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1.
Note storiche su Gardone
Valtrompia
Etimologia del nome
Circa l’origine del nome Gardone nulla si può affermare con assoluta certezza.
Secondo notizie e tradizioni raccolte anche da storiografi contemporanei il toponimo
deriverebbe però dalla forma accrescitiva di Guarda ( longobardo = Wardia) voce
che riconduce all’esistenza di una rocca che sarebbe stata costruita, in tempi molto antichi,
sul colle ove ora si trova il Santuario di San Rocco e della Madonna del
Popolo. Il fortilizio sarebbe stato protetto da una guarnigione che avrebbe avuto il
compito di controllare, dall’alto, la Valle del Mella e quella del torrente Re. In
una pergamena datata 14 febbraio 1317, un tempo conservata presso l’archivio comunale
di Bovegno ed attualmente custodita nell’Archivio di Stato di Brescia, è scritto
che il Capitano di Valle Trompia (titolo attribuito a chi aveva la responsabilità
militare della Valle) pone talvolta, e periodicamente, la sua residenza nel Castello di
Gardone. L’importante testimonianza non indica il luogo esatto dove sorge la
costruzione fortificata e anche se non si può concretamente affermare che essa si innalzasse
sull’attuale Colle di S. Rocco, prova tuttavia l’esistenza sul suolo gardonese di un
fortilizio: tanto basta ad offrire un supporto alla ricordata etimologia affermata peraltro da
tradizioni e memorie secolari.
Le epoche Romana e Preromana
Le tre Valli Bresciane
e soprattutto le due minori (Trompia e Sabbia)
s’inseriscono solo marginalmente nella storia bresciana antica e ciò è comprensibile data la
loro collocazione geografica che le rendeva poco abitate con tendenze di vita legate, per le
popolazioni indigene, ad un’esistenza circoscritta ai propri villaggi. Se per la Val
Canonica e la Val Sabbia passavano le vie di comunicazione tra la Pianura
Padana ed i paesi d’oltralpe, la Val Trompia bloccata alle spalle di S.
Colombano, dal Maniva, fin dalle epoche antiche fu regno di cacciatori e di minatori
pur se vide fino al secolo scorso un intenso traffico di viaggiatori, truppe e mercanti che la
percorrevano diretti, attraverso il Passo del Colle di San Zeno, che da Pezzaze
scende a Pisogne, al Sebino ed ai territori camuni.
La preistoria “gardonese” e le testimonianze che possono documentare un insediamento
umano nel territorio compreso negli attuali confini del comune di Gardone, risalgono alle
ultime fasi del neolitico (8000-1000 a.C.) epoca in cui i nostri antenati erano ormai
cacciatori tanto abili da spingersi per le loro imprese in alta montagna dove,
probabilmente, piantavano campi stagionali dimostrando estrema capacità di adattamento
all’ambiente d’alta quota. Intorno a questi campi si cacciava e nei bivacchi si
commerciava la selce grezza ed i preziosi utensili da essa derivati. La ricerca
archeologica, impostata più su scoperte casuali che su campagne di scavo scientificamente
organizzate, ci ha restituito alcune preziose testimonianze:
• una Paalstab: un’ascia con alette molto prominenti, reperto stimato dell’età del
bronzo ed ora conservato, con altri documenti archeologici, nel Museo cittadino
•
Selci
scheggiate provenienti da lame o piccoli raschiatoi, scoperte in
Val Cavrera, zona in cui nel sec. xv fu eretta la Basilica di S. Maria
degli Angeli
•
Picchi
di calcare in arenaria chiara e scura, rinvenuti durante lavori di
scavo nelle vicinanze della zona sopraddetta
Delle lontane origini delle genti trumpline le fonti lasciano scarsa memoria ed i
ritrovamenti archeologici sono in misura nettamente inferiore di quelli riguardanti la Val
Canonica. La storia ci ricorda che intorno al 400 a.C. i Celti invadono la
Pianura del Po e inoltrandosi nelle Valli bresciane incontrano la resistenza i alcune
popolazioni autoctone ( tra le quali si possono annoverare i trumplini) che abitano la
pianura soggiacente le Alpi Retiche e le Valli che le penetrano. Ai Celti, con molte
probabilità, venne affidato dai romani il compito di contenere le frequenti irruzioni di
queste tribù prealpine fino alla decisione di Cesare Augusto d’intraprendere una vera e
propria guerra contro di esse. La Valle Trompia, dopo una lunga e feroce resistenza,
dovrà cedere, nel 15 d.C., alle legioni di Druso ed il Cippo di La Turbie
(Monaco) che celebra la vittoria romana, cita al primo posto fra le tribù sconfitte quella
dei Trumplini. I valligiani sono ridotti in schiavitù e considerati venales = vendibili.
Il territorio della valle diventa un vivaio di schiavi in potere del demanio imperiale. La
dominazione romana dà inizio però (contrariamente alle premesse) allo sviluppo di una
fiorente economia che si accompagna al rispetto che Roma riserva ai culti indigeni. I
prodotti del lavoro delle miniere e massicci arruolamenti di giovani nelle legioni, nel giro di
pochi anni attutirono i terribili provvedimenti adottati all’atto dell’occupazione e la Valle
divenne mezzo per una grandiosa realizzazione civile a vantaggio della città :
l’acquedotto in muratura fatto costruire per volontà di Augusto e del successore Tiberio
da Lumezzane, dopo 25 chilometri, portava l’acqua a Brescia. La romanizzazione
si diffuse anche in Alta Valle ed in altri centri. Il territorio gardonese ci ha restituito
numerosi reperti di epoca romana fra i quali spicca un elegante Bronzetto di
scuola ellenistica, raffigurante secondo la comune interpretazione, il dio Giove nei suoi
attributi di Conservatore dell’ordine e delle istituzioni. La statuetta, rinvenuta in una
zona non precisata delle pendici montane gardonesi è stimabile di epoca imperiale e fu
donato all’epoca del ritrovamento (1840) al Museo Romano cittadino. Ripetuti i
ritrovamenti di tombe e corredi funebri romani dal 1800 fino ai giorni nostri. Di
notevole importanza i reperti lapidari e di are votive che testimoniano il permanere in
Valle di culti indigeni ( nella frazione di Inzino in particolare) anche dopo il trionfo
delle armi romane. Si ricorderanno quattro iscrizioni votive dedicate a Mercurio,
Minerva, Tullino e al Genio del Popolo (o del Pago) ed una quinta, ormai
perduta, alle Ninfe..
Le Pievi
Quando la chiesa sostituisce la sua forza a quella del decadente impero romano,
promuove il più vasto disegno di diffusione del Cristianesimo e di ricostruzione della
vecchia struttura sociale; alle forme organizzative romane si sostituisce la
Cristiana
Pieve
. Le popolazioni valligiane sono rieducate allo spirito comunitario,
ritrovano l’unità perduta, riscoprono il valore delle libere scelte e, attraverso l’istituzione
pievana, ridiventano popolo. In Valtrompia, intorno al VI secolo sorgono quattro
Pievi. In questo periodo Inzino ha la preminenza su Gardone che inizialmente è
soltanto una modesta cappellania nella quale, su concessione dell’arciprete pievano, un
sacerdote celebra la messa festiva ed amministra i sacramenti. Cresce nel frattempo il
potere dei monasteri cittadini che amministreranno molti fondi terrieri sotto il titolo di
“Corti rustiche” (Magno di Gardone). L’opera di educazione sociale e di
rinnovamento culturale operate da queste istituzioni condurranno nel tempo alla
costituzione delle Vicinie (organismi di giurisdizione formati da tutti i capi delle
famiglie originarie) e quindi dei Comuni che verranno istituiti nei centri minori del
territorio bresciano determinando la crisi delle Pievi e della loro funzione civile e
culturale.
Le vicinie ed i comuni
Nel tardo medioevo anche la Valle Trompia, come buona parte del territorio
bresciano, fu teatro d' episodi di guerra civile causati dalle istanze utonomistiche di alcuni
comuni nei confronti della città, velleità facilmente stroncate dalla vicinanza e dalla
facilità di accesso al territorio valligiano. Dopo la pace di Costanza del 1183, i
comuni ricevono la pubblica sanzione dell’imperatore ed in Valle iniziano a darsi i
propri Statuti che verranno poi in seguito confermati all’occupazione del Bresciano
da parte dei Visconti.
Delle prime Vicinie trumpline si hanno notizie dai vari Statuti comunali
(Pezzaze, 1318 - Bovegno, 1341 - Cimmo e Tavernole, 1372 ). Non sono stati
ancora ritrovati gli ordinamenti della Vicinia gardonese, ma si dovrebbe essere vicini al
vero pensando che essa fosse già attiva nella seconda metà del secolo xv. Gardone
fino al 1422 non ebbe un proprio ordinamento civico codificato, il che è dimostrato da
un’ordinanza del Podestariato di Brescia che nel giugno di quell’anno obbligava i
comuni della Valle Trompia a riparare la strada valligiana. Nell’ordinanza non è
citato Gardone, verosimilmente ancora legato amministrativamente ad Inzino.
Probabilmente lo Statuto gardonese che il Cocchetti, scrivendo nel 1858, vuole
custodito in copia da una famiglia Bianchi di Gardone, risale al 1436 e la sua
redazione fu senza dubbio incoraggiata dal governo veneto, notoriamente propenso a
favorire le autonomie locali.
Il Feudalesimo vero e proprio non trovò in Valtrompia sviluppi notevoli anche se non
vi fu del tutto assente. Potenti feudatari del luogo furono gli Avogadro con vasti
possedimenti in Valle, i Confalonieri (Bovegno), i Negroboni, i Nassini ed i
Lavellongo.
Le signorie
Le aspre lotte tra guelfi e ghibellini porteranno nel ‘300 alla distruzione dei castelli
trumplini e alla Signoria dei Della Scala che con Mastino II dal 1332 al
1337 deterrà il potere su tutto il territorio. Gli succederanno i Visconti che nel 1354
assegneranno a Bernabò i territori delle Valli Trompia e Sabbia. Il suo
successore Gian Galeazzo emana nel 1385 Capitoli di sudditanza bresciana. Nello
stesso anno per porre ordine nell’amministrazione territoriale, il Visconti divide il
Bresciano in Quadre, ordinando poi un estimo generale nel quale vengono nominati
tutti i comuni appartenenti alla circoscrizione. Nella Quadra di Valtrompia,
Gardone non è ancora citato mentre ha evidenza la “Castelanza di Inzino”. Al
dominio visconteo si sostituisce dal 1404 al 1420 la signoria di Pandolfo Malatesta
che si distingue nel tentativo di favorire l’economia valligiana.
Con il privilegio in data 8 aprile 1406 la Valle ottiene il permesso di commerciare in
ferrarezze confermando come a Gardone sin dal secolo XIV sia iniziata la produzione
di canne favorita dalla presenza in loco delle miniere da cui si estrae il ferro spatico,
elastico e facilmente lavorabile nelle fucine che sorgono lungo le rive del Mella e che
traggono forza dalle sue acque. Nel Codice Malatestiano 67, nel 1418 fra i
comuni trumplini è citato “ Gardone sive Castelanza de Inzino” citazione a conferma
che Gardone non si sia ancora dato un autonomo statuto, ma che ormai abbia una
preferenza su Inzino che gli deriva da una produzione a questo punto affermata,
all’interno dei confini della Signoria. Il potere dei Malatesta terminerà nel 1420,
con l’intervento armato del Carmagnola condottiero delle truppe di Filippo Maria
Visconti.
Il dominio veneto
A quello dei Visconti seguirà il dominio della Serenissima (1426-1797) che sarà
accolto con largo favore dai trumplini ed in particolare dai gardonesi. I valligiani sono
stati tra i primi a dichiararsi a favore ella Repubblica e molto hanno contribuito al
successo delle armi di San Marco quando si è trattato di infliggere il colpo definitivo
al domino dei Visconti mal tollerato in tutta la Valle.
Concluse le vicende belliche, Venezia, si dimostra immediatamente benevola verso i suoi
sostenitori concedendo loro larghe esenzioni fiscali ed ampi privilegi riguardanti il traffico
del vino, dell’olio, delle biade e delle ferrarezze. Speciali disposizioni proteggono il
lavoro degli archibusari e queste provvidenze del governo veneto vengono graditissime ai
gardonesi. Per onorare S. Marco, patrono della Repubblica, secondo la
tradizione, pare che i gardonesi avrebbero dedicato all’evangelista la loro chiesa orientata,
in quel tempo, in modo diverso dall’attuale, ma edificata su un’area assai prossima a quella
occupata dall’odierna prepositurale. Durante la lunga dominazione veneta, Gardone
diventa il centro al quale naturalmente si riferisce la produzione delle armi richieste dalla
Serenissima che da esse trae una fonte di ricchezza e di inimmaginabile potere politico e
strategico. L’importanza cui, nel volgere di pochi decenni, assurge il paese è dimostrata
anche dall’intensa attività dei notai del luogo, documentata dal 1490. Il governo
veneto è evidentemente interessato a favorire la produzione armiera per suo uso e consumo,
ma se da un canto non sempre i frangenti politici richiedono una larga quantità di
prodotto, dall’altro la Repubblica non può permettere che le armi eccedenti il suo
fabbisogno prendano indiscriminatamente la via dell’estero. Non raramente il Senato
deve dunque trovare una conciliazione tra gli interessi politici dello Stato e quelli dei
gardonesi, che, ben consci della qualità delle loro canne, sanno far la voce grossa quando
necessita o più spesso riescono a sfuggire beffardamente ad ogni rigorosa legge governativa.
Il contrasto di interessi tra la Repubblica ed i produttori di armi provocherà, tra le
altre cose, ripetute emigrazioni di maestranza, cui la Serenissima cercherà in ogni
modo di porre freno e rimedio. Un primo accenno a tale fenomeno si ha già in un
dispaccio, spedito dai Rettori bresciani al Consiglio dei Dieci in data 3 aprile 1505.
Nella lettera si riferisce a Venezia che alcuni maestri d’archibugi, schioppetti e ballotte,
sono usciti dai confini dello Stato spingendosi sino a Domodossola, terra soggetta alla
giurisdizione dei conti Borromeo. Il documento pubblicato da Marco Morin,
riveste notevole importanza in quanto costituisce l’atto più antico certificante esplicitamente
la predilezione gardonese nella produzione di armi. Uno sguardo, anche molto
fuggevole e parziale, alle licenze di esportazione concesse dai Rettori veneti ai maestri di
canne bresciani, informa che intorno alla metà del Cinquecento il prodotto gardonese è
richiesto oltre che in tutti i principati della penisola anche sui principali mercati europei.
Fra i più importanti acquirenti si annoverano l’imperatore Carlo V, i re di Francia e
d’Inghilterra ed i Cavalieri di Malta. Gli archibugi ed i moschetti figurano tra le
armi più vendute ma non mancano anche ordini per corsaletti, celate e ferri da pica.
Negli atti degli archivi ricorrono con insistenza i nomi delle più antiche famiglie
gardonesi che, mentre si creano una propria fortuna, contribuiscono al miglioramento
generale dell’economia del paese. Sono cognomi notissimi agli studiosi delle armi
antiche: gli Acquisti, i Belli, i Chinelli, i Cominazzi, i Daffini, i Franzini, i
Garbelli, i Manenti, i Moretti, i Mutti, i Piccinardi, i Rampinelli, i Savoldi,
i Timpini e gli Zambonardi per non parlare dei Beretta, titolari di un’azienda sin
dal Cinquecento.
In una relazione spedita al Senato Veneto il 20 settembre 1553, il podestà di
Brescia scrive che a Gardone tutti gli uomini girano armati d’archibuso e perfino le
donne ne portano uno in mano e uno alla cintola. Ciò non significa che la popolazione
sia sempre e soltanto occupata intorno al ferro e al fuoco delle sue fucine. Una voce non
irrilevante dell’economia gardonese del tempo, è data dallo sfruttamento delle zone
boschive e da pascolo: la tutela di questo patrimonio è cura gelosa del comune e dei privati.
A delineare poi, anche se in modo sommario la realtà socioculturale del paese nel secolo
XVI si aggiunga che Gardone è probabilmente l’unico comune valtrumplino che
mantiene un maestro di scuola; inoltre coloro che fabbricano le canne sanno quasi tutti
leggere e scrivere. E’ lecito vedere in questo impegno di alfabetizzazione, che peraltro
non raggiunge tutti gli strati sociali, un intento anche utilitaristico in relazione diretta con
gli interessi legati alla principale attività produttiva, ma considerati i tempi, non pare
veramente poco. Anche nelle vicende politico- istituzionali Gardone è parte importante.
Appartiene alla sua comunità uno dei due ufficiali che, secondo lo Statuto di
Valtrompia, deve mantenere i rapporti con gli altri comuni e con il Consiglio di Valle.
Il grande sviluppo economico ha rapidamente condotto il paese ad un notevole
incremento demografico che fin dalla seconda metà del secolo XV si mantiene largamente
superiore a quello del più antico centro d' Inzino. Questo sviluppo indurrà la
popolazione a chiedere con insistenza la separazione dalla Pieve madre ed il
raggiungimento dell’autonomia parrocchiale.
Il dominio veneto fu dunque largo nella concessione di privilegi che però tentò in
continuazione di togliere con qualsiasi pretesto. I valligiani non tardarono a
comprendere la situazione ed a cogliere i vantaggi che derivavano da un modo di
governare amministrativamente rigoroso, saldamente centralizzato nelle sue istituzioni di
governo e che si accorda con un indirizzo politico che tutela le autonomie locali e sostiene
le economie più povere nel rispetto delle varie esperienze delle province soggette; istanze e
principi che troveranno la loro sintesi legislativa nella compilazione degli Statuti di
Valtrompia la cui prima stesura risale al 1436. Nel 1454 la Valtrompia otterrà
l’autonomia e l’esonero dai dazi per una popolazione di circa 17 mila abitanti suddivisa
in una trentina di abitati e 17 comuni in cui s’ergevano sette forni fusori ed una
quarantina di fucine che lavoravano il ferro.
Nel 1495, accampando diritti di parentela per il Ducato di Milano, il re di
Francia Luigi XII scenderà in Italia, si alleerà con Venezia, solerte ad occupare
Crema e Lodi, suscitando le preoccupazioni del Papa che indirà contro la
Serenissima la Lega di Cambrai. Le truppe venete, fra le cui fila militavano
centinaia di trumplini e di gardonesi, saranno sconfitte. Venezia sarà quindi ammessa
nella Lega divenendo avversaria dei francesi che, entrati in Brescia nel 1509, si
trovarono a combattere contro gli ex alleati. Sempre i francesi, costretti a ritirarsi nel
Castello cittadino dalle truppe comandate dal bovegnese Negroboni, dopo aver ricevuto
consistenti aiuti dall’arrivo di Gastone de Foix, divennero artefici di una strage
crudelissima. Alla morte di Giulio II, Venezia si alleerà nuovamente con i francesi
ed il suo domino sul Bresciano durerà senza interruzioni sino alla fine del secolo
XVIII.
La situazione religiosa
L’istanza gardonese per un’autonoma vita religiosa, cui si è già accennato, trovava
sempre più validi motivi di appoggio, nelle spese sostenute dalla comunità per la costruzione
della chiesa di San Marco già ampliamente dotata d’arredi di valore, e nella
eccessiva lontananza dalla Pieve inzinese di alcune contrade gardonesi. Queste
distanze pregiudicavano la partecipazione alle cerimonie, soprattutto di anziani e donne, e
l’amministrazione tempestiva dei sacramenti (Battesimo ed Estrema Unzione ).
L’8 febbraio 1502, Antonio, Cardinale di Sabina, in nome del pontefice Paolo
III, accoglie le istanze gardonesi e concede la separazione da Inzino che ha come
effetti immediati l’erezione autonoma in nuova cura della chiesa di S. Marco ed il suo
diritto di dotarsi di campanile, campane e fonte battesimale. Viene anche concesso alla
comunità di Gardone il giuspatronato nell’elezione e nella deposizione di curati e
Rettori della chiesa, giuspatronato cui il comune ha rinunciato solo in anni recenti.
All’esecuzione del decreto si oppone Pietro Malatesta, arciprete d' Inzino e cittadino
veneto, che promuoverà un contrastato processo che troverà conclusione solo nel 1544 con
l’affermazione definitiva delle ragioni di Gardone. A questa vicenda che trova pacifica
e soddisfacente conclusione ne seguirà un’altra che sarà di travaglio alla comunità per
lunghi anni.
La lavorazione del ferro costringeva gli abitanti di Gardone a mantenere stretti
rapporti con i minatori dell’alta Valle il cui lavoro aveva dirette conseguenze sulla
produzione gardonese. Nel 1520 Venezia impose un forte dazio sull’estrazione del
ferro che ebbe come conseguenza l’immediata riduzione della produzione armiera e che
costrinse molti valligiani ad emigrare, in cerca di lavoro, oltre i confini nazionali.
Emigrare all’estero significava per questi rudi uomini anche entrare in contatto con le
nuove idee protestanti che saranno poi riportate in patria a crisi economica conclusa. La
diffusione di queste idee, un tempo giudicate eretiche, troverà fertile terreno nella presenza
in alta Valle di maestranze tedesche che consentiranno all’eresia di diffondersi con molta
rapidità. L’ Anabattismo, che meglio si adattava a dar concreta forma alle aspirazioni
riformistiche delle classi più umili ed in particolar modo degli artigiani, troverà molti
discepoli e sostenitori.
I centri di maggior diffusione del pensiero protestante
diventeranno, anche aiutati dall’autonomia giuridica della Valle, Collio (dove
predicava il convertito frate francescano Gomezio Loviselli) e Gardone dove un folto
numero di maestri di canne (Andrea Chinelli, Giuseppe Cominazzi, Cipriano
Daffini, Maffeo Franzini e molti altri) si convertì alle nuove idee sotto la guida del
cremonese Gerolamo Allegretti.
Il fervente proselitismo portò all’apertura di un processo contro gli eretici che il Senato
impose ( quasi a garanzia per gli accusati) si svolgesse a Venezia. La conclusione
della causa vide il De Giusti e l’Allegretti costretti all’abiura ed altri accusati
condannati al bando. Le pulsioni ereticali non cessarono però con le sentenze dei processi
tanto è che nel 1556 a Gardone vengono incendiate le porte ed alcuni confessionali
della Basilica di S. Maria degli Angeli in segno di protesta contro i frati
francescani, il cui ordine ricopriva anche incarichi inquisitoriali. I tentativi di debellare
l’eresia hanno scarso successo anche per le caratteristiche geografiche del luogo che offre
riparo e nascondigli sulle montagne. Nonostante un ordine della Serenissima in data
14 ottobre 1563, che stabilisce d’applicare la pena di morte agli eretici ( con ben altri
mezzi operava il Consiglio dei Dieci quando voleva raggiungere uno scopo) ci si limita
all’espulsione di alcuni gardonesi che raggiungeranno Tirano, la Valtellina ed altri
esiliati che in questa terra hanno trovato rifugio e lavoro.
Rinascite e crisi economiche
Questi anni rappresentano un periodo vitale per l’economia gardonese dato che la
richiesta di armi, in seguito alle contingenze nazionali, si fa sempre più pressante.
Il Senato veneto ha deciso d’accettare la sfida turca per il controllo delle acque
dell’Adriatico e dell’Egeo. La produzione di canne diviene alacre e tra il 1570 ed il
1573 Gardone, dove si lavora nelle fucine giorno e notte, quotidianamente produce ben
trecento canne d’archibugio. I produttori locali approfittando della situazione vendono
le loro canne anche fuori il domino veneto (Milano, Roma, Spagna) con ben più
alte remunerazioni: la Serenissima interviene prontamente nel tentativo di frenare
l’illegale commercio. Nella Battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571, combatterà
anche il caporale gardonese Graziadio Franzini ed al comando del capitano Camillo
Brunelli figureranno numerosi altri trumplini. La vittoria delle truppe e della flotta
venete sarà ricordata nella nuova edizione degli Statuti di Valtrompia (1576) dove si
stabilirà che il 7 Ottobre (Santa Giustina) debba considerarsi in perpetuo giorno
festivo.
Gli anabattisti continuano a costituire una notevole preoccupazione per l’autorità
ecclesiastica, ma la loro esperienza va avvicinandosi alla conclusione che verrà decretata
dalla visita apostolica di Carlo Borromeo nel 1580.
Vincenzo Antonini,
convisitatore, giungerà a Gardone in aprile trovandovi una situazione pesantemente
legata al movimento ereticale. Numerose saranno le denunce raccolte nei confronti degli
eretici alcuni dei quali sono già fuggiti in Valtellina (Girolamo Aiardi, Antonio
Beretta ed altri); nel paese è praticata l’usura anche dalle Confraternite laicali, la
scuola di dottrina si tiene saltuariamente, il Rettore di San Marco non ha licenza
per la cura d’anime ed i luoghi destinati al culto ed alla preghiera sono poco rispettati.
Vengono dettate le prime disposizioni e s’inizia l’iter previsto contro gli eretici. S.
Carlo giunge a Gardone il 18 agosto e trova un paese ostile; se ne allontana dopo tre
giorni e vi ritorna alla fine di ottobre quando i provvedimenti canonici ed il timore di
nuove denunce rendono maggior osservanza alla cortesia e all’ospitalità. I processi
intentati ai gardonesi si risolveranno, mediatrice Venezia, con lievi condanne.
Passati i tempi della Guerra di Cipro e della Battaglia di Lepanto, durante la
quale,il tiro dei micidiali archibugi gardonesi e sei navi della flotta veneta armate di
potenti bombarde prodotte a Gardone hanno decisamente contribuito alla vittoria ed
all’annientamento di una flotta molto più esperta ed agile nelle manovre, il commercio
armiero si mantiene per qualche anno ancora in auge. La produzione dei maestri di
canne che però, secondo i dettami di Venezia, era strettamente e rigidamente ereditaria,
si vede affiancare l’opera di mercanti il cui intento è solo quello d’accaparrarsi prodotti e
manodopera a basso costo anche in opposizione alle antiche e consolidate distinzioni tra
maestro-padrone ed operaio produttore. Gli ultimi decenni del secolo vedono un declino
della produzione cui non è estranea la politica della Serenissima costretta, per proprie
necessità, a ricorrere a tassazioni straordinarie ed a provvedimenti restrittivi che si
riflettono pesantemente e negativamente sull’economia della Valle. Per evitare nuove
fughe produttive verso altri stati il Senato dispone un prestito di 30.000 ducati, vietando
però l’esportazione del ferro da armatura e delle canne non incassate (decisione
drammatica dato che all’estero erano ricercate le famose canne gardonesi e non certo le
incassature in legno, disdegnate da molti acquirenti). In cerca di possibili ripieghi e
soluzioni ad una situazione sempre più grave, Venezia istituisce a Gardone un
Fondaco (1601) concedendo il prestito governativo direttamente ai maestri, che
eleggono alla gestione del fondaco Bartolomeo Lorando. Quest’ultimo, con le
disponibilità governative, acquista il materiale grezzo necessario alla fabbricazione delle
canne. E poi lo distribuisce ai maestri dell’arte. Non vengono richiesti pagamenti per il
materiale ceduto, ma, al contrario, si aprono larghi crediti. Gli armaioli, ultimata la loro
opera, la devono consegnare finita al fondaco. La procedura presenta alcuni vantaggi:
si ottiene di calmierare la produzione ed, attraverso una corretta distribuzione della
materia prima, viene offerta agli artigiani un’ equa possibilità di lavoro. Ma esistono
anche svantaggi. Appena, infatti,il fondaco è saturo e rifornito oltre ogni limite di
capienza, eccedendo alle richieste della Repubblica, le possibilità di lavoro sfumano non
essendo ammessa un’ occasione di trattativa privata per la commercializzazione del
prodotto. A questi elementi, non di scarso valore, si aggiunge una scorretta gestione del
fondaco da parte del Lorando che approfitta della situazione per pagare le maestranze
non in moneta contante, ma con merce sopravvalutata rispetto ai prezzi correnti. Di
fronte ad una tale situazione molti maestri, che non rientravano nelle “grazie” del
Lorando si videro costretti ad esercitare rischiosamente il contrabbando mentre altri per
sopravvivere, nonostante la sorveglianza veneta, si allontanarono dal paese prendendo la
via dell’esilio ed altri infine abbandonarono la loro arte dedicandosi ad attività diverse.
Nel 1626 il Da Lezze, capitano di Brescia, fa presente al Doge che i pochi
artigiani rimasti sono costretti a vivere in grande miseria e che la crisi si riflette anche sulle
attività delle miniere che riesce però a mantenersi in discrete condizioni. In questi anni
gli aspri contrasti tra produttori e mercanti, sfociano spesso nelle vie di Gardone, diviso
fra la fazione dei Rampinelli e quella dei Ferraglio (sostenuta dai Chinelli), in aspre,
violente e sanguinarie contese. Nel 1629-1631, la situazione è aggravata
ulteriormente dalla carestia e da una lunga e grave pestilenza che mette a dura prova i
bilanci dei comuni e falcia le popolazioni della Valle privando Gardone di un terzo
della sua popolazione. Già nel 1632 inizierà la ripresa favorita da un accordo politico
dei veneziani che permetteranno il ritorno in paese dei colpiti da bando per fronteggiare i
tremendi effetti della pestilenza che ha colpito anche l’alta Valle e le miniere (basti
ricordare il caso di Bovegno che nel 1626 vantava 2600 abitanti e nel 1640 lo
vedeva ridotto a 900). A Gardone per produrre armi si doveva ricorrere, ad indubbio
scapito della qualità, a rottami ferrosi importati da altre terre. Nel 1634 riprende a
funzionare il Fondaco e grossi ordinativi di armi da parte della Serenissima
miglioreranno decisamente la situazione produttiva. Il fondaco tornerà però a chiudere
nel 1640. In paese riprendono le lotte interne con nuove sparatorie e nuovi omicidi.
La situazione peggiora con il ritorno dal bando di Pietro Franzini che si farà parte
attiva di molti scontri sanguinosi. Le inchieste giudiziarie non sanno risolvere le
situazioni e scovare i colpevoli ed alla Serenissima non resta che presentare a tutti i
ricercati ed ai sospetti una drastica soluzione: il perdono giudiziario in cambio
dell’arruolamento nell’esercito veneto per la guerra contro i turchi. La proposta è subito
accolta e vengono in breve tempo formate due compagnie di “banditi” gardonesi: la
Ferraglia e la Rampinella che per circa vent’anni sapranno far risaltare il loro valore
agli ordini della Serenissima e contro gli eserciti della Mezzaluna. Nel 1686, l’8
dicembre, la parrocchia di Gardone è eretta in prepositura e primo prevosto è
Francesco Martinelli.
Il secolo diciottesimo inizia, per l’economia gardonese, in modo sicuramente non
positivo: nuove proibizioni all’esportazione limitano la produzione a pochi ma continui
ordinativi e l’obbligo del possesso di una regolare licenza per le armi da caccia non ne
facilita la diffusione. I decenni seguenti vedono la chiusura di molte fucine e di molti
scavi minerari condizioni che contribuiscono inevitabilmente allo scadere della qualità
produttiva delle armi che lascia grandi spazi alla concorrenza tosco-emiliana prima, ed a
quelle marchigiane e napoletane poi. Si creano in questa metà del secolo le tristi
condizioni che porteranno ad un progressivo asservimento delle maestranze da parte dei
padroni-commercianti che ormai stipuleranno direttamente con i richiedenti, i contratti di
fornitura. A queste infelici condizioni si accompagna nel 1676 una tragica alluvione
che distrugge buona parte delle fucine e delle strutture operative annesse. E’ il crollo
dell’industria gardonese ed il Governo veneto, per salvare il poco salvabile, concede un
prestito di 6000 ducati da ripartirsi fra i maestri di canne nella proporzione normalmente
osservata per la divisione del lavoro. Il denaro dovrà essere restituito in partite di canne
senza alcun interesse. I gardonesi, duri e forti come il ferro che quotidianamente
lavorano riescono a affrontare con successo anche questo triste frangente ed a superare
faticosamente la dura prova facendo nuovamente risorgere quella produzione che è per
tutti i gardonesi ragione di vita. Il fine secolo si presenta abbastanza tranquillo nei suoi
aspetti economici, favorito dalle nuove operazioni belliche intraprese dalla Serenissima,
mentre un po’ meno tranquilla è la convivenza all’interno della comunità gardonese sempre
turbata da violenze fazionarie che lasciano nelle strade alcune illustri vittime. Ancora
una volta Venezia offre ospitalità nelle file dei suoi eserciti ai più facinorosi ed è del
1697 una comunicazione inviata al Senato veneto dal Consiglio Generale di
Valtrompia con la quale si informano i Rettori che numerosi gardonesi hanno chiesto
di poter prendere parte alla guerra in Morea. I primi decenni del Settecento
vedranno i gardonesi ed altri trumplini marciare su Brescia in occasione di una
gravissima carestia. Un notevole aiuto ai bisognosi sarà offerto in questi anni dalle
Confraternite laicali e dalle associazioni di beneficenza, come è testimoniato in una
relazione del prevosto della parrocchia gardonese di S Marco, Gian Antonio
Baldassare Cattaneo. Purtroppo dopo la conclusione della estenuante serie di guerre
contro i turchi, Venezia, che si ritrova gli arsenali pieni di armi, sospende la
fabbricazione dei pezzi da guerra affidando la sopravvivenza dei gardonesi alle solo armi
da caccia che non garantiscono molto. Ricominciano le emigrazioni. Delle 29 fucine
in attività nel 1715, nel 1724 solo 12 traggono forza dalle acque del Mella e solo 3 o
4 fuochi funzionano con regolarità. Nel 1730 il capitano veneto Pietro Vendramin,
in un dispaccio al Senato, sostiene che i gardonesi non hanno più garantito nemmeno il
misero pane quotidiano. Una nuova alluvione del Mella nel 1738 arreca danni
gravissimi agli impianti produttivi gardonesi. Con sforzi immani si rimettono in sesto le
fucine, i ponti, le travate, i carbonili ed un paio d’anni dopo nuovi ordinativi (12.000
fucili e 6.000 pistole per il regno di Napoli) possono essere evasi a pieno ritmo di
produzione. Si accolgono anche le richieste di Genova per una grossa partita di fucili
ed un gruppo di maestri gardonesi è convocato a Venezia per riparare le armi in
deposito. Il guadagno di questa notevole massa di lavoro non cade però su tutta la
stratificazione sociale del paese; l’antico contrasto tra mercanti e maestranza si aggrava
sempre di più. I primi vogliono rendersi padroni assoluti e controllare ogni produzione
inserendo nelle fraglie gente non esperta che, in quanto incapace, è in loro piena balia.
Così operando non è più garantita la qualità del prodotto anche se i vantaggi per i
mercanti sono economicamente sensibilissimi. Girolamo Grimani, Segretario di
Stato alla Guerra, evidenzia come a danno delle maestranze si impieghino villici e
coloni oziosi nella stagion d’inverno. Nel 1757, per le riserve dell’Arsenale di
Venezia, vengono ordinati 18.000 nuovi fucili la cui consegna sarà scandita
mensilmente con regolarità fino al 1765. Questo sarà l’ultimo consistente ordinativo
statale alla industria gardonese. Gli artefici gardonesi sono ormai asserviti senza scampo
agli interessi dei pochi commercianti che hanno saputo monopolizzare la produzione.
La fine della dominazione veneta . L’Austria e l’unificazione
italiana
La fine della dominazione veneta è direttamente legata allo sviluppo della campagna
militare napoleonica nella penisola, contro la quale, a nulla vale la via della neutralità
scelta dalla Serenissima. I giovani patrioti bresciani avevano già da tempo formato
società segrete che inneggiavano ai principi ed ai valori affermati in Francia ed ai loro
occhi l’oligarchia veneta era divenuta l’unico ostacolo da abbattere per realizzare anche
nel Bresciano e nel resto della nazione una nuova fase storica. Ed è così che il 18
marzo 1797 gruppi di cittadini danno l’assalto al Broletto, sede del governo veneto.
Il palazzo è ormai abbandonato e deserto e gli insorti formano un Governo
Provvisorio rivoluzionario che si costituirà in Repubblica Bresciana. Nel breve
volgere di giorni emissari della nuova Repubblica raggiungono Gardone nella
speranza di raccogliere nuove adesioni alla causa. Il paese li accoglie con favore ed il
Consiglio di Valle convocato con urgenza riconosce la legittimità del nuovo governo
stabilendo la distruzione d' ogni simbolo del dominio precedente. Emerge però l’ostilità
alla nuova istituzione da parte dell’alta Valle che obbliga i sindaci a riconvocare il
Consiglio e a sconfessare le deliberazioni precedentemente assunte. Truppe sono inviate
a Carcina per la difesa della Valle. Le truppe francesi giungendo dal Lago d'
Iseo aggirano le difese trumpline ed al comando del generale Cruchet sfilano nelle vie
di Gardone tra due ali di folla festante. A Lodrino si verificano scontri tra francesi e
valsabbini. I trumplini dell’alta Valle, alleatisi con i valsabbini meditano vendetta
contro Gardone che il 27 aprile 1797 sarà assalito e saccheggiato. Alcuni giorni
dopo però i francesi costringeranno definitivamente alla resa le truppe fedeli alla
Serenissima. Domate le ultime resistenze e pacificato il territorio il governo provvisorio
bresciano organizza il piccolo stato indipendente della Repubblica Bresciana che avrà
vita molto breve. Il 17 ottobre 1797, a Passariano, Napoleone firma con
l’Austria il trattato detto di Campoformio. La Repubblica di Venezia è cancellata
dagli Stati d’Europa, cade la Repubblica Bresciana e nasce la Repubblica
Cisalpina. Gardone diventa capoluogo del Cantone del Mella che comprende l’intera
Valtrompia. Dal 1805 al 1815, tutto il bresciano fa parte del Regno italico e
proprio le necessità belliche dell’epoca napoleonica fanno rifiorire in Valle l’industria delle
armi. Questi nuovi eventi determineranno in Gardone una rinascita dell’industria
armiera che riceverà nel 1802 un ordinativo di più di 100.000 fucili. La visita del
Viceré d’Italia, Eugenio de Beauharnais, a Gardone (29 dicembre 1806)
porterà all’apertura dell’Arsenale di Brescia e del suo distaccamento di Gardone.
La posizione geografica della Valle consente un rapido passaggio verso e dal
Trentino ed è proprio per questa via che nel 1813, momento dell’inarrestabile declino
napoleonico, giungeranno a Gardone truppe austriache comandate dal capitano
Rakowski che dopo aver occupato il paese scenderanno in città. L’esercito del Regno
Italico riprenderà il controllo della situazione fino al febbraio 1814 quando due
colonne austriache, dopo aver sorpreso due compagnie francesi di stanza a Lavone,
rioccupano Gardone. Una nuova inutile resistenza è tentata dalle truppe bresciane che
devono però abbandonare nella giornata il paese faticosamente riconquistato. La
situazione volge al peggio per i francesi. Il 27 aprile 1814 il maresciallo Von
Fennenburg entra ufficialmente in Brescia ormai conquistata dalle armi imperiali
austriache. L’Austria in seguito al Congresso di Vienna (1815), si vede annettere la
Lombardia ed il Veneto costituendo il Regno Lombardo Veneto come provincia
austriaca. Nella nuova organizzazione amministrativa Gardone è il capoluogo di un
Distretto che comprende dieci comuni. Gardone è pure sede della Pretura che ha
competenze sull’intero suolo trumplino. Verrà favorita la produzione delle canne da
guerra gardonesi e nelle frequenti visite al paese delle autorità imperiali, si susseguiranno
ordini di fucili per l’esercito e verrà sancito per i gardonesi il privilegio di non assolvere il
servizio militare. Lo stretto controllo esercitato sull’industria danneggerà però la
prospettiva economica generale e porterà ad una crisi che divenne acuta nel 1831. Le
Valli furono investite dalla bufera rivoluzionaria del 1848-1849. Alla dichiarazione
della Prima guerra d’Indipendenza i distretti di Bovegno e di Gardone furono tra
i primi a rendere disponibili uomini e armi. Questi uomini ( che con i valsabbina
raggiungevano le cinquemila unità ) al comando del generale Durando si scontrarono
ripetutamente con gli austriaci. Dopo la sconfitta di Custoza molti gardonesi e
centinaia di valligiani accorsero, nel marzo del 1849, in città per dar man forte agli
assediati delle Dieci Giornate. La dura repressione austriaca seguita alla sconfitta
degli insorti bresciani, alienò definitivamente le restanti simpatie per l’Austria. Nel
1850 la Valtrompia ( Gardone e Sarezzo in particolare) fu colpita da una
spaventosa alluvione che distrusse da Bovegno a Brescia fucine, strutture civili e
private arrecando pesantissimi danni. Vennero costituiti dei comitati di soccorso ( le cui
riunioni furono proibite dagli austriaci che ne temevano le spinte patriottiche) che
raccolsero in un anno l’ingentissima somma di 365.000 lire (pari ad 80 miliardi del
1996). Nel 1859, sconfitti gli austriaci a Magenta, i Distretti di Bovegno e
Gardone sono nuovamente i primi ad allearsi contro gli occupanti. La battaglia di
Solferino e S. Martino del giugno 1859 consacrò definitivamente la vittoria dei
franco-piemontesi e la Lombardia fu aggregata al Regno d’Italia. Alla spedizione
dei Mille di Garibaldi parteciparono anche sessanta bresciani di cui due trumplini ed
uno gardonese: Crescenzio Baiguera. Nel 1861 è istituito il Regno d’Italia
mentre, un anno prima, il governo, riconoscente al patriottismo bresciano aveva istituito a
Gardone un grande Arsenale per la fabbricazione delle armi da guerra, realizzazione
che diede impulso economico anche alle restanti strutture industriali della zona. Gli anni
che separano l’Unificazione dalla Grande Guerra sono caratterizzati dal decollo e
sviluppo dell’industrializzazione con notevoli effetti anche nella nostra Valle. Entra in
crisi a Gardone il vecchio insediamento industriale d' origine familiare- artigianale e solo
alcuni imprenditori di grandi capacità di programmazione e realizzazione riescono
nell’opera di ammodernamento delle loro imprese. Ricordiamo i Glisenti a Carcina, i
Gnutti a Lumezzane ed i Beretta a Gardone. A questi imprenditori locali si
aggiunsero attività importate da altre città e da altre regioni: Fermo Coduri con le sue
filande, il Mylius ed i suoi cotonifici ed i Redaelli con le loro fabbriche di cordami
trafilati e di chioderie che incrementarono il patrimonio produttivo della zona. La
consistente presenza di masse operaie vide i primi tentativi di organizzazione nelle
Società Operaie di Mutuo Soccorso, la prima delle quali fu istituita, proprio a
Gardone, nel 1861 dal prevosto Giovannelli, prete dai profondi slanci liberali. Da
questi anni l’influenza su Gardone e sulla Valle di Giuseppe Zanardelli, deputato,
ministro e presidente del Consiglio, sarà decisiva per una nuova fase di sviluppo economico
ed il suo liberalismo dominerà per molto tempo la vita amministrativa di molti centri sino
all’avvento delle nuove idee socialiste. Nel 1890 il re Umberto I visiterà la Valle
( su iniziativa di Zanardelli) e a Gardone, dopo "aver seduto a banchetto di popolo"
nel palazzo comunale, passerà in rassegna strutture e maestranze dell’Arsenale.
Il secolo ventesimo
La possibile entrata in guerra e la scelta degli alleati suscitarono a Gardone, primo
comune trumplino amministrato dai socialisti, vivaci polemiche. Il sindaco e sette fra
consiglieri ed assessori vennero arrestati e poi confinati in lontane regioni, per propaganda
antimilitarista. Gardone non fu seriamente toccato dagli eventi bellici, la sua industria
conobbe uno sviluppo imponente con l’enorme crescita delle industrie esistenti e la nascita di
nuove imprese. Alla fine della guerra un clima incerto si installò nella Valle,
manifestazioni operaie, occupazioni di fabbriche mentre già si andava profilando l’avvento
della reazione fascista esperienza che si concluderà nel secondo conflitto mondiale e con un
importante accadimento della storia contemporanea: il tributo di vite umane offerto dalle
Valli e dai paesi alla Resistenza.
Nel 1927 con Regio Decreto in data 27 ottobre al comune di Gardone saranno
aggregati quelli di Inzino e Magno che ne diventeranno frazioni. L’occupazione
tedesca di Brescia iniziò il 1 settembre 1943 con arresti e deportazioni. La prima
resistenza si organizzò spontaneamente intorno al Monte Guglielmo che sovrasta con
la sua mole Gardone e con un’incursione alla Beretta, dove furono asportati centinaia
di mitragliatori e migliaia di proiettili. Al termine dei combattimenti, delle rappresaglie e
delle fucilazioni iniziò anche per la Valle e per Gardone un periodo di pace e di
ricostruzione morale e materiale, una pagina di cui anche noi stessi siamo protagonisti.

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