgG, IgM).
La profilassi con apteni (pre-iniezione di destrano monovalente, pm 1000) riduce del 95% la frequenza di reazioni allergiche ed è pertanto indicata!
La gelatina non è un plasma-expander e non ha nessuna proprietà antitrombotica. Reazioni anafilattoidi da liberazione di istamina sono rare. Per il suo contenuto in calcio va usata con prudenza nei pazienti in terapia digitalica.
Nota: questi tre agenti colloidali sostituti del plasma possono scatenare, in casi
rari, una reazione da ipersensibilità.
b. Plasma e derivati: preparati ad effetto colloido-osmotico
• albumina umana
• soluzione plasmaproteica pastorizzata
• preparati con effetto coagulante: fresh frozen plasma
Svantaggio: rischio di infezioni (vedi sotto).
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c. Soluzioni saline cristalline isotoniche (ad es. soluzione di Ringer) hanno una
breve durata di permanenza intravasale, 30-40 min. In caso di ipovolemia conclamata si somministrano soluzioni cristalline associate a plasma-expander.
d. Concentrati eritrocitari
Svantaggi:
— rischio di infezioni: HBV (~ 1:100.000), HCV (~ 1:30.000), HIV-1/2 (~
1:1.000.000); rischio inferiore da Parvovirus B19, HTLV-1 e 2, batteri tra
cui Treponema pallidum
— perdita di tempo per la determinazione del gruppo sanguigno/cross-reazione
— conservazione e disponibilità limitate
— reazioni da ipersensibilità.
Si deve inoltre tenere presente che i concentrati eritrocitari conservati da più
tempo contengono più potassio e hanno un pH più acido. Pertanto, in caso di
emorragia massiva trasfondere sangue fresco.
Tramite lo screening dei donatori basato sulla ricerca degli anticorpi anti-virus è
possibile ridurre notevolmente il rischio di infezione. L’impiego di filtri per leucociti nel corso della trasfusione consente di ridurre il rischio di allo-immunizzazione.
2. Correzione dell’acidosi metabolica con tampone bicarbonato.
Sono controindicati tamponi lattato!
3. Riconoscimento (catetere vescicale) e prevenzione di un incombente rene da shock
(vedi cap. Insufficienza renale).
4. Terapia dell’ARDS: vedi al relativo capitolo.
Terapia dello shock anafilattico
— mettere il paziente sdraiato, evtl. con le gambe sollevate
— interrompere l’ulteriore apporto di antigeni, mantenere l’ago in vena dopo allergia
da mezzo di contrasto! Assicurare un accesso venoso di grosso calibro
— adrenalina: somministrazione immediata sotto forma di spray; uso parenterale: aspirare 0,5 mg di adrenalina e 9 ml di soluzione fisiologica, da somministrare lentamente e.v.; ripetere dopo 1-2 min.; oppure dose doppia intratracheale
— rapido apporto di volume, in quantità adeguata (ad es. 2000 ml/30 min. in un adulto senza insufficienza cardiaca)
— prednisolone: 500 mg e.v.
— antistaminici e.v.: bloccante H1 (ad es. clemastina 4 mg e.v.)
antistaminici e.v.: bloccante H2 (ad es. cimetidina 400 mg e.v.);
— ulteriori misure:
• in caso di broncospasmo: β2-simpaticomimetici somministrati per spray oppure
e.v. e teofillina 0,24-0,48 g e.v. in infusione rapida
• in caso di shock che perdura: somministrazione di dopamina (dose iniziale 35
µg/kg/min. corrispondenti a 2,5 mg/70 kg/min.)
• in caso di arresto circolatorio: rianimazione cardiorespiratoria.
Terapia dello shock settico
— trattamento della malattia di base (risolvere l’infezione)
— antibiotici a largo spettro in caso di fattore scatenante sconosciuto (prima prelievo
ematico per emocoltura [per i dettagli vedi cap. Endocardite batterica])
— ripristino della volemia (vedi sopra)
— se malgrado la correzione della volemia non è possibile portare nella norma la PA,
eventualmente dopamina
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— correzione dell’acidosi metabolica
— prevenzione e terapia delle complicanze: ad es. prevenzione di una coagulopatia da
consumo tramite somministrazione di eparina a bassa dose, controllo dell’antitrombina III e somministrazione secondo necessità.
Nota: sono in fase di studio gli anticorpi monoclonali anti-endotossine.
Terapia dello shock cardiogeno
a) Trattamento causale, come ad es.
— infarto cardiaco: terapia di riperfusione: fibrinolisi, PTCA d’urgenza
— perforazione del setto ventricolare, rottura del muscolo papillare: intervento chirurgico
— tamponamento pericardico: pericardiocentesi
— embolia polmonare: fibrinolisi, eventualmente embolectomia
— disturbi del ritmo cardiaco: terapia antiaritmica.
b) Trattamento sintomatico:
— posizione ortopnoica
— somministrazione di O2 con controllo ossimetrico
— sedazione, analgesici in caso di dolore
— dopamina/dobutamina.
Per ulteriori dettagli vedi capp. Infarto miocardico ed Embolia polmonare.
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ANGIOLOGIA
MALATTIE DEI VASI ARTERIOSI
ARTERIOPATIA OBLITERANTE PERIFERICA (AOP)
Sinonimo
Occlusione arteriosa cronica delle estremità inferiori.
Epidemiologia
Prevalenza: sino al 10% della popolazione maschile > 50 anni (soprattutto fumatori =
principale fattore di rischio); la frequenza aumenta con l’aumentare dell’età; M : F = 5:1.
Eziologia
1. Soprattutto arteriosclerosi obliterante cronica (> 95%). Fattori di rischio principali:
fumo di sigaretta, diabete mellito, ipertensione arteriosa, dislipidemie (per ulteriori
fattori di rischio vedi cap. Cardiopatia ischemica).
2. Cause rare (< 5%): tromboangioite obliterante = malattia di Winiwarter-Buerger
(vedi relativo capitolo), malattia di Takayasu (vasculite).
Fisiopatologia
L’entità dell’irrorazione residua (oppure del compenso emodinamico) nell’AOP dipende da:
• estensione dell’occlusione, grado della stenosi, numero dei distretti coinvolti
• circoli collaterali
• fabbisogno di apporto ematico delle aree irrorare dai vasi coinvolti.
Nei soggetti sani l’irrorazione delle estremità può aumentare sino a 20 volte grazie alla dilatazione dei vasi di resistenza precapillari (arteriole). Si definisce riserva di flusso
la differenza tra circolazione a riposo e quella massima possibile.
Localizzazione
Sono generalmente coinvolte le estremità inferiori (>90%).
A) Monodistrettuale
Tipo (frequenza)
Localizzazione
Assenza di polso
Dolore da ischemia
Aorto-iliaco (30%)
aorto-iliaca
all’inguine
coscia, anca
Coscia (40%)
femoro-poplitea
all’arteria poplitea
polpaccio
Periferico (30%)
arterie della gamba
e del piede
ai polsi del piede
pianta del piede
B) Polidistrettuale
Localizzazioni preferenziali:
— diabete mellito: arterie della gamba (50%) e arteria femorale profonda
— tromboangioite obliterante: arterie della gamba (90%), e anche dell’avambraccio.
Clinica
Nelle stenosi > 90% non risulta più apprezzabile il polso distalmente alla stenosi. In caso di circolazione collaterale sufficiente e/o di ridotta attività fisica per altri motivi (insufficienza cardiaca o polmonare, malattie neurologiche o ortopediche), i pazienti pos-
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sono anche non accusare disturbi (stadio I). Il sintomo principale è il dolore ischemico
legato all’attività (stadio II) che si proietta distalmente alla stenosi costringendo il paziente a fermarsi dopo un determinato periodo di cammino (claudicatio intermittens).
Nota: i dolori da claudicatio intermittens sono dolori muscolari ischemici che compaiono sotto sforzo e scompaiono stando fermi, meglio ancora a riposo.
Nello stadio III si hanno dolori a riposo, specialmente di notte e più accentuati sollevando la gamba. Nello stadio IV si ha necrosi e gangrena, inizialmente nelle aree distali
e/o sottoposte a pressione.
Nell’occlusione della biforcazione aortica (sindrome di Leriche) si hanno inoltre disturbi sciatalgiformi ed impotentia coeundi.
Stadiazione dell’occlusione arteriosa (secondo Fontaine-Ratschow)
I. assenza di disturbi (il 75% di tutti i casi è asintomatico)
II. dolore da sforzo = claudicatio intermittens
a) intervallo libero > 200 m
b) intervallo libero < 200 m
III. dolore muscolare ischemico a riposo
IV. inoltre: necrosi/gangrena/ulcera
Diagnosi differenziale
1. Claudicatio intermittens (st. II):
— affezioni ortopediche (sindrome radicolare, malposizione del bacino, asimmetria
degli arti inferiori, piede piatto, artrosi dell’anca o del ginocchio); il dolore migliora col riposo ed evitando movimenti dolorosi
— affezioni neurologiche (stenosi del canale spinale, lesioni dei nervi sensitivi periferici): sono indipendenti dallo sforzo
— disturbi conclamati di deflusso venoso (claudicatio venosa): miglioramento dalla posizione ad arti sollevati.
2. Dolore a riposo (st. III), ad es.:
— sindromi da irritazione radicolare
— artrite gottosa dell’articolazione metatarso-falangea
— polineuropatia diabetica.
Diagnosi
• ispezione: colorito/temperatura della cute, disturbi trofici, necrosi (scura, secca, delimitata) oppure gangrena (umida, infetta, quasi sempre non delimitata)
• polso: diminuzione in caso di restringimento del lume ≥ 90%
• auscultazione: soffio sistolico da stenosi in caso di restringimento del lume ≥ 2/3
• misurazione della pressione sistolica (doppler) ad ambo le braccia e gambe: di solito la pressione arteriosa malleolare sistolica è più elevata di 10 mmHg rispetto alla
pressione brachiale indice doppler: pressione malleolare/pressione brachiale > 1.
In caso di alterazioni lievi dell’irrorazione arteriosa questo indice è di 0,9-0,75; con
alterazioni medio-gravi è tra 0,5 e 0,75. Valori < 0,5 o di PA sistolica < 50 mmHg
sono presenti nella ischemia critica con pericolo di necrosi e amputazione. In caso di
differenze di PA alle braccia, si prende come base di confronto il valore più elevato.
La misurazione doppler dovrebbe essere eseguita solo dopo 15 min di riposo, altrimenti i valori possono essere falsamente ridotti. Nella sclerosi della media di
Mönckeberg (90% dei diabetici di tipo 2) i valori sono spesso falsamente aumentati
per la ridotta comprimibilità delle arterie
• misurazione della pressione (doppler) sotto sforzo (ad es. dopo 20 volte in punta di
piedi): nei soggetti sani, dopo l’attività muscolare, i valori di PA sistolica malleolare
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•
•
•
•
•
•
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si riducono al massimo del 35% rispetto ai valori a riposo e dopo circa 1 min ritornano ai valori di partenza. In caso di AOP con conseguenze emodinamiche la riduzione pressoria è più marcata e il tempo di recupero più prolungato
test standardizzato del cammino con metronomo o «tapis roulant» (diagnostica nello
st. II): effettuare il test fino a che si manifestino dolori da ischemia
oscillografia (curva del polso): definizione della localizzazione della stenosi
misurazione quantitativa della circolazione: pletismografia dell’occlusione venosa,
reografia, ecc.
misurazione transcutanea di pO2 e pCO2: valori normali di pO2: 64 ± 10 mmHg (in
posizione seduta, più alti di 30 mmHg); stadio II valori > 10 mmHg; stadio III < 10
mmHg. In caso di arteriopatia obliterante avanzata, i valori non aumentano respirando O2 puro
ecografia doppler direzionale con tipico reperto sfigmico: distalmente alla stenosi arteriosa si registra la perdita della componente di flusso retrogrado protodiastolico e la
ridotta ampiezza di flusso sistolico, eventualmente anche un flusso anterogrado olodiastolico. A livello della stenosi si registra una velocità di flusso marcatamente aumentata
diagnostica per immagini per localizzare la stenosi:
— ecografia doppler a colori
— angiografia intraarteriosa digitale per sottrazione (DSA)
— angio-TC, angio-RMN o 3D-RMN.
Terapia
A) Causale:
eliminazione di tutti i fattori di rischio dell’arteriosclerosi = terapia di base per tutti i pazienti: astinenza dal fumo, trattamento ottimale dell’ipertensione, delle alterazioni del metabolismo lipidico, del diabete mellito, ecc.
B) Sintomatica
Terapia dell’AOP a seconda dello stadio
— ergoterapia
St. II
— terapia farmacologica
St II-IV
— misure di rivascolarizzazione
— trattamento delle infezioni
St. IV
— amputazione, come ultima ratio
1. Conservativa:
A) ergoterapia: promuovere la formazione dei vasi collaterali con esercizio giornaliero di cammino per 1-2 ore. Fare una pausa quando si manifesta il dolore.
Indicazione: st. II (solo in caso di sufficiente compenso emodinamico).
Controindicazione: st. II, III e IV con scarso compenso
B) terapia farmacologica:
— prevenzione della trombosi arteriosa con antiaggreganti piastrinici, ad es.
acido acetilsalicilico: 300 mg/die; in caso di intolleranza all’ASA: clopidogrel 75 mg/die.
Quando non si può attuare un trattamento di rivascolarizzazione, prendere in
considerazione le seguenti opzioni terapeutiche:
— prostanoidi e.v. (e anche intra-arteriosi):
• prostaglandina E1 = PGE1 = alprostadil
• derivati della prostaciclina (ad es. iloprost).
Indicazioni: stadio III e IV quando le misure di rivascolarizzazione non sono possibili o efficaci.
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Meccanismo d’azione: vasodilatazione migliore afflusso ai vasi collaterali, inibizione dell’aggregazione piastrinica, miglioramento metabolico nell’area ischemica.
Controindicazioni: insufficienza cardiaca manifesta, disturbi del ritmo cardiaco, cardiopatia ischemica, epatopatie, gravidanza, allattamento, ecc.
Effetti collaterali: ipotensione, tachicardia, ev. scatenamento di una crisi di
angina pectoris, peggioramento dell’insufficienza cardiaca, effetti collaterali
a carico del sistema nervoso centrale, ecc.
— emodiluizione isovolemica: obiettivo: riduzione dell’ematocrito a valori di
35-40%.
Indicazioni: poliglobulia e policiemia vera.
Controindicazioni: anemia, disidratazione.
Principio: salasso di 500 ml + contemporanea somministrazione di 500 ml
di amido idrossietilico al 10%.
Nota: l’efficacia terapeutica di una emodiluizione ipervolemica di breve durata, ad es. infusione di AIE, non è dimostrata.
— terapia emoreologica: ad es. pentossifillina.
Indicazioni: stadio II quando non è praticabile l’ergoterapia.
C) Terapia dell’eventuale insufficienza cardiaca (miglioramento della funzione di
pompa) e di una eventuale pneumopatia (miglioramento della saturazione arteriosa di O2).
D) Evitare i farmaci che peggiorano l’irrorazione periferica (ad es. betabloccanti,
diidroergotamina).
E) Trattamento locale: accurata igiene del piede (protezione della cute screpolata,
pedicure prudente, scarpe comode), prevenzione e successiva terapia delle ferite; nello stadio III e IV postura declive delle gambe, bendaggio con ovatta e
adeguata postura per evitare lesioni da decubito; sono vietate le misure iperemizzanti e le applicazioni calde (aumentato fabbisogno di O2; pericolo di ustione). In caso di necrosi: trattamento locale + sistemico dell’infezione. In caso di
ulcera torpida si possono raggiungere livelli efficaci di antibiotici tramite una
perfusione venosa retrograda (iniezione dell’antibiotico in una vena del dorso
del piede dopo aver indotto la stasi della gamba applicando una pressione superiore a quella sistolica).
F) Terapia sperimentale: nello stadio III e IV, stimolazione della neovascolarizzazione tramite terapia genica col gene del VEGF (vascular endothelial growth
factor).
2. Procedure con catetere:
— angioplastica transluminale percutanea (PTA) tramite catetere a palloncino =
metodo standard. Indicazioni: stenosi poco calcificata e di lunghezza < 10 cm
— associazione di lisi locale ed ev. trombectomia per aspirazione + successiva
PTA; indicazioni: stenosi arteriosclerotica + trombosi da apposizione, occlusione
trombotica dopo PTA; tempo limite per la trombolisi: 2 mesi per braccio e coscia, 1 mese per avambraccio e gamba, pochi giorni per mano e piede
— angioplastica per rotazione, eco- o laser-angioplastica: indicazione: stenosi estese
— impianto di stent (endoprotesi) con stent estensibile con palloncino o autoestensibile; indicazioni: rivascolarizzazione delle arterie del bacino o femorali, complicanze dopo PTA.
3. Terapia chirurgica:
a) Rivascolarizzazione
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— tromboendoarteriectomia (disobliterazione) = rimozione anche dell’intima,
ad es. tramite «ringstripper». Indicazioni: stenosi a carico dell’arteria iliaca o
femorale (ad es. disobliterazione dell’arteria femorale profonda)
— intervento di by-pass:
• con impiego di una vena safena autologa per superare una stenosi a livello di coscia o gamba
• con impiego di materiale artificiale (teflon = politetrafluoroetilene = PTE);
indicazioni: occlusione aortica infrarenale alta con interessamento delle arterie iliache. Posizionamento di un by-pass aortobifemorale: mortalità operatoria 1%, pervietà a 10 anni 85%.
Indicazioni all’intervento chirurgico: relativa nello stadio II, urgente in stadio III
e IV.
Complicanze dopo rivascolarizzazione chirurgica:
— generali: flebotrombosi, embolia polmonare
— locali: emorragia, rottura della protesi vascolare, infezione, recidiva dell’occlusione (sino al 50% dei casi entro 5 anni dopo PTA oppure intervento).
b) Simpaticectomia, ad es. tramite iniezione TC-guidata di alcool ad alta percentuale a livello della catena del simpatico.
Meccanismo d’azione: miglioramento dell’irrorazione cutanea mediante simpaticolisi.
Inefficace in caso di claudicatio intermittens, dolori a riposo.
Indicazioni: sono rare, ad es. nello stadio III e IV nei casi di ipertono simpatico
periferico (cute umida e fredda) oppure in caso di tromboangioite obliterante.
c) Amputazione
ultima ratio nello stadio IV quando i volumi di afflusso e di deflusso sono insufficienti per la rivascolarizzazione.
Nota: prima dell’amputazione consultare lo specialista angiologo!
Prognosi
Dipende da:
— gravità (stadio) dell’AOP
— rimozione o persistenza dei fattori di rischio: il fumo o un diabete insufficientemente trattato sono determinanti per il rischio di recidiva di occlusione ed eventuale successiva amputazione!
— altre manifestazioni di una arteriosclerosi generalizzata (ischemia coronarica, occlusione delle arterie cerebrali) nonché altre malattie di fondo (ad es. insufficienza
cardiaca, affezioni polmonari).
Nota: ca. il 50% dei pazienti nello stadio II presenta anche stenosi vascolari coronariche; nello stadio III e IV il 90% dei pazienti ha una cardiopatia ischemica, il 50% alterazioni arteriosclerotiche delle arterie cerebrali extra-craniche. La maggior parte dei
pazienti muore di cardiopatia ischemica.
TROMBOANGIOITE OBLITERANTE
Sinonimo
Malattia di Winiwarter-Buerger.
Definizione
Angioite segmentaria polidistrettuale delle piccole e medie arterie e vene delle estremità (distalmente al ginocchio o al gomito) con trombosi secondaria del lume.
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Epidemiologia
Generalmente giovani uomini forti fumatori, soprattutto nelle aree mediterranee.
Clinica
— dolore, cianosi, sensazione di freddo alla porzione distale degli arti
— phlebitis migrans (o phlebitis saltans)
— necrosi o gangrena della porzione distale degli arti (dita, alluce).
Diagnosi
Anamnesi di fumo di sigaretta/clinica/colordoppler o angiografia.
Terapia
— astensione dal fumo (è la misura terapeutica più importante)
— infusione di prostaglandina E1 (alprostadil)
— ASA (100 mg/die)
— evtl. simpaticectomia.
PATOLOGIA OCCLUSIVA DELLE ARTERIE CEREBRALI
E INFARTO CEREBRALE ISCHEMICO
Sinonimo
Infarto cerebrale ischemico = encefalomalacia
Definizione
• Arterie cerebrali extra-craniche: arterie sia. cerebrale anteriore
tuate tra l’arco aortico e la base cranica (rami sovra-aortici dell’arco aortico): tronco
a. cerebrale media
brachiocefalico, a. succlavia, a. vertebrale,
a. carotide interna
a. carotide comune e interna. L’arteria più
a. cerebrale posteriore
frequentemente coinvolta è la carotide interna (50% dei casi; sede elettiva: biforcaa. basilare
zione carotidea).
a. vertebrale
• Arterie cerebrali intra-craniche: circolo arterioso del Willis + sue ramificazioni; l’arCircolo arterioso cerebrale
teria più frequentemente coinvolta è la ce(poligono del Willis)
rebrale media (25% dei casi).
• Infarto cerebrale ischemico: danno irreversibile del tessuto cerebrale da disturbo circolatorio acuto localizzato.
Epidemiologia
Incidenza degli insulti apoplettici nei Paesi industrializzati:
— nella fascia d’età tra 55 e 64 anni: 300/100.000/anno
— nella fascia d’età tra 65 e 74 anni: 800/100.000/anno.
L’infarto cerebrale ischemico costituisce la causa dell’80% di tutti gli insulti cerebrali;
è al 3° posto per frequenza di causa di morte (dopo la cardiopatia ischemica e i tumori); è tra le cause più frequenti di invalidità in età avanzata.
Eziologia
1. Arteriosclerosi e trombosi arteriosa (circa 70%).
L’ipertensione arteriosa è il fattore di rischio più importante (il rischio aumenta di
4 volte rispetto ai soggetti normotesi). Altri fattori di rischio: cardiopatia ischemica
(rischio dopo infarto miocardico: 1,5% all’anno); diabete mellito, soprattutto se as-
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sociato all’ipertensione; fumo, forte consumo di alcoolici (un consumo moderato di
alcool sembra avere invece un effetto protettivo), stenosi carotidea > 60%.
2. Embolie arteriose (30%).
Le fonti emboligene sono:
a) cardiaca (fibrillazione atriale), vizi valvolari mitralici o aortici, infarto miocardico, aneurisma della parete cardiaca, endocardite batterica. In caso di fibrillazione atriale cronica il rischio di embolia cerebrale è, in assenza di trattamento,
del 6% all’anno
b) arteriosclerotica da arterie periferiche: placche ulcerate o stenosi a livello carotideo o dell’arco aortico.
3. Altre cause: raramente dissecazione delle arterie cerebrali extra-craniche, vasculiti
(nei pazienti più giovani).
Patogenesi
1. Microangiopatia cerebrale a carico delle arteriole perforanti midollari:
— piccoli infarti lacunari
— encefalopatia subcorticale arteriosclerotica = malattia di Binswanger, a lenta
evoluzione, evtl. comparsa di demenza.
Fattore di rischio principale: ipertensione arteriosa.
2. Macroangiopatia
— macroangiopatia delle arterie cerebrali intra-craniche (10%); sedi elettive: sifone
carotideo e tronco principale dell’a. cerebrale media
— macroangiopatia delle arterie cerebrali extra-craniche (90%); hanno di solito significato patogenetico rilevante solo le stenosi/occlusioni dell’a. carotide interna.
Gli infarti da coinvolgimento dell’a. carotide interna derivano principalmente da
embolie arterio-arteriose = mobilizzazione di materiale trombogeno a partenza
dalla carotide interna.
Le stenosi con restringimento del lume < 75% sono solitamente asintomatiche.
Solo in caso di circolo arterioso del Willis insufficiente le stenosi/occlusioni monolaterali gravi della carotide interna causano una riduzione critica della pressione di perfusione, tale da portare a infarto su base emodinamica, da deficit di
irrorazione a carico dei settori cerebrali più lontani e privi di circoli collaterali.
L’entità dei disturbi neurologici dipende da:
— localizzazione della stenosi/occlusione
— presenza di anastomosi compensatorie
— pressione e viscosità ematica: l’ischemia cerebrale acuta compromette i meccanismi
di autoregolazione della perfusione cerebrale. Ne deriva una vasoparalisi con dipendenza dell’irrorazione ematica dalla pressione arteriosa e dalle proprietà di viscosità
del sangue. Un improvviso calo pressorio o un ematocrito elevato possono portare
alla riduzione critica della perfusione del territorio irrorato dai vasi post-stenotici
— estensione dell’area cerebrale ischemica.
Anatomia patologica
a) Gli infarti territoriali derivano dall’occlusione trombotica o embolica delle grandi
arterie cerebrali e sono localizzati a livello dei gangli della base oppure a livello
corticale/sottocorticale, con aspetto a cuneo.
b) Gli infarti extra-territoriali sono provocati da stenosi o occlusioni extra-craniche;
ne esistono 2 tipi:
• gli infarti delle aree di confine interessano il settore al limite tra due distretti vascolari e coinvolgono le aree terminali di irrorazione dell’arteria cerebrale anteriore, media o posteriore
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• gli infarti dei rami terminali di arterie midollari prive di circoli collaterali interessano le aree midollari periventricolari/subcorticali.
Clinica
4 stadi della patologia occlusiva delle arterie cerebrali extra-craniche:
— stadio I: stenosi asintomatica
— stadio II: TIA = attacco ischemico transitorio: deficit neurologico di breve durata,
reversibile, che regredisce nel giro di minuti o, al massimo, entro 24 ore; ad es. disturbi visivi, debolezza del braccio o della gamba, disturbi della parola. Le tecniche
diagnostiche d’immagine documentano piccole lesioni cerebrali nel 30% dei casi.
Nota: il 40% dei pazienti con TIA presenta, entro 5 anni, un ictus; la metà di questi entro 3 mesi
— stadio III: (P)RIND = deficit neurologico ischemico reversibile (protratto): la regressione completa del deficit neurologico richiede un periodo > 24 ore. Facile evoluzione ad un infarto di modesta gravità («minor stroke»).
— stadio IV: infarto cerebrale completo: regressione solo parziale o assente del deficit
neurologico.
La localizzazione dell’occlusione determina la sintomatologia: i sintomi tipici dell’insulto apoplettico sono disturbi della coscienza, (emi)paresi, disturbi della parola e sensoriali. Possono essere anche presenti sintomi neurovegetativi, turbe circolatorie e respiratorie.
1. Occlusione delle arterie cerebrali extra-craniche:
— di tipo carotideo (occlusione dell’a. carotide interna, spesso a livello dell’origine; 50% dei casi); in presenza di un buon circolo collaterale, le occlusioni monolaterali della carotide interna possono essere asintomatiche. L’amaurosis fugax
monolaterale è tipica della stenosi della carotide interna. L’infarto cerebrale provoca un’emiparesi sensitivo-motoria controlaterale con indebolimento dei riflessi; più tardivamente si manifesta una paralisi spastica con aumento dei riflessi e
presenza di segni piramidali (Babinski). Negli infarti di maggiore estensione sono anche presenti disturbi della parola e della coscienza ed eventualmente la deviazione della testa e dello sguardo verso il lato dell’infarto.
— di tipo vertebro-basilare (15% dei casi): vertigine rotatoria, drop attack, nistagmo, vomito, disturbi della vista, paresi, ecc.
L’occlusione dell’arteria cerebrale infero-posteriore (proveniente dall’arteria vertebrale) provoca la sindrome di Wallenberg: paresi omolaterale del palato molle, faringe e corde vocali; deficit trigeminale, nistagmo; sindrome di Horner;
atassia delle estremità, dismetria (deficit della visione da lontano); turbe controlaterali della sensibilità termica e dolorifica a livello della radice del collo.
Forma particolare: sindrome da furto della succlavia: l’occlusione dell’a. succlavia in sede prossimale rispetto all’emergenza della vertebrale porta alla comparsa di un flusso retrogrado, abitualmente asintomatico, a carico della vertebrale. Però, in presenza di ulteriori ostacoli a carico del circolo cerebrale, possono
manifestarsi vertigine o disturbi visivi correlati all’uso dell’arto superiore omolaterale. Alla misurazione della PA si rileva una differenza tra le due braccia >
20 mmHg.
2. Occlusione delle arterie cerebrali intra-craniche:
è la forma più frequente, nel territorio dell’a. cerebrale media (25% dei casi). La
sintomatologia è simile a quella da occlusione dell’a. carotide interna (tranne l’amaurosis fugax). Più rara è l’occlusione dell’a. cerebrale anteriore (emiparesi controlaterale, soprattutto evidente all’arto inferiore) oppure dell’a. cerebrale posteriore
(emianopsia).
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L’occlusione acuta dell’a. basilare porta ad alterazioni progressive della coscienza,
vertigine rotatoria improvvisa, disturbi della deglutizione, paralisi bilaterale.
Diagnosi differenziale
— emorragia cerebrale spontanea (15% di tutti gli ictus), il più delle volte legata ad
ipertensione arteriosa (emorragia massiva ipertensiva), più raramente in corso di terapia fibrinolitica o anticoagulante: perdita di coscienza rapidamente progressiva
— encefalopatia ipertensiva
— emorragia subaracnoidea, nella maggior parte dei casi da aneurisma della base cranica (5% di tutti gli ictus): cefalea assai violenta, rigidità del collo, spesso turbe
della coscienza, liquor emorragico, TC e RMN
— trombosi del seno venoso (edema palpebrale bilaterale! ricercare foci purulenti a livello del blocco facciale!)
— ematoma subdurale (cefalea, turbe di coscienza lentamente peggiorative, in anamnesi evtl. trauma anche di lieve entità ecografia, TC, RMN, angiografia)
— processi cerebrali occupanti spazio (tumore, ascesso TC, RMN)
— disturbi neurologici transitori dopo una crisi epilettica (perdita d’urine, morsicatura
della lingua)
— trauma cranico e cerebrale da caduta
— meningo-encefalite (febbre, meningismo, sonnolenza, liquor diagnostico)
— ipoglicemia, coma diabetico (determinazione della glicemia)
— intossicazioni (anamnesi ambientale/agenti esogeni)
— neurosifilide (test TPHA positivo).
Diagnosi
1. Anamnesi + clinica: situazione neurologica: stato di coscienza, pupille, posizione
degli occhi, nervi cranici, mobilità degli arti, rigidità nucale, ecc.; fondo dell’occhio
(stasi papillare?)
— valutazione dei polsi arteriosi: palpazione e auscultazione, in particolare delle
arterie carotidi (2/3 delle stenosi carotidee provocano un soffio udibile)
— misurazione della pressione a entrambe le braccia (in caso di sindrome dell’arco aortico, differenza tra i due lati > 20 mmHg).
2. Diagnostica per immagini: è obbligatoria la TC del cranio (TC spirale, angio-TC)
immediata, che consente la differenziazione tra insulto ischemico, emorragia e tumore, e la determinazione della localizzazione e dell’estensione dell’infarto cerebrale. Emorragia: area iperdensa; infarto: area ipodensa (nelle prime 12 ore la TC può
risultare negativa)
Nota: per chiarire l’eziologia di un ictus e adottare le opportune misure terapeutiche
è assolutamente consigliabile l’esecuzione rapida della TC cranica.
3. Diagnostica cardio-vascolare: ECG, ecocolordoppler extra- e trans-cranico, ecocardiografia (ottimale trans-esofagea), evtl. ulteriori indagini (ad es. angio- o 3DRMN). Tomografia a emissione di positroni (PET): tecnica diagnostica specialistica
poco diffusa differenziazione tra tessuto cerebrale vitale e infartuato, e riconoscimento del tessuto periinfartuale ancora perfuso («penombra»).
Terapia
Ricovero in ospedale dotato di TC! Trasporto con assitenza medica, con la parte superiore del corpo leggermente inclinata (30°), posizione sul fianco in caso di vomito; valutazione specialistica neurologica; trattamento in unità di terapia intensiva o in una
«stroke unit».
A) Misure generali:
— assicurare le funzioni vitali
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Nota: non praticare punture venose nel braccio colpito, per l’elevato rischio di
trombosi
— controllo di ventilazione, circolazione, equilibrio idro-elettrolitico, glicemia, emogasanalisi
Somministrazione di O2 quando al pulsossimetro la saturazione di O2 è < 95%.
In caso di disturbi respiratori: intubazione e respirazione assistita
— controllo delle funzioni intestinale e vescicale (catetere vescicale)
— prevenzione del tromboembolismo per tutta la durata dell’immobilizzazione
(eparina a bassa dose, calze elastiche, esercizi di mobilizzazione)
— dopo documentato insulto apoplettico ischemico, l’inizio precoce del trattamento antiaggregante piastrinico (ad es. ASA 100-300 mg/die) riduce la mortalità
— trattamento di malattie concomitanti: insufficienza cardiaca, disturbi del ritmo
— mantenimento della normoglicemia (elevati valori glicemici possono aumentare
la pressione endocranica!)
— mantenimento dei valori pressori ai livelli superiori della norma o leggermente
aumentati: in fase acuta, l’ipertensione arteriosa è frequente e generalmente su
base reattiva; nelle prime 24 ore è meglio evitare un trattamento antiipertensivo,
eseguendo però controlli regolari della PA. L’indicazione a un prudente trattamento ipotensivante sussiste solo in caso di valori assai elevati (>200/100 mmHg)
oppure in caso di crisi ipertensiva con pericolo di vita da encefalopatia ipertensiva, angina pectoris o edema polmonare. La riduzione dei valori di PA deve essere sempre cauta, di non più del 20% circa rispetto al valore di partenza!
— abbassamento della temperatura corporea elevata (impacchi freddi ai polpacci,
paracetamolo, ecc.)
— in caso di ematocrito patologicamente alto, evtl. emodiluizione isovolemica
— trattamento dell’eventuale ipertensione endocranica:
• conservativo: tronco sollevato (inclinazione di 30°) e capo eretto; trattamento
con farmaci osmoticamente attivi (ad es. mannitolo 50 g e.v. ogni 6 ore); evtl. intubazione e respirazione assistita, ma mai iperventilazione protratta (peggioramento della perfusione cerebrale)
• neurochirurgico:
– craniotomia decompressiva in caso di infarto esteso nel territorio della cerebrale media; decompressione del tronco encefalico in caso di infarto esteso
della fossa cranica posteriore
– drenaggio ventricolare transitorio in caso di infarto cerebellare con idrocefalo occlusivo
— in caso di disturbi della deglutizione o della coscienza con pericolo di aspirazione: alimentazione tramite sonda o per via parenterale. In caso di turbe della
deglutizione persistenti per oltre 2 settimane: gastrostomia endoscopica percutanea (PEG)
— prevenzione dei decubiti (imbottitura delle estremità immobilizzate, cambio regolare di posizione, materasso antidecubito), prevenzione del piede equino e delle contratture grazie al mantenimento di una posizione corretta
— trattamento riabilitativo precoce ed evtl. trattamento logopedico, ginnastica respiratoria
B) Trattamento di rivascolarizzazione:
in caso di infarto acuto del territorio della cerebrale media senza grossa demarcazione (<1/3 del territorio vascolare) e di trombosi della basilare, evtl. trombolisi,
con particolare attenzione agli affetti collaterali e alle controindicazioni (la valutazione va condotta con l’appoggio di un centro neurologico). Poiché un’occlusione
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dell’arteria basilare ha solitamente esito letale, la trombolisi costituisce l’unica possibilità terapeutica!
Nota: la finestra temporale perché la lisi sia efficace è ridotta e si limita alle prime
3 ore dall’esordio del danno. Trattamento di scelta: rt-PA 0,9 mg/kg (dose massima
90 mg).
Requisiti per la terapia trombolitica:
• esclusione alla TC di un’emorragia cerebrale
• inizio del trattamento entro 3 ore dall’esordio dei sintomi
• assenza di segni d’infarto pregresso che indichino infarti estesi nel territorio della cerebrale media (>1/3 dell’area irrorata da questa arteria)
• esclusione di controindicazioni.
C) Trattamento anticoagulante con eparina in caso di embolia cerebrale e nella fase
di embricatura nel passaggio al trattamento anticoagulante orale con dicumarolici
per la prevenzione delle recidive (vedi più avanti)
Indicazione: embolia cerebrale (fare attenzione agli effetti collaterali e controindicazioni)
D) Riabilitazione: dopo il trattamento della fase acuta, misure riabilitative.
Prognosi
Dipende dall’entità del danno cerebrale: mortalità intra-ospedaliera sino al 25%.
Successivamente, il rischio di morte è del 9% all’anno. Un terzo dei pazienti va inconto a un secondo infarto cerebrale; il 15% dei casi muore per cardiopatia ischemica.
Prevenzione
1. prevenzione primaria e secondaria: rimozione/trattamento di tutti i fattori di rischio
per arteriosclerosi. La normalizzazione dei valori pressori elevati riduce il rischio
di insulto cerebrale del 40%!
2. gli antiaggreganti piastrinici utilizzati per la prevenzione secondaria (dopo TIA,
(P)RIND o infarto cerebrale) riducono il rischio di insulto cerebrale del 30%. Dosaggio: ASA 100-300 mg/die (fare attenzione agli effetti collaterali e alle controindicazioni); in caso di intolleranza all’ASA, clopidogrel 75 mg/die (vedi cap. Prevenzione della trombosi)
3. in caso di fibrillazione atriale la prevenzione primaria con anticoagulanti (INR tra
2 e 3; vedi al relativo capitolo per effetti collaterali e controindicazioni) riduce il rischio del 70% circa
4. prevenzione secondaria con anticoagulanti (vedi al relativo capitolo per effetti collaterali e controindicazioni) dopo embolia cerebrale: nello stadio acuto iniziare con
l’eparina, embricare poi la somministrazione di dicumarolici; INR tra 2 e 4 (protezione ottimale con INR 3-4, rischio minimo di emorragia con INR 2-3)
5. rimozione di una stenosi di grado elevato della carotide interna
Indicazione: pazienti sintomatici con stenosi > 70% e pazienti asintomatici con stenosi > 80% dell’arteria carotide interna.
Metodi
— chirurgia invasiva, ad es. rimozione della superficie stenosante = endoarteriectomia e angioplastica
— PTCA con impianto di stent se non vi sono controindicazioni (ad es. depositi
trombotici recenti).
Nei pazienti asintomatici la mortalità della chirurgia carotidea è < 3%; la mortalità
per PTCA/impianto di stent è nei centri qualificati < 1%. Nell’1-3% dei casi si verificano accidenti cerebrovascolari.
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ARTERIOPATIA OBLITERANTE DEI VASI VISCERALI
Fisiopatologia
L’arteria mesenterica superiore irrora l’intestino dalla flessura duodeno-digiunale sino
alla flessura colica sinistra. In caso di una lesione arteriosclerotica a lento sviluppo a
carico della mesenterica superiore, la perfusione può essere assicurata dai circoli collaterali (1. attraverso l’arcata pancreatico-duodenale dal tronco celiaco oppure 2. attraverso l’anastomosi di Riolano tra l’arteria colica media e l’arteria colica sinistra proveniente dall’arteria mesenterica inferiore); in questo caso le stenosi sono generalmente
asintomatiche. Un’occlusione acuta della mesenterica superiore causa invece generalmente un infarto intestinale. Una stenosi di grado elevato dell’arteria mesenterica inferiore può provocare una colite ischemica.
Eziologia
— generalmente arteriosclerosi dell’arteria mesenterica da trombosi arteriosa acuta (pazienti anziani)
— talvolta embolia arteriosa acuta (ad es. in corso di fibrillazione atriale, endocardite)
— raramente aneurisma o dissecazione aortica
— molto raramente aortite, ad es. nell’arterite di Takayasu o nella panarterite nodosa
— ancor più raramente compressione del tronco celiaco da parte del legamento arcuato mediale.
Clinica
Si riconoscono 4 stadi:
— stadio I: asintomatico (reperto arteriografico o ecodoppler occasionale)
— stadio II: angina abdominis = dolori addominali postprandiali intermittenti, secondari a ischemia
— stadio III: dolori addominali protratti non continui + sindrome da malassorbimento
evtl. con colite ischemica
— stadio IV: occlusione acuta dell’arteria mesenterica con infarto intestinale, con decorso temporale in 3 fasi:
1. dolore addominale iniziale, intenso e di tipo colico, nausea
2. intervallo di diverse ore sostanzialmente senza disturbi
3. ileo paralitico, peritonite da perforazione della parete con addome acuto, dolore
diffuso alla palpazione, segni di difesa addominale, shock, evtl. feci ematiche.
Diagnosi differenziale
— la trombosi venosa mesenterica è causa di infarto mesenterico nel 10% dei casi (l’iter diagnostico-terapeutico è lo stesso dell’arteriopatia obliterante dei vasi viscerali)
— ischemia della zona irrorata dall’arteria mesenterica in assenza di occlusione arteriosa (ischemia non occlusiva = non occlusive disease) causata dalla riduzione della gittata cardiaca (insufficienza cardiaca, infarto miocardico, shock circolatorio). La
digitale ha un effetto favorente l’ischemia, potendo scatenare un vasospasmo nel
territorio splancnico nonostante la vasodilatazione periferica.
Diagnosi
• anamnesi:
— spesso dolori addominali ingravescenti, recidivanti, post-prandiali
— età avanzata
— affezioni cardiache (cardiopatia ischemica, insufficienza cardiaca, fibrillazione
atriale)
— ipertensione arteriosa, diabete mellito, ipercolesterolemia ed altri fattori di rischio
(vedi cap. Cardiopatia ischemica)
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— terapia con digitale o ergotamina (vasospasmo nel territorio splancnico)
— shock circolatorio (ipotensione)
— post-chirurgica: dopo amputazione del retto o intervento per aneurisma dell’aorta
• auscultazione: evtl. soffio da stenosi sincrono col polso, a livello dell’addome superiore
• quadro radiologico addominale: livelli idro-aerei, singole anse intestinali distese,
ispessimento della parete intestinale
• radiologia del torace, ECG
• ecografia dell’addome: falda liquida libera in addome, anse intestinali rigide
• ecografia color-doppler, angio-/3D-RMN, evtl. DSA intra-arteriosa; in caso di colite
ischemica la colonscopia (che va praticata con grande prudenza per il pericolo di
perforazione) documenta la presenza di edema della mucosa, ulcere con colorazione
livida delle aree circostanti.
Nota: non si deve sprecare tempo prezioso con indagini che richiedono tempo! La tolleranza dell’intestino all’insulto ischemico è al massimo di 6 ore.
Terapia
Il solo sospetto di occlusione acuta dell’arteria mesenterica con infarto intestinale (stadio IV) è sufficiente per eseguire una laparotomia esplorativa. A seconda del reperto
intra-operatorio si procede a embolectomia, disobliterazione o intervento di by-pass; in
caso di necrosi intestinale la resezione dell’intestino è inevitabile. In caso di colite
ischemica lieve è indicato un trattamento conservativo (sintomatico). Vanno corretti i
fattori di rischio per arteriosclerosi e si devono somministrare antiaggreganti piastrinici
(ad es. ASA).
Prognosi
Gli interventi eseguiti in stadio II hanno una prognosi favorevole e un tasso di mortalità relativamente basso (5%). La mortalità da infarto della mesenterica è > 50%. La
prognosi è condizionata soprattutto dal tempo intercorso sino al momento dell’intervento, oltre che dall’età, dalle malattie concomitanti e dall’estensione del tratto intestinale
ischemico.
ANEURISMA DELL’AORTA ADDOMINALE
Epidemiologia
10% degli uomini ipertesi > 65 anni; picco frequenza nella 6ª-7ª decade; frequenza in
aumento nei paesi industrializzati.
Localizzazioni
Oltre il 95% degli aneurismi è a livello infra-renale, solitamente su base arteriosclerotica; nel 30% vi è estensione alle arterie del bacino.
Diagnosi
Ecografia: diametro esterno dell’aorta addominale > 3 cm.
Il rischio di rottura è del 10% all’anno se il diametro è > 5 cm: è questa pertanto l’indicazione all’intervento chirurgico (in caso di diametro < 5 cm il rischio è del 3% all’anno).
Terapia
Posizionamento di stent o intervento chirurgico (protesi a Y aorto-biiliaca); mortalità
dell’intervento d’elezione: circa 3%.
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DISSECAZIONE AORTICA
Sinonimo
Aneurisma dissecante.
Epidemiologia
Complicanza acuta e potenzialmente letale, relativamente rara, che si manifesta
nell’80% degli aneurismi in pazienti ipertesi, oltre che nella sindrome di Marfan (malattia ereditaria autosomica dominante del tessuto connettivo, con tipici segni somatici
quali estremità abnormemente lunghe, aracnodattilia, iperestensibilità delle articolazioni,
ecc.)
Definizione
Al contrario dell’aneurisma vero, in cui la dilatazione parietale interessa tutti gli strati,
nell’aneurisma dissecante, a seguito della rottura dell’intima, si giunge ad un sanguinamento intramurale nel contesto della media, con formazione di un secondo lume aortico patologico che si estende in senso distale o prossimale:
• tipo A, prossimale (60% dei casi): a livello dell’arco aortico, con coinvolgimento dell’aorta ascendente
• tipo B, distale (40% dei casi): distale all’arco aortico, cioè a carico dell’aorta discendente
Clinica
Dolore toracico assai intenso, eventualmente migrante, terebrante, solitamente retrosternale nel tipo A, al dorso con irradiazione addominale nel tipo B. Nel tipo A, eventuali
differenze di polso e pressione tra le due braccia. In caso di insufficienza aortica complicata, soffio cardiaco diastolico.
Complicanze
• nel tipo A: tamponamento cardiaco, insufficienza valvolare aortica, dislocazione delle arterie coronariche ( infarto cardiaco), apoplessia
• nel tipo B: emotorace, sanguinamento nel mediastino o addome, dislocazione delle
arterie renali e/o mesenteriche ( insufficienza renale, infarto mesenterico)
Diagnosi differenziale
— infarto miocardico ed evtl. complicanze (troponina I/T, CPK-MB, ECG)
— embolia polmonare (pO2, ecocardiogramma, TC spirale)
Diagnosi: clinica, radiografia del torace (evtl. immagine di doppio contorno aortico), ecocardiogramma (transesofageo), angio-/3D-RMN.
Terapia
1. abbassare la pressione arteriosa a valori sistolici di 100-110 mmHg; analgesici.
2. correzione chirurgica con protesi artificiale (sempre nel tipo A; nel tipo B a seconda delle complicanze incombenti); mortalità intraospedaliera 5-30%.
Prognosi: in assenza di trattamento, sopravvive alle prime 48 ore solo il 50% dei pazienti; l’80% muore entro 2 settimane per rottura dell’aorta.
SINDROME DI RAYNAUD
Definizione
Sindrome di Raynaud primaria (10%) = crisi vasospastiche dolorose con ischemia digitale, della durata di 30 min al massimo, causate dal freddo o dalle emozioni.
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Sindrome di Raynaud secondaria (90%) = identica sintomatologia con attacchi asimmetrici, nella maggior parte dei casi con alterazioni organiche delle arterie digitali secondarie a varie malattie di base:
— collagenopatie (più frequentemente sclerodermia e sindrome di Sharp)
— vasculiti (in particolare malattia di Winiwarter-Buerger)
— lesioni da vibrazioni, sindrome del tunnel carpale, distrofia di Sudeck
— embolie arteriose periferiche
— arteriopatia obliterante periferica
— farmaci: ad es. betabloccanti, ergotamina, bleomicina, cisplatino, ecc.
— malattie ematologiche/oncologiche: ad es. policitemia, trombocitosi, sindrome da agglutine a frigore, crioglobulinemia, paraproteinemia (plasmocitoma, malattia di Waldeström).
Epidemiologia
Sino al 5% della popolazione soffre di sindrome di Raynaud primaria; F:M = da 2:1 sino a 5:1.
Clinica
Gli attacchi ischemici si sviluppano in 3 fasi:
1. pallore da vasospasmo delle arterie digitali (ad eccezione dei pollici)
2. cianosi da paralisi delle venule
3. eritema cutaneo da vasodilatazione reattiva.
Ma non sempre ci sono le 3 fasi del tipico fenomeno tricolore; in particolare, nelle stenosi organiche fisse manca l’iperemia reattiva.
Criteri diagnostici della sindrome di Raynaud primaria:
— attacchi digitali simmetrici
— assenza di necrosi
— fattori scatenanti: freddo e stress emotivo
— persistenza dei sintomi per oltre 2 anni senza dimostrazione di una malattia di base.
Diagnosi differenziale
— embolia (durata dell’ischemia > 30 min.)
— arteriopatia obliterante periferica (che può peraltro essere causa di una sindrome di
Raynaud secondaria).
Diagnosi
— prova di chiusura del pugno: a mano alzata con compressione dell’articolazione della mano da parte dell’esaminatore, chiudere il pugno per 20 volte eventuale
comparsa di pallore delle singole dita, seguito dopo il rilasciamento da ritardato afflusso ematico localizzato (confronto con l’altra mano)
— test di Allen: per la dimostrazione di una occlusione isolata dell’arteria radiale o ulnare. A pugno chiuso, si comprime selettivamente solo l’arteria radiale oppure, alternativamente, l’arteria ulnare. All’apertura del pugno, la scarsa irrorazione della
mano è indicativa di occlusione dell’arteria non compressa
— test di scatenamento da freddo: l’immersione delle mani in acqua gelida per 3 min
può innescare la crisi vasospastica
— pletismografia digitale: nella sindrome di Raynaud primaria le alterazioni dell’onda
sfigmica da spasmo vascolare si normalizzano dopo somministrazione di trinitroglicerina
— capillaroscopia: aumento del diametro dei capillari. Indagine particolarmente importante nella diagnostica della sindrome di Raynaud secondaria. Nella sclerodermia: capillari giganti, aree avascolari, emorragie; nel 12% dei casi questo reperto
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precede la comparsa dei segni clinici della sclerodermia sistemica. Reperti analoghi
si riscontrano anche in altre connettiviti. Nel lupus eritematoso sistemico: capillari
a cespuglio e intrecciati
— arteriografia: documenta la presenza di vasospasmo. Le stenosi che perdurano nonostante la somministrazione di un α-bloccante, ad es. tolazolin, sono indicative di alterazioni vascolari organiche
— laboratorio: per escludere una sindrome di Raynaud secondaria:
• indici aspecifici di flogosi: VES, PCR
• crasi ematica + prove di coagulazione, elettroforesi proteica, immunoelettroforesi
• agglutinine a frigore, crioglobuline
• ANA e anti-DNA nel LES
• anti-Scl70 nella sclerodermia
• anti-U1RNP nella sindrome di Sharp.
Diagnosi della sindrome di Raynaud primaria: coinvolgimento delle dita simmetrico a
carico di entrambe le mani, mancanza di dolore legato all’ischemia, assenza di alterazioni trofiche cutanee, capillaroscopia ed esami di laboratorio normali, esclusione di
una forma secondaria o di un’arteriopatia obliterante periferica.
Terapia
1. Terapia causale nella sindrome di Raynaud secondaria.
2. Terapia sintomatica:
— protezione dal freddo e dal bagnato, divieto di fumo di sigarette, sospensione
dei farmaci eventualmente scatenanti (vedi sopra)
— terapia di prima scelta: pomata di nitroglicerina + nifedipina per via orale (effetti collaterali: ipotensione, cefalea da nitroderivati)
— in caso di turbe trofiche cutanee con ulcerazioni: prostaglandina E1 e.v.
MALATTIE DEI VASI VENOSI
VENE VARICOSE
Definizione
Secondo l’OMS: vene varicose = vene superficiali (epifasciali) con dilatazioni sacciformi o cilindriche, in cui la dilatazione venosa può essere circoscritta oppure estesa, e
manifestarsi per lo più con tortuosità e formazione di gavoccioli.
Varianti:
— forma primaria (95%) = idiopatica, in assenza di cause note
— forma secondaria (5%) = acquisita, per lo più correlata ad ostacolato deflusso del
sistema venoso profondo, quale conseguenza di una flebotrombosi.
Epidemiologia
Circa il 20% della popolazione adulta; prevalenza in aumento con l’età; F:M = 3:1; le
prime manifestazioni compaiono solitamente nella terza decade di vita.
Fisiopatologia
Varici primarie: incontinenza valvolare delle vene epifasciali che determina un ritorno
di flusso ematico in senso centrifugo. Ciò provoca un ricircolo venoso patologico a livello delle gambe: prossimalmente alla sede dell’insufficienza, a livello inguinale, il
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sangue non scorre (come dovrebbe) dalla grande safena alle vene profonde dell’arto inferiore, ma refluisce per via retrograda dalla femorale comune alla grande safena, distalmente alla sede dell’insufficienza; da là, tramite rami collaterali delle varici e vene
perforanti torna indietro nelle vene profonde della gamba.
Anatomia
Nella gamba esistono 3 sistemi venosi:
1. vene superficiali: vena grande safena, che inizia a livello del malleolo interno e
giunge sino al triangolo di Scarpa, al di sotto della regione inguinale, dove si fa
profonda e va a sboccare nella femorale; il suo tratto terminale, dove può ricevere
altri piccoli rami venosi da regioni adiacenti, è detto «cross safeno-femorale»; vena
piccola safena e rami collaterali (area del polpaccio)
2. vene profonde: raccolgono il 90% del flusso venoso refluo, spinto principalmente
dalla pompa muscolare oltre che dalla pompa articolare. Le valvole venose impediscono il reflusso del sangue, secondo il principio di Paternoster
3. vene perforanti: collegamento tra il sistema superficiale e quello profondo. La direzione fisiologica del flusso dalla superficie alla profondità è assicurata dalle valvole venose. Ne esistono 3 gruppi principali:
— gruppo di Dodd: parte interna della coscia medio-superiore
— gruppo di Boyd: parte interna della gamba, immediatamente sotto al ginocchio
— gruppo di Cockett: 3 vene perforanti nella parte interna della gamba, a livello
del 1/3 inferiore, circa 7, 14 e 18 cm dalla pianta del piede.
Eziologia
Genesi multifattoriale:
— fattori genetici (anamnesi famigliare positiva nel 50% dei casi)
— età
— influenze ormonali nelle donne, ad es. gravidanza
— attività in stazione eretta o sedentaria
Non vi è accordo sul ruolo del sovrappeso quale possibile fattore di rischio.
Localizzazioni
— varici del tronco principale e dei rami collaterali (le più frequenti): principalmente
a carico della grande safena (parte mediale della coscia e gamba) e della piccola safena (settore posteriore della gamba) e dei loro rami collaterali
— varici reticolari = ectasie venose superficiali e localizzate, ad aspetto reticolare, con
diametro di 2-4 mm, principalmente a livello del cavo popliteo e della parte esterna di coscia e gamba
— ectasie a stella cometa = ectasie capillari a forma di ragnatela di piccolissime varici intradermiche, con diametro < 1 mm, principalmente al dorso della coscia
— varicocele = ectasie del plesso pampiniforme
— varici vulvari e sovrapubiche: compaiono in corso di gravidanza.
Clinica
— sensazione di stanchezza, pesantezza e tensione alle gambe (miglioramento con la
posizione sdraiata e col movimento)
— tendenza ad edemi malleolari serotini
— eventuale prurito e sensazione di pressione al livello delle vene perforanti insufficienti
— crampi notturni a piede e polpaccio.
Nota: le manifestazioni cliniche delle affezioni venose aumentano tipicamente verso sera, dopo una protratta stazione eretta o seduta, oppure quando fa caldo; non aumentano
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invece dopo una lunga camminata (come accade invece ad es. nella arteriopatia obliterante periferica).
Classificazione in stadi delle varici del tronco principale della grande safena (sec. Hach, 1996), in base all’estensione distale. Lo stadio è determinato alla manovra di Valsalva dal punto più distale di insufficienza (= arresto del reflusso in prossimità di una
valvola distale nuovamente continente e inizio della varice di un ramo collaterale):
I. solo valvole ostiali (insufficienza della «cross»)
II. varici con reflusso sino al di sopra dell’articolazione del ginocchio
III. varici sino al di sotto dell’articolazione del ginocchio
IV. varici sino all’articolazione della caviglia.
A causa del volume di sangue ricircolante a livello della varice del tronco principale
della grande safena, si giunge nel corso degli anni, quale conseguenza secondaria, ad
un sovraccarico di volume della vena poplitea e femorale, con dilatazione e insufficienza valvolare. Ciò viene definito come insufficienza venosa poplitea e femorale secondaria.
In caso di varice incompleta del tronco principale della grande safena, la «cross» è continente, ma il reflusso dal circolo profondo verso la grande safena superficiale è mediato da una vena perforante insufficiente più distale oppure da rami venosi collaterali.
La varice del tronco principale della piccola safena è rara. Si possono formare però tortuosità varicose, più evidenti al dorso del polpaccio.
Una varice delle vene perforanti compare solitamente in combinazione con altre forme
di varici primarie e secondarie.
Complicanze
Tromboflebiti, flebotrombosi (con evtl. embolia polmonare), insufficienza venosa cronica, ulcus cruris venosum.
Classificazione clinica in stadi delle vene varicose sec. Marshall, 1997:
Stadio I:
nessun sintomo, eventualmente alterazioni estetiche
Stadio II: sensazione di stasi, crampi notturni, parestesie
Stadio III: edema, indurimento della cute, pigmentazione, cicatrice da ulcus cruris
Stadio IV: ulcus cruris venosum.
Diagnosi
— anamnesi, ispezione, palpazione degli osti fasciali a livello dei punti di passaggio
delle vene perforanti insufficienti; evtl. vene perforanti prominenti (fenomeno
«blow-out»)
— test di funzionalità venosa: sono oggi poco utilizzati, grazie all’elevata affidabilità
dell’indagine ecocolordoppler; ad es. test di Trendelemburg per documentare la presenza di valvole venose incontinenti e test di Perthes per controllare la pervietà delle vene profonde
— ecografia doppler risposta a 2 domande:
1. le vene sono pervie?
– le vene sono comprimibili? (ecografia con compressione)
– il flusso varia col respiro? (suono S = spontaneo)
– flusso accelerato dopo compressione distale e prossimale (suono A = aumentato)
2) le valvole del tronco principale sono continenti (= arresto del reflusso alla manovra di Valsalva) oppure non lo sono (= reflusso alla manovra di Valsalva) per la classificazione in stadi è necessario valutare il punto di insufficienza distale (il punto più distale dove cessa il suono da reflusso).
— Evtl. flebografia compressiva ascendente.
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Terapia
a) Conservativa:
— calze compressive (di solito è sufficiente la classe II di compressione); la confezione su misura è necessaria solo in caso di forma della gamba assai particolare
— la stazione eretta e seduta protratte sono da evitare; camminare e stare sdraiati
fa bene.
Nota: non esiste nessuna terapia farmacologica delle vene varicose realmente efficace!
b) Chirurgica:
indicazione: vene varicose sintomatiche
presupposto: documentata pervietà del sistema venoso profondo (colordoppler, flebografia)
controindicazione: occlusione delle vene profonde.
Metodi:
— «crossectomia» = legatura di tutti i rami venosi alla «cross» safeno-femorale inguinale per evitare recidive
— stripping venoso con sonda di Babcock
— legatura di tutte le vene perforanti insufficienti
— rimozione a parte di ulteriori gavoccioli venosi (che devono essere evidenziati e
«segnati» in fase preoperatoria, a paziente in piedi).
c) Sclerosante: ramificazioni varicose, reticolazioni e piccoli rami laterali possono essere eliminati, per motivi estetici, anche ambulatoriamente (ad es. mediante iniezioni sclerosanti o laser-terapia).
Prognosi
Tasso di recidiva dopo terapia sclerosante: > 50% a 5 anni. Con un intervento chirurgico eseguito in maniera accurata il tasso di recidiva è basso (< 5%).
Mortalità operatoria: 0,02%.
TROMBOFLEBITE
Definizione
Infiammazione di vene superficiali (epifasciali) con ostruzione trombotica delle vene
colpite.
Eziologia
— alle gambe (90% dei casi), prevalentemente in caso di varici preesistenti della
grande e piccola safena, e anche dei loro rami collaterali; la tromboflebite è scatenata da (micro)traumi
— alle braccia, da cateteri venosi infetti, oppure per iniezione/infusione di soluzioni
iperosmolari o di farmaci che irritano l’intima
— thrombophlebitis saltans sive migrans:
Definizione: tromboflebite recidivante a localizzazione variabile (anche braccia, raramente interessamento viscerale) a carico di vene non interessate da varici.
Epidemiologia:
• stadio precoce di una tromboangioite obliterante (malattia di Winiwarter-Buerger)
• occasionalmente sintomo d’accompagnamento di neoplasie maligne (ad es. carcinoma del pancreas).
• malattia di Mondor: tromboflebite idiopatica delle vene toraciche laterali, che sono visibili e palpabili come cordoni dolenti (decorso clinico autolimitantesi).
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Clinica
Segni di infiammazione: rubor, calor, dolor, tumor (cordone venoso dolente alla palpazione, grossolano [trombizzato]); al contrario della trombosi venosa profonda, non vi è
alcun gonfiore delle estremità, in quanto il 90% del sangue refluisce attraverso le vene
profonde.
Complicanze
— sino nel 20% dei casi, una tromboflebite può estendersi, attraverso le vene perforanti insufficienti oppure, nel caso della grande safena, attraverso la «cross», alle
vene profonde dell’arto inferiore
— raramente, infezione batterica + suppurazione, sepsi.
Diagnosi differenziale
Trombosi venosa profonda (flebotrombosi): vedi più avanti.
Diagnosi
Clinica, ecografia doppler per escludere una trombosi che, a partenza dalla grande safena, giunga nella femorale superficiale attraverso la «cross».
Terapia
— terapia ambulatoriale: far camminare il paziente. Evitare il riposo a letto! Con l’immobilizzazione c’è il rischio che si formi un trombo per apposizione, sino al sistema venoso profondo!
— rimuovere eventuali cause (ad es. cannule venose, cateteri)
— tromboflebite recente: ev. incisione, svuotamento del materiale trombotico, fasciatura compressiva, mobilizzazione
— tromboflebite non recente: (> 7 giorni): solo fasciatura compressiva + mobilizzazione
— indicazioni alla terapia con eparina a bassa dose: tromboflebite della grande safena
(pericolo di trombosi ascendente) e pazienti allettati
— in caso di forti dolori: antiflogistici, ad es. diclofenac
— in caso di accesso venoso infetto al braccio: impacchi con soluzione antisettica
— in caso di febbre: antibiotici attivi sugli stafilococchi.
Prevenzione
Trattamento di base delle varici, particolare attenzione in caso di iniezioni/infusioni.
Lasciare posizionate le cannule venose solo per il tempo strettamente necessario.
TROMBOSI VENOSA PROFONDA (TVP)
Sinonimo: flebotrombosi.
Definizione
Trombosi delle vene profonde dell’arto inferiore con pericolo di:
— embolia polmonare
— sindrome post-trombotica, con insufficienza venosa cronica.
Epidemiologia
La TVP e l’embolia polmonare rappresentano una delle cause più importanti di morbilità e mortalità durante un ricovero ospedaliero; si osservano però anche in caso di interventi ambulatoriali.
Localizzazioni: sedi principali: vena iliaca 10%, v. femorale 50%, v. poplitea 20%, vene
della gamba 20%.
Due terzi delle TVP colpiscono l’arto inferiore sinistro (ostacolato flusso venoso da in-
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crocio della vena iliaca sinistra con l’arteria iliaca destra), con formazione di un trombo di tipo settico nel lume venoso (nel 20% degli adulti). Sino al 20% delle trombosi
della gamba non trattate mostra una progressione del coinvolgimento sino alla coscia e
circa il 20% di tutte le trombosi venose femorali porta a trombosi venosa ascendente
della pelvi.
Più del 90% delle embolie proviene dal territorio della vena cava inferiore: 30% dalla
pelvi e 60% dalla coscia. Sino al 50% dei pazienti con TVP prossimale dell’arto inferiore va incontro ad embolia polmonare (spesso) asintomatica.
Patogenesi
Triade di Virchow:
1. alterazioni endoteliali: infiammazione, trauma
2. alterazioni circolatorie: formazione di varici, rallentamento del flusso ematico (stasi locale, insufficienza cardiaca)
3. alterazioni ematiche: con squilibrio tra coagulazione e fibrinolisi vedi Cause di
trombofilia (alla voce Eziologia).
Anatomia patologica
Si distinguono varie forme:
— trombo piastrinico: per adesione e aggregazione delle piastrine su un endotelio alterato (fase iniziale della trombosi)
caratteristiche:
• è saldamente adeso alla parete vasale
• non occupa l’intero lume vasale
• è povero di eritrociti (trombo bianco), con superficie rugosa
— trombo coagulatorio: fattore patogenetico fondamentale: rallentamento del flusso
caratteristiche:
• non è saldamente adeso (pericolo di embolia)
• occupa il lume vasale
• trombo rosso con superficie liscia
— trombo misto: estremità craniale bianca, estremità caudale rossa.
Eziologia
1. Fattori internistici predisponenti una TVP
• TVP pregressa
• obesità
• accidenti cerebro-vascolari
• immobilizzazione
• insufficienza cardiaca
• infarto miocardico, shock circolatorio
• terapia con estrogeni, inibitori dell’ovulazione
• sindrome da iperviscosità
• neoplasie, in particolare a livello addominale (ad es. carcinoma del pancreas o
della prostata) nelle cosiddette trombosi idiopatiche pensare sempre alla possibilità di un tumore ed eseguire gli opportuni accertamenti
• deficit acquisito di AT III: cirrosi epatica, sindrome nefrosica, enteropatia essudativa
• età avanzata
• policitemia vera
• piastrinopenia da eparina di tipo II
• diuresi forzata con disidratazione
• sindrome da antifosfolipidi (vedi al relativo capitolo)
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2. Fattori di rischio legati ad affezioni/interventi chirurgici: fase post-chirurgica, fratture, ferite agli arti inferiori e al bacino.
Rischio di trombosi in caso di intervento chirurgico (in assenza di prevenzione con
eparina)
Rischio operatorio generico Trombosi venosa profonda
Embolia polmonare
Morte
2%
0,2%
0,02%
Medio:
intervento di chirurgia
generale, urologica,
ginecologica (> 30 min)
10-40%
1-4%
0,4-1%
Alto:
politrauma, interventi su
bacino, anche, ginocchia
40-80%
4-10%
1-5%
Basso:
età < 40 anni, intervento
di breve durata (< 30 min),
artroscopia, ingessatura
Con la somministrazione di eparina a scopo preventivo si possono evitare 3 TVP su
4 (riduzione del rischio del 75%).
3. Inginocchiamento della vena poplitea da posizione seduta protratta in auto, bus o
aereo (“economy class syndrome”)
4. Cause ereditarie di trombofilia (> 40%!):
Tipo di alterazione
Meccanismo patogenetico
Frequenza
Rischio tromboembolico
Resistenza all’APC /
Mutazione del fattore V
Leiden = mutazione
puntiforme (pos. 1691)
nel gene del fattore V
Alterata degradazione
del fattore V da parte della
proteina C attivata (APC)
Ca. 35% di tutti i pazienti
con trombosi
(vedi tabella)
Dimorfismo della protrombina
(fattore II), mutazione in pos.
20210 (sostituzione G-A),
cromosoma 11
Livelli aumentati di
protrombina plasmatica
Ca. 10% di tutti i pazienti
con trombosi
Aumentato di 3,5 volte
negli eterozigoti
Deficit di antitrombina III
(AT III)
Deficit inibitorio (ridotta
inattivazione della trombina e
dei fattori da IX sino a XII).
Ridotta efficacia dell’eparina
endogena ed esogena
2% di tutti i pazienti
con trombosi
Aumentato di 100 volte.
Quasi tutti i pazienti
presentano prima o poi
un evento tromboembolico
Deficit di proteina C
Deficit inibitorio (ridotta
inattivazione del fattore
V e VIII)
Rari
Deficit di proteina S
Ridotta attività della proteina
C, secondaria a ridotta
attività del cofattore
Aumentato di 7 volte
negli eterozigoti
Disfibrinogenemia
Ridotto legame della trombina
oppure alterata stimolazione
della fibrinolisi indotta da t-PA,
da fibrina anomala
Rare
Iperomocisteinemia
Trombosi venose e arteriose
Modicamente aumentato
negli eterozigoti
Vi sono inoltre altre cause di trombofilia assai rare (ad es. deficit di fattore XII, “sticky
platelet syndrome”)
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Rischio di trombosi in caso di mutazione del fattore V Leiden:
Fattore V Leiden
Rischio trombotico
(fattore di moltiplicazione del rischio)
NO
-
1
SI
-
4
NO
+
7
SI
+
30
NO
++
80
SI
++
> 200
Contraccettivi orali
+ = eterozigote; ++ = omozigote
Tutti questi difetti della coagulazione sono ereditari, a trasmissione autosomica dominante. Nella forma di eterozigosi più frequente è presente una riduzione di circa il 50%
della concentrazione della corrispondente proteina. Ad eccezione della (rara) resistenza
all’APC in forma omozigote e del deficit di AT III, in tutti gli altri casi il rischio di
trombosi è solo moderatamente elevato, ma in caso di concomitanza di fattori di rischio
aggiuntivi (vedi sopra) può condurre a trombosi.
Clinica
— sensazione di pesantezza/tensione, dolori di tipo tensivo, dolori muscolari (polpaccio, poplite, inguine); i sintomi diminuiscono in posizione orizzontale
— tumefazione locale (differenza di circonferenza), cute tesa, lucida e cianotica, «vene
sentinelle» di Pratt = vene collaterali della cresta tibiale
— aumento della temperatura locale
— sensibilità alla pressione lungo il decorso delle vene profonde
— dolore al polpaccio al ballottamento
— dolore alla compressione manuale del polpaccio (segno di Mayr) oppure tramite
manicotto dello sfigmomanometro (segno di Lowenberg-May)
— dolore al polpaccio alla flessione dorsale del piede (segno di Homans)
— dolore plantare alla pressione della zona mediale della pianta del piede (segno di
Payr)
— evtl. febbre, aumento della VES, leucocitosi, tachicardia.
Nota: l’accuratezza diagnostica dei segni clinici è affidabile al 50%. Segni di stasi si riscontrano all’arto inferiore solo nelle trombosi prossimali (coscia) estese, dove la tipica
triade tumefazione + dolore + cianosi è documentabile soltanto nel 10% dei casi. L’assenza di segni clinici di trombosi non la può escludere (in particolare nei pazienti allettati: una flebotrombosi è documentabile clinicamente solo in 1/3 di tutte le embolie
polmonari).
Complicanze
— embolia polmonare: sino al 50% dei pazienti con TVP dell’arto inferiore presenta,
al momento della diagnosi, fatti embolici polmonari documentabili alla scintigrafia
(prevalentemente asintonici). Il rischio emboligeno più elevato è presente in caso di
trombosi venosa della pelvi
— sindrome post-trombotica (per i sintomi vedi cap. Insufficienza venosa cronica):
compare nel 40% circa dei casi (di cui 1/4 con comparsa di ulcus cruris); raramente in caso di trombosi venosa dell’arto inferiore, abitualmente dopo trombosi a carico di più distretti (> 50%)
— recidiva della trombosi.
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Diagnosi differenziale
— sindrome post-trombotica con insufficienza venosa cronica
— linfedema (anche l’alluce è tumefatto)
— rottura di fasci muscolari e tumefazione post-traumatica (anamnesi, cute non calda
né cianotica)
— ischio-sciatalgia (anamnesi, irradiazione del dolore, segno di Lasègue positivo, alterazioni neurologiche)
— rottura della ciste di Backer (estroflessione della sinovia a livello del cavo popliteo
ecografia)
— occlusione arteriosa acuta (assenza del polso, cute pallida e fredda, assenza di edema).
Diagnosi
— anamnesi (fattori di rischio?) + clinica (non sempre affidabile, il 50% delle TVP
passa non diagnosticato)
— diagnostica per immagini:
• ecografia color-doppler: metodo di prima scelta. È tipica della trombosi l’assenza o riduzione della comprimibilità del lume venoso valutato in senso trasversale
(ecografia con compressione). In condizioni corrette di flusso, è possibile riconoscere all’ecodoppler della vena femorale e della poplitea profili di flusso che variano col respiro o da questo indotti.
Con l’aiuto del color-doppler è possibile vedere direttamente la superficie del
trombo a contatto del flusso ematico. In caso di occlusione venosa completa non
è possibile rilevare all’ecodoppler alcun flusso
• angio-TC e angio-RMN delle vene pelviche, in caso di sospetto di trombosi venosa della pelvi e reperto color-doppler non dirimente
• flebografia ascendente: indicata nei casi non chiari che non possono essere risolti dall’ecografia color-doppler
• le indagini scintigrafiche quali «up-take test», immunoscintigrafia, oppure flebografia con radionuclidi sono solo raramente disponibili e, nella pratica clinica
quotidiana, hanno un ruolo secondario
— D-dimero: è presente nella TVP recente ma anche in fase post-chirurgica, in caso di
neoplasie e di DIC. Un risultato positivo alla determinazione del D-dimero è sospetto per trombosi, ma non la dimostra (esistono altre possibili cause); un risultato
negativo depone contro l’ipotesi di una trombosi recente
— chiarire le cause della TVP (trombofilia nei pazienti più giovani, ricerca di un evtl. tumore nei pazienti più anziani)
— diagnostica della trombofilia:
a) chi testare? Alla comparsa della TVP, in caso di:
• pazienti giovani
• recidive ricorrenti
• anamnesi famigliare positiva
• trombosi insolita per localizzazione, estensione, assenza di cause evidenti
• sospetta sindrome da antifosfolipidi (piastrinopenia, aborti ricorrenti, fenomeni autoimmuni, PTT allungato o tempo di Quick ridotto)
b) cosa testare?
• PT e PTT
• in caso di PTT allungato o tempo di Quick ridotto, tentativo di correzione
mediante miscelazione con plasma fresco normale
• resistenza all’APC
• attività delle proteine C e S
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• AT III
• omocisteina (a digiuno e dopo evtl. carico di metionina)
• indagini diagnostiche per la sindrome da antifosfolipidi
• mutazione 20210 della protrombina
c) quando testare?
Se possibile, non prima di 3 mesi dalla regressione della TVP. Al momento dell’esame non si dovrebbero assumere inibitori dell’ovulazione e non dovrebbe essere in
corso una gravidanza. In caso di pregresso trattamento con dicumarolici, il prelievo
non dovrebbe essere eseguito prima di 2 settimane dalla loro sospensione. In caso
di trombofilia accertata le indagini vanno sempre estese a tutta la famiglia! Sarebbe ottimale la valutazione del paziente presso un ambulatorio per le malattie della
coagulazione. Per il trasporto dei campioni di sangue, concordarne in precedenza le
modalità col laboratorio che esegue l’esame.
Terapia
Obiettivi del trattamento:
1. prevenire l’embolia polmonare
2. evitare l’ulteriore estensione della trombosi
3. ricanalizzare i vasi trombizzati, assicurando l’integrità delle valvole venose così da
prevenire una sindrome post-trombotica.
A) Misure generali
Trattamento compressivo: inizialmente con bende elastiche, poi con calze compressive (per la coscia, classe di compressione II) miglior flusso di ritorno venoso/
linfatico, migliore aderenza del trombo alla parete (controindicazioni: arteriopatia
periferica obliterante e phlegmasia coerulea dolens).
Mobilizzazione: in caso di TVP dell’arto inferiore non è necessario il riposo a letto.
I pazienti possono camminare, purché attuino un trattamento compressivo e la terapia eparinica. In caso di trombi flottanti (color-doppler) o di trombosi venosa della
coscia o della pelvi, alcuni autori suggeriscono il riposo a letto sino a 1 settimana.
La posizione sollevata dell’arto colpito favorisce il flusso di ritorno venoso.
Prima della mobilizzazione, controllare con ecografia color-doppler se il trombo è
adeso alla parete venosa.
Le applicazioni calde locali sono vietate! Regolarizzare la funzione intestinale (evitare l’aumento della pressione endoaddominale).
B) Trattamento anticoagulante con eparina a dosi terapeutiche: riduce il rischio di embolia polmonare del 60%.
Vantaggio: emorragie intracerebrali 4 volte inferiori (0,2%) rispetto alla terapia
trombolitica (0,8%)
Svantaggio: la ricanalizzazione delle vene trombizzate si verifica con frequenza inferiore e in modo incompleto rispetto alla trombolisi comparsa con frequenza doppia di una sindrome post-trombotica. Non molto diversa rispetto alla trombolisi è invece, con la terapia anticoagulante, l’incidenza di embolia polmonare gli anticoagulanti sono quindi il trattamento di scelta nella terapia acuta della trombosi. Per i loro effetti collaterali e le controindicazioni vedi cap. Prevenzione della trombosi.
Due opzioni terapeutiche alternative:
• eparina non frazionata (UFH) e.v.
Dosaggio: inizialmente 70 UI/kg e.v. in bolo, poi 30.000-35.000 UI/24 ore, a seconda del valore di PTT (deve essere aumentato di 1,5-2,5 volte rispetto alla norma, i cui valori dipendono dal singolo laboratorio). La durata del trattamento è di
5 giorni; dal 1° o dal 2° giorno si inizia la somministrazione anche di dicumarolici. Sospensione dell’eparina quando per 2 giorni consecutivi l’INR è > 2,0
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• eparina a basso peso molecolare (LMWH)
Vantaggi rispetto all’eparina non frazionata: ugualmente efficace, può essere
somministrata per via sottocutanea; non sono di regola necessari controlli di laboratorio e gli effetti collaterali sono minori.
Sostanza
Nome commerciale
(esempi)
Dosaggio in caso di TVP
(dosaggio giornaliero s.c.)
Dalteparina
Fragmin
200 Ul/kg × 1
Enoxaparina
Clexane
100 Ul/kg × 2
Nadroparina
Seleparina
185 Ul/kg × 2
Tinzaparina
(*)
175 Ul/kg × 1
Embricare con anticoaugulanti orali a partire dal 1° o dal 2° giorno (vedi sopra)
(*) farmaco non in commercio in Italia
Nota: per la prevenzione del tromboembolismo si impiegano dosi inferiori (vedi
cap. Prevenzione della trombosi).
La valutazione del PTT non è adatta per il controllo della terapia; in corso di trattamento con eparina a basso peso molecolare, un aumento del PTT superiore al
doppio del valore di partenza può essere considerato un indice di sovradosaggio.
In caso di dubbio, soprattutto in presenza di insufficienza renale, si deve valutare
il livello di anti-Xa. Se la funzione renale è integra, questa determinazione può
essere evitata.
C) Terapia di ricanalizzazione
a) Trattamento con attivatori della fibrinolisi (fibrinolitici, “terapia lisante”)
Indicazioni:
— phlegmasia coerulea dolens
— TVP prossimale recente (<10 giorni) con edema massivo
— embolia polmonare in stadio III o IV
— infarto miocardico recente
Requisiti per il trattamento: TVP insorta da meno di 1 settimana ed assenza di
controindicazioni.
Controindicazioni al trattamento fibrinolitico sistemico
• diatesi emorragica, manifesta o pregressa
• agobiopsie tissutali o interventi chirurgici (circa 14 gg), interventi al sistema
nervoso centrale (circa 2 mesi)
• puntura arteriosa, iniezioni i.m., rachicentesi (circa 10 gg)
• ipertensione arteriosa non controllata pericolo di emorragia cerebrale
• emorragia cerebrale, sclerosi cerebrale, fase post-ictale (nei 3 mesi successivi)
• nefrolitiasi (controindicazione relativa)
• affezioni del polmone e del tubo digerente con elevato rischio emorragico
(TBC attiva, bronchiectasie con tendenza all’emottisi, ulcera, colite, varici
esofagee, neoplasie)
• pancreatite
• retinopatia diabetica conclamata
• endocardite lenta, sepsi, trombosi settica
• insufficienza epatica e renale (la trombolisi non può essere adeguatamente
monitorizzata)
• gravidanza nel 1° trimestre (non prima della 14ª settimana)
• età avanzata (> 75 anni, controindicazione relativa).
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Ulteriori controindicazioni all’impiego della streptochinasi: infezione streptococcica o pregresso trattamento fibrinolitico con streptochinasi (nell’ultimo anno)
con titolo elevato di anticorpi anti-streptochinasi.
Agenti fibrinolitici
• streptochinasi = proteina derivata dagli streptococchi β-emolitici; insieme al
plasminogeno, costituisce il complesso di attivazione che attiva il plasminogeno a plasmina
• urochinasi, che attiva direttamente il plasminogeno a plasmina
• t-PA = tissue-type Plasminogen Activator
• altri fibrinolitici: APSAC, pro-urochinasi, rPA = reteplase, nPA = lanoteplase.
Dosaggio
Trombolisi standard con streptochinasi: inizialmente streptochinasi 250.000 U
e.v. in 30 min, successivamente 100.000 U/ora per circa 3 gg. Durata del trattamento: al massimo 1 settimana, per la comparsa di anticorpi anti-streptochinasi.
È possibile il passaggio alla trombolisi standard con urochinasi.
Trombolisi rapida con streptochinasi ad alta dose: streptochinasi 9 milioni U in
6 ore. In caso di risultato insufficiente, ripetere dopo 1 giorno.
Attenzione! Non praticare la trombolisi rapida in caso di trombosi venosa della
pelvi, per l’elevata frequenza di embolia polmonare.
Trombolisi con altri fibrinolitici: seguire le indicazioni della casa produttrice.
Alla trombolisi rapida, deve seguire un trattamento con eparina e dicumarolici
(vedi sopra).
In caso di trombolisi standard nell’arco di più giorni, la terapia con eparina va
iniziata già durante la trombolisi, dopo normalizzazione del PTT inizialmente allungato.
Effetti collaterali: emorragie: un’emorragia cerebrale compare nello 0,8% dei
casi trattati con terapia trombolitica (con anticoagulanti nello 0,2%). Mortalità
da emorragia: 0,5-1%; in caso di emorragia con pericolo di vita si somministrano, quale antidoto, gli anti-fibrinolitici (aprotinina oppure acido tranexamico).
Attenzione alle reazioni allergiche da streptochinasi dopo una pregressa infezione da streptococchi, oppure dopo una pregressa trombolisi con streptochinasi nei
12 mesi precedenti.
b) Perfusione di fibrinolitici con ipertermia regionale, mediante apparato cuorepolmoni: è indicata quando sia controindicato il trattamento fibrinolitico sistemico (può essere attuata solo in pochi Centri).
c) Trombectomia con catetere di Fogarty + creazione di una fistola artero-venosa
temporanea per la prevenzione della recidiva di trombosi.
Con l’impiego della ventilazione polmonare a pressione positiva il rischio di
embolia polmonare durante l’intervento è basso.
Indicazioni: phlegmasia coerulea dolens, trombosi della cava, trombosi venosa
discendente della pelvi quando esistano controindicazioni al trattamento trombolitico farmacologico.
Mortalità: circa 3%
Prevenzione della trombosi: vedi più avanti.
SINDROME DI PAGET - VON SCHROETTER
Definizione
Trombosi della vena ascellare oppure della vena succlavia.
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Eziologia
1. «Thoracic outlet syndrome» = compressione del fascio neuro-vascolare a livello del
cinto scapolare con parestesie, dolori, ipostenia al braccio e alla mano, eventuale
necrosi digitale in caso di coinvolgimento dell’arteria.
Cause:
— presenza di una costa cervicale
— sindrome dello scaleno anteriore = stenosi del triangolo dello scaleno
— sindrome costo-claveare = riduzione dello spazio tra la 1a costa e la clavicola,
correlata all’abduzione dell’arto superiore
— sindrome da iperabduzione, in cui la compressione è causata dal tendine del muscolo piccolo pettorale
— callo osseo dopo frattura della clavicola oppure esostosi della 1a costa.
Diagnosi: manovra di Adson: nella «thoracic outlet syndrome» il polso radiale
scompare con la abduzione ed elevazione dell’arto superiore, e contemporanea iperestensione e rotazione controlaterale della testa.
2. «Thrombose par effort» = trombosi indotta da uno sforzo molto protratto, ad es. tagliare la legna, praticare il body-building, o portare uno zaino.
3. Catetere venoso centrale per lungo tempo, infusione di soluzioni iperosmolari oppure di farmaci irritanti.
Clinica
Dolori (avambraccio, braccio, spalla), tumefazione + cianosi; eventualmente vene collaterali visibili.
Diagnosi differenziale
Tumori del mediastino, dell’ascella e della fossa claveare.
Diagnosi
Clinica, ecografia color-doppler, venografia.
Terapia
Tenere il braccio a riposo, in posizione elevata, eparina e.v. per alcuni giorni poi terapia con dicumarolici (durata: 3 mesi); di norma non si pratica la fibrinolisi.
Nella «thoracic outlet syndrome» con stenosi documentata, eventuale resezione transascellare della 1a costa con sezione dell’inserzione muscolare dello scaleno anteriore,
posteriore e sottoclaveare.
PHLEGMASIA COERULEA DOLENS
Definizione: occlusione iperacuta di tutte le vene di un’estremità con compressione secondaria dei vasi arteriosi da rapida comparsa di edema
Clinica: estremità assai tumefatta, dolorante, cianotica, fredda, polso non apprezzabile
Complicanze
• shock ipovolemico e coagulopatia da consumo
• gangrena
• insufficienza renale acuta
Diagnosi: clinica + ecocolordoppler, la flebografia è controindicata
Terapia
Ripristino del volume ematico, prevenzione dell’embolia polmonare, tempestivo intervento chirurgico: trombectomia, fasciotomia; evtl. lisi.
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SINDROME DA ANTIFOSFOLIPIDI (APS)
Sinonimo
Sindrome di Hughes
Definizione
• tromboembolie venose e/o arteriose e/o
• trombocitopenia e/o
• abortività spontanea
più la presenza a 2 controlli successivi di anticorpi antifosfolipidi (APA = APLA).
Epidemiologia
Il 2-5% della popolazione è APA-positivo, di questi, il 30-50% diventa sintomatico.
F:M = 2:1
Eziologia
1. sindrome da antifosfolipidi primaria, in assenza di malattie di base
2. sindrome da antifosfolipidi secondaria a una malattia di base (tumori, AIDS, malattie autoimmuni, ecc.)
“APS catastrofica”: coinvolgimento di più di 3 organi/apparati.
Patogenesi
Ipercoagulabilità indotta da anticorpi diretti contro i fosfolipidi (fattori della coagulazione, recettori piastrinici, ecc.).
Clinica
— tromboembolie, infarto del miocardio (sino al 20% dei pazienti infartuati di età <
45 anni), cardiomiopatia, ispessimento delle valvole cardiache (evtl. con aumento
del rischio di embolia)
— proteinuria, ipertensione renale
— trombocitopenia (solitamente < 50.000/µl), emolisi, porpora trombotica trombocitopenica/sindrome emolitico-uremica, emorragie paradosse (< 1% dei casi)
— insulti cerebrali ischemici (30% circa dei pazienti con ictus di età < 50 anni), cecità,
sordità, crisi convulsive, emicrania
— ulcerazioni e necrosi cutanee
— aborti precoci, gestosi
Diagnosi differenziale
Altre cause di trombofilia.
Laboratorio
Reperti incostanti: PTT lievemente aumentato (da interazione in vitro con i fosfolipidi),
trombocitopenia, talvolta emolisi.
Diagnosi
Il paziente va sempre indagato con 2 metodiche parallele:
1. ELISA per la ricerca di anticorpi anti-cardiolipina (IgG, IgM, IgA)
2. Test funzionali:
— test di screening: PTT (aumentato), tempo di coagulazione al caolino (KCT), test al
veleno di vipera Russell diluito (dRVVT)
— test di conferma: test di miscelazione del plasma del paziente con plasma normale,
test di neutralizzazione con lisato piastrinico.
Se alle prove funzionali risultano positivi 1 test di screening e 2 di conferma, si è in
presenza del cosiddetto fenomeno dell’anticoagulante lupico, a dimostrazione di una
APS.
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Terapia
— trombosi: anticoagulanti orali a lungo termine, così da mantenere un INR > 3
— insulto cerebrale ischemico: ASA, evtl. anticoagulanti orali
— in caso di trombocitopenia clinicamente rilevante esiste la possibilità di un intervento terapeutico “a gradini” successivi: steroidi, dapsone, azatioprina, ciclofosfamide, immunoglobuline
— abortività: ASA a bassa dose + eparina a bassa dose; glucocorticoidi in caso si inefficacia
— APS catastrofica: tentativo con plasmaferesi + boli di ciclofosfamide
— soggetti asintomatici: nessun trattamento; praticare però sempre la prevenzione della trombosi in situazioni di aumentato rischio tromboembolico (vedi cap. Trombosi
venosa profonda).
PREVENZIONE DELLA TROMBOSI
1. Misure generali:
— mobilizzazione precoce e ginnastica attiva dopo un intervento chirurgico
— riposo a letto solo nei casi in cui è indicato
— bendaggio compressivo oppure calze anti-trombosi
— compressione intermittente pneumatica esterna
— trattamento delle vene varicose degli arti inferiori, dell’insufficienza cardiaca; attenzione alla disidratazione da terapia per gli edemi, ecc.
— sospensione dei farmaci favorenti la trombosi, ad es. estrogeni
— trattamento della trombocitosi e della poliglobulia
— nei pazienti molto giovani o in caso di trombosi recidivanti, esclusione di una trombofilia (vedi cap. Trombosi venosa profonda)
2. Trattamento farmacologico: anticoagulanti (eparina, dicumarolici), destrano a basso peso molecolare; gli antiaggreganti piastrinici sono indicati solo nella trombosi arteriosa,
non in quella venosa.
a) Anticoagulanti
— Eparina
La somministrazione di eparina a scopo preventivo nei pazienti con aumentato
rischio di trombosi riduce del 75% il rischio di TVP e del 50% il rischio di embolia polmonare.
Meccanismo d’azione: l’eparina è un mucopolisaccaride contenente zolfo, presente in natura nei mastociti; ha un effetto indiretto mediato dall’attivazione dell’antitrombina III. Il complesso eparina - AT III inibisce la trombina e il fattore Xa.
In carenza di AT III l’effetto antitrombotico dell’eparina è ridotto. L’eparina non
è in grado di attraversare la placenta, ed è quindi utilizzabile anche in gravidanza.
L’antidoto è la protamina: 1 mg di solfato di protamina neutralizza 100 UI di
eparina.
Effetti collaterali della protamina: ipotensione arteriosa, evtl. reazione anafilattica, in caso di sovradosaggio evtl. pericolo di emorragia (in quando inibisce la
polimerizzazione della fibrina).
Effetti collaterali dell’eparina:
• emorragie: il rischio emorragico è dose-dipendente (alto rischio in caso di sovradosaggio controlli della terapia molto ravvicinati). Il rischio è inferiore
con l’eparina a basso peso molecolare rispetto a quella non frazionata. Con
dosi piene di eparina, emorragia cerebrale nello 0,2% dei casi
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• aumento reversibile delle transaminasi, sino nel 60% dei casi; osteoporosi in
caso di terapia a lungo termine, raramente perdita dei capelli
• piastrinopenia indotta da eparina; 2 forme:
– tipo I: piastrinopenia precoce dose-dipendente, sino nel 10% dei pazienti
trattati con eparina non frazionata e nel 2% di quelli trattati con eparina a
basso peso molecolare, nei primi 2-10 giorni dopo l’inizio della terapia.
Causa: effetto pro-aggregante dell’eparina da inibizione della adenilatociclasi. Decorso generalmente favorevole, senza complicanze, con valori di
piastrine > 100.000/µl; di solito il trattamento con eparina può essere proseguito
– tipo II: piastrinopenia non dose-dipendente, da causa immunologica (anticorpi): circa nel 3% dei pazienti trattati con eparina non frazionata, in < 1%
dei casi trattati con eparina a basso peso molecolare. Questa forma compare tardivamente, 4-14 gg dopo l’inizio della terapia, in pazienti non sensibilizzati. Decorso sfavorevole, con valori di piastrine < 100.000/µl e/o loro riduzione a valori < 50% rispetto all’inizio del trattamento. Nel 20% dei casi comparsa di trombosi venose o arteriose («white clot syndrome»). Sospendere subito l’eparina. Nessun farmaco, pomata, o lavaggio di catetere a
base di eparina! La certezza diagnostica si basa sulla dimostrazione di anticorpi anti-piastrinici indotti dall’eparina (HIPA test). Sostituire l’eparina con
altri anti-trombotici, ad es. lepirudin o desirudin. In caso di trombosi, evtl.
fibrinolisi. Annotare la reazione immunologica nella documentazione clinica
del paziente.
Nota: in corso di terapia con eparina, controllare regolarmente le piastrine (il
giorno prima e quello successivo all’inizio del trattamento, poi ogni 3 giorni
per 3 settimane).
Interazioni: aumentati livelli di glicemia in corso di terapia eparinica.
Indicazioni:
• a pieno dosaggio: prevenzione della trombosi venosa profonda e dell’embolia
polmonare in stadio I e II
• a basso dosaggio: prevenzione della trombosi
Controindicazioni: a dosaggio pieno, simili alla fibrinolisi (vedi); ipersensibilità
nota all’eparina e piastrinopenia di tipo II da eparina.
Peso molecolare
medio (dalton)
Azione prevalente
Emivita dopo
somministrazione s.c.
Eparina non frazionata
Eparina a basso peso molecolare
2.000-60.000
3.000-7.000
Fase finale della coagulazione =
inibizione del F. II (trombina)
Fase iniziale della coagulazione =
inibizione di F. Xa (anti-F. Xa)
2 ore
4-5 ore
Dosaggio:
• Eparina non frazionata:
a) per la prevenzione della trombosi: 5.000 UI x 3/die s.c.
b) per la terapia della trombosi venosa profonda (TVP): vedi relativo capitolo
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• Eparina a basso peso molecolare:
Sostanza
Nome commerciale
(esempi)
Prevenzione della trombosi venosa
(dose singola giornaliera s.c.)
Rischio da basso
Alto rischio
a medio
Terapia della trombosi venosa
profonda (dosi giornaliere s.c.)(1)
Fragmin
2.500 UI(2)
5.000 UI(3)
200 UI/kg × 1
Enoxaparina
Clexane
UI(2)
UI(3)
100 UI/kg × 2
Nadroparina
Seleparina
Dalteparina
2.000
2.850 UI
4.000
5.700 UI
85 UI/kg × 2
(1): Embricare il trattamento con anticoagulanti orali a partire dal 1° o 2° giorno. Il trattamento con eparina deve proseguire sino
a raggiungere un valore di INR >2 per 2 giorni consecutivi.
(2): La prima somministrazione va eseguita 1-2 ore prima dell’intervento oppure alla sera precedente; poi ogni 24 ore.
(3): La prima somministrazione alla sera prima dell’intervento e poi ogni 24 ore; oppure la prima somministrazione 1-2 ore prima
dell’intervento, la seconda dopo 12 ore, la terza dopo 24 ore e poi ogni 24 ore.
Altri preparati: certoparina, tinzaparina.
La valutazione del PTT non è adatta per il monitoraggio della terapia; in corso
di trattamento con eparina a basso peso molecolare, un aumento del PTT pari a
più del doppio del valore di partenza può essere considerato indicativo di sovradosaggio. In caso di dubbio, soprattutto in presenza di insufficienza renale, si
deve valutare il livello anti–Xa. In caso di funzionalità renale intatta, si può abitualmente evitare questa valutazione.
— Dicumarolici: fenprocumone, warfarin.
Meccanismo d’azione: i dicumarolici sono antagonisti della vitamina K. La vitamina K è un cofattore nella γ-carbossilazione dei residui glutammici della porzione N-terminale dei fattori del complesso protrombinico (= fattori II, VII, IX,
X) e delle proteine C ed S. In carenza di vitamina K, il fegato sintetizza molecole precursori inattive dei citati fattori della coagulazione (= PIVKA = protein
induced during vitamin K absence), nelle quali manca la γ-carbossilazione delle
catene laterali glutamminiche.
Il fenprocumone viene assorbito quasi al 100% ed ha un’emivita con ampia variabilità interindividuale (da 3 a 8 giorni). Pertanto, le variazioni di dosaggio sono seguite solo dopo 3-4 giorni da variazioni dell’INR.
Dopo la sospensione del fenprocumone, il tempo di coagulazione aumentato si
normalizza solo dopo 7-14 giorni. È importante che la sospensione dei dicumarolici sia condotta lentamente in almeno 2 settimane: ciò allo scopo di evitare
un fenomeno rebound con aumento della tendenza alla trombosi.
In caso di sovradosaggio del fenprocumone oppure di necessità di migliorare
l’attività coagulatoria è indicata una modalità “a scaletta” a seconda della situazione:
a) temporanea sospensione del farmaco per 1-2 giorni
b) somministrazione di 10-20 mg di fitomenadione (= vitamina K1) per via orale: normalizzazione della coagulazione solo dopo 1-2 giorni
c) infusione di complesso protrombinico: normalizzazione immediata della coagulazione.
In caso di interventi d’urgenza o di emorragia cerebrale attuare contemporaneamente b + c.
Effetti collaterali:
• emorragie
• perdita dei capelli
• raramente epatite
• reazioni da intolleranza
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• necrosi cutanea indotta dai dicumarolici. Poiché la proteina C ha un’emivita
più breve rispetto ai fattori del complesso protrombinico, si può giungere, in
caso di deficit della proteina C, nella fase di aggiustamento della terapia, a
una ipercoagulabilità transitoria con tendenza alla trombosi e necrosi da dicumarolici; anche dopo sospensione del trattamento con dicumarolici, è presente, per breve tempo, una fase di ipercoagulabilità.
Terapia: annullare l’effetto del fenprocumone mediante la somministrazione di
vitamina K1, somministrare eparina e corticosteroidi.
Prevenzione: all’inizio della terapia con dicumarolici associare il trattamento
con eparina finché l’INR raggiunge il livello desiderato.
Interazioni:
• aumento dell’attività dei dicumarolici (attività protrombinica diminuita o INR
aumentato) da:
– spiazzamento dalle proteine di legame (antiinfiammatori non steroidei)
– ridotta sintesi enterica della vitamina K (antibiotici) e del suo assorbimento
(resine a scambio ionico)
– antiaggreganti piastrinici ed eparina
– altri farmaci (ad es. clofibrato, anestetici locali, allopurinolo, cimetidina)
• riduzione dell’attività dei dicumarolici (attività protrombinica non diminuita o
INR non aumentato) da:
– induzione enzimatica epatica (barbiturici, anti-epilettici, rifampicina, ecc.)
– altri farmaci (ad es. digitale, diuretici, corticosteroidi)
– alimenti ricchi di vitamina K (ad es. spinaci, cavolfiore)
Indicazioni: prevenzione del tromboembolismo; i dicumarolici riducono il rischio
di recidiva di TVP a livelli normali; sono efficaci anche in caso di resistenza alla proteina C attivata, nel deficit di AT III, proteina C e proteina S.
Controindicazioni:
• controindicazioni agli anticoagulanti (analoghe a quelle del trattamento fibrinolitico; vedi cap. Trombosi venosa profonda)
• disturbi della funzionalità epatica con riduzione dell’attività protrombinica
• gravidanza e allattamento
• mancata compliance da parte del paziente (ad es. età avanzata, dipendenza da
alcool o droghe).
Dosaggio: il monitoraggio terapeutico viene effettuato tramite il controllo del
tempo di protrombina (tempo di Quick). Poiché le diverse tromboplastine impiegate in questo test non sono confrontabili, si è elaborato uno standard internazionale di misurazione chiamato INR (International Normalized Ratio), pari al
rapporto tra il tempo di protrombina del plasma in esame e il tempo di protrombina di un plasma normale di controllo. Il tempo di Quick e l’INR sono inversamente correlati: quando il primo aumenta il secondo si riduce, e viceversa.
Il range terapeutico per una anti-coagulazione leggera è con INR di 2,0-3,0. In
quest’ambito le complicanze emorragiche sono più rare rispetto a un trattamento anticoagulante più spinto (INR più alto).
In caso di tempo di Quick o INR normale all’inizio della terapia, nell’adulto si
può seguire uno schema terapeutico di questo genere: fenprocumone 3 mg ×
2/die per 3 giorni, poi adeguare l’ulteriore somministrazione in base all’INR.
Non è necessario che i pazienti evitino i cibi ricchi di vitamina K (ad es. cavolfiore, broccoli e spinaci) a condizione che li distribuiscano in modo uniforme
nell’arco della settimana e non ne consumino quantità troppo abbondanti. Vanno
evitati i farmaci che aumentano il rischio di emorragia (ad es. antiaggreganti
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piastrinici). I pazienti in trattamento anticoagulante cronico, se sono in grado di
farlo possono imparare, dopo adeguata istruzione, ad autodeterminare il tempo
di Quick e ottimizzare così il proprio dosaggio; anche il rischio emorragico da
sovradosaggio è così limitato.
Raccomandazioni per il trattamento con anticoagulanti orali (TAO) nel primo
episodio di trombosi venosa profonda (TVP) ed embolia polmonare (EP), secondo le indicazioni della Commissione Farmaci dell’Ordine dei Medici tedesco:
• range terapeutico: INR 2,0-3,0
• TVP e/o EP senza ulteriori fattori di rischio: 6 mesi
• TVP e/o EP con persistenza di fattori di rischio e/o trombofilia, oppure recidiva di TVP/EP: sino a quando persiste il fattore di rischio (tempo illimitato).
Range terapeutico: INR 2,0-3,0 (in caso di rischio elevato sino a 4,0)
Raccomandazioni per il trattamento anticoagulante
orale in caso di protesi valvolare cardiaca
(sec. l’American College of Chest Physicians)
INR
A) Protesi meccaniche
a) protesi a doppia ala (St. Jude) o a piastra
ribaltabile (Medtronic)
a livello della valvola aortica
a livello della mitrale
b) protesi a sfera (Starr-Edwards)
c) protesi meccanica + emboli
2,0-3,0
2,5-3,5
2,5-3,5
2,5-3,5
B) Protesi biologiche (TAO per 3 mesi)
2,0-3,0
(in caso di fibrillazione atriale: 2,5-3,5)
(+ ASA 100 mg/die in caso di fibrillaz. atriale)
+ ASA (100 mg/die)
+ ASA (100 mg/die)
Raccomandazioni per il trattamento anticoagulante orale in caso di fibrillazione atriale cronica: INR 2,0-3,0.
b) Destrano a basso peso molecolare (PM 40.000)
Meccanismo d’azione: inibizione dell’aggregazione piastrinica, riduzione dell’attività del fattore VIII, miglioramento del microcircolo.
Effetti collaterali: reazioni anafilattiche indotte dal destrano (prevenzione: premedicazione con destrano monovalente PM 1.000 per la neutralizzazione di eventuali anticorpi già presenti).
Controindicazioni: ipersensibilità al destrano, insufficienza cardiaca scompensata,
insufficienza renale, diatesi emorragica.
Indicazioni: nei pazienti ricoverati evtl. prevenzione aggiuntiva della trombosi (non
sostituisce l’eparina!), miglioramento del microcircolo.
Dosaggio: 500-1.000 ml/die.
c) Antiaggreganti piastrinici
— acido acetilsaliciclico (ASA)
Meccanismo d’azione: inibitore non selettivo della cicloossigenasi (COX) 1 + 2.
L’inibizione della COX-1 provoca, nelle piastrine, una riduzione della sintesi delle prostaglandine e del trombossano A2, un attivatore dell’aggregazione piastrinica. Anche gli effetti collaterali gastrici sono la conseguenza dell’inibizione di
COX-1. L’effetto antiinfiammatorio è la conseguenza dell’inibizione di COX-2.
Effetti collaterali: gastrite erosiva, ulcera, emorragia gastrica; raramente reazioni da ipersensibilità di tipo broncospastico.
Controindicazioni: diatesi emorragica, malattia ulcerosa, intolleranza agli analgesici, asma bronchiale, insufficienza renale, ultimo trimestre di gravidanza.
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Indicazioni: sino ad oggi si è ritenuto che l’ASA fosse indicato solo per la prevenzione della trombosi arteriosa. Il Pulmonary Embolism Prevention Study ha
dimostrato che l’ASA può ridurre anche il rischio tromboembolico post-operatorio. L’eparina resta comunque il “gold standard” per la prevenzione delle tromboembolie post-chirurgiche.
Dosaggio: 100-300 mg/die.
— tienopiridine
Sono inibitori dei recettori piastinici P2Y1 inibizione dell’attivazione piastrinica ADP-dipendente. L’effetto compare solo dopo una settimana.
• Ticlopidina
Meccanismo d’azione: inibizione dell’aggregazione piastrinica indotta dall’ADP e dal collagene.
Effetti collaterali: neutropenia in circa il 5% dei casi (controlli ravvicinati dell’emocromo), raramente porpora trombotica trombocitopenica.
Indicazioni: è il farmaco di riserva per la prevenzione della trombosi arteriosa nei soggetti con intolleranza all’ASA.
Dosaggio: 250 mg x 2/die.
• Clopidogrel
Analogo della ticlopidina privo del rischio di neutropenia.
Effetti collaterali: disturbi gastrointestinali, cefalea, vertigini, molto raramente
porpora trombotica trombocitopenica.
Indicazioni: come la ticlopidina.
Dosaggio: 75 mg/die.
— inibitori recettoriali della glicoproteina IIb/IIIa = antagonisti della GP IIb/IIIa =
bloccanti recettoriali piastrinici. Tre gruppi:
1) anticorpi monoclonali, ad es. abciximab
2) peptidi a basso peso molecolare, ad es. eptifibatid
3) fibanici:
– per somministrazione parenterale, ad es. tirofiban, lamifiban, fradafiban
– per somministrazione orale, ad es. sibrafiban, lefradafiban, xemilofiban
Meccanismo d’azione: impediscono il legame del fibrinogeno e del fattore von
Willebrand al recettore GP IIb/IIIa inibizione dell’aggregazione piastrinica
(più marcata rispetto all’ASA).
Indicazioni: somministrazione per brevi periodi di tempo in situazioni acute (ad
es. per la prevenzione della recidiva di trombosi dopo PTCA).
INSUFFICIENZA VENOSA CRONICA
Sinonimo
Sindrome da stasi venosa cronica.
Definizione
Ipertensione venosa agli arti inferiori correlata alla posizione eretta, con alterazioni venose e cutanee.
Eziologia
— sindrome post-trombotica
— insufficienza valvolare primitiva o secondaria delle vene profonde degli arti inferiori
— angiodisplasie venose (alterazioni congenite/vizi valvolari venosi).
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Fisiopatologia
— insufficienza valvolare venosa con ipertensione venosa in posizione eretta
— flusso ematico retrogrado con ricircolo locale
— circoli collaterali patologici
— settori venosi esclusi dalla circolazione
— deficit di pompa venosa periferica (muscolare e articolare)
— disturbi del microcircolo e del drenaggio linfatico.
Localizzazione
Fondamentale in senso patogenetico è l’insufficienza del circolo venoso profondo della
coscia. Clinicamente, l’insufficienza venosa cronica si manifesta soprattutto a livello
della gamba e del piede.
Clinica
Si riconoscono 3 stadi (sec. Widmer):
— Stadio I:
• edema reversibile
• «corona phlebectatica» (colorazione bluastra della cute a livello delle vene del
bordo laterale e mediale del piede)
• evidente reticolo venoso perimalleolare da stasi
— Stadio II:
• edema persistente
• porpora ed emosiderosi della cute a livello della gamba (iperpigmentazione rossobrunastra)
• sclerosi cutanea e sottocutanea (evtl. con eritema infiammatorio)
• «atrophie blanche» (area cutanea atrofica depigmentata, generalmente bilaterale,
al di sopra della caviglia)
• eczema da stasi con prurito e tendenza a reazioni allergiche
• colorito cianotico della cute
— Stadio III:
«ulcus cruris» attiva oppure in fase cicatriziale. Sede elettiva: a livello della vena
perforante insufficiente nel gruppo di Cockett, al di sopra del malleolo interno.
Complicanze
— tendenza alla erisipela
— sindrome da stasi artrogenica (la limitazione della mobilità articolare della caviglia
porta ad aggravamento, secondario al deficit della funzione di pompa venosa della
caviglia stessa).
Diagnosi differenziale
— edema agli arti inferiori di altra genesi (vedi cap. Edema)
— ulcus cruris arteriosum in corso di arteriopatia obliterante periferica.
Diagnosi
— anamnesi e clinica
— ecocolordoppler: visualizzazione della pervietà e del flusso delle vene profonde degli arti; documentazione del reflusso in caso di valvole venose incontinenti
— le tecniche di indagine indiretta sono ormai superate dall’indagine ecografica standard e colordoppler
— anche la misurazione della pressione ematica venosa periferica (flebodinamometria)
è ormai superata
— flebografia ascendente prima del trattamento chirurgico delle vene varicose.
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Terapia
1) Causale: terapia delle vene varicose (vedi).
2) Sintomatica:
— misure generali
Nota: sedersi a ginocchia flesse e stare in piedi ostacolano il flusso venoso, e
sono pertanto da evitare. Stare sdraiati (meglio se con gli arti inferiori un poco
sollevati rispetto al corpo) e camminare (pompa muscolare del polpaccio e articolare della caviglia) facilitano il flusso venoso, e sono pertanto indicati.
Il caldo porta a una dannosa dilatazione venosa evitare la sauna e i bagni di
sole. La doccia fredda ha un utile effetto tonificante sulle vene. Sono utili gli
esercizi motori dei piedi per evitare una riduzione secondaria della mobilità della caviglia.
— terapia compressiva:
• fasciatura compressiva con bende elastiche larghe 8-10 cm
• fasciatura alla colla di zinco per alcuni giorni
• calze o calzamaglie elastiche (classe II o III).
La compliance del paziente per la terapia compressiva non va oltre al 50% dei
casi.
Controindicazioni al trattamento compressivo: arteriopatia obliterante con PA
malleolare < 80 mmHg, insufficienza cardiaca scompensata, angina pectoris instabile.
— terapia dell’ulcus cruris venosum:
• pulizia dell’ulcera, ad es. con soluzione glucosata o H2O2 o detergenti enzimatici, oppure garze idrocolloidali. Prudenza nell’uso di medicamenti per uso
esterno, per il pericolo di eczemi allergici
• successivamente, fasciatura compressiva con compresse di schiuma di lattice
sulle strutture venose adiacenti (ricoprire il bordo dell’ulcera con pasta di zinco). Non si ottiene la guarigione senza compressione
• in caso di mancata guarigione, far valutare il paziente da un dermatologo oppure presso un reparto di chirurgia (plastica)
• procedimenti terapeutici in fase di studio clinico:
a) somministrazione di fattori di crescita (ad es. PDGF = platelet derived
growth factor)
b) impiego di colture di cheratinociti.
Prognosi
Con la terapia sequenziale (misure generali, terapia delle varici e trattamento compressivo), la prognosi è favorevole.
EMBOLIE
Definizione
Trasporto di materiale corpuscolato (embolo) all’interno del torrente circolatorio (più
frequentemente materiale trombotico = tromboembolia; più raramente frammenti di ateroma, particelle tumorali, goccioline di grasso, liquido amniotico, aria, corpi estranei).
Nota: nelle trombosi venose il pericolo di embolia è maggiore nei primi 8 giorni, cioè
quando il trombo non è ancora fissato dal tessuto di granulazione.
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Sisterma venoso
Sistema arterioso
Embolia arteriosa paradossa (rara)
a causa di pervietà del foro ovale
+ ipertensione polmonare
Piccolo circolo:
embolia polmonare
Grande circolo:
embolia arteriosa
Eziologia
— embolie venose: vedi cap. Trombosi venosa profonda
— embolie arteriose: vedi sotto.
Localizzazione delle embolie arteriose: le sedi elettive sono le biforcazioni vascolari e i restringimenti fisiologici.
60%
6%
Conseguenze
— embolie venose: embolia polmonare
6%
— embolie arteriose (dipende dalla localizzazione dell’embolo):
• cervello: embolia cerebrale
28%
• rene: infarto renale con lombalgia + ematuria
• milza: infarto splenico con dolori addominali localizzati in ipocondrio sinistro ed ev. sfregamenti perisplenici
• mesentere: infarto mesenterico con addome acuto, diarrea ematica, angina abdominis in anamnesi
• estremità: occlusione arteriosa acuta, vedi sotto.
Terapia
Terapia di rivascolarizzazione: ad es. embolectomia, embolectomia per aspirazione,
trombolisi locale.
Prevenzione delle recidive
• anticoagulanti
• antiaggreganti piastrinici solo nelle trombosi arteriose (ma non nella trombosi a livello cardiaco qui sono necessari gli anticoagulanti)
• rimozione di altri fattori di rischio eventualmente presenti (vedi Eziologia).
OCCLUSIONE ARTERIOSA ACUTA ALLE ESTREMITÀ
Epidemiologia
È la patologia angiologica urgente più frequente.
Eziologia
1. embolie (70%): la provenienza dell’embolo è nel 90% dei casi cardiaca (infarto, fibrillazione atriale, vizi mitralici, endocardite, sostituzione valvolare con protesi sintetica, aneurisma); nel 10% l’embolo proviene da placche arteriosclerotiche dell’aorta addominale o dell’arteria iliaca oppure da aneurismi arteriosi (emboli arterioarteriosi)
2. trombosi da stenosi arteriosa nel contesto di una arteriopatia obliterante (20%)
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3. altre cause: compressione estrinseca dei vasi; traumi, prelievi arteriosi, protesi vascolari; arteriti; piastrinopenia da eparina di tipo II; terapia con estrogeni (inibitori
della ovulazione) ecc.
Clinica
— sindrome ischemica incompleta senza deficit motori e/o sensoriali
— sindrome ischemica completa: le «6 P» di Pratt:
1. dolore improvviso
(pain)
2. pallore
(paleness, pallor)
3. disturbi della sensibilità
(paresthesia)
4. assenza del polso
(pulselessness)
5. deficit motorio
(paralysis)
6. prostrazione estrema, shock
(prostration)
– embolia: inizio improvviso in paziente con preesistente affezione cardiaca
– trombosi: inizio lento + occlusione arteriosa nota.
Localizzazione: il dolore ischemico e l’assenza del polso si irradiano e localizzano
distalmente alla stenosi (vedi cap. Arteriopatia obliterante periferica)
• biforcazione aortica (10%)
• forchetta femorale (45%)
• arteria poplitea (15%)
• arterie della gamba e del piede (20%)
• arterie dell’arto superiore (10%).
Complicanze
• shock, necrosi ischemica
• sindrome del laccio: nella ischemia completa compare alla riperfusione, dopo 6-12
ore, una rabdomiolisi con acidosi metabolica, iperpotassiemia, mioglobinuria, insufficienza renale acuta (complicanza potenzialmente mortale).
Diagnosi differenziale
Phlegmasia coerulea dolens (anche in questo caso assenza del polso).
Diagnosi
• anamnesi (affezioni cardiache, ad es. aritmia assoluta da fibrillazione atriale sospetto di embolia; claudicatio intermittens sospetto di trombosi arteriosa nel contesto di un’arteriopatia obliterante periferica)
• clinica con valutazione del polso ( localizzazione del livello dell’ostruzione), misurazione della pressione sistolica a livello malleolare
• ecografia color-doppler
• eventuale angiografia intraarteriosa digitale per sottrazione: se il dato anamnestico e
il quadro clinico indicano senza alcun dubbio un’embolia, si procede subito all’embolectomia senza eseguire l’angiografia. In caso di trombosi o nei casi dubbi di embolia si esegue un’arteriografia per conferma alla terapia.
Terapia
1. Misure immediate:
— avvisare il chirurgo, tenere a digiuno
— tenere le gambe in basso (aumento della pressione di perfusione) e fasciatura
cotonata (non aumentare né diminuire la temperatura, non comprimere)
— analgesici e.v.
— prevenzione dello shock (apporto di volume)
— eparina 10.000 UI e.v. (per evitare l’apposizione di trombi)
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2. Rivascolarizzazione:
— embolectomia con catetere a palloncino di Fogarty, possibilmente entro le prime
6 ore; si possono peraltro tentare embolectomie anche più tardive (sino a un
massimo di 10 ore dopo l’occlusione)
— fibrinolisi locale: alternativa terapeutica per occlusioni a carico dell’avambraccio
o soprattutto della gamba, in particolare nella sindrome ischemica incompleta.
Evtl. in associazione con una trombectomia per aspirazione.
Prevenzione
Ricercare ed eliminare le fonti emboligene, rimuovere i fattori di rischio dell’arteriosclerosi; nelle embolie recidivanti anticoagulanti; nelle arteriopatie obliteranti misure di rivascolarizzazione (vedi) e antiaggreganti piastrinici.
EMBOLIA POLMONARE
Definizione
Occlusione di un’arteria polmonare da parte di un embolo trasportato per via ematica
(più raramente particelle di grasso, aria o corpi estranei). In più del 90% dei casi i
trombi originano dal territorio della vena cava inferiore (30% vene del bacino, 60% vene della coscia), il resto deriva dalle vene della gamba, dal territorio della vena cava
superiore e dal cuore destro (cavo del pace-maker, catetere venoso centrale, fibrillazione atriale).
L’embolia polmonare ha 2 premesse:
1. presenza di una trombosi venosa profonda
2. embolizzazione del trombo al polmone.
Epidemiologia
L’embolia polmonare si manifesta nell’1-2% dei pazienti ospedalizzati, con frequenza
variabile a seconda dei gruppi considerati.
Sino al 50% dei pazienti con trombosi venosa profonda prossimale presenta all’indagine scintigrafica una embolia polmonare (prevalentemente asintomatica)!
La trombosi venosa profonda e l’embolia polmonare sono le cause principali di morbilità e mortalità durante i ricoveri ospedalieri, ma si osservano anche con frequenza
sempre maggiore a livello extra-ospedaliero (in particolare nei pazienti dopo trattamenti ambulatoriali o con ricovero breve). Le embolie polmonari sono frequenti, ma spesso anche motivo di diagnosi errate. In molti casi non vengono affatto riconosciute clinicamente! Solo un terzo delle embolie polmonari viene diagnosticato prima della morte. Specialmente le piccole embolie con modesta sintomatologia non vengono riconosciute pur essendo sovente precursori di embolie più gravi!
Sede: più frequente nel polmone destro e nelle regioni inferiori (localizzazione tipica: lobo
inferiore destro).
Eziologia
L’eziologia dell’embolia polmonare comprende le cause della trombosi venosa profonda (vedi capitolo relativo).
Fattori scatenanti: l’atto di alzarsi dal letto al mattino, eventi in grado di aumentare la
pressione endoaddominale (ad es. defecazione), sforzi fisici improvvisi.
Nota: la mancata dimostrazione di una trombosi venosa profonda non esclude un fenomeno embolico, in quanto i suoi segni sono spesso assenti nei pazienti allettati.
Soltanto il 25% delle trombosi venose profonde è clinicamente sintomatico prima della
comparsa dell’embolia polmonare.
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Fisiopatologia
L’embolo porta all’ostruzione del tronco arterioso polmonare o delle sue diramazioni
con improvviso rialzo della resistenza vascolare polmonare (postcarico), diminuzione
della portata e ipertensione polmonare. Il passaggio ematico polmonare avviene in parte attraverso gli shunts AV causando ipossiemia. Meccanismi riflessi e mediatori liberati dalle piastrine (trombossano, serotonina, ecc.) provocano spasmi aggiuntivi dei vasi polmonari con ulteriore aumento del post-carico.
• ostruzione polmonare con aumento
del post-carico
sovraccarico pressorio del ventricolo destro
(cuore polmonare acuto)
• forward failure (portata diminuita)
shock circolatorio
• perfusione da shunt
ipossiemia arteriosa con ischemia miocardica
La combinazione di sovraccarico pressorio + ischemia miocardica può portare all’insufficienza del cuore destro.
Embolie di grossa entità con interessamento delle arterie polmonari centrali non portano ad un infarto polmonare (necrosi del parenchima polmonare) quando è possibile garantire la circolazione tra le arterie bronchiali e polmonari.
Le piccole embolie per contro portano spesso ad infarti polmonari emorragici cuneiformi, localizzati sotto la pleura, specialmente in presenza di insufficienza ventricolare sinistra con stasi emorragica nel piccolo circolo.
Per la mancanza del fattore surfattante si possono formare atelectasie.
Clinica
Esordio acuto:
• dispnea/tachipnea (85%)
• dolore toracico (evtl. proiezione del dolore infradiaframmatica) (85%)
• tachicardia (60%)
• tosse (50%)
• oppressione precordiale (60%)
• shock circolatorio, sincope (15%)
• sudorazione (30%)
Nota: la maggioranza delle embolie mortali progredisce a poussées. Tipiche dell’embolia polmonare recidivante sono le vertigini, le sincopi fugaci, la febbre di non chiara
origine e la tachicardia.
Complicanze
• pleurite con dolori toracici in sincronia con la respirazione, versamento pleurico
• infarto polmonare con emottisi
• polmonite post-infarto, formazione di ascessi
• insufficienza del cuore destro
• recidiva di embolia (in circa il 30% dei casi, in assenza di trattamento anticoagulante).
Laboratorio
I prodotti di degradazione del fibrinogeno/fibrina (ad es. D-dimero) sono presenti nelle
trombosi venose profonde recenti e nell’embolia polmonare come conseguenza della fibrinolisi spontanea propria dell’organismo. Il D-dimero è dimostrabile anche dopo interventi chirurgici, nei pazienti affetti da tumore e nelle coagulopatie da consumo. Valori normali di D-dimero escludono di regola un’embolia polmonare.
Emogasanalisi
pO2 e pCO2 diminuite; una pO2 normale (> 80 mmHg) esclude di regola una embolia
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polmonare grave (stadio III e IV), non tuttavia quella lieve (stadio I e II). In caso di
embolia polmonare grave a partire dal III stadio pur somministrando O2 non è possibile migliorare l’ipossia.
ECG
Solo nel 50% dei casi si osservano variazioni tipiche. Risultano utili i controlli ECGrafici a breve termine e il confronto con precedenti esami. Spesso le variazioni hanno carattere transitorio.
— tachicardia sinusale (più frequente)
— aspetto S1Q3 (sindrome di Mc Ginn-White) oppure S1 S2 S3, da dilatazione del ventricolo destro con rotazione del cuore in senso orario (confrontare con ECG precedenti!)
— blocco di branca destro incompleto
— spostamento verso sinistra della zona di transizione nelle derivazioni della parete toracica cosicché la S prevale fino a V5,6
— innalzamento ST con T terminale negativa nella derivazione III (diagnosi differenziale: infarto della parete posteriore)
— negativizzazione delle onde T nelle precordiali destre V1,2(3)
— P polmonare (= P atriale destra; P ≥ 0,25 mV in II)
— disturbi del ritmo, particolarmente fibrillazione atriale ed extrasistoli.
Ecocardiocolordoppler
Indicativa di embolia polmonare è un’ostruzione di almeno il 30% del tratto di efflusso polmonare
— eventuale documentazione diretta del trombo nel cuore destro o nell’arteria polmonare (visualizzazione ottimale con ecografia transesofagea)
— segni indiretti di sovraccarico pressorio acuto del ventricolo destro:
• dilatazione dell’arteria polmonare e delle camere destre
• movimento sistolico paradosso del setto verso il ventricolo sinistro
• insufficienza tricuspidale
• valutazione delle pressioni e dei gradienti pressori (colordoppler)
• assenza del collabimento inspiratorio della vena cava inferiore
— ecografia toracica: evtl. dimostrazione di una lesione di aspetto triangolare ed ipoecogena in sede sottopleurica, con aumentata reflettività centrale (infarto polmonare).
Radiologia
La radiografia del torace è indicativa solo nel 40% dei casi: stasi a livello dell’a. polmonare, sopraelevazione monolaterale del diaframma, comparsa di «amputazioni vascolari» dei grandi rami arteriosi polmonari; segno di Westermark: transitoria radiotrasparenza localizzata; piccolo versamento pleurico unilaterale; in caso di infarto polmonare
ombreggiatura circoscritta (raramente a triangolo); atelectasie.
Cateterismo cardiaco destro
Aumento della pressione in arteria polmonare e delle resistenze vascolari polmonari (di
regola dallo stadio III).
Dimostrazione dell’embolia
• TC spirale con somministrazione di mezzo di contrasto: visualizzazione dell’arteria
polmonare sino alle arterie sub-segmentarie: è il metodo di prima scelta!
• scintigrafia perfusoria del polmone: microembolizzazione dei capillari polmonari tramite macroaggregati di albumina marcata con 99mTecnezio (non comporta alcun disturbo a carico della circolazione e funzione polmonare): dal confronto con lastre del
torace recenti e, in caso di dubbio, con la scintigrafia ventilatoria, è possibile ricono-
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scere difetti di perfusione quali conseguenze dell’embolia. La tecnica non è disponibile ovunque. Non fornisce alcuna visualizzazione diretta dell’embolo
• tomografia computerizzata a fascio d’elettroni (limitata a pochi centri)
• angiografia polmonare ed angiografia digitale per sottrazione (DSA): tecnica diagnostica più sicura (difetti di riempimento, rottura di vasi), indicata solo in casi dubbi e per valutazione terapeutica.
Dimostrazione della flebotrombosi causale
• ecocolordoppler (vedi cap. Trombosi venosa profonda)
• flebografia (solo nei casi dubbi)
• le indagini scintigrafiche (flebografia con radionuclidi, immunoscintigrafia) sono
spesso non disponibili e di valore secondario.
Classificazione in stadi di gravità dell’embolia polmonare (secondo il Prof. K. D. Grosser, Krefeld):
stadio I
stadio II
Clinica
discreta, nell’80%
clinicamente
silente, evtl.
dispnea, dolore
toracico
dispnea acuta, tachipnea, dolore
toracico, tachicardia, ansia, evtl.
conseguenze: emottisi, febbre,
versamento pleurico
stadio III
stadio IV
inoltre shock,
blocco cardiocircolatorio
Pressione
normale
normale o
lievemente
abbassata
abbassata
molto abbassata
con differenziale
ridotta
Pressione
arteriosa
polmonare
media (mmHg)
normale
< 20
normale
25-30
> 30
Pa O2 (mmHg)
> 75
evtl. < 70
< 60
Obliterazione
dei vasi
diramazioni
periferiche
arterie
segmentarie
un ramo AP o
più arterie
lobari
un ramo AP o più
arterie lobari
(tronco AP)
Diagnosi differenziale
Varia a seconda dei sintomi:
— dispnea ingravescente: edema polmonare, crisi asmatica, pneumotorace spontaneo,
iperventilazione psicogena, ecc.
— dolore toracico acuto: infarto miocardico/angina pectoris, pericardite, pleurite, dissecazione aortica
— dolore acuto localizzato all’addome superiore: colica biliare, ulcera perforata, pancreatite, infarto miocardico posteriore, ecc.
— collasso/shock: shock di non chiara origine (ad es. emorragia interna)
— emoftoe: emorragia da rino-faringe, esofago, stomaco, albero bronchiale/polmonare
— per ogni addensamento polmonare comparso in corso di ricovero ospedaliero, distinguere tra embolia polmonare, infarto polmonare o polmonite.
Diagnosi
• anamnesi (attenzione ai fattori predisponenti)
• clinica (dispnea improvvisa, dolore toracico, tachicardia, evtl. collasso, ecc.)
• dimostrazione di un sovraccarico acuto di pressione del cuore destro (tracciato ECG,
ecocardiogramma) e di ipossiemia
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Embolia polmonare
Infarto miocardico
Anamnesi
lunga degenza (ad es. postoperatoria), trombosi, affezione
cardiaca
angina pectoris, cardiopatia ischemica
nota
Esordio
improvviso
spesso graduale
Dolore
pleuritico, soprattutto
durante l’inspirazione
diffuso, indipendente dal respiro,
irradiato (spalla, braccio, collo, addome)
Dispnea
improvvisa, intensa
di grado lieve
Laboratorio
CPK e troponina T normali
CPK (e CPK-MB) e troponina T
aumentate
ECG
occasionalmente quadro simile a
quello dell’infarto miocardico
posteriore
abitualmente alterazioni tipiche
dell’infarto (v. infarto)
Color-doppler
segni di sovraccarico di pressione
ventricolare destro
ipo-acinesia dell’area infartuata
• documentazione dell’embolia (TC spirale con mezzo di contrasto, angio-/3D-RMN) e
della flebotrombosi (doppler).
Terapia
Due obiettivi:
1. impedire la recidiva di una embolia
Memo: il 70% delle embolie polmonari mortali si manifesta con poussées!
2. terapia di ricanalizzazione in caso di embolia polmonare grave.
A) Terapia di emergenza in caso di embolia polmonare acuta
1. decubito semiortopnoico e trasporto con cautela in ospedale, perché non si manifestino nuove embolizzazioni
2. sedazione (ad es. diazepam 5 mg e.v. lentamente; attenzione alla depressione respiratoria!), trattamento del dolore
3. somministrazione di O2 con sondino nasale (6 l/min.) e pulsossimetria; in caso
di insufficienza respiratoria evtl. intubare e praticare la respirazione artificiale
4. accesso venoso centrale (misurazione della PVC e della pressione polmonare);
non praticare inizioni i.m.
5. somministrazione in bolo di eparina 5.000-10.000 UI e.v.
6. trattamento dello shock: dopamina (2-6 µg/kg/min)
trattamento dello shock: dobutamina (4-8 µg/kg/min)
7. in caso di arresto circolatorio in corso di embolia polmonare fulminante: rianimazione cardiopolmonare con massaggio cardiaco per un lungo lasso di tempo
( frammentazione dell’embolo) e trombolisi.
B) Misure specifiche
1. Conservative:
— Eparina: in assenza di controindicazioni (vedi cap. Trombosi), nel I e nel II
stadio la terapia con eparina è di scelta per la prevenzione di nuovi episodi
e riduzione della mortalità.
L’attività spontanea fibrinolitica del polmone tende a riaprire i vasi occlusi
da embolie nel giro di alcune settimane.
Due alternative:
a) eparina non frazionata
b) eparina a basso peso molecolare
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Dosaggio: vedi cap. Trombosi venosa profonda.
Durata: 7-10 giorni, in seguito embricare terapia con dicumarolici. Per la
durata della terapia con anticoagulanti orali vedi cap. Prevenzione della
trombosi.
— Fibrinolisi (trombolisi):
Obiettivo: sciogliere l’embolo (ricanalizzazione) + sciogliere trombi scatenanti (eliminazione della fonte di recidive).
Indicazioni: embolia polmonare massiva (stadio III e IV).
Condizione: assenza di controindicazioni (vedi cap. Trombosi).
Procedimento: sospendere l’eparina in caso di lisi con streptochinasi o urochinasi; non è necessario sospendere l’eparina in caso di lisi con t-PA.
Dosaggio: ad es. 100 mg di t-PA e.v. in 2 h (50 mg/h), in seguito eparina
da embricare poi con dicumarolici. Per altri fibrinolitici vedi cap. Trombosi
venosa profonda.
— Ricanalizzazione meccanica + trombolitica: frammentazione meccanica dell’embolo tramite il catetere utilizzato per l’angiografia polmonare + immediata trombolisi aggiuntiva.
Indicazione: embolia polmonare massiva (stadio III e IV).
2. Mediante cateterismo: trombolisi con ultrasuoni, frammentazione meccanica
dell’embolo mediante cateterismo del cuore destro, fibrinolisi locale.
Indicazione: embolia polmonare massiva (stadio III e IV).
3. Chirurgiche: embolectomia polmonare senza (Trendelemburg) oppure con l’ausilio di una macchina cuore-polmone. Indicazione: considerare l’embolectomia
chirurgica, previa angiografia, solo in caso di insuccesso del trattamento conservativo protratto per un’ora. Mortalità: 50%.
Prognosi
La prognosi dell’embolia polmonare dipende da:
• livello di gravità (stadio I e II solitamente non mortali; stadio III mortalità > 25%;
stadio IV mortalità > 50%)
• età e malattie precedenti
• fase in cui si pone la diagnosi e si attua la terapia
• complicanze ed evtl. recidive.
Se si supera la fase acuta, trattamento della patologia di base e prevenzione di nuove
embolie. La frequenza di recidiva ammonta almeno al 30%.
Prevenzione
— Prevenzione primaria = prevenzione della trombosi (vedi).
— Prevenzione secondaria dopo embolia polmonare e/o TVP:
• terapia anticoagulante con dicumarolici: per la durata vedi cap. Prevenzione della
trombosi
• in caso di deficit di AT III, terapia sostitutiva nelle situazioni a rischio
Nota: in caso di embolia polmonare recidivante, i filtri cavali (ad es. ombrellino di
Greenfield) riducono il rischio a breve termine di embolia polmonare, ma aumentano poi il rischio di trombosi e non diminuiscono la mortalità.
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MALATTIE DEI VASI LINFATICI
LINFANGITE
Definizione
Infiammazione dei vasi linfatici da propagazione di una infiammazione dai tessuti adiacenti oppure da presenza di patogeni nelle vie linfatiche. Le ferite infette sono solitamente la causa della linfangite delle estremità. Dopo cicatrizzazione, il vaso linfatico
interessato si oblitera.
Epidemiologia: malattia frequente.
Eziologia
Al di fuori delle aree tropicali/subtropicali, i patogeni più frequentemente in causa sono gli streptococchi, meno frequentemente gli stafilococchi. Nelle aree tropicali/subtropicali vi sono anche le filarie (Wucheria bancrofti e Brugia malayi).
Clinica: dalla ferita infetta si estende un eritema nastriforme in direzione della stazione linfatica regionale, dolente alla pressione; evtl. febbre.
Complicanze
Sepsi, raramente ascesso linfonodale; evtl. linfedema quale complicanza tardiva.
Diagnosi: clinica (in presenza di un’eritema nastriforme ricercare sempre il focolaio periferico d’infiammazione e identificare la stazione linfonodale drenante).
Terapia
In caso di infezione da streptococco/stafilococco somministrare penicillina attiva sugli
stafilococchi (ad es. oxacillina, di- o flucloxacillina); posizione a riposo dell’estremità
colpita, impacchi disinfettanti, terapia del focolaio di partenza.
In caso di filariosi: dietilcarbamazina.
ERISIPELA
Definizione
La erisipela è un’infiammazione della cute e del tessuto sottocutaneo da streptococchi
β-emolitici di gruppo A, che si diffondono lungo un vaso linfatico principale (linfangite superficiale). La porta d’ingresso dei patogeni è rappresentata da ragadi cutanee, ferite, dermatite da stasi, ecc.
Clinica
— area cutanea circoscritta eritematosa, molto calda, edematosa, nettamente delimitata
con o senza formazione di piccole bolle; cicatrizzazione centrale (area più chiara)
— più frequentemente alla gamba, ma anche all’arto superiore e al volto
— dolore locale ed evtl. prurito, febbre, malessere generale
— sono talvolta presenti piccole ferite come porta d’ingresso (micosi interdigitale ai
piedi).
Complicanze
— e. bullosum, e. gangrenosum, e. migrans
— malattie da ipersensibilità allo streptococco: febbre reumatica, glomerulonefrite
— recidiva dell’erisipela
— linfedema come conseguenza tardiva.
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Nota: l’erisipela può essere la causa di un successivo linfedema. Peraltro, l’erisipela è
la complicanza più frequente nei pazienti con linfedema.
Diagnosi
Clinica, laboratorio (leucocitosi, VES aumentata, anti-DNAsiB = titolo ADB aumentato nel 90% dei casi), ricerca della porta d’ingresso.
Terapia
Penicillina oppure eritromicina (per 2 settimane), posizione a riposo e raffreddamento
locale, terapia sintomatica del dolore e della febbre.
LINFEDEMA
Definizione: tumefazione dei tessuti sottocutanei con stasi linfatica da deficit della capacità
di trasporto dei vasi linfatici (da ostruzione, distruzione, ipoplasia).
Eziologia
— linfedema primario (il 10% dei casi è ereditario): alterazione dello sviluppo dei vasi linfatici. Circa 85% dei casi interessa soggetti di sesso femminile. Picco d’età
d’esordio: 17 anni
— linfedema secondario (la maggioranza dei casi) da: tumori, interventi chirurgici,
traumi, infiammazione, irradiazione.
Nota: ogni caso di linfedema che compaia dopo i 18 anni d’età deve far pensare alla
possibilità di un linfoma maligno.
Clinica
Quattro stadi nel decorso:
— stadio 0: periodo di latenza; ridotta capacità di trasporto dei vasi linfatici, senza tumefazione
— I stadio: tumefazione morbida (segno della fovea) senza alterazioni strutturali del
tessuto = fase reversibile
— II stadio: inizio di fibrosi cutanea (non è possibile indurre il segno della fovea, l’edema può essere ancora riassorbito e la fibrosi, con un trattamento intensivo, talvolta regredire)
— III stadio: elefantiasi linfostatica = fase irreversibile. Cute fortemente ispessita dalla
fibrosi e grossolanamente ruvida.
Diagnosi
— clinica:
• nel linfedema della gamba, a differenza di quanto accade nell’edema venoso, è
coinvolto anche l’alluce, che assume un aspetto squadrato
• solcature trasversali profonde alla cute dell’alluce
• la superficie dorsale dell’alluce è spesso simil-verrucosa (papillomatosis cutis)
• segno di Stemmer positivo = non è possibile sollevare le solcature cutanee dell’alluce
— diagnostica per immagini:
• linfografia indiretta con mezzo di contrasto idrosolubile
• scintigrafia linfatica.
Terapia
1. Conservativa: suo obiettivo è riportare la situazione in stadio 0; ciò può però avvenire solo in I stadio;
— tenere sollevate le estremità
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— terapia fisica di drenaggio della stasi: è articolata in 3 fasi: 1ª fase: drenaggio
della stasi; 2ª fase: ottimizzazione del risultato; 3ª fase: mantenimento. Si avvale di:
• igiene della cute
• linfodrenaggio manuale
• terapia compressiva
• terapia motoria anti-stasi
— solamente a completa risoluzione dell’edema, calze compressive.
Controindicazioni alla terapia fisica di drenaggio: infiammazione acuta, scompenso
cardiaco, linfoma maligno.
Controindicazione alla terapia compressiva: arteriopatia obliterante periferica con
PA malleolare < 80 mmHg.
2. Chirurgica, in caso di fallimento della terapia conservativa: metodi di resezione e/o
di derivazione, trapianto di vasi linfatici autologhi.
TUMORI DEI VASI LINFATICI
Primitivi:
linfoangioma benigno
molto raramente, linfoangiosarcoma maligno
Secondari: linfangite carcinomatosa, in vari tipi di carcinoma.
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PNEUMOLOGIA
Epidemiologia: circa il 10% della popolazione dei Paesi industrializzati muore per una malattia polmonare. Le 3 cause più frequenti sono: carcinoma bronchiale, polmonite e
broncopneumopatia cronica ostruttiva. Il 30% delle malattie professionali riconosciute è
costituito da malattie polmonari. La frequenza aumenterà nei prossimi anni.
Diagnostica polmonare
— anamnesi ed esami clinici
— esami di laboratorio: chimica clinica, sierologia
— esami funzionali, emogasanalisi
— diagnostica per immagini:
• radiografia: proiezione postero-anteriore e laterale, eventualmente obliqua
• ecografia (tecnica sensibile per i versamenti pleurici)
• tomografia computerizzata (TC), TC spirale con immagine tridimensionale e
broncoscopia virtuale, TC ad alta definizione (HR-CT)
• RMN, EBT
• broncografia
• scintigrafia perfusoria e ventilatoria
• angiografia
— esami microbiologici
— diagnostica per allergie: dosaggio IgE totali, IgE specifiche (RAST), cutireazioni,
test di provocazione
— procedimenti endoscopico/bioptici:
• broncoscopia con lavaggio broncoalveolare, batteriologia, citologia e biopsia
• toracentesi e biopsia della pleura
• toracoscopia
• pneumocentesi transtoracica e biopsia
• mediastinoscopia
— toracotomia
— inoltre esami diagnostici del cuore destro (ecocardiografia, cateterismo cardiaco destro, ecc.).
Le affezioni polmonari sono caratterizzate da:
1. sintomi generali:
inappetenza
febbre
sudorazioni notturne
aumento della VES
leucocitosi
disprotidemia
2. 4 sintomi polmonari specifici:
tosse senza espettorato = tosse non produttiva
tosse con espettorazione = tosse produttiva
dispnea
dolore toracico.
Esame obiettivo: gli addensamenti polmonari sono indicati dalla presenza di:
• respiro bronchiale
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• broncofonia positiva
• rantoli crepitanti
• fremito vocale tattile aumentato.
Questi 4 segni sono la conseguenza patologica di fenomeni in se stessi fisiologici e del
tutto normali.
Il respiro bronchiale è fisiologico in prossimità dell’albero tracheo-bronchiale. In caso
di infiltrazione polmonare invece tale reperto è percepibile anche nelle zone toraciche
periferiche a livello della parete toracica.
Lo stesso dicasi per la trasmissione delle basse frequenze del fremito vocale, normalmente smorzate dal tessuto alveolare contenente aria (analogamente alla broncofonia
con toni alti).
Tutti i rantoli hanno dei toni acuti, che generalmente vengono smorzati dal tessuto polmonare contenente aria; quando il tessuto polmonare è addensato tali toni acuti raggiungono la parete toracica: rantoli crepitanti.
Note
1) Questi rumori «patologici» sono apprezzabili solamente alla parete toracica, non invece in prossimità dello sterno. Il passaggio da murmure vescicolare a respiro bronchiale (con direzione centripeta) è graduale.
I reperti bilaterali, fino a prova contraria, sono per lo più normali; reperti monolaterali, sono, fino a prova contraria, patologici.
2) Vi sono focolai profondi e per lo più di dimensioni non rilevanti che non sono rilevabili con la percussione, la palpazione e neanche con l’auscultazione (la cui efficienza è entro 5 cm di profondità).
Questa circostanza ha portato al concetto della «polmonite centrale». La polmonite
centrale interessa il parenchima così in prossimità dell’ilo, da non essere rilevata
dalle normali metodiche di esame obiettivo.
Una diagnosi è possibile soltanto con l’esame radiologico.
3) La diminuzione del respiro bronchiale depone per la presenza di infiltrazione + versamento o ispessimento pleurico (non è possibile differenziare con l’auscultazione).
Qualora il versamento pleurico superi i 2-3 cm di spessore, il respiro bronchiale
sparisce.
4) Un soffio bronchiale dolce si manifesta al limite superiore di un versamento pleurico per la compressione atelettasica del tessuto polmonare circostante e non è indice
di un addensamento parenchimale.
5) Per l’indicazione di sede di un reperto obiettivo polmonare ci si dovrebbe riferire ai
singoli lobi polmonari e non si dovrebbe parlare di «campo superiore, medio o inferiore». Tali denominazioni appartengono alla nomenclatura radiologica delle immagini a proiezione sagittale, dove i singoli lobi polmonari si sovrappongono sulla
lastra radiografica, escludendo in tale modo la possibilità di ottenere sicure delimitazioni lobari.
polmoni in
proiezione laterale:
ventrale
destro
366
sinistro
Polmone destro:
10 segmenti polmonari lobari:
3 superiori, 2 medi, 5 inferiori
Polmone sinistro:
9 segmenti polmonari lobari:
3 superiori, 6 inferiori
(segmenti 4 e 5 = lingula,
segmento 7 assente)
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DISTURBI DELLA FUNZIONE RESPIRATORIA
In relazione alle 3 componenti funzionali polmonari
(ventilazione, diffusione, perfusione) si distinguono:
1. disturbi della ventilazione
2. disturbi della diffusione
3. disturbi della perfusione.
Queste funzioni devono esplicarsi nella stessa misura
in tutte le zone del polmone e devono correlarsi reciprocamente; se ciò non avviene si hanno disturbi della distribuzione (4).
Le alterazioni dei centri respiratori portano a disturbi
della regolazione respiratoria.
(1)
(4)
(2)
(3)
DISTURBI DELLA VENTILAZIONE
I disturbi della ventilazione determinano un aumento dell’attività respiratoria, accusato dal
paziente sotto forma di dispnea.
Le cause di dispnea possono essere:
• faringo-tracheale: edema della glottide, stenosi tracheale
• pleuro-polmonare: affezioni polmonari, pneumotorace, versamento pleurico, ecc.
• affezioni del torace/diaframma: deformazioni toraciche, fratture delle coste, affezioni
muscolari, elevazione o paresi del diaframma
• cardiache: insufficienza cardiaca sinistra con stasi o edema polmonare, embolia polmonare
• centrali: encefalite, ed altri disturbi del SNC
• aumento del fabbisogno di O2: sforzo fisico, febbre
• ridotto rapporto di O2 (soggiorno a grandi altezze, anemia)
• psicogene (sindrome da iperventilazione).
Indicazioni diagnostiche nella dispnea acuta
stridore:
• inspiratorio: stenosi tracheale, edema della glottide
• espiratorio: asma bronchiale
silenzio respiratorio unilaterale: + ottusità: atelettasia o cospicuo versamento pleurico
silenzio respiratorio unilaterale: + iperfonesi: pneumotorace
ottusità basale + mancanza del fremito vocale tattile: versamento pleurico, sopraelevazione del diaframma
rantoli umidi: • rantoli crepitanti + febbre: polmonite
• senza rantoli crepitanti: insufficienza cardiaca sinistra, edema polmonare.
Iperventilazione: parestesie, tetania: sindrome da iperventilazione.
Reperto polmonare normale: pensare ad embolia polmonare oppure a «fluid lung» (riconoscibile solamente alla radiografia del torace).
Classificazione dei disturbi ventilatori
1. Sindrome ostruttiva
Definizione: ostruzione = restringimento o dislocazione delle vie respiratorie.
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Epidemiologia: il 90% delle affezioni polmonari è una sindrome ostruttiva (un fumatore su due oltre i 40 anni di età).
a) Ostruzione delle vie respiratorie superiori (extratoraciche), dalla bocca/naso sino al laringe.
Sintomo tipico: dispnea inspiratoria; stridore inspiratorio = rumore sibilante nella inspirazione.
Eziologia: caduta all’indietro della lingua, edema della glottide/laringe, epiglottite, pseudo-croup, aspirazione, neoplasie, sindrome ostruttiva in caso di apnea
da sonno, paresi del nervo ricorrente, ecc.
b) Ostruzione delle vie respiratorie inferiori (intratoraciche), dal laringe ai bronchioli terminali.
Sintomo tipico: dispnea espiratoria con espirio prolungato.
Patogenesi:
— ostruzione endobronchiale, ad es. da
• spasmo muscolare, edema della mucosa
asma bronchiale
• aumento/alterazione delle secrezioni
bronchite cronica ostruttiva
bronchiali, stasi del muco
— ostruzione esobronchiale, ad es. da collasso espiratorio dei bronchioli in seguito a instabilità della parete in caso di enfisema.
Eziologia:
— malattie della trachea: neoplasia, restringimenti e stenosi cicatriziali, aspirazione, struma, ecc.
— malattie polmonari ostruttive croniche (90% dei casi): bronchite cronica
ostruttiva, enfisema polmonare ostruttivo
— asma bronchiale
— altre malattie polmonari, nelle quali un disturbo ventilatorio ostruttivo può
sorgere quale complicanza.
2. Sindrome restrittiva
Riduzione dei volumi polmonari, conseguente a diminuita compliance del sistema
toraco-diaframmatico-polmonare.
Eziologia: • restrizione intrapolmonare: ad es. resezione polmonare, fibrosi polmonare, stasi polmonare
• restrizione pleurica: ad es. cotenna pleurica, versamento pleurico
• restrizione toracica: ad es. cifoscoliosi, elevazione del diaframma, disturbi neuromuscolari della muscolatura respiratoria
• restrizione extratoracica: ad es. obesità.
3. Sindrome mista restrittiva + ostruttiva
}
Prove di funzionalità polmonare
Le prove di funzionalità polmonare comprendono la misurazione della ventilazione, diffusione
e perfusione, completate dall’emogasanalisi. Mentre la misurazione della ventilazione è possibile, nella diagnostica di routine, con apparecchiature di basso costo, la misurazione della diffusione e della perfusione viene eseguita solamente in strutture pneumologiche specialistiche.
Le prove di funzionalità polmonare devono poter dare una risposta specialmente ai seguenti 5 quesiti:
1. vi è un disturbo della ventilazione polmonare clinicamente rilevante?
2. se sì, il disturbo di ventilazione è ostruttivo o restrittivo?
3. l’ostruzione è reversibile?
4. come reagiscono alla terapia i valori della funzionalità polmonare?
5. quale è la riserva respiratoria?
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L’esame della funzionalità polmonare non permette la diagnosi esatta di una affezione polmonare, ad esempio non contribuisce a chiarire le diagnosi differenziali: polmonite, tubercolosi, carcinoma bronchiale.
Metodiche di misurazione e parametri della funzionalità polmonare
I. Spirometria
Il sistema classico per la valutazione della ventilazione polmonare è la spirometria.
Può essere eseguita:
1. con sistema chiuso con spirometro a campana;
2. con sistema aperto con tubo per la respirazione (pneumotacografo) e integrazione
elettronica della velocità del flusso.
Tale esame permette di determinare i seguenti parametri funzionali:
a. grandezze statiche (come capacità vitale) e
b. grandezze dinamiche (come capacità in 1 secondo).
Misurazione dei volumi polmonari dinamici in condizioni normali (a destra) e in caso
di ostruzione delle vie respiratorie (a sinistra).
Test di broncolisi
IRV
CV
FEV1
FEV1
VC
ERV
VC
Volumen pulmonum auctum
RV
RV
(Legenda: VC = volume corrente; FEV1 = VEMS = volume espiratorio massimo in 1 secondo; CV = capacità vitale = VC + ERV + IRV; IRV = volume di riserva inspiratorio; ERV = volume di riserva espiratorio; RV = volume residuo; TLC = capacità polmonare totale = CV +
RV; volumen pulmonum auctum = volume residuo aumentato in caso di ostruzione reversibile; RV non può essere valutato mediante la spirometria, ma con pletismografia corporea).
a. Capacità vitale (CV)
È il volume massimo mobilizzabile, misurato durante una inspirazione lenta, dopo
una espirazione massima lenta; è la somma del volume corrente, del volume di riserva inspiratorio e del volume di riserva espiratorio. La CV forzata durante una
espirazione veloce è sempre inferiore rispetto alla CV inspiratoria lenta. I valori
teorici dipendono dal sesso, dalla struttura corporea, dall’età del paziente, e possono essere rilevati da tabelle specifiche (ad es. valori teorici della Comunità Europea) contenute nei software dei moderni spirografi. I valori teorici si riferiscono alle caratteristiche fisiche del soggetto (caratteristiche corporee BTPS = Body Temperature, Pressure, Saturated).
Interpretazione di una capacità vitale diminuita:
I disturbi di tipo restrittivo sono caratterizzati dalla diminuzione della CV. Tuttavia,
anche patologie di tipo ostruttivo possono determinare una riduzione della CV, conseguente all’aumento del volume residuo. Per un’interpretazione esatta sono necessari ulteriori esami. Si parla di riduzione della riserva volumetrica di ventilazione.
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b. Volume espiratorio massimo in 1 secondo
È il volume d’aria espirata il più velocemente possibile, al primo secondo dopo una
inspirazione lenta forzata: volume espiratorio massimo al primo secondo (VEMS) =
forced expiratory volume in 1 sec. (FEV 1). Vengono valutati il valore assoluto rilevato e il valore relativo riferito alla CV (= indice di Tiffeneau).
Interpretazione di un VEMS diminuito:
Si parla di restrizione della riserva di ventilazione.
Cause: • ostruzione endobronchiale e esobronchiale;
• riduzione della forza di retrazione polmonare, debolezza della muscolatura dell’apparato respiratorio.
Nota: il valore relativo a un secondo (relativo alla CV del probando) può essere utilizzato per determinare il grado di ostruzione soltanto fino a quando la CV rimane
entro l’ambito normale, e cioè solo in caso di ostruzione leggera. Aumentando il grado di ostruzione, diminuisce anche la CV, ed il rapporto VEMS/CV potrebbe divenire «pseudonormale». In tali casi tuttavia il valore assoluto del VEMS è diminuito.
Di conseguenza oltre al valore relativo occorre considerare sempre anche quello
assoluto.
I valori del VEMS dipendono dal grado di collaborazione del paziente e ciò rappresenta un problema per una corretta valutazione. Il valore normale del VEMS relativo è ≥ 75% (nei soggetti anziani ≥ 70%).
La CV ed il VEMS sono i due parametri più importanti ottenibili con l’esame spirometrico. La curva dello spirogramma può fornire ulteriori informazioni: un collasso
espiratorio dei bronchioli viene rilevato nello spirogramma da una deflessione pre-espiratoria con successivo decorso dell’onda più piatto: è il fenomeno «check valve», conseguente ad instabilità parietale, ad es. in caso di enfisema.
Con il termine «air-trapping» viene definito lo spostamento allo spirogramma della posizione media del respiro verso l’inspirazione. Tale fenomeno è determinato dal collasso espiratorio dei bronchioli, con conseguente impossibilità di espirare l’aria intrappolata negli alveoli dopo una profonda inspirazione volume residuo aumentato.
Diagramma flusso-volume
Dalla curva espiratoria flusso-volume si possono derivare i seguenti parametri che sono ridotti nelle sindromi ostruttive:
— PEF = peak expiratory flow = picco di flusso espiratorio, in l/sec. oppure l/min. I
valori di riferimento dipendono dal sesso, età, taglia corporea ( tabelle). I misuratori di picco di flusso si sono rivelati
utili nell’automisurazione del PEF nel
Flusso (l/s)
corso della giornata.
— MEF25, 50, 75 = maximal expiratory flow
12
PEF
al 25, 50, 75% della capacità vitale forzata. I MEF25, 50 devono essere indipen8
denti dalla forza d’espirazione. Una riduzione isolata del MEF25 è indicativa
MEF50% FVC
di ostruzione periferica delle piccole vie
4
respiratorie: è un reperto tipico nei fuMEF25% FVC
matori.
Volume di flusso
espiratorio
Parte8
L’illustrazione mostra un diagramma flussovolume normale e un altro diagramma in
caso di ostruzione, con deflessione pre-espiratoria da vie respiratorie instabili (➚).
370
0
0 1
2
3 4
5
6
Volume
(l)
Parte8
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II. Misurazione delle resistenze delle vie respiratorie
È utile a dimostrazione o esclusione di una ostruzione endobronchiale.
La resistenza è condizionata principalmente dall’ostruzione nelle grandi vie respiratorie. Le ostruzioni delle piccole vie respiratorie possono essere indagate da altre tecniche diagnostiche (ad es. compliance dinamica; vedi più avanti).
Metodiche:
a) metodo di oscillazione e metodo di interruzione
b) metodo in cabina: pletismografia corporea.
L’unità di misura della resistenza (in kPa) è la differenza di pressione endobronchiale
necessaria per determinare a livello della bocca (a naso chiuso) un flusso respiratorio
di 1 l di aria al secondo: kPa/l/s. Limite superiore normale della resistenza totale: 0,35
kPa/l/s. Le resistenze delle vie respiratorie rilevate con i metodi citati non sono direttamente confrontabili, ma possono essere correlate in caso di ostruzione di grado leggero o medio. In caso di ostruzione di più grave entità deve essere impiegata la pletismografia corpore, unica a dare valori certi.
Le resistenze bronchiali hanno un ritmo circadiano. I valori massimi della resistenza si
hanno nel primo pomeriggio e nelle prime ore del mattino (alle 5) (i soggetti asmatici
hanno spesso attacchi di asma al mattino presto) obiettivazione tramite automisurazione del PEF.
Interpretazione di una diminuzione del VEMS con valutazione delle resistenze:
a) VEMS diminuito e resistenze aumentate = ostruzione endobronchiale (ad es. asma
bronchiale).
b) VEMS diminuito, ma resistenze normali:
due possibilità: diminuita capacità di retrazione di polmone/torace e/o debolezza
della muscolatura respiratoria dell’espirazione oppure instabilità parietale delle vie
aeree che collabiscono con l’espirazione forzata = ostruzione esobronchiale funzionale in caso di enfisema.
Test di broncolisi
Ostruzioni reversibili (broncospasmo) possono essere distinte dalle ostruzioni respiratorie irreversibili (ad es. in caso di enfisema) mediante determinazione di VEMS e resistenze respiratorie prima e dopo circa 10 minuti dall’inalazione di broncospasmolitici (β2-simpaticomimetici). In caso di ostruzione reversibile, il test di broncolisi è considerato positivo quando il VEMS migliora di almeno il 15% e di almeno 200 ml. In
caso di dubbio andrebbe somministrato inoltre per una settimana un glucocorticoide
sotto forma di spray. Talvolta il disturbo ostruttivo della ventilazione migliora con questo metodo.
Curva resistenza/volume
Con il tacografo è possibile osservare le variazioni delle resistenze respiratorie, relativamente al ciclo respiratorio. Nella respirazione normale, durante l’inspirazione e l’espirazione, il soggetto sano mostra solo variazioni minime delle resistenze respiratorie,
riconoscibili da una curva a decorso pressoché orizzontale. I soggetti giovani, con resistenza espiratoria normale,
R
possono espirare il 90% circa della loro capacità vitale,
Ostruzione
mentre i pazienti di 70 anni soltanto il 65%.
In caso di ostruzione crescente, si riduce progressivamente la quota di capacità vitale che può essere impiegata
Normale
senza aumento della resistenza o del lavoro respiratorio.
V
371
Parte8
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Dalla curva resistenza/volume è possibile valutare direttamente in quale misura il paziente può ancora impiegare la capacità vitale per la ventilazione, senza avere un aumento critico delle resistenze e del lavoro respiratorio. Inoltre si può riconoscere se il
paziente collabora in modo ottimale all’esecuzione della spirometria (aumento teleespiratorio e caduta teleinspiratoria della resistenza respiratoria).
III. Parametri di misurazione della pletismografia corporea
1. Resistenze: la pletismografia corporea consente di rappresentare graficamente la
curva flusso-pressione.
In base alla legge di Ohm, in cui R = V/A, è possibile calcolare “R”, la resistenza, misurando i paramentri:
— “V” = pressione alveolare (la misurazione viene eseguita in una cabina chiusa,
nella quale il paziente respira).
— “A” = velocità di flusso, o flow.
Riportando i valori della misurazione su un grafico, si ottiene una curva che generalmente interseca il punto zero e che, con l’aumento dell’ostruzione, ha decorso più
piatto. Qualora vi sia una differenza fra l’inspirazione e l’espirazione la curva non
passa più per il punto zero, indicazione questa di aria intrappolata nelle vie aeree.
Inspirazione
V• (ml/sec)
1000
500
0
∆ Ppl
500
1000
a
b
c
d
Espirazione
∆ Ppl = pressione pletismografica
a
= diagramma flusso-pressione normale
b
= curva respiratoria in caso di ostruzione omogenea
c
= ostruzione disomogenea delle vie respiratorie, con passaggio del punto 0 a
pressioni differenti
d
= andamento a forma di clava della curva di resistenza in caso di marcata ostruzione e perdita delle forze elastiche di ritorno, collasso espiratorio delle vie respiratorie.
2. Volume di aria intratoracico
È il volume intratoracico alla fine di una espirazione normale. Il volume di gas intratoracico corrisponde alla capacità funzionale residua misurata con la spirometria
= volume di riserva espiratorio + volume residuo.
Valori aumentati si trovano spesso in caso di disturbi ostruttivi della ventilazione e
sempre in caso di enfisema.
IV. Misurazione delle distensibilità del sistema toraco-polmonare, tramite la determinazione della compliance statica (C).
Serve per quantificare la rigidità dei tessuti. Viene misurata come alterazione volumetrica dei polmoni per unità di differenza di pressione transpolmonare (misurazione della pressione nell’esofago all’inizio ed al termine di un’inspirazione):
C = ∆V / ∆ p (valori normali: 0,03-0,05 l/kPa)
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Nota: la valutazione della compliance statica si basa sulla misurazione delle variazioni
di pressione e volume eseguita in apnea, perché in caso di resistenze al flusso aumentate (queste non devono essere misurate con la compliance statica) i polmoni impiegano un tempo maggiore a dilatarsi.
Quando la compliance non viene determinata durante l’apnea, bensì in fase «dinamica» (il paziente respira con una frequenza stabilita con un metronomo), si ottiene la
compliance dinamica, mediante la quale è possibile valutare l’aumento delle resistenze
nelle piccole vie aeree. Una diminuzione della compliance dinamica all’aumentare della frequenza respiratoria viene considerata un indice sensibile di ostruzione delle vie
respiratorie periferiche.
Contemporaneamente alla compliance dinamica è possibile misurare anche il lavoro respiratorio (pressione × volume).
Riassunto
Restrizione
Ostruzione
Capacità vitale
()
VEMS
normale
Volume residuo,
capacità polmonare totale,
volume di aria intratoracico
Resistenze
normale
Compliance statica
normale
Le sindromi ostruttive possono determinare nel tempo un aumento del contenuto di
aria nei polmoni (enfisema ostruttivo) e possono comportare in breve tempo ipossia e
ipercapnia (= ritenzione di CO2). Al contrario, la sindrome restrittiva determina solo
tardivamente delle alterazioni dei gas nel sangue. Pertanto, la sindrome ostruttiva ha
conseguenze più gravi e determina disturbi più precoci, rispetto alla sindrome restrittiva!
Test di provocazione
• Test aspecifico con metacolina per la diagnosi di iperreattività bronchiale
• Test inalatori specifici per l’identificazione di allergeni (vedi cap. Asma bronchiale).
Ergospirometria (CPX = cardiopulmonary exercise testing)
Metodo per la determinazione quantitativa della prestazione fisica. Misura, con tecnica
non invasiva, tramite l’analisi respiratoria, il consumo massimale di ossigeno (VO2
max) all’aumentare dell’attività muscolare e il consumo di ossigeno alla soglia anaerobia (VO2 AT). Il VO2 max si correla linearmente alla gittata cardiaca massimale, secondo il principio di Fick, e rappresenta il «gold standard» della misurazione della prestazione fisica. Alla soglia anaerobia, quando il guadagno energetico aumenta per metabolismo anaerobio con produzione di lattato, l’eliminazione di CO2 è maggiore dell’assunzione di O2: quoziente respiratorio (RQ) = VCO2/VO2 > 1. Il VO2 max dipende
dalla collaborazione e volontà del paziente, mentre il VO2 AT è da queste indipendente: è pertanto utile nelle valutazioni peritali.
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DISTURBI DELLA DIFFUSIONE
Eziologia
• fibrosi polmonare con alterazioni della membrana alveolo-capillare = epitelio alveolare (pneumociti di tipo I e II), membrana basale, interstizio, endotelio capillare
• rarefazione degli alveoli (enfisema)
• edema polmonare
• polmonite
• embolie polmonari recidivanti
• riduzione del tempo di contatto tra sangue e alveoli.
Poiché la capacità di diffusione della CO2 è 20 volte maggiore di quella dell’O2, le alterazioni della diffusione determinano soltanto ipossiemia senza ipercapnia.
Capacità di diffusione: è il volume di gas che, in condizioni standard di temperatura e
pressione e con una differenza unitaria di pressione alveolo capillare, diffonde nell’unità di tempo dagli alveoli polmonari nel sangue capillare (unità: ml/min/kPa).
Coefficiente di transfer: capacità di diffusione riferita al volume polmonare.
Per motivi metodologici non si determina la capacità di diffusione per O2, bensì per CO
(DLCO). I fumatori hanno un valore ridotto di DLCO per l’aumentato contenuto di COHb nel sangue.
Valori normali
≥ 75% del valore teorico
Riduzione lieve
74-60% del valore teorico
Riduzione media
59-50% del valore teorico
Riduzione grave
< 50% del valore teorico
Un parametro sensibile per valutare i disturbi della diffusione è anche la riduzione della pO2 arteriosa sotto sforzo ergometrico.
DISTURBI DELLA PERFUSIONE
Patogenesi
1. Alterazioni dell’afflusso arterioso:
ad es. embolie polmonari
2. Alterazioni del letto capillare:
a) riduzione del letto capillare da malattie polmonari distruttive
b) riflesso alveolo-capillare (Euler-Liljestrand):
l’ipoventilazione alveolare comporta la costrizione delle piccole arterie polmonari nell’area polmonare sottoventilata deviazione ematica in aree ventilate +
ipertensione polmonare
3. Alterazioni del deflusso venoso:
ad es. nell’insufficienza cardiaca sinistra o nella stenosi mitralica
Diagnostica specialistica: scintigrafia perfusoria del polmone (con albumina marcata con
99mTc), angiografia digitale per sottrazione di immagine, angiografia polmonare.
DISTURBI DELLA DISTRIBUZIONE
1. Disturbi della ventilazione (regioni polmonari diversamente ossigenate)
— particolarmente in caso di sindrome ostruttiva
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2. Disturbi del rapporto ventilazione/perfusione
(generalmente la ventilazione alveolare a riposo è pari a 4 l di aria/min., e la perfusione a 5 l di sangue/min.: il rapporto è quindi 4/5 = 0,8)
— in caso di shunt gli alveoli sono normalmente irrorati, ma non sufficientemente
ossigenati (V/P < 0,8)
— in caso di regioni polmonari non vascolarizzate gli alveoli sono ossigenati, ma
non irrorati (V/P > 0,8).
Diagnostica specialistica: scintigrafia ventilatoria (133Xe) e scintigrafia perfusoria (99mTc)
del polmone. Respirando ossigeno è possibile distinguere uno shunt funzionale da uno
shunt anatomico (ad es. nei vizi cardiaci con shunt destro sinistro): solo nello shunt
funzionale è possibile migliorare in modo netto la saturazione arteriosa di O2.
Emogasanalisi (EGA)
I compiti principali dei polmoni sono:
1. ossigenazione del sangue
2. eliminazione della CO2 con conseguente regolazione dell’equilibrio acido-base.
I parametri di misurazione che valutano il grado dell’efficacia respiratoria sono:
— pO2 arteriosa e saturazione arteriosa di O2: consideSaturazione O2 dell’Hb (%)
rando la forma a S della curva di saturazione di O2, è
evidente che, per livelli elevati di saturazione, a pic100
cole variazioni di saturazione corrispondono grandi
variazioni di pO2; pertanto, a questi livelli, la deter50
minazione di pO2 è più precisa. Al contrario, per valori di pO2 nettamente ridotti, la saturazione di O2 è
il parametro più sensibile.
50 100 pO (mmHg)
2
Metodo: prelievo di sangue capillare dal lobo dell’orecchio iperemizzato, elettrodi di platino; misurazione della saturazione di O2 con
ossimetro digitale.
I valori di pO2 diminuiscono fisiologicamente con l’aumentare dell’età:
• valori normali di pO2 arteriosa: 72-107 mmHg (secondo l’età)
• valori normali di saturazione di O2: ≥ 94%.
— pCO2 arteriosa: valori normali indipendenti dall’età:
• maschi: 35-46 mmHg
• femmine: 32-43 mmHg.
— pH: valore normale 7,37-7,45 (per i bicarbonati standard e altri dettagli vedi cap. Equilibrio acido-base). Per distinguere un’alterazione manifesta da una latente in caso di insufficienza respiratoria, l’emogasanalisi è utile sia in condizioni di riposo sia
sotto sforzo.
Determinazione del CO nell’aria espirata
Valori di riferimento: non fumatori < 5 ppm; fumatori: i valori di CO aumentano (sino
a 50 ppm) proporzionalmente al consumo di sigarette.
INSUFFICIENZA RESPIRATORIA
Definizione: diminuzione dell’efficacia della respirazione per cause polmonari o extrapolmonari, in modo tale da determinare alterazioni significative dei gas nel sangue.
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Si distinguono 2 forme di insufficienza respiratoria:
1. insufficienza parziale: con ipossiemia 3 gruppi di cause:
— alterazioni della distribuzione-ventilazione-perfusione (sono le più frequenti)
— alterazioni della diffusione
— shunt artero-venosi
2. insufficienza globale: con ipossiemia + ipercapnia (ritenzione di CO2), con acidosi
respiratoria; la causa è l’ipoventilazione alveolare da alterazioni della regolazione
respiratoria o da deficit dei muscoli respiratori.
Eziologia
— Cause polmonari: affezioni polmonari di varia genesi
— Cause extrapolmonari:
• alterazioni del SNC: apoplessia, intossicazioni, traumi cranio-cerebrali
• alterazioni del midollo spinale: poliomielite, danni traumatici
• alterazioni neuromuscolari: miastenia grave, tetano, botulismo, intossicazioni (inibitori della colinesterasi, curaro, ecc.)
• affezioni della parete toracica o della pleura: fratture delle coste, pneumotorace
ipertensivo, importante versamento pleurico
• ostruzione delle vie aeree superiori: edema della glottide, spasmo laringeo, aspirazione di corpi estranei
• cause cardiache: edema polmonare.
Patogenesi
Le affezioni polmonari comportano in primo luogo una insufficienza respiratoria parziale (ipossiemia). Fin tanto che la ventilazione può essere aumentata sufficientemente,
la tensione di CO2 rimane normale oppure diminuisce a causa dell’iperventilazione.
In caso di insufficienza ventilatoria (dovuta ad affaticamente della muscolatura respiratoria od a cause extrapolmonari; vedi sopra) si riscontra sempre una insufficienza respiratoria globale (ipossiemia e ipercapnia).
IPOVENTILAZIONE
distruzione dei
vasi polmonari
(enfisema)
ALVEOLARE
costrizione dei vasi polmonari
(riflesso di Euler-Liljestrand)
ipossiemia
ipercapnia
ipertensione polmonare
aumento
dell’eritropoietina
acidosi respiratoria
aumentata pressione
del liquor con cefalea
cuore polmonare
poliglobulia
Clinica
— Insufficienza respiratoria acuta (ad es. ostruzione delle vie aeree superiori): dispnea
assai grave, cianosi, sensazione di morte imminente, disturbi della coscienza.
— Insufficienza respiratoria cronica (malattie polmonari in stadio avanzato):
• in caso di insufficienza respiratoria parziale, sintomi dell’ipossiemia: dispnea, cianosi, agitazione motoria, confusione mentale, disturbi della coscienza, tachicardia,
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evtl. disturbi del ritmo. In caso di ipossiemia protratta: poliglobulia, unghie a vetrino d’orologio, dita a bacchetta di tamburo
• in caso di insufficienza respiratoria globale, anche sintomi dell’ipercapnia: cefalea, vertigini, sudorazione, ecc.
Diagnosi
Emogasanalisi (EGA) arteriosa:
• insufficienza respiratoria parziale: pO2 • insufficienza respiratoria globale: pO2 e pCO2 • insufficienza respiratoria latente: le alterazioni emogasanalitiche compaiono solo sotto sforzo fisico
• insufficienza respiratoria manifesta: le alterazioni emogasanalitiche sono presenti già
a riposo.
EGA in corso di somministrazione di O2:
• la somministrazione di O2 migliora la cianosi (ipossiemia) causata da malattie polmonari, mentre non migliora significativamente la cianosi (ipossiemia) causata da vizi
con shunt destro sinistro
• l’apporto di O2 in corso di insufficienza respiratoria globale va eseguito solo con
stretto controllo dell’EGA.
EGA prima e dopo sforzo ergometrico dosato:
Nella insufficienza respiratoria parziale secondaria a disturbi della distribuzione - ventilazione - perfusione si osserva un aumento della pO2 arteriosa sotto sforzo.
Terapia
1. Causale: trattamento della malattia di fondo
2. Sintomatica:
— in caso di insufficienza respiratoria acuta e arresto respiratorio: broncoaspirazione + respirazione artificiale
— in caso di insufficienza respiratoria cronica: evtl. ossigenoterapia a lungo termine (vedi cap. Cuore polmonare)
Indicazioni alla ossigenoterapia
a) Insufficienza respiratoria parziale: paziente cianotico, con ipossiemia, ma
pCO2, normale: l’O2 può essere somministrato senza alcun pericolo.
b) Insufficienza respiratoria globale: lo stimolo alla respirazione rappresentato
dalla ipossiemia è ancora efficace, mentre lo stimolo rappresentato dalla
ipercapnia (pCO2 > 60 mmHg) si è già esaurito. Per questo motivo è rischioso somministrare O2 in questi pazienti, in quanto si elimina l’unico stimolo alla respirazione!
In tali casi occorre somministrare O2 sotto stretto controllo dell’emogasanalisi e, in caso di peggioramento dell’ipercapnia, far ricorso alla ventilazione
meccanica. In tal modo si rimuove la CO2 e può riprendere lo stimolo alla
respirazione.
— trapianto di polmone
Procedure:
• trapianto di un singolo polmone, ad es. in caso di fibrosi polmonare
• trapianto bilaterale, ad es. in caso di enfisema polmonare, mucoviscidosi
• trapianto cuore-polmoni: in caso di danno irreversibile di cuore + polmoni, ad
es. in caso di grave ipertensione polmonare.
Indicazione: insufficienza respiratoria terminale da varie cause
Controindicazioni: vedi cap. Trapianto di cuore.
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Successivo trattamento immunosoppressivo con cortisone, ciclosporina A, azatioprina.
Complicanze: infezioni (infezione virale più importante: CMV), rigetto acuto del
trapianto, rigetto cronico del trapianto sotto forma di bronchiolite obliterante
(30-50% a 5 anni), alterazioni a carico dell’anastomosi bronchiale (deiscenza
della sutura, stenosi cicatriziale), effetti collaterali da immunosoppressori.
Risultati: tasso di sopravvivenza a 5 anni circa 70%.
Intossicazione da eroina
Diagnosi
Paziente giovane, privo di coscienza, con disturbi respiratori e miosi, tracce di iniezioni alle braccia o in altre parti del corpo, siringa nelle vicinanze, anamnesi ambientale,
informazioni dai conoscenti.
Diagnosi differenziale
Avvelenamento da alchilfosfati: miosi, ipersalivazione, edema polmonare ( trattamento immediato con atropina ad alte dosi; respirazione artificiale solo mediante pallone di
Ambu o respiratore, ma mai con tecnica bocca-bocca o bocca-naso pericolo di avvelenamento del soccorritore! Ulteriore trattamento in terapia intensiva).
Terapia
Il soccorritore deve proteggersi dall’infezione da HIV.
Evtl. assistenza respiratoria + naloxone, un antagonista della morfina: inizialmente 1-2
fiale = 0,4-0,8 mg e.v. (effetti collaterali: nausea, vomito, scatenamento della sindrome
d’astinenza da oppiacei). Se l’iniezione è praticata in tempo ripresa immediata del
respiro. È possibile rilevare all’ossimetro digitale l’aumento della saturazione di O2.
Poiché l’effetto del naloxone dura solamente 30-45 minuti, il paziente deve essere tenuto in osservazione (ospedalizzazione); va poi inviato a un centro per tossicodipendenti, per disintossicazione + disassuefazione.
ADULT RESPIRATORY DISTRESS SYNDROME (ARDS)
Sinonimo
Polmone da shock.
Definizione
Insufficienza respiratoria acuta in paziente senza precedenti affezioni polmonari, da
danni polmonari di differente genesi.
Epidemiologia
Incidenza: mancano dati globali: 5-50/100.000/anno.
Eziologia
1. Danni polmonari diretti causati da:
— aspirazione del contenuto gastrico
— aspirazione di acqua dolce/salata (pre-annegamento)
— inalazione di gas tossici (ad es. NO2, fumi di combustione)
— inalazione di ossigeno iperbarico
— intossicazione da paraquat, narcotici, ecc.
— ARDS parapneumonica, da polmonite (ventilazione forzata): danno aggiuntivo,
che va al di là dell’entità della polmonite in se stessa.
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2. Danni polmonari indiretti causati da:
— sepsi
— politrauma ed embolia grassosa (causa frequente), ustioni
— shock, trasfusione massiva
— trasfusione massiva
— coagulopatia da consumo, ecc.
— pancreatite acuta.
Patogenesi: 3 stadi
1. fase essudativa con aumentata permeabilità capillare ed edema polmonare interstiziale
2. distruzione di pneumociti di tipo II conseguente minore formazione del fattore
surfattante (= sostanza tensioattiva) ingresso di liquidi negli alveoli (edema polmonare alveolare), formazione di membrane ialine, microatelettasie, formazione di
shunt intrapolmonari ipossia
3. fase proliferativa con formazione di fibrosi polmonare e proliferazione endoteliale
dei capillari alveolari peggioramento della perfusione e della diffusione; stadio
irreversibile.
Clinica: 3 stadi
1. ipossiemia ed iperventilazione con alcalosi respiratoria
2. aumento della dispnea, inizio di alterazioni radiologiche del polmone (addensamenti bilaterali a macchie, a striscie)
3. insufficienza respiratoria globale (ipossiemia + ipercapnia), acidosi respiratoria, ingravescenti alterazioni radiologiche del polmone (opacità bilaterali).
Radiologia
Controllo dell’evoluzione. Opacità diffuse e bilaterali (diagnosi differenziale: polmonite, spesso monolaterale).
Ecografia
Esclusione di una insufficienza cardiaca sinistra (quale eventuale causa di edema polmonare cardiogeno).
Funzionalità polmonare: compliance e capacità di diffusione (fattore di transfer) diminuiscono precocemente. All’EGA, inizialmente solo ipossiemia, poi anche ipercapnia.
Diagnosi differenziale
• insufficienza cardiaca sinistra con edema polmonare (pressione d’incuneamento capillare polmonare aumentata; nell’ARDS abitualmente normale, < 18 mmHg)
• polmonite (opacità polmonare solitamente monolaterale)
• «fluid lung» in caso di insufficienza renale (creatinina aumentata)
• embolia polmonare (flebotrombosi, sovraccarico del cuore destro, scintigrafia perfusoria polmonare).
Diagnosi
Tre elementi diagnostici:
• presenza di un fattore scatenante
• ipossiemia arteriosa refrattaria al trattamento
• radiologia: opacità diffuse bilaterali senza evidenze di edema polmonare cardiogeno
(ecografia; pressione d’incuneamento < 18 mmHg).
Terapia
1. Causale: eliminazione della causa scatenante (es. shock circolatorio).
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2. Sintomatica:
— ventilazione assistita a pressione limitata con pressione positiva tele-espiratoria
(PEEP) e plateau inspiratorio («inflation hold») + decubito ventrale intermittente quale prevenzione dell’atelettasia delle regioni dorsali.
Indicazione: ipossia nonostante la somministrazione di O2 con sondino nasale.
Complicanze: l’uso protratto comporta un ulteriore rischio di danno polmonare
da aumento della pressione ventilatoria (barotrauma) e da concentrazione tossica di O2 nell’aria della ventilazione assistita
— procedure di scambio gassoso extra-corporeo («extra-corporeal lung assist» =
ECLA):
• rimozione extracorporea della CO2: il polmone viene vicariato parzialmente
da un ossigenatore a membrana (ECMO) che, posto in serie al by-pass venovenoso, rimuove la CO2. L’apporto di O2 avviene attraverso un catetere posizionato, attraverso il tubo della ventilazione meccanica, prima della carena
tracheale. Il paziente non viene quindi ventilato artificialmente, ma il polmone
viene espanso sotto PEEP, per 4 volte al minuto, per miscelare nel sistema
bronchiale l’ossigeno insufflato
• ossigenatore intravascolare (IVOX): in fase di studio clinico; l’ossigenazione
del sangue e l’allontanamento della CO2 avvengono tramite uno scambiatore
di gas con membrana a fibre cave posto in vena cava
— in fase di studio clinico: somministrazione trans-bronchiale di surfattante
— trattamento delle complicanze: ad es. antibiotici in caso di infezione batterica
— ultima ratio: trapianto di polmone.
Prognosi
Dipende dal superamento della malattia di base e dalla terapia prococe dell’ARDS. L’eventuale dato anamnestico di abuso di acoolici o di malattie extrapolmonari preesistenti peggiora la prognosi. Mortalità: 25-60%. La mortalità precoce è influenzata dalle
complicanze e dalla malattia di base, la mortalità tardiva dalla sepsi, dall’insufficienza
multi-organo e dalla fibrosi polmonare progressiva.
SINDROME DELL’APNEA DA SONNO (SAS)
Definizione
Episodi di apnea notturna di durata ≥ 10 secondi. Indice dell’apnea da sonno (= respiratory disturbance index = RDI) è il numero delle fasi di apnea in 1 ora di sonno. L’indice è patologico se ≥ 10 fasi di apnea/h. Non si contano le fasi di apnea durante l’addormentamento, che si hanno anche nel soggetto sano. L’indice RDI si correla con l’indice di desaturazione di O2 (= ODI = numero di episodi di desaturazione di O2 in 1 ora
di sonno), valutato mediante pulsossimetria.
Epidemiologia
4% degli uomini e 2% delle donne sopra i 40 anni; l’80% dei pazienti con SAS è in
sovrappeso; frequenza in aumento dopo i 40 anni.
Eziologia
1. Forma ostruttiva (90%): collasso delle vie aeree superiori (oro-/rinofaringe) dovuto
a diminuzione del tono della muscolatura faringea nel sonno. Si conservano invece
l’attività della muscolatura respiratoria e quindi i movimenti respiratori.
Fattori favorenti sono affezioni della regione oro/rinofaringea, ad es. iperplasia tonsillare, polipi nasali, deviazioni del setto nasale, macroglossia, retrognazia, ecc.
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2. Forma non ostruttiva (< 10%):
— apnea centrale e ipoventilazione alveolare primitiva: a causa della minore stimolabilità dei chemiorecettori si hanno disturbi intermittenti dell’innervazione
della muscolatura respiratoria. Sono assenti del tutto i movimenti respiratori toracici ed addominali
— ipoventilazione alveolare secondaria, da malattie polmonari croniche, insufficienza cardiaca avanzata, malattie neuromuscolari e scheletriche.
Patogenesi
Collasso delle vie aeree superiori apnea bradicardia e pO2 diminuita/pCO2 aumentata maggiore lavoro respiratorio reazione da risveglio apertura delle vie
aeree superiori con russare rumoroso e iperventilazione reattiva, con tachicardia.
Effetti clinici
• frequenti risvegli comportano interruzioni recidivanti del sonno (frammentazione del
sonno) e privazione cronica di sonno sonnolenza diurna con riduzione delle capacità e aumento del rischio di incidenti
• ipossia ed ipercapnia notturne recidivanti
• ipertensione reattiva arteriosa e polmonare + tachicardia
• disturbi notturni del ritmo cardiaco.
Clinica della SAS ostruttiva
— 2 sintomi obbligatori:
• russare rumoroso e irregolare con fasi di arresto respiratorio (notizie dai famigliari)
• aumentata stanchezza diurna con tendenza all’addormentamento nelle attività monotone (ad es. guidare l’automobile)
— altri sintomi:
• diminuzione delle capacità intellettive (disturbi della concentrazione e della memoria)
• alterazioni della personalità (tendenza a depressione)
• cefalee mattutine, secchezza mattutina delle fauci
• disturbi della potenza.
Complicanze
— alterazioni notturne del ritmo cardiaco indotte da ipossia, talvolta di tipo bradicardico. Tipica è un’aritmia sinusale associata all’apnea: durante l’apnea bradicardia;
con il risveglio tachicardia
— frequente comparsa o peggioramento di una ipertensione arteriosa preesistente
(spesso senza calo pressorio notturno nel monitoraggio delle 24 ore); sino al 50%
dei pazienti con SAS è affetto da ipertensione arteriosa
— peggioramento di una insufficienza cardiaca preesistente
— insufficienza respiratoria globale, ipertensione polmonare, cuore polmonare, poliglobulia
— aumentato rischio di infarto e ictus
— rischio di incidenti aumentato sino a 7 volte per la comparsa di colpi di sonno.
Diagnosi differenziale
1. russare in assenza di SAS (50% degli uomini sopra i 50 anni)
2. desiderio di dormire da altra causa: carenza di sonno, alcune malattie cerebrali, malattia del sonno (tripanosomiasi)
3. narcolessia: 4 sintomi principali:
— attacchi imperativi di sonno (addormentamento diurno di breve durata, improvviso, incontrollato, inevitabile)
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— cataplessia (perdita improvvisa e breve del tono muscolare, evtl. con caduta a
terra senza perdita di coscienza, spesso scatenata da eventi emotivi)
— allucinazioni al momento dell’addormentamento o del risveglio
— paralisi al passaggio dal sonno al risveglio.
Epidemiologia: idiopatica e sintomatica nelle affezioni cerebrali; diagnosi: in laboratorio del sonno, con test multipli di latenza del sonno: i narcolettici si addormentano subito dopo 2-5 minuti e cadono subito in un sonno REM.
Diagnosi
— anamnesi (russare con interruzioni respiratorie recidivanti); questionario standard
— clinica + reperto ORL
— registrazione polisonnografica di diversi parametri: flusso e rumori respiratori, frequenza cardiaca, pulsossimetria, ecc. La registrazione può essere effettuata ambulatoriamente o in un laboratorio specializzato.
Terapia
1) Conservativa: dopo ogni trattamento se ne deve obiettivare il risultato:
— trattamento di fattori di rischio preesistenti (obesità, deviazione del setto nasale, ipertrofia delle tonsille); una riduzione di peso del 20% riduce l’indice di
apnea del 50%; igiene del sonno: evitare pasti pesanti e attività faticose prima
del sonno, ritmo regolare del sonno, adeguati periodi di sonno, decubito laterale
durante il sonno: evitare alcool, fumo di sigaretta e farmaci che aumentano l’apnea (sedativi, sonniferi, betabloccanti)
— il trattamento farmacologico (ad es. con teofillina) a lungo termine è inefficace
— nei casi gravi di SAS ostruttiva la terapia di scelta è la respirazione, tramite maschera nasale, con pressione positiva continua nelle vie respiratorie (nCPAP =
nasal continuous positive airway pressure), tramite la quale si evita il collasso
delle vie respiratorie superiori (terapia da iniziare in ospedale). Più del 90% dei
pazienti che necessitano di questa terapia ne trae giovamento con valori pressori abbastanza bassi (sino a 12 cm H2O). Meno del 10% necessita invece di pressioni maggiori, che richiedono la BIPAP (bilevel positive airway pressure) con
pressioni inspiratorie di 12-16 com H2O e pressioni ispiratorie pari alla metà.
2) Chirurgica: poiché la nCPAP è efficace in oltre il 90% dei pazienti, l’indicazione
chirurgica viene posta solo raramente.
Indicazione: SAS potenzialmente mortale + fallimento della terapia con nCPAP.
Metodi:
— in caso di ostruzione nasale (ad es. deviazione del setto): correzione chirurgica
— in caso di ostruzione a livello del palato molle: eventuale plastica peduncolo-palatino-faringea; tasso di successo a breve termine: 50%; a lungo termine: inferiore o persino dubbio.
Prognosi
Indice di apnea < 20/h: non esiste un elevato rischio di mortalità;
indice di apnea > 20/h: sopravvivenza a 8 anni dei non trattati: 40% (incidenti, infarto
miocardico, accidente vascolare cerebrale).
La terapia con nCPAP elimina questo alto tasso di mortalità.
SINDROME DA IPERVENTILAZIONE
Epidemiologia: è presente nel 5-10% degli adulti, soprattutto nella 2ª-3ª decade di vita;
F > M; prevalentemente da cause psicogene.
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Eziologia
1. psicogena: paura, eccitazione, stress, panico, aggressione, depressione, ecc.
2. non psicogena (da causa somatica): malattie polmonari, ipossia, acidosi metabolica,
deficit di calcio e magnesio, febbre alta, coma epatico, intossicazione da salicilato,
trauma cranio-cerebrale, encefalite, ecc.
Clinica
— attacco acuto di iperventilazione: iperventilazione con sintomi di tetania normocalcemica (parestesia, «mano da ostetrico»)
— iperventilazione cronica
• sintomi neuromuscolari: parestesie (sensazione di formiche sulla cute, prurito),
iperestesie acrali, evtl. anche periorali; tremore
• sintomi cerebrali: astenia, disturbi della concentrazione, deficit di memoria, stordimento, cefalea, vertigine (non rotatoria o posturale), disturbi visivi
• sintomi neurovegetativi: sudorazione, mani e piedi freddi, pollachiuria
• sintomi cardiovascolari: dolori toracici, tachicardia
• sintomi respiratori: respiro sospiroso, sbadigli, tossettina, respiro irregolare, dispnea, sensazione di non poter completare l’inspirazione
• sintomi psichici: nervosismo, eccitazione, paura, pianto, depressione, disturbi del
sonno
• sintomi gastroenterici: aerofagia con meteorismo, flatulenza.
Diagnosi differenziale
• esclusione di cause somatiche dell’iperventilazione
• cardiopatia ischemica, asma bronchiale.
Diagnosi
• anamnesi + clinica
• induzione dei sintomi con l’iperventilazione per 3 minuti
• emogasanalisi: alcalosi respiratoria pCO2 e bicarbonati diminuiti, pH normale o
aumentato.
Terapia dell’iperventilazione psicogena
• chiarimenti + tranquillizzazione del paziente
• in caso di tetania da iperventilazione: evtl. breve respirazione in un sacchetto (arricchimento in CO2 dell’aria respiratoria)
• educazione a una corretta respirazione (esercitare la respirazione diaframmatica), training autogeno, yoga, evtl. terapia psicosomatica.
EMORRAGIA POLMONARE
Definizione
— emoftoe = massivo espettorato ematico (schiumoso) rosso chiaro
— emottisi = lieve emorragia frammista all’espettorato.
Eziologia
— espettorato ematico
— emorragia della regione rino-faringea, esofagea, gastrica
— TBC polmonare
— carcinoma bronchiale
— infarto polmonare
— bronchiectasie, ascesso polmonare
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— bronchite o polmonite emorragica
— trauma toracico/bronchiale
— cause più rare come diatesi emorragica, malattia di Osler, sindrome di Goodpasture, infestazione parassitaria polmonare (anamnesi positiva per permanenza in zone
tropicali)
Nota: nei fumatori maschi > 45 anni il carcinoma bronchiale costituisce la causa più
frequente.
Diagnosi
— anamnesi + clinica
— esclusione di emorragie da naso, orofaringe, tratto gastrointestinale superiore
— laboratorio (crasi ematica, tempo di Quick, piastrine, gruppo sanguigno, emogasanalisi)
— radiografia del torace e broncoscopia.
Terapia
— misure generali
• decubito semiortopnoico con lobo polmonare sanguinante rivolto verso il basso,
ossigenazione mediante sonda nasale
• sedazione prudente (non sopprimere il riflesso della tosse)
• ripristino volemico, tenersi pronti a trasfusione, digiuno
— tentativo di emostasi broncoscopica: lavaggio con soluzione ghiacciata di NaCl allo 0,9%, evtl. emostasi con fibrina
— se l’emorragia dovesse persistere, consultare il chirurgo toracico, eventualmente intubazione endotracheale e proteggere il polmone controlaterale dall’aspirazione di
sangue mediante tubo a lume doppio, respirazione assistita con pressione tele-espiratoria aumentata.
MALATTIE DEI BRONCHI
BRONCHIECTASIE
Definizione
Dilatazioni irreversibili dei bronchi, sacciformi o cilindriche, con ostruzione bronchiale.
Localizzazione
Bilaterali nel 50% dei casi, prevalentemente basali nei lobi inferiori.
Epidemiologia
Incidenza: 10/100.000/anno.
Eziologia
a) congenite, ad es. in caso di discinesia ciliare, fibrosi cistica, sindrome da immunodeficienza (ad es. deficit di IgA)
b) acquisite: da infezioni broncopolmonari cronico-recidivanti, bronchite cronica
ostruttiva, stenosi bronchiali (corpi estranei, neoplasie), tubercolosi polmonare, ecc.
Clinica
Espettorazione molto abbondante, soprattutto al mattino e dopo cambiamento di postu-
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ra. Tosse produttiva: escreato a 3 strati (schiuma, muco, pus), maleodorante dolciastro.
Auscultazione: rantoli umidi.
Complicanze
— disturbi ventilatori ostruttivi
— emorragia polmonare (specialmente in caso di formazione di shunt sinistro-destro
fra vasi polmonari e bronchiali)
— infezioni broncopolmonari recidivanti
— ascesso polmonare
— micosi profonde (particolarmente dopo lunga terapia con antibiotici)
— focolai batterici-metastatici (ad es. ascesso cerebrale)
— amiloidosi, insufficienza respiratoria (unghie a vetrino di orologio, dita a bacchetta
di tamburo), cuore polmonare
— nei bambini, ritardo d’accrescimento.
Diagnosi
— anamnesi + clinica
— radiografia del torace in 2 proiezioni
— coltura dell’escreato con antibiogramma
— la TC ad alta definizione consente un’ottima visualizzazione delle bronchiectasie,
tanto da rendere superflua la broncografia
— eventuale broncoscopia
— esclusione di una sindrome da immunodeficienza, della mucoviscidosi, della discinesia ciliare (evtl. biopsia della mucosa nasale).
Terapia
1. Chirurgica: è la terapia di scelta in caso di bronchiectasie localizzate monolaterali
(segmentotomia o lobectomia).
2. Conservativa:
— «toilette bronchiale»: espettorazione al mattino in decubito genupettorale (posizione di Quincke), ginnastica respiratoria, massaggio vibratorio, terapia inalatoria
— eventuale terapia con broncodilatatori (vedi cap. Bronchite cronica)
— terapia mirata con antibiotici in base all’antibiogramma
— immunizzazione attiva contro l’influenza e gli pneumococchi.
ATELETTASIA
Definizione
Tessuto polmonare non ventilato in assenza di alterazioni infiammatorie.
Eziologia
1. Atelettasia da riassorbimento: è la conseguenza di un’occlusione bronchiale da carcinoma, corpo estraneo, tappo di muco
2. Atelettasia da compressione: è la conseguenza di una compressione estrinseca sul
tessuto polmonare; si presenta generalmente sotto forma di atelettasia lamellare basale: da versamento pleurico, da respirazione diaframmatica ridotta, da sopraelevazione del diaframma, post-chirurgica dopo interventi addominali, ma anche dopo
embolia polmonare (diagnosi differenziale!).
Diagnosi differenziale
Polmonite (anamnesi, clinica, radiologia).
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Diagnosi
— anamnesi + esame obiettivo: ipoventilazione, respiro bronchiale, broncofonia, evtl.
aumento del fremito vocale
— radiografia del torace in 2 proiezioni: opacità localizzata oppure atelettasia basale
lamellare o a stria; nelle atelettasie di maggiori dimensioni manca il broncogramma
aereo
— TC
— broncoscopia con evtl. biopsia.
Terapia
1. terapia causale: ad es. rimozione del corpo estraneo, aspirazione del tappo di muco, rimozione di una stenosi neoplastica, ecc.
2. evtl. trattamento antibiotico di un’infezione batterica secondaria.
BRONCHITE ACUTA
Eziologia
— virus (90%): nei bambini sono più comunemente in causa il virus respiratorio sinciziale (RSV), gli Adeno-, i Coxsachie- e gli ECHO-virus; negli adulti sono più comuni Rhinovirus, Coronavirus, virus influenzali e parainfluenzali
— micoplasma e clamidia
— altri batteri sono in causa soprattutto nei pazienti con pneumopatia preesistente, nei
pazienti ospedalizzati o in caso di infezione batterica secondaria: pneumococchi,
Haemophilus influenzae, Moraxella catarrhalis, Staphylococcus aureus; in caso di
infezione nosocomiale, anche batteri Gram-negativi
— nel corso di altre malattie infettive (pertosse, morbillo, brucellosi, tifo)
— miceti (ad es. bronchite da candida)
— sostanze irritanti (gas, polvere).
Anatomia patologica: esistono forme catarrali, fibrinoso-purulente, emorragico-necrotizzanti ed ulcerose. La tracheite che si manifesta durante una sindrome influenzale è di tipo pseudomembranoso-necrotizzante. Nelle infezioni virali (come il morbillo) talvolta si
ha una bronchite «a cellule giganti».
Clinica della sindrome da raffreddamento («common cold»)
• sintomi della bronchite acuta: tosse, dolore retrosternale nel tossire; febbre, emicrania, evtl. artromialgie diffuse; espettorazione scarsa e densa (espettorazione purulenta
in caso di grave infezione batterica).
Auscultazione: eventuali rantoli secchi; in caso di infiltrato peribronchiale: rantoli fini crepitanti.
Laboratorio: in caso di bronchite virale non complicata: leucociti normali o diminuiti, PCR solitamente normale
• rinorrea, starnuti, faringodinia, fastidio alla deglutizione
• mialgie e artralgie sono tipiche delle forme virali.
Complicanze della bronchite virale
• broncopolmonite
• infezione batterica secondaria (Haemophilus influenzae, pneumococco, stafilococco):
PCR aumentata, leucocitosi
• peggioramento di una preesistente insufficienza cardiaca o respiratoria
• comparsa di iperreattività bronchiale con tosse stizzosa ed evtl. bronchite spastica
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• raramente, bronchiolite (interessamento dei bronchioli con diametro < 1 mm) a prognosi grave, con rischio di un’occlusione dei bronchioli = bronchiolite obliterante
Epidemiologia: soprattutto nei lattanti da infezione da RSV.
Clinica: iperpiressia, tachipnea, dispnea, ecc.
Nota: bronchiolite tossica anche dopo inalazione di gas irritante (ad es. fosgene).
Terapia
1. Bronchite virale:
— espettoranti
• secretolitici: produzione di un secreto a minore viscosità: es. bromexina o
ambroxol
• mucolitici: fluidificano il secreto bronchiale depolimerizzandolo mediante la
rottura di ponti disolfurici, ad es. N-acetilcisteina
— sedativi della tosse: solo in presenza di tosse insistente che impedisce il sonno
notturno, ad es. codeina
Effetti collaterali e controindicazioni: depressione respiratoria, stipsi, farmacodipendenza.
Nota: non associare espettoranti con antitussigeni, perché il riflesso della tosse è
importante per una buona espettorazione! In caso di sindrome da raffreddamento non vi è accordo sull’utilità degli espettoranti. Per facilitare la fluidificazione
dei secreti è soprattutto importante bere molto.
— indicazioni al trattamento antibiotico: preesistente affezione polmonare, paziente ospedalizzato, sospetto di sovrainfezione batterica (PCR aumentata), pericolo
di broncopolmonite (in particolare nei soggetti anziani o immunodepressi)
— antibiotici utilizzabili: macrolidi (ad es. claritromicina), cefalosporine, aminopenicilline + inibitore della β-lattamasi (ad es. amoxicillina + acido clavulanico
oppure ampicillina + sulbactam); farmaci di seconda scelta sono i nuovi fluorochinoloni (vedi cap. Polmonite)
— impacchi sul petto, togliere indumenti sudati
— in caso di tosse stizzosa persistente da iperreattività bronchiale, terapia temporanea con glucocorticoidi per via inalatoria (vedi cap. Asma bronchiale)
— in caso di bronchite spastica terapia con broncodilatatori
— in caso di infezioni virali pericolose per la vita e di immunodeficienza evtl.
somministrazione di immunoglobuline e.v.
2. Bronchiolite: antibiotici, steroidi, aerosolterapia e lavaggio bronchiale (con broncoscopia).
3. Intossicazione da gas irritanti: anche con modeste manifestazioni da irritanti il paziente va ricoverato e tenuto sotto osservazione per 24 h, in quando dopo un intervallo libero da sintomi si può verificare un edema polmonare. Somministrazione a
scopo preventivo di corticosteroidi sotto forma di spray: ad es. desametasone, inizialmente 5 spruzzi ogni 10 min.; evtl. aggiungere corticosteroidi e.v.
4. Infezioni da miceti: vedi cap. Micosi polmonari.
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AFFEZIONI POLMONARI CRONICHE OSTRUTTIVE
Sinonimi
COLD = chronic obstructive lung disease
COPD = chronic obstructive pulmonary disease
BPCO = broncopneumopatia cronica ostruttiva.
Definizione: bronchite cronica ostruttiva e/o enfisema polmonare ostruttivo.
Epidemiologia
È l’affezione respiratoria più frequente, e la causa più frequente di cuore polmonare e
di insufficienza respiratoria.
Statistiche comparative sulla mortalità dimostrano che l’Inghilterra con il Galles, la
Scozia e l’Irlanda del Nord ne detiene il primato.
La morbilità da bronchite aumenta a partire dal 20° anno di vita fino all’età avanzata.
Il 50% dei soggetti fumatori, dopo i 40 anni ha una bronchite cronica.
BRONCHITE CRONICA
Definizione dell’OMS: si parla di bronchite cronica quando un paziente presenta tosse produttiva per almeno 3 mesi per 2 anni consecutivi.
Epidemiologia: malattia polmonare cronica più frequente; sino al 10% della popolazione
nei Paesi industrializzati. M:F = 3:1.
Eziologia: è multifattoriale:
1. fattori esogeni:
— fumo di sigarette! Il 90% dei bronchitici cronici è fumatore o ex-fumatore. Il
50% dei fumatori oltre i 40 anni è affetto da bronchite cronica
— inquinamento atmosferico (ad es. SO2, polveri): ambiente di lavoro/ambiente
esterno, condizioni climatiche (freddo-umido), miniera. Dopo una dose cumulativa di polveri pari a 100 [(mg/m3) × anno], raddoppia il rischio di ammalarsi di
BPCO o enfisema (malattia professionale dei minatori delle miniere di carbone)
— le infezioni broncopolmonari recidivanti portano all’aggravamento della BPCO
2. fattori endogeni: sindromi da deficit di anticorpi (ad es. deficit di IgA), deficit di
α1-antitripsina, discinesia ciliare primitiva, e altre cause ereditarie.
Anatomia patologica
Inizialmente paralisi ciliare, con insufficienza muco-ciliare, successivamente distruzione
dell’epitelio ciliare, aumento abnorme della secrezione della mucosa bronchiale particolarmente a carico dei bronchi di maggior calibro; ghiandole della mucosa ipertrofiche,
metaplasia piatta dell’epitelio bronchiale, infiltrazione linfo-plasmacellulare; dopo l’ipertrofia iniziale si instaura un’atrofia della mucosa bronchiale; la parete dei bronchi diviene più sottile e si affloscia. Durante l’espirazione forzata si ha così un collasso bronchiale, con conseguente ostruzione esobronchiale e disturbo della distribuzione della
ventilazione.
Clinica
Evoluzione in 3 stadi:
1. bronchite cronica non ostruttiva = bronchite cronica semplice + espettorazione (reversibile). Espettorazione mattutina che assume un aspetto purulento in caso di infezione batterica (in presenza di grandi quantità di escreato pensare alla possibilità
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di bronchiectasie). Se l’escreato ha odore fetido, pensare a un focolaio broncopneumonico oppure a un ascesso polmonare
2. bronchite cronica ostruttiva (COB) con dispnea da sforzo e diminuzione del rendimento
3. complicanze tardive: enfisema ostruttivo, insufficienza respiratoria, cuore polmonare.
I disturbi sono più accentuati in autunno e in inverno.
Ogni infezione delle vie respiratorie costituisce un grosso rischio per il paziente, in
quanto la ridotta funzione polmonare può essere rapidamente compromessa fino alla insorgenza di insufficienza respiratoria critica.
bronchite cronica non ostruttiva
↓
bronchite cronica ostruttiva
↓
↓
enfisema polmonare ostruttivo
ipertensione polmonare
+ cuore polmonare
fumo
← infezioni recidivanti
fattori endogeni
↓
insufficienza respiratoria
Auscultazione: rumori secchi e/o umidi (a seconda della quantità dell’escreato, della componente spastica e dell’infiltrazione infiammatoria).
Coltura dell’escreato + antibiogramma
Modalità di prelievo del campione: profonda espettorazione al mattino, dopo scrupolosa pulizia della bocca con acqua; un prelievo di secreto endobronchiale è più attendibile (aspirazione cieca o durante broncoscopia). Il materiale deve essere esaminato velocemente, oppure inviato al laboratorio in contenitore refrigerato. I germi più frequentemente in causa nelle riacutizzazioni sono:
— batteri: solitamente Haemophilus influenzae, spesso associato a pneumococchi; più
raramente altri batteri (ad es. Staphylococcus aureus, Moraxella catharralis, ecc.). In
casi gravi avanzati, si osserva una variazione dello spettro dei patogeni (enterobatteri, Proteus, Klebsiella, Pseudomonas, ecc.)
— virus (ad es. Rhinovirus, virus influenzale A e B, ecc.)
— micoplasma
Nota: virus e micoplasmi hanno un ruolo favorente la sovrainfezione batterica.
Laboratorio
Esclusione di una sindrome da deficit di anticorpi (dosaggio delle immunoglobuline), di
un deficit di α1-antitripsina.
Radiologia: è normale in caso di bronchite non complicata; piccoli addensamenti marezzati depongono per un’infiltrazione infiammatoria.
Broncoscopia
Con batteriologia, citologia e istologia (biopsia).
Funzionalità polmonare
— Bronchite cronica non ostruttiva: solitamente valori ancora normali; per escludere
un’iperreattività bronchiale è consigliabile un test di provocazione con metacolina.
— Bronchite cronica ostruttiva: documentazione di un disturbo ventilatorio ostruttivo.
Stadi della BPCO sec. l’European Respiratory Society (in base al VEMS % dell’atteso):
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• lieve > 70%
• media 50-69%
• grave < 50%
Nei fumatori si osserva una precoce riduzione del MEF25.
Un’ostruzione reversibile si riconosce col test di broncolisi: miglioramento del
VEMS e delle resistenze respiratorie dopo inalazione di un simpaticomimetico β2stimolante.
— In caso di enfisema polmonare complicato: volume di gas intratoracico aumentato.
— Determinazione del CO nell’aria espirata nei fumatori: i non fumatori hanno valori
< 5 ppm; i fumatori possono raggiungere 50 ppm e oltre a seconda del consumo di
sigarette.
Emogasanalisi arteriosa
In caso di insufficienza respiratoria parziale: pO2 diminuita.
In caso di insufficienza respiratoria globale: pO2 diminuita e pCO2 aumentata.
Se sono noti i valori di base, la pulsossimetria consente di rilevare un’eventuale peggioramento della saturazione di O2, oppure il miglioramento secondario alla terapia.
Complicanze
Broncopolmonite, bronchite purulenta, ascesso polmonare, bronchiectasie secondarie,
complicanze dello stadio 3 (vedi Clinica).
Diagnosi differenziale
1. Bronchite secondaria ad altre affezioni:
— carcinoma bronchiale.
Nota: la bronchite cronica è una diagnosi di esclusione! Ciò significa che occorre sempre accertare che sotto una stessa sintomatologia con tosse ed espettorazione non si nasconda un’affezione completamente diversa. Questo vale in
particolare per il carcinoma bronchiale, nel quale la bronchite cronica costituisce
una delle diagnosi errate più frequenti. Non è pertanto consigliabile porre alcuna diagnosi senza prima aver eseguito una radiografia del torace; in caso di diagnosi incerta, praticare una broncoscopia.
— tubercolosi (documentazione colturale del patogeno)
— bronchiectasie (escreato a 3 strati, TC, broncografia)
— sindrome sino-bronchiale = sinusite cronica quale causa di bronchiti recidivanti
ORL, radiografia dei seni paranasali
— corpi estranei nel sistema bronchiale broncoscopia
2. Asma bronchiale (nella crisi di tosse, «il bronchitico tossisce all’esterno, l’asmatico
all’interno!»).
Diagnosi
Anamnesi (fumo di sigaretta!) + clinica (tosse cronica produttiva).
Terapia
Sequenziale e a lungo termine!
— eliminare le noxae patogene (fumo di sigaretta, esposizione alle polveri)
— eliminare i focolai d’infezione (sinusite cronica)
— in caso di esacerbazione acuta, somministrare antibiotici ad ampio spettro, dopo
aver eseguito il prelievo dell’escreato o del secreto bronchiale per la diagnostica
batteriologica. Alternative: macrolidi (ad es. claritromicina), aminopenicilline + inibitore della β-lattamasi (ad es. amoxicillina + acido clavulanico oppure ampicillina
+ sulbactam), cefalosporine; farmaci di seconda scelta sono i nuovi fluorochinoloni
(vedi cap. Polmonite)
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— terapia a 3 stadi della bronchite ostruttiva:
1. inalazione di β2-simpaticomimetici a breve durata d’azione secondo necessità,
eventualmente associati a parasimpaticolitici (= anticolinergici)
2. aggiunta di preparati teofillinici retard, evtl. β2-mimetici a lunga durata d’azione
3. ulteriore tentativo terapeutico con glucocorticosteroidi orali (ad es. prednisolone
20 mg/die per 2 settimane):
• in caso di miglioramento (aumento del VEMS ≥ 15%): ridurre la dose e infine passare agli steroidi per via inalatoria
• in caso di mancato miglioramento: sospendere gli steroidi.
— mucolitici in caso di secreto denso, bere molto, aerosol-terapia (vedi Terapia dell’asma bronchiale)
— terapia inalatoria con soluzione di NaCl 0,9%; in caso di bronchite spastica, somministrazione di β2-simpaticomimetici (ad es. salbutamolo)
— massaggio a percussione per stimolare l’espettorazione
— ginnastica respiratoria
— immunizzazione attiva contro pneumococchi e virus influenzali
— trattamento delle complicanze tardive (vedi capp. Enfisema polmonare e Cuore polmonare).
Prognosi
La bronchite cronica non ostruttiva è spesso ancora reversibile dopo la rimozione delle
noxae (fumo di sigaretta, esposizione alle polveri); la prognosi peggiora con la comparsa dei disturbi ventilatori ostruttivi, che riducono la spettanza di vita.
Prevenzione
Rinunciare al fumo di sigaretta, non esporsi alle polveri (ad es. in miniera).
ENFISEMA POLMONARE
Definizione (OMS)
Dilatazione irreversibile degli spazi aerei situati distalmente al bronchiolo terminale,
conseguente a distruzione della loro parete.
Epidemiologia
In base ai reperti autoptici ospedalieri, l’enfisema polmonare rappresenta la causa di
morte principale nel 10% dei casi.
Anatomia patologica
1. Enfisema primario atrofico («normale» enfisema legato all’età)
2. Enfisema secondario:
— enfisema centrolobulare (centroacinare), come complicanza della BPCO.
— enfisema panlobulare (panacinare) in caso di deficit congenito di inibitori delle
α1-proteasi
— enfisema cicatriziale (iperdilatazione del tessuto polmonare in corrispondenza di
regioni polmonari fibrotiche).
— enfisema vicariante (per iperespansione del polmone residuo dopo resezione polmonare, nonché in caso di gravi deformazioni del torace, come nella scoliosi).
Eziologia e patogenesi
Concetto proteasi/antiproteasi
Anche in condizioni normali nel polmone avviene la liberazione di proteasi (particolar-
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mente elastasi) dai granulociti neutrofili. Queste proteasi vengono neutralizzate dagli
inibitori delle proteasi. In presenza di una prevalenza delle proteasi avviene la digestione del polmone e pertanto la formazione di enfisema.
Infezioni polmonari proteasi
∆
inibitori delle
proteasi
deficit congenito
inattivazione da fumo
di sigarette
Cause dell’aumentata attività delle proteasi granulocitarie:
infezioni broncopolmonari, polmoniti, bronchite cronica, asma bronchiale.
Cause della diminuita attività degli inibitori di proteasi:
il gene dell’inibitore delle α1-proteasi è localizzato sul cromosoma 14. La maggior parte degli individui è omozigote per l’allele M (PIMM).
1. Deficit congenito degli inibitori di α1-proteasi (= deficit di α1-antitripsina):
a) forma grave omozigote (fenotipo PIZZ o PISS):
forte diminuzione dell’α1-antitripsina (< 50 mg/dl), con sviluppo di enfisema già
durante l’infanzia o nella prima giovinezza, talvolta anche di cirrosi epatica.
Frequenza della forma grave di deficit di α1-antitripsina: 1-2% di tutti i pazienti affetti da enfisema polmonare, ovvero 1:10.000 della popolazione.
Nota: il deficit grave di α1-antitripsina è riconoscibile già nell’elettroforesi del
siero dalla netta riduzione delle α1-globuline.
b) forma lieve eterozigote (fenotipo PIMZ o PIMS):
livelli di α1-antitripsina moderatamente abbassati (50-250 mg/dl). Si considera
come valore soglia per la comparsa di malattia la concentrazione sierica di 80
mg/dl (immunodiffusione radiale). Decisive per la formazione dell’enfisema
polmonare sono le noxae scatenanti (infezioni, fumo, polveri). Se mancano queste noxae i soggetti possono raggiungere un’età di vita normale. In presenza di
noxae per via inalatoria (fumo, polveri) e/o di infezioni polmonari questi soggetti muoiono 1-2 decenni prima per le conseguenze di un enfisema polmonare
precoce.
Fenotipo
α1-antitripsina
(mg/dl)
Soggetto sano
Paziente eterozigote
Paziente omozigote
PIMM
PIMZ/PIMS
PIZZ/PISS
> 250
50-250
< 50
2. Deficit di α1-antitripsina acquisito:
inattivazione dell’α1-antitripsina da ossidanti del fumo di sigarette (è la causa
più frequente)
Mentre nel deficit congenito di α1-antitripsina è riscontrabile un enfisema panlobulare, nel fumatore con normale concentrazione sierica di α1-antitripsina si
sviluppa un enfisema centrolobulare.
Clinica
Secondo Dornhorst, Burrows e Fletcher si riscontrano due tipi clinici di enfisema che,
pur con quadri intermedi di transizione, caratterizzano però il corredo sintomatologico.
1. tipo PP («pink puffer» = tipo dispnoico-cachettico):
— soggetti magri (normopeso o sottopeso)
— dispnea marcata, evtl. tosse irritativa secca, ma mai cianosi
— insufficienza respiratoria parziale (solo ipossiemia)
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2. tipo BB («blue bloater» = soggetto bronchitico):
— soggetti in sovrappeso
— cianosi marcata con poliglobulia, mai dispnea
— tosse ed espettorazione (generalmente bronchite cronica)
— insufficienza respiratoria globale (ipossiemia + ipercapnia) con aumentata pressione del liquor e cefalea
— cuore polmonare che si instaura precocemente, con insufficienza cardiaca destra.
Complicanze
1. Insufficienza respiratoria
I citati disturbi della funzione polmonare portano all’aumento dello spazio morto
funzionale che non partecipa agli scambi gassosi. A partire da un livello critico, si
giunge all’insufficienza respiratoria parziale (ipossiemia) e infine a quella globale
(ipossiemia + ipercapnia).
2. Ipertensione polmonare e cuore polmonare, causati da:
a) costrizione arteriolare da ipossia in settori polmonari ventilati al minimo = riflesso di Euler-Liljestrand
b) distruzione dei capillari.
Ispezione
• torace a botte
• coste orizzontali
• fosse clavicolari sporgenti
• ridotta differenza tra circonferenza toracica inspiratoria ed espiratoria
• movimento respiratorio paradosso delle ultime coste
• «corona venosa di Sahl»: piccole vene cutanee nella regione dell’arco costale, peraltro osservabili anche in soggetti sani.
Percussione
• basi polmonari abbassate, poco mobili
• iperfonesi plessica
• diminuzione o innalzamento dell’aia di ottusità cardiaca assoluta
• per l’appiattimento del diaframma il margine epatico può essere palpabile molto al di
sotto dell’arco costale (diagnosi differenziale: epatomegalia).
Auscultazione
• murmure vescicolare e toni cardiaci poco apprezzabili
• rumori secchi diffusi.
Radiologia
• iperdiafania dei campi polmonari, con rarefazione del disegno vascolare periferico
• aumento del diametro toracico sagittale, appiattimento del diaframma
• aumento degli spazi intercostali e orizzontalizzazione delle coste
• evtl. bolle enfisematose più grandi.
Nei casi di deficit di α1-antitripsina l’enfisema colpisce le aree polmonari basali.
Reperti radiologici in caso di cuore polmonare:
• arco polmonare prominente
• dilatazione delle arterie polmonari prossimali all’ilo
• contemporanea riduzione di calibro alla periferia
• aumento di volume del cuore destro con riempimento della regione retrosternale in
proiezione laterale.
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TC ad alta definizione
È il metodo più sensibile per la dimostrazione di un enfisema polmonare.
Funzionalità polmonare
1. Aumento del volume d’aria intratoracica e della capacità polmonare totale.
2. Disturbi ventilatori ostruttivi
— Ostruzione esobronchiale:
• diminuzione in fase espiratoria della tensione polmonare (perdita di elasticità)
con restringimento espiratorio dei bronchi aumento espiratorio della resistenza respiratoria e diminuzione del volume di riserva espiratorio. Nella respirazione a riposo, le resistenze possono essere ancora normali; aumentano in
corso di attività fisica, quando il respiro diviene più profondo; compare così
dispnea;
• collasso espiratorio dei bronchi dovuto all’instabilità delle pareti nell’enfisema avanzato.
— Ostruzione endobronchiale:
tumefazione della mucosa bronchiale – secrezione mucosa – broncospasmo nel
quadro di asma bronchiale o bronchite cronica ostruttiva.
Il disturbo ventilatorio ostruttivo promuove lo sviluppo dell’enfisema attraverso
la sovratensione e distruzione degli alveoli. Il sacco alveolare ingrandito e afflosciato, in caso di espirazione forzata, può occludere il bronchiolo, con collasso espiratorio dei bronchioli prima che gli alveoli siano ventilati (air trapping).
In caso di forte ostruzione e tachipnea l’espirazione può essere ritardata in modo tale da intersecarsi con l’inspirazione (= ventilazione parallela): inoltre, durante l’inspirazione, la parete toracica può ritirarsi verso l’interno (= antagonismo diaframma-parete toracica).
– Diminuzione del volume espiratorio massimo in un secondo = VEMS (assoluto e relativo) (FEV1 = volume espiratorio forzato nel primo secondo).
Nella curva spirometrica del VEMS compare spesso una deflessione. Ciò si
spiega con l’improvviso collasso delle vie respiratorie periferiche instabili durante una espirazione forzata (fenomeno «check valve»). Il VEMS è il parametro più semplice e più sensibile per valutare il decorso di un enfisema
ostruttivo.
Nota: fin tanto che si ha un enfisema polmonare senza rilevante ostruzione
ventilatoria, la capacità di rendimento del paziente non è oltremodo compromessa. Se VEMS è < 0,8 l, vi è di solito invalidità (sempre che il paziente abbia eseguito correttamente il test, cosa talvolta difficile da valutare).
Come espressione del processo di invecchiamento fisiologico del polmone, il
VEMS diminuisce all’anno dei seguenti valori medi:
• non fumatori
120 ml
• fumatori
140 ml
120 ml
• deficit grave di α1-antitripsina
• enfisema polmonare
> 60 ml
– deformazione ad arco concavo della curva espiratoria flusso-volume, con
eventuale deflessione da fenomeno «check valve» (vedi sopra)
– aumento delle resistenze respiratorie e forma a clava della curva di resistenza, quale indicazione dell’instabilità delle vie respiratorie periferiche
– col test di broncolisi è possibile distinguere la quota di compromissione ventilatoria ostruttiva reversibile da quella irreversibile
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– la capacità di diffusione (fattore transfer) è diminuita nell’enfisema polmonare (nell’asma bronchiale e nella bronchite cronica non complicata da enfisema
è abitualmente normale).
Normale
Enfisema: lieve
Enfisema: medio
Enfisema: grave
Volume residuo
(% TLC)
Volume di gas intratoracico
(% del teorico)
30
100
40-50
51-60
> 60
> 120
> 140
> 170
IRV
IRV
RV
ERV
CV
VC
CV
TLC
CV
= capacità vitale
RV
= volume residuo
TLC = capacità polmonare totale
ERV
VC
RV
RV
ERV = volume di riserva espiratorio
IRV
Normale
= volume corrente
= volume di riserva inspiratorio
Enfisema
ostruttivo
3. Emogasanalisi arteriosa (mmHg): 3 stadi:
Stadio
pO2
pCO2
I = iperventilazione
n
II = insufficienza respiratoria parziale
n
III = insufficienza respiratoria
III = globale
< 50
> 45
pH
alcalosi respiratoria
n
acidosi respiratoria
(+ acidosi metabolica)
Se sono noti i valori di base, la pulsossimetria consente di rilevare un peggioramento
della saturazione di O2 oppure il miglioramento secondario alla terapia (anche se la pO2
è più precisa).
Diagnosi
• anamnesi (bronchite cronica? asma bronchiale? fumatore?)
• clinica/funzione polmonare/quadro radiologico del torace, TC ad alta definizione
• esclusione di un deficit congenito di α1-antitripsina (soprattutto in soggetti < 50 anni).
Nota: la clinica e il quadro radiologico del torace non consentono una diagnosi precoce; questa può essere ottenuta solamente mediante TC ad alta definizione e pletismografia corporea.
Terapia
1. Impedire che l’enfisema progredisca:
— evitare noxae esogene (fumo di sigarette!); posti di lavoro privi di polveri
— trattamento tempestivo delle infezioni broncopolmonari (vedi cap. Bronchite
cronica)
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— vaccinazione contro il virus dell’influenza e gli pneumococchi
— trattamento sostitutivo con concentrati di α1-antitripsina in presenza di grave deficit congenito di questa sostanza: il livello di α1-antitripsina deve essere > 80
mg/dl (all’immunodiffusione radiale). Prospettiva futura: terapia genica somatica.
2. Trattamento sintomatico:
— trattamento broncolitico dell’enfisema polmonare ostruttivo secondo lo schema
a 3 stadi (vedi cap. Bronchite cronica ostruttiva)
— ginnastica respiratoria, tecnica respiratoria
l’enfisematoso deve imparare ad evitare il collasso espiratorio delle vie respiratorie respirando con le labbra leggermente chiuse («pursed lips breathing»).
Senza questo accorgimento, che mantiene una pressione endobronchiale sufficiente per evitare il collasso delle vie respiratorie, l’enfisematoso incorrerebbe
rapidamente, con respirazione incontrollata e libera, in crisi di dispnea. In commercio si trovano dispositivi manuali per aumentare le resistente respiratorie.
— terapia del cuore polmonare: (vedi capitolo relativo)
— in caso di poliglobulia conclamata, salasso con prudenza
— terapia dell’ipossia: poiché nel paziente enfisematoso, con insufficienza respiratoria globale (blue bloater), l’ipossia arteriosa è il più importante stimolo respiratorio, la somministrazione incontrollata di O2 è assolutamente controindicata!
In caso di ipossia acuta, la somministrazione di ossigeno va effettuata con prudenza e controllando i gas ematici: se con l’apporto di O2 dovessero peggiorare
ipercapnia e funzione cerebrale è indicato il trattamento respiratorio:
• respirazione intermittente assistita mediante un respiratore con comando di
pressione attraverso maschera nasale o boccaglio. In caso di ulteriore peggioramento • respirazione controllata con tubo endotracheale.
In caso di ipossia cronica (PaO2 < 55 mm Hg) senza tendenza all’ipercapnia si
può attuare un trattamento a lungo termine con ossigeno (vedi cap. Cuore polmonare). L’ossigenoterapia a lungo termine può allungare la sopravvivenza dei
pazienti ipossiemici.
Nota: i farmaci che deprimono la respirazione (come morfina, diazepam e barbiturici) sono controindicati nei soggetti enfisematosi!
3. Intervento di riduzione del volume polmonare: la riduzione di circa il 20% del tessuto polmonare enfisematoso porta spesso al miglioramento della funzione polmonare.
4. Trapianto di polmone: vedi cap. Insufficienza respiratoria.
Prognosi
Dipende decisamente dal tempestivo trattamento ottimale. Se il paziente non smette di
fumare non è possibile influenzare la progressione della malattia. Con valori di VEMS
< 1 l la spettanza di vita è nettamente ridotta e vi è inabilità lavorativa. Le cause di
morte più frequenti sono l’insufficienza respiratoria e il cuore polmonare. Con l’ossigeno-terapia controllata a lungo termine si può migliorare la prognosi.
ASMA BRONCHIALE
Definizione
L’asma è una malattia infiammatoria cronica delle vie respiratorie. In soggetti predisposti, l’infiammazione conduce a crisi di «fame d’aria» secondarie a restringimento
delle vie respiratorie (ostruzione bronchiale). L’ostruzione può regredire spontaneamen-
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te o con adeguato trattamento. L’infiammazione provoca l’aumento della sensibilità delle vie respiratorie (iperreattività bronchiale) nei confronti di numerosi stimoli.
Epidemiologia
Prevalenza: circa 5% degli adulti e sino al 10% dei bambini; la prevalenza sta aumentando in tutto il mondo. M:F = 2:1. Prevalenza più elevata in Scozia e Nuova Zelanda;
prevalenza più bassa nell’Europa dell’Est e Asia. L’asma allergico compare solitamente in età infantile, quello non allergico in età media (> 40 anni).
Frequenza delle singole forme di asma: il 10% dei soggetti asmatici adulti è affetto da
asma estrinseco o intrinseco, l’80% da forme miste. Nei bambini ed in età giovanile
prevale l’asma puramente allergico; in età superiore ai 45 anni l’asma infettivo è la forma più frequente.
Eziologia
1. Asma allergico (asma estrinseco)
a) da sostanze allergizzanti presenti nell’ambiente (vedi più avanti)
b) da sostanze allergizzanti di tipo lavorativo
2. Asma non allergico (asma intrinseco)
— dopo episodi infettivi delle vie respiratorie
— forma pseudoallergica (da intolleranza) da analgesici
— da stimoli irritanti di natura chimica o tossica
— asma/tosse in seguito a reflusso gastro-esofageo
— asma da sforzo (particolarmente in bambini e giovani).
3. Forme miste: estrinseco + intrinseco.
Fattori genetici: le cosiddette affezioni atopiche (asma bronchiale, rinite allergica e neurodermite) si manifestano spesso a livello familiare e sono caratterizzate da una predisposizione, trasmessa ereditariamente come carattere autosomico dominante, a produrre
elevate quantità di IgE.
Quando entrambi i genitori sono affetti da tali malattie, nel 40-50% dei casi i figli presentano un’affezione atopica (in caso tale affezione si verifichi solo in uno dei genitori, tale frequenza si dimezza). Circa 1/4 dei pazienti con rinite da pollini sviluppa, dopo
un periodo > 10 anni, un asma da pollini. Il 50% della popolazione dell’isola Tristan da
Cunha soffre d’asma in seguito a ereditarietà famigliare. Il gene mutato CC16 variante
38A sembra svolgere un ruolo significativo nella predisposizione all’asma.
Patogenesi
La predisposizione genetica e gli agenti esogeni scatenanti (allergeni, infezioni) conducono all’infiammazione bronchiale. Successivamente compare la iperreattività bronchiale ed evtl. l’asma bronchiale. Si hanno pertanto 3 caratteristiche tipiche della malattia:
1. infiammazione bronchiale: la reazione infiammatoria della mucosa bronchiale, scatenata da allergeni o infezioni, svolge un ruolo centrale nella patogenesi dell’asma,
che vede la partecipazione di mastociti, linfociti T, granulociti eosinofili e mediatori della flogosi
2. iperreattività bronchiale: in tutti gli asmatici è presente, all’esordio e nel decorso
della malattia, uno stato di iperreattività bronchiale aspecifica. Il test di provocazione con metacolina rileva tale iperreattività nel 15% della popolazione adulta, ma solo il 5% soffre di asma bronchiale clinicamente evidente
3. ostruzione endobronchiale causata da:
• broncospasmo
• edema della mucosa e infiltrato flogistico locale
• ipersecrezione di muco denso (discrinia).
— Patogenesi dell’asma allergico: il meccanismo più importante è rappresentato dalla
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reazione allergica di tipo I, mediata dalle IgE. Queste, interagendo con allergeni
specifici, determinano la degranulazione dei mastociti, con liberazione di sostanze
mediatrici come l’istamina, ECF-A (eosinophil chemotactic factor of anaphylaxis),
leucotrieni e bradichinina.
Queste sostanze mediatrici determinano un’ostruzione endobronchiale.
Accanto alla reazione asmatica immediata causata da IgE, dopo inalazione di allergeni si può avere anche una reazione tardiva dopo 6-12 ore. Alcuni pazienti hanno
ambedue le forme di reazione («dual reactions»).
L’insorgenza iniziale di un asma prettamente allergico è da attribuire quasi sempre
ad un singolo allergene; nel corso degli anni però lo spettro delle cause scatenanti
si amplia, per cui la prevenzione basata sull’evitare il contatto con l’allergene diventa sempre più difficile.
— Patogenesi della reazione pseudoallergica: la reazione pseudoallergica attiva gli
stessi mediatori delle reazioni allergiche, distinguendosi nei seguenti punti:
• le reazioni pseudoallergiche non sono specifiche per l’agente scatenante
• si manifestano già durante la prima somministrazione (nessuna sensibilizzazione,
non mediate da IgE)
• non sono acquisite ma determinate geneticamente.
Un’intolleranza all’acido acetilsalicilico e ad altri FANS è presente nel 10% circa di
tutti i pazienti con asma non allergico (solo raramente con asma allergico). Spesso
esiste anche un’intolleranza ad altre sostanze, come il solfito (ad es. nel vino), la tiramina (formaggio), il glutammato, ecc.
Cause scatenanti un attacco acuto d’asma:
— esposizione all’antigene, sostanze inalanti irritanti
— infezioni respiratorie virali
— farmaci scatenanti l’asma (ASA, betabloccanti, parasimpaticomimetici)
— sforzo fisico (asma da sforzo)
— aria fredda
— terapia inadeguata.
Clinica
I sintomi asmatici possono presentare una stagionalità ricorrente (allergia stagionale ai
pollini), non avere stagionalità oppure essere presenti per tutto l’anno (asma perenne);
— il sintomo principale è rappresentato da attacchi parossistici di dispnea, con sibili
espiratori (diagnosi differenziale: stridore inspiratorio nell’ostruzione delle vie respiratorie superiori!).
— tosse stizzosa, assai fastidiosa (sintomo precoce dell’iperreattività bronchiale).
— durante l’attacco il paziente è dispnoico, in decubito semi-ortopnoico con interessamento della muscolatura ausiliare della respirazione (espirio prolungato).
— quando il paziente è molto provato, alternanza respiratoria = alternarsi della respirazione toracica con quella addominale.
— tachicardia, evtl. polso paradosso con caduta della PA in fase inspiratoria > 10 mm
Hg.
— auscultazione: ronchi, gemiti o sibili prevalentemente espiratori. In caso di broncospasmo grave con iperdistensione polmonare (volumen pulmonum auctum) oppure
di enfisema conclamato non si percepisce quasi nulla («silent chest»).
— percussione: iperfonesi plessica con abbassamento del diaframma.
— laboratorio: eventuale aumento nel sangue e nell’escreato degli eosinofili e della
ECP (= proteina cationica eosinofila), quale indicazione di una flogosi allergica; in
caso di asma allergico aumento della IgE specifiche e totali; in caso di asma infettivo eventuale leucocitosi, aumento della VES e della PCR.
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— escreato: scarso, denso, vischioso (in caso di asma infettivo talvolta è di colore verde-giallastro).
— ECG: tachicardia sinusale, eventuali segni da sovraccarico del cuore destro: P polmonare, deviazione assiale destra, eventuale blocco di branca destra, eventuale tipo
S1, Q3 o tipo S1, S2, S3.
— radiografia del torace: polmoni iperespansi (campi polmonari iperdiafani) con abbassamento del diaframma, silhouette cardiaca più sottile.
— funzionalità polmonare:
• VEMS diminuito. Valutazione della reversibilità dell’ostruzione bronchiale con il
test di broncolisi: aumento del VEMS di almeno il 20% dopo inalazione di un β2agonista
• PEF e MEF50 diminuiti; la misurazione del picco di flusso è importante perché
può essere eseguita dal paziente, anche al domicilio; gli asmatici mostrano oscillazioni circadiane del grado di ostruzione bronchiale, con aumento dell’ostruzione
nelle prime ore del mattino
• in caso di ostruzione marcata, diminuzione della capacità vitale, con aumento del
volume residuo da «air trapping» e spostamento della posizione respiratoria media verso l’inspirazione
• resistenza respiratoria aumentata; a partire da valori di resistenza di 0,45 kPa/l/s
il paziente percepisce l’asma come fame d’aria.
Nota: poiché l’asma bronchiale è una malattia a crisi parossistiche, la funzionalità
polmonare può essere normale negli intervalli intercritici. In questo caso è possibile
documentare la iperreattività bronchiale con il test di provocazione.
— emogasanalisi arteriosa nell’attacco d’asma: 3 stadi
Stadio
pO2
pCO2
I = iperventilazione
n
Alcalosi respiratoria
II = insufficienza respiratoria parziale
n
n
< 50
> 45
III = insufficienza respiratoria
III = globale
pH
acidosi respiratoria
(+ acidosi metabolica)
Complicanze
• stato di male asmatico: crisi d’asma resistente ai β2-adrenergici con pericolo di vita
• enfisema polmonare ostruttivo

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